Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

27/11/2012

Palazzo Marini, Sala delle Colonne – Conferenza promossa dall’Istituto Affari Internazionali sul tema “L’articolo 11 della Costituzione - Baluardo della vocazione internazionale dell’Italia”

Autorità, Signore e Signori!

La Camera dei deputati è particolarmente lieta di ospitare, sotto l'alto patronato del Presidente della Repubblica, la Conferenza promossa dall'Istituto degli Affari Internazionali sul tema "L'articolo 11 della Costituzione, baluardo della vocazione internazionale dell'Italia".

Saluto e ringrazio tutti gli autorevoli Relatori che, nel corso dell'odierna giornata, prenderanno la parola nelle varie sessioni di lavoro.

Com'è noto, nell'era post-bipolare, caratterizzata da nuove minacce e complesse sfide alla sicurezza nazionale, l'Italia ha utilizzato lo strumento militare non solo per difendere la propria sovranità, ma anche per costruirsi una solida immagine di "peace-keeper", vale a dire di portatrice di pace in diverse aree di crisi.

Con circa 7000 militari impegnati in 25 missioni in varie zone geografiche (cfr. sito istituzionale del Ministero della Difesa), l'Italia è tra i primi Paesi al mondo per il contributo complessivo dato alle operazioni di sostegno e di mantenimento della pace.

Questo sforzo, attuato peraltro in un momento di profonda trasformazione e riorganizzazione funzionale delle Forze Armate, ha permesso al Paese di accumulare un prezioso "capitale politico", ben spendibile nell'arena internazionale.

Le missioni dei nostri valorosi militari sono diventate un elemento rilevante della politica estera italiana, perché contribuiscono sia al rafforzamento di tradizionali linee strategiche, sia alla definizione di una specifica modalità d'azione e di difesa della pace anche attraverso l'intervento di Forze Armate, soprattutto in missioni multilaterali sotto l'egida delle organizzazioni internazionali.

Tutto ciò avviene in uno scenario globale profondamente mutato dalla fine della guerra fredda, nel quale l'esigenza di salvaguardare i diritti fondamentali in ogni angolo del pianeta, nella speranza di interrompere le sofferenze cui è costretta una parte del genere umano, ha progressivamente condotto la comunità internazionale a consentire lo svolgimento di interventi armati con finalità di tipo umanitario, pure prescindendo dal previo consenso dello Stato sovrano nel cui territorio è pregiudicato il godimento delle libertà, con l'effetto di segnare l'abbandono del principio di "non ingerenza".

Da questo punto di vista, pertanto, gli Stati hanno preso coscienza della necessità di intervenire con le proprie forze militari o di assistenza solidaristica in tutti quei luoghi in cui si determini un'emergenza umanitaria, in virtù dell'assunto in base al quale tutto ciò che succede all'interno di uno Stato non può considerarsi irrilevante per gli altri e che, anzi, è contemporaneamente rilevante in tutto il resto del mondo, con la conseguenza, per ricordare le parole pronunciate, nel 1999, da Giovanni Paolo II (in occasione della celebrazione della Giornata mondiale della pace), che "i crimini contro l'umanità non possono affatto essere considerati affari interni di una nazione".

Al riguardo, dobbiamo ricordare che gli interventi finora svolti dal nostro Paese hanno visto prevalere quelli a carattere prevalentemente "umanitario" e, al di là delle specificità dei singoli contesti, va evidenziato il notevole e responsabile dinamismo delle Forze Armate Italiane, caratterizzato da un livello di coinvolgimento e da una serie di funzioni notevolmente ampliato rispetto al passato.

Parallelamente, si è rafforzata la già positiva immagine delle Forze Armate presso l'opinione pubblica, proprio grazie al nuovo ruolo di "soldato di pace", quale strumento di difesa e di promozione dei diritti umani.

Tuttavia, non si può non rilevare come i concetti di "missione di pace", di "difesa attiva", di "interventi di polizia internazionale" siano stati, alcune volte, sottoposti a motivate critiche, in quanto ritenuti non adeguati a descrivere i contesti altamente conflittuali nei quali si possono trovare i nostri contingenti all'estero.

Ma, come ha osservato la dottrina a larga maggioranza (da Dogliani a Ronzitti, da Carnevale ad Antonio Cassese), ciò che rileva ai fini della legittimità costituzionale della partecipazione italiana è la piena coincidenza che deve intercorrere tra il diritto internazionale e il diritto interno, con la conseguenza che oggi ciò che è legittimo per il diritto internazionale è legittimo per il diritto interno e, viceversa, ciò che è illegittimo per il diritto internazionale è illegittimo anche per il diritto interno.

Al riguardo, quindi, l'interpretazione dell'articolo 11 della nostra Carta fondamentale non può offrire spazio ad una lettura autonoma e sganciata dai mutamenti che si registrano nel diritto internazionale, anche se è incontestabile che l'adesione del nostro Paese ad organismi sovranazionali, preordinati a ristabilire una condizione di giustizia pregiudicata da comportamenti irrispettosi dei diritti umani tenuti da Stati non democratici, non potrebbe, in alcun modo, comportare la disattivazione del precetto contenuto nella prima parte dell'articolo 11, che condanna, senza appello, qualunque azione bellica ispirata da interventi aggressivi, con un monito di indubbia valenza giuridica, oltre che morale, non suscettibile di revisione costituzionale.

Del resto, il ripudio della guerra rappresenta una peculiarità della stessa Carta delle Nazioni Unite, che, al pari del nostro Testo fondamentale, consente (all'articolo 51) solo interventi di autodifesa individuale e collettiva.

L'evoluzione degli indirizzi di strategia militare, assunti all'interno di organismi internazionali o di respiro regionale, non potrebbe pertanto giustificare la compressione "oltre misura", e in qualsiasi caso, del valore pacifista espressamente consacrato tra i Principi fondamentali della nostra Costituzione.

Non si può disconoscere, infatti, che l'articolo 11 della Costituzione contenga, in nuce, un programma unitario e coerente di politica estera finalizzato alla pace e che, sotto il profilo costituzionale, l'articolo 11 impegni l'Italia a contribuire alla costruzione di un ordine internazionale fondato sul diritto e non sulla forza!

Questo è un concetto più volte sottolineato dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nei suoi numerosi interventi a sostegno dell'azione dei nostri contingenti militari impegnati nelle missioni internazionali.

Del resto, l'Italia, per sua stessa vocazione, non può sottrarsi dal partecipare, insieme ai Paesi alleati, all'opera di necessaria salvaguardia della sicurezza internazionale: questa è una circostanza che troppo spesso tendiamo a dimenticare, giudicando aree remote quelle che, invece, sul piano geo-strategico, sono punti vitali degli attuali equilibri internazionali, che, in quanto tali, coinvolgono direttamente anche i nostri interessi fondamentali.

Per tali ragioni, è necessario che tutte le forze politiche e la società civile operino per mantenere alto l'appoggio alle nostre missioni anche in una fase in cui la scarsità di risorse finanziarie può aprire la strada a tentazioni di rinuncia.

La congiuntura economico-finanziaria ci impone, semmai, di definire al meglio i nostri obiettivi e le nostre priorità sullo scenario internazionale.

L'Italia, grazie all'eroico esempio dei suoi tanti militari caduti, sta offrendo un contributo fondamentale al processo di democratizzazione che è in atto in determinate zone del mondo ed è nel nome di questa profonda consapevolezza che, nel dare il benvenuto a tutti i graditi ospiti, formulo un fervido augurio di buon lavoro.