Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

22/01/2013

Cerimonia di consegna del “Premio Gino Giugni” - Montecitorio, Sala della Regina

Autorità, Signore e Signori!

La Camera dei deputati è particolarmente lieta di ospitare la cerimonia di assegnazione del Premio Gino Giugni promossa dall'Autorità di garanzia per gli scioperi e finalizzata a premiare la miglior tesi di laurea discussa, nell'anno accademico 2011-2012, in materia di "relazioni industriali e conflitto collettivo". Il Premio è stato conferito al dott. Vincenzo Cangemi.

Saluto il Presidente e tutti i Commissari dell'Autorità di garanzia per gli scioperi, i Ministri dell'Interno e del lavoro e delle politiche sociali, le altre autorità di governo, il giudice costituzionale in rappresentanza della Corte costituzionale e tutte le illustri personalità e gli ospiti che sono oggi qui convenuti.

Ringrazio, in particolare, il Senatore Tiziano Treu per aver aderito all'iniziativa in veste di Relatore.

Tracciare il profilo dell'insigne giuslavorista scomparso nel 2009 significa, per certi versi, ripercorrere alcuni decenni cruciali della storia più recente del nostro Paese.

Nato nel 1927, s'iscrisse, non ancora diciottenne, al Partito socialista italiano e, dopo aver compiuto gli studi di Giurisprudenza presso l'Università di Genova, si trasferì in America, nel Wisconsin, per studiare "da vicino" il modello sindacale di matrice anglosassone, che si sviluppava in un contesto sociologico ed organizzativo fortemente condizionato dalle politiche economiche di stampo keynesiano.

E' durante questo intenso periodo di studi, come ha scritto Umberto Romagnoli, che si è formata la personalità, non soltanto accademica, di Gino Giugni, quale "policy-maker", tutto dedito, cioè, ad "inventare dei progetti di ricerca e, naturalmente, a vederli realizzare".

Per Giugni è nell'ambito del rapporto tra individuo e società che deve essere declinata la dialettica tra datore di lavoro e lavoratori, da mitigare attraverso strumenti di regolazione idonei a favorire la negoziazione e la risoluzione dei conflitti tra le parti sociali.

Da questo punto di vista, il caposaldo dell'insegnamento innovativo di Giugni, che ne pervade tutta l'opera ed avrà un'influenza determinante nella stesura dello Statuto dei lavoratori del 1970, risiede nella ferma convinzione, maturata già verso la fine degli anni '50, che (cito testualmente) "le sole sanzioni giuridiche dei diritti dei lavoratori perdono di effettività, se non si rende possibile esercitarli in forme collettive all'interno delle aziende e se non si costituisce una reale democrazia fondata su un equilibrio di potere fra rappresentanze operaie e vertici dell'impresa".

Tale principio ispirò tutta l'azione riformatrice di Giugni, il cui merito è stato quello di non aver mai nascosto la vocazione al pluralismo giuridico, quale scelta metodologica capace di dar vita a riflessioni interdisciplinari lontane dalle rigide regole del diritto civile.

La tesi dell'insufficienza del concetto "statalista" del diritto, data l'esistenza di una pluralità di ordinamenti giuridici e, in concreto, di un ordinamento intersindacale, lo portò, di conseguenza, ad enfatizzare, nell'ambito delle relazioni industriali, la contrattazione, le reciproche concessioni, quali processi dinamici che creano equilibri tra interessi e poteri, senza i quali non si possono ottenere soluzioni favorevoli per entrambe le parti.

Da qui la convinzione che solo le buone relazioni industriali ed il consolidamento del potere collettivo dei lavoratori possono costituire un mezzo indispensabile per rafforzare la dignità e lo status dei lavoratori, senza per questo negare il conflitto, ma senza cadere nel massimalismo tipico del sindacato di classe che vedeva nella conflittualità permanente il centro nevralgico delle relazioni industriali.

La cultura della "mediazione" è, dunque, l'elemento cardine della sua teoria volta a difendere strenuamente il dialogo sociale, quale scelta eminentemente politica che riflette il legittimo pluralismo di interessi e che contribuisce in modo rilevante alla stabilità e al progresso del sistema istituzionale nel suo complesso.

Secondo Giugni, nelle democrazie moderne e in un'economia globalizzata, è imprescindibile il ricorso a forme di concertazione e mediazione che devono facilitare la governabilità attraverso l'individuazione di soluzioni concrete e soprattutto lungimiranti.

Questa attitudine all'apertura spiega come Giugni fosse anche un pioniere nel diritto comparato del lavoro, dal momento che sosteneva la tesi secondo cui nessuno Stato è completamente autonomo e che compito del giurista è quello di muoversi sempre di più in un contesto transnazionale per osservare le dinamiche riformatrici di altri paesi.

Fu così che, in Italia, all'inizio degli anni '80, in un momento particolarmente delicato per il diritto del lavoro, Giugni si impegnò, in prima persona, a favore di politiche di riforma in grado di raccogliere le sfide più ambiziose ed innovative.

Del resto, il rallentamento dei cicli di crescita dell'economia, con la conseguente crisi di liquidità dello Stato anche a causa della diminuzione delle entrate fiscali, e l'emergente pressione dei Paesi terzi, prima demografica e poi economica, fecero comprendere a Giugni la necessità di avviare la stagione della regolamentazione del lavoro "flessibile" per mantenere competitivo il sistema produttivo con il coinvolgimento responsabile delle organizzazioni sindacali.

Egli, pur dichiarando la propria difficoltà, come giuslavorista e come uomo politico "di sinistra", a mettere in discussione alcuni punti fermi che riguardavano la tutela del mercato del lavoro, propose, in veste di Presidente della Commissione nominata all'epoca dal Ministro del lavoro, un modello definito di "garantismo flessibile", che si concretizzò con la firma del cosiddetto "Protocollo Scotti" del 22 gennaio 1983, vale a dire un Patto tra Governo, sindacati e imprenditori per contenere il costo del lavoro, controllare l'inflazione e favorire l'occupazione.

E' innegabile che tali difficili e coraggiose scelte possano aver scatenato la follia terrorista delle "Brigate Rosse", che attentarono alla sua vita proprio nel 1983.

Questa nuova fase di concertazione con le parti sociali vide Giugni dapprima protagonista in Parlamento, dove presiedette la Commissione Lavoro del Senato dal 1983 al 1992, e poi, al Governo, dove, in veste di Ministro del lavoro, favorì l'Accordo del 23 luglio 1993, definito dallo stesso Giugni "la Carta costituzionale delle relazioni industriali", con cui si delineò un nuovo assetto della contrattazione collettiva nazionale e aziendale e furono introdotte rilevanti regole in materia di rappresentatività sindacale.

Temi, questi, che saranno successivamente sviluppati, seppure con elaborazioni differenti, da altri brillanti giuristi del lavoro come Massimo D'Antona e Marco Biagi, anche loro "tecnici" al servizio delle Istituzioni che caddero vittime dell'assurda furia omicida delle "Brigate Rosse".

Con Gino Giugni l'Italia ha perso un grande uomo di scienza, che si è impegnato, nell'intero corso della sua vita, per rafforzare il riformismo italiano, senza demordere di fronte alle resistenze, continuando a diffondere i suoi insegnamenti con coscienza e serietà.

Gli dobbiamo essere tutti grati. Gli devono essere grati soprattutto i lavoratori italiani, in nome e per conto dei quali ha avanzato proposte sempre ispirate al benessere collettivo e tutela della dignità delle persone e destinate, per questo, a rimanere nella storia del nostro Paese.