Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute >>

XVI LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Mercoledì 27 giugno 2012

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 27 giugno 2012.

  Albonetti, Barbi, Bergamini, Bindi, Brugger, Buonfiglio, Buttiglione, Caparini, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Commercio, Gianfranco Conte, Corsini, D'Alema, Dal Lago, De Girolamo, Della Vedova, Donadi, Dozzo, Dussin, Renato Farina, Fava, Franceschini, Galli, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guzzanti, Iannaccone, Jannone, La Malfa, Leone, Lombardo, Lucà, Lupi, Malgieri, Mazzocchi, Melchiorre, Migliavacca, Milanato, Misiti, Moffa, Mogherini Rebesani, Mosca, Mura, Mussolini, Nirenstein, Nucara, Leoluca Orlando, Pisicchio, Rigoni, Paolo Russo, Stefani, Stucchi, Valducci, Vitali, Volontè.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta)

  Alessandri, Antonione, Barbi, Bergamini, Bindi, Bongiorno, Boniver, Brugger, Buonfiglio, Buttiglione, Caparini, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Commercio, Gianfranco Conte, Corsini, D'Alema, Dal Lago, De Girolamo, Della Vedova, Donadi, Dozzo, Dussin, Renato Farina, Fava, Tommaso Foti, Franceschini, Galli, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guzzanti, Iannaccone, Jannone, La Malfa, Leone, Lombardo, Lucà, Lupi, Malgieri, Mazzocchi, Melchiorre, Migliavacca, Milanato, Misiti, Moffa, Mogherini Rebesani, Mosca, Mura, Mussolini, Nirenstein, Nucara, Leoluca Orlando, Palumbo, Pisicchio, Rigoni, Paolo Russo, Stefani, Stucchi, Valducci, Vitali, Volontè.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 26 giugno 2012 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   DI PIETRO: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull'ipotesi dello svolgimento di una trattativa tra la mafia ed esponenti delle istituzioni negli anni 1992 e 1993 e per accertare se membri delle istituzioni abbiano frapposto ostacoli alle indagini condotte a tale riguardo dalla magistratura» (5313);
   FLUVI e DE PASQUALE: «Disposizioni per la celebrazione del settimo centenario della nascita di Giovanni Boccaccio» (5314);
   LULLI: «Modifica all'articolo 31 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, concernente il piano territoriale degli orari di apertura degli esercizi commerciali e artigianali» (5315);
   NASTRI: «Disposizioni per la promozione dell'imprenditoria giovanile nel settore agricolo» (5316).

  Saranno stampate e distribuite.

Adesione di deputati ad una proposta di legge.

  La proposta di legge MORASSUT: «Modifica all'articolo 2449 del codice civile, concernente la scelta dei membri degli organi di amministrazione e di controllo nominati dallo Stato o dagli enti pubblici nelle società da essi partecipate» (4886) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Miotto e Touadi.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
  I Commissione (Affari costituzionali):
   MERONI ed altri: «Delega al Governo per l'istituzione delle città metropolitane, la razionalizzazione delle province e il riordino dell'amministrazione periferica dello Stato e degli enti strumentali» (5261) Parere delle Commissioni V, VI, XI e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
  II Commissione (Giustizia):
   PAOLO RUSSO ed altri: «Disposizioni sull'intrasmissibilità dell'immobile abusivo all'erede» (231) Parere delle Commissioni I, V, VI, VIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento) e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
   PAOLO RUSSO ed altri: «Modifiche al codice penale e altre disposizioni concernenti i delitti contro l'ambiente» (234) Parere delle Commissioni I e VIII.
  VII Commissione (Cultura):
   GHIZZONI ed altri: «Disciplina dell'accreditamento delle scuole di musica e disposizioni per la valorizzazione e l'integrazione delle medesime nel sistema nazionale di istruzione» (4934) Parere delle Commissioni I, V, XI, XII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
  XIII Commissione (Agricoltura):
   BECCALOSSI ed altri: «Delega al Governo per la riorganizzazione del sistema degli enti vigilati dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali mediante l'istituzione di un'unica Agenzia per il settore, nonché disposizioni in materia di accesso degli imprenditori agricoli ai servizi digitali delle pubbliche amministrazioni» (5238) Parere delle Commissioni I, V, VI, VII, IX, X, XI, XII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
  Commissioni riunite VII (Cultura) e XI (Lavoro):
   SIRAGUSA e PES: «Disposizioni per favorire la funzionalità e la continuità didattica delle scuole situate nei territori di montagna, nelle piccole isole e nei territori a bassa densità demografica» (5268) Parere delle Commissioni I, V e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Trasmissioni dal ministro dell'interno.

  Il ministro dell'interno, con lettere dell'8 e del 18 giugno 2012, ha trasmesso due note relative all'attuazione data all'ordine del giorno VANALLI ed altri n. 9/5049/2, accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 27 marzo 2012, concernente la nomina dei presidenti in carica quali commissari delle amministrazioni provinciali in scadenza, ed alla risoluzione conclusiva MARCHIONI ed altri n. 8/00175, accolta dal Governo ed approvata dalle Commissioni riunite VIII (Ambiente) e X (Attività produttive) nella seduta dell'8 maggio 2012, riguardante la sospensione dell'adozione del decreto approvato dal Comitato centrale tecnico-scientifico per la prevenzione incendi in data 28 febbraio 2012 e l'adeguamento delle disposizioni di prevenzione incendi nelle strutture alberghiere.

  Le suddette note sono a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare e sono trasmesse alle Commissioni I (Affari costituzionali), VIII (Ambiente) e X (Attività produttive) competenti per materia.

Trasmissione dal ministro per la coesione territoriale.

  Il ministro per la coesione territoriale, con lettera in data 14 giugno 2012, ha trasmesso il rapporto annuale 2011 sugli interventi nelle aree sottoutilizzate, previsto dall'articolo 10, comma 7, della legge 31 dicembre 2003, n. 196, predisposto dal Ministero dello sviluppo economico (doc. LVII, n. 5 – Allegato VI).

  Questo documento – che costituisce un allegato al Documento di economia e finanza 2012 – è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e a tutte le altre Commissioni permanenti, nonché alla Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Trasmissione dal ministro del lavoro e delle politiche sociali.

  Il ministro del lavoro e delle politiche sociali, con lettera in data 25 giugno 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 30, quinto comma, della legge 20 marzo 1975, n. 70, la relazione, con allegati i bilanci consuntivi per l'anno 2010, i bilanci di previsione per l'anno 2011 e le relative piante organiche, sull'attività svolta nell'anno 2011 dai seguenti enti:
   Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS);
   Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL);
   ex Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica (INPDAP);
   ex Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori dello spettacolo (ENPALS);

  Questa documentazione è trasmessa alla XI Commissione (Lavoro).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  Il dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 26 giugno 2012, ha trasmesso, ai sensi degli articoli 3 e 19 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.
  Tali atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
  Con la medesima comunicazione, il Governo ha altresì richiamato l'attenzione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1085/2006 del Consiglio che istituisce uno strumento di assistenza preadesione (IPA) (COM(2012)329 final), già trasmessa dalla Commissione europea e assegnata, in data 21 giugno 2012, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alla III Commissione (Affari esteri), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), nonché alla medesima XIV Commissione ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà.

  La Commissione europea, in data 26 giugno 2012, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Proposta modificata di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l’«EURODAC» per il confronto delle impronte digitali per l'efficace applicazione del regolamento (che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide) e per le richieste di confronto con i dati EURODAC presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto, e che modifica il regolamento (UE) n. 1077/2011 che istituisce un'agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi in IT su larga scala e nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (Rifusione) (COM(2012)254 final), che è assegnata in sede primaria alla I Commissione (Affari costituzionali);
   Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Una strategia europea per le tecnologie abilitanti – Un ponte verso la crescita e l'occupazione (COM(2012)341 final), che è assegnata in sede primaria alla X Commissione (Attività produttive).

Comunicazione di una nomina ministeriale.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 26 giugno 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 19, comma 9, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la comunicazione concernente il conferimento al dottor Mauro D'Amico, ai sensi dei commi 4 e 10 del medesimo articolo 19, dell'incarico di livello dirigenziale generale di consulenza, studio e ricerca presso il dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia e delle finanze.

  Tale comunicazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla V Commissione (Bilancio).

Richieste di parere parlamentare su atti del Governo.

  Il ministro per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 20 giugno 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e dell'articolo 3, comma 5 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente regolamento recante riforma degli ordinamenti professionali (488).

  Tale richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del regolamento, alla II Commissione (Giustizia), che dovrà esprimere il prescritto parere entro il 27 luglio 2012. È altresì assegnata, ai sensi del comma 2 dell'articolo 96-ter del regolamento, alla V Commissione (Bilancio), che dovrà esprimere i propri rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario entro il 12 luglio 2012.

  Il ministro del lavoro e delle politiche sociali, con lettera in data 21 giugno 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 11, comma 6, della legge 7 dicembre 2000, n. 383, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto ministeriale concernente regolamento recante la disciplina delle modalità di elezione dei membri dell'Osservatorio nazionale dell'associazionismo da parte delle associazioni di promozione sociale iscritte nei registri nazionale e regionali (489).

  Tale richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del regolamento, alla XII Commissione (Affari sociali), che dovrà esprimere il prescritto parere entro il 17 luglio 2012. È altresì assegnata, ai sensi del comma 2 dell'articolo 96-ter del regolamento, alla V Commissione (Bilancio), che dovrà esprimere i propri rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario entro il 7 luglio 2012.

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

DISEGNO DI LEGGE: S. 3249 – DISPOSIZIONI IN MATERIA DI RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO IN UNA PROSPETTIVA DI CRESCITA (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 5256)

A.C. 5256 – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

   La Camera,
   premesso che:
    l'attuale formulazione del comma 31 dell'articolo 3 prevede un'eccessiva rigidità nella durata massima della prestazione ordinaria «obbligatoria» erogabile dai Fondi di solidarietà di settore nei casi di riduzione dell'orario o sospensione dell'attività conseguenti a processi di riorganizzazione/ristrutturazione o a situazioni di crisi;
    tale rigidità, peraltro non prevista nei regolamenti dei Fondi di solidarietà attualmente esistenti, limita notevolmente la possibilità di ricorrere alla prestazione «ordinaria» che, al contrario, potrebbe essere utilizzata per gestire efficacemente i processi di ristrutturazione anche mediante una riduzione dell'orario dei c.d. lavoratori anziani ed un loro graduale ritiro dal lavoro,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di fissare in un terzo delle ore complessivamente lavorabili da computare in un biennio mobile la durata massima della prestazione indicata nel comma 31 dell'articolo 3.
9/5256/1Nizzi.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1, commi da 2 a 6, istituisce un sistema permanente di monitoraggio e valutazione della riforma, basato su dati forniti dall'Istituto nazionale di statistica (Istat) e da altri soggetti del Sistema statistico nazionale (Sistan), volto a verificare lo stato di attuazione degli interventi e a valutarne gli effetti sull'efficienza del mercato del lavoro, sull'occupabilità dei cittadini e sulle modalità di entrata e di uscita nell'impiego;
    al sistema di monitoraggio e valutazione, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali in collaborazione con le altre istituzioni competenti, concorrono le parti sociali (attraverso le organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale dei lavoratori e dei datori di lavoro), nonché l'INPS e l'ISTAT, chiamati ad organizzare banche dati informatizzate anonime (contenente i dati individuali anonimi, relativi ad età, genere, area di residenza, periodi di fruizione degli ammortizzatori sociali con relativa durata ed importi corrisposti, periodi lavorativi e retribuzione spettante, stato di disoccupazione, politiche attive e di attivazione ricevute), aperte ad enti di ricerca e università;
    il sistema permanente di monitoraggio e valutazione è chiamato a produrre rapporti annuali sullo stato di attuazione delle singole misure, da cui potranno essere desunti elementi per successivi interventi di implementazione o correzione delle norme introdotte;
    il Parlamento non è in alcun modo coinvolto nel sistema di monitoraggio e valutazione, né, in particolare, è prevista la trasmissione al Parlamento dei sopra richiamati rapporti annuali sullo stato di attuazione delle singole misure;
   l'articolo 17 del decreto legislativo n. 276 del 2003 (c.d. legge Biagi) già prevedeva un sistema di monitoraggio statistico e valutazione delle politiche del lavoro, che doveva fare capo ad una Commissione di esperti, da costituire presso il Ministero del lavoro, composta da rappresentanti delle regioni e delle province, degli Enti previdenziali, dell'ISTAT, dell'ISFOL e dei Ministeri dell'economia e delle finanze e del lavoro e delle politiche sociali; il sistema di monitoraggio prevedeva l'obbligo di predisporre un Rapporto annuale al Parlamento, volto a fornire una rendicontazione dettagliata e complessiva delle politiche del lavoro alla luce della riforma, sulla base di schemi statistico-contabili oggettivi e internazionalmente comparabili, in grado di fornire elementi conoscitivi di supporto alla valutazione delle politiche che il Ministero del lavoro, le regioni e le province avessero inteso portare avanti;
   il sistema di monitoraggio statistico e valutazione delle politiche del lavoro previsto dall'articolo 17 del citato decreto legislativo n. 276 del 2003 è rimasto del tutto inattuato e nessun Rapporto annuale è mai stato presentato al Parlamento,

impegna il Governo

ad evitare il ripetersi di quanto avvenuto a seguito dell'adozione della precedente legge di riforma del mercato del lavoro (c.d. legge Biagi), adoperandosi immediatamente per l'implementazione del sistema di monitoraggio e individuando il Parlamento come referente istituzionale permanente dell'attività svolta in tale ambito.
9/5256/2Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco, Zamparutti.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1, commi da 2 a 6, istituisce un sistema permanente di monitoraggio e valutazione della riforma, basato su dati forniti dall'Istituto nazionale di statistica (Istat) e da altri soggetti del Sistema statistico nazionale (Sistan), volto a verificare lo stato di attuazione degli interventi e a valutarne gli effetti sull'efficienza del mercato del lavoro, sull'occupabilità dei cittadini e sulle modalità di entrata e di uscita nell'impiego;
    al sistema di monitoraggio e valutazione, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali in collaborazione con le altre istituzioni competenti, concorrono le parti sociali (attraverso le organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale dei lavoratori e dei datori di lavoro), nonché l'INPS e l'ISTAT, chiamati ad organizzare banche dati informatizzate anonime (contenente i dati individuali anonimi, relativi ad età, genere, area di residenza, periodi di fruizione degli ammortizzatori sociali con relativa durata ed importi corrisposti, periodi lavorativi e retribuzione spettante, stato di disoccupazione, politiche attive e di attivazione ricevute), aperte ad enti di ricerca e università;
    il sistema permanente di monitoraggio e valutazione è chiamato a produrre rapporti annuali sullo stato di attuazione delle singole misure, da cui potranno essere desunti elementi per successivi interventi di implementazione o correzione delle norme introdotte;
    il Parlamento non è in alcun modo coinvolto nel sistema di monitoraggio e valutazione, né, in particolare, è prevista la trasmissione al Parlamento dei sopra richiamati rapporti annuali sullo stato di attuazione delle singole misure;
   l'articolo 17 del decreto legislativo n. 276 del 2003 (c.d. legge Biagi) già prevedeva un sistema di monitoraggio statistico e valutazione delle politiche del lavoro, che doveva fare capo ad una Commissione di esperti, da costituire presso il Ministero del lavoro, composta da rappresentanti delle regioni e delle province, degli Enti previdenziali, dell'ISTAT, dell'ISFOL e dei Ministeri dell'economia e delle finanze e del lavoro e delle politiche sociali; il sistema di monitoraggio prevedeva l'obbligo di predisporre un Rapporto annuale al Parlamento, volto a fornire una rendicontazione dettagliata e complessiva delle politiche del lavoro alla luce della riforma, sulla base di schemi statistico-contabili oggettivi e internazionalmente comparabili, in grado di fornire elementi conoscitivi di supporto alla valutazione delle politiche che il Ministero del lavoro, le regioni e le province avessero inteso portare avanti;
   il sistema di monitoraggio statistico e valutazione delle politiche del lavoro previsto dall'articolo 17 del citato decreto legislativo n. 276 del 2003 è rimasto del tutto inattuato e nessun Rapporto annuale è mai stato presentato al Parlamento,

impegna il Governo

ad adoperarsi sollecitamente per l'implementazione del sistema di monitoraggio e individuando il Parlamento come referente istituzionale permanente dell'attività svolta in tale ambito.
9/5256/2. (Testo modificato nel corso della seduta) Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco, Zamparutti.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento reca solo un timido intervento in favore dei lavoratori dello spettacolo;
    la parte del provvedimento relativa agli ammortizzatori sociali non prevede adeguate tutele nei confronti dei lavoratori atipici, tra i quali quelli dello spettacolo, e per tale categoria di lavoratori il carattere discontinuo delle prestazioni lavorative rappresenta una dimensione continua e naturale che richiederebbe interventi diversi da quelli contemplati nel provvedimento,

impegna il Governo

a prevedere, anche con un successivo atto di carattere normativo, l'esclusione dalla disciplina della proroga dei contratti e della scadenza del termine, oltre che delle relative sanzioni amministrative, dei rapporti di lavoro tra i datori di lavoro del settore dello spettacolo e i lavoratori appartenenti alle categorie professionali stabilite dall'articolo 3 del decreto legislativo Capo provvisorio dello Stato 16 luglio 1947, n. 708.
9/5256/3Ceccacci Rubino, Bellanova.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento reca solo un timido intervento in favore dei lavoratori dello spettacolo;
    la parte del provvedimento relativa agli ammortizzatori sociali non prevede adeguate tutele nei confronti dei lavoratori atipici, tra i quali quelli dello spettacolo, e per tale categoria di lavoratori il carattere discontinuo delle prestazioni lavorative rappresenta una dimensione continua e naturale che richiederebbe interventi diversi da quelli contemplati nel provvedimento,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere, anche con un successivo atto di carattere normativo, e all'esito del monitoraggio di cui all'articolo 1, comma 2, l'esclusione dalla disciplina della proroga dei contratti e della scadenza del termine, oltre che delle relative sanzioni amministrative, dei rapporti di lavoro tra i datori di lavoro del settore dello spettacolo e i lavoratori appartenenti alle categorie professionali stabilite dall'articolo 3 del decreto legislativo Capo provvisorio dello Stato 16 luglio 1947, n. 708.
9/5256/3. (Testo modificato nel corso della seduta) Ceccacci Rubino, Bellanova.


   La Camera,
   premesso che:
    23 milioni di persone sono attualmente disoccupate nell'UE – si tratta del 10 per cento della popolazione attiva – con serie conseguenze per la crescita e per i sistemi di welfare in Europa;
    per affrontare queste sfide e fare aumentare il tasso di occupazione nell'UE al fine di raggiungere l'obiettivo del 75 per cento di uomini e donne occupati entro il 2020 la Commissione europea ha avviato una delle sette iniziative faro «Un'agenda per nuove competenze e per l'occupazione». Essa delinea 13 interventi chiave volti a riformare i mercati del lavoro, migliorare le competenze e renderle consone alla domanda del mercato al fine di accrescere l'occupabilità e rendere più agevole il passaggio da un posto di lavoro all'altro, migliorare le condizioni lavorative e la qualità del lavoro e creare nuovi posti di lavoro;
    recentemente l'Ocse ha dichiarato che in Italia la disoccupazione giovanile ha raggiunto il suo picco nel marzo 2012, al 35,9 per cento, pari a 534 mila senza lavoro tra i 15 e i 24 anni;
    nell'insieme dell'eurozona, sempre secondo i dati diffusi dall'Ocse, il tasso di disoccupazione giovanile per marzo 2012 è stato del 22,1 per cento, pari a 3,345 milioni di giovani senza lavoro. Nell'Unione europea a 27, è stato del 22,6 per cento, pari a oltre 5 milioni e mezzo di giovani disoccupati. In entrambi i casi si tratta del dato più elevato dall'inizio della crisi, quattro anni fa;
    le flessioni dell'economia hanno in linea di massima un notevole impatto negativo sui giovani e gli effetti rischiano di essere a lungo termine. L'obiettivo centrale deve essere quello di investire maggiormente e meglio nella formazione dei giovani al fine di dotarli delle competenze adatte a soddisfare la domanda del mercato del lavoro;
    bisogna tener presente la situazione specifica dei giovani nell'elaborazione delle strategie di flessicurezza e definire, altresì, misure a breve termine nei piani di rilancio per promuovere l'integrazione dei giovani nel mercato del lavoro, nonché misure strutturali che tengano conto dei giovani;
    una maggior trasparenza delle qualifiche dovrebbe essere una delle componenti principali necessarie per adeguare i sistemi di istruzione e formazione europei alle esigenze della società della conoscenza;
    investire nei giovani è fondamentale per il futuro del Paese, è importante garantire loro un'occupazione adeguata e di alta qualità,

impegna il Governo

a presentare al Parlamento, previa concertazione con le parti sociali, un piano nazionale per il sostegno del lavoro e della formazione giovanile, che abbia tra i suoi punti prioritari il conseguimento di una qualifica professionale da parte dei giovani che abbandonano la scuola; la promozione e il miglioramento dell'accesso e della partecipazione all'apprendimento permanente per tutti, compresi i gruppi più deboli e i figli dei migranti; l'ammodernamento dei sistemi dell'istruzione e della formazione, per far sì che siano più collegati alla formazione e all'occupazione e gettino un ponte fra l'apprendimento formale e quelli non formale e informale, conducendo anche al riconoscimento dell'esperienza lavorativa maturata.
9/5256/4Di Stanislao, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    23 milioni di persone sono attualmente disoccupate nell'UE – si tratta del 10 per cento della popolazione attiva – con serie conseguenze per la crescita e per i sistemi di welfare in Europa;
    per affrontare queste sfide e fare aumentare il tasso di occupazione nell'UE al fine di raggiungere l'obiettivo del 75 per cento di uomini e donne occupati entro il 2020 la Commissione europea ha avviato una delle sette iniziative faro «Un'agenda per nuove competenze e per l'occupazione». Essa delinea 13 interventi chiave volti a riformare i mercati del lavoro, migliorare le competenze e renderle consone alla domanda del mercato al fine di accrescere l'occupabilità e rendere più agevole il passaggio da un posto di lavoro all'altro, migliorare le condizioni lavorative e la qualità del lavoro e creare nuovi posti di lavoro;
    recentemente l'Ocse ha dichiarato che in Italia la disoccupazione giovanile ha raggiunto il suo picco nel marzo 2012, al 35,9 per cento, pari a 534 mila senza lavoro tra i 15 e i 24 anni;
    nell'insieme dell'eurozona, sempre secondo i dati diffusi dall'Ocse, il tasso di disoccupazione giovanile per marzo 2012 è stato del 22,1 per cento, pari a 3,345 milioni di giovani senza lavoro. Nell'Unione europea a 27, è stato del 22,6 per cento, pari a oltre 5 milioni e mezzo di giovani disoccupati. In entrambi i casi si tratta del dato più elevato dall'inizio della crisi, quattro anni fa;
    le flessioni dell'economia hanno in linea di massima un notevole impatto negativo sui giovani e gli effetti rischiano di essere a lungo termine. L'obiettivo centrale deve essere quello di investire maggiormente e meglio nella formazione dei giovani al fine di dotarli delle competenze adatte a soddisfare la domanda del mercato del lavoro;
    bisogna tener presente la situazione specifica dei giovani nell'elaborazione delle strategie di flessicurezza e definire, altresì, misure a breve termine nei piani di rilancio per promuovere l'integrazione dei giovani nel mercato del lavoro, nonché misure strutturali che tengano conto dei giovani;
    una maggior trasparenza delle qualifiche dovrebbe essere una delle componenti principali necessarie per adeguare i sistemi di istruzione e formazione europei alle esigenze della società della conoscenza;
    investire nei giovani è fondamentale per il futuro del Paese, è importante garantire loro un'occupazione adeguata e di alta qualità,

impegna il Governo

a presentare al Parlamento, previo confronto con le parti sociali, un piano nazionale per il sostegno del lavoro e della formazione giovanile, che abbia tra i suoi punti prioritari il conseguimento di una qualifica professionale da parte dei giovani che abbandonano la scuola; la promozione e il miglioramento dell'accesso e della partecipazione all'apprendimento permanente per tutti, compresi i gruppi più deboli e i figli dei migranti; l'ammodernamento dei sistemi dell'istruzione e della formazione, per far sì che siano più collegati alla formazione e all'occupazione e gettino un ponte fra l'apprendimento formale e quelli non formale e informale, conducendo anche al riconoscimento dell'esperienza lavorativa maturata.
9/5256/4. (Testo modificato nel corso della seduta) Di Stanislao, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 24, comma 14, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, stabilisce che le disposizioni in materia di accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore del decreto-legge medesimo si applicano, tra le altre categorie elencate, in particolare alla lettera d), ai lavoratori che, antecedentemente alla data del 4 dicembre 2011, siano stati autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione;
    il decreto interministeriale attuativo dell'articolo 24, commi 14 e 15, del citato decreto-legge n. 201 del 2011, sottoscritto dal Ministro del lavoro e delle politiche sociale, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze lo scorso 1o giugno 2012, che non è ancora stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale poiché attualmente all'attenzione della Corte dei conti, individua la ripartizione dei soggetti interessati ai fini della concessione dei benefici di cui al medesimo comma 14 e ai sensi del comma 15, nel limite delle risorse complessivamente previste;
    l'articolo 2, lettera d), del suddetto decreto specifica che i lavoratori in oggetto non devono comunque aver ripreso l'attività lavorativa successivamente all'autorizzazione alla prosecuzione volontaria della contribuzione e devono avere almeno un contributo volontario accreditato o accreditabile alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 201 del 2011;
    si ritiene che un qualsiasi impedimento al lavoro dopo l'autorizzazione alla prosecuzione volontaria della contribuzione possa indurre, per esigenza, gli interessati all'odiosa pratica del lavoro in nero,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere con apposite modifiche una deroga all'applicazione delle citate disposizioni in materia previdenziale al fine di rendere trasparenti tutte le volontà di occupazione.
9/5256/5Proietti Cosimi, Muro, Di Biagio.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame introduce «misure e interventi intesi a realizzare un mercato del lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire alla creazione di occupazione, in quantità e qualità, alla crescita sociale ed economica e alla riduzione permanente del tasso di disoccupazione»;
    tra le misure suindicate vi è anche quella volta a favorire « nuove opportunità di impiego ovvero di tutela del reddito per i lavoratori ultracinquantenni in caso di perdita del posto di lavoro»;
    nello specifico il suindicato disegno di legge prevede, all'articolo 4, incentivi all'occupazione consistenti nella riduzione, nella misura del 50 per cento, dei contributi di previdenza ed assistenza sociale a carico del datore di lavoro per la durata di 12 mesi a favore dei lavoratori di età non inferiore a cinquanta anni, disoccupati da oltre dodici mesi;
    sebbene il ricorso alle «misure incentivanti» si configuri come l'intervento più immediato sul versante della tutela dei lavoratori citati, cumulandosi con altre formule incentivanti riconosciute dallo stesso provvedimento ad altre categorie di lavoratori (donne, giovani ecc.), si arriverebbe al paradosso dello svilimento dell'effetto stimolante dell'incentivo perché previsto su troppe fattispecie;
    le difficoltà di inserimento dei lavoratori della suddetta categoria, che si configura come particolarmente variegata e composta da profili di varia formazione e di trascorso professionale, va ricercata oltre che nelle criticità attualmente sussistenti in capo alle aziende italiane di certo non facilitate dalla congiuntura economica complessa, anche nella sussistenza di stereotipi legati all'età che di fatto ostruiscono l'accesso e sviliscono ogni possibilità di un pieno ed operativo coinvolgimento degli stessi;
    il mancato reinserimento occupazionale della citata categoria sul breve, medio e lungo periodo determina dei riverberi di tipo economico, sociale e assistenziale complessi e a tratti drammatici condizionando le dinamiche del nucleo familiare, in considerazione del fatto che tali «ex lavoratori» rappresentano talvolta l'unica fonte di sostentamento dell'intera famiglia,

impegna il Governo

a predisporre adeguate iniziative volte a facilitare l'inserimento dei disoccupati ultraquarantenni nel mercato del lavoro, anche superando le politiche basate sul riconoscimento sul breve periodo di specifici incentivi.
9/5256/6Di Biagio, Muro.


   La Camera,
   premesso che:
    con l'entrata in vigore della riforma previdenziale introdotta dal decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, sono emerse insostenibili criticità in capo ai lavoratori licenziati negli ultimi anni da piccole aziende, e che avrebbero maturato i requisiti di accesso alla pensione nei prossimi mesi;
    la suindicata categoria di lavoratori, anche se iscritti alle liste di mobilità, non ricevono alcun tipo di indennizzo e attendevano il riconoscimento della pensione – ai sensi della normativa previgente – per poter avere un minimo di sostentamento economico;
    si tratta di un'intera generazione di lavoratori, per lo più precoci, che non rientra nelle deroghe riconosciute dalla riforma citata;
    la suddetta categoria di lavoratori si ritrova a dover attendere diversi anni per accedere alla pensione non potendo nel contempo svolgere alcun tipo di lavoro, in quanto lavoratori licenziati e non più integrati nel mondo del lavoro in virtù dell'età certamente poco competitiva;
    la sussistenza della suddetta categoria alimenta un dramma sociale che coinvolge migliaia di persone con un'età matura, nei confronti delle quali non è stata introdotta alcuna tutela o salvaguardia, essendo una categoria non rientrante nelle deroghe di cui in premessa,

impegna il Governo

a predisporre adeguate misure volte a tutelare i lavoratori disoccupati, anche non iscritti alle liste di mobilità ai sensi dell'articolo 4, comma 1, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, licenziati individuali da piccole realtà – imprese che occupano anche meno di quindici dipendenti – antecedentemente alla data del 4 dicembre 2011, e che hanno maturato o matureranno i requisiti pensionistici previgenti entro il 31 dicembre 2013.
9/5256/7Lamorte, Muro, Di Biagio.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame valorizza e semplifica la disciplina vigente in materia di contratto di apprendistato, qualificandolo come percorso preferenziale per i giovani di accesso al mercato del lavoro;
    nello specifico l'apprendistato viene definito come un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e all'occupazione dei giovani, configurato in tre diverse tipologie: apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale; apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere e apprendistato di alta formazione e ricerca;
    l'apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale è rivolto ai lavoratori di età compresa tra 15 e 25 anni, mentre l'apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere e apprendistato di alta formazione e ricerca è rivolto ai lavoratori di età compresa tra i 18 e i 29 anni;
    segnatamente per le formule contrattuali di apprendistato professionalizzante e di alta formazione, il vincolo anagrafico sancito dalle disposizioni in esame rischia di non tenere conto della realtà che attualmente condiziona i giovani lavoratori che spesso, con un'età superiore ai 30 anni, si ritrovano ancora esclusi dal mondo del lavoro;
    molti sono i giovani con un'età compresa tra i 30 e i 35 che dopo aver conseguito una laurea specialistica ed un master spesso accompagnato da uno stage, non rientrano nei limiti anagrafici della suindicata fattispecie contrattuale e dunque risultano poco «appetibili» alle imprese che preferiscono coinvolgere lavoratori più giovani;
    il contratto di apprendistato, sebbene si configuri come una formula privilegiata di accesso al mercato del lavoro, rischia di ampliare la faglia tra lavoratori giovani, limitando le possibilità di accesso dei giovani con un'età superiore ai 29 anni,

impegna il Governo

a rivedere la disciplina in materia di contratto di apprendistato al fine estendere l'applicazione di siffatta formula contrattuale ai giovani fino a 35 anni.
9/5256/8Giorgio Conte, Muro, Di Biagio.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca una serie di disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali, in una prospettiva sostanzialmente di crescita;
    il comma 14 dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, in particolare, ha previsto che le disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore del citato decreto continuano ad applicarsi ad alcune categorie di soggetti: in particolare, nei limiti delle risorse stabilite ai sensi del comma 15 e ancorché maturino i requisiti per l'accesso al pensionamento successivamente al 31 dicembre 2011, « ai lavoratori collocati in mobilità ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni, sulla base di accordi sindacali stipulati anteriormente al 4 dicembre 2011 e che maturano i requisiti per il pensionamento entro il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità di cui all'articolo 7, commi 1 e 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223»;
    alla luce di tale disposizione, quindi, sono stati, di fatto, esclusi dalle previste deroghe in materia di applicazione della riforma pensionistica quei lavoratori – appartenenti alla categoria della mobilità ordinaria – che non maturano i requisiti di accesso al pensionamento durante il periodo di mobilità, (in alcuni casi per pochi mesi) pur avendo accettato nella prospettiva di poter accedere alla pensione dopo un breve periodo di attesa a fine mobilità, ai sensi della normativa previgente;
    al di là delle note polemiche demagogiche che hanno avuto origine dalla diffusione di stime numeriche diversamente interpretate, è importante ribadire che il problema generale riveste un'importanza sociale e politica fondamentale;
    a prescindere dalle mere compatibilità finanziarie, è doveroso mettere in campo tutte le iniziative utili a garantire che la riforma pensionistica varata sia, nel tempo, «equa» e «sostenibile», ad assicurare una maggiore ed effettiva «certezza» del diritto nonché a rimuovere le non poche disparità di trattamento che di fatto potrebbero generarsi;
    a tal fine, è necessario superare il vincolo della maturazione del «diritto» alla pensione entro il periodo di mobilità e mantenere, piuttosto, la vigenza del contenuto degli accordi stipulati, soprattutto per non trascurare quei lavoratori che, non direttamente interessati dalle attuali misure di salvaguardia, meritano, tuttavia, una particolare attenzione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare le opportune ed adeguate misure, anche di carattere normativo, volte ad estendere la deroga di cui al comma 14, lettera a), dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, anche a quella platea di soggetti che, collocati in mobilità sulla base di accordi sindacali stipulati anteriormente al 4 dicembre 2011, maturano i requisiti per il pensionamento non durante il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità.
9/5256/9Patarino, Muro, Di Biagio.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 24, comma 14, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, stabilisce che le disposizioni in materia di accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore del decreto-legge medesimo si applicano, tra le altre categorie elencate, in particolare alla lettera c), ai lavoratori che, alla data del 4 dicembre 2011, sono titolari di prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà di settore di cui all'articolo 2, comma 28, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nonché ai lavoratori per i quali sia stato previsto da accordi collettivi stipulati entro la medesima data il diritto di accesso a predetti fondi di solidarietà;
    secondo la normativa citata, nel secondo caso evidenziato gli interessati resterebbero a carico dei fondi stessi fino al compimento di almeno 60 anni di età;
    il decreto interministeriale attuativo dell'articolo 24, commi 14 e 15, del decreto-legge n. 201 del 2011, sottoscritto dal Ministro del lavoro e delle politiche sociale, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze lo scorso 1o giugno 2012, che non è ancora stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale poiché attualmente all'attenzione della Corte dei conti, individua la ripartizione dei soggetti interessati ai fini della concessione dei benefici di cui al medesimo comma 14 e ai sensi del comma 15, nel limite delle risorse complessivamente previste;
    l'articolo 2, lettera c), del suddetto decreto stabilisce le condizioni e i requisiti per i lavoratori a carico dei Fondi di solidarietà di settore in particolare rispetto alla titolarità della prestazione da data successiva al 4 dicembre 2011 se l'accesso alla stessa risulta autorizzato dall'Istituto nazionale della previdenza sociale, e fermo restando che gli interessati restano a carico dei Fondi fino al compimento di 62 anni d'età;
    con il decreto attuativo, quindi, il limite di «almeno 60 anni di età» della normativa vigente è fissato invece a «62 anni d'età»;
    gli accordi sottoscritti con i datori interessati sui Fondi di solidarietà di settore dalle associazioni sindacali di categoria, in particolare bancarie, assicurative e ferroviarie, hanno stabilito un ammontare di versamenti utili a garantire una copertura rispettiva di 40, 48 o 60 mesi;
    il combinato disposto tra la normativa del Governo e gli accordi descritti può portare decine di migliaia di lavoratori, specificamente di genere femminile, ad affrontare più anni di vita senza la copertura economica dei Fondi o indurre i datori di lavoro a proporre un reintegro successivo ad un primo periodo di accompagnamento alla pensione, in posizioni accessorie, per far fronte al deficit normativo,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere con apposite modifiche una deroga all'applicazione delle citate disposizioni in materia previdenziale per quei lavoratori a rischio, tutelandone la condizione, eventualmente fissando a 60 anni d'età il limite di permanenza degli interessati a carico dei Fondi di solidarietà, salvaguardando inoltre gli accordi raggiunti con le parti sociali.
9/5256/10Scanderebech, Muro, Di Biagio.


   La Camera,
   premesso che:
    nel quadro, assai complesso, della pesante crisi economico-produttiva che investe le imprese italiane, alcuni degli aspetti più preoccupanti riguardano indubbiamente la massiva delocalizzazione delle produzioni e la chiusura di piccole e medie imprese, con la conseguente perdita di posti di lavoro consolidati e mancata disponibilità di nuovi posti di lavoro per le generazioni più giovani;
    il tasso di disoccupazione in crescita colpisce maggiormente i giovani, le donne e gli over 50 prematuramente estromessi dal mercato del lavoro, il problema degli esodati è quanto mai un'urgenza nazionale non ancora risolta, e tale situazione grava in modo sempre più pesante sulle famiglie e sulla capacità di consumo e di risparmio dell'intero paese: le stime per il prossimo anno parlano drammaticamente di una ulteriore riduzione degli occupati che può variare da 250.000 fino alla cifra di 500.000 unità;
    è ormai divenuto improcrastinabile l'assumere strumenti nuovi ed idonei a mantenere ed agevolare il sistema industriale nazionale affinché possa sopravvivere all'attuale crisi in condizioni tali da potere intercettare la ripresa;
    si ritiene di dover intervenire sullo schema classico del meccanismo del leveraged buy out, ampliandone le opportunità di utilizzo per le grandi società e introducendo tale possibilità anche a sostegno di quelle piccole e medie imprese non quotate, che – pur avendo spazi economici di mercato – versano in stato di crisi temporanea, o che per volontà dei titolari si avviano alla cessazione di attività, o che per insufficiente capacità gestionale si avviano alle procedure concorsuali, allo scopo di garantire, nel vasto ambito di motivazioni economiche ed individuali che danno origine alla scelta di chiudere un'azienda, la maggior salvaguardia e continuità ai lavoratori interessati, specialmente quando la capacità delle maestranze risulta componente indispensabile del processo produttivo;
    la tecnica finanziaria del leverage buy out si sviluppa negli anni ’70 come strumento di ristrutturazione aziendale, mirante al conseguimento di maggiori livelli di competitività e di rendimento economico e allo snellimento di strutture patrimoniali inefficienti: si tratta di una complessa serie di operazioni finanziarie preordinate all'acquisto di una società, ricorrendo alla capacità di indebitamento della stessa;
    la finalità dell'operazione che si ritiene di proporre diventa quella di favorire la partecipazione ed il coinvolgimento dei dipendenti alla gestione dell'azienda presso cui prestano la loro opera, ovvero «acquisizioni societarie da parte di quel settore qualificato di lavoratori subordinati»: in questo caso pur trattandosi di un'acquisizione garantita da elementi patrimoniali della società acquisita, la meritevolezza dell'attività sarebbe da ricollegare alla possibilità di sviluppo economico dell'impresa stante le conoscenze gestionali e le spinte motivazionali degli acquirenti;
    questa forma chiamata employee buy out prevede quindi che sia un gruppo di dipendenti della società Target a proporsi in qualità di compratori, costituendo la Newco. L'apporto di capitali propri da parte di Newco è ridotto, in quanto si utilizzano fondi reperiti da finanziatori esterni. I finanziatori principali (senior lenders) sono di norma rappresentati da banche e società finanziarie, e quanto si vuole introdurre con il presente ordine del giorno è il sostituire, in tutto o in parte, ai classici finanziatori le organizzazioni di categoria comprese quelle sindacali, e altre strutture pubbliche o private compatibili con le normative comunitarie, in prima persona o in funzione di garanti presso gli istituti di credito e finanziamento, entrando in gioco direttamente a fianco dei lavoratori nel risanamento aziendale;
    la finalità è quindi di consentire agevolmente l'acquisizione finanziariamente possibile di una determinata società o azienda, attraverso la partecipazione totalitaria o di controllo, mediante il ricorso al capitale di prestito, da parte dei dipendenti o collaboratori, o dirigenti della stessa impresa, al fine di una migliore riorganizzazione dell'assetto azionario o societario, come si evince anche dalla proposta di legge n. 4963, depositata dai firmatari del presente ordine del giorno,

impegna il Governo

   a valutare l'opportunità di emanare specifica normativa di attuazione, anche mediante decreto, allo scopo di costituire apposito Fondo alimentato da una quota del gettito risultante dal recupero dell'evasione fiscale o/e dal sequestro dei fondi delle organizzazioni malavitose, destinato a costituire garanzie ed agevolazioni per le operazioni di acquisizioni societarie, come definite in premessa, da parte dei lavoratori, a condizione che prevedano al momento di nuove assunzioni quote riservate ai giovani, alle donne ed agli esodati;
   a valutare l'opportunità di favorire istituto di concertazione con le organizzazioni di categoria e sindacali, volto al sostegno delle iniziative di cui in premessa, idonee al mantenimento in attività delle strutture industriali su iniziativa delle maestranze e predisporre le basi normative per la partecipazione delle stesse alle operazioni in oggetto.
9/5256/11Galli, Lehner.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 4 del disegno di legge in esame prevede ulteriori disposizioni in materia di mercato del lavoro;
    in particolare, il comma 33 del citato articolo apporta, al decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, le seguenti modificazioni:
     «a) all'articolo 3, dopo il comma 1 sono aggiunti i seguenti:
   «1-bis. Nei confronti dei beneficiari di ammortizzatori sociali per i quali lo stato di disoccupazione costituisca requisito, gli obiettivi e gli indirizzi operativi di cui al comma 1 devono prevedere almeno l'offerta delle seguenti azioni:
    a) colloquio di orientamento entro i tre mesi dall'inizio dello stato di disoccupazione;
    b) azioni di orientamento collettive fra i tre e i sei mesi dall'inizio dello stato di disoccupazione, con formazione sulle modalità più efficaci di ricerca di occupazione adeguate al contesto produttivo territoriale;
    c) formazione della durata complessiva non inferiore a due settimane tra i sei e i dodici mesi dall'inizio dello stato di disoccupazione, adeguata alle competenze professionali del disoccupato e alla domanda di lavoro dell'area territoriale di residenza;
    d) proposta di adesione ad iniziative di inserimento lavorativo entro la scadenza del periodo di percezione del trattamento di sostegno del reddito.
   1-ter. Nei confronti dei beneficiari di trattamento di integrazione salariale o di altre prestazioni in costanza di rapporto di lavoro, che comportino la sospensione dall'attività lavorativa per un periodo superiore ai sei mesi, gli obiettivi e gli indirizzi operativi di cui al comma 1 devono prevedere almeno l'offerta di formazione professionale della durata complessiva non inferiore a due settimane adeguata alle competenze professionali del disoccupato»;
    la pesante crisi economica ha provocato la chiusura di molte imprese, in particolare piccole e medie, e ha ampliato la platea dei disoccupati della quale purtroppo sono entrati a fare parte tantissimi ultra quarantenni che trovano difficoltà immense nel ricollocarsi nel mercato del lavoro;
    sarebbe necessario consentire ai disoccupati di età superiore ai 40 anni, entro i tre mesi successivi allo stato di disoccupazione, oltre all'erogazione del trattamento di sostegno al reddito o all'erogazione di ammortizzatori sociali, la possibilità di avere un canale preferenziale per essere ricollocati immediatamente nel mondo lavorativo, in maniera adeguata alle proprie competenze professionali acquisite ed alla domanda di lavoro relativa all'area territoriale di competenza,

impegna il Governo

a valutare la possibilità, attraverso l'emanazione di successivi provvedimenti legislativi, di consentire ai disoccupati di età superiore ai 40 anni, entro i tre mesi successivi allo stato di disoccupazione, oltre all'erogazione del trattamento di sostegno al reddito o all'erogazione di ammortizzatori sociali, la possibilità di avere un canale preferenziale per essere ricollocati immediatamente nel mondo lavorativo, in maniera adeguata alle proprie competenze professionali acquisite ed alla domanda di lavoro relativa all'area territoriale di competenza.
9/5256/12Scilipoti.


   La Camera,
   premesso che:
    profondo disagio stanno vivendo numerosissime famiglie in molti comuni d'Italia a causa delle disposizione dell'articolo 76, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni;
    il citato articolo 76, comma 7, prevede che non si possa procedere all'assunzione di personale utile alla riapertura ed al corretto svolgimento dell'attività delle scuole di infanzia;
    il decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, riconoscendo l'importanza della scuola dell'infanzia, ha consentito agli enti locali che non hanno sforato il patto di stabilità interno, di poter derogare ai vincoli dettati dall'articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, in ordine alle assunzioni di personale «strettamente necessario a garantire l'esercizio delle funzioni di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore sociale», ma non ha esteso la possibilità anche ai comuni che subiscono il carico delle aziende partecipate, di poter anche essi far funzionare le scuole di infanzia,

impegna il Governo

a valutare la possibilità, con successivi atti normativi, di estendere anche ai comuni che subiscono il carico delle aziende partecipate, la facoltà di poter procedere all'assunzione di personale utile alla riapertura ed al corretto svolgimento delle attività delle scuole di infanzia, in deroga a quanto previsto dall'articolo 76, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni.
9/5256/13Romano.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge, all'articolo 1, commi 47 e seguenti, introduce un procedimento speciale per le controversie aventi ad oggetto l'impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall'articolo 18 della legge n. 300 del 1970;
    la tecnica normativa a tal fine utilizzata suscita numerose perplessità in relazione alle esigenze di semplificazione e riordino della legislazione vigente, in quanto:
     a) si introduce un rito speciale che si affianca e per certi versi si sovrappone a quello delineato dagli articoli 409 e seguenti del codice di procedura civile, in assenza di una disposizione che chiarisca esattamente il rapporto intercorrente tra le due discipline;
     b) la suddetta disciplina viene inserita nell'ambito di una fonte normativa esterna a quella codicistica, della quale vengono così compromessi i caratteri di unitarietà ed onnicomprensività;
     c) risulta assente una qualsiasi clausola di coordinamento o di chiusura che disponga l'applicabilità delle norme contenute nel codice di rito per tutto ciò che non è disciplinato dal provvedimento all'esame;
     d) risulta assente una qualsiasi clausola di coordinamento con la normativa contenuta nell'articolo 6 della legge n. 604 del 1966 (che non viene né richiamata né riprodotta), che fissa, a pena di decadenza, il termine per l'impugnazione del licenziamento in 60 giorni dalla data della sua ricezione in forma scritta da parte del lavoratore,

impegna il Governo

   ad aver cura, ogniqualvolta introduca nuove discipline di carattere organico (in particolare ove esse attengano, come nel caso all'esame, alla tutela dei diritti), di inserire le disposizioni in questione in un adeguato contesto normativo, prestando particolare attenzione nel non compromettere i caratteri di unitarietà ed onnicomprensività dei codici;
   ad aver altresì cura di effettuare un adeguato coordinamento con la normativa vigente al fine di scongiurare incertezze applicative, evitando, in particolare, di innovare l'ordinamento procedendo mediante sovrapposizioni normative che rendono difficoltosa per l'interprete l'individuazione della normativa concretamente applicabile.
9/5256/14Lussana, Duilio.


   La Camera,

impegna il Governo

   ad aver cura, ogniqualvolta introduca nuove discipline di carattere organico (in particolare ove esse attengano, come nel caso all'esame, alla tutela dei diritti), di inserire le disposizioni in questione in un adeguato contesto normativo, prestando particolare attenzione nel non compromettere i caratteri di unitarietà ed onnicomprensività dei codici;
   ad aver altresì cura di effettuare un adeguato coordinamento con la normativa vigente al fine di scongiurare incertezze applicative, evitando, in particolare, di innovare l'ordinamento procedendo mediante sovrapposizioni normative che rendono difficoltosa per l'interprete l'individuazione della normativa concretamente applicabile.
9/5256/14. (Testo modificato nel corso della seduta) Lussana, Duilio.


   La Camera,
   premesso che:
    la riforma del mercato del lavoro, all'articolo 4, contiene misure sperimentali per gli anni 2013-2015 in materia di permesso di paternità obbligatorio e facoltativo e voucher per l'acquisto di servizio di baby sitting o altri servizi all'infanzia;
    tali misure prevedono nello specifico che il padre lavoratore dipendente abbia, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio:
     a) l'obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo di un giorno;
     b) la possibilità di astenersi per ulteriori due giorni, anche continuativi, previo accordo con la madre e in sua sostituzione in relazione al periodo di astensione obbligatoria spettante a quest'ultima;
    per questi giorni di astensione viene riconosciuta:
     1) un'indennità giornaliera a carico dell'INPS pari al 100 per cento della retribuzione per il periodo di due giorni goduto in sostituzione della madre;
     2) un'indennità pari al 100 per cento della retribuzione per il giorno di astensione obbligatorio;
    a favore della madre lavoratrice si prevede una misura, sempre sperimentale, consistente nella corresponsione di voucher per l'acquisto di servizi di baby sitting, ovvero per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati, di cui usufruire al termine del periodo di congedo di maternità e per gli undici mesi successivi, in alternativa al congedo parentale;
    le misure di sostegno introdotte dalla riforma, oltre ad essere solo sperimentali, non risolvono i problemi che vivono le madri e i padri in occasione dell'arrivo di un figlio;
    non è più possibile rinviare l'introduzione di misure stabili che garantiscano il diritto alla genitorialità e che finalmente siano in grado di modificare in positivo la curva demografica nel nostro Paese, garantendo in particolare alla madri di poter scegliere la maternità senza rinunciare al lavoro;
    è indispensabile che venga introdotta una indennità di maternità universale a favore delle donne attualmente escluse da tale beneficio: disoccupate, precarie e libere professioniste; al contempo è necessario individuare le risorse per finanziarie un serio piano di aumento del numero di asili pubblici e dei servizi per l'infanzia,

impegna il Governo

ad individuare le risorse necessarie per introdurre una indennità di maternità universale a favore delle donne attualmente escluse da tale beneficio: disoccupate, precarie e libere professioniste; e per finanziarie un serio piano di aumento del numero di asili pubblici e dei servizi per l'infanzia, da attuarsi con tutti gli strumenti, anche legislativi, utilizzabili dall'esecutivo.
9/5256/15Mura, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    in relazione alle disposizioni che introducono un rito speciale per le controversie relative all'impugnativa dei licenziamenti, non è prevista, nelle disposizioni sul nuovo rito speciale d'impugnazione dei licenziamenti, una disposizione di chiusura che, rinvii, per quanto non previsto, alle disposizioni del codice di procedura civile relative al rito del lavoro, comportando alcuni elementi di incertezza e confusione che non possono essere risolti con l'ampliamento dei poteri istruttori del giudice ai sensi dell'articolo 421 del codice di procedura civile;
    il provvedimento riconosce un ambito esteso al potere discrezionale del giudice che potrebbe suscitare delle perplessità nella fase di opposizione ove invece sarebbe opportuno mantenere la disciplina del rito del lavoro, quantomeno per le parti non modificate, anche per evitare confusioni ed incertezze ad esempio nel regime di decadenza dalla prova, ovvero tra strumenti diversi di impugnazione tra reclamo ed appello o diversa decorrenza di termini per impugnare;
    tale disciplina della fase processuale per l'opposizione all'ordinanza che chiude la fase sommaria desta perplessità in quanto interamente disciplinata ex novo e non assoggettata al rito del lavoro, neanche per le parti non regolamentate, attraverso una norma di chiusura,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di introdurre nel testo una disposizione di chiusura per la quale, per quanto non previsto dagli articoli della specifica sezione, trovino applicazione le disposizioni della sezione II del capo I del titolo IV del libro II del codice di procedura civile relative al rito del lavoro, nonché a procedere, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, alla ricognizione dello stato di attuazione e degli effetti delle citate disposizioni processuali al fine di apportare le eventuali modifiche al testo che si evidenzieranno necessarie dopo la prima fase applicativa della nuova normativa.
9/5256/16Isidori.


   La Camera,
   premesso che:
    in relazione alle disposizioni che introducono un rito speciale per le controversie relative all'impugnativa dei licenziamenti, non è prevista, nelle disposizioni sul nuovo rito speciale d'impugnazione dei licenziamenti, una disposizione di chiusura che, rinvii, per quanto non previsto, alle disposizioni del codice di procedura civile relative al rito del lavoro, comportando alcuni elementi di incertezza e confusione che non possono essere risolti con l'ampliamento dei poteri istruttori del giudice ai sensi dell'articolo 421 del codice di procedura civile;
    il provvedimento riconosce un ambito esteso al potere discrezionale del giudice che potrebbe suscitare delle perplessità nella fase di opposizione ove invece sarebbe opportuno mantenere la disciplina del rito del lavoro, quantomeno per le parti non modificate, anche per evitare confusioni ed incertezze ad esempio nel regime di decadenza dalla prova, ovvero tra strumenti diversi di impugnazione tra reclamo ed appello o diversa decorrenza di termini per impugnare;
    tale disciplina della fase processuale per l'opposizione all'ordinanza che chiude la fase sommaria desta perplessità in quanto interamente disciplinata ex novo e non assoggettata al rito del lavoro, neanche per le parti non regolamentate, attraverso una norma di chiusura,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di introdurre nel testo una disposizione di chiusura per la quale, per quanto non previsto dagli articoli della specifica sezione, trovino applicazione le disposizioni della sezione II del capo I del titolo IV del libro II del codice di procedura civile relative al rito del lavoro, nonché a procedere, nell'ambito del monitoraggio di cui all'articolo 1, comma 2, alla ricognizione dello stato di attuazione e degli effetti delle citate disposizioni processuali al fine di apportare le eventuali modifiche al testo che si evidenzieranno necessarie dopo la prima fase applicativa della nuova normativa.
9/5256/16. (Testo modificato nel corso della seduta) Isidori.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge in esame all'articolo 1, comma 42, con riferimento alla materia dei licenziamenti per violazione del requisito di motivazione, della procedura disciplinare o della procedura di conciliazione, non trova più applicazione la reintegrazione nel posto di lavoro (attualmente prevista dalla normativa vigente nelle imprese sopra i 15 dipendenti) e il giudice riconosce al lavoratore un'indennità risarcitoria complessiva determinata tra un minimo e un massimo di sei e dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale;
    considerato che tale disciplina non trova applicazione qualora il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi sia anche un difetto di giustificazione del licenziamento;
    valutato che quest'ultima fattispecie suscita perplessità per l'ampiezza del potere discrezionale riconosciuta al giudice in siffatta ipotesi;
    valutato che suscita perplessità la scelta di spostare l'onere della prova sul lavoratore, poiché nel caso del licenziamento inefficace, proprio in ragione dell'inversione dell'onere della prova, si potrebbe provocare un ricorso preferenziale dei datori a questa forma di licenziamento che consente loro di tacere le ragioni del licenziamento sottraendosi alla tutela reale che prevedevi reintegro nel posto di lavoro,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della predetta disposizione in materia di licenziamenti, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a riconsiderare la disciplina del licenziamento individuale come sopra segnalato, al fine di assicurare comunque una tutela adeguata e certa del lavoratore senza che ciò comporti eccessive rigidità a danno del datore di lavoro e del mercato.
9/5256/17Laura Molteni.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge in esame all'articolo 1, comma 42, con riferimento alla materia dei licenziamenti per violazione del requisito di motivazione, della procedura disciplinare o della procedura di conciliazione, non trova più applicazione la reintegrazione nel posto di lavoro (attualmente prevista dalla normativa vigente nelle imprese sopra i 15 dipendenti) e il giudice riconosce al lavoratore un'indennità risarcitoria complessiva determinata tra un minimo e un massimo di sei e dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale;
    considerato che tale disciplina non trova applicazione qualora il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi sia anche un difetto di giustificazione del licenziamento;
    valutato che quest'ultima fattispecie suscita perplessità per l'ampiezza del potere discrezionale riconosciuta al giudice in siffatta ipotesi;
    valutato che suscita perplessità la scelta di spostare l'onere della prova sul lavoratore, poiché nel caso del licenziamento inefficace, proprio in ragione dell'inversione dell'onere della prova, si potrebbe provocare un ricorso preferenziale dei datori a questa forma di licenziamento che consente loro di tacere le ragioni del licenziamento sottraendosi alla tutela reale che prevedevi reintegro nel posto di lavoro,

impegna il Governo

a valutare nell'ambito dell'attività di monitoraggio di cui all'articolo 1, comma 2, gli effetti applicativi della disposizione in materia di licenziamenti, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a riconsiderare la disciplina del licenziamento individuale come sopra segnalato, al fine di assicurare comunque una tutela adeguata e certa del lavoratore senza che ciò comporti eccessive rigidità a danno del datore di lavoro e del mercato.
9/5256/17. (Testo modificato nel corso della seduta) Laura Molteni.


   La Camera,
   premesso che:
    rilevato come ancora una volta si tenti di ottenere efficienza e speditezza con riforme del processo, peraltro conferendo un potere discrezionale al giudice forse non pienamente compatibile con l'articolo 111 della Costituzione, che richiede un giudice terzo, regole predeterminate e rispetto del contraddittorio, mentre sarebbe necessario procedere con interventi di organizzazione e di redistribuzione di risorse umane e materiali che sono le uniche misure idonee a garantire l'accelerazione dei processi,

impegna il Governo

nell'ambito della attuazione della nuova dislocazione sul territorio degli uffici giudiziari, ad esaminare, analizzare e valutare il territorio nazionale sia sotto il profilo geografico, sia sotto quello produttivo, sia sotto quello delle strutture e dell'organizzazione giudiziaria esistente, al fine di individuare se e dove sia necessario introdurre o potenziare competenze specializzate della magistratura al fine di un maggiore affidamento da parte delle imprese e degli investitori e soprattutto tenendo in imprescindibile considerazione il diritto del cittadino e del lavoratore ad un facile accesso ed una giustizia qualitativamente soddisfacente.
9/5256/18Follegot.


   La Camera,
   premesso che:
    la validità, ai fini previdenziali, delle retribuzioni corrisposte dalle imprese agricole, così come previste dai contratti collettivi di lavoro sottoscritti da tutte le organizzazioni sindacali e datoriali agricole, quando viene contestata, comporta non solo il conseguente pagamento dei contributi e delle sanzioni, ma anche la sanzione della decadenza dalle agevolazioni contributive;
    diverse imprese agricole, che applicano l'accordo di riallineamento e rimodulazione, hanno subito accertamenti ispettivi da parte dell'INPS con i quali è stata loro contestata l'inapplicabilità dell'accordo stesso di riallineamento e rimodulazione;
    pur in assenza di una violazione contrattuale da parte delle aziende agricole interessate, viene applicata la sanzione accessoria della decadenza dalle agevolazioni contributive per le zone montane e svantaggiate;
    si rende, pertanto, necessario ribadire la validità delle disposizioni contrattuali previste per il riallineamento,

impegna il Governo

a chiarire che debba considerarsi come violazione dell'applicazione dei contratti collettivi di lavoro del settore agricolo la corresponsione di retribuzioni inferiori ai minimali contributivi annui previsti per il settore agricolo.
9/5256/19Santori.


   La Camera,
   premesso che:
    la validità, ai fini previdenziali, delle retribuzioni corrisposte dalle imprese agricole, così come previste dai contratti collettivi di lavoro sottoscritti da tutte le organizzazioni sindacali e datoriali agricole, quando viene contestata, comporta non solo il conseguente pagamento dei contributi e delle sanzioni, ma anche la sanzione della decadenza dalle agevolazioni contributive;
    diverse imprese agricole, che applicano l'accordo di riallineamento e rimodulazione, hanno subito accertamenti ispettivi da parte dell'INPS con i quali è stata loro contestata l'inapplicabilità dell'accordo stesso di riallineamento e rimodulazione;
    pur in assenza di una violazione contrattuale da parte delle aziende agricole interessate, viene applicata la sanzione accessoria della decadenza dalle agevolazioni contributive per le zone montane e svantaggiate;
    si rende, pertanto, necessario ribadire la validità delle disposizioni contrattuali previste per il riallineamento,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di considerare come violazione dell'applicazione dei contratti collettivi di lavoro del settore agricolo la corresponsione di retribuzioni inferiori ai minimali contributivi annui previsti per il settore agricolo.
9/5256/19. (Testo modificato nel corso della seduta) Santori.


   La Camera,
   premesso che:
    secondo i dati provvisori del sesto censimento generale dell'agricoltura, le aziende agricole, nell'ultimo decennio, sono diminuite del 32,2 per cento, con una crescita media del 44,4 per cento delle dimensioni;
    in Italia risultano attive 1.630.420 aziende agricole e zootecniche;
    la superficie aziendale totale risulta pari a 17.277.023 ettari mentre la superficie agricola utilizzata ammonta a 12.885.186 ettari;
    la dimensione media aziendale è passata, in un decennio, da 5,5 ettari di SAU per azienda a 7,9 ettari in conseguenza di una forte contrazione del numero delle aziende agricole attive che ha visto uscire dai settore le aziende più piccole e la concentrazione dell'attività agricola e zootecnica In unità di maggiori dimensioni, con un avvicinamento dell'Italia alla struttura aziendale media europea;
    la manodopera utilizzata nelle aziende agricole, si è spostata da quella familiare ai lavoratori dipendenti in misura sempre maggiore;
    la previsione dell'articolo 18 della legge n. 300 del 1970, relativa alla dimensione aziendale in termini di numero di occupati alle dipendenze del datore di lavoro agricolo, ai fini dell'applicabilità delle disposizioni sul licenziamento illegittimo, si rivela, dopo oltre 40 anni dalla sua formulazione, del tutto inadeguata alla realtà del settore agricolo, sempre più composto da imprese strutturate e connesse, in quanto viene riproposto il numero di cinque dipendenti, mentre risulta più aderente al contesto attuale indicare il limite dimensionale di otto dipendenti occupati nell'azienda agricola,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative normative volte a rivedere la previsione dell'articolo 18 della legge n. 300 del 1970, modificando il requisito dimensionale per le imprese agricole da cinque ad otto dipendenti.
9/5256/20Gava, Santori.


   La Camera,
   premesso che:
    la riforma del mercato del lavoro contiene la disciplina delle agevolazioni contributive in favore di chi assume lavoratori disoccupati di lungo corso;
    la misura si applica a chi assume:
     1) lavoratori ultra-cinquantenni, disoccupati da almeno 12 mesi;
     2) lavoratrici che vivono in aree svantaggiate, disoccupate da almeno 6 mesi;
     3) lavoratrici, dovunque residenti, che siano disoccupate da almeno 24 mesi;
    il beneficio consiste nel riconoscimento al datore di lavoro la riduzione del 50 per cento dei contributi a suo carico per:
     1) 12 mesi per contratti di lavoro dipendente, a tempo determinato anche in somministrazione;
     2) 18 messi complessivi per contratti a tempo indeterminato o che vengono trasformati in tali.
    il beneficio deve essere riconosciuto nel rispetto del regolamento (CE) n. 800/2008 della Commissione, del 6 agosto 2008, sugli aiuti di Stato;
    dai dati Istat emerge che i lavoratori ultra quarantenni esclusi dal mercato del lavoro nel nostro Paese sono oltre un milione e mezzo e su di essi non si applica nessuna forma di sostegno al reddito né di facilitazione all'assunzione;
    è pertanto necessario che le misure di incentivo all'assunzione per disoccupati di lungo corso non escludano i lavoratori ultra quarantenni,

impegna il Governo

ad individuare gli strumenti più idonei per consentire che le misure di incentivo all'assunzione dei disoccupati di lungo corso siano godute nel rispetto degli altri requisiti, da chi assume lavoratori ultra quarantenni e non già ultra cinquantenni.
9/5256/21Paladini, Santori.


   La Camera,
   premesso che:
    la riforma del mercato del lavoro contiene la disciplina delle agevolazioni contributive in favore di chi assume lavoratori disoccupati di lungo corso;
    la misura si applica a chi assume:
     1) lavoratori ultra-cinquantenni, disoccupati da almeno 12 mesi;
     2) lavoratrici che vivono in aree svantaggiate, disoccupate da almeno 6 mesi;
     3) lavoratrici, dovunque residenti, che siano disoccupate da almeno 24 mesi;
    il beneficio consiste nel riconoscimento al datore di lavoro la riduzione del 50 per cento dei contributi a suo carico per:
     1) 12 mesi per contratti di lavoro dipendente, a tempo determinato anche in somministrazione;
     2) 18 messi complessivi per contratti a tempo indeterminato o che vengono trasformati in tali.
    il beneficio deve essere riconosciuto nel rispetto del regolamento (CE) n. 800/2008 della Commissione, del 6 agosto 2008, sugli aiuti di Stato;
    dai dati Istat emerge che i lavoratori ultra quarantenni esclusi dal mercato del lavoro nel nostro Paese sono oltre un milione e mezzo e su di essi non si applica nessuna forma di sostegno al reddito né di facilitazione all'assunzione;
    è pertanto necessario che le misure di incentivo all'assunzione per disoccupati di lungo corso non escludano i lavoratori ultra quarantenni,

impegna il Governo

a tener conto nei successivi provvedimenti della questione occupazionale dei lavoratori ultraquarantenni.
9/5256/21. (Testo modificato nel corso della seduta) Paladini, Santori.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 3 del disegno di legge in esame prevede che le risorse dei Fondi interprofessionali per la formazione continua, istituiti ai sensi della legge n, 388 del 2000, possono confluire nei fondi bilaterali costituiti dalle parti contrattuali per fornire forme di integrazione salariale o altre forme di sostegno al reddito dei lavoratori;
    la frammentarietà del sistema imprenditoriale agricolo rende necessario introdurre forme di adesione ai fondi interprofessionali da parte delle aziende del settore primario, mediante la previsione del meccanismo del silenzio-assenso, in analogia con quanto previsto per l'iscrizione ai fondi di previdenza,

impegna il Governo

a prevedere l'iscrizione al Fondo interprofessionale per la formazione continua, di cui all'articolo 118 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, dei datori di lavoro agricolo che, sulla base delle dichiarazioni trimestrali della manodopera agricola presentate all'INPS, applicano il contratto collettivo nazionale di lavoro per gli operai agricoli e florovivaisti, costituito dalle organizzazioni datoriali e sindacali che sottoscrivono il predetto contratto collettivo nazionale di lavoro, salvo diversa ed espressa volontà.
9/5256/22Taddei, Santori.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 3 del disegno di legge in esame prevede che le risorse dei Fondi interprofessionali per la formazione continua, istituiti ai sensi della legge n, 388 del 2000, possono confluire nei fondi bilaterali costituiti dalle parti contrattuali per fornire forme di integrazione salariale o altre forme di sostegno al reddito dei lavoratori;
    la frammentarietà del sistema imprenditoriale agricolo rende necessario introdurre forme di adesione ai fondi interprofessionali da parte delle aziende del settore primario, mediante la previsione del meccanismo del silenzio-assenso, in analogia con quanto previsto per l'iscrizione ai fondi di previdenza,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di prevedere l'iscrizione al Fondo interprofessionale per la formazione continua, di cui all'articolo 118 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, dei datori di lavoro agricolo che, sulla base delle dichiarazioni trimestrali della manodopera agricola presentate all'INPS, applicano il contratto collettivo nazionale di lavoro per gli operai agricoli e florovivaisti, costituito dalle organizzazioni datoriali e sindacali che sottoscrivono il predetto contratto collettivo nazionale di lavoro, salvo diversa ed espressa volontà.
9/5256/22. (Testo modificato nel corso della seduta) Taddei, Santori.


   La Camera,
   premesso che:
    la disciplina dell'apprendistato è stata ampiamente modificata dai commi 16-19 dell'articolo 1;
    tra le innovazioni di maggiore portata v’è la previsione che l'assunzione di nuovi apprendisti è subordinata alla prosecuzione del rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato, nei 36 mesi precedenti la nuova assunzione, di almeno il 50 per cento degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro;
    una limitazione di questo tipo rischia di limitare la diffusione dell'apprendistato nel sistema produttivo del nostro Paese;
    l'applicazione di tale norma è stata giustamente esclusa per le aziende fino a 10 dipendenti, in ragione delle loro limitate dimensioni e della maggiore flessibilità organizzativa di cui necessitano;
    nel fissare il limite di 10 dipendenti la norma non chiarisce tuttavia se debba trattarsi solo di lavoratori a tempo indeterminato;
    un'interpretazione estensiva di tale disposizione, tale da ricomprendere tutte le tipologie di lavoro subordinato rischia di circoscrivere in modo significativo la portata dell'esenzione,

impegna il Governo

a intervenire in sede applicativa al fine di chiarire che il nuovo comma 3-ter dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 167 del 2011, come introdotto dall'articolo 1, comma 16, del disegno di legge in esame, deve intendersi riferito unicamente ai lavoratori assunti dall'azienda a tempo indeterminato.
9/5256/23Zamparutti, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco.


   La Camera,
   premesso che:
    la disciplina dell'apprendistato è stata ampiamente modificata dai commi 16-19 dell'articolo 1;
    tra le innovazioni di maggiore portata v’è la previsione che l'assunzione di nuovi apprendisti è subordinata alla prosecuzione del rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato, nei 36 mesi precedenti la nuova assunzione, di almeno il 50 per cento degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro;
    una limitazione di questo tipo rischia di limitare la diffusione dell'apprendistato nel sistema produttivo del nostro Paese;
    l'applicazione di tale norma è stata giustamente esclusa per le aziende fino a 10 dipendenti, in ragione delle loro limitate dimensioni e della maggiore flessibilità organizzativa di cui necessitano;
    nel fissare il limite di 10 dipendenti la norma non chiarisce tuttavia se debba trattarsi solo di lavoratori a tempo indeterminato;
    un'interpretazione estensiva di tale disposizione, tale da ricomprendere tutte le tipologie di lavoro subordinato rischia di circoscrivere in modo significativo la portata dell'esenzione,

impegna il Governo

a intervenire in sede applicativa al fine se chiarire che il nuovo comma 3-ter dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 167 del 2011, come introdotto dall'articolo 1, comma 16, del disegno di legge in esame, debba intendersi riferito unicamente ai lavoratori assunti dall'azienda a tempo indeterminato.
9/5256/23. (Testo modificato nel corso della seduta) Zamparutti, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco.


   La Camera,
   premesso che:
    la professione infermieristica, per numerosità e presenza continua per il soddisfacimento dei bisogni di salute dei cittadini rappresenta un punto di riferimento per qualsiasi politica di sviluppo dei servizi sanitari, dall'area ospedaliera a quella territoriale a quella formativa, sia sul piano dell'assistenza che della programmazione, della docenza, della ricerca, della gestione e dell'organizzazione;
    i lavori del recente «Tavolo di lavoro congiunto sui profili professionali delle professioni sanitarie» tra Ministero della salute e rappresentati delle Regioni per la definizione di competenze avanzate del personale infermieristico hanno portato a prese di posizione da parte delta categoria professionale in quanto l'attuale sviluppo delle scienze infermieristiche è tale da far apparire le fonti impiegate dal «tavolo di lavoro» non adeguate alla complessità dell'azione professionale infermieristica, come tra l'altro indicato dalla letteratura scientifica di riferimento;
    nel settore accademico di molti paesi europei tra cui il Regno Unito, oltre che Stati Uniti, Australia, Hong Kong, esistono fin dagli inizi del secolo scorso Facoltà autonome di Scienze Infermieristiche (College/School of Nursing), con la piena titolarità disciplinare esercitata da personale di formazione infermieristica;
    le scienze infermieristiche, in Italia, entrano in ambito universitario nel 1965. Dopo un lungo percorso che ha portato negli anni 90 alle Lauree di primo e di secondo livello, a seguito del decreto del Presidente della Repubblica 394/94 applicativo della Legge 341/90, nasce il Settore Scientifico Disciplinare specifico delle Scienze Infermieristiche prima indicato con F23A, poi con Med 46, successivamente con D.M, 29 luglio 2011 ridenominato in 06/M3 «Scienze Infermieristiche», e che con Decreto del Ministro della Salute in data 12 giugno 2012 è stato inglobato nel settore 06/M1 - Igiene, Scienze infermieristiche e Statistica medica, perdendo l'autonomia concorsuale per carenza dei requisiti della Legge 240/2010;
    nell'ambito dei corsi di laurea di area sanitaria, gli studenti infermieri rappresentano circa il 50 per cento del totale, più del doppio degli studenti del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia, Pur tuttavia a fronte di questa numerosità, dei 10060 docenti di ruolo totali dell'Area delle Scienze mediche, i docenti e ricercatori di ruolo, anche a tempo determinato, del SSD delle Scienze Infermieristiche sono solo 35, con un rapporto docente studente dello 0,001 a fronte di 0,87 Docenti per studente, con lo ovvio ricadute negative per lo sviluppo disciplinare, che di fatto è interamente affidato a personale dei servizi sanitari,

impegna il Governo

   a valutare interventi volti per la migliore definizione delle competenze e degli standard dell'infermiere generale sui quali poggiare qualsiasi successiva formazione sia specialistica sia avanzata, operando per attuare una progressione dell'infermiere che valorizzi, anche con adeguato riconoscimento contrattuale, la presenza strategica di questi professionisti nei servizi sanitari;
   a valutare le modalità per consentire alle scienze infermieristiche un ruolo di piena titolarità della disciplina e dei processi ad essa legati in campo formativo, organizzativo, di ricerca e assistenziale nell'ambito accademico e dei servizi sanitari;
   a valutare interventi volte a prevedere, nell'ambito dell'Area 06 Scienze Mediche - l'articolazione autonoma in macrosettore delle Scienze Infermieristiche, da ripartire in ulteriori settore concorsuali, per consentire lo sviluppo disciplinare e slegare anche il reclutamento dalla predominanza di altre discipline ed incrementare la presenza di personale infermieristico, anche attraverso il più ampio ricorso, per gli altri settori scientifico disciplinari delle Facoltà di Medicina e Chirurgia, alla docenza contratto non oneroso o del servizio sanitario nazionale;
    a modificare gli ordinamenti didattici dei corsi di Laurea e di Laurea magistrale delle professioni sanitarie infermieristiche e ostetriche in modalità tali che la preparazione sia nelle discipline di base che in quelle caratterizzanti sia prevalentemente assicurata nell'ambito delle discipline infermieristiche, cui deve essere interamente riferita anche l'attività di tirocinio professionalizzante, in aderenza ai disposti di cui alla Direttiva 36/CE/2005;
    a valutare di stabilire modalità di reclutamento e di abilitazione specifiche che tengano conto della peculiarità, indicando chiaramente adeguati standard e indicatori differenziati per le abilitazioni rispetto all'Area delle scienze mediche, a partire dal possesso dell'abilitazione all'esercizio della professione infermieristica.
9/5256/24Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Zamparutti.


   La Camera,
   premesso che:
    le caratteristiche del contesto lavorativo assumono un'importanza speciale per riuscire a comprendere la sofferenza psicologica del singolo individuo che sia intenzionalmente sottoposto a relazioni umane disfunzionali e vessanti. L'esperienza di un centro per la Valutazione del danno biologico mobbing compatibile ha evidenziato, infatti, le specificità di vari contesti lavorativi dominati da arroganza, protervia e sopraffazione, caratterizzati dalla consistente presenza di emozioni negative, da elementi di disgregazione sociale, da competitività esasperata ed, infine, limitati nelle proprie potenzialità da un'organizzazione disfunzionale non orientata primariamente al raggiungimento degli obiettivi;
    in un posto di lavoro caratterizzato, invece, da tolleranza, convivenza e accoglienza, l'emozionalità è considerata come un valore aggiunto ed un elemento centrale di progettazione: la coesione sociale che ne deriva, permette la presenza di una competitività I leale e l'organizzazione può così esprimere al meglio la propria potenzialità;
    il contesto lavorativo è comunque il luogo in cui tutte le relazioni e le comunicazioni assumono il loro significato, ed il carattere individuale delle persone viene definito, permettendone la crescita a livello individuale e sociale;
    nell'ambito delle strutture delle aziende sanitarie dislocate sul territorio nazionale operano, con carattere regionale e interregionale, differenti Centri per la valutazione del danno biologico da patologie mobbing-compatibili;
    il Comitato paritetico sul fenomeno del mobbing del Ministero della difesa, istituito con decreto ministeriale del 18 gennaio 2008, si è insediato il 15 maggio 2008 presso l'Ufficio di Gabinetto del Ministero della difesa ed in data 27 giugno 2008 ha approvato il regolamento sulla propria organizzazione ed attività;
    il Comitato opera per prevenire, rilevare e contrastare il fenomeno del mobbing, per tutelare la salute, la dignità e la professionalità delle lavoratrici e dei lavoratori e per garantire un ambiente di lavoro sicuro, sereno, favorevole alle relazioni interpersonali e fondato su principi di solidarietà, trasparenza, cooperazione e rispetto reciproco;
    per garantirne la composizione paritetica, il Comitato è composto da 18 membri, designati in pari numero dall'Amministrazione e dalle organizzazioni sindacali firmatarie dei CCNL. Per ogni componente effettivo è previsto un componente supplente;
    il Presidente del Comitato è stato nominato dall'Amministrazione, mentre il Vicepresidente è stato designato dai componenti di parte sindacale;
    del Comitato sul fenomeno del mobbing fa parte anche un rappresentante del Comitato pari opportunità allo scopo di assicurare il raccordo delle attività dei due organismi;
    il Comitato rimane in carica per la durata di un quadriennio e, comunque, fino alla costituzione del nuovo,

impegna il Governo:

   ad integrare il decreto 18 gennaio 2008 in modo da ricomprendere nelle attività del predetto Comitato anche la prevenzione, la rilevazione e il contrasto dei casi di mobbing i per tutelare la salute, la dignità e la professionalità delle lavoratrici e dei lavoratori che I rivestono lo status di militare, al fine di garantire anche ad essi un ambiente di lavoro I sicuro, sereno, favorevole alle relazioni interpersonali e fondato su principi di solidarietà, i trasparenza, cooperazione e rispetto reciproco;
    ad integrare la composizione del predetto Comitato:
     a) con un membro designato dalle aziende sanitarie che abbiano nella propria struttura un «Centro per la valutazione del danno biologico da patologie mobbing-compatibili», effettivamente operante;
     b) con un membro designato da ciascuna delle associazioni che svolgono concretamente azioni di tutela e formazione del personale militare, regolarmente iscritte, ai sensi legge 7 dicembre 2000, n. 383, nel Registro nazionale delle associazioni di promozione sociale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali - Direzione generale per il volontariato, l'associazionismo e le formazioni sociali.
9/5256/25Farina Coscioni, Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Mecacci, Zamparutti.


   La Camera,
   premesso che:
    con riferimento ai licenziamenti individuali, in particolare, il provvedimento interviene operando importanti modifiche all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (che reca la cd. tutela reale, consistente nella reintegrazione nel posto di lavoro);
    il testo lascia inalterata la disciplina dei licenziamenti discriminatori, per i quali si applica sempre la reintegrazione, mentre modifica il regime dei licenziamenti disciplinari (mancanza di giustificato motivo soggettivo) e dei licenziamenti economici (mancanza di giustificato motivo oggettivo);
    queste ultime due fattispecie presentano un regime sanzionatorio differenziato a seconda della gravità dei casi in cui sia accertata l'illegittimità del licenziamento, il quale si concretizza nella reintegrazione (casi più gravi) o nel pagamento di un'indennità risarcitoria (casi meno gravi);
    si introduce uno specifico rito per le controversie giudiziali aventi ad oggetto l'impugnativa dei licenziamenti, che dovrebbe garantire, nello spirito della riforma, un rito piuttosto snello che elimina tutte le formalità procedurali ritenute non essenziali al contraddittorio,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di procedere, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, alla ricognizione dello stato di attuazione e degli effetti delle citate disposizioni processuali al fine di apportare le eventuali modifiche al testo che si evidenzieranno necessarie dopo la prima fase applicativa della nuova normativa.
9/5256/26Paolini.


   La Camera,
   premesso che:
    con riferimento ai licenziamenti individuali, in particolare, il provvedimento interviene operando importanti modifiche all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (che reca la cd. tutela reale, consistente nella reintegrazione nel posto di lavoro);
    il testo lascia inalterata la disciplina dei licenziamenti discriminatori, per i quali si applica sempre la reintegrazione, mentre modifica il regime dei licenziamenti disciplinari (mancanza di giustificato motivo soggettivo) e dei licenziamenti economici (mancanza di giustificato motivo oggettivo);
    queste ultime due fattispecie presentano un regime sanzionatorio differenziato a seconda della gravità dei casi in cui sia accertata l'illegittimità del licenziamento, il quale si concretizza nella reintegrazione (casi più gravi) o nel pagamento di un'indennità risarcitoria (casi meno gravi);
    si introduce uno specifico rito per le controversie giudiziali aventi ad oggetto l'impugnativa dei licenziamenti, che dovrebbe garantire, nello spirito della riforma, un rito piuttosto snello che elimina tutte le formalità procedurali ritenute non essenziali al contraddittorio,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di procedere, nell'ambito delle attività di monitoraggio di cui all'articolo 1, comma 2, alla ricognizione dello stato di attuazione e degli effetti delle citate disposizioni processuali al fine di apportare le eventuali modifiche al testo che si evidenzieranno necessarie dopo la prima fase applicativa della nuova normativa.
9/5256/26. (Testo modificato nel corso della seduta) Paolini.


   La Camera,
   valutate le diverse iniziative legislative adottate nel corso degli ultimi anni a favore dell'incremento occupazionale a favore dei giovani, e in considerazione del fatto che la crisi economica e finanziaria che sta interessando il nostro Paese ha avuto grossi ed evidenti riflessi anche sui soggetti cosiddetti a «rischio di esclusione sociale», ovvero lavoratori e lavoratrici con una età superiore ai quarant'anni e che si trovano in stato di disoccupazione;
   venuto conto come l'allungamento dell'età pensionabile, unitamente alla crisi occupazionale che sta coinvolgendo ampi settori economici dell'intero Paese, rende ancora più complessa la loro la ricollocazione lavorativa,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere apposite iniziative, come la creazione di un fondo, per la concessione di un credito di imposta in favore di quei datori di lavoro che assumano con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato lavoratori o lavoratrici con una età superiore ai 40 anni.
9/5256/27Simonetti.


   La Camera,
   premesso che:
    i gravi danni causati dal sisma emiliano-romagnolo occorso nella fine dello scorso maggio e che hanno interessato nei comuni del territorio compreso tra le Province di Bologna, Ferrara, Modena, Mantova, Parma, Padova e Rovigo sono stati molto evidenti, sia per gli edifici e i monumenti pubblici, sia per le aziende del territorio;
    i danni arrecati al sistema economico e produttivo dell'area sono evidenti, tanto che numerose imprese sono ancora costrette, anche per questioni di sicurezza, a non poter riprendere la loro attività economica;
    le conseguenze del fenomeno sismico si sommano ad una generale situazione di crisi economica molto grave e caratterizzata da un crescente livello di disoccupazione, allorché numerose imprese, anche dell'area interessata dal recente terremoto, hanno dovuto sospendere la loro attività economica per mancanza di ordini o vistosi cali di fatturato, mettendo così in grave difficoltà le aziende comprese tra le aree di Ferrara, Modena e Rovigo;
    il Governo, dopo aver dichiarato lo Stato di calamità ed aver messo a disposizione delle risorse economiche necessarie per affrontare l'emergenza attraverso l'istituzione di un Fondo per le misure di emergenza, ha disposto l'aumento delle accise sui carburanti e la deroga al Patto di stabilità;
    accertato come il Governo abbia altresì deciso le proroghe dei prossimi versamenti Irpef, e delle relative addizionali, Ires, Irap, Iva dal 20 maggio al 30 settembre 2012, e che tra i versamenti fiscali che subiscono il congelamento si annovera anche quello riguardante la nuova imposta municipale sugli immobili, l'IMU,

impegna il Governo

a fare in modo che nei confronti degli esercenti attività di impresa e degli esercenti arti e professioni, che alla data del 20 maggio 2012 avevano la sede nelle aree interessate dal sisma, non si applichino gli accertamenti basati sugli studi di settore per le dichiarazioni dei redditi relative ai periodi di imposta 2012 e 2013.
9/5256/28Rainieri.


   La Camera,
   premesso che:
    la grave difficoltà nella quale si oggi giorno numerose fasce della popolazione italiana è da imputarsi alla difficile situazione economica causata dalla crisi internazionale e che ha notevolmente ridotto le risorse economiche a disposizione delle famiglie;
    i recenti provvedimenti del Governo, caratterizzati da un aumento della imposizione fiscale a discapito delle aziende e dei contribuenti, stanno evidenziando una contrazione della domanda interna a cui segue altresì un irrigidimento del mercato del lavoro;
    la disoccupazione femminile in Italia rappresenta da molti anni un problema irrisolto che si riflette sul tasso d'occupazione dell'intera popolazione, pari, nel 2006 al 58,4 per cento contro una media dell'Unione Europea del 64,4 per cento;
    la difficoltà della situazione impone la adozione di una strategia per finalizzare politiche a favore delle donne, diretta ad innalzare l'occupazione femminile e ad equiparare le condizioni di partenza nella società tra uomini e donne;
    il problema dell'occupazione femminile si affianca a quello dei giovani che, alla ricerca della propria indipendenza ed autonomia e attraverso il matrimonio e la costituzione di una nuova famiglia, si trovano oggi, a causa del perdurare della grave crisi economica, in evidenti difficoltà nel riuscire a raggiungere i loro obbiettivi;
    appare senza dubbio prioritario per il nostro Paese, tanto più in un momento di difficoltà come questo, garantire il diritto di ogni cittadino nel poter formare una famiglia, promuovendone l'immagine di struttura sociale primaria di fondamentale interesse pubblico e sostenendo la funzione sociale corrisposta dai genitori negli impegni di cura e di educazione dei figli;
    in Paesi come la Francia, in uno ristretto spazio temporale, è stato possibile invertire il trend demografico negativo proprio grazie ad interventi finalizzati a considerare la famiglia come parte integrante dello Stato e al centro di una politica di sicurezza sociale,

impegna il Governo

ad adottare misure finalizzate al sostegno della natalità e della famiglia, in particolar modo per i nuclei familiari con persone diversamente abili, allo scopo di sostenere la natalità ed invertire il trend demografico negativo che il nostro Paese evidenzia negli ultimi anni.
9/5256/29Polledri.


   La Camera,
   premesso che:
    la grave difficoltà nella quale si oggi giorno numerose fasce della popolazione italiana è da imputarsi alla difficile situazione economica causata dalla crisi internazionale e che ha notevolmente ridotto le risorse economiche a disposizione delle famiglie;
    i recenti provvedimenti del Governo, caratterizzati da un aumento della imposizione fiscale a discapito delle aziende e dei contribuenti, stanno evidenziando una contrazione della domanda interna a cui segue altresì un irrigidimento del mercato del lavoro;
    la disoccupazione femminile in Italia rappresenta da molti anni un problema irrisolto che si riflette sul tasso d'occupazione dell'intera popolazione, pari, nel 2006 al 58,4 per cento contro una media dell'Unione Europea del 64,4 per cento;
    la difficoltà della situazione impone la adozione di una strategia per finalizzare politiche a favore delle donne, diretta ad innalzare l'occupazione femminile e ad equiparare le condizioni di partenza nella società tra uomini e donne;
    il problema dell'occupazione femminile si affianca a quello dei giovani che, alla ricerca della propria indipendenza ed autonomia e attraverso il matrimonio e la costituzione di una nuova famiglia, si trovano oggi, a causa del perdurare della grave crisi economica, in evidenti difficoltà nel riuscire a raggiungere i loro obbiettivi;
    appare senza dubbio prioritario per il nostro Paese, tanto più in un momento di difficoltà come questo, garantire il diritto di ogni cittadino nel poter formare una famiglia, promuovendone l'immagine di struttura sociale primaria di fondamentale interesse pubblico e sostenendo la funzione sociale corrisposta dai genitori negli impegni di cura e di educazione dei figli;
    in Paesi come la Francia, in uno ristretto spazio temporale, è stato possibile invertire il trend demografico negativo proprio grazie ad interventi finalizzati a considerare la famiglia come parte integrante dello Stato e al centro di una politica di sicurezza sociale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, misure finalizzate al sostegno della natalità e della famiglia, in particolar modo per i nuclei familiari con persone diversamente abili, allo scopo di sostenere la natalità ed invertire il trend demografico negativo che il nostro Paese evidenzia negli ultimi anni.
9/5256/29. (Testo modificato nel corso della seduta) Polledri.


   La Camera,
   premesso che:
    la grave difficoltà nella quale oggi giorno numerose fasce della popolazione italiana è da imputarsi certamente alla difficile situazione economica causata dalla grave crisi internazionale che negli ultimi anni ha notevolmente ridotto le risorse economiche a disposizione delle famiglie;
    gli ultimi provvedimenti del Governo non sono riusciti nell'intento di riuscire a sostenere la domanda interna, anzi, in ragione dell'aumento della pressione fiscale, sia sulle imprese che sui soggetti privati, la domanda interna dei consumi sta registrando in questo ultimo periodo una continua flessione, con un aggravio della crisi di numerose aziende ed imprese e dei livelli di occupazione, soprattutto tra le fasce giovanili della popolazione, che continuano inevitabilmente a risentirne;
    in attuazione del Regolamento (CE) n. 862/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 luglio 2007, relativo alle statistiche comunitarie in materia di migrazione e di protezione internazionale, in armonia con gli impegni assunti nel Patto europeo sull'immigrazione e l'asilo adottato dal Consiglio europeo a Bruxelles il 15-16 ottobre 2008, a decorrere dal 1o gennaio 2013 è sospesa l'applicazione, per due anni, dell'articolo 21 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sulla determinazione dei flussi di ingresso,

impegna il Governo

ad istituire una Commissione tecnica con personale già impiegato all'interno della Pubblica Amministrazione finalizzata all'analisi dei flussi migratori, al fine di verificare la capacità ricettiva, in rapporto alle singole realtà territoriali in termini di posti di lavoro, del nostro Paese e al monitoraggio del fenomeno della disoccupazione degli stranieri titolari di permesso di soggiorno conseguente alla crisi economica in atto.
9/5256/30D'Amico.


   La Camera,
   premesso che:
    le domande di quiescenza già inoltrate sono 27.751 di cui 21.112 riguardano i docenti, 5.336 gli ATA, 35 il personale educativo, 207 i docenti di religione e 1.061 i dirigenti scolastici;
    in Lombardia le suddette domande si attesterebbero a circa 2.485: il 105,65 per cento di quelle previste; in Piemonte su 950 domande attese ne sarebbero giunte 1157: il 121,79 per cento; in Veneto su 1171 ne sarebbero giunte 1382: il 118,02 per cento; la riforma pensionistica pur salvaguardando la cosiddetta «Quota 96» (60 anni di età anagrafica e 36 anni di contributi effettivi, oppure 61 anni di età e 35 di contributi), non ha tenuto conto della specificità della scuola, dal momento che i requisiti dovevano essere conseguiti entro il 31 dicembre 2011;
    pur constatando che l'articolo 24, comma 3 della legge n. 214 del 22 dicembre 2011 ha fatto salvo il diritto ad andare in pensione con le vecchie regole per il dipendente pubblico che ha maturato i requisiti per l'accesso al pensionamento vigenti nell'anno d'entrata in vigore del decreto legge 6 dicembre 2011 n. 201 (sia per età, sia per anzianità contributiva di 40 anni indipendentemente dall'età, sia per somma dei requisiti di anzianità contributiva ed età – cosiddetta quota), al fine di non toccare i diritti quesiti, la data scelta del 31 dicembre 2011 non poteva, a nostro avviso, essere presa in considerazione per il personale della scuola, le cui cadenze lavorative e pensionistiche sono regolate non secondo l'anno solare, come per tutti gli altri dipendenti pubblici, ma secondo l'anno scolastico;
    non è un caso se tutta la legislazione previgente, pur modificando in pejus i criteri di pensionamento dei lavoratori pubblici e privati, ha sempre permesso al personale della scuola una finestra speciale per maturare i diritti per andare in pensione dal 1o settembre successivo, facendo riferimento ai contributi da versare fino al 31 agosto successivo, indipendentemente dall'età anagrafica da maturare anche al 31 dicembre seguente (articolo 509, d.lgs. 297/1994; articolo 59, comma 9, legge 449/1997; articolo 1, comma 6, lettera c, legge 243/2004 come modificata dal comma 3, articolo 2, legge 247/2007; articolo 1, comma 21 legge 148/2011), poiché per il mondo della scuola, le cadenze lavorative e pensionistiche sono regolate non secondo l'anno solare, come per tutti gli altri dipendenti pubblici, ma secondo l'anno scolastico;
    la data del 31 dicembre 2011, è peraltro incongruente poiché coloro che possedevano i requisiti ad hoc erano già in pensione da tre mesi, cioè dal primo settembre del 2011. Per i lavoratori della scuola è da sempre esistita la regola – confermata dal comma 9 dell'articolo 59 della legge 449/1997 – che si è collocati a riposo il 1 settembre di ogni anno scolastico purché il requisito dell'età anagrafica sia raggiunto entro la fine dell'anno solare;
    il decreto ministeriale n. 22 del 12 marzo 2012 non potrebbe, a nostro avviso, prevedere il differimento del pensionamento al 1 settembre 2013 per il personale della scuola – donne – che matura il requisito di 57 di età e 35 di contributi a partire dal 1o gennaio 2012, per una presunta applicazione dell'articolo 1, comma 21 della legge 148/2011, disapplicato peraltro dall'articolo 24, commi 5 della legge n. 214 del 22 dicembre 2011 per il restante personale che matura i nuovi requisiti nel 2012;
    le cosiddette «nuove regole» in materia pensionistica, alterando la durata del rapporto di lavoro privano inoltre i lavoratori della scuola di un trattamento economico acquisito sotto la sfera di diritto soggettivo, modificando non solo la stabilità economica su cui si fondano aspettative, progettualità e investimenti, poiché il patto siglato dallo Stato-datore di lavoro con il cittadino-lavoratore dipendente implica la giusta remunerazione di una vita di lavoro; il vice ministro al Lavoro e alle Politiche sociali, rispondendo a un atto di sindacato ispettivo, ha posto l'accento sulla bontà della «Riforma Fornero» che consentirebbe di stabilire un ricambio intergenerazionale, senza considerare che il corpo docente del comparto scuola è popolato da sessantenni, costretti dalle «nuove regole» a rimanere in servizio, impedendo così la stabilizzazione dei giovani precari,

impegna il Governo

alla luce di quanto espresso in premessa, a valutare l'opportunità di procedere alla modifica dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, in materia di requisiti di accesso al trattamento pensionistico per il personale della scuola, anche al fine di ripristinare un diritto soggettivo legato alla specificità della organizzazione del mondo della scuola, nel rispetto del principio d'uguaglianza, della parità di trattamento, della ragionevolezza legislativa.
9/5256/31Goisis, Rivolta, Cavallotto, Grimoldi.


   La Camera,
   considerato che i «voucher» sono riconosciuti dalla categoria datoriale di lavoro come un validissimo strumento per prestazioni occasionali che consente di coniugare esigenze di flessibilità e di regolarità contributiva;
   posto che l'efficacia di tale strumento è stata riconosciuta anche dal legislatore
che, nel tempo, è intervenuto con diverse modifiche normative al fine di ampliare la platea dei committenti e il campo di applicazione dei cosiddetti «buoni lavoro»;
   rilevato che per alcune attività come quelle agricole, specialmente stagionali quali la vendemmia o la brucatura dell'olivo, il ricorso ai «voucher» rappresenta un'opportunità di manodopera per l'azienda e di occupazione occasionale per i giovani, che possono contare su un sostegno economico nel periodo degli studi universitari, oppure per altre categorie, quali ad esempio le casalinghe che possono contribuire ai bilanci familiari;
   preso atto che il provvedimento in esame restringe la platea dei beneficiari escludendo, rispetto alla normativa dettata dal decreto legislativo n. 276/2003, dal novero dei soggetti abilitati all'utilizzo dei voucher la categoria delle casalinghe,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa al fine di adottare le opportune iniziative normative volte a rivedere le limitazioni introdotte alla disciplina del lavoro accessorio ricomprendendo le casalinghe tra i soggetti abilitati all'utilizzo dei buoni lavoro.
9/5256/32Negro.


   La Camera,
   considerato che i «voucher» sono riconosciuti dalla categoria datoriale di lavoro come un validissimo strumento per prestazioni occasionali che consente di coniugare esigenze di flessibilità e di regolarità contributiva;
   posto che l'efficacia di tale strumento è stata riconosciuta anche dal legislatore
che, nel tempo, è intervenuto con diverse modifiche normative al fine di ampliare la platea dei committenti e il campo di applicazione dei cosiddetti «buoni lavoro»;
   rilevato che per alcune attività come quelle agricole, specialmente stagionali quali la vendemmia o la brucatura dell'olivo, il ricorso ai «voucher» rappresenta un'opportunità di manodopera per l'azienda e di occupazione occasionale per i giovani, che possono contare su un sostegno economico nel periodo degli studi universitari, oppure per altre categorie, quali ad esempio le casalinghe che possono contribuire ai bilanci familiari;
   preso atto che il provvedimento in esame restringe la platea dei beneficiari escludendo, rispetto alla normativa dettata dal decreto legislativo n. 276/2003, dal novero dei soggetti abilitati all'utilizzo dei voucher la categoria delle casalinghe,

impegna il Governo

a valutare nell'ambito dell'attività di monitoraggio di cui all'articolo 1, comma 2, gli effetti applicativi della disposizione richiamata in premessa al fine di adottare le opportune iniziative normative volte a rivedere le limitazioni introdotte alla disciplina del lavoro accessorio ricomprendendo le casalinghe tra i soggetti abilitati all'utilizzo dei buoni lavoro.
9/5256/32. (Testo modificato nel corso della seduta) Negro.


   La Camera,
   preso atto della mancanza di interventi di riduzione del cuneo fiscale per quanto concerne in particolare il settore agricolo;
   considerato che le aliquote contributive di previdenza e assistenza sociale a carico del datore di lavoro agricolo italiano – per quanto riguarda il lavoro a tempo indeterminato – pari a circa il 35 per cento, sono molto superiori a quelle in vigore negli altri Stati membri dell'Ue che vanno dal 12 per cento del Regno Unito fino al 43 per cento del Belgio;
   il divario con gli altri Paesi europei si accentua ulteriormente se si considerano le aliquote applicate in caso di lavoro stagionale, posto che in molti Stati membri, segnatamente in Germania, Spagna, Francia, Belgio ed Olanda, il lavoro stagionale agricolo è assoggettato ad un particolare regime previdenziale basato su una contribuzione ridotta con aliquote che vanno dallo 0,02 per cento della Germania al 13,1 per Cento della Francia;
   preso atto che una tale differenziazione del costo del lavoro tra i vari Paesi europei si riflette sulla competitività delle imprese italiane che vedono aumentare l'importazione di prodotti a basso costo e spesso di scarsa qualità,

impegna il Governo

ad assumere le iniziative necessarie a rivedere le aliquote contributive per il lavoro agricolo a tempo determinato in modo da allinearle a quelle stabilite nei maggiori Paesi comunitari al fine di sostenere l'occupazione nel settore agricolo nazionale.
9/5256/33Callegari, Fogliato.


   La Camera,
   preso atto della mancanza di interventi di riduzione del cuneo fiscale per quanto concerne in particolare il settore agricolo;
   considerato che le aliquote contributive di previdenza e assistenza sociale a carico del datore di lavoro agricolo italiano – per quanto riguarda il lavoro a tempo indeterminato – pari a circa il 35 per cento, sono molto superiori a quelle in vigore negli altri Stati membri dell'Ue che vanno dal 12 per cento del Regno Unito fino al 43 per cento del Belgio;
   il divario con gli altri Paesi europei si accentua ulteriormente se si considerano le aliquote applicate in caso di lavoro stagionale, posto che in molti Stati membri, segnatamente in Germania, Spagna, Francia, Belgio ed Olanda, il lavoro stagionale agricolo è assoggettato ad un particolare regime previdenziale basato su una contribuzione ridotta con aliquote che vanno dallo 0,02 per cento della Germania al 13,1 per Cento della Francia;
   preso atto che una tale differenziazione del costo del lavoro tra i vari Paesi europei si riflette sulla competitività delle imprese italiane che vedono aumentare l'importazione di prodotti a basso costo e spesso di scarsa qualità,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, di assumere le iniziative necessarie a rivedere le aliquote contributive per il lavoro agricolo a tempo determinato in modo da allinearle a quelle stabilite nei maggiori Paesi comunitari al fine di sostenere l'occupazione nel settore agricolo nazionale.
9/5256/33. (Testo modificato nel corso della seduta) Callegari, Fogliato.


   La Camera,
   premesso che:
    il mercato del lavoro nel nostro Paese è caratterizzato da grandissime disuguaglianze, con carenza di domanda strutturale e forti squilibri territoriali, e da un'elevatissima disoccupazione giovanile, femminile e di lunga data;
    è assolutamente indispensabile prevedere una strategia di intervento che preveda strumenti mirati di politica economica e di politica del lavoro, anche volti ad incentivare il lavoro femminile, che rappresenta la parte più debole del mercato e soffre cronicamente di discriminazioni rispetto alla distribuzione del reddito, all'accesso alle tutele, alla valorizzazione delle competenze;
    nel biennio 2008-2010 l'occupazione femminile è diminuita di 103.000 unità, pari all'I, 1 per cento; è diminuita l'occupazione qualificata di 270.000 unità ed è aumentata quella non qualificata per 218.000 unità. Il tasso di occupazione femminile in Italia è solo al 46,7 per cento. Nell'industria è diminuita la presenza delle donne del 12,7 per cento, molto più che quella degli uomini, che è diminuita del 6,3 per cento, ed il part-time è cresciuto solo perché le imprese si sono viste diminuire le esigenze produttive;
    il provvedimento in esame, per quanto attiene particolarmente alle esigenze delle lavoratrici, propone alcune misure che, senza essere accompagnate da una linea programmatica, rischiano di rimanere puramente simboliche senza apportare modifiche strutturali al sistema;
    per favorire l'occupazione femminile sarebbe necessario incrementare gli asili nido, anche con incentivi di carattere fiscale, e predisporre politiche che vadano incontro alle esigenze delle giovani coppie ed alla estensione a tutte le lavoratrici della tutela della maternità,

impegna il Governo

a mettere in atto le azioni necessarie volte a premiare l'accesso delle donne alla formazione professionale, anche prevedendo interventi di forte contrasto alla discriminazione di fatto a danno delle donne imprenditrici o che svolgono attività autonoma per quanto riguarda l'accesso al credito.
9/5256/34Montagnoli.


   La Camera,
   premesso che:
    il mercato del lavoro nel nostro Paese è caratterizzato da grandissime disuguaglianze, con carenza di domanda strutturale e forti squilibri territoriali, e da un'elevatissima disoccupazione giovanile, femminile e di lunga data;
    è assolutamente indispensabile prevedere una strategia di intervento che preveda strumenti mirati di politica economica e di politica del lavoro, anche volti ad incentivare il lavoro femminile, che rappresenta la parte più debole del mercato e soffre cronicamente di discriminazioni rispetto alla distribuzione del reddito, all'accesso alle tutele, alla valorizzazione delle competenze;
    nel biennio 2008-2010 l'occupazione femminile è diminuita di 103.000 unità, pari all'I, 1 per cento; è diminuita l'occupazione qualificata di 270.000 unità ed è aumentata quella non qualificata per 218.000 unità. Il tasso di occupazione femminile in Italia è solo al 46,7 per cento. Nell'industria è diminuita la presenza delle donne del 12,7 per cento, molto più che quella degli uomini, che è diminuita del 6,3 per cento, ed il part-time è cresciuto solo perché le imprese si sono viste diminuire le esigenze produttive;
    il provvedimento in esame, per quanto attiene particolarmente alle esigenze delle lavoratrici, propone alcune misure che, senza essere accompagnate da una linea programmatica, rischiano di rimanere puramente simboliche senza apportare modifiche strutturali al sistema;
per favorire l'occupazione femminile sarebbe necessario incrementare gli asili nido, anche con incentivi di carattere fiscale, e predisporre politiche che vadano incontro alle esigenze delle giovani coppie ed alla estensione a tutte le lavoratrici della tutela della maternità,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di mettere in atto le azioni necessarie volte a premiare l'accesso delle donne alla formazione professionale, anche prevedendo interventi di forte contrasto alla discriminazione di fatto a danno delle donne imprenditrici o che svolgono attività autonoma per quanto riguarda l'accesso al credito.
9/5256/34. (Testo modificato nel corso della seduta) Montagnoli.


   La Camera,
   premesso che:
    dalle tabelle Istat contenute nel Rapporto 2012 risulta che il tasso di disoccupazione dei ragazzi con età compresa fra i 15 e i 24 anni, tra il 2008 e il 2011, è passato dal 21,3 per cento al 29,1 per cento, con un incremento quattro volte superiore rispetto al dato medio;
    il decremento del prodotto interno lordo e le difficoltà di rilancio della produttività del nostro sistema economico non fanno che peggiorare le prospettive occupazionali nel breve periodo; ai nostri giovani viene negata la possibilità di far seguire alla carriera formativa una professione corrispondente: una laurea specialistica non solo non assicura il lavoro per cui si è studiato, ma ormai non assicura neanche un lavoro qualsiasi. Assistiamo con troppa frequenza e preoccupante immobilismo alla «fuga dei cervelli»: i nostri ragazzi scappano da questo Paese in cerca di opportunità lavorative. Questa è una sconfitta che dovrebbe portare a misure urgenti e prioritarie di crescita, di creazione di nuova e, soprattutto, di Buona occupazione;
    gli impieghi a disposizione dei giovani sono caratterizzati da compensi talmente ridotti da non permettere un'emancipazione familiare e da forme contrattuali talmente precarie da non consentire l'accesso al credito e il provvedimento in esame non migliora affatto la situazione;
    il provvedimento in esame propone di ricorrere all'apprendistato: sarà la forma di lavoro più utilizzata dai nostri giovani, e il numero di lavoratori apprendisti (che nel 2010/2011 era di circa 500.000 lavoratori) crescerà ancora, come crescerà quel senso di incertezza e di insicurezza nelle nuove generazioni;
    l'apprendistato in sé rappresenta una forma di assunzione che può anche modernizzare e rendere più dinamico il mercato del lavoro, agevolando sia le imprese che godono di agevolazioni fiscali sia i lavoratori che possono crescere professionalmente, ma è assolutamente necessario che si faccia un uso virtuoso di questi contratti e questo disegno di legge non sembra porre le basi perché ciò accada;
    terminato il contratto professionale si può essere licenziati senza alcun problema. I nostri giovani si formeranno, faranno esperienze lavorative e professionali che li arricchiranno, ma rimarranno comunque dei precari che non potranno chiedere un mutuo o dei finanziamenti per costruire il proprio futuro,

impegna il Governo

a mettere in atto le iniziative necessarie ad incentivare ed agevolare l'ingresso nel mondo lavorativo dei giovani con età inferiore ai 35 anni, anche creando una relazione più stretta fra il mondo universitario e quello delle imprese, al fine di premiare il merito ed evitare la cosiddetta «fuga dei cervelli».
9/5256/35Grimoldi, Cavallotto.


   La Camera,
   premesso che:
    dalle tabelle Istat contenute nel Rapporto 2012 risulta che il tasso di disoccupazione dei ragazzi con età compresa fra i 15 e i 24 anni, tra il 2008 e il 2011, è passato dal 21,3 per cento al 29,1 per cento, con un incremento quattro volte superiore rispetto al dato medio;
    il decremento del prodotto interno lordo e le difficoltà di rilancio della produttività del nostro sistema economico non fanno che peggiorare le prospettive occupazionali nel breve periodo; ai nostri giovani viene negata la possibilità di far seguire alla carriera formativa una professione corrispondente: una laurea specialistica non solo non assicura il lavoro per cui si è studiato, ma ormai non assicura neanche un lavoro qualsiasi. Assistiamo con troppa frequenza e preoccupante immobilismo alla «fuga dei cervelli»: i nostri ragazzi scappano da questo Paese in cerca di opportunità lavorative. Questa è una sconfitta che dovrebbe portare a misure urgenti e prioritarie di crescita, di creazione di nuova e, soprattutto, di Buona occupazione;
    gli impieghi a disposizione dei giovani sono caratterizzati da compensi talmente ridotti da non permettere un'emancipazione familiare e da forme contrattuali talmente precarie da non consentire l'accesso al credito e il provvedimento in esame non migliora affatto la situazione;
    il provvedimento in esame propone di ricorrere all'apprendistato: sarà la forma di lavoro più utilizzata dai nostri giovani, e il numero di lavoratori apprendisti (che nel 2010/2011 era di circa 500.000 lavoratori) crescerà ancora, come crescerà quel senso di incertezza e di insicurezza nelle nuove generazioni;
    l'apprendistato in sé rappresenta una forma di assunzione che può anche modernizzare e rendere più dinamico il mercato del lavoro, agevolando sia le imprese che godono di agevolazioni fiscali sia i lavoratori che possono crescere professionalmente, ma è assolutamente necessario che si faccia un uso virtuoso di questi contratti e questo disegno di legge non sembra porre le basi perché ciò accada;
    terminato il contratto professionale si può essere licenziati senza alcun problema. I nostri giovani si formeranno, faranno esperienze lavorative e professionali che li arricchiranno, ma rimarranno comunque dei precari che non potranno chiedere un mutuo o dei finanziamenti per costruire il proprio futuro,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di rivedere, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, i requisiti, anche anagrafici, degli istituti volti all'inserimento lavorativo dei giovani, anche creando una relazione più stretta fra il mondo universitario e quello delle imprese, al fine di premiare il merito ed evitare la cosiddetta «fuga dei cervelli».
9/5256/35. (Testo modificato nel corso della seduta) Grimoldi, Cavallotto.


   La Camera,
   premesso che:
    il testo in esame non sembra costituire una riforma organica e coerente del mercato del lavoro volta ad incentivare l'occupazione, ma sembra più puntare ad una accentuazione della precarizzazione del mercato del lavoro;
    per arginare gli effetti della grave crisi economica che stiamo vivendo e favorire il rilancio delle nostre imprese, è assolutamente necessaria una riforma dell'intero settore con soluzioni innovative e incentivanti che intervengano sulle procedure burocratiche e sul costo del lavoro;
    questa crisi globale è stata aggravata in tutti i Paesi industriali da interventi sbagliati nel mercato del lavoro, che hanno aumentato la precarietà e la disoccupazione;
    il nostro Paese con questo provvedimento ha deciso di anteporre le richieste dei mercati internazionali ai diritti acquisiti dei lavoratori,

impegna il Governo

a mettere in atto le opportune iniziative affinché si semplifichino le procedure burocratiche nella gestione dei rapporti di lavoro, perseguendo, al contempo, delle politiche di riduzione del cuneo fiscale e contributivo sul costo del lavoro, a partire dall'Irap.
9/5256/36Comaroli.


   La Camera,
   premesso che:
    il testo in esame non sembra costituire una riforma organica e coerente del mercato del lavoro volta ad incentivare l'occupazione, ma sembra più puntare ad una accentuazione della precarizzazione del mercato del lavoro;
    per arginare gli effetti della grave crisi economica che stiamo vivendo e favorire il rilancio delle nostre imprese, è assolutamente necessaria una riforma dell'intero settore con soluzioni innovative e incentivanti che intervengano sulle procedure burocratiche e sul costo del lavoro;
    questa crisi globale è stata aggravata in tutti i Paesi industriali da interventi sbagliati nel mercato del lavoro, che hanno aumentato la precarietà e la disoccupazione;
    il nostro Paese con questo provvedimento ha deciso di anteporre le richieste dei mercati internazionali ai diritti acquisiti dei lavoratori,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di mettere in atto, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, le opportune iniziative affinché si semplifichino le procedure burocratiche nella gestione dei rapporti di lavoro, perseguendo, al contempo, delle politiche di riduzione del cuneo fiscale e contributivo sul costo del lavoro, a partire dall'Irap.
9/5256/36. (Testo modificato nel corso della seduta) Comaroli.


   La Camera,
   valutate, le norme di cui all'articolo 1, commi 7 e 8, del provvedimento in esame;
   preso atto delle affermazioni del Ministro del lavoro e delle politiche sociali in merito all'auspicio di una parità di trattamento tra dipendenti pubblici e dipendenti privati,

impegna il Governo

a riformare la disciplina giuslavoristica applicabile al settore del pubblico impiego equiparandola a quella già in vigore per il settore privato.
9/5256/37Volpi.


   La Camera,
   premesso che:
    la vigente disciplina in materia di lavoro fissa in quaranta ore settimanali l'orario normale di lavoro, demandando alla contrattazione collettiva la facoltà di stabilire un orario inferiore;
    preso atto che il CCNL del pubblico impiego fissa l'orario ordinario di lavoro in 36 ore settimanali; ritenuto che in un momento di crisi economica e di necessità di razionalizzare la spesa pubblica è necessario un aumento della produttività del lavoro per garantire l'efficienza e recuperare risorse da destinare allo sviluppo e alla crescita,

impegna il Governo

a considerare, in sede di presentazione degli atti di indirizzo all'ARAN per il rinnovo dei contratti nel pubblico impiego, l'opportunità di armonizzare il numero annuo di ore lavorate nel pubblico impiego a quelle previste nei contratti privati.
9/5256/38Pastore.


   La Camera,
   valutate, le norme di cui all'articolo 2, comma 28, del provvedimento;
   ritenuto che l'aumento contributivo ivi previsto non produrrà alcun concreto beneficio per i lavoratori cosiddetti atipici e si tradurrà per le imprese in un aumento del costo del lavoro;
   considerato che l'opprimente pressione fiscale minaccia la competitività delle imprese ed arresta la crescita e la creazione di posti di lavoro;
   tenuto, pertanto, che gli interventi contenuti nel provvedimento, aggravando i costi delle imprese, non offriranno alcuna nuova opportunità di ingresso nel mercato del lavoro e, men che meno, incentiveranno le assunzioni a tempo indeterminato,

impegna il Governo

a relazionare in Parlamento, entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge, sugli effetti prodotti dalla legge medesima ed in particolare sul numero di contratti a tempo indeterminato di nuova stipula.
9/5256/39Meroni.


   La Camera,
   esaminate le norme di cui all'articolo 2, commi da 47 a 69, relativamente al rito speciale per le controversie in materia di licenziamenti;
   preso atto che la nuova disciplina del rito giudiziario speciale del lavoro trova applicazione ogni qualvolta siano in gioco controversie relative alla reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori;
   considerato che il nuovo iter comporta un nuovo carico di lavoro che potrebbe tradursi in un aumento di oneri per la finanza pubblica,

impegna il Governo

a procedere, entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge, ad una ricognizione sullo stato attuale degli organici del personale di magistratura ed amministrativo della giustizia e sulla loro competenza a fronteggiare le necessità derivanti dall'attuazione della nuova procedura contenziosa.
9/5256/40Bitonci.


   La Camera,
   considerate le misure fiscali contenute nel provvedimento, con contrazione della deducibilità e della detraibilità per i beni strumentali alle attività aziendali;
   ritenuto che tali interventi, apparentemente con impatto positivo sulle casse dello Stato, potrebbero rappresentare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica in quanto pongono a rischio di chiusura aziende ed imprese già in crisi, con conseguente perdita dei posti di lavoro,

impegna il Governo

ad attuare un completo processo di riforma del mercato del lavoro, reperendo urgentemente nuove risorse da destinare alla riduzione del cuneo fiscale.
9/5256/41Munerato.


   La Camera,
   ritenuto che in un periodo di crisi economica come quello attuale la riforma avrebbe dovuto contenere interventi mirati alla riduzione dei contributi di lavoratori e imprese, al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e scongiurare la chiusura di fabbriche ed imprese;
   considerato che un meccanismo di virtuosismo aziendale potrebbe innescarsi intervenendo sulla riscossione dell'Iva sugli insoluti, prevedendo che l'agenzia delle entrate chieda il versamento dell'Iva a chi il pagamento non lo ha effettuato, invece che all'azienda che non ha ricevuto il pagamento;
   valutato che in tal modo si eviterebbe di vessare aziende virtuose, che lavorano, producono e pagano le tasse, salvaguardando la loro capacità di restare sul mercato e la loro competitività,

impegna il Governo:

ad adottare i provvedimenti di propria competenza finalizzati a spostare la riscossione dell'Iva sugli insoluti dall'azienda creditrice all'azienda debitrice.
9/5256/42Torazzi.


   La Camera,
   valutati gli interventi in materia di ammortizzatori sociali di cui all'articolo 2 del provvedimento;
   ritenuto che l'obiettivo di una vera riforma degli ammortizzatori sociali avrebbe dovuto essere quello di costruire pilastri assicurativi per tutte le tipologie di lavoratori esistenti;
   preso atto che, invero, la riforma non contempla un ampliamento della platea dei potenziali beneficiari, rimanendo esclusi i lavoratori a progetto ed i collaboratori coordinati e continuativi,

impegna il Governo

ad intervenire, nelle more di attuazione del provvedimento, con provvedimenti di propria competenza volti all'estensione della normativa in materia di assicurazione sociale per l'impiego anche ai collaboratori a progetto ed ai collaboratori coordinati e continuativi.
9/5256/43Bonino.


   La Camera,
   valutati gli interventi in materia di ammortizzatori sociali di cui all'articolo 2 del provvedimento;
   ritenuto che l'obiettivo di una vera riforma degli ammortizzatori sociali avrebbe dovuto essere quello di costruire pilastri assicurativi per tutte le tipologie di lavoratori esistenti;
   preso atto che, invero, la riforma non contempla un ampliamento della platea dei potenziali beneficiari, rimanendo esclusi i lavoratori a progetto ed i collaboratori coordinati e continuativi,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire all'esito dell'attività di monitoraggio di cui all'articolo 1, comma 2, con provvedimenti di propria competenza volti all'estensione della normativa in materia di assicurazione sociale per l'impiego anche ai collaboratori a progetto ed ai collaboratori coordinati e continuativi, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica.
9/5256/43. (Testo modificato nel corso della seduta) Bonino.


   La Camera,
   valutato il combinato delle norme contenute nel provvedimento in esame con quelle della riforma previdenziale attuata dal decreto-legge n. 201 del 2011;
   preso atto, pertanto, che gli interventi in materia pensionistica e di lavoro muovono nella direzione di dover lavorare più a lungo in un mercato del lavoro che non offre opportunità occupazionali e lascia privi di copertura reddituale chi ha perso il posto di lavoro;
   ricordato che un valido strumento che soddisfi il lavoratore, il datore di lavoro e lo Stato è rappresentato dal cosiddetto «superbonus», strumento che consente al lavoratore di rimanere sul posto di lavoro oltre l'età pensionabile senza dover versare i contributi, avendo già acquisito il diritto alla pensione; in tal modo si accontenta il lavoratore, che percepisce una busta paga più sostanziosa, l'impresa, che non dovendo più versare i, contributi per la propria parte, ha tutto l'interesse a mantenere il lavoratore la cui esperienza rappresenta una risorsa e lo Stato, in quanto quel lavoratore non rappresenta un costo in termini di pensione da pagare,

impegna il Governo

a prevedere, nel prossimo provvedimento di propria competenza, la reintroduzione delle disposizioni di cui all'articolo 1, commi 12 e 13, della legge 23 agosto 2004, n. 243, concernenti la facoltà di rinunzia all'accredito contributivo presso l'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti e le forme sostitutive della medesima, per i lavoratori che abbiano maturato i requisiti minimi.
9/5256/44Forcolin.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge in esame nell'ambito delle iniziative per il rilancio del mercato del lavoro prevede il rinnovamento ed il rafforzamento del ruolo dei servizi per l'impiego e delle politiche attive del lavoro;
    l'articolo 4, commi da 48 a 50, in particolare, modifica la delega già conferita al Governo, e non ancora esercitata, in materia di servizi dell'impiego, estendendo l'ambito di applicazione della delega stessa ad iniziative che incidono direttamente sulla struttura complessiva del mercato del lavoro e creano nuova occupazione;
    ai fini del rilancio dell'occupazione sarebbe opportuno sostenere anche lo sviluppo delle attività imprenditoriali esercitate da microimprese che sono il vero motore per la crescita economica del Paese,

impegna il Governo

ad adottare iniziative volte a favorire e sostenere lo sviluppo delle attività imprenditoriali da parte di microimprese.
9/5256/45Desiderati.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge in esame non da abbastanza risalto al mondo delle piccole imprese, specie quelle a conduzione giovanile e femminile e al ruolo che queste hanno nel creare nuova forza lavoro e contribuire alla crescita del Paese;
    sono ancora molti gli ostacoli che ad oggi impediscono alle donne e ai giovani di entrare nel mondo del lavoro e di esprimere al meglio le proprie capacità. In tal senso dovrebbero essere adottate dal Governo misure più incisive a sostegno della nascita di nuove imprese femminili e giovanili;
    queste imprese se sostenute nel loro sviluppo possono infatti contribuire in maniera determinante al rilancio dell'economia italiana, offrendo al Paese la possibilità di portarsi a livelli competitivi con altri Paesi europei;
    da tempo giacciono in Parlamento diverse proposte di legge per il sostegno dell'imprenditoria e dell'occupazione giovanile e femminile, le quali disciplinano l'applicazione di specifiche iniziative per sostenere l'avvio di nuove imprese di settore,

impegna il Governo

a creare le condizioni per avviare quanto prima il dibattito parlamentare delle suddette iniziative legislative ai fini della loro definitiva ed il più possibile condivisa approvazione.
9/5256/46Bragantini.


   La Camera,
   premesso che:
    una delle cause che impedisce l'avvio di nuove attività di impresa è rappresentata dagli alti costi, sia amministrativi che fiscali, che ostacolano la creazione di investimenti ed occupazione;
    gli eccessivi oneri che gravano sulle piccole imprese sono responsabili della perdita di competitività a vantaggio delle concorrenti europee;
    il disegno di legge in esame prevede, in via sperimentale, specifiche iniziative per favorire la nascita di nuove attività di auto impresa;
    sarebbe opportuno che venissero adottate, in forma permanente, iniziative di tutela delle piccole imprese che prevedano una riduzione degli oneri a loro carico,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare, in forma permanente, opportune iniziative volte al contenimento degli oneri in favore dei soggetti che intendano avviare un'attività di lavoro autonomo, ovvero un'attività in forma di auto impresa e di micro impresa.
9/5256/47Buonanno.


   La Camera,
   premesso che:
    una delle cause che impedisce l'avvio di nuove attività di impresa è rappresentata dagli alti costi, sia amministrativi che fiscali, che ostacolano la creazione di investimenti ed occupazione;
    gli eccessivi oneri che gravano sulle piccole imprese sono responsabili della perdita di competitività a vantaggio delle concorrenti europee;
    il disegno di legge in esame prevede, in via sperimentale, specifiche iniziative per favorire la nascita di nuove attività di auto impresa;
    sarebbe opportuno che venissero adottate, in forma permanente, iniziative di tutela delle piccole imprese che prevedano una riduzione degli oneri a loro carico,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, opportune iniziative volte al contenimento degli oneri in favore dei soggetti che intendano avviare un'attività di lavoro autonomo, ovvero un'attività in forma di auto impresa e di micro impresa.
9/5256/47. (Testo modificato nel corso della seduta) Buonanno.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge in esame prevede specifiche iniziative per accrescere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro;
    le imprese femminili sono una realtà sempre più importante per il nostro Paese che seppur timidamente è in continua crescita;
    sono ancora molti gli ostacoli che ad oggi impediscono alle donne di entrare nel mondo del lavoro e di esprimere al meglio le proprie capacità ed è per tale ragione che sono necessari interventi che possano agevolare la nascita di nuove imprese femminili, le quali se sostenute nel loro sviluppo possono contribuire in maniera determinante al rilancio dell'economia del Paese,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di sostenere l'avvio di nuove micro imprese femminili, adottando misure di agevolazione e di incentivazione in materia di contribuzione previdenziale, di sostegno all'occupazione, di sgravi fiscali e di accesso al credito.
9/5256/48Reguzzoni.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge in esame prevede specifiche iniziative per accrescere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro;
    le imprese femminili sono una realtà sempre più importante per il nostro Paese che seppur timidamente è in continua crescita;
    sono ancora molti gli ostacoli che ad oggi impediscono alle donne di entrare nel mondo del lavoro e di esprimere al meglio le proprie capacità ed è per tale ragione che sono necessari interventi che possano agevolare la nascita di nuove imprese femminili, le quali se sostenute nel loro sviluppo possono contribuire in maniera determinante al rilancio dell'economia del Paese,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di sostenere, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, l'avvio di nuove micro imprese femminili, adottando misure di agevolazione e di incentivazione in materia di contribuzione previdenziale, di sostegno all'occupazione, di sgravi fiscali e di accesso al credito.
9/5256/48. (Testo modificato nel corso della seduta) Reguzzoni.


   La Camera,
   premesso che:
    gli effetti delle manovre del Governo si ripercuotono pesantemente sui lavoratori bergamaschi;
    il decreto-legge 6 dicembre 2011 n. 201, c.d. «Salva Italia», convertito in legge 22 dicembre 2011 n. 214, ha aperto un buco contributivo per tanti lavoratori bergamaschi;
    molti di loro hanno, infatti, sottoscritto con le rispettive aziende un piano di esodo anticipato con accompagnamento alla pensione e si trovano ora, per effetto, del decreto «Salva Italia» a fare i conti con uno stravolgimento completo dei requisiti di accesso e, dunque, con un buco contributivo; nella sola Provincia di Bergamo tali ripercussioni riguardano, secondo alcune recenti stime, oltre 1000 dipendenti di svariati settori e aziende (Poste Italiane, Legler, Donora, ecc), che hanno sottoscritto accordi, con i quali gli stessi acconsentono a presentare le dimissioni volontarie ma gli viene garantito l'accompagnamento fino alla maturazione del requisito per la pensione;
    al momento della sottoscrizione del piano di esodo i lavoratori – che a livello nazionale sono oltre 390.000 – avevano una previsione di maturazione dei requisiti alla pensione tra il 2012 e il 2013 con meccanismi differenti: chi per il raggiungimento dell'ammontare degli anni di lavoro e chi per effetto dell'età;
    la legge n. 214/11 ha scardinato completamente le aspettative di pensionamento di questi lavoratori, che si ritrovano così senza un lavoro e con un buco contributivo che impedisce il raggiungimento dei requisiti minimi per l'accesso alla pensione;
    in particolare, il Governo vuole sanare la situazione di una piccola parte di lavoratori, lasciando fuori ad esempio chi nel 2012 ha raggiunto l'età minima pensionabile secondo la vecchia normativa, ma non avendo versato i contributi volontari (in quanto raggiungeva al momento degli accordi con l'azienda oltre i 36 anni di contribuzione), si trova a dover aspettare ulteriori anni per avere la pensione,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni contenute nel disegno di legge in esame, al fine di adottare iniziative normative volte a prorogare a tutti i lavoratori interessati alle procedure di dimissioni volontarie con accompagnamento alla pensione le norme e gli accordi siglati prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 201 del 2011, per permettere alle migliaia di famiglie coinvolte di potersi degnamente sostenere, soprattutto in questo momento di grave crisi economica e finanziaria.
9/5256/49Stucchi, Consiglio.


   La Camera,
   premesso che:
    gli effetti delle manovre del Governo si ripercuotono pesantemente sui lavoratori bergamaschi;
    il decreto-legge 6 dicembre 2011 n. 201, c.d. «Salva Italia», convertito in legge 22 dicembre 2011 n. 214, ha aperto un buco contributivo per tanti lavoratori bergamaschi;
    molti di loro hanno, infatti, sottoscritto con le rispettive aziende un piano di esodo anticipato con accompagnamento alla pensione e si trovano ora, per effetto, del decreto «Salva Italia» a fare i conti con uno stravolgimento completo dei requisiti di accesso e, dunque, con un buco contributivo; nella sola Provincia di Bergamo tali ripercussioni riguardano, secondo alcune recenti stime, oltre 1000 dipendenti di svariati settori e aziende (Poste Italiane, Legler, Donora, ecc), che hanno sottoscritto accordi, con i quali gli stessi acconsentono a presentare le dimissioni volontarie ma gli viene garantito l'accompagnamento fino alla maturazione del requisito per la pensione;
    al momento della sottoscrizione del piano di esodo i lavoratori – che a livello nazionale sono oltre 390.000 – avevano una previsione di maturazione dei requisiti alla pensione tra il 2012 e il 2013 con meccanismi differenti: chi per il raggiungimento dell'ammontare degli anni di lavoro e chi per effetto dell'età;
    la legge n. 214/11 ha scardinato completamente le aspettative di pensionamento di questi lavoratori, che si ritrovano così senza un lavoro e con un buco contributivo che impedisce il raggiungimento dei requisiti minimi per l'accesso alla pensione;
    in particolare, il Governo vuole sanare la situazione di una piccola parte di lavoratori, lasciando fuori ad esempio chi nel 2012 ha raggiunto l'età minima pensionabile secondo la vecchia normativa, ma non avendo versato i contributi volontari (in quanto raggiungeva al momento degli accordi con l'azienda oltre i 36 anni di contribuzione), si trova a dover aspettare ulteriori anni per avere la pensione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere, nell'ambito del più organico disegno di revisione della normativa pensionistica e compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, le disposizioni volte a prorogare a tutti i lavoratori interessati alle procedure di dimissioni volontarie con accompagnamento alla pensione le norme e gli accordi siglati prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 201 del 2011, per permettere alle migliaia di famiglie coinvolte di potersi degnamente sostenere, soprattutto in questo momento di grave crisi economica e finanziaria.
9/5256/49. (Testo modificato nel corso della seduta) Stucchi, Consiglio.


   La Camera,
   esaminato il provvedimento in titolo;
   preso atto, in particolare, del contenuto dell'articolo 3, commi 48 e 49;
   preso atto delle difficoltà che i titolari di contratti di mutuo stanno attraversando a causa delle drammatiche conseguenze della crisi economica che il nostro Paese sta attraversando; la perdita del lavoro, soprattutto per i nuclei familiari monoreddito, equivale all'impossibilità di sostenere la rata mensile del mutuo, mettendo a rischio addirittura la proprietà dell'immobile;
   considerato che, oltre alle famiglie, anche le imprese hanno difficoltà ad onorare i finanziamenti stipulati a causa della riduzione delle commesse e della carenza di liquidità; gli imprenditori che invece avrebbero possibilità di sviluppo non riescono ad ottenere credito dal sistema bancario, a causa dei requisiti eccessivamente prudenziali che le banche hanno per valutare la qualità degli affidamenti e a causa dei requisiti patrimoniali imposti alle nostre banche dalle autorità di vigilanza europee; la BCE ha immesso grande liquidità nel sistema bancario ad un tasso agevolato e, secondo gli annunci, continuerà a farlo per tutto il 2012, ma tale liquidità non sembra sia stata utilizzata per erogare credito a favore delle imprese e delle famiglie,

impegna il Governo

ad attivarsi presso il sistema bancario per far sì che la grande liquidità immessa dalla BCE venga utilizzata per finanziare le necessità di famiglie ed imprese in una fase economica così delicata come quella che la nostra economia sta attraversando.
9/5256/50Fugatti.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto in esame reca disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita;
    con tale provvedimento il Governo intende rispondere all'esigenza di ammodernare il mercato del lavoro italiano, intervenendo su alcune criticità strutturali, oggetto ormai da molti anni di un ampio dibattito, politico e culturale, che ruota intorno alle tematiche della flessibilità, del lavoro giovanile e femminile, degli ammortizzatori sociali;
    si tratta di temi che negli ultimi tempi, con l'approfondirsi della crisi economica e sociale, sono stati a più riprese evocati anche a livello comunitario;
    il presente provvedimento, nella necessità di dover urgentemente intervenire con riforme strutturali per il rilancio del sistema Paese, non può che leggersi in combinato disposto con il decreto-legge sulla revisione della spesa pubblica, in esame in questi giorni presso le Commissioni riunite I e V;
    nell'ottica infatti di una migliore organizzazione del sistema della pubblica amministrazione, si considera prioritario agire innanzitutto sul fronte della razionalizzazione e del contenimento della spesa pubblica, per un verso, e dell'ottimizzazione della produttività del lavoro e dell'efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, per l'altro;
    la legge n. 15 del 2009, recante la c.d. «riforma Brunetta», ed i decreti legislativi attuativi della medesima, hanno dettato numerose nuove disposizioni aventi per obiettivo la lotta all'assenteismo, la riforma della dirigenza, la responsabilità disciplinare, la premialità, la trasparenza ed il controllo del lavoro pubblico;
    nella fattispecie, sono state oggetto di revisione normativa le prescrizioni in materia di eccedenze di personale e mobilità collettiva di cui al testo unico sul pubblico impiego, decreto legislativo n. 165 del 2001;
    nel comparto pubblico gli esuberi di personale sono gestiti secondo una peculiare procedura che pone in capo alle amministrazioni interessate l'obbligo di informare preventivamente le organizzazioni sindacali, con una comunicazione che contenga le ragioni che determinano la situazione di eccedenza, i motivi tecnici ed organizzativi che impediscono di adottare misure di riassorbimento entro la medesima amministrazione, le caratteristiche quantitative e professionali del personale in esubero e di quello normalmente impiegato;
    il compito di ricollocare il personale eccedente presso altre amministrazioni è affidato sia alla contrattazione decentrata, ossia agli accordi gestionali stipulati al termine delle procedure di mobilità, sia alla contrattazione nazionale di comparto, ma la procedura di mobilità collettiva si applica solo qualora l'eccedenza riguardi un numero di almeno dieci dipendenti, mentre per eccedenze inferiori alle dieci unità si applica direttamente il collocamento in disponibilità dei dipendenti in sovrannumero; con un'indennità pari all'80 per cento dello stipendio e dell'indennità integrativa speciale;
    la novella significativa apportata dalla «riforma Brunetta» alla predetta procedura è la previsione di una responsabilità per danno erariale in capo al dirigente responsabile in caso di mancata individuazione delle eccedenze delle unità di personale;
    in forza delle citate disposizioni, una volta rilevati i dati delle eccedenze di personale, ripartiti per Regione, si dovrebbe conseguentemente accertare quante procedure per danno erariale siano state avviate;
    risulta in corso una attività di monitoraggio del fenomeno delle eccedenze di personale pubblico a seguito degli interventi normativi di potenziamento dello strumento della mobilità inseriti nelle ultime manovre finanziarie, potenziamento che si rende oggi ancora più necessario per ragioni di economicità ed efficienza, di razionale utilizzo delle risorse pubbliche, di ottimizzazione della distribuzione delle stesse, anche come possibile conseguenza degli interventi di riduzione degli assetti organizzativi,

impegna il Governo

ad assumere le necessarie iniziative per dare completa ed effettiva attuazione alle disposizioni normative previste dalla c.d. «riforma Brunetta» e disporre dunque la mobilità del personale riscontrato in esubero presso le amministrazioni pubbliche, in particolare in riferimento alle dotazioni degli enti locali, affinché si possa dare concreta soluzione all'anomalia determinata dal carico sulla finanza pubblica del pagamento delle indennità del personale pubblico in soprannumero, posto che tali unità di personale non costituiscono eccedenze ai sensi dell'articolo 33 del decreto legislativo n. 165 del 2001 e restano temporaneamente in posizione soprannumeraria nell'ambito dei contingenti di ciascuna area o qualifica dirigenziale.
9/5256/51Vanalli, Consiglio.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto in esame reca disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita;
    il provvedimento è al centro del dibattito politico ormai da alcuni mesi, soprattutto con riferimento ai temi della flessibilità del lavoro in entrata e dei licenziamenti;
    esso è volto a riformare il quadro giuridico relativo al mercato del lavoro anche alla luce della normativa europea;
    essendo provvedimento dalla struttura complessa, presenta indubbiamente anche taluni aspetti problematici, in relazione soprattutto all'introduzione di discipline di carattere organico che non appaiono inserite nell'ambito di un appropriato contesto normativo;
    in particolare in riferimento ai commi 47 e seguenti dell'articolo 1, che introducono un procedimento speciale per le controversie aventi ad oggetto l'impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall'articolo 18 della legge n. 1970, senza introdurre gli opportuni coordinamenti con la normativa generale del rito del lavoro contenuta agli articoli 409 e seguenti del codice di procedura civile,

impegna il Governo

ad assumere le opportune iniziative normative volte a chiarire il rapporto tra la normativa in questione e quella contenuta nel codice di procedura civile agli articoli 409 e seguenti che disciplinano il rito del lavoro e altresì ad inserire una clausola di chiusura che disponga l'applicabilità delle norme contenute nel codice di rito per tutto ciò che non è disciplinato dal provvedimento all'esame.
9/5256/52Crosio.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto in esame reca disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita;
    il provvedimento è al centro del dibattito politico ormai da alcuni mesi, soprattutto con riferimento ai temi della flessibilità del lavoro in entrata e dei licenziamenti;
    esso è volto a riformare il quadro giuridico relativo al mercato del lavoro anche alla luce della normativa europea;
    essendo provvedimento dalla struttura complessa, presenta indubbiamente anche taluni aspetti problematici, in relazione soprattutto all'introduzione di discipline di carattere organico che non appaiono inserite nell'ambito di un appropriato contesto normativo;
    in particolare in riferimento ai commi 47 e seguenti dell'articolo 1, che introducono un procedimento speciale per le controversie aventi ad oggetto l'impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall'articolo 18 della legge n. 1970, senza introdurre gli opportuni coordinamenti con la normativa generale del rito del lavoro contenuta agli articoli 409 e seguenti del codice di procedura civile,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere le opportune iniziative normative volte a chiarire il rapporto tra la normativa in questione e quella contenuta nel codice di procedura civile agli articoli 409 e seguenti che disciplinano il rito del lavoro e altresì ad inserire una clausola di chiusura che disponga l'applicabilità delle norme contenute nel codice di rito per tutto ciò che non è disciplinato dal provvedimento all'esame.
9/5256/52. (Testo modificato nel corso della seduta) Crosio.


   La Camera,
   premesso che:
    le difficoltà che incontrano le famiglie con un disabile grave sono molteplici e non sempre i servizi forniti dall'assistenza pubblica sono sufficienti a supportare in maniera adeguata le famiglie;
    spesso uno dei genitori si vede costretto ad abbandonare prematuramente il proprio lavoro per poter sopperire alle esigenze derivanti dal dover assistere un figlio affetto da disabilità grave;
    in particolare si sente la necessità di misure per conciliare i tempi del lavoro e quindi della pensione con l'attività che si svolge per accudire i disabili,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere benefici in favore dei lavoratori che sono genitori ovvero coniugi o comunque familiari conviventi di soggetti disabili.
9/5256/53Caparini.


   La Camera,
   premesso che:
    le difficoltà che incontrano le famiglie con un disabile grave sono molteplici e non sempre i servizi forniti dall'assistenza pubblica sono sufficienti a supportare in maniera adeguata le famiglie;
    spesso uno dei genitori si vede costretto ad abbandonare prematuramente il proprio lavoro per poter sopperire alle esigenze derivanti dal dover assistere un figlio affetto da disabilità grave;
    in particolare si sente la necessità di misure per conciliare i tempi del lavoro e quindi della pensione con l'attività che si svolge per accudire i disabili,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, benefici in favore dei lavoratori che sono genitori ovvero coniugi o comunque familiari conviventi di soggetti disabili.
9/5256/53. (Testo modificato nel corso della seduta) Caparini.


   La Camera,
   premesso che:
    sussistono elementi di connessione tra la materia oggetto del provvedimento in esame e numerose procedure di infrazione aperte dalla Commissione europea nei confronti dell'Italia;
    considerato che risultano tuttora aperte alcune procedure d'infrazione per mancato recepimento di direttive;
    la legge comunitaria 2010 (articolo 21 legge n. 217 del 2011) delega il Governo ad attuare la direttiva n. 2009/52/CE che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. Il termine per l'attuazione della direttiva è scaduto il 20 luglio 2011 ed a seguito di questo è stata inviata al nostro Paese una lettera di messa in mora (procedura d'infrazione n. 2011/1073);
    la direttiva 2009/52/CE introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. Obiettivo della presente direttiva è di combattere l'immigrazione illegale agendo contro il fattore di richiamo rappresentato dal lavoro, essendo la causa principale di attrazione dell'immigrazione illegale nell'Unione europea per chi non ha lo status giuridico richiesto,

impegna il Governo

a valutare il rischio che dall'emanazione del decreto legislativo di attuazione della direttiva 2009/52/CE, al fine di consentire il superamento della procedura di infrazione n. 2011/1073, non possa derivare, per i lavoratori interessati, l'aspettativa di una sanatoria generalizzata.
9/5256/54Consiglio.


   La Camera,
   considerato che il nuovo articolo 69-bis del decreto legislativo n. 276 del 2003, rubricato: altre prestazioni lavorative rese in regime di lavoro autonomo, introdotto con detto disegno di legge, prevede per le prestazioni lavorative di lavoro autonomo, che la presunzione che determina l'integrale applicazione della nuova disciplina, ivi compresa la norma dell'articolo 69, comma 1, (rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato), sia applicata ai rapporti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore della presente disposizione. Per i rapporti in corso a tale data, al fine di consentire gli opportuni adeguamenti, le predette norme si applicano decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore;
   preso atto che, in un momento di grave crisi economica la previsione normativa in parola, di fatto, si potrebbe tradurre in un notevole aumento dello stato di disoccupazione, con prevalenza di quello giovanile, causato da eventuali dubbi interpretativi dall'applicazione di codesto precetto;
   rilevato che per rapporti in corso si potrebbero intendere sia quelli disciplinati da contratti scritti tra la parti a cui, successivamente o con cadenza prestabilita, sia connessa, ai fini del pagamento della prestazione lavorativa, l'emissione di un documento contabile (fattura), e sia quelli privi di qualunque contratto, ma disciplinati da meri comportamenti concludenti tra le parti, a titolo esemplificativo e non esaustivo, attraverso (ai fini del pagamento della prestazione) la semplice emissione da parte del prestatore del documento contabile (fattura);
   considerato che appare opportuno ricomprendere ai fini interpretativi, nella locuzione di «rapporti in corso», oltre ai rapporti contrattualizzati di cui ut supra, anche quelli afferenti a meri comportamenti concludenti tra le parti, purché sia stato emesso, precedentemente alla data di entrata in vigore della presente novella legislativa, almeno un documento contabile (fattura) attestante la prestazione lavorativa,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative per consentire un'interpretazione della nuova disciplina introdotta con il presente disegno di legge, in relazione alle prestazioni lavorative rese in regime di lavoro autonomo di cui all'articolo 69-bis del decreto legislativo n. 276 del 2003, nel senso che sia ricompreso nel periodo transitorio, precisamente nella parte della locuzione afferente ai «rapporti in corso ... a tale data, al fine di consentire gli opportuni adeguamenti, le predette disposizioni si applicano decorsi dodici mesi ...», oltre ai rapporti tra le parti fondati su accordi scritti, anche il prestatore di lavoro autonomo, non contrattualizzato, che abbia semplicemente emesso, precedentemente alla data dell'entrata in vigore dell'attuale provvedimento, un documento contabile (fattura) attestante la prestazione lavorativa.
9/5256/55Nicola Molteni.


   La Camera,
   considerato che l'articolo 70, come modificato dal presente disegno di legge, del decreto legislativo n. 276 del 2003, prevede che per prestazioni di lavoro accessorio, ovverosia le attività lavorative di natura meramente occasionale, debbano intendersi quelle che non diano luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare, e che dette attività nei confronti dei committenti imprenditori commerciali o professionisti, possono essere svolte a favore di ciascun singolo committente per compensi non superiori a 2.000 euro;
   rilevato che le disposizioni di cui al novellato articolo 70 citato, in tema di lavoro accessorio occasionale, si applicano anche in agricoltura alle attività agricole di carattere stagionale effettuate da pensionati e da giovani con meno di venticinque anni di età se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, compatibilmente con gli impegni scolastici ovvero in qualunque periodo dell'anno se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l'università;
   preso atto che, come affermato dalla Coldiretti, molti disoccupati delle grandi aziende del Nord in crisi hanno trovato una valida alternativa nel lavoro stagionale offerto dall'agricoltura attraverso la raccolta di frutta e verdura;
   preso atto che, in un momento di grave crisi economica, la disposizione in parola di fatto si potrebbe tradurre in un notevole aumento dello stato di disoccupazione, con prevalenza di quello giovanile, causato da eventuali dubbi interpretativi dall'applicazione di detta norma, che parrebbe solo incentivare l'utilizzo di lavoro sommerso o extracomunitario irregolare;
   rilevato che con l'entrata in vigore dell'articolo 70 del disegno di legge in parola si introdurrebbero, da subito, i limiti di cui sopra a discapito delle campagne di raccolta in itinere delle olive, dell'uva o delle altre colture per l'anno 2012;
   considerato che è auspicabile introdurre un regime transitorio il quale preveda un differimento del nuovo regime al prossimo anno solare ovvero un'applicazione della norma tale da rendere eventuali compensi già percepiti nell'anno in corso pienamente cumulabili con i limiti sopra riferiti,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative per consentire un'interpretazione della disciplina modificata dal presente disegno di legge, in relazione alle prestazioni di lavoro accessorio di cui all'articolo 70 del decreto legislativo n. 276 del 2003, attraverso la previsione di un regime transitorio il quale preveda un differimento del nuovo regime al prossimo anno solare ovvero un'applicazione della norma tale da rendere eventuali compensi già percepiti nell'anno in corso pienamente cumulabili con i limiti sopra riferiti.
9/5256/56Fogliato.


   La Camera,
   premesso che:
    alcune possibili conseguenze inintenzionali della riforma del diritto del lavoro oggetto del provvedimento al suo esame, in particolare sotto il profilo della disincentivazione della reiterazione di rapporti di lavoro a tempo determinato da parte di organismi parastatali, che invece necessitano di questo strumento per espandere provvisoriamente il proprio personale in vista di specifiche esigenze temporanee;
    ritenendo opportuno suggerire il riesame di alcune disposizioni, qualora tali conseguenze inintenzionali si traducessero in riduzioni significative dell'occupazione o nella rinuncia alla fornitura di servizi comunque commissionati dalla Pubblica Amministrazione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ulteriori interventi correttivi qualora entro i primi sei mesi di applicazione della nuova disciplina dovessero osservarsi considerevoli riduzioni nel numero dei contratti a tempo determinato non compensate da paralleli incrementi dei contratti di lavoro a tempo indeterminato.
9/5256/57Chiappori.


   La Camera,
   ritenendo la riforma del diritto del lavoro in esame parte di un riassetto destinato ad incidere profondamente sul personale del settore privato e del pubblico impiego;
   sottolineando le specificità di alcuni comparti, come quello in cui è raggruppato il personale militare e delle forze dell'ordine;
   rilevando altresì le peculiarità delle attività professionali condotte a favore di società private impegnate nella fornitura di servizi di protezione di varia natura,

impegna il Governo

a valutare in sede di applicazione del provvedimento di riforma del lavoro le eventuali conseguenze sul comparto pubblico Difesa e Sicurezza, e su quello in cui operano le società di sicurezza privata, qualora incompatibili con la specificità delle rispettive professioni.
9/5256/58Gidoni, Ascierto, Volpi, Santelli, Scilipoti, Galletti, Misiti, Luciano Rossi, Paglia, Moffa.


   La Camera,
   premesso che:
    nel corso dell'esame al Senato del provvedimento di conversione in legge del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216 (recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative) è stato introdotta la lettera e-bis) al comma 14 dell'articolo 24 (nuova disciplina previdenziale) del decreto-legge 201/2011, che ha previsto che le disposizioni previgenti in materia di requisiti di accesso e di regime di decorrenza dei trattamenti pensionistici (c.d. finestre”) continuino ad applicarsi anche ai lavoratori che alla data del 31 ottobre 2011 risultino essere in congedo per assistere figli con disabilità grave ai sensi dell'articolo 42, comma 5, del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, a condizione che maturino, entro ventiquattro mesi dalla data di inizio del predetto congedo, il requisito contributivo per l'accesso al pensionamento indipendentemente dall'età anagrafica;
    tale norma che consente ai lavoratori del settore pubblico e privato, che assistono figli gravemente disabili e che fruiscono del congedo biennale retribuito, di andare in pensione con i requisiti antecedenti le novità introdotte dalla recente riforma del sistema previdenziale se maturati nel periodo del congedo, ha generato una serie di profili di criticità tali da rendere gli effetti della sua applicazione parziali ed iniqui;
    sono oramai quasi diciotto anni, senza che mai si sia riusciti a terminare l'iter, che in Parlamento si discutono proposte di legge volte ad prevedere una disciplina di prepensionamento per i familiari che assistono un proprio parente gravemente disabile;
    è necessario dare effettiva concretezza al diritto già espresso all'articolo 7 della legge 104/1992 che disciplina che la cura e la riabilitazione della persona diversamente abile si realizzino con programmi che prevedano prestazioni sanitarie e sociali integrate tra loro, che agiscano sulla globalità della situazione di handicap, coinvolgendo la famiglia;
    è prioritario attivare strategie a più livelli che permettano il mantenimento delle persone disabili all'interno del proprio nucleo familiare, perché disattendere il principio della valorizzazione e del supporto del nucleo familiare, a cui il cittadino disabile appartiene, significa ostacolare il processo di integrazione sociale. È, pertanto, un dovere fondamentale del legislatore in questa ottica strutturare interventi che allentino le tensioni cui è sottoposta la famiglia in presenza di componenti bisognosi di assistenza e di cure per compiere gli atti quotidiani della vita,

impegna il Governo

a promuovere politiche di tutela per le famiglie che si fanno carico di persone gravemente disabili, in particolar modo introducendo, per i lavoratori con figli gravemente disabili, una specifica esenzione dall'applicazione della nuova disciplina previdenziale introdotta ex articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011 n. 201.
9/5256/59Martini.


   La Camera,
   premesso che:
    nel corso dell'esame al Senato del provvedimento di conversione in legge del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216 (recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative) è stato introdotta la lettera e-bis) al comma 14 dell'articolo 24 (nuova disciplina previdenziale) del decreto-legge 201/2011, che ha previsto che le disposizioni previgenti in materia di requisiti di accesso e di regime di decorrenza dei trattamenti pensionistici (c.d. finestre”) continuino ad applicarsi anche ai lavoratori che alla data del 31 ottobre 2011 risultino essere in congedo per assistere figli con disabilità grave ai sensi dell'articolo 42, comma 5, del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, a condizione che maturino, entro ventiquattro mesi dalla data di inizio del predetto congedo, il requisito contributivo per l'accesso al pensionamento indipendentemente dall'età anagrafica;
    tale norma che consente ai lavoratori del settore pubblico e privato, che assistono figli gravemente disabili e che fruiscono del congedo biennale retribuito, di andare in pensione con i requisiti antecedenti le novità introdotte dalla recente riforma del sistema previdenziale se maturati nel periodo del congedo, ha generato una serie di profili di criticità tali da rendere gli effetti della sua applicazione parziali ed iniqui;
    sono oramai quasi diciotto anni, senza che mai si sia riusciti a terminare l'iter, che in Parlamento si discutono proposte di legge volte ad prevedere una disciplina di prepensionamento per i familiari che assistono un proprio parente gravemente disabile;
    è necessario dare effettiva concretezza al diritto già espresso all'articolo 7 della legge 104/1992 che disciplina che la cura e la riabilitazione della persona diversamente abile si realizzino con programmi che prevedano prestazioni sanitarie e sociali integrate tra loro, che agiscano sulla globalità della situazione di handicap, coinvolgendo la famiglia;
    è prioritario attivare strategie a più livelli che permettano il mantenimento delle persone disabili all'interno del proprio nucleo familiare, perché disattendere il principio della valorizzazione e del supporto del nucleo familiare, a cui il cittadino disabile appartiene, significa ostacolare il processo di integrazione sociale. È, pertanto, un dovere fondamentale del legislatore in questa ottica strutturare interventi che allentino le tensioni cui è sottoposta la famiglia in presenza di componenti bisognosi di assistenza e di cure per compiere gli atti quotidiani della vita,

impegna il Governo

a promuovere politiche di tutela per le famiglie che si fanno carico di persone gravemente disabili, in particolar modo introducendo, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, per i lavoratori con figli gravemente disabili, una specifica esenzione dall'applicazione della nuova disciplina previdenziale introdotta ex articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011 n. 201.
9/5256/59. (Testo modificato nel corso della seduta) Martini.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge in esame si propone espressamente, fin dall'articolo 1, comma 1, come obiettivi prioritari sia la creazione di occupazione che la crescita economica;
    entrambi gli obiettivi presuppongono un sistema di imprese in buona salute, in prospettiva di sviluppo e di ampliamento delle attività e del fatturato, per liberare risorse a favore degli investimenti, in un circolo virtuoso che ha come risultato la creazione di posti di lavoro nuovi, stabili e di sempre migliore qualità;
    la salute del sistema delle imprese, necessita, oltre che di abilità imprenditoriale, di un ambiente burocratico e fiscale non penalizzante, se non favorevole, per sostenerne la capacità competitiva in mercati che sono ormai veramente globali, a tutti i livelli;
    il disegno di legge in esame, a fronte di alcune disposizioni che dovrebbero incidere positivamente sul mercato del lavoro, carica in parte i costi di queste iniziative sullo stesso sistema delle imprese, simulando un gioco delle tre carte perverso, perché a fronte di nuovi carichi fiscali certi promette effetti solo stimabili delle riforme proposte;
    come ha denunciato il 21 giugno 2012 nel corso della assemblea annuale di confcommercio il presidente Sangalli, la pressione fiscale sulle imprese ha raggiunto nel nostro Paese il livello record del 55 per cento, mentre il PIL pro-capite è sceso ai livelli del 1999; una zavorra che incide sul sistema produttivo e sulla sua possibilità di creare occupazione probabilmente molto di più di qualunque riforma dei contratti di lavoro,

impegna il Governo

a considerare il livello di tassazione sulle imprese come fattore prioritario di incidenza sull'andamento del mercato del lavoro e a mettere a punto al più presto un provvedimento di riduzione della pressione fiscale complessiva sul sistema produttivo del nostro Paese.
9/5256/60Fava.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge in esame si propone espressamente, fin dall'articolo 1, comma 1, come obiettivi prioritari sia la creazione di occupazione che la crescita economica;
    entrambi gli obiettivi presuppongono un sistema di imprese in buona salute, in prospettiva di sviluppo e di ampliamento delle attività e del fatturato, per liberare risorse a favore degli investimenti, in un circolo virtuoso che ha come risultato la creazione di posti di lavoro nuovi, stabili e di sempre migliore qualità;
    la salute del sistema delle imprese, necessita, oltre che di abilità imprenditoriale, di un ambiente burocratico e fiscale non penalizzante, se non favorevole, per sostenerne la capacità competitiva in mercati che sono ormai veramente globali, a tutti i livelli;
    il disegno di legge in esame, a fronte di alcune disposizioni che dovrebbero incidere positivamente sul mercato del lavoro, carica in parte i costi di queste iniziative sullo stesso sistema delle imprese, simulando un gioco delle tre carte perverso, perché a fronte di nuovi carichi fiscali certi promette effetti solo stimabili delle riforme proposte;
    come ha denunciato il 21 giugno 2012 nel corso della assemblea annuale di confcommercio il presidente Sangalli, la pressione fiscale sulle imprese ha raggiunto nel nostro Paese il livello record del 55 per cento, mentre il PIL pro-capite è sceso ai livelli del 1999; una zavorra che incide sul sistema produttivo e sulla sua possibilità di creare occupazione probabilmente molto di più di qualunque riforma dei contratti di lavoro,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, di considerare il livello di tassazione sulle imprese come fattore prioritario di incidenza sull'andamento del mercato del lavoro e a mettere a punto al più presto un provvedimento di riduzione della pressione fiscale complessiva sul sistema produttivo del nostro Paese.
9/5256/60. (Testo modificato nel corso della seduta) Fava.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge in esame, per esplicita ammissione del Governo, è stato messo a punto su indicazione ed in risposta alla famosa «lettera della BCE» del 5 agosto, inviata al Governo italiano da parte dei Governatori, l'uno in carica e l'altro subentrante, di un organismo prettamente finanziario, senza alcun ruolo politico e senza alcun avvallo democratico;
    a conferma di ciò alcuni giorni fa il Dott. Squinzi, presidente di Confindustria, ha ribadito che pur essendo questa riforma «una boiata» è necessario approvarla per dimostrare all'UE di avere obbedito all'indicazione partita a livello comunitario;
    tali atteggiamenti fanno emergere come né la BCE, né il Governo italiano, né il Ministro del lavoro, abbiano concepito e lavorato alla riforma in esame solo con l'obiettivo del tutto secondario di migliorare concretamente il nostro sistema. L'unico orientamento imprescindibile era invece rispondere, indipendentemente dalla bontà del contenuto della risposta, ad una autorità esterna che per di più non ha istituzionalmente alcuna conoscenza né alcuna competenza in materia del mercato del lavoro ma deve occuparsi obbligatoriamente solo di rigore monetario,

impegna il Governo

a pretendere in sede comunitaria un maggiore rispetto ed una maggiore indipendenza per scelte che sono prettamente politiche e sociali, in quanto afferenti alla vita delle persone, e non possono essere subalterne solo ed esclusivamente a scelte economiche e finanziarie.
9/5256/61Pini.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge in esame attua alcune modifiche sulla flessibilità in entrata ed in uscita dal mercato del lavoro in particolare per quel che riguarda i lavoratori del settore privato;
    da più parti, anche all'interno del Governo, è stata sostenuta la necessità impellente di modificare anche le norme sulla possibilità di uscita dal lavoro per i lavoratori del pubblico impiego, un argomento troppo a lungo rinviato in questo Paese, ma attuato a causa della crisi in molti altri Paesi europei, dalla Germania, alla Gran Bretagna, e naturalmente in Grecia;
    la mappatura del pubblico impiego nel nostro Paese offre un'immagine molto disomogenea, con aree nelle quali il numero di dipendenti pubblici è abnorme rispetto al numero di abitanti, ed altre; aree nelle quali il numero è proporzionato rispetto al servizio che deve essere garantito ai cittadini,

impegna il Governo

ad attuare al più presto una riforma del sistema del pubblico impiego che comprenda una riduzione degli organici del settore pubblico nelle aree laddove è maggiore il rapporto tra dipendenti pubblici ed abitanti.
9/5256/62Dal Lago.


   La Camera,
   premesso che:
    la relazione tecnica relativa al disegno di legge in esame appare in alcuni passaggi non esaustiva, laddove non chiarisce in base a quali parametri vengano elaborate le quantificazioni;
    le possibili carenze di copertura sono in realtà ambiguamente compensate dalla possibilità prevista dal provvedimento, a seguito di un monitoraggio degli interventi previsti ai sensi dell'articolo 1, commi 2, 3, 4, e 5, di intervenire successivamente con integrazioni anche finanziarie;
    rilevato inoltre che la copertura di quanto previsto dall'articolo 4, comma 62, lettera e) è rinviata alla legge di stabilità, evidentemente a causa dell'impossibilità di trovare al momento risorse disponibili a tale scopo;
    da una lettura del provvedimento nel suo complesso è ragionevole dedurre che l'entrata in vigore delle misure ivi previste comporterà a breve la necessità di trovare nuove risorse finanziarie per rendere attuative le disposizioni della legge in approvazione e non previste nel testo oggi in esame,

impegna il Governo

laddove si verificasse la necessità di reperire nuove risorse ad integrazione di quanto già previsto dal provvedimento in esame per l'attuazione delle misure ivi contenute, a non ricorrere in nessun modo all'imposizione di prelievi fiscali di qualunque genere, né sulle persone, né sulle imprese, né accise o imposte sui consumi, a tale scopo.
9/5256/63Giancarlo Giorgetti.


   La Camera,
   premesso che:
    la relazione tecnica relativa al disegno di legge in esame appare in alcuni passaggi non esaustiva, laddove non chiarisce in base a quali parametri vengano elaborate le quantificazioni;
    le possibili carenze di copertura sono in realtà ambiguamente compensate dalla possibilità prevista dal provvedimento, a seguito di un monitoraggio degli interventi previsti ai sensi dell'articolo 1, commi 2, 3, 4, e 5, di intervenire successivamente con integrazioni anche finanziarie;
    rilevato inoltre che la copertura di quanto previsto dall'articolo 4, comma 62, lettera e) è rinviata alla legge di stabilità, evidentemente a causa dell'impossibilità di trovare al momento risorse disponibili a tale scopo;
    da una lettura del provvedimento nel suo complesso è ragionevole dedurre che l'entrata in vigore delle misure ivi previste comporterà a breve la necessità di trovare nuove risorse finanziarie per rendere attuative le disposizioni della legge in approvazione e non previste nel testo oggi in esame,

impegna il Governo

laddove si verificasse la necessità di reperire nuove risorse ad integrazione di quanto già previsto dal provvedimento in esame per l'attuazione delle misure ivi contenute, a valutare di non ricorrere all'imposizione di prelievi fiscali di qualunque genere, né sulle persone, né sulle imprese, né accise o imposte sui consumi, a tale scopo.
9/5256/63. (Testo modificato nel corso della seduta) Giancarlo Giorgetti.


   La Camera,
   esaminato, in particolare, l'articolo 4, comma 31, del testo in esame che riconosce ai contratti collettivi nazionali di lavoro di fissare metodi e procedure attraverso i quali l'impresa committente possa effettivamente esercitare un controllo sui comportamenti della ditta appaltatrice e conseguentemente limitare l'ambito della propria responsabilità;
   considerato che il comma 28 dell'articolo 35 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, come recentemente modificato dall'articolo 2, comma 5-bis del DL n. 16 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 44 del 2012, appesantisce la responsabilità solidale tra gli imprenditori committenti o datori di lavoro e appaltatori, estendendola anche agli aspetti fiscali e dell'IVA,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative, anche di carattere normativo, affinché anche nel caso della responsabilità solidale tra le imprese committenti o datori di lavoro e gli appaltatori in materia di versamento all'erario delle ritenute IRPEF e dell'IVA, come previsto dal comma 28 dell'articolo 35 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, sia riconosciuta ai contratti collettivi nazionali di lavoro di fissare metodi e procedure attraverso i quali l'impresa committente possa effettivamente esercitare un controllo sui comportamenti della ditta appaltatrice e conseguentemente limitare l'ambito della propria responsabilità.
9/5256/64Lanzarin, Dussin, Togni, Alessandri.


   La Camera,
   esaminato l'articolo 4, comma 31, lettera b) del disegno di legge in esame, che interviene sui rapporti di responsabilità tra committente e appaltatore in sede di giudizio, prevedendo che il committente imprenditore o datore di lavoro sia sempre convenuto in giudizio unitamente all'appaltatore e che l'azione esecutiva possa essere intentata nei confronti del committente non solo dopo l'infruttuosa escussione del patrimonio dell'appaltatore (come attualmente previsto) ma anche dopo l'infruttuosa escussione di quello di eventuali subappaltatori;
   considerato che l'eccezione di preventiva escussione esercitata da parte del committente può riguardare non solo il patrimonio dell'appaltatore (come attualmente previsto) ma anche quello di eventuali subappaltatori e che il committente non è tenuto (come attualmente previsto) ad indicare i beni del patrimonio dell'appaltatore sui quali il lavoratore può agevolmente soddisfarsi;
   considerato altresì che la norma, pur nei giusti interessi dei lavoratori, se applicata male, potrebbe comportare il fallimento di tante piccole imprese che vivono con il subappalto, scaricando su tali imprese responsabilità dell'appaltatore;
   considerato che ai sensi della lettera a) dello stesso comma 31, i contratti collettivi nazionali di lavoro possono fissare metodi e procedure attraverso i quali l'impresa committente possa effettivamente esercitare un controllo sui comportamenti della ditta appaltatrice,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative normative, affinché nei contratti collettivi nazionali di lavoro siano previsti forme di controllo sui comportamenti della ditta appaltatrice da parte del committente imprenditore o datore di lavoro, allo scopo di evitare il più possibile ricadute inopportune di responsabilità sui subappaltatori.
9/5256/65Alessandri, Lanzarin, Dussin, Togni.


   La Camera,
   esaminato l'articolo 4, comma 31, lettera b) del disegno di legge in esame, che interviene sui rapporti di responsabilità tra committente e appaltatore in sede di giudizio, prevedendo che il committente imprenditore o datore di lavoro sia sempre convenuto in giudizio unitamente all'appaltatore e che l'azione esecutiva possa essere intentata nei confronti del committente non solo dopo l'infruttuosa escussione del patrimonio dell'appaltatore (come attualmente previsto) ma anche dopo l'infruttuosa escussione di quello di eventuali subappaltatori;
   considerato che la realizzazione di opere pubbliche rappresenta enormi opportunità di lavoro per i cittadini anche per l'indotto che le opere pubbliche sono in grado di attivare;
   il nostro Paese soffre di una cronica burocratizzazione del sistema di autorizzazione delle opere pubbliche che rendono difficoltoso l'avvio delle stesse anche qualora siano individuate le risorse finanziarie occorrenti, provocando spesso la decadenza dei finanziamenti,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative, nei prossimi provvedimenti governativi, diretti alla semplificazione e allo snellimento delle procedure di autorizzazione delle opere pubbliche.
9/5256/66Dussin, Lanzarin, Togni, Alessandri.


   La Camera,
   considerato che l'articolo 4 comma 30 del disegno di legge in esame, modificando l'articolo 22 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, estende il periodo durante il quale lo straniero rimasto privo di lavoro può permanere nel territorio italiano;
   tale periodo di permanenza nel territorio italiano, attualmente fissato in sei mesi, viene ora esteso ad un lasso «non inferiore ad un anno ovvero per tutto il periodo di durata della prestazione di sostegno al reddito percepita dal lavoratore straniero, qualora superiore»;
   la disposizione citata avrà presumibilmente l'effetto di ampliare gli oneri connessi alla copertura del sistema di welfare a favore dei lavoratori extracomunitari rimasti privi di occupazione, in una fase di grave crisi economica, nella quale sono richiesti pesanti sacrifici a tutti i cittadini per il contenimento della spesa pubblica,

impegna il Governo

a porre in essere un attento monitoraggio degli effetti finanziari della norma citata e degli oneri connessi alle diverse forme di sostegno al reddito di cui usufruiscono i lavoratori stranieri, al fine di avviare una riforma della disciplina in materia in chiave di riduzione degli oneri finanziari da essa derivanti.
9/5256/67Rondini.


   La Camera,
   considerato che l'articolo 4 comma 30, del disegno di legge in esame, modificando l'articolo 22 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, estende il periodo durante il quale lo straniero rimasto privo di lavoro può permanere nel territorio italiano;
   tale periodo di permanenza nel territorio italiano, attualmente fissato in sei mesi, viene ora esteso ad un lasso «non inferiore ad un anno ovvero per tutto il periodo di durata della prestazione di sostegno al reddito percepita dal lavoratore straniero, qualora superiore»;
   la disposizione citata amplia il rischio dell'instaurazione di rapporti di lavoro irregolari, in relazione alla possibilità per lo straniero disoccupato di poter rimanere più a lungo sul territorio italiano;
   considerato che la norma citata può costituire un incentivo al lavoro nero con riferimento al quale già si registrano dati allarmanti, in particolare in connessione con la condizione di clandestinità di molti lavoratori stranieri,

impegna il Governo

a porre in essere un piano straordinario di controlli volti al contrasto del lavoro irregolare in particolare tra lavoratori e datori di lavoro stranieri.
9/5256/68Fabi.


   La Camera,
   considerato che tra gli obiettivi dichiarati all'articolo 1 del disegno di legge in esame, figura quello di rendere più efficiente, coerente ed equo l'assetto degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive in una prospettiva di universalizzazione e di rafforzamento dell'occupabilità delle persone;
   in particolare il citato articolo individua tra le finalità della legge quella di favorire nuove opportunità di impiego ovvero di tutela del reddito per i lavoratori ultracinquantenni in caso di perdita del posto di lavoro;
   in molti Paesi europei gli ammortizzatori sociali connessi alle crisi aziendali sono congegnati in modo da favorire una riqualificazione professionale del lavoratore al fine di agevolarne il reinserimento lavorativo;
   è noto che nel nostro sistema economico una delle ragioni della scarsa produttività del lavoro risiede nella bassa qualificazione della manodopera connessa alle carenze del sistema di formazione ed aggiornamento professionale,

impegna il Governo

ad assumere iniziative volte a far sì che gli attuali ammortizzatori sociali non si esauriscano nella funzione di sostegno al reddito, ma siano piuttosto accompagnati da strumenti più efficaci di riqualificazione professionale.
9/5256/69Molgora.


   La Camera,
   premesso che:
    la sentenza della Corte costituzionale n. 397 del 1989 ha ristabilito i diritti della categoria dei contrattisti quadriennali della facoltà di medicina, inizialmente esclusi all'inizio del 1984 dalla possibilità di accedere alla fascia dei professori associati mediante giudizio di idoneità, come invece era stato concesso, con decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980 n. 382 a varie categorie di personale universitario con almeno un triennio di attività;
    la predetta sentenza ha ammesso gli esclusi, i quali avevano fatto domanda per la tornata del 1983 a sostenere il giudizio di idoneità nell'anno 1990;
    a seguito di ulteriori ricorsi al TAR del Lazio, le sentenze favorevoli ai ricorrenti hanno imposto la retrodatazione all'anno accademico 1984-85 della nomina a professore associato per i ricorrenti che avessero superato il concorso nell'anno 1990;
    i predetti candidati sono di fatto divenuti professori associati, e quasi tutti sono entrati in servizio nel corso del 1992;
   considerato che:
    nonostante il cumulo delle varie sentenze TAR Lazio-Consiglio di Stato (protrattesi fino al 2001 con la conferma finale da parte del Consiglio di Stato), le università interessate non hanno provveduto al ripristino dello stato di fatto e di diritto, quale sarebbe stato se la partecipazione al giudizio di idoneità si fosse svolta tra il 1983 e il 1984, poiché ai fini della ricostruzione della carriera non è stata mai retrodatata correttamente al 1984-85 né l'immissione nel ruolo dei professori associati, né la decorrenza del Giudizio di conferma in ruolo (obbligatorio dopo i primi tre anni di permanenza in ruolo) per l'originaria inadempienza del Ministero competente;
    di fatto, le Amministrazioni universitarie hanno disatteso lo spirito delle citate sentenze, tutte derivanti dall'applicazione di sanciti principi costituzionali ripristinatori, poiché la decadenza dall'ufficio di ricercatore avrebbe dovuto comportare automaticamente l'entrata nell'ufficio da professore associato, vista l'esistenza per i candidati dell'essenziale requisito della «continuità di servizio»;
    i professori associati in parola non sono in numero elevato tale da gravare sulle finanze pubbliche,

impegna il Governo:

   a provvedere che sia assicurata omogeneità di trattamento ai professori associati, ammessi a giudizio di idoneità ai sensi della Sentenza della Corte costituzionale n. 397 del 1989, anche al fine di evitare che la «vexata quaestio» sia lasciata alla definizione caso per caso, in relazione al differente iter ed esito delle sentenze dei vari tribunali amministrativi;
   ai fini di soluzione equa, a valutare l'opportunità di apportare una modifica all'articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, che preveda per i suddetti professori associati la coincidenza ad ogni effetto, attraverso la ricostruzione della carriera, della data di servizio con la data della nomina in ruolo.
9/5256/70Rivolta, Laura Molteni, Goisis, Cavallotto, Grimoldi.


   La Camera,
   valutate, in particolare, le norme di cui all'articolo 2 del disegno di legge in esame, in merito alla fruizione dell'indennità di disoccupazione;
   considerato che:
    si teme un aumento della perdita di posti di lavoro, a causa delle ultime previsioni economiche che prevedono per il nostro Paese un decremento ulteriore della crescita del PIL sia nel 2012 che nel 2013;
    è necessario contrastare i casi di lavoro sommerso da parte dei lavoratori, che percepiscono l'indennità di disoccupazione ed in realtà svolgono attività non dichiarate o presso il proprio domicilio ovvero presso imprese compiacenti;
    tale fenomeno è diffuso in alcuni settori specifici delle attività artigiane;
    è opinabile che le indennità di disoccupazione siano esclusivamente erogate ai lavoratori disoccupati effettivamente,

impegna il Governo

ad attivare azioni di controllo e monitoraggio, affinché l'indennità di disoccupazione non sia utilizzata in modo improprio, con danno sia per l'erario, sia per i lavoratori realmente senza nuova occupazione.
9/5256/71Allasia.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge governativo approvato in prima lettura dal Senato reca la riforma del mercato del lavoro;
    le disposizioni in esso contenute comportano una razionalizzazione delle tipologie contrattuali esistenti, configurando il contratto a tempo indeterminato quale contratto prevalente e disincentivando il ricorso ai contratti a tempo determinato;
    è delineato l'apprendistato quale contratto tipico per l'accesso al mercato del lavoro e ne vengono ampliate le possibilità di utilizzo e valorizzato il ruolo formativo;
    considerata la situazione di grave crisi economica in cui versa il Paese che determina la perdita del lavoro per moltissime categorie di lavoratori impiegati nei più diversi settori, specie nell'ambito delle piccole e medie imprese,

impegna il Governo

a valutare gli effetti delle disposizioni di cui all'articolo 1 e ad assumere ulteriori iniziative normative volte a prevedere forme di tutela dell'occupazione e del reddito non solo per i soggetti che entrano per la prima volta nel mondo del lavoro, principalmente giovani, ma anche per i lavoratori ultracinquantenni che si trovano ad aver perso la propria occupazione, attraverso ulteriori nuovi strumenti di sostegno del reddito e di aiuto al reinserimento nel mercato produttivo, destinando maggiori incentivi anche per accrescere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
9/5256/72Maggioni.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge governativo approvato in prima lettura dal Senato reca la riforma del mercato del lavoro;
    le disposizioni in esso contenute comportano una razionalizzazione delle tipologie contrattuali esistenti, configurando il contratto a tempo indeterminato quale contratto prevalente e disincentivando il ricorso ai contratti a tempo determinato;
    è delineato l'apprendistato quale contratto tipico per l'accesso al mercato del lavoro e ne vengono ampliate le possibilità di utilizzo e valorizzato il ruolo formativo;
    considerata la situazione di grave crisi economica in cui versa il Paese che determina la perdita del lavoro per moltissime categorie di lavoratori impiegati nei più diversi settori, specie nell'ambito delle piccole e medie imprese,

impegna il Governo

a valutare gli effetti delle disposizioni di cui all'articolo 1 e ad assumere, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, ulteriori iniziative normative volte a prevedere forme di tutela dell'occupazione e del reddito non solo per i soggetti che entrano per la prima volta nel mondo del lavoro, principalmente giovani, ma anche per i lavoratori ultracinquantenni che si trovano ad aver perso la propria occupazione, attraverso ulteriori nuovi strumenti di sostegno del reddito e di aiuto al reinserimento nel mercato produttivo, destinando maggiori incentivi anche per accrescere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
9/5256/72. (Testo modificato nel corso della seduta) Maggioni.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge in esame intende recare una riforma organica del mercato del lavoro, attraverso la razionalizzazione delle tipologie contrattuali esistenti, una ridistribuzione delle tutele dell'impiego ed un adeguamento della disciplina dei licenziamenti, collettivi ed individuali, prevedendo in particolare una modifica del regime dei licenziamenti disciplinari e dei licenziamenti economici;
    affinché la presente iniziativa governativa possa considerarsi una riforma strutturale del mercato del lavoro occorre che essa si accompagni inevitabilmente ad incisive misure di razionalizzazione e revisione della spesa pubblica;
    la grave situazione di crisi economica e produttiva in cui versa il Paese richiede infatti come non più procrastinabile la realizzazione di risparmi di spesa reali per ottenere i quali occorre incidere pesantemente sui centri di costo, eliminando duplicazioni e distorsioni di sistema;
    anziché colpire i ceti sociali più deboli dei lavoratori e dei pensionati, andrebbe valutata ad esempio in questa sede la razionalizzazione ed il dimezzamento dei trattamenti economici spettanti ai membri delle varie authorities;
    si dovrebbe stabilire, in generale, un tetto massimo per i trattamenti pensionistici percepiti in base al vecchio sistema retributivo e al loro cumulo, prevedendo interventi incisivi per la verifica delle pensioni di invalidità che costituiscono ancora in numerosissimi casi vere distorsioni nell'impiego delle risorse pubbliche,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni di cui all'articolo 4 e ad assumere interventi normativi volti ad introdurre efficaci misure di controllo e monitoraggio dei trattamenti pensionistici d'invalidità oggi riconosciuti e a stabilire un tetto massimo per la corresponsione delle pensioni percepite in base al vecchio sistema retributivo, prevedendo che i risparmi di spesa così ottenuti siano reinvestiti per incrementare le pensioni di invalidità reali ed accertate.
9/5256/73Di Vizia.


   La Camera,
   premesso che:
    il sistema scolastico attuale rileva l'emergenza di una serie di problemi caratterizzanti disturbi sociali, di apprendimento, dell'attenzione, iperattività, marginalità, disagio, ritardi evolutivi, dislessia, diversità culturali, dispersione scolastica, orientamento scolastico, personalizzazione dei processi educativi;
    lo psicopedagogista si interessa delle possibili migliorie apportabili alle condizioni scolastiche in modo da adattarle il più possibile ai bisogni degli allievi e si preoccupa di mettere a punto metodi di insegnamento e di apprendimento più efficaci, soprattutto grazie alle basi poste dalla learning theory, che ha dato vita a tre importanti ambiti di ricerca: l'addestramento militare, l'istruzione programmata e la tassonomia degli obiettivi didattici;
    di recente alcuni psicopedagogisti si sono specializzati nella gestione della classe, aiutando gli insegnanti a sviluppare abilità sia psicologiche sia sociali che permettono di creare un ambiente scolastico sereno e produttivo;
    la psicopedagogia ha difatti sviluppato una dimensione clinica esplicitata della Metodologia della «diagnosi funzionale», una procedura psicodiagnostica mirata alla valutazione delle componenti psichiche e comportamentali generalmente impiegata nella «Scuola» per indagare sulle influenze dei contesti famigliari sulle prestazioni accademiche, e per misurare le gravità delle situazioni di grave disabilità e disagio socio-relazionale;
   considerato che:
    l'azione pedagogica nella scuola non deve essere considerata come un evento eccezionale, episodico e circoscritto, ma deve trovare la naturale permanente collocazione nell'azione didattico educativa rivolta ad ogni alunno per assicurargli la dovuta maturazione, nonché la formazione e l'istruzione di base;
    le scuole di ogni ordine e grado necessitano di un'azione educativa orientata all'educazione alla parità e alla non discriminazione, all'educazione alla democrazia, all'educazione sessuale e alla prevenzione e l'educazione alla salute,

impegna il Governo

in relazione alla problematica educativa e didattica, delle istituzioni scolastiche pubbliche, di ogni ordine e grado, a valutare l'opportunità di attivare all'interno delle istituzioni scolastiche servizi di pedagogia scolastica, avvalendosi di professionisti o di docenti in possesso di laurea specialistica in ambito pedagogico.
9/5256/74Cavallotto, Goisis, Rivolta, Grimoldi.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 8 della legge 6 agosto 1975, n. 427, recante norme in materia di garanzia del salario e di disoccupazione speciale in favore dei lavoratori dell'edilizia e affini, prevede per il finanziamento della cassa integrazione guadagni ordinaria degli operai edili un contributo a carico delle aziende industriali dell'edilizia nella misura del 3 per cento;
    i provvedimenti normativi per il finanziamento della cassa integrazione guadagni ordinaria degli operai edili che si sono succeduti nel tempo hanno elevato tale aliquota contributiva al 5,20 per cento;
    l'articolo 8, terzo comma, della legge 6 agosto 1975, n. 427, prevede che: «al fine di assicurare l'equilibrio della gestione, al termine di ciascun esercizio sulla base delle risultanze di bilancio dell'esercizio stesso, le aliquote contributive di cui al primo comma possono essere modificate mediante decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, di concerto con il Ministro per il tesoro, sentita la commissione centrale di cui all'articolo 5 della legge 3 febbraio 1963, n. 77, e dell'articolo 5 della legge 6 dicembre 1971, n. 1958»;
    il medesimo comma 3 dell'articolo 8, della legge 6 agosto 1975, n. 427, prevede che la suddetta modifica è obbligatoria quando la differenza tra le entrate e le uscite delle contabilità separate della gestione speciale dell'edilizia, distintamente considerate, risulti superiore al 10 per cento;
    l'articolo 12 della legge n. 164 del 1975, e successive modifiche, contenente provvedimenti per la garanzia del salario per le imprese appartenenti al settore industria in genere, prevede per il finanziamento della cassa integrazione guadagni ordinaria un contributo pari all'1,90 per cento a carico delle imprese industriali che occupano fino a 50 dipendenti e pari al 2,20 per cento per le aziende che occupano oltre 50 dipendenti;
    a parità di trattamento, quindi, le imprese del comparto edile versano un contributo per la Cig operai dell'edilizia assolutamente più oneroso rispetto a quello versato dalle imprese degli altri comparti industriali; la gestione edilizia della CIG presso l'Inps, secondo gli ultimi dati in possesso dell'Ance, presenta un avanzo di esercizio annuale di oltre 200 milioni di euro, che porta l'avanzo patrimoniale in un ordine di grandezza superiore ai 2.000 milioni di euro;
    l'attuale situazione di grave crisi economica in cui versa il comparto delle costruzioni rende necessario il riequilibrio dell'aliquota contributiva per la CIG operai dell'edilizia, allineando l'attuale misura del 5,20 per cento a quella dell'1,90 per cento-2,20 per cento in vigore per tutti i dipendenti degli altri comparti industriali;
    su tale riduzione vi è la piena condivisione di tutte le parti sociali, come si evince dall'Avviso comune del 16 dicembre 2003 in materia di emersione del lavoro irregolare in edilizia, dall'Agenda per il tavolo di concertazione sottoscritta nel mese di gennaio 2007 e dal protocollo sul costo del lavoro contenuto nel verbale di accordo del 19 aprile 2010,

impegna il Governo

a riconoscere l'applicabilità delle aliquote contributive ordinarie previste a carico delle imprese industriali per il finanziamento della Cassa integrazione guadagni di cui agli articoli 12 e 13 della legge 20 maggio 1975, n. 164, attualmente fissate rispettivamente nella misura dell'1,90 per cento per le imprese fino a 50 dipendenti e del 2,20 per cento per le imprese oltre i 50 dipendenti, anche con riferimento alla Cig ordinaria per gli operai del settore
edile, di cui alla legge 6 agosto 1975, n. 427, e successive modificazioni.
9/5256/75Togni, Lanzarin, Dussin, Alessandri.


   La Camera,
   premesso che:
    la validità, ai fini previdenziali, delle retribuzioni corrisposte dalle imprese agricole, così come previste dai contratti collettivi di lavoro sottoscritti da tutte le organizzazioni sindacali e datoriali agricole, quando viene contestata, comporta non solo il conseguente pagamento del contributi e delle sanzioni, ma anche la sanzione della decadenza dalle agevolazioni contributive;
    diverse imprese agricole, che applicano l'accordo di riallineamento e rimodulazione, hanno subito accertamenti ispettivi da parte dell'INPS con i quali è stata loro contestata l'inapplicabilità dell'accordo stesso di riallineamento e rimodulazione;
    pur in assenza di una violazione contrattuale da parte delle aziende agricole interessate, viene applicata la sanzione accessoria della decadenza dalle agevolazioni contributive per le zone montane e svantaggiate;
    si rende, pertanto, necessario ribadire la validità delle disposizioni contrattuali previste per il riallineamento,

impegna il Governo

a chiarire che debba considerarsi come violazione dell'applicazione dei contratti collettivi di lavoro del settore agricolo la corresponsione di retribuzioni inferiori ai minimali contributivi annui previsti per il settore agricolo.
9/5256/76Milo.


   La Camera,
   premesso che:
    la validità, ai fini previdenziali, delle retribuzioni corrisposte dalle imprese agricole, così come previste dai contratti collettivi di lavoro sottoscritti da tutte le organizzazioni sindacali e datoriali agricole, quando viene contestata, comporta non solo il conseguente pagamento del contributi e delle sanzioni, ma anche la sanzione della decadenza dalle agevolazioni contributive;
    diverse imprese agricole, che applicano l'accordo di riallineamento e rimodulazione, hanno subito accertamenti ispettivi da parte dell'INPS con i quali è stata loro contestata l'inapplicabilità dell'accordo stesso di riallineamento e rimodulazione;
    pur in assenza di una violazione contrattuale da parte delle aziende agricole interessate, viene applicata la sanzione accessoria della decadenza dalle agevolazioni contributive per le zone montane e svantaggiate;
    si rende, pertanto, necessario ribadire la validità delle disposizioni contrattuali previste per il riallineamento,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di considerare come violazione dell'applicazione dei contratti collettivi di lavoro del settore agricolo la corresponsione di retribuzioni inferiori ai minimali contributivi annui previsti per il settore agricolo.
9/5256/76. (Testo modificato nel corso della seduta) Milo.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1, comma 26, del provvedimento in esame introduce l'articolo 69-bis del decreto legislativo n. 276 del 2003, in materia di collaborazioni rese da titolari di partita IVA, introducendo la presunzione che tali prestazioni siano da considerarsi rapporti di collaborazione coordinata e continuativa qualora ricorrano determinati presupposti;
    ciò avrebbero lo scopo di limitare il ricorso improprio a titolari di partita IVA anziché a rapporti di lavoro subordinato;
    in base all'articolo introdotto, la presunzione che prestazioni rese da titolari di partita IVA sono da considerarsi rapporti di collaborazione coordinata e continuativa si realizza qualora ricorrano almeno due dei seguenti presupposti:
     1) che la durata della collaborazione sia superiore a 8 mesi (6 mesi nel testo originario del disegno di legge) nell'arco di un anno solare;
     2) che il ricavo dei corrispettivi percepiti dal collaboratore nell'arco dello stesso anno solare superi la misura dell'80 per cento (75 per cento nel testo originario del disegno di legge) dei corrispettivi complessivamente percepiti dal collaboratore nell'arco dello stesso anno solare;
     3) che il prestatore abbia la disponibilità di una postazione fissa di lavoro presso il committente;
    queste modifiche, tuttavia, non saranno in grado di raggiungere i risultati sperati, ma anzi potrebbero peggiorare la situazione;
    in particolare per quanto riguarda i ricavi conseguiti da un titolare di partita IVA, la nuova disciplina stabilisce che la presunzione di trovarsi di fronte ad una falsa partita IVA non opera quando il lavoratore abbia, comunque, un reddito autonomo «non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali, stabilito per gli operai artigiani». Il livello minimo imponibile giornaliero attualmente è di 45,70 euro al giorno, corrispondenti all'anno a circa 14,500 euro (fattore di moltiplicazione 312). Il che significa che una partita Iva si presume non falsa se guadagna lordi all'anno circa 17.800 euro. Tuttavia questa cifra significa un netto effettivo minore di euro 900 al mese per 12 mensilità. Senza ferie, senza tredicesima, senza liquidazione, senza infortuni;
    nessuno accetterebbe di diventare partita Iva in luogo di dipendente per questo compenso. Il fisco e i versamenti alla gestione separata Inps sottraggono all'imponibile fatturato più del 50 per cento. Se proprio si deve introdurre un limite di «presunzione di non falsità della partita Iva» questo deve essere decisamente più alto: ovvero dovrebbe farsi riferimento non a 1,25 del livello minimo imponibile, ma ad un parametro di riferimento non inferiore al 2,25, in grado di determinare un reddito annuo di circa 32 mila euro, per un compenso netto, sempre per 12 mensilità, di circa euro 1.300/1.500 euro al mese,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della norma richiamata in premessa al fine di adottare ogni opportuna e sollecita iniziativa legislativa affinché la disposizione in oggetto venga modificata, elevando il reddito autonomo di riferimento al sopra del quale non scatta la presunzione che si tratti di una falsa partita Iva da 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali, stabilito per gli operai artigiani ad almeno il 2,25.
9/5256/77Evangelisti, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1, comma 26, del provvedimento in esame introduce l'articolo 69-bis del decreto legislativo n. 276 del 2003, in materia di collaborazioni rese da titolari di partita IVA, introducendo la presunzione che tali prestazioni siano da considerarsi rapporti di collaborazione coordinata e continuativa qualora ricorrano determinati presupposti;
    ciò avrebbero lo scopo di limitare il ricorso improprio a titolari di partita IVA anziché a rapporti di lavoro subordinato;
    in base all'articolo introdotto, la presunzione che prestazioni rese da titolari di partita IVA sono da considerarsi rapporti di collaborazione coordinata e continuativa si realizza qualora ricorrano almeno due dei seguenti presupposti:
     1) che la durata della collaborazione sia superiore a 8 mesi (6 mesi nel testo originario del disegno di legge) nell'arco di un anno solare;
     2) che il ricavo dei corrispettivi percepiti dal collaboratore nell'arco dello stesso anno solare superi la misura dell'80 per cento (75 per cento nel testo originario del disegno di legge) dei corrispettivi complessivamente percepiti dal collaboratore nell'arco dello stesso anno solare;
     3) che il prestatore abbia la disponibilità di una postazione fissa di lavoro presso il committente;
    queste modifiche, tuttavia, non saranno in grado di raggiungere i risultati sperati, ma anzi potrebbero peggiorare la situazione;
    in particolare per quanto riguarda i ricavi conseguiti da un titolare di partita IVA, la nuova disciplina stabilisce che la presunzione di trovarsi di fronte ad una falsa partita IVA non opera quando il lavoratore abbia, comunque, un reddito autonomo «non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali, stabilito per gli operai artigiani». Il livello minimo imponibile giornaliero attualmente è di 45,70 euro al giorno, corrispondenti all'anno a circa 14,500 euro (fattore di moltiplicazione 312). Il che significa che una partita Iva si presume non falsa se guadagna lordi all'anno circa 17.800 euro. Tuttavia questa cifra significa un netto effettivo minore di euro 900 al mese per 12 mensilità. Senza ferie, senza tredicesima, senza liquidazione, senza infortuni;
    nessuno accetterebbe di diventare partita Iva in luogo di dipendente per questo compenso. Il fisco e i versamenti alla gestione separata Inps sottraggono all'imponibile fatturato più del 50 per cento. Se proprio si deve introdurre un limite di «presunzione di non falsità della partita Iva» questo deve essere decisamente più alto: ovvero dovrebbe farsi riferimento non a 1,25 del livello minimo imponibile, ma ad un parametro di riferimento non inferiore al 2,25, in grado di determinare un reddito annuo di circa 32 mila euro, per un compenso netto, sempre per 12 mensilità, di circa euro 1.300/1.500 euro al mese,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della norma richiamata in premessa, nell'ambito dell'attività di monitoraggio di cui all'articolo 1, comma 2, al fine di adottare ogni opportuna e sollecita iniziativa legislativa affinché la disposizione in oggetto venga modificata, elevando il reddito autonomo di riferimento al sopra del quale non scatta la presunzione che si tratti di una falsa partita Iva da 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali, stabilito per gli operai artigiani ad almeno il 2,25.
9/5256/77. (Testo modificato nel corso della seduta) Evangelisti, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del provvedimento in esame, al comma 26, prevede che, salvo che sia fornita prova contraria da parte del committente, le prestazioni lavorative rese da persona titolare di posizione fiscale ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, ove ricorrano almeno due delle tre condizioni elencate alle lettere a), b), c) dello stesso comma, siano considerate rapporti di collaborazione coordinata e continuativa;
    la finalità del disegno di legge è evidentemente quella di porre un freno al deprecabile fenomeno delle cosiddette «finte partite IVA», tuttavia nel caso in cui questa situazione sia accertata, il giudice non potrebbe più riqualificare il rapporto di lavoro come di collaborazione coordinata e continuativa, perché la modifica introdotta gli impone di qualificarlo come rapporto di collaborazione coordinata e continuata;
    questa innovazione determina una violazione palese dei principi generali del nostro ordinamento che considerano il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato il rapporto di lavoro base e normale nel nostro ordinamento che ricorre – o al quale ci si rifà – tutte le volte che non vi siano le specifiche ragioni previste dalla legge perché si possa ricorrere ad altre tipologie contrattuali;
    peraltro non vi è alcuna connessione tra un rapporto di lavoro subordinato mascherato da partita IVA e un contratto di collaborazione coordinata e continuativa e non è neppure logicamente comprensibile come l'uno possa risolversi nell'altro, se non immaginando che con ciò si vogliano limitare i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori;
    appare evidente che una tale disposizione non sarebbe in grado di superare un vaglio di costituzionalità,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle norma richiamata in premessa al fine di correggere nel primo provvedimento utile quel che, ad avviso del presentatore, deve essere considerato un errore, ribadendo la possibilità che il giudice, nel caso in cui riconosca la falsità del rapporto di lavoro a partita IVA possa ordinarne la trasformazione anche in un rapporto di lavoro subordinato.
9/5256/78Porcino, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del provvedimento in esame, ai commi da 16 a 19, contiene disposizioni in materia di apprendistato;
    tali disposizioni portano il rapporto tra apprendisti e lavoratori qualificati dall'attuale rapporto 1/1 a quello di 3/2;
    per poter assumere nuovi apprendisti il datore di lavoro deve avere stabilizzato almeno il 50 per cento di quelli già assunti nell'ultimo triennio. Per il primo triennio di applicazione della riforma tuttavia, la percentuale è fissata nel 30 per cento e non opera nessuna percentuale per le imprese con meno di 10 dipendenti;
    una percentuale, quest'ultima, troppo bassa che, combinata con il nuovo rapporto apprendisti/qualificati di 3/2, può portare ad un utilizzo di queste forme di lavoro prevalentemente come tipologia di lavoro a costi più bassi senza sostanziale obbligo di stabilizzazione;
    inoltre tutti i datori di lavoro possono sempre assumere un altro apprendista anche se nel triennio precedente non ne hanno stabilizzato neppure uno di quelli precedentemente assunti;
    questa forma di contratto di lavoro rischia di diventare come la tipologia preferita in ragione dei costi più bassi che comporta, senza sostanziale obbligo di stabilizzazione e svilendo la funzione della componente formativa;
    ciò è particolarmente grave se si pensa che il Collegato lavoro (legge n. 183 del 2010) ha introdotto una disposizione che ha addirittura abbassato l'età minima per iniziare l'apprendistato a 15 anni,

impegna il Governo

a monitorare gli effetti applicativi della norma richiamata in premessa, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere il ripristino, senza esenzioni, di concerto con le parti sociali, del vincolo alla stabilizzazione del 50 per cento degli apprendisti quale condizione per l'assunzione di ulteriori apprendisti, nonché la riduzione del rapporto tra apprendisti e lavoratori qualificati.
9/5256/79Aniello Formisano, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del provvedimento in esame, ai commi da 16 a 19, contiene disposizioni in materia di apprendistato;
    tali disposizioni portano il rapporto tra apprendisti e lavoratori qualificati dall'attuale rapporto 1/1 a quello di 3/2;
    per poter assumere nuovi apprendisti il datore di lavoro deve avere stabilizzato almeno il 50 per cento di quelli già assunti nell'ultimo triennio. Per il primo triennio di applicazione della riforma tuttavia, la percentuale è fissata nel 30 per cento e non opera nessuna percentuale per le imprese con meno di 10 dipendenti;
    una percentuale, quest'ultima, troppo bassa che, combinata con il nuovo rapporto apprendisti/qualificati di 3/2, può portare ad un utilizzo di queste forme di lavoro prevalentemente come tipologia di lavoro a costi più bassi senza sostanziale obbligo di stabilizzazione;
    inoltre tutti i datori di lavoro possono sempre assumere un altro apprendista anche se nel triennio precedente non ne hanno stabilizzato neppure uno di quelli precedentemente assunti;
    questa forma di contratto di lavoro rischia di diventare come la tipologia preferita in ragione dei costi più bassi che comporta, senza sostanziale obbligo di stabilizzazione e svilendo la funzione della componente formativa;
    ciò è particolarmente grave se si pensa che il Collegato lavoro (legge n. 183 del 2010) ha introdotto una disposizione che ha addirittura abbassato l'età minima per iniziare l'apprendistato a 15 anni,

impegna il Governo

a monitorare gli effetti applicativi della norma richiamata in premessa, al fine di adottare eventuali iniziative volte a prevedere il ripristino, senza esenzioni, di concerto con le parti sociali, del vincolo alla stabilizzazione del 50 per cento degli apprendisti quale condizione per l'assunzione di ulteriori apprendisti, nonché la riduzione del rapporto tra apprendisti e lavoratori qualificati.
9/5256/79. (Testo modificato nel corso della seduta) Aniello Formisano, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1, commi da 9 a 13, del provvedimento in esame interviene in materia di contratti a tempo determinato e di somministrazione, mediante novelle al decreto legislativo n. 368 del 2001 e alla legge n. 183 del 2010;
    in particolare le modifiche consentono la stipula di contratti a tempo determinato «a causali» (ovvero al di fuori delle cause definite dalla legge) di durata fino ad 1 anno non prorogabile. Lo stesso viene previsto per la prima missione di un lavoratore con contratto di somministrazione a tempo determinato;
    le modifiche introdotte incidono in maniera estremamente negativa sulla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato di cui al decreto legislativo n. 368 del 2001, di recepimento della direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999, relativa all'Accordo Quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato;
    il decreto legislativo n. 368 del 2001 all'articolo 1 recita: «È consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo». Questa indicazione della legge nasce dall'esigenza, espressamente indicata nella direttiva 1999/70/CE, di evitare che attraverso il ricorso ad una successione continua di contratti di lavoro a tempo determinato, sia possibile aggirare fraudolentemente, la regola generale secondo cui per far fronte ad esigenze permanenti, il datore di lavoro deve sempre ricorrere al contratto di lavoro a tempo indeterminato, mentre il contratto a tempo determinato rappresenta una eccezione cui ricorrere soltanto a fronte di esigenze temporanee ed eccezionali;
    il disegno di legge in esame, pur enunciando nella Relazione illustrativa di voler rispettare lo spirito della direttiva comunitaria, in realtà introduce una pericolosissima novità che consentirà alle imprese di aggirare agevolmente tale principio comunitario, consentendo alle imprese di ricorrere al contratto a tempo determinato non in ipotesi eccezionali o temporanee, legate ad esigenze oggettive e riscontrabili, bensì in qualsiasi occasione, anche legata ad esigenze permanenti, come ad esempio la carenza strutturale di organico, in totale contraddizione con quanto espressamente perseguito dalla direttiva comunitaria;
    la possibilità di non indicare la causale, ossia le ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo per l'apposizione del termine al «primo rapporto a tempo determinato di durata non superiore a dodici mesi, concluso fra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore, per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione...» significa inequivocabilmente che il datore di lavoro, in futuro, potrà liberamente stipulare contratti di lavoro a tempo determinato, per qualsiasi esigenza, dunque anche per far fronte al normale fabbisogno ordinario di personale, purché ciò avvenga sempre con un diverso lavoratore,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle norma citata in premessa, al fine di adottare ogni opportuna iniziativa affinché sia ripristinato l'obbligo della causa per la conclusione di contratti a tempo determinato, senza eccezione per il primo contratto.
9/5256/80Favia, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge in esame sostituisce interamente la definizione del contratto di lavoro accessorio attualmente vigente: secondo la nuova definizione, per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative di natura meramente occasionale che non danno luogo a compensi di importo superiore a 5.000 euro nel corso di un anno con riferimento alla totalità dei committenti. Sono escluse le prestazioni nei confronti di imprenditori commerciali o professionisti salvo che per le attività agricole di carattere stagionale che possono essere svolte anche in forma imprenditoriale;
    la sentenza n. 94 del 2009 della Corte di cassazione ha stabilito che le attività lavorative accessorie, oltre ad essere occasionali, devono essere anche episodiche e discontinue,

impegna il Governo

ad assumere le azioni più opportune, anche con atti amministrativi che forniscano disposizioni e indirizzi, al fine di includere nella definizione del lavoro accessorio oltre all'occasionalità, anche l'episodicità e la discontinuità.
9/5256/81Palomba, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge in esame sostituisce interamente la definizione del contratto di lavoro accessorio attualmente vigente: secondo la nuova definizione, per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative di natura meramente occasionale che non danno luogo a compensi di importo superiore a 5.000 euro nel corso di un anno con riferimento alla totalità dei committenti. Sono escluse le prestazioni nei confronti di imprenditori commerciali o professionisti salvo che per le attività agricole di carattere stagionale che possono essere svolte anche in forma imprenditoriale;
    la sentenza n. 94 del 2009 della Corte di cassazione ha stabilito che le attività lavorative accessorie, oltre ad essere occasionali, devono essere anche episodiche e discontinue,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di assumere le azioni più opportune, anche con atti amministrativi che forniscano disposizioni e indirizzi, al fine di includere nella definizione del lavoro accessorio oltre all'occasionalità, anche l'episodicità e la discontinuità.
9/5256/81. (Testo modificato nel corso della seduta) Palomba, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    il contratto di somministrazione di lavoro è un rapporto di lavoro che coinvolge un somministratore, che risulta essere il datore di lavoro, ed un utilizzatore, che è l'impresa presso la quale si svolge l'attività lavorativa e il lavoratore;
    sulla base della legge n. 247 del 2007, di attuazione del cosiddetto «Protocollo Welfare», il rapporto poteva essere stipulato solo come contratto di lavoro a tempo determinato, mentre veniva abrogata la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, conosciuto come staff leasing;
    la legge finanziaria per l'anno 2010 ha reintrodotto nell'ordinamento il contratto di somministrazione a tempo indeterminato, introducendo altresì un nuovo caso di ammissibilità e delegando alla contrattazione aziendale la facoltà di individuarne di aggiuntive;
    la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato è una fonte di precarietà strutturale che danneggia il mercato del lavoro e fortemente i lavoratori,

impegna il Governo

a monitorare gli effetti applicativi delle disciplina richiamata in premessa al fine di assumere tutte le iniziative necessarie, di concerto con le parti sociali, per l'eliminazione dal nostro ordinamento del contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato.
9/5256/82Leoluca Orlando, Paladini.


   La Camera,
   esaminato il provvedimento in titolo e le misure in esso contenute;
   valutati in particolare gli interventi in materia di ammortizzatori sociali di cui all'articolo 2 del provvedimento che, nell'introdurre la nuova assicurazione sociale per l'impiego (AsPI e Mini-Aspi), esclude dal suo ambito di applicazione i lavoratori a progetto ed i collaboratori coordinati e continuativi;
   valutato altresì l'incremento dell'aliquota contributiva pensionistica per gli iscritti alla gestione separata Inps di cui al comma 57 del medesimo articolo 2 del provvedimento, che rischia di penalizzare i titolari di «vere» partite Iva;
   considerato che il provvedimento nulla dispone nei riguardi dei lavoratori che rimangono senza lavoro e senza pensione;
   preso atto della nota della Presidenza del Consiglio diffusa lo scorso 20 giugno nella quale si legge che «Il Governo ha chiesto al Parlamento di accelerare l'esame sulla riforma del mercato del lavoro contenendolo entro tempi compatibili con l'esigenza che la legge sia approvata entro il 27 giugno, affinché il Consiglio Europeo del 28 giugno possa prendere atto del varo di questa importante riforma strutturale. Il Governo si impegna a risolvere tempestivamente, con appropriate iniziative legislative, altri problemi posti dai gruppi parlamentari: la questione dei cosiddetti esodati e alcuni aspetti della flessibilità in entrata e degli ammortizzatori sociali»,

impegna il Governo

a disporre, nell'emanando decreto sui lavoratori cosiddetti esodati, l'inclusione tra le categorie di lavoratori beneficiari della salvaguardia dalle nuove regole pensionistiche di cui al comma 14 dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, come modificato dal comma 2-ter dell'articolo 6 del decreto-legge n. 216 del 2011, anche coloro che già erano percettori di indennità di mobilità o di cassa integrazione guadagni ed avrebbero maturato entro il 2013 i requisiti di accesso alla pensione secondo le regole previgenti, i lavoratori che siano stati autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione ed abbiano avanzato domanda alla data del 31 gennaio 2012 e coloro che hanno preso accordi individuali entro il 31 gennaio 2012 scorso ma con uscita successiva, rivedendo la disposizione di legge che circoscrive la platea dei lavoratori salvaguardati alle risorse già stanziate, nonché a considerare, nelle more di attuazione del provvedimento, l'opportunità di spostare di un anno l'entrata in vigore del nuovo regime dell'assicurazione sociale per l'impiego e di comprendere nell'ambito di applicazione della mini-AsPi i lavoratori a progetto ed i collaboratori coordinati e continuativi, rivedendo altresì taluni aspetti della flessibilità in entrata che rischiano di creare nuove sacche di disoccupati.
9/5256/83Fedriga, Caparini, Munerato, Bonino.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 40 dell'articolo 1 modifica la disciplina dei licenziamenti individuali regolati dalla legge n. 604 del 1966, sostituendo l'articolo 7 che introduce ex novo una procedura di conciliazione il caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. La procedura deve essere obbligatoriamente esperita prima di intimare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, davanti alla Commissione provinciale di conciliazione presso la Direzione territoriale del lavoro, dal datore di lavoro, che impieghi più di 15 dipendenti;
    il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è quello determinato da:
     1) ragioni inerenti all'attività produttiva;
     2) l'organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa;
    se la conciliazione in base alla nuova procedura riesce, il rapporto di lavoro si riterrà risolto consensualmente e al lavoratore spetterà il nuovo ammortizzatore sociale chiamato Assicurazione sociale per l'impiego (ASPI);
    in caso di insuccesso della conciliazione, il comma 41 dell'articolo 1 stabilisce che il licenziamento economico decorre fin dalla sua comunicazione al lavoratore e che il periodo di eventuale lavoro svolto in costanza della procedura si considera come preavviso lavorato;
    la previsione che il licenziamento economico decorra fin dalla sua comunicazione al lavoratore è misura sicuramente vessatoria e va soppressa al fine di garantire un corretto andamento del mercato del lavoro e tutelare le prerogative di lavoratrici e lavoratori,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle norme citate al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a rimuovere la previsione in base alla quale il licenziamento intimato all'esito del procedimento disciplinare di cui all'articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, oppure all'esito del procedimento di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come sostituito dal comma 40 del presente articolo, produce effetto dal giorno della comunicazione con cui il procedimento medesimo è stato avviato e che il periodo di eventuale lavoro svolto in costanza della procedura si considera come preavviso lavorato.
9/5256/84Rota, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame sostituisce gran parte dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sostituendo con 10 nuovi commi i primi 6 attualmente in vigore;
    sul nuovo articolo 18 molto si è scritto, discusso e ci si è scontrati perché nei casi di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo che dovessero risultare illegittimi non sempre è previsto il reintegro nel posto di lavoro (tutela reale);
    nel nuovo articolo 18 scompare inoltre la possibilità per il lavoratore di optare, in alternativa alla reintegrazione nel posto di lavoro (tutela reale), per un'indennità pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione globale che l'articolo 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970, nella formulazione attualmente vigente, riconosce in tutti i casi in cui il giudice dispone la reintegrazione nel posto di lavoro;
    in base al nuovo articolo 18 l'indennità pari a 15 mensilità spetta solo nel caso di reintegrazione disposta a seguito di dichiarazione di nullità del licenziamento perché discriminatorio o adottato in presenza di una causa di divieto. Non spetta più nei casi di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo, per i quali rimane il risarcimento del danno, che nel caso di nullità del licenziamento si aggiunge all'indennità;
    va aggiunto che sono elementi di novità comuni ai vari casi di licenziamento illegittimo:
     a) il fatto che nella determinazione dell'indennità spettante al lavoratore il giudice debba dedurre quanto eventualmente percepito dal lavoratore, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative (nuovo secondo comma) e quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione (nuovo quarto comma), nonché valutare il comportamento delle parti nell'ambito della procedura di conciliazione (nuovo settimo comma);
     b) l'introduzione di una fattispecie di revoca del licenziamento (individuale) da parte del datore, in virtù della quale, qualora vi sia una revoca entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell'impugnazione del medesimo licenziamento, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente la revoca, senza applicazione di sanzioni o indennità (decimo comma);
    intervenendo in sede di replica al termine della discussione generale, il Ministro Fornero ha dichiarato che l'approccio del Governo all'articolo 18 non è stato di tipo ideologico e che quello dell'articolo 18 non è il problema che attanaglia il nostro mercato del lavoro, come peraltro confermato anche dalle organizzazioni datoriali in varie dichiarazioni;
    essendo questa la situazione, non appare comprensibile la ragione per la quale si sono volute ridurre le garanzie in favore delle lavoratrici e dei lavoratori in presenza di un licenziamento che un giudice abbia dichiarato illegittimo, indipendentemente dal fatto che il motivo illegittimamente addotto dal datore di lavoro sia riconducibile, in maniera falsa evidentemente, alla categoria dei motivi economici o della riorganizzazione dell'impresa,

impegna il Governo

ad aprire subito un tavolo di concertazione con le parti sociali al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte ad individuare una disciplina più attenta al rispetto dei diritti fondamentali e indisponibili delle lavoratrici e dei lavoratori in materia di licenziamenti individuali, circoscrivendo la non applicabilità della tutela reale, che comporta la reintegrazione nel posto di lavoro, solo nei casi nei quali il licenziamento non sia dichiarato illegittimo da un tribunale.
9/5256/85Monai, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame sostituisce gran parte dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sostituendo con 10 nuovi commi i primi 6 attualmente in vigore;
    sul nuovo articolo 18 molto si è scritto, discusso e ci si è scontrati perché nei casi di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo che dovessero risultare illegittimi non sempre è previsto il reintegro nel posto di lavoro (tutela reale);
    nel nuovo articolo 18 scompare inoltre la possibilità per il lavoratore di optare, in alternativa alla reintegrazione nel posto di lavoro (tutela reale), per un'indennità pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione globale che l'articolo 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970, nella formulazione attualmente vigente, riconosce in tutti i casi in cui il giudice dispone la reintegrazione nel posto di lavoro;
    in base al nuovo articolo 18 l'indennità pari a 15 mensilità spetta solo nel caso di reintegrazione disposta a seguito di dichiarazione di nullità del licenziamento perché discriminatorio o adottato in presenza di una causa di divieto. Non spetta più nei casi di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo, per i quali rimane il risarcimento del danno, che nel caso di nullità del licenziamento si aggiunge all'indennità;
    va aggiunto che sono elementi di novità comuni ai vari casi di licenziamento illegittimo:
     a) il fatto che nella determinazione dell'indennità spettante al lavoratore il giudice debba dedurre quanto eventualmente percepito dal lavoratore, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative (nuovo secondo comma) e quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione (nuovo quarto comma), nonché valutare il comportamento delle parti nell'ambito della procedura di conciliazione (nuovo settimo comma);
     b) l'introduzione di una fattispecie di revoca del licenziamento (individuale) da parte del datore, in virtù della quale, qualora vi sia una revoca entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell'impugnazione del medesimo licenziamento, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente la revoca, senza applicazione di sanzioni o indennità (decimo comma);
    intervenendo in sede di replica al termine della discussione generale, il Ministro Fornero ha dichiarato che l'approccio del Governo all'articolo 18 non è stato di tipo ideologico e che quello dell'articolo 18 non è il problema che attanaglia il nostro mercato del lavoro, come peraltro confermato anche dalle organizzazioni datoriali in varie dichiarazioni;
    essendo questa la situazione, non appare comprensibile la ragione per la quale si sono volute ridurre le garanzie in favore delle lavoratrici e dei lavoratori in presenza di un licenziamento che un giudice abbia dichiarato illegittimo, indipendentemente dal fatto che il motivo illegittimamente addotto dal datore di lavoro sia riconducibile, in maniera falsa evidentemente, alla categoria dei motivi economici o della riorganizzazione dell'impresa,

impegna il Governo

ad aprire subito un tavolo di concertazione con le parti sociali al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte ad individuare una disciplina più attenta al rispetto dei diritti fondamentali e indisponibili delle lavoratrici e dei lavoratori in materia di licenziamenti individuali.
9/5256/85. (Testo modificato nel corso della seduta) Monai, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame sostituisce gran parte dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sostituendo con 10 nuovi commi i primi 6 attualmente in vigore;
    sul nuovo articolo 18 molto si è scritto, discusso e ci si è scontrati perché nei casi di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo che dovessero risultare illegittimi non sempre è previsto il reintegro nel posto di lavoro (tutela reale);
    nel nuovo articolo 18 scompare inoltre la possibilità per il lavoratore di optare, in alternativa alla reintegrazione nel posto di lavoro (tutela reale), per un'indennità pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione globale che l'articolo 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970, nella formulazione attualmente vigente, riconosce in tutti i casi in cui il giudice dispone la reintegrazione nel posto di lavoro;
    in base al nuovo articolo 18 l'indennità pari a 15 mensilità spetta solo nel caso di reintegrazione disposta a seguito di dichiarazione di nullità del licenziamento perché discriminatorio o adottato in presenza di una causa di divieto. Non spetta più nei casi di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo, per i quali rimane il risarcimento del danno, che nel caso di nullità del licenziamento si aggiunge all'indennità;
    va aggiunto che sono elementi di novità comuni ai vari casi di licenziamento illegittimo:
     a) il fatto che nella determinazione dell'indennità spettante al lavoratore il giudice debba dedurre quanto eventualmente percepito dal lavoratore, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative (nuovo secondo comma) e quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione (nuovo quarto comma), nonché valutare il comportamento delle parti nell'ambito della procedura di conciliazione (nuovo settimo comma);
     b) l'introduzione di una fattispecie di revoca del licenziamento (individuale) da parte del datore, in virtù della quale, qualora vi sia una revoca entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell'impugnazione del medesimo licenziamento, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente la revoca, senza applicazione di sanzioni o indennità (decimo comma);
    il nuovo articolo 18 non prevedendo più sempre la reintegrazione nel posto di lavoro in ogni caso di licenziamento individuale illegittimo fa venire meno la ragione che limitava la sua applicabilità alle aziende il cui numero di dipendenti sia minimo di 15;
    spesso si parla di «modello tedesco» del mercato del lavoro, anche con riferimento alla disciplina dei licenziamenti. Nessuna delle disposizioni proposte dalla riforma Fornero sulle conseguenze del licenziamento ingiustificato, che rimette al giudice l'opzione tra indennizzo e reintegrazione se si discute di presunte inadeguatezze «soggettive» del lavoratore, oppure prevedere solo l'indennizzo se le motivazioni vertono su problemi «oggettivi» dell'azienda, di natura economica o organizzativa, trovano corrispondenza in Germania;
    il richiamo a modelli stranieri serve solo a confondere, vantando l'una o l'altra rispettabile ascendenza;
    quel che oggi è il modello tedesco è molto più vicino al regime previsto in Italia dal vigente articolo 18 dello Statuto dei lavoratori di quanto vogliano far credere il Governo e i partiti che lo sostengono;
    tra le differenze ve ne è una importante: l'obbligo di reintegrazione scatta per le aziende a partire da 10 dipendenti, non oltre i 15, come adesso in Italia. Nella legislazione tedesca del 1951 si prevedeva addirittura il reintegro del lavoratore in aziende con più di 5 dipendenti,

impegna il Governo

ad adottare ogni opportuna iniziativa, anche legislativa, di concerto con le parti sociali, affinché la disciplina di cui all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sia applicabile ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupino alle loro dipendenze più di 10 prestatori di lavoro.
9/5256/86Borghesi, Di Stanislao, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame sostituisce gran parte dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sostituendo con 10 nuovi commi i primi 6 attualmente in vigore;
    sul nuovo articolo 18 molto si è scritto, discusso e ci si è scontrati perché nei casi di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo che dovessero risultare illegittimi non sempre è previsto il reintegro nel posto di lavoro (tutela reale);
    tra gli elementi di novità comuni ai vari casi di accertato licenziamento illegittimo vi è la previsione che il giudice, nella determinazione dell'indennità spettante al lavoratore debba dedurre quanto eventualmente percepito dal lavoratore, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative (nuovo secondo comma) e quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione (nuovo quarto comma), nonché valutare il comportamento delle parti nell'ambito della procedura di conciliazione (nuovo settimo comma);
    prevedere che in caso di accertato illegittimo licenziamento subito da una lavoratrice o da un lavoratore, questi possano essere danneggiati anche nella definizione del quantum di risarcimento o di indennità nel caso in cui non riescano a dimostrare di essersi applicati con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione e di nuove entrate, rappresenta uno svilimento della dignità dei lavoratori;
    non si tratta, infatti, di una situazione nella quale il debitore deve adoperarsi per rendere meno oneroso l'adempimento del creditore, ma di una situazione di violazione di diritti costituzionalmente protetti,

impegna il Governo

a monitorare gli effetti applicativi della norma citata in premessa al fine di adottare ogni utile provvedimento, anche legislativo, affinché sia escluso che il giudice, accertata l'illegittimità del licenziamento, nella commisurazione del quantum del risarcimento o dell'indennità tra il minimo e il massimo previsti, consideri come parametro quanto il lavoratore avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione oppure le iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione.
9/5256/87Cimadoro, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame sostituisce gran parte dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sostituendo con 10 nuovi commi i primi 6 attualmente in vigore;
    sul nuovo articolo 18 molto si è scritto, discusso e ci si è scontrati perché nei casi di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo che dovessero risultare illegittimi non sempre è previsto il reintegro nel posto di lavoro (tutela reale);
    tra gli elementi di novità comuni ai vari casi di accertato licenziamento illegittimo vi è la previsione che il giudice, nella determinazione dell'indennità spettante al lavoratore debba dedurre quanto eventualmente percepito dal lavoratore, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative (nuovo secondo comma) e quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione (nuovo quarto comma), nonché valutare il comportamento delle parti nell'ambito della procedura di conciliazione (nuovo settimo comma);
    prevedere che in caso di accertato illegittimo licenziamento subito da una lavoratrice o da un lavoratore, questi possano essere danneggiati anche nella definizione del quantum di risarcimento o di indennità nel caso in cui non riescano a dimostrare di essersi applicati con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione e di nuove entrate, rappresenta uno svilimento della dignità dei lavoratori;
    non si tratta, infatti, di una situazione nella quale il debitore deve adoperarsi per rendere meno oneroso l'adempimento del creditore, ma di una situazione di violazione di diritti costituzionalmente protetti,

impegna il Governo

a monitorare gli effetti applicativi della norma citata in premessa al fine di adottare eventuali provvedimenti, affinché sia escluso che il giudice, accertata l'illegittimità del licenziamento, nella commisurazione del quantum del risarcimento o dell'indennità tra il minimo e il massimo previsti, consideri come parametro quanto il lavoratore avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione oppure le iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione.
9/5256/87. (Testo modificato nel corso della seduta) Cimadoro, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 43 dell'articolo 1 del provvedimento in esame modifica l'articolo 30, comma 1, del Collegato lavoro (legge n. 183 del 2010), il quale prevede che laddove disposizioni di legge in materia di lavoro contengano clausole generali («vi comprese le norme in tema di instaurazione di un rapporto di lavoro, esercizio dei poteri datoriali, trasferimento di azienda e recesso»), il controllo giudiziale è limitato «all'accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al committente»;
    la modifica introdotta dal comma 43 consiste nell'inserimento, alla fine del comma, della specificazione che l'inosservanza di tale limite da parte del magistrato costituisce motivo di impugnazione del provvedimento giudiziale per violazione di norme di diritto;
    la novella introdotta risulta inappropriata in quanto il principio dell'impossibilità da parte del giudice di inoltrarsi nel sindacato di merito delle scelte dell'impresa è già da tempo previsto dall'ordinamento e, pertanto, non si avverte la necessità, che nel testo potrebbe assumere caratteristiche di forme di pressione verso la magistratura, di segnalare la facoltà di ricorrere in Cassazione per violazione di queste norme,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa, anche legislativa, per eliminare le ridondanze introdotte dalla riforma del mercato del lavoro, in particolare con riferimento ai poteri e alle facoltà riservate alla magistratura, al fine di escludere che oltre a determinarsi contrasti tra disposizioni, siano esercitate pressioni improprie sull'autonomia della magistratura.
9/5256/88Messina, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    la riforma del mercato del lavoro in esame rappresenta un'occasione mancata e determina un peggioramento della situazione delle lavoratrici e dei lavoratori;
    le innovazioni che contiene mostrano una diminuzione della protezione dei lavoratori di fronte ai licenziamenti illegittimi e uno stravolgimento del sistema degli ammortizzatori sociali che non rende universalistico il sostegno al reddito dei lavoratori che perdono il posto di lavoro e allo stesso tempo riduce la durata del sostegno e la riduzione degli importi spettanti a coloro che ne hanno diritto. Si tratta di un intervento che genera molti pericoli in una situazione di crisi economica e del mercato del lavoro come quella attuale;
    le nuove fragilità introdotta nel nostro sistema avranno inoltre effetti negativi sia sul mercato del lavoro che sul sistema pensionistico;
    già la recente riforma pensionistica del Governo ha determinato una situazione paradossale a causa della mancanza di disposizioni transitorie per regolare i casi dei lavoratori vicini all'età della pensione in base alle precedenti regole o che si trovavano in situazioni particolari al momento dell'entrata in vigore della riforma;
    si tratta di uno stravolgimento del diritto e dei diritti dei lavoratori in mobilità o mobilità lunga, a carico di fondi bilaterali, che hanno sottoscritto accordi di incentivo all'esodo, autorizzati a versamenti contributivi volontari o che avevano rassegnato le dimissioni dal posto di lavoro sul presupposto che dopo pochi mesi sarebbero andati in pensione;
    questi lavoratori sono venuti a trovarsi o verranno a trovarsi a breve nella situazione di non poter percepire la pensione e di non disporre neppure di un reddito da lavoro per un periodo di svariati anni;
    in particolare, è stata prevista una «lotteria» per salvaguardare un numero molto limitato dei predetti lavoratori che potranno andare in pensione con le regole pensionistiche previgenti;
    in questo modo si rischia una crisi sociale senza precedenti, dal momento che, come emerso dai dati INPS, la vicenda riguarda quasi 400 mila lavoratrici e lavoratori e i loro nuclei familiari,

impegna il Governo

ad adottare ogni strumento, anche di natura legislativa, che con urgenza intervenga a risolvere il problema dei cosiddetti lavoratori «esodati» danneggiati dalla recente riforma delle pensioni, assicurando che tutti coloro che hanno lasciato il lavoro devono poter andare in pensione con le regole vigenti al momento della firma dell'accordo o delle dimissioni dal lavoro.
9/5256/89Di Pietro, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    la riforma del mercato del lavoro in esame rappresenta un'occasione mancata e determina un peggioramento della situazione delle lavoratrici e dei lavoratori;
    le innovazioni che contiene mostrano una diminuzione della protezione dei lavoratori di fronte ai licenziamenti illegittimi e uno stravolgimento del sistema degli ammortizzatori sociali che non rende universalistico il sostegno al reddito dei lavoratori che perdono il posto di lavoro e allo stesso tempo riduce la durata del sostegno e la riduzione degli importi spettanti a coloro che ne hanno diritto. Si tratta di un intervento che genera molti pericoli in una situazione di crisi economica e del mercato del lavoro come quella attuale;
    le nuove fragilità introdotta nel nostro sistema avranno inoltre effetti negativi sia sul mercato del lavoro che sul sistema pensionistico;
    già la recente riforma pensionistica del Governo ha determinato una situazione paradossale a causa della mancanza di disposizioni transitorie per regolare i casi dei lavoratori vicini all'età della pensione in base alle precedenti regole o che si trovavano in situazioni particolari al momento dell'entrata in vigore della riforma;
    si tratta di uno stravolgimento del diritto e dei diritti dei lavoratori in mobilità o mobilità lunga, a carico di fondi bilaterali, che hanno sottoscritto accordi di incentivo all'esodo, autorizzati a versamenti contributivi volontari o che avevano rassegnato le dimissioni dal posto di lavoro sul presupposto che dopo pochi mesi sarebbero andati in pensione;
    questi lavoratori sono venuti a trovarsi o verranno a trovarsi a breve nella situazione di non poter percepire la pensione e di non disporre neppure di un reddito da lavoro per un periodo di svariati anni;
    in particolare, è stata prevista una «lotteria» per salvaguardare un numero molto limitato dei predetti lavoratori che potranno andare in pensione con le regole pensionistiche previgenti;
    in questo modo si rischia una crisi sociale senza precedenti, dal momento che, come emerso dai dati INPS, la vicenda riguarda quasi 400 mila lavoratrici e lavoratori e i loro nuclei familiari,

impegna il Governo

ad adottare ogni strumento, anche di natura legislativa, che con urgenza intervenga a risolvere il problema dei cosiddetti lavoratori «esodati» danneggiati dalla recente riforma delle pensioni.
9/5256/89. (Testo modificato nel corso della seduta) Di Pietro, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    la riforma del mercato del lavoro modifica in parte la disciplina dei licenziamenti collettivi previsti dalla legge n. 223 del 1991;
    questa legge contiene una procedura bifasica che deve seguire il datore di lavoro che voglia intimare licenziamenti collettivi, consistente in una prima fase cosiddetta sindacale e in una seconda fase cosiddetta amministrativa (davanti alla Direzione provinciale del lavoro), nel corso delle quali il datore di lavoro ed i sindacati tentano di trovare soluzioni alternative al licenziamento;
    le modifiche introdotte dal provvedimento in esame intervengono specificamente sulla fase sindacale, prevedendo che la comunicazione dell'elenco dei lavoratori collocati in mobilità, che l'impresa deve effettuare nei confronti di determinati soggetti pubblici, avvenga non contestualmente (come prevede, attualmente, l'articolo 4, comma 9, della legge n. 223 del 1991), bensì entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi a ciascuno dei lavoratori interessati;
    inoltre viene stabilito che gli eventuali vizi della comunicazione preventiva alle rappresentanze sindacali aziendali e alle rispettive associazioni di categoria sono sanabili, ad ogni effetto di legge, nell'ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della medesima procedura;
    infine sono adeguate le conseguenze sanzionatorie dei licenziamenti illegittimi o inefficaci, intimati ai singoli lavoratori all'esito della procedura di licenziamento collettivo, al nuovo testo dell'articolo 18 della legge n. 300 del 1970 introdotto da questo stesso provvedimento in esame;
    in particolare, si prevede che:
     1) in caso di recesso intimato senza l'osservanza della forma scritta, si applica la reintegrazione nel posto di lavoro e una indennità commisurata all'ultima retribuzione globale maturata dal momento del licenziamento all'effettiva reintegrazione, comunque non inferiore a 5 mensilità;
     2) in caso di recesso intimato senza il rispetto della procedura sindacale si applica la tutela prevista per i licenziamenti economici, ossia nessuna reintegrazione ma l'indennità determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale;
     3) in caso di recesso intimato violando i criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità (elencati dalla legge sui licenziamenti collettivi), si applica la reintegrazione nel posto di lavoro e una indennità commisurata all'ultima retribuzione globale maturata dal momento del licenziamento all'effettiva reintegrazione, comunque non superiore a 12 mensilità;
    è inaccettabile che, in caso di intimazione di licenziamento collettivo, gli eventuali vizi della comunicazione di cui al comma 2 del presente articolo possano essere sanati, ad ogni effetto di legge, nell'ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della procedura di licenziamento collettivo;
    tale nuova previsione è in grado di produrre effetti negativi di non poco conto;
    la comunicazione di avvio della procedura di licenziamento collettivo deve contenere necessariamente alcune importantissime informazioni, come ad esempio, i motivi che determinano la situazione di eccedenza di personale, o i motivi tecnici, organizzativi o produttivi per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio a tale situazione, ed evitare, in tutto o in parte i licenziamenti, ovvero ancora, il numero, la collocazione aziendale e i profili professionali di tale personale eccedente, eccetera;
    tale comunicazione è fondamentale nell'ambito della procedura di licenziamento collettivo di cui alla legge n. 223 del 1991. Ciò perché tale legge ha fortemente limitato il potere di accertamento della magistratura, la quale, in conformità con l'articolo 41 della Costituzione, non può sindacare le scelte discrezionali operate dall'imprenditore che decide di modificare la struttura della sua azienda, potendo esclusivamente verificare la correttezza formale dell'intera procedura, attraverso l'esame, in primis, della comunicazione di avvio della stessa;
    la finalità di tale comunicazione è duplice. Da un lato, essa risponde alla necessità di informare adeguatamente le organizzazioni sindacali con le quali l'azienda è tenuta a confrontarsi nel corso della procedura, in modo da favorire una effettiva gestione contrattata della procedura di riduzione del personale, dall'altro, essa è diretta a soddisfare una importantissima ed oggettiva esigenza di trasparenza del processo decisionale che poi sfocerà nel collocamento in mobilità o nell'intimazione dei licenziamenti al personale in esubero;
    il potere di verificare l'effettiva sussistenza delle ragioni addotte dall'imprenditore a fondamento del licenziamento collettivo, spetta soltanto alle organizzazioni sindacali destinatarie della comunicazione di avvio della procedura;
    tale comunicazione, pertanto, se incompleta, reticente o viziata, risulta ontologicamente impeditiva di una proficua partecipazione alla cogestione della procedura da parte del sindacato, che non avendo avuto la concreta possibilità di svolgere correttamente il suo ruolo di cogestione della procedura, non sarà in grado di manifestare una piena e consapevole adesione in sede di accordo con l'azienda;
    è evidente che l'intervenuto accordo raggiunto in presenza di una comunicazione incompleta, reticente o viziata, non possa essere salvato «ad ogni effetto di legge», pena la violazione dei diritti dei lavoratori e del mercato del lavoro;
    la giurisprudenza, sul punto, è sempre stata univoca sin dalla introduzione della legge n. 223 del 1991. Nella fattispecie delineata da tale legge, infatti, la forma è sostanza. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza del 15 ottobre 2002, n. 14616, hanno affermato che «l'intervenuto accordo con le organizzazioni sindacali, non può sanare ex post il vizio della comunicazione di avvio della procedura». Da tale orientamento la giurisprudenza non si è mai discostata;
    dal momento che al giudice del lavoro è preclusa ogni possibilità di controllare nel merito le cause che hanno determinato la necessità di ricorrere al licenziamento collettivo, precludergli anche la possibilità di verificare la correttezza formale della comunicazione di avvio della procedura, come previsto dal provvedimento in esame, significa privare irrimediabilmente il lavoratore di qualsiasi tutela contro il licenziamento illegittimo;
    in futuro, il datore di lavoro potrà tranquillamente inviare all'organizzazione sindacale una comunicazione di avvio inesatta, incompleta o reticente, sapendo già che una volta intervenuto l'accordo con la stessa, il lavoratore non potrà più adire il giudice, neanche per domandargli di accertare che essendo viziata la comunicazione iniziale, il sindacato non era stato correttamente informato e quindi non era nelle condizioni di raggiungere un accordo consapevole con l'imprenditore;
    il fatto che la nuova legge, una volta intervenuto l'accordo, consenta di ritenere comunque sanati, ad ogni effetto di legge, gli eventuali vizi della comunicazione di avvio della procedura, sottrae ai lavoratori anche la possibilità di tutelare i propri diritti in sede giudiziaria,

impegna il Governo

a monitorare gli effetti applicativi della norma richiamata in premessa al fine di adottare ulteriori iniziative normative affinché la comunicazione di cui alla legge n. 223 del 1991 per l'avvio della procedura di licenziamento collettivo, laddove incompleta, reticente o viziata non possa essere sanata ove abbia potuto determinare un accordo in sede sindacale che non sarebbe stato concluso o sarebbe stato concluso a condizioni differenti in presenza di una comunicazione corretta in tutti i suoi elementi, prevedendo altresì che in casi siffatti i lavoratori vengano reintegrati nel posto di lavoro.
9/5256/90Piffari, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    la riforma del mercato del lavoro modifica in parte la disciplina dei licenziamenti collettivi previsti dalla legge n. 223 del 1991;
    questa legge contiene una procedura bifasica che deve seguire il datore di lavoro che voglia intimare licenziamenti collettivi, consistente in una prima fase cosiddetta sindacale e in una seconda fase cosiddetta amministrativa (davanti alla Direzione provinciale del lavoro), nel corso delle quali il datore di lavoro ed i sindacati tentano di trovare soluzioni alternative al licenziamento;
    le modifiche introdotte dal provvedimento in esame intervengono specificamente sulla fase sindacale, prevedendo che la comunicazione dell'elenco dei lavoratori collocati in mobilità, che l'impresa deve effettuare nei confronti di determinati soggetti pubblici, avvenga non contestualmente (come prevede, attualmente, l'articolo 4, comma 9, della legge n. 223 del 1991), bensì entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi a ciascuno dei lavoratori interessati;
    inoltre viene stabilito che gli eventuali vizi della comunicazione preventiva alle rappresentanze sindacali aziendali e alle rispettive associazioni di categoria sono sanabili, ad ogni effetto di legge, nell'ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della medesima procedura;
    infine sono adeguate le conseguenze sanzionatorie dei licenziamenti illegittimi o inefficaci, intimati ai singoli lavoratori all'esito della procedura di licenziamento collettivo, al nuovo testo dell'articolo 18 della legge n. 300 del 1970 introdotto da questo stesso provvedimento in esame;
    in particolare, si prevede che:
     1) in caso di recesso intimato senza l'osservanza della forma scritta, si applica la reintegrazione nel posto di lavoro e una indennità commisurata all'ultima retribuzione globale maturata dal momento del licenziamento all'effettiva reintegrazione, comunque non inferiore a 5 mensilità;
     2) in caso di recesso intimato senza il rispetto della procedura sindacale si applica la tutela prevista per i licenziamenti economici, ossia nessuna reintegrazione ma l'indennità determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale;
     3) in caso di recesso intimato violando i criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità (elencati dalla legge sui licenziamenti collettivi), si applica la reintegrazione nel posto di lavoro e una indennità commisurata all'ultima retribuzione globale maturata dal momento del licenziamento all'effettiva reintegrazione, comunque non superiore a 12 mensilità;
    è inaccettabile che, in caso di intimazione di licenziamento collettivo, gli eventuali vizi della comunicazione di cui al comma 2 del presente articolo possano essere sanati, ad ogni effetto di legge, nell'ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della procedura di licenziamento collettivo;
    tale nuova previsione è in grado di produrre effetti negativi di non poco conto;
    la comunicazione di avvio della procedura di licenziamento collettivo deve contenere necessariamente alcune importantissime informazioni, come ad esempio, i motivi che determinano la situazione di eccedenza di personale, o i motivi tecnici, organizzativi o produttivi per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio a tale situazione, ed evitare, in tutto o in parte i licenziamenti, ovvero ancora, il numero, la collocazione aziendale e i profili professionali di tale personale eccedente, eccetera;
    tale comunicazione è fondamentale nell'ambito della procedura di licenziamento collettivo di cui alla legge n. 223 del 1991. Ciò perché tale legge ha fortemente limitato il potere di accertamento della magistratura, la quale, in conformità con l'articolo 41 della Costituzione, non può sindacare le scelte discrezionali operate dall'imprenditore che decide di modificare la struttura della sua azienda, potendo esclusivamente verificare la correttezza formale dell'intera procedura, attraverso l'esame, in primis, della comunicazione di avvio della stessa;
    la finalità di tale comunicazione è duplice. Da un lato, essa risponde alla necessità di informare adeguatamente le organizzazioni sindacali con le quali l'azienda è tenuta a confrontarsi nel corso della procedura, in modo da favorire una effettiva gestione contrattata della procedura di riduzione del personale, dall'altro, essa è diretta a soddisfare una importantissima ed oggettiva esigenza di trasparenza del processo decisionale che poi sfocerà nel collocamento in mobilità o nell'intimazione dei licenziamenti al personale in esubero;
    il potere di verificare l'effettiva sussistenza delle ragioni addotte dall'imprenditore a fondamento del licenziamento collettivo, spetta soltanto alle organizzazioni sindacali destinatarie della comunicazione di avvio della procedura;
    tale comunicazione, pertanto, se incompleta, reticente o viziata, risulta ontologicamente impeditiva di una proficua partecipazione alla cogestione della procedura da parte del sindacato, che non avendo avuto la concreta possibilità di svolgere correttamente il suo ruolo di cogestione della procedura, non sarà in grado di manifestare una piena e consapevole adesione in sede di accordo con l'azienda;
    è evidente che l'intervenuto accordo raggiunto in presenza di una comunicazione incompleta, reticente o viziata, non possa essere salvato «ad ogni effetto di legge», pena la violazione dei diritti dei lavoratori e del mercato del lavoro;
    la giurisprudenza, sul punto, è sempre stata univoca sin dalla introduzione della legge n. 223 del 1991. Nella fattispecie delineata da tale legge, infatti, la forma è sostanza. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza del 15 ottobre 2002, n. 14616, hanno affermato che «l'intervenuto accordo con le organizzazioni sindacali, non può sanare ex post il vizio della comunicazione di avvio della procedura». Da tale orientamento la giurisprudenza non si è mai discostata;
    dal momento che al giudice del lavoro è preclusa ogni possibilità di controllare nel merito le cause che hanno determinato la necessità di ricorrere al licenziamento collettivo, precludergli anche la possibilità di verificare la correttezza formale della comunicazione di avvio della procedura, come previsto dal provvedimento in esame, significa privare irrimediabilmente il lavoratore di qualsiasi tutela contro il licenziamento illegittimo;
    in futuro, il datore di lavoro potrà tranquillamente inviare all'organizzazione sindacale una comunicazione di avvio inesatta, incompleta o reticente, sapendo già che una volta intervenuto l'accordo con la stessa, il lavoratore non potrà più adire il giudice, neanche per domandargli di accertare che essendo viziata la comunicazione iniziale, il sindacato non era stato correttamente informato e quindi non era nelle condizioni di raggiungere un accordo consapevole con l'imprenditore;
    il fatto che la nuova legge, una volta intervenuto l'accordo, consenta di ritenere comunque sanati, ad ogni effetto di legge, gli eventuali vizi della comunicazione di avvio della procedura, sottrae ai lavoratori anche la possibilità di tutelare i propri diritti in sede giudiziaria,

impegna il Governo

a monitorare gli effetti applicativi della norma richiamata in premessa al fine di adottare eventuali ulteriori iniziative normative affinché la comunicazione di cui alla legge n. 223 del 1991 per l'avvio della procedura di licenziamento collettivo, laddove incompleta, reticente o viziata non possa essere sanata ove abbia potuto determinare un accordo in sede sindacale che non sarebbe stato concluso o sarebbe stato concluso a condizioni differenti in presenza di una comunicazione corretta in tutti i suoi elementi, prevedendo altresì che in casi siffatti i lavoratori vengano reintegrati nel posto di lavoro.
9/5256/90. (Testo modificato nel corso della seduta) Piffari, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 10 dell'articolo 31 del Collegato lavoro (legge n. 183 del 2010) ha previsto che i contratti di lavoro possono contenere clausole compromissorie che rendono obbligatorio lo svolgimento dell'arbitrato per risolvere le controversie di lavoro, sottraendo di fatto la materia all'autorità giudiziaria;
    il successivo comma 11 prevede che il Ministero del lavoro, in assenza degli accordi interconfederali o contratti collettivi che consentano alle parti contrattuali di poter pattuire clausole compromissorie, debba promuovere tra le parti sociali l'accordo sull'introduzione delle cause compromissorie e in caso di mancata stipulazione dell'accordo, entro i sei mesi successivi alla data di convocazione, debba «individuare, in via sperimentale, fatta salva la possibilità di integrazioni e deroghe derivanti da eventuali successivi accordi interconfederali o contratti collettivi, le modalità di attuazione e di piena operatività delle disposizioni» che consentono la devoluzione (obbligatoria) ad arbitri delle controversie di lavoro;
    in questo modo il Ministero imporrebbe l'introduzione delle clausole arbitrali obbligatorie;
    la mancata previsione che il lavoratore abbia la facoltà di revocare la propria volontà di devolvere ad arbitri le controversie in relazione al rapporto di lavoro, fatto salvo che per le controversie per le quali si sia già proceduto alla nomina degli arbitri rappresenta una violazione dei diritti fondamentali e indisponibili dei lavoratori;
    inoltre nella previsione che impone al Ministero l'introduzione in ogni caso, anche in assenza di accordi tra le parti sociali, delle clausole arbitrali obbligatorie rappresenta un pessimo esempio di sfiducia nella magistratura,

impegna il Governo

ad attivare gli strumenti necessari perché venga modificato l'articolo 31 del collegato lavoro (legge n. 183 del 2010) prevedendo la possibilità per il lavoratore di revocare la propria volontà rispetto alla clausola compromissoria, senza che ciò infici il contratto di lavoro.
9/5256/91Barbato, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 412 del codice di procedura civile, come modificato dal cosiddetto «collegato lavoro» (legge n. 183 del 2010), prevede che la clausola compromissoria con cui si devolve ad arbitri la risoluzione delle controversie di lavoro possa ricomprendere anche la «richiesta di decidere secondo equità nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento e dei principi regolatori della materia, anche derivanti da obblighi comunitari»;
    il giudizio secondo equità prevede che la decisione possa essere adottata anche contra legem, purché rispetti i principi generali dell'ordinamento;
    il giudizio di equità non può trovare molto spazio nella materia dei rapporti individuali di lavoro, caratterizzati da diritti indisponibili e costituzionalmente garantiti;
    l'introduzione di questo giudizio non aiuta a ridurre il contenzioso, come la legge si propone, ma rischia di alimentarlo;
    al fine di consentire un corretto funzionamento del mercato del lavoro e garantire i diritti dei lavoratori, è necessario che gli arbitri non possano decidere secondo equità, ma debbano decidere solo secondo diritto,

impegna il Governo

ad adoperarsi affinché venga rimossa la previsione di cui all'articolo 412, secondo comma, numero 2), del codice di procedura civile, prevedendo che gli arbitri possano decidere solo secondo diritto.
9/5256/92Zazzera, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    la riforma del mercato del lavoro fa confluire tutte le forme di tutela per la disoccupazione involontaria nell'ASPI, con il graduale superamento dell'indennità di mobilità, attraverso un periodo transitorio che si completerà nel 2017;
    l'ambito di applicazione dell'ASPI viene esteso agli apprendisti e ai dipendenti della PA con contratti di lavoro non a tempo indeterminato;
    per i collaboratori a progetto e le «finte» partite Iva la riforma prevede il sostanziale mantenimento delle misure di sostegno al reddito introdotte in via sperimentale dal precedente Governo nel 2008 e tuttora in vigore: tale beneficio vale mediamente 800 euro all'anno e copre 9.500 lavoratori in tutto su di una platea di 125.000 potenziali beneficiari;
    in base alla riforma, tuttavia, questa magra misura di sostegno al reddito verrà ridotta, anche se estesa a una platea più vasta;
    considerando ad esempio il caso più favorevole (per l'entità dell'erogazione) di un collaboratore disoccupato per sei mesi nell'anno precedente, che avesse percepito nei restanti sei mesi 1.000 euro al mese, l'indennità sarà di 300 euro in tutto;
    le regole sono tali per cui comunque la somma erogata non potrà eccedere i 1.000 euro nei rarissimi casi in cui un collaboratore guadagni 4.000 euro al mese per 6 mesi,

impegna il Governo

ad individuare le risorse necessarie finalizzate all'adozione di iniziative normative volte ad estendere l'ASPI o la mini-ASPI a tutti i lavoratori precari che ne risulterebbero esclusi, prevedendo criteri che rendano tale misura di sostegno al reddito davvero universale, e al contempo a rivedere la durata e l'ammontare del benefico, affinché possa essere goduto per periodi più lunghi e per un ammontare maggiore.
9/5256/93Donadi, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    la riforma del mercato del lavoro fa confluire tutte le forme di tutela per la disoccupazione involontaria nell'ASPI, con il graduale superamento dell'indennità di mobilità, attraverso un periodo transitorio che si completerà nel 2017;
    l'ambito di applicazione dell'ASPI viene esteso agli apprendisti e ai dipendenti della PA con contratti di lavoro non a tempo indeterminato;
    per i collaboratori a progetto e le «finte» partite Iva la riforma prevede il sostanziale mantenimento delle misure di sostegno al reddito introdotte in via sperimentale dal precedente Governo nel 2008 e tuttora in vigore: tale beneficio vale mediamente 800 euro all'anno e copre 9.500 lavoratori in tutto su di una platea di 125.000 potenziali beneficiari;
    in base alla riforma, tuttavia, questa magra misura di sostegno al reddito verrà ridotta, anche se estesa a una platea più vasta;
    considerando ad esempio il caso più favorevole (per l'entità dell'erogazione) di un collaboratore disoccupato per sei mesi nell'anno precedente, che avesse percepito nei restanti sei mesi 1.000 euro al mese, l'indennità sarà di 300 euro in tutto;
    le regole sono tali per cui comunque la somma erogata non potrà eccedere i 1.000 euro nei rarissimi casi in cui un collaboratore guadagni 4.000 euro al mese per 6 mesi,

impegna il Governo

ad individuare le risorse necessarie finalizzate all'adozione di iniziative normative volte ad estendere l'ASPI o la mini-ASPI a tutti i lavoratori precari che ne risulterebbero esclusi, prevedendo criteri che rendano tale misura di sostegno al reddito davvero universale, e al contempo a rivedere la durata e l'ammontare del benefico, affinché possa essere goduto per periodi più lunghi e per un ammontare maggiore, quanto sopra, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica.
9/5256/93. (Testo modificato nel corso della seduta) Donadi, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    la riforma del mercato del lavoro fa confluire tutte le forme di tutela per la disoccupazione involontaria nell'ASPI e nella mini-ASPI, con il graduale superamento dell'indennità di mobilità, attraverso un periodo transitorio che si completerà nel 2017;
    quanto alla mini-ASPI si stabilisce che possono goderne gli stessi soggetti che godono dell'ASPI – ovvero i lavoratori dipendenti, compresi gli apprendisti e i soci lavoratori di cooperativa che abbiano stabilito, con la propria adesione o successivamente all'instaurazione del rapporto associativo, un rapporto di lavoro in forma subordinata – che non raggiungano i requisiti previsti per godere dell'ASPI, ma abbia versato almeno 13 settimane di contributi negli ultimi dodici mesi;
    la mini-ASPI sostituirà dal 1o gennaio 2013 l'indennità di disoccupazione con requisiti ridotti e verrà corrisposta per un numero di settimane pari alla metà del numero di settimane di contribuzione versato nell'ultimo anno;
    tale previsione rappresenta un peggioramento rispetto alla disciplina dell'indennità di disoccupazione con requisiti ridotti,

impegna il Governo

ad individuare le risorse necessarie finalizzate all'adozione di iniziative normative volte ad estendere il riconoscimento della mini-ASPI per un numero di settimane pari nel minimo ad almeno il numero di settimane di contribuzione versato dalla lavoratrice o dal lavoratore nell'ultimo anno, e non alla metà come disposto dalla riforma.
9/5256/94Palagiano, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    la riforma del mercato del lavoro fa confluire tutte le forme di tutela per la disoccupazione involontaria nell'ASPI e nella mini-ASPI, con il graduale superamento dell'indennità di mobilità, attraverso un periodo transitorio che si completerà nel 2017;
    quanto alla mini-ASPI si stabilisce che possono goderne gli stessi soggetti che godono dell'ASPI – ovvero i lavoratori dipendenti, compresi gli apprendisti e i soci lavoratori di cooperativa che abbiano stabilito, con la propria adesione o successivamente all'instaurazione del rapporto associativo, un rapporto di lavoro in forma subordinata – che non raggiungano i requisiti previsti per godere dell'ASPI, ma abbia versato almeno 13 settimane di contributi negli ultimi dodici mesi;
    la mini-ASPI sostituirà dal 1o gennaio 2013 l'indennità di disoccupazione con requisiti ridotti e verrà corrisposta per un numero di settimane pari alla metà del numero di settimane di contribuzione versato nell'ultimo anno;
    tale previsione rappresenta un peggioramento rispetto alla disciplina dell'indennità di disoccupazione con requisiti ridotti,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di individuare le risorse necessarie finalizzate all'adozione di iniziative normative volte ad estendere il riconoscimento della mini-ASPI per un numero di settimane pari nel minimo ad almeno il numero di settimane di contribuzione versato dalla lavoratrice o dal lavoratore nell'ultimo anno, e non alla metà come disposto dalla riforma, quanto sopra compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica.
9/5256/94. (Testo modificato nel corso della seduta) Palagiano, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    la riforma del mercato del lavoro, all'articolo 4, commi dal 16 al 23, contiene disposizioni in materia di tutela della maternità e paternità e dimissioni in bianco;
    nel nostro ordinamento non è richiesto un requisito di forma né una modalità di esercizio del recesso dal rapporto di lavoro e ciò si presta facilmente ad abusi, il più comune dei quali è probabilmente quello conosciuto con l'espressione di «dimissioni in bianco». Questa pratica è tristemente nota e diffusa più di quanto possa apparire dalle statistiche, cui spesso sfugge;
    accade che al momento dell'instaurazione del rapporto di lavoro il datore di lavoro faccia firmare al lavoratore o alla lavoratrice un foglio bianco che al momento opportuno utilizzerà per mascherare il licenziamento da false dimissioni volontarie e sottrarsi alle conseguenze di un licenziamento illegittimo;
    la gravità e la frequenza di questa pratica ha portato il legislatore ad intervenire già tre volte;
    il primo intervento è contenuto nell'articolo 55, comma 4, del decreto legislativo n. 151 del 2001, con il quale sono state tutelate le donne lavoratrici durante il periodo di gravidanza e la lavoratrice o il lavoratore durante il primo anno di vita del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, prevedendo che le dimissioni volontarie debbano essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro competente per territorio;
    il secondo intervento contenuto nell'articolo 35, comma 4, del decreto legislativo n. 198 del 2006, con il quale è stata stabilita la nullità delle dimissioni presentate dalla lavoratrice nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio – purché segua la celebrazione – ad un anno dopo la celebrazione stessa, salvo che siano dalla lavoratrice medesima confermate entro un mese alla Direzione provinciale del lavoro;
    il terzo intervento contenuto nella legge n. 188 del 2007, con la quale era stato introdotto un meccanismo procedurale diretto a porre un rimedio generale contro le dimissioni in bianco del lavoratore o della lavoratrice, nel caso in cui la legge o il contratto prevedano l'utilizzo della forma scritta ai fini della validità dell'atto;
    l'ultima legge citata è stata abrogata dall'articolo 39, comma 10, del decreto-legge n. 112 del 2008 poco tempo dopo la sua entrata in vigore, mentre continuano ad applicarsi le misure contro il licenziamento durante la gravidanza o l'ingresso in famiglia dell'adottato e in occasione delle nozze;
    il provvedimento in esame reintroduce una disciplina per contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco, prevedendo che le dimissioni devono sempre essere convalidate secondo una delle modalità stabilite. Al contempo sostituisce il comma 4 dell'articolo 55 del decreto legislativo n. 151 del 2001, riscrivendo la disciplina per la tutela contro i licenziamenti in caso di gravidanza o neo-genitorialità;
    appare tuttavia che il nuovo meccanismo introdotto possa prestarsi a raggiri;
    ad esempio la semplice apposizione di firma in calce del lavoratore alla comunicazione del datore di lavoro di cessazione del rapporto per dimissioni volontarie o risoluzione consensuale non è sufficiente a scongiurare la pratica delle dimissioni in bianco;
    al contempo se il lavoratore non firma la dichiarazione di dimissioni evidentemente non vi è la volontà pertanto il rapporto di lavoro non può considerarsi «risolto» con una penalizzazione per il lavoratore che manifesta l'abuso con la non sottoscrizione della comunicazione di risoluzione,

impegna il Governo

a convocare un tavolo con le parti sociali, entro 12 mesi dall'entrata in vigore della riforma del mercato del lavoro, per verificare l'efficacia e l'efficienza delle norme introdotte per contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco, in particolare valutando con esse la possibilità di introdurre nuovi sistemi che consentano la verifica della data e della veridicità delle dimissioni contestualmente all'invio della comunicazione del datore di lavoro.
9/5256/95Di Giuseppe, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    la riforma del mercato del lavoro, all'articolo 4, commi dal 16 al 23, contiene disposizioni in materia di tutela della maternità e paternità e dimissioni in bianco;
    nel nostro ordinamento non è richiesto un requisito di forma né una modalità di esercizio del recesso dal rapporto di lavoro e ciò si presta facilmente ad abusi, il più comune dei quali è probabilmente quello conosciuto con l'espressione di «dimissioni in bianco». Questa pratica è tristemente nota e diffusa più di quanto possa apparire dalle statistiche, cui spesso sfugge;
    accade che al momento dell'instaurazione del rapporto di lavoro il datore di lavoro faccia firmare al lavoratore o alla lavoratrice un foglio bianco che al momento opportuno utilizzerà per mascherare il licenziamento da false dimissioni volontarie e sottrarsi alle conseguenze di un licenziamento illegittimo;
    la gravità e la frequenza di questa pratica ha portato il legislatore ad intervenire già tre volte;
    il primo intervento è contenuto nell'articolo 55, comma 4, del decreto legislativo n. 151 del 2001, con il quale sono state tutelate le donne lavoratrici durante il periodo di gravidanza e la lavoratrice o il lavoratore durante il primo anno di vita del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, prevedendo che le dimissioni volontarie debbano essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro competente per territorio;
    il secondo intervento contenuto nell'articolo 35, comma 4, del decreto legislativo n. 198 del 2006, con il quale è stata stabilita la nullità delle dimissioni presentate dalla lavoratrice nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio – purché segua la celebrazione – ad un anno dopo la celebrazione stessa, salvo che siano dalla lavoratrice medesima confermate entro un mese alla Direzione provinciale del lavoro;
    il terzo intervento contenuto nella legge n. 188 del 2007, con la quale era stato introdotto un meccanismo procedurale diretto a porre un rimedio generale contro le dimissioni in bianco del lavoratore o della lavoratrice, nel caso in cui la legge o il contratto prevedano l'utilizzo della forma scritta ai fini della validità dell'atto;
    l'ultima legge citata è stata abrogata dall'articolo 39, comma 10, del decreto-legge n. 112 del 2008 poco tempo dopo la sua entrata in vigore, mentre continuano ad applicarsi le misure contro il licenziamento durante la gravidanza o l'ingresso in famiglia dell'adottato e in occasione delle nozze;
    il provvedimento in esame reintroduce una disciplina per contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco, prevedendo che le dimissioni devono sempre essere convalidate secondo una delle modalità stabilite. Al contempo sostituisce il comma 4 dell'articolo 55 del decreto legislativo n. 151 del 2001, riscrivendo la disciplina per la tutela contro i licenziamenti in caso di gravidanza o neo-genitorialità;
    appare tuttavia che il nuovo meccanismo introdotto possa prestarsi a raggiri;
    ad esempio la semplice apposizione di firma in calce del lavoratore alla comunicazione del datore di lavoro di cessazione del rapporto per dimissioni volontarie o risoluzione consensuale non è sufficiente a scongiurare la pratica delle dimissioni in bianco;
    al contempo se il lavoratore non firma la dichiarazione di dimissioni evidentemente non vi è la volontà pertanto il rapporto di lavoro non può considerarsi «risolto» con una penalizzazione per il lavoratore che manifesta l'abuso con la non sottoscrizione della comunicazione di risoluzione,

impegna il Governo

ad avviare un confronto con le parti sociali, entro 12 mesi dall'entrata in vigore della riforma del mercato del lavoro, per verificare l'efficacia e l'efficienza delle norme introdotte per contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco, in particolare valutando con esse la possibilità di introdurre nuovi sistemi che consentano la verifica della data e della veridicità delle dimissioni contestualmente all'invio della comunicazione del datore di lavoro.
9/5256/95. (Testo modificato nel corso della seduta) Di Giuseppe, Paladini.


MOZIONI FRANCESCHINI ED ALTRI N. 1-01075, CICCHITTO ED ALTRI N. 1-01076, MOFFA ED ALTRI N. 1-01088, NUCARA ED ALTRI N. 1-01089, CAMBURSANO E BRUGGER N. 1-01092, DONADI ED ALTRI N. 1-01095, DOZZO ED ALTRI N. 1-01096, PISICCHIO ED ALTRI N. 1-01097, GALLETTI, DELLA VEDOVA E CICCANTI N. 1-01098 E FRANCESCHINI, GALLETTI, DELLA VEDOVA, PISICCHIO, NUCARA, CAMBURSANO, BRUGGER E MELCHIORRE N. 1-01101 SULLA POLITICA EUROPEA DELL'ITALIA IN VISTA DEL CONSIGLIO EUROPEO DEL 28-29 GIUGNO 2012

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    l'attuale crisi economica, sociale e politica che colpisce l'Unione europea e, in particolare, i Paesi della zona euro, rappresenta certamente la più grave dai trattati di Roma. Durante questa crisi, l'Unione europea ha reagito molto lentamente, spesso in ritardo, a volte con sottovalutazione e non si è dimostrata capace di articolare una visione e una risposta politica adeguata. In assenza di una netta svolta, a partire dal vertice europeo del 28-29 giugno 2012, si potrebbe assistere alla fine dello stesso progetto europeo, con catastrofiche conseguenze: impoverimento dei cittadini, instabilità politica e sociale e il rischio di una conflittualità che, più volte in passato, ha devastato l'intero continente;
    la durezza della crisi è avvertita in quasi tutti i Paesi, ma non vi è dubbio che la drammatica situazione sociale ed economica in Grecia e le crescenti difficoltà del sistema bancario della Spagna, con possibili effetti negativi sul resto della zona euro, sono oggi al centro delle preoccupazioni dell'Italia;
    di fronte a ritardi ed esitazioni incomprensibili e a dichiarazioni irresponsabili, che adombrano la possibile fuoriuscita della Grecia dall'euro e ne sottovalutano le imprevedibili ripercussioni negative per l'intera Unione europea, occorre ribadire: l'assoluta necessità di evitare la fuoriuscita della Grecia dall'eurozona; l'esigenza, politica ed economica, di dimostrare piena solidarietà ad Atene; l'urgenza di gestire efficacemente una crisi economica e finanziaria che rimane di portata contenuta rispetto all'entità complessiva del prodotto interno lordo europeo;
    occorre, quindi, sottolineare con forza che non esistono opzioni alternative al sostegno della Grecia e ai piani di salvataggio dello stato ellenico, se si vogliono evitare le ripercussioni immediate sugli altri Paesi della zona euro – ivi inclusa l'Italia ma anche la stessa Germania – che sarebbero, ad uno ad uno, attaccati dalla speculazione, soprattutto a causa dell'attuale debolezza politica dell'Europa e degli squilibri strutturali dell'Unione economica e monetaria;
    per questo motivo si ritiene che la cura decisiva alla malattia europea consista nella capacità di rilanciare con coraggio la visione federalista di un'Europa unita, unica possibilità di ritrovare insieme, in un'unione più ampia e federale, quella sovranità condivisa che i singoli Stati nazionali hanno ormai perso, di fatto, nell'epoca della globalizzazione, e che la soluzione venga dalla volontà di denunciare, ridurre e progressivamente annullare i costi della cosiddetta «non-Europa», realizzando istituzioni europee con vera legittimazione democratica e capacità di governo, riformando i trattati e rilanciando il processo costituente e politico;
    si devono, in particolare, correggere gli squilibri del progetto iniziale dell'Unione economica e monetaria e completare e aggiornare il Trattato di Lisbona, superando le sue insufficienze per andare al di là del puro e semplice coordinamento fra Stati membri che appare sempre più inadeguato;
    d'altra parte, l'opacità e la debolezza politica dell'Unione europea, largamente basata sulla rappresentanza indiretta dei Governi nazionali e su una Commissione europea non legittimata dal voto popolare, apparentemente lontana dai suoi cittadini, alimenta populismi, estremismi e demagogie neo-nazionaliste e provoca crescenti reazioni di rigetto da parte delle sue popolazioni;
    la debolezza politica, l'assenza di legittimazione democratica reale e la crisi di fiducia tra l'Unione europea e i cittadini rimangono poi un ostacolo, oggi insormontabile, per avanzare in settori vitali quali la sicurezza interna ed esterna, l'immigrazione, la politica energetica ed industriale, la ricerca e l'innovazione, la mobilità dei giovani, la politica estera e la difesa comune, e per definire nuove politiche economiche, fiscali e sociali comuni; in assenza di un mutamento delle strategie a livello europeo – e se tale scenario dovesse prolungarsi – l'Unione europea non potrebbe più disporre dei mezzi per resistere alle tendenze centrifughe ed alla crescita dei populismi;
    in questo spirito appare urgente ed indispensabile un segnale forte rivolto dal Parlamento europeo alle opinioni pubbliche ed alle istituzioni nazionali ed europee, eventualmente attraverso una sessione straordinaria chiamata a fissare gli elementi essenziali di un progetto costituente, del metodo e dell'agenda per realizzarlo;
    in questo senso, occorre che l'Italia accetti la sfida posta dalle recenti dichiarazioni della Cancelliera Merkel e di altri esponenti del Governo tedesco, che collegano ogni meccanismo di solidarietà a livello europeo e di mutualizzazione del debito a un aumento della cessione di sovranità dei singoli Stati in campo fiscale e politico, ribadendo la propria disponibilità a compiere subito, senza alcun indugio, passi decisivi verso una sempre maggiore integrazione e verso un'Unione federale;
    in tale contesto, si attende con molto interesse di conoscere i risultati del lavoro affidato ai presidenti della Commissione europea, José Manuel Barroso, del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, della Banca centrale europea, Mario Draghi, e del presidente dell'Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, che dovranno presentare proposte innovative per una maggiore integrazione politica, economica e fiscale in vista del vertice europeo del 28-29 giugno 2012;
    se la risposta politica è quella decisiva per rafforzare in modo concreto l'Unione europea e per rilanciare il progetto europeo, nell'immediato è assolutamente urgente trovare una via di uscita comune da una crisi economica e sociale, causa di crescente povertà e ingiustizia sociale in gran parte del continente;
    la perdurante situazione di instabilità dei mercati finanziari, le incertezze sulle prospettive dell'economia europea e sullo stato della crisi, riconfermate dagli ultimi rapporti della Banca centrale europea e della Commissione europea, rendono ancora necessaria la politica di stabilità, qualificazione e razionalizzazione delle spese, in particolare per Stati come l'Italia;
    la credibilità del risanamento dei conti pubblici, la maggiore omogeneità tra i debiti sovrani dei membri dell'eurozona, nonché il perseguimento di equilibri di bilancio sostenibili sono, in effetti, elementi molto importanti per far uscire l'eurozona dalla crisi attuale, ridare fiducia nel potenziale di crescita dell'economia europea, garantire solidità all'euro e credibilità al progetto europeo;
    tuttavia, è oramai opinione condivisa che la sola politica di stabilità non sia sufficiente per rilanciare l'economia europea e che, anzi, spinta oltre un limite ragionevole, comporti effetti recessivi che deprimono l'economia, aumentano il disagio sociale e rendono impossibile il raggiungimento degli stessi obiettivi di risanamento;
    anche all'ultimo vertice del G8 i Capi di Stato e di Governo hanno affermato che «l'imperativo è creare crescita e occupazione» e che «saranno intrapresi tutti i passi necessari per rafforzare le nostre economie e combattere le tensioni finanziarie», aggiungendo che «servono riforme e investimenti appropriati in istruzione e infrastrutture»;
    vanno in questo senso anche le più recenti prese di posizione del presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, che ha affermato che «la crescita deve tornare al centro dell'agenda» e del presidente della Commissione europea José Manuel Barroso, il quale ha ribadito come occorra affiancare all'austerità una strategia europea per l'occupazione e la crescita attraverso riforme e investimenti mirati, anche se l'azione di proposta della Commissione europea non si è tradotta in proposte adeguate, in particolare nel settore delle politiche con conseguenze finanziarie pluriennali;
    per quanto riguarda l'azione italiana, si deve ribadire quanto affermato nelle premesse della risoluzione n. 6-00109 di accompagnamento all'ultimo Documento di economia e finanza, vale a dire che: «la priorità dell'azione del Governo e del Parlamento non può essere, da questo momento in avanti, che la crescita dell'economia nazionale, attraverso il rafforzamento della produttività totale dei fattori di sistema, da perseguire con assoluta determinazione sia a livello interno che dell'Unione europea, sensibilizzando i nostri partner e tenendo conto delle indicazioni che provengono anche dalle più influenti organizzazioni internazionali», realizzando quelle azioni volte a promuovere la competitività e la crescita indicate nel nuovo piano nazionale di riforma: l'apertura dei mercati, la promozione del merito, la tutela dei consumatori, il potenziamento delle infrastrutture digitali e di trasporto, il miglioramento del servizio giustizia, il sostegno allo start up delle nuove imprese e alla internazionalizzazione;
    occorre ribadire poi, sul piano europeo, che il vincolo a correggere eccessivi e perduranti squilibri nel quadro macroeconomico generale dei singoli Paesi deve valere non solo per il risanamento richiesto ai Paesi in deficit di bilancio, ma anche per quelli in avanzo strutturale, come la Germania; Paesi che devono sviluppare un'azione di politica economica attiva volta a stimolare l'aumento della loro domanda interna, ottenendo, quindi, un riequilibrio della bilancia commerciale, anche tollerando una dinamica dei salari e dei prezzi in controllato incremento;
    la crisi greca, infatti, ha messo in luce questi squilibri strutturali creando una crisi di fiducia nella sostenibilità dei debiti pubblici, provocando un repentino aumento dei tassi di interesse e un circolo vizioso che, in assenza di importanti surplus di bilancio, ha portato il debito pubblico ad autoalimentarsi;
    ogni Paese ha così dovuto adottare rigorosi piani di salvataggio, accompagnati e sostenuti dall'immissione di liquidità decisa dalla Banca centrale europea, ma la mancanza di un vero coordinamento ed i piani di salvataggio adottati volta per volta, ad hoc, non hanno permesso di conciliare le esigenze del rigore finanziario e della crescita economica, mentre i tagli alle spese hanno colpito soprattutto le spese sociali e gli investimenti; i Paesi più indebitati rischiano così di soffrire di una crescita molto debole per molti anni, con conseguente aggravarsi del peso dei loro debiti e delle tensioni sociali;
    di recente, l'Unione europea ha deciso un intervento senza precedenti a favore della Spagna, mettendo a disposizione fino a 100 miliardi di euro del Fondo europeo di stabilità finanziaria (cosiddetto fondo salva Stati) per sostenere le banche spagnole in difficoltà, con l'impegno del Governo spagnolo di riformare e risanare il settore finanziario iberico sulla base di un piano che la Spagna dovrà presentare alle istituzioni comunitarie; in parallelo, la Banca centrale europea ha messo a disposizione del sistema bancario della zona euro liquidità illimitate sino al 15 ottobre 2013; anche questi interventi, necessari e che i firmatari del presente atto di indirizzo sostengono convintamente, hanno comunque dimostrato la necessità di creare una vera vigilanza europea e un sistema di assicurazione europea dei depositi bancari della zona euro, per rafforzare l'efficacia dell'azione delle istituzioni comunitarie, prevenire ulteriori crisi e rafforzare l'unione monetaria contro gli attacchi speculativi;
    il clima politico mutato in Europa, maggiormente attento ai pericoli di una recessione provocata da politiche fiscali troppo restrittive e favorevole ad azioni più coraggiose sul piano del sostegno alla crescita, è stato ulteriormente rafforzato dalla vittoria in Francia del presidente François Hollande, il quale, nei suoi primi incontri con la Cancelliera tedesca Angela Merkel e al vertice del G8, ha inteso portare avanti alcune proposte che rappresentano primi importanti passi in avanti: project bond, potenziamento delle capacità di investimento della Banca europea per gli investimenti, tassa sulle transazioni finanziarie, uso dei fondi strutturali rimasti inutilizzati ed eurobond;
    peraltro, innegabilmente tra le cause della crisi finanziaria vi è l'azione della speculazione internazionale che non ha ancora trovato una regolamentazione stringente e adeguata, nonostante la Banca dei regolamenti internazionali (Bri) nel suo rapporto abbia ancora sottolineato con preoccupazione come l'utilizzo dei derivati negoziati su mercati non regolamentati (OtC) sia oramai ripreso con intensità crescente, raggiungendo il valore nozionale di 650 mila miliardi di dollari (nove volte e mezzo il prodotto interno lordo del mondo), aspetto del tutto inaccettabile alla luce del fatto che già due anni fa il rapporto La Rosière, in Europa, così come il Dodd-Frank Act negli Stati Uniti nel 2010, avevano per tempo evidenziato l'esigenza di porre sotto controllo il mercato degli OtC, imponendo la contrattazione attraverso stanze di compensazione opportunamente capitalizzate e con meccanismi di margine;
    sembra, pertanto, non rinviabile la necessità di definire accordi a livello europeo e mondiale al fine di porre restrizioni sui creditdefaultswap sovrani, evitando il rischio che il mercato dei derivati negoziati, al di fuori dei mercati regolamentati, anticipi e forzi lo spread sovrano per trarne profitto, esaltando il rischio endogeno e quello sistemico;
    in coerenza con gli impegni assunti dall'Italia e nella consapevolezza della delicata situazione del suo debito pubblico, il Parlamento ha già avviato l’iter di esame ed approvazione del cosiddetto trattato sul «fiscal compact», così come di quello istitutivo del meccanismo europeo di stabilità, prevedendo scambi ufficiali di visite tra i relatori dei provvedimenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e gli omologhi relatori al Bundestag e Bundesrat; la regolare ratifica dei due trattati va, infatti, considerata come un ulteriore esempio di affidabilità del Paese e può dare un più forte impulso ed una maggiore credibilità agli sforzi del Governo per ottenere – dagli altri partner e, in particolare, dalla Germania – un accordo sugli strumenti di crescita, stabilità e mutualizzazione del debito che il Governo richiede in sede europea;
    tutti questi temi saranno affrontati al Consiglio europeo del 28-29 giugno 2012, occasione nella quale i Capi di Stato e di Governo europeo dovranno necessariamente definire un'azione chiara e incisiva di sostegno alla crescita europea, individuando gli strumenti, le priorità e le disponibilità economiche per dare contenuto ad una nuova strategia, un growth compact che affianchi e completi il «fiscal compact», e prendendo alcune prime decisioni immediatamente operative,

impegna il Governo:

   a ribadire la necessità della costruzione dell'Europa politica e federale, rilanciando la discussione sul futuro dell'Europa con tutti i Paesi disponibili, promuovendo, a termine, la convocazione di una convenzione per la riforma dei trattati e il riavvio del processo costituente, interrotto nel 2005;
   a promuovere in questo spirito una dichiarazione dell'insieme dei Governi che hanno firmato il cosiddetto «fiscal compact», o di una maggioranza di essi, che riaffermi il ruolo democratico del Parlamento europeo in collaborazione con i Parlamenti nazionali, cogliendo l'occasione del sessantesimo anniversario della nascita dell'Assemblea della Comunità europea del carbone e dell'acciaio il 10 settembre 1952, e che si impegni a rilanciare il processo di integrazione politica;
   a proporre un percorso a tappe che preveda la realizzazione, nei tempi più rapidi possibili, dell'unione bancaria e dell'unione fiscale in vista del riavvio del processo costituente nel giugno del 2014; ad avviare, in particolare, una discussione sui poteri, le finalità e le funzioni della Banca centrale europea che, anche attraverso una modifica dei trattati, valuti l'opportunità di conferirle un mandato più ampio di quello attuale e la doti di prerogative simili a quelle delle maggiori banche centrali mondiali, inclusi i poteri di vigilanza bancaria e l'effettivo potere di controllo e verifica dell'effettiva destinazione, all'economia reale e alle imprese, dei prestiti della stessa Banca centrale europea al sistema bancario;
   a sostenere le proposte per la creazione di una effettiva ed unitaria vigilanza europea sul settore creditizio e bancario, così come è stabilito dalla proposta legislativa, adottata dalla Commissione europea il 6 giugno 2012, relativa ad un quadro di nuovi strumenti comunitari per il risanamento delle banche e per la risoluzione delle crisi bancarie, volti ad assicurare la possibilità per le autorità di intervenire «preventivamente», in fase di «allerta precoce» e, infine, con il salvataggio delle funzioni essenziali della banca, senza che i costi della ristrutturazione e della risoluzione ricadano sui contribuenti piuttosto che sui proprietari e sui creditori della banca stessa;
   a sostenere ogni iniziativa necessaria ad accelerare la regolamentazione europea dei mercati creditizi e finanziari, quale elemento indispensabile per il superamento della crisi dei debiti sovrani, ponendosi, tra l'altro, gli obiettivi di restringere l'utilizzo di strumenti derivati negoziati in mercati non regolamentati (OtC), di adeguare la capitalizzazione delle banche alla reale entità delle perdite subite e di rafforzare il quadro regolamentare sulle agenzie di rating;
   a sostenere, a livello europeo, una politica di investimenti finalizzati allo sviluppo dell'impresa e dell'occupazione allo scopo di ridurre il differenziale di competitività tra Paesi europei, prevedendo il finanziamento di tale politica attraverso l'emissione di project bond, l'aumento del capitale della Banca europea per gli investimenti e della sua capacità operativa per investire in progetti di avvenire e rilanciare una vera crescita;
   a valutare l'opportunità di sostenere la proposta del Parlamento europeo di creare un redemption fund, composto dalla parte del debito di ogni Stato membro eccedente il 60 per cento da trasferire in un periodo di 5 anni, gestito dalla Commissione europea, per lo stock di debito accumulato, e le soluzioni tecniche contenute nel Libro verde della Commissione europea, quanto alle future emissioni di debito, per l'effettiva mutualizzazione, almeno parziale, dei debiti sovrani, con particolare riferimento agli eurobond, nonché ad approfondire le più recenti ipotesi dei cosiddetti eurobill, anche considerando la possibilità di combinare le diverse opzioni per permettere una loro rapida attuazione;
   considerata la pesante recessione in corso nel nostro Paese, a negoziare con la Commissione europea le soluzioni più opportune relative alla valutazione da attribuire alle spese per investimento nel computo dei saldi di finanza pubblica a partire dal 2012;
   a rilanciare con forza l'idea di portare «il mercato comune alla successiva fase di sviluppo», perseguendo le iniziative indicate nella lettera dei 12 Primi Ministri a Herman Van Rompuy e José Manuel Barroso, del 20 febbraio 2012, dando particolare rilievo all'apertura del settore dei servizi, al mercato unico digitale e a quello dell'energia, all'area europea della ricerca e al sostegno delle piccole e medie imprese e delle micro-imprese;
   a rilanciare, altresì, il tema dell'Europa sociale, chiedendo di avviare azioni in questo campo per la mobilità dei lavoratori, i nuovi programmi di apprendistato, l'aumento degli scambi e della mobilità tra studenti, stagisti e apprendisti.
(1-01075)
(Nuova formulazione) «Franceschini, Gozi, Letta, Ventura, Maran, Villecco Calipari, Amici, Boccia, Lenzi, Quartiani, Giachetti, Rosato, Tempestini, Fluvi, Baretta».


   La Camera,
   premesso che:
    nella attuale fase di crisi economica e finanziaria e di generalizzata recessione, i Paesi dell'eurozona e gli altri membri dell'Unione europea hanno avviato iniziative volte a coniugare le politiche di rigore dei bilanci con la crescita e lo sviluppo;
    tali iniziative, dopo il dibattito tenuto in occasione del pranzo informale dei Capi di Stato e di Governo del 23 maggio 2012, dovranno necessariamente tradursi in decisioni, ambiziose, concrete, lungimiranti e di lungo periodo al Consiglio europeo del 28-29 giugno 2012;
    il quadro europeo vede ancora irrisolta la crisi della Grecia, per la quale in questi ultimi tre anni è stato fatto troppo poco e troppo tardi, e dove un Paese ed un popolo hanno pagato e pagano prezzi gravissimi anche a causa della tardiva e incerta reazione cui la riluttanza di alcuni partner ha portato l'Europa sin dalle fasi iniziali della grave crisi, allorché con assai minore aggravio di oneri per tutti la Grecia avrebbe dovuta essere condotta fuori dal tunnel, consolidando la sua permanenza nell'area euro;
    cittadini e imprese subiscono le gravi conseguenze della recessione e della crisi, che è anzitutto una crisi politica e di governance, ovvero ciò che ha impedito ed impedisce di assumere, in modo unitario, decisioni politiche strategiche, e non solo, di reazione emergenziale agli attacchi speculativi, ancora in corso, ai debiti sovrani;
    il Parlamento, con la risoluzione n. 6-00109 di accompagnamento al Documento di economia e finanza, approvato il 26 aprile 2012, ha sottolineato l'importanza che il Governo operi affinché modifiche strutturali nei trattati siano introdotte verso l'attribuzione alla Banca centrale europea del ruolo di prestatore di ultima istanza; affinché la politica europea per la crescita utilizzi gli strumenti dei project bond, degli eurobond e degli stability bond; affinché il cosiddetto «fiscal compact» sia ratificato contestualmente dai principali Paesi dell'eurozona, e comunque dall'Italia non prima che intervenga la ratifica tedesca;
    il Parlamento europeo, nell'esame dei regolamenti presentati dalla Commissione (two pack) relativi alla disciplina di bilancio, ha respinto la proposta di scorporo degli investimenti dal calcolo del deficit di bilancio, ma ha approvato la creazione di un fondo europeo che assume i debiti dei Paesi che eccedono il 60 per cento del prodotto interno lordo, e che emette obbligazioni a tassi di interesse ridotti con la garanzia di tutti i Paesi membri entro limiti temporali determinati;
    appare ormai evidente come il Consiglio europeo informale di maggio 2012 ha mostrato che politiche dell'Unione europea, basate sulla carenza di azione comune di governance e sulla mera prosecuzione di ricette di puro e semplice rigore, sono inidonee tanto a contrastare la speculazione finanziaria quanto a creare nuove condizioni per lo sviluppo ed accentuano, in tutti i Paesi, assieme alla spirale recessiva, pericolose dinamiche euroscettiche cui sempre più larghe aree di opinione pubblica sono sensibili;
    è, dunque, indispensabile per l'interesse nazionale dell'Italia promuovere azioni di stimolo effettivo dello sviluppo, senza abbandonare la parallela linea del controllo dei conti pubblici; considerare insieme disciplina della spesa e spinta verso lo sviluppo rappresenta la sintesi, possibile ed oggi doverosa, tra ricette che finora hanno visto Paesi europei tra loro divisi con contrasti gravemente dannosi per l'intera eurozona;
    sarà, dunque, essenziale che il Governo italiano promuova e consolidi le opportune sinergie con l'obbiettivo di raggiungere l'accordo che sinora è mancato sulle iniziative per lo sviluppo;
    sulla base di quanto sopra espresso e di quanto precisato negli impegni che seguono, si assicura il sostegno al Presidente del Consiglio dei ministri e all'azione che egli dovrà svolgere in occasione del prossimo Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2012,

impegna il Governo:

   in preparazione e nel corso del Consiglio europeo del mese di giugno 2012, a sostenere e promuovere iniziative europee per lo sviluppo e la crescita con l'obiettivo di:
    a) creare un'unione bancaria dell'area euro, che preveda un fondo europeo di garanzia sui depositi bancari, un sistema centralizzato di sorveglianza sugli istituti di credito, una regolamentazione uniforme dei fallimenti bancari, l'istituzione di un'agenzia europea di rating del credito;
    b) attivare con effetto immediato i project bond europei e delineare criteri condivisi perché anche eurobond e stability bond siano attivati in tempi certi, nell'ambito di un'unione economica dell'area euro;
    c) coordinare tali strumenti con il potenziamento degli interventi della Banca europea degli investimenti e con l'uso migliore e più efficace dei fondi strutturali nazionali;
    d) sostenere un dibattito politico europeo non formale sul «cantiere istituzionale» verso un'unione politica dell'area euro, cui gli Stati membri non dovrebbero più opporre obiezioni pregiudiziali, includendo, tra gli altri, il tema cruciale dell'unione fiscale e dei relativi meccanismi di controllo sovranazionale delle politiche di bilancio;
    e) favorire, attraverso opportune modifiche dei trattati, un processo riformatore volto ad attribuire alla Banca centrale europea un nuovo mandato che preveda il ruolo di prestatore di ultima istanza;
    f) garantire l'accesso al credito da parte delle imprese, anche attraverso un adeguato monitoraggio dei flussi di credito erogati dalla Banca centrale europea ad istituti bancari nazionali, preservandone la prioritaria destinazione ad alimentare le capacità di credito del settore bancario verso la produzione e l'economia reale, con particolare riferimento alle piccole e medie imprese;
    g) insistere nel sostegno a criteri europei per lo scorporo strutturale di alcune categorie di investimento, di riconosciuto interesse comune, dal computo del deficit dei Paesi membri;
    h) proseguire nell'istituzione di un fondo speciale comunitario, già approvato dal Parlamento europeo, che assume i debiti dei Paesi che eccedono il limite del 60 per cento del prodotto interno lordo, fissato dal «fiscal compact», e che emette obbligazioni a tassi di interesse ridotti con la garanzia di tutti gli Stati membri entro limiti temporali determinati;
    i) definire tempi certi per il completamento del mercato interno, aumentando competitività ed introducendo flessibilità nel mercato del lavoro secondo i principi europei;
    l) proporre, secondo la tradizione europeistica italiana, una più forte prospettiva di Europa solidale che, accanto alla capacità di governo «politico», sia pronta a reagire con effetto immediato ad attacchi diretti ad uno o più degli Stati membri, compresi gli attacchi speculativi e finanziari, al pari di quelli ambientali o terroristici, e stabilire, quindi, interpretando in tal senso, con l'impulso dell'Italia, il Trattato di Lisbona, una clausola europea di solidarietà di fronte alle minacce ed agli attacchi, così da mostrare ai cittadini la funzione di «protezione» europea come ulteriore e concreto effetto positivo dell'appartenenza alla casa comune.
(1-01076) «Cicchitto, Frattini, Brunetta».


   La Camera,
   premesso che:
    il 28 e 29 giugno 2012 si riunisce il Consiglio europeo che dovrebbe prendere decisioni, tra le altre, in materia di: a) misure di stabilizzazione dell'eurozona; b) iniziative in materia di crescita; c) rafforzamento dell'Unione europea e ulteriore integrazione politica dell'Unione; d) quadro finanziario pluriennale 2014-2020;
    a quattro anni dalla crisi del 2008 la situazione si è aggravata, in quanto non è stata circoscritta agli interessi privati ma si è estesa a quelli pubblici, non si è limitata alle banche ma ha colpito violentemente gli Stati;
    la crisi ha prodotto negli Stati un effetto da esplosione a catena di fenomeni che possono diventare inarrestabili e che hanno messo in luce il fallimento dell'architettura europea, figlia di un meccanismo che è partito dal mercato unico per giungere alla moneta unica;
    l'Unione europea fondata sul monetarismo come elemento strategico ha mostrato tutta la sua fragilità, in quanto non può esistere una moneta senza Stati e una moneta europea senza uno spazio politico europeo;
    appare evidente che la trasmissione politica monetaria nell'eurozona non ha funzionato e il motivo sta tutto nel fatto che questa non ha impattato con l'economia reale; gli stessi interventi a sostegno delle banche hanno finanziato esclusivamente la tenuta del sistema creditizio senza alcuna ricaduta sulle imprese, in particolare piccole e medie, e sulle stesse famiglie;
    all'esclusivo sostegno del sistema creditizio si è associata l'azione di smantellamento della democrazia stessa; il principio democratico non è stato solo accantonato dal Consiglio dell'Unione europea ma anche dalla Commissione e il Parlamento europeo e, in tale contesto, non è stato in grado di assolvere alla sua funzione;
    è necessario modificare le regole del trattato per costruire un'Europa diversa, un'Europa dei popoli che sia in grado di coniugare rigore, crescita e sviluppo, con azioni sinergiche che siano contestuali e coordinate tra loro;
    il primo intervento di modifica al trattato è prevedere che la Banca centrale europea sia una banca che agisce da banca e non da supporto o aiuto ai processi speculativi;
    le liquidità straordinarie messe a disposizione dalla Banca centrale europea per prestiti triennali alle banche sono pari a mille miliardi di euro, una somma che coincide per entità con i debiti delle banche dell'area euro che scadono nel triennio 2012-2014; queste risorse, appare evidente, saranno utilizzate per rimborsare i bond bancari in scadenza dal 2012 e nulla andrà alle imprese e alle famiglie, nulla al sostegno allo sviluppo e alla crescita;
    tra le priorità deve figurare l'accelerazione dell'entrata in vigore della modifica dell'articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che ha istituito il meccanismo europeo di stabilità (Esm); questi deve diventare operativo già dal mese di luglio 2012 per far si che esso si possa cumulare con l'intervento del Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf); questo consentirebbe nella seconda metà del 2012 una capacità di prestito combinata pari a 700 miliardi di euro;
    è, altresì, necessario e improcrastinabile procedere alla creazione di un'unione bancaria dei Paesi aderenti all'Unione europea che si basi su: a) un sistema comune di garanzia dei depositi; b) un fondo europeo di risoluzione dei fallimenti bancari; c) una centralizzazione della vigilanza bancaria;
    in un contesto di crisi recessiva è fondamentale ricorrere a eurobond e project bond, tenuto conto che il ricorso ai project bond è già previsto nell'abito delle proposte della Commissione europea per il quadro finanziario pluriennale dell'Unione europea e al sistema delle risorse proprie per il 2014-2020 e sarà avviato in via sperimentale già nel prossimo biennio;
    la Commissione europea il 28 settembre 2011 ha presentato una proposta di direttiva che riguarda l'istituzione di un'imposta sulle transazioni finanziarie;
    il Governo in tale ambito deve adoperarsi affinché questa direttiva sia oggetto di una condivisione tra gli Stati dell'Unione europea, affinché tale proposta sia efficace e produca effetti positivi, che verrebbero meno senza una condivisione sinergica dei Paesi aderenti;
    al fine di sostenere la crescita e lo sviluppo è necessario prevedere lo scomputo dal calcolo del deficit dei singoli Stati di una quota significativa della spesa pubblica per investimenti,

impegna il Governo:

   ad attivarsi con adeguate iniziative al superamento dell'attuale Unione europea fondata esclusivamente sul monetarismo e unificata dai mercati, un'impostazione che è alla base della crisi recessiva, affinché si costruisca una Unione europea dei popoli, politica e solidale, che risponda alle esigenze di crescita e di sviluppo delle imprese e delle famiglie;
   a sostenere e favorire la modifica dei trattati con l'obiettivo di prevedere che la Banca centrale europea divenga il sostegno agli Stati e ai programmi di crescita e sviluppo, in qualità di prestatore di ultima istanza;
   ad adoperarsi affinché i flussi di credito erogati dalla Banca centrale europea al sistema creditizio siano utilizzati da quest'ultimo per il sostegno all'economia reale e alle famiglie, anche attraverso forme effettive ed efficaci di monitoraggio delle liquidità fornite dalla Banca centrale europea alle banche;
   a superare la fase sperimentale dei project bond allo scopo di attivarli come modalità di sostegno strutturale alle imprese e per la realizzazione di progetti infrastrutturali, e a sostenere con decisione l'attivazione di eurobond e stability bond in tempi brevi, sollecitando gli Stati europei a stabilire criteri condivisi;
   a proporre in sede di Unione europea la possibilità dello scomputo dal calcolo del deficit dei singoli Stati di una quota significativa della spesa pubblica per investimenti;
   a sostenere la proposta di direttiva presentata dalla Commissione europea il 28 settembre 2011 in merito all'istituzione di un'imposta sulle transazioni finanziarie, favorendo la condivisione di tale proposta tra gli Stati dell'Unione europea, condizione imprescindibile per l'efficace applicazione dell'imposta.
(1-01088) «Moffa, Calearo Ciman, Catone, Cesario, D'Anna, Gianni, Lehner, Marmo, Milo, Mottola, Orsini, Pionati, Pisacane, Polidori, Razzi, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini, Stasi, Taddei».


   La Camera,
   premesso che:
    il 28 e 29 giugno 2012 si riunisce il Consiglio europeo che dovrebbe prendere decisioni, tra le altre, in materia di: a) misure di stabilizzazione dell'eurozona; b) iniziative in materia di crescita; c) rafforzamento dell'Unione europea e ulteriore integrazione politica dell'Unione; d) quadro finanziario pluriennale 2014-2020;
    a quattro anni dalla crisi del 2008 la situazione si è aggravata, in quanto non è stata circoscritta agli interessi privati ma si è estesa a quelli pubblici, non si è limitata alle banche ma ha colpito violentemente gli Stati;
    la crisi ha prodotto negli Stati un effetto da esplosione a catena di fenomeni che possono diventare inarrestabili e che hanno messo in luce il fallimento dell'architettura europea, figlia di un meccanismo che è partito dal mercato unico per giungere alla moneta unica;
    l'Unione europea fondata sul monetarismo come elemento strategico ha mostrato tutta la sua fragilità, in quanto non può esistere una moneta senza Stati e una moneta europea senza uno spazio politico europeo;
    appare evidente che la trasmissione politica monetaria nell'eurozona non ha funzionato e il motivo sta tutto nel fatto che questa non ha impattato con l'economia reale; gli stessi interventi a sostegno delle banche hanno finanziato esclusivamente la tenuta del sistema creditizio senza alcuna ricaduta sulle imprese, in particolare piccole e medie, e sulle stesse famiglie;
    all'esclusivo sostegno del sistema creditizio si è associata l'azione di smantellamento della democrazia stessa; il principio democratico non è stato solo accantonato dal Consiglio dell'Unione europea ma anche dalla Commissione e il Parlamento europeo e, in tale contesto, non è stato in grado di assolvere alla sua funzione;
    è necessario modificare le regole del trattato per costruire un'Europa diversa, un'Europa dei popoli che sia in grado di coniugare rigore, crescita e sviluppo, con azioni sinergiche che siano contestuali e coordinate tra loro;
    il primo intervento di modifica al trattato è prevedere che la Banca centrale europea sia una banca che agisce da banca e non da supporto o aiuto ai processi speculativi;
    le liquidità straordinarie messe a disposizione dalla Banca centrale europea per prestiti triennali alle banche sono pari a mille miliardi di euro, una somma che coincide per entità con i debiti delle banche dell'area euro che scadono nel triennio 2012-2014; queste risorse, appare evidente, saranno utilizzate per rimborsare i bond bancari in scadenza dal 2012 e nulla andrà alle imprese e alle famiglie, nulla al sostegno allo sviluppo e alla crescita;
    tra le priorità deve figurare l'accelerazione dell'entrata in vigore della modifica dell'articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che ha istituito il meccanismo europeo di stabilità (Esm); questi deve diventare operativo già dal mese di luglio 2012 per far si che esso si possa cumulare con l'intervento del Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf); questo consentirebbe nella seconda metà del 2012 una capacità di prestito combinata pari a 700 miliardi di euro;
    è, altresì, necessario e improcrastinabile procedere alla creazione di un'unione bancaria dei Paesi aderenti all'Unione europea che si basi su: a) un sistema comune di garanzia dei depositi; b) un fondo europeo di risoluzione dei fallimenti bancari; c) una centralizzazione della vigilanza bancaria;
    in un contesto di crisi recessiva è fondamentale ricorrere a eurobond e project bond, tenuto conto che il ricorso ai project bond è già previsto nell'abito delle proposte della Commissione europea per il quadro finanziario pluriennale dell'Unione europea e al sistema delle risorse proprie per il 2014-2020 e sarà avviato in via sperimentale già nel prossimo biennio;
    la Commissione europea il 28 settembre 2011 ha presentato una proposta di direttiva che riguarda l'istituzione di un'imposta sulle transazioni finanziarie;
    il Governo in tale ambito deve adoperarsi affinché questa direttiva sia oggetto di una condivisione tra gli Stati dell'Unione europea, affinché tale proposta sia efficace e produca effetti positivi, che verrebbero meno senza una condivisione sinergica dei Paesi aderenti;
    al fine di sostenere la crescita e lo sviluppo è necessario prevedere lo scomputo dal calcolo del deficit dei singoli Stati di una quota significativa della spesa pubblica per investimenti,

impegna il Governo:

   ad attivarsi con adeguate iniziative al superamento dell'attuale Unione europea fondata esclusivamente sul monetarismo e unificata dai mercati, un'impostazione che è alla base della crisi recessiva, affinché si costruisca una Unione europea dei popoli, politica e solidale, che risponda alle esigenze di crescita e di sviluppo delle imprese e delle famiglie;
   a sostenere e favorire la modifica dei trattati con l'obiettivo di prevedere che la Banca centrale europea possa agire, all'occorrenza, come prestatore di ultima istanza;
   a considerare la possibilità di un monitoraggio delle liquidità fornite dalla Banca centrale europea alle banche, al fine di accertare se i flussi di credito erogati dalla Banca centrale europea al sistema creditizio siano utilizzati da quest'ultimo per il sostegno all'economia reale e alle famiglie;
   a superare la fase sperimentale dei project bond allo scopo di attivarli come modalità di sostegno strutturale alle imprese e per la realizzazione di progetti infrastrutturali e a sostenere con decisione l'attivazione di eurobond e stability bond, sollecitando gli Stati europei a stabilire criteri condivisi;
   a proporre in sede di Unione europea criteri valutativi europei che consentano una distinzione strutturale di alcune categorie di investimento, di riconosciuto interesse comune, ai fini della valutazione del computo del deficit dei Paesi membri;
   a sostenere la proposta di direttiva presentata dalla Commissione europea il 28 settembre 2011 in merito all'istituzione di un'imposta sulle transazioni finanziarie, favorendo la condivisione di tale proposta tra gli Stati dell'Unione europea, condizione imprescindibile per l'efficace applicazione dell'imposta.
(1-01088)
(Nuova formulazione) «Moffa, Calearo Ciman, Catone, Cesario, D'Anna, Gianni, Lehner, Marmo, Milo, Mottola, Orsini, Pionati, Pisacane, Polidori, Razzi, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini, Stasi, Taddei».


   La Camera,
   premesso che:
    la crisi finanziaria che attanaglia quasi tutta l'Europa è, a tutti gli effetti, una crisi economica che, inevitabilmente, porta con sé effetti sociali dirompenti e in alcuni casi drammatici;
    la progressiva finanziarizzazione dell'economia, che si è sviluppata fin dagli anni Ottanta del secolo scorso, ha provocato effetti che ora mostrano le loro drammatiche controindicazioni. Le banche sono diventate delle società finanziarie attive su scala globale operanti a 360 gradi sui mercati finanziari di tutto il mondo: così facendo hanno perso la loro originale funzione che resta, o almeno dovrebbe restare, quella di garanzia del credito per sostenere l'economia, gli investimenti, lo sviluppo. In virtù di questa loro finalità, le banche hanno svolto un ruolo cruciale per lo sviluppo economico del sistema capitalista;
    allontanare la finanza dall'economia, creando un'entità virtuale separata dal valore reale dei beni, ha creato una frattura difficile da ricomporre, il cui prezzo si sta rivelando altissimo;
    contemporaneamente, a partire dal crollo del muro di Berlino, si è affermata la cosiddetta globalizzazione, un fenomeno che ha, di fatto, rivelato un mondo nuovo molto più grande del precedente, nel quale la dimensione nazionale è divenuta rapidamente insufficiente a governare il presente. Il destino del cittadino non si sviluppa più esclusivamente all'interno dello Stato nazionale, ma è influenzato direttamente da avvenimenti e realtà anche molto distanti, che un tempo non avrebbero influito in maniera così diretta sulla sua condizione;
    se si pensa all'allargamento dell'Unione europea verso i Paesi dell'est Europa, occorre considerare che solo pochi anni fa questi erano al centro di profondi conflitti interni; oggi, invece, sono diventati mercati appetibili per gli investimenti e le installazioni di aziende e multinazionali: molte aziende italiane hanno dislocato in quella regione le proprie produzioni;
    lo stesso fenomeno con molta probabilità avverrà – in tempi più brevi – nei Paesi arabi del Mediterraneo, coinvolti nel 2011 dalla cosiddetta «Primavera araba». Appare, cioè, evidente che oggi, a differenza di ieri, quello che accade al Cairo o a Belgrado ha una ricaduta immediata sull'Italia e, quindi, sulla vita quotidiana dei nostri concittadini. La globalizzazione finanziaria ha preceduto, e forse accelerato, questo percorso, ma non ha delineato, perché non è il suo compito, una forma di governo di questo nuovo mondo globale. Governare, infatti, è compito della politica;
    la politica deve, dunque, riappropriarsi del proprio ruolo. Il processo di unificazione europea, nato certamente sotto la spinta di necessità finanziarie ed economiche, deve essere governato politicamente;
    si devono precisare i luoghi deputati alle decisioni sovranazionali e le istituzioni predisposte a farlo. Devono, cioè, essere chiarite le responsabilità e, soprattutto, deve essere definito con la massima decisione ed urgenza dove ed in capo a chi risieda la sovranità;
    si è detto e si continua a dire Europa, ma non può essere il Fondo monetario internazionale né la Banca centrale europea ha delineare le scelte politiche dell'Unione europea. Urgono, perciò, scelte politiche assunte in comune dalle istituzioni preposte a delineare una politica comune. La rivendicazione di questo principio è il primo ma inevitabile passo verso la possibilità concreta di affrontare la crisi, che non è solo finanziaria né solo economica, ma anche sociale e, dunque, politica;
    spesso si è detto e si è auspicato che l'Europa deve riuscire a parlare con una sola voce. Ad oggi, questo pare essere più che altro un augurio. Solo pochi giorni fa Bernard Cazeneuve, Ministro francese per gli affari europei, ha dichiarato che gli eurobond non sono uno strumento per aggiungere debito a debito o per mutualizzare il deficit dei singoli Paesi, bensì solo un mezzo per assicurare il risanamento, che garantirà la crescita e posti di lavoro. Aggiunge anche che «senza solidarietà» finanziaria, per l'Europa non c’è avvenire. Contemporaneamente, Wolfgang Schaeuble ha dichiarato che prima degli eurobond all'Europa serve una reale unione fiscale, ribadendo pochi giorni dopo che, a prescindere da come finiranno le elezioni in Grecia, questa dovrà onorare fino in fondo il suo debito. E mentre dalla Spagna si invocavano fondi europei per le banche del Paese, dall'Olanda si ribadiva il rifiuto ad uno schema di garanzie europeo sui depositi. È evidente che una situazione del genere non può che creare dubbi e confusione e facilitare ogni tentativo di speculazione;
    il risultato delle elezioni in Grecia rappresenta un segnale molto importante per il futuro non solo di quel Paese, ma dell'intero continente, a dimostrazione che la crisi greca non era e non è solo una crisi nazionale. Fino ad oggi, si è voluto affrontare ogni crisi come se fosse un caso singolo e nazionale e non – come invece dovrebbe essere – come la crisi di un pezzo d'Europa; il prossimo Consiglio europeo è l'occasione per certificare un chiaro cambio di rotta in questo senso;
    anche lo Stato più forte tra quelli europei, se rimanesse da solo, nella malaugurata ipotesi di un crollo dell'Europa, si troverebbe ad essere una piccola realtà nel panorama globale. Un'Europa veramente unita è l'unica possibilità di rilancio di ogni sua singola nazione appartenente, dalla più forte alla più debole;
    l'Europa è una soluzione difficile quanto ambiziosa. Ma resta inevitabile. Ovviamente, comporta dei costi per tutti, si tratta di dover declinare la sovranità nazionale, inevitabilmente perdendone una parte consistente, come sta già comunque avvenendo. Ciò sarà inevitabile, ma è impensabile che i Paesi deboli chiedano di distribuire il proprio debito a scapito di quelli più forti. Troppi Paesi, finora, compresa l'Italia, hanno vissuto per troppi anni al di sopra delle proprie possibilità;
    il sacrificio deve, dunque, essere collettivo. Solo così il debito e la compartecipazione al debito possono diventare una leva per futuri investimenti che, in particolare, dovranno essere finalizzati e puntati allo sviluppo delle aree più depresse del vecchio continente;
    il Mediterraneo, alla luce dei rivolgimenti avvenuti sulla sua sponda meridionale, deve diventare la frontiera del nuovo sviluppo e dei nuovi investimenti europei: è questa l'area strategica dove investire per creare un'Europa più forte e competitiva;
    allo stato attuale, molti cittadini europei subiscono le gravi conseguenze della crisi, che, come detto, è anzitutto una crisi politica perché sono mancate decisioni politiche comuni e strategiche;
    appare, dunque, necessario affrontare definitivamente la prospettiva di una vera Unione federale, democratica e solidale al suo interno, ed il prossimo Consiglio europeo deve dare risposte adeguate nel merito di questo sviluppo;
    l'Italia sta facendo la propria parte. L'Unione europea deve fornire risposte politiche adeguate, finalizzate a forme di investimento solidale. È, quindi, necessario che gli strumenti di intervento, soprattutto nei mercati finanziari, siano potenziati e messi in grado di agire senza eccessivi ritardi. In quest'ottica occorre prevedere forme di integrazione dei debiti pubblici nazionali ed anche di emissione di titoli di debito pubblico europeo perché i soli obiettivi del rigore finanziario e della riduzione del debito pubblico non esauriscono l'orizzonte della risposta europea alla crisi;
    appare necessario vagliare con attenzione l'ipotesi avanzata per la creazione di un fondo europeo, il cosiddetto «european redemption pact», nel quale potrebbe confluire la parte eccedente il 60 per cento del prodotto interno lordo dei debiti dei Paesi europei che, a loro volta, si impegnerebbero a ripagare le passività con le loro entrate fiscali. Una soluzione complessa e forse tecnicamente impraticabile al momento, vista la profonda disomogeneità dei vari sistemi fiscali nazionali, ma che coglie, comunque, l'aspetto più profondo del problema, andando nella direzione di una gestione condivisa del debito, al prezzo della perdita di una parte di sovranità da parte dei singoli Stati;
    si è chiamati a costruire una vera e propria federazione europea, capace di garantire un equilibrio democratico alla rappresentanza di Stati e popoli e di assicurare il principio di responsabilità del governo dell'Unione europea di fronte ai cittadini d'Europa. Le difficoltà che si hanno di fronte sono l'occasione e l'opportunità per rilanciare l'Europa come realtà politica prima che finanziaria ed economica;
    alla luce di quanto esposto in premessa ed in vista del prossimo Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2012,

impegna il Governo:

   a perseguire il rafforzamento del metodo comunitario, quale strumento centrale del processo di integrazione europea, riducendo il peso eccessivo del metodo intergovernativo e rilanciando, quindi, la prospettiva di un'Europa federale;
   ad assumere le necessarie iniziative affinché l'adozione di politiche di rigore di bilancio e di riduzione del deficit siano necessariamente contestuali al delinearsi di precisi impegni di investimento strutturale in chiave di sviluppo comune, collegando, quindi, l'azione di risanamento a quella per la crescita e ponendo fine alla distinzione delle due;
   ad assumere iniziative per affermare la necessità di una sempre più stretta integrazione economica all'interno dell'Unione europea, in particolare con programmi specifici per l'avvio, nel breve periodo, di titoli di debito pubblico comuni dell'area euro;
   a prevedere che si possa investire sulle grandi infrastrutture trans-europee attraverso il ricorso a specifici europroject finanziati da eurobond, creando debiti europei per investimenti europei;
   a prevedere la creazione di un fondo europeo di garanzia sui depositi bancari, un sistema di sorveglianza comune sugli istituti di credito e un'agenzia europea di rating;
   a promuovere una modifica dello statuto della Banca centrale europea, inserendo tra i suoi compiti anche quello di sostenere e promuovere politiche di investimento e sviluppo, sul modello della Federal reserve, e di assolvere al ruolo di prestatrice di ultima istanza;
   a farsi promotore, infine, presso le istituzioni europee di un coordinamento dei diversi sistemi fiscali, allo scopo di poter contare su parametri di politica fiscale omogenei in tutta l'Unione europea.
(1-01089) «Nucara, Ossorio, Brugger».


   La Camera,
   premesso che:
    il Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2012, secondo le indicazioni emerse nel corso del precedente incontro informale del 23 maggio 2012, dovrebbe incentrarsi sui seguenti temi: misure di stabilizzazione dell'eurozona; iniziative in materia di crescita; rafforzamento dell'Unione economica e ipotesi di ulteriore integrazione politica dell'Unione europea; quadro finanziario pluriennale 2014-2020;
    la discussione sui primi tre punti dovrebbe svolgersi sulla base di una relazione che sarà predisposta dal presidente del Consiglio europeo Van Rompuy, che dovrebbe individuare i principali elementi costitutivi e un metodo di lavoro per condurre l'unione economica e monetaria verso una nuova fase;
    la discussione sulla stabilizzazione dell'eurozona dovrebbe incentrarsi su due profili: a) il primo attiene agli strumenti di sostegno ai Paesi colpiti da crisi del debito sovrano, con particolare riferimento all'effettiva entrata in vigore del nuovo meccanismo europeo di stabilità (European stability mechanism, Esm) dell'area euro e alla sua combinazione con gli strumenti attualmente operanti, nonché al loro utilizzo per sostenere il settore creditizio; b) il secondo concerne la creazione di nuovi strumenti volti ad assicurare una gestione o garanzia comune (di parte) del debito sovrano degli Stati membri dell'eurozona al fine di prevenire future crisi;
    le opzioni «sul tavolo» sono numerose: dagli stability bond (emissione in comune di titoli di debito da parte degli Stati dell'eurozona) alla creazione di un fondo europeo di redenzione;
    sui primi, la Commissione europea nel novembre 2011 individuò tre opzioni a seconda del grado di sostituzione: a) sostituzione totale dei titoli nazionali con gli stability bond, con garanzia congiunta e differenziata; b) sostituzione parziale dei titoli nazionali, con garanzia congiunta e differenziata; c) sostituzione parziale dei titoli nazionali con gli stability bond con garanzia differenziata;
    la proposta di creare un fondo europeo di redenzione (Erf), invece, prevede di far confluire nel fondo l'importo dei debiti pubblici degli Stati dell'eurozona per la parte eccedente il 60 per cento del prodotto interno lordo. Il fondo europeo di redenzione emetterebbe titoli per una durata massima di 20-25 anni garantiti dal gettito delle imposte riscosse a livello nazionale e da asset pubblici dei Paesi assistiti;
    in un sistema chiuso come quello dell'euro non possono essere tutti creditori. Il fatto che una politica controproducente venga imposta crea una dinamica politica molto pericolosa, che invece di unire i Paesi membri, li spingerà a recriminazioni reciproche e potrebbe provocare il rischio concreto che l'euro possa minare la coesione politica dell'Unione europea;
    i tagli alla spesa imposti ad alcuni Paesi stanno spingendo l'Europa in una trappola deflazionistica. La riduzione del deficit di bilancio crea una pressione verso il basso sui salari e sui profitti, le economie si contraggono e il gettito fiscale potrebbe crollare;
    l'ammontare del debito, che è dato dal rapporto tra debito cumulato e prodotto interno lordo, di fatto aumenta, richiedendo ulteriori tagli di bilancio e ingenerando così un circolo vizioso;
    con l'arrivo dell'euro la Banca centrale europea ha trattato su un piano di parità i titoli di Stato dei diversi Paesi membri. Questo ha incentivato le banche ad accumulate titoli dei Paesi più deboli per guadagnare qualche punto base in più. L'introduzione della moneta unica ha poi provocato la divergenza di competitività che, oggi, è così difficile da correggere. Le banche sono state «zavorrate» con i buoni del tesoro di Paesi meno competitivi, che, da privi di rischio com'erano, sono diventati più rischiosi. Le autorità hanno allora ordinato al sistema bancario europeo di ricapitalizzarsi: è stato il colpo di grazia, perché le banche sono state fortemente incentivate a ridurre il bilancio, chiedendo il rimborso dei prestiti e sbarazzandosi dei rischiosi titoli di Stato;
    il «credit crunch» ha fatto sentire i suoi effetti sull'economia reale. La Banca centrale europea ha iniziato prima a ridurre i tassi d'interesse e a comprare titoli di Stato sul mercato aperto;
    il meccanismo del ltro (operazioni di rifinanziamento a lungo termine) della Banca centrale ha alleviato le pene del sistema bancario, ma l'effetto positivo è già terminato;
    il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, il 30 maggio 2012 ha prospettato l'esigenza di creare una «Unione bancaria» fra i Paesi dell'eurozona, basata su tre pilastri: un sistema comune di garanzia dei depositi; un fondo europeo di risoluzione (per i fallimenti bancari); una più forte centralizzazione della vigilanza bancaria a livello di Unione europea;
    ciò costituirebbe lo strumento necessario per affrontare la causa fondamentale dell'instabilità finanziaria in Europa, vale a dire il nesso tra le difficoltà del sistema bancario («stress bancario») e quelle della finanza pubblica («stress sovrano»);
    se l'appuntamento europeo di fine giugno 2012 non avviasse un immediato cambio di rotta, il deterioramento dell'economia e la disintegrazione politica e sociale si rafforzerebbero a vicenda. Chi trova intollerabile questo stato di cose e cerca il cambiamento è spinto all'estremismo anti europeo. Se l'Europa avrà la forza ed il coraggio di portare a compimento una drastica regolazione del mercato finanziario e di avviare finalmente una precisa strategia per la crescita, si potrebbe pensare di diventare a medio termine una zona di stabilita;
    il Parlamento italiano, con la risoluzione n. 6-00109 di accompagnamento al documento di economia e finanza approvato il 26 aprile 2012, ha sottolineato l'importanza che il Governo operi affinché modifiche strutturali nei trattati siano introdotte in direzione dell'attribuzione alla Banca centrale europea del ruolo di prestatore di ultima istanza;
    il Parlamento europeo, nell'esame delle proposte di regolamenti della Commissione europea (two pack) relativi alla disciplina di bilancio, ha respinto la proposta di scorporo degli investimenti dal calcolo del deficit di bilancio, ma ha approvato la creazione di un fondo europeo che assuma i debiti dei Paesi che eccedono il 60 per cento del prodotto interno lordo, e che emetta obbligazioni a tassi di interesse ridotti con la garanzia di tutti i Paesi membri entro limiti temporali determinati,

impegna il Governo:

   a sostenere un dibattito politico europeo sul «cantiere istituzionale» verso una Unione politica dell'area euro che comprenda l'unione fiscale con i relativi meccanismi di controllo sovranazionale delle politiche di bilancio;
   a sostenere e a promuovere iniziative europee per lo sviluppo con l'obiettivo di:
    a) creare una Unione bancaria dell'area euro così come evidenziato in premessa;
    b) attivare con effetto immediato i project bond europei;
    c) sostenere, attraverso opportune modifiche dei trattati, un processo riformatore volto ad attribuire alla Banca centrale europea un nuovo mandato che preveda il ruolo di prestatore di ultima istanza;
    d) sostenere con forza lo scorporo strutturale di alcune categorie di investimento dal computo del deficit del Paesi membri («golden rule»);
    e) definire tempi certi per il completamento del mercato interno, aumentando competitività ed introducendo flessibilità nel mercato del lavoro secondo i principi europei;
   a promuovere la prosecuzione dei lavori del Consiglio europeo relativamente all'imposta sulle transazioni finanziarie;
   a stimolare le sinergie tra strumenti nazionali ed europei, compresi i fondi strutturali, in particolare al fine di combattere la disoccupazione giovanile;
   a promuovere un aumento di capitale della Banca europea per gli investimenti.
(1-01092) «Cambursano, Brugger».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, in una sua dichiarazione fatta a Los Cabos in Messico, dove si è svolto il 18 e il 19 giugno 2012 il G20, i prossimi dieci giorni saranno decisivi per il futuro dell'euro in vista del vertice europeo di fine giugno 2012. Infatti, il 28-29 giugno 2012 si terrà il vertice europeo che dovrà assumere decisioni impegnative, dalle quali dipende il destino non solo dell'euro, ma quello dell'integrità e della stabilità dell'eurozona, nonché l'avvenire dello stesso processo di unificazione europeo;
    le misure che devono essere prese dovranno segnare una discontinuità reale rispetto a quanto deciso finora dalle autorità europee che, di fronte alla crisi finanziaria ed economica che ha investito in particolare i Paesi dell'eurozona, hanno adottato misure che, imponendo rigore e politiche di austerità di bilancio contemporaneamente a tutti i Paesi che utilizzano la moneta unica, hanno innescato una spirale recessiva che impedisce la stessa messa in sicurezza dei conti pubblici e offre spazio alle manovre speculative dei mercati finanziari che scommettono contro l'euro o, perlomeno, sull'uscita di uno o più Paesi dall'area euro;
    l'errore è soprattutto di analisi: la questione fondamentale è rappresentata non dalle politiche di austerità ma dalle divergenze di competitività. Per affrontarle, se si esclude l'uscita dall'euro, è necessaria la ripresa dell'economia dell'eurozona e l'espansione del credito e dei redditi nei Paesi con saldi commerciali attivi. Se non si riconosce la vera natura della crisi, l'eurozona non ha alcuna possibilità di risolvere i problemi o di prevenire la loro riproduzione;
    in quest'ultimo decennio, la Germania ed i Paesi dell'area «tedesca» (Olanda ed Austria in particolare) hanno accumulato, a causa di un cambio marco-euro sottovalutato e di un forte differenziale di produttività, enormi avanzi commerciali, mentre le bilance commerciali dei Paesi «periferici» registravano deficit crescenti. Le banche dell'area tedesca e quelle francesi elargivano finanziamenti ai Paesi in deficit commerciale. Un meccanismo perfetto e conveniente per tutte le parti in causa per un periodo, ma intrinsecamente e strutturalmente, insostenibile, e, in effetti, messo in discussione dalla crisi economico-finanziaria iniziata nel 2007-2008;
    la spirale austerità-recessione-austerità gonfia il debito pubblico e condanna a morte l'Unione europea. Non esiste la possibilità di una «austerità espansiva»: si tratta solo di un ossimoro che rispecchia gli interessi di pochi Paesi europei e che riproduce le cause profonde della crisi che si sta vivendo. È impossibile che abbia successo una politica coordinata di austerità in un'area economica così integrata come l'eurozona;
    l'unione monetaria è vulnerabile a causa della crisi delle bilance dei pagamenti, che, in assenza di una piena integrazione delle politiche di bilancio e della finanza, rende quasi certo il riprodursi della crisi;
    la moneta unica è a rischio non solo per colpa degli speculatori attirati dagli squilibri di finanza pubblica dei «Piigs», tant’è che nonostante le pesanti e ricorrenti manovre di finanza pubblica, gli spread dall'inizio del 2012 sono ancora alti nei Paesi della cosiddetta «periferia» dell'Unione europea, ma salgono anche nell'area centrale dell'Unione stessa, come, ad esempio, testimonia il downgrading inflitto alla Francia dalle agenzie di rating. Le radici della rottura del fragile equilibrio sul quale si è retto l'euro nell'ultimo decennio non stanno essenzialmente nei debiti pubblici dei Paesi oggi in difficoltà, ma in un sistema squilibrato dove i Paesi della «periferia», grazie al loro indebitamento in larga misura privato, hanno alimentato le esportazioni dei Paesi centrali a partire da quelle della Germania;
    il debito pubblico medio della zona euro è inferiore a quella degli Usa. Paesi che rispettavano in pieno i criteri del patto di stabilità riguardanti il deficit e lo stock del debito, quali la Spagna e l'Irlanda, hanno visto il loro modello di sviluppo, basato su delle bolle immobiliari o bancarie, implodere nel corso dell'anno 2008, quando la congiuntura economica internazionale è mutata;
    nella maggior parte dei Paesi dell'eurozona, gli squilibri delle finanze pubbliche sono la conseguenza delle politiche di salvataggio delle banche attuate negli anni 2008 e 2009 e delle forti riduzioni di imposte sulle società nell'ambito di una concorrenza al ribasso tra Paesi europei: la pressione fiscale ufficiale sulle società dei Paesi della zona euro si è mediamente ridotta di 10 punti percentuali tra il 2000 e il 2010;
    l'euro e l'Unione europea sono a rischio a causa delle ampie asimmetrie di competitività delle aree legate alla moneta unica e delle risposte sbagliate date a questa crisi: le politiche di «svalutazione interna» orientate unicamente all’export, ossia alla ricerca della competitività attraverso la riduzione del costo del lavoro e delle misure di welfare, rappresentano quella che si potrebbe definire una vera e propria guerra commerciale fredda giocata sulla regressione del lavoro;
    viceversa, è necessario ed urgente sostenere la domanda aggregata interna all'area euro, un sostegno alla domanda che deve arrivare sia da risorse pubbliche che da una più equa distribuzione del reddito e della ricchezza, un'equità che può diventare una variabile macroeconomica propulsiva di uno sviluppo sostenibile;
    in particolare, sono urgenti interventi anticiclici a livello di eurozona da finanziare attraverso risorse comuni;
    lo stesso impianto della cosiddetta «agenda di Lisbona» era culturalmente debole: esso assumeva il pieno dispiegamento del mercato interno come condizione sufficiente, dato il controllo dell'inflazione ed il pareggio di bilancio, per il rilancio delle economie europee e lo sviluppo. La «società della conoscenza» e le riforme strutturali per liberalizzare le economie, il mercato del lavoro, i servizi pubblici, non erano però in grado di dare una risposta compiuta alla crisi economica ed occupazionale, anche di fronte all'emergere dei cosiddetti «Brics» (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa), in quanto risultava totalmente assente una politica industriale trainata da un domanda aggregata qualificata rivolta, innanzitutto, all'innovazione ed alla riconversione ecologica del nostro modello produttivo. Questa strategia è fallita e l'Europa sembra non averne una di ricambio;
    per un'inversione di rotta occorre, dunque, partire dai seguenti presupposti: a) la finanza pubblica non è indipendente dall'economia reale; b) il debito pubblico, con l'eccezione della Grecia (ed in parte dell'Italia), ha conosciuto un rapido incremento non a causa delle spese pubbliche tradizionali, ma a causa dell'assorbimento del debito privato in seguito all'implosione delle bolle speculative degli ultimi quindici anni; c) il blocco della ripresa non dipende dalla rigidità dell'offerta ma da un'insufficiente domanda aggregata; d) l'aumento delle diseguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza inibisce la domanda interna dell'eurozona;
    un'area a moneta unica, segnata da ampi differenziali di competitività, può sopravvivere soltanto o con un trasferimento di risorse (come nel caso del Mezzogiorno italiano oppure della Germania dell'Est), oppure rimuovendo tali differenziali con una politica economica adeguata. Se la Germania rifiuta tutte e due le soluzioni non c’è via d'uscita se non la frammentazione dell'area euro;
    la stessa Francia deve accettare un reale trasferimento di competenze dal piano nazionale a quello comunitario;
    occorre disegnare le grandi linee di un nuovo patto europeo e uscire dalla politica dei piccoli aggiustamenti per arrivare ad un nuovo grande compromesso che dia l'avvio ad una nuova fase della costruzione dell'Europa unita,

impegna il Governo:

   in occasione della preparazione e dello svolgimento del Consiglio europeo del 28-29 giugno 2012, a sostenere le seguenti posizioni ed iniziative:
    a) porre in essere misure e provvedimenti che delineino una vera unione politica del continente con un ruolo maggiore del Parlamento europeo, con una comune politica fiscale e finanziaria, con obiettivi comuni per lo sviluppo economico, sociale e culturale dell'area monetaria;
    b) promuovere azioni concrete per rilanciare gli ideali europei tramite: un sempre maggiore ruolo del Parlamento europeo nelle decisioni dell'Unione europea e nella definizione dei suoi organismi dirigenti; un rafforzamento della collaborazione culturale; una politica comune della difesa europea resa necessaria dalle nuove modalità e sensibilità nella gestione dei conflitti internazionali e dagli inevitabili tagli nei bilanci nazionali di una spesa militare tanto eccessiva quanto inappropriata; il completamento del mercato interno europeo che non è ancora una realtà pienamente operativa; la realizzazione di una vera armonizzazione fiscale dei Paesi dell'Unione europea da perseguire nel prossimo decennio; l'armonizzazione degli istituti in materia di diritto societario e di esercizio dell'impresa, essendo opportuno al riguardo che si promuova il ricorso a cooperazioni rafforzate; una politica comune della mobilità delle persone e l'aggiornamento degli accordi di Schengen;
    c) rivedere la cosiddetta agenda di Lisbona con la definizione di un programma europeo, pur mantenendo l'impegno al risanamento dei bilanci pubblici, rivolto a:
     1) avviare in Europa una trasformazione sociale ed ecologica del modello di sviluppo a partire dal settore energetico e da quello dei trasporti, con l'istituzione di una nuova catena di creazione di valori nei mercati-pilota del futuro;
     2) realizzare investimenti nelle infrastrutture materiali ed immateriali finanziati da obbligazioni europee ed attraverso un rafforzamento del ruolo della Banca europea per gli investimenti;
     3) sostenere l'innovazione, la diffusione delle infrastrutture digitali e la ricerca;
     4) rilanciare la domanda interna aggregata, in particolare nei Paesi dell'eurozona con bilance commerciali in forte attivo nei confronti degli altri partner europei, mediante spese pubbliche e tramite una politica di ridistribuzione dei redditi che favorisca la domanda privata;
    d) modificare il mandato della Banca centrale europea, dandogli prerogative simili a quelle delle più importanti banche centrali mondiali, per consentirle di concedere prestiti agli Stati nazionali e/o per acquistare titoli di Stato direttamente sul mercato primario, prevedendo un suo ruolo di prestatore di ultima istanza;
    e) promuovere una riformulazione degli articoli 3 e 4 del trattato su un'unione economica rafforzata che tenga conto di «fattori nazionali rilevanti», tra i quali l'ammontare del debito del settore privato, del risparmio delle famiglie e dell'andamento del ciclo economico;
    f) introdurre l'esclusione dal computo, ai fini della determinazione dei parametri per il rispetto dei trattati europei, di alcune fattispecie di investimenti pubblici nazionali concordati in sede europea;
    g) costituire un fondo europeo di redenzione per la parte degli stock dei debiti accumulati nel passato superiore al 60 per cento del prodotto interno lordo di ogni singolo Paese dell'eurozona, emettendo obbligazioni europee garantite da tutti gli Stati membri;
    h) prevedere in tempi rapidi l'Unione bancaria dell'area euro che si articoli in: una vigilanza unitaria europea sul settore del credito; un fondo europeo di garanzia dei depositi; un'autorità europea per la liquidazione degli istituti di credito insolventi;
    i) sostenere la proposta dell'istituzione di una tassa sulle transazioni finanziarie (compravendita di titoli, azioni, obbligazioni, valute e di ogni altro prodotto finanziario) valida innanzitutto per tutti i Paesi dell'eurogruppo, prendendo a riferimento un'aliquota tra lo 0,1 e lo 0,5 per cento del valore scambiato, in modo che i Paesi europei abbiano a disposizione risorse aggiuntive per raggiungere gli obiettivi di sviluppo citati;
    l) istituire un'agenzia di rating europea che, nel rispetto delle regole imposte dall'Unione europea, tratti in modo trasparente le metodologie di valutazione, rivolgendo, altresì, a tale organismo la valutazione dei debiti sovrani, nonché implementare con più incisività sul piano giuridico il concetto di responsabilità per le conseguenze delle valutazioni errate delle stesse agenzie di rating oggi esistenti;
    m) proporre una riforma delle regole della finanza che operi introducendo trasparenza, limitando i conflitti di interesse e gli accumuli di potere eccessivo, risolvendo il problema degli istituti «too big to fail», regolando meglio le banche e gli altri operatori (speculativi e non), valutando l'abolizione di alcuni strumenti finanziari (come alcuni derivati over the counter), adottando regole che separino l'attività delle banche di credito ordinario da quella delle banche d'investimento e ponendo in essere qualsiasi altra azione necessaria a ricondurre l'operato dei mercati nell'alveo del pubblico interesse e del bene comune.
(1-01095) «Donadi, Di Pietro, Borghesi, Evangelisti, Barbato, Cimadoro, Di Giuseppe, Di Stanislao, Favia, Aniello Formisano, Messina, Monai, Mura, Leoluca Orlando, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Porcino, Rota, Zazzera».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, in una sua dichiarazione fatta a Los Cabos in Messico, dove si è svolto il 18 e il 19 giugno 2012 il G20, i prossimi dieci giorni saranno decisivi per il futuro dell'euro in vista del vertice europeo di fine giugno 2012. Infatti, il 28-29 giugno 2012 si terrà il vertice europeo che dovrà assumere decisioni impegnative, dalle quali dipende il destino non solo dell'euro, ma quello dell'integrità e della stabilità dell'eurozona, nonché l'avvenire dello stesso processo di unificazione europeo;
    le misure che devono essere prese dovranno segnare una discontinuità reale rispetto a quanto deciso finora dalle autorità europee che, di fronte alla crisi finanziaria ed economica che ha investito in particolare i Paesi dell'eurozona, hanno adottato misure che, imponendo rigore e politiche di austerità di bilancio contemporaneamente a tutti i Paesi che utilizzano la moneta unica, hanno innescato una spirale recessiva che impedisce la stessa messa in sicurezza dei conti pubblici e offre spazio alle manovre speculative dei mercati finanziari che scommettono contro l'euro o, perlomeno, sull'uscita di uno o più Paesi dall'area euro;
    l'errore è soprattutto di analisi: la questione fondamentale è rappresentata non dalle politiche di austerità ma dalle divergenze di competitività. Per affrontarle, se si esclude l'uscita dall'euro, è necessaria la ripresa dell'economia dell'eurozona e l'espansione del credito e dei redditi nei Paesi con saldi commerciali attivi. Se non si riconosce la vera natura della crisi, l'eurozona non ha alcuna possibilità di risolvere i problemi o di prevenire la loro riproduzione;
    in quest'ultimo decennio, la Germania ed i Paesi dell'area «tedesca» (Olanda ed Austria in particolare) hanno accumulato, a causa di un cambio marco-euro sottovalutato e di un forte differenziale di produttività, enormi avanzi commerciali, mentre le bilance commerciali dei Paesi «periferici» registravano deficit crescenti. Le banche dell'area tedesca e quelle francesi elargivano finanziamenti ai Paesi in deficit commerciale. Un meccanismo perfetto e conveniente per tutte le parti in causa per un periodo, ma intrinsecamente e strutturalmente, insostenibile, e, in effetti, messo in discussione dalla crisi economico-finanziaria iniziata nel 2007-2008;
    la spirale austerità-recessione-austerità gonfia il debito pubblico e condanna a morte l'Unione europea. Non esiste la possibilità di una «austerità espansiva»: si tratta solo di un ossimoro che rispecchia gli interessi di pochi Paesi europei e che riproduce le cause profonde della crisi che si sta vivendo. È impossibile che abbia successo una politica coordinata di austerità in un'area economica così integrata come l'eurozona;
    l'unione monetaria è vulnerabile a causa della crisi delle bilance dei pagamenti, che, in assenza di una piena integrazione delle politiche di bilancio e della finanza, rende quasi certo il riprodursi della crisi;
    la moneta unica è a rischio non solo per colpa degli speculatori attirati dagli squilibri di finanza pubblica dei «Piigs», tant’è che nonostante le pesanti e ricorrenti manovre di finanza pubblica, gli spread dall'inizio del 2012 sono ancora alti nei Paesi della cosiddetta «periferia» dell'Unione europea, ma salgono anche nell'area centrale dell'Unione stessa, come, ad esempio, testimonia il downgrading inflitto alla Francia dalle agenzie di rating. Le radici della rottura del fragile equilibrio sul quale si è retto l'euro nell'ultimo decennio non stanno essenzialmente nei debiti pubblici dei Paesi oggi in difficoltà, ma in un sistema squilibrato dove i Paesi della «periferia», grazie al loro indebitamento in larga misura privato, hanno alimentato le esportazioni dei Paesi centrali a partire da quelle della Germania;
    il debito pubblico medio della zona euro è inferiore a quella degli Usa. Paesi che rispettavano in pieno i criteri del patto di stabilità riguardanti il deficit e lo stock del debito, quali la Spagna e l'Irlanda, hanno visto il loro modello di sviluppo, basato su delle bolle immobiliari o bancarie, implodere nel corso dell'anno 2008, quando la congiuntura economica internazionale è mutata;
    nella maggior parte dei Paesi dell'eurozona, gli squilibri delle finanze pubbliche sono la conseguenza delle politiche di salvataggio delle banche attuate negli anni 2008 e 2009 e delle forti riduzioni di imposte sulle società nell'ambito di una concorrenza al ribasso tra Paesi europei: la pressione fiscale ufficiale sulle società dei Paesi della zona euro si è mediamente ridotta di 10 punti percentuali tra il 2000 e il 2010;
    l'euro e l'Unione europea sono a rischio a causa delle ampie asimmetrie di competitività delle aree legate alla moneta unica e delle risposte sbagliate date a questa crisi: le politiche di «svalutazione interna» orientate unicamente all’export, ossia alla ricerca della competitività attraverso la riduzione del costo del lavoro e delle misure di welfare, rappresentano quella che si potrebbe definire una vera e propria guerra commerciale fredda giocata sulla regressione del lavoro;
    viceversa, è necessario ed urgente sostenere la domanda aggregata interna all'area euro, un sostegno alla domanda che deve arrivare sia da risorse pubbliche che da una più equa distribuzione del reddito e della ricchezza, un'equità che può diventare una variabile macroeconomica propulsiva di uno sviluppo sostenibile;
    in particolare, sono urgenti interventi anticiclici a livello di eurozona da finanziare attraverso risorse comuni;
    lo stesso impianto della cosiddetta «agenda di Lisbona» era culturalmente debole: esso assumeva il pieno dispiegamento del mercato interno come condizione sufficiente, dato il controllo dell'inflazione ed il pareggio di bilancio, per il rilancio delle economie europee e lo sviluppo. La «società della conoscenza» e le riforme strutturali per liberalizzare le economie, il mercato del lavoro, i servizi pubblici, non erano però in grado di dare una risposta compiuta alla crisi economica ed occupazionale, anche di fronte all'emergere dei cosiddetti «Brics» (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa), in quanto risultava totalmente assente una politica industriale trainata da un domanda aggregata qualificata rivolta, innanzitutto, all'innovazione ed alla riconversione ecologica del nostro modello produttivo. Questa strategia è fallita e l'Europa sembra non averne una di ricambio;
    per un'inversione di rotta occorre, dunque, partire dai seguenti presupposti: a) la finanza pubblica non è indipendente dall'economia reale; b) il debito pubblico, con l'eccezione della Grecia (ed in parte dell'Italia), ha conosciuto un rapido incremento non a causa delle spese pubbliche tradizionali, ma a causa dell'assorbimento del debito privato in seguito all'implosione delle bolle speculative degli ultimi quindici anni; c) il blocco della ripresa non dipende dalla rigidità dell'offerta ma da un'insufficiente domanda aggregata; d) l'aumento delle diseguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza inibisce la domanda interna dell'eurozona;
    un'area a moneta unica, segnata da ampi differenziali di competitività, può sopravvivere soltanto o con un trasferimento di risorse (come nel caso del Mezzogiorno italiano oppure della Germania dell'Est), oppure rimuovendo tali differenziali con una politica economica adeguata. Se la Germania rifiuta tutte e due le soluzioni non c’è via d'uscita se non la frammentazione dell'area euro;
    la stessa Francia deve accettare un reale trasferimento di competenze dal piano nazionale a quello comunitario;
    occorre disegnare le grandi linee di un nuovo patto europeo e uscire dalla politica dei piccoli aggiustamenti per arrivare ad un nuovo grande compromesso che dia l'avvio ad una nuova fase della costruzione dell'Europa unita,

impegna il Governo:

   in occasione della preparazione e dello svolgimento del Consiglio europeo del 28-29 giugno 2012, a sostenere le seguenti posizioni ed iniziative:
    a) porre in essere misure e provvedimenti che delineino una vera unione politica del continente con un ruolo maggiore del Parlamento europeo, con una comune politica fiscale e finanziaria, con obiettivi comuni per lo sviluppo economico, sociale e culturale dell'area monetaria;
    b) promuovere azioni concrete per rilanciare gli ideali europei tramite:
     1) un sempre maggiore ruolo del Parlamento europeo nelle decisioni dell'Unione europea e nella definizione dei suoi organismi dirigenti;
     2) un rafforzamento della collaborazione culturale;
     3) una politica comune della difesa europea resa necessaria dalle nuove modalità e sensibilità nella gestione dei conflitti internazionali e dagli inevitabili tagli nei bilanci nazionali di una spesa militare tanto eccessiva quanto inappropriata;
     4) il completamento del mercato interno europeo che non è ancora una realtà pienamente operativa;
     5) la realizzazione di una vera armonizzazione fiscale dei Paesi dell'Unione europea da perseguire nel prossimo decennio;
     6) l'armonizzazione degli istituti in materia di diritto societario e di esercizio dell'impresa, essendo opportuno al riguardo che si promuova il ricorso a cooperazioni rafforzate;
     7) una politica comune della mobilità delle persone e l'aggiornamento del cosiddetto acquis di Schengen;
    c) promuovere la revisione dell'agenda di Lisbona con la definizione di un programma europeo, pur mantenendo l'impegno al risanamento dei bilanci pubblici, rivolto a:
     1) avviare in Europa una trasformazione sociale ed ecologica del modello di sviluppo a partire dal settore energetico e da quello dei trasporti, con l'istituzione di una nuova catena di creazione di valori nei mercati-pilota del futuro;
     2) realizzare investimenti nelle infrastrutture materiali ed immateriali finanziati da obbligazioni europee ed attraverso un rafforzamento del ruolo della Banca europea per gli investimenti;
     3) sostenere l'innovazione, la diffusione delle infrastrutture digitali e la ricerca;
     4) rilanciare la domanda interna aggregata, in particolare nei Paesi dell'eurozona con bilance commerciali in forte attivo nei confronti degli altri partner europei, mediante spese pubbliche e tramite una politica di ridistribuzione dei redditi che favorisca la domanda privata;
    d) valutare modi e tempi per una modifica del mandato della Banca centrale europea, dandogli prerogative simili a quelle delle più importanti banche centrali mondiali, per consentirle di concedere prestiti agli Stati nazionali e/o per acquistare titoli di Stato direttamente sul mercato primario, prevedendo un suo ruolo di prestatore di ultima istanza;
    e) promuovere criteri di valutazione che consentano di distinguere nel computo, ai fini della determinazione dei parametri per il rispetto dei trattati europei, di alcune fattispecie di investimenti pubblici nazionali concordati in sede europea, e di rafforzare il peso di fattori nazionali rilevanti, tra i quali l'ammontare del debito del settore privato, del risparmio delle famiglie e dell'andamento del ciclo economico;
    f) sostenere la costituzione di un fondo europeo di redenzione per la parte degli stock dei debiti accumulati nel passato superiore al 60 per cento del prodotto interno lordo di ogni singolo Paese dell'eurozona, emettendo obbligazioni europee garantite da tutti gli Stati membri;
    g) prevedere in tempi rapidi l'Unione bancaria dell'area euro che si articoli in: una vigilanza unitaria europea sul settore del credito; un fondo europeo di garanzia dei depositi; un'autorità europea per la liquidazione degli istituti di credito insolventi;
    h) sostenere la proposta dell'istituzione di una tassa sulle transazioni finanziarie (compravendita di titoli, azioni, obbligazioni, valute e di ogni altro prodotto finanziario) valida innanzitutto per tutti i Paesi dell'eurogruppo, prendendo a riferimento un'aliquota tra lo 0,1 e lo 0,5 per cento del valore scambiato, in modo che i Paesi europei abbiano a disposizione risorse aggiuntive per raggiungere gli obiettivi di sviluppo citati;
    i) valutare l'opportunità dell'istituzione di un'agenzia di rating europea che, nel rispetto delle regole imposte dall'Unione europea, tratti in modo trasparente le metodologie di valutazione, rivolgendo, altresì, a tale organismo la valutazione dei debiti sovrani, nonché implementare con più incisività sul piano giuridico il concetto di responsabilità per le conseguenze delle valutazioni errate delle stesse agenzie di rating oggi esistenti;
    l) proporre modalità opportune di riforma delle regole della finanza che operi introducendo trasparenza, limitando i conflitti di interesse e gli accumuli di potere eccessivo, risolvendo il problema degli istituti «too big to fail», regolando meglio le banche e gli altri operatori (speculativi e non), valutando l'abolizione di alcuni strumenti finanziari (come alcuni derivati over the counter), adottando regole che separino l'attività delle banche di credito ordinario da quella delle banche d'investimento e ponendo in essere qualsiasi altra azione necessaria a ricondurre l'operato dei mercati nell'alveo del pubblico interesse e del bene comune.
(1-01095)
(Nuova formulazione) «Donadi, Di Pietro, Borghesi, Evangelisti, Barbato, Cimadoro, Di Giuseppe, Di Stanislao, Favia, Aniello Formisano, Messina, Monai, Mura, Leoluca Orlando, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Porcino, Rota, Zazzera».


   La Camera,
   premesso che:
    i prossimi 28 e 29 giugno 2012 avrà luogo un Consiglio europeo su cui vertono grandi aspettative non solo a livello europeo, ma pressoché mondiale. È unanime l'idea che la moneta unica europea, le economie nazionali dei Paesi del vecchio continente e forse la stessa Unione europea siano ad un punto decisivo nel quale è minacciata la loro stessa sopravvivenza;
    benché pubblicamente ed ufficialmente si discuta solo del «come» salvare l'euro, molti ufficiosamente si stanno chiedendo «se» l'euro si possa salvare; la domanda successiva, dal punto di vista dei firmatari del presente atto di indirizzo doverosa per onestà e trasparenza verso cittadini italiani e quelli di tutta l'Europa, è se, alla luce dei sacrifici che ciò comporterà per le persone, ne valga davvero la pena;
    il prossimo Consiglio europeo sarà chiamato a prendere decisioni sui temi della stabilizzazione monetaria, della crescita economica e anche di un nuovo assetto politico per l'Unione europea, temi sui quali circolano proposte e progetti elaborati dalle istituzioni europee, dalla Banca centrale europea, da Governi di altri Paesi europei, che avranno un impatto determinato, in positivo od in negativo, sulla vita dei cittadini italiani, ma sui quali il dibattito nel nostro Paese è stato del tutto assente e nulla ha ritenuto di comunicare al Parlamento il Governo, nemmeno nell'informativa del Presidente del Consiglio dei ministri appositamente convocata sui temi europei solo pochi giorni fa, il 13 giugno 2012;
    il vertice dovrà fare il punto sul processo di ratifica ed effettiva entrata in vigore del nuovo meccanismo europeo di stabilità (European stability mechanism, Esm) che subentrerà al meccanismo provvisorio, che ha sostenuto finanziariamente fino ad oggi la Grecia. È un fondo cui gli altri Stati dell'Unione europea contribuiscono con le proprie finanze e che, a determinate condizioni, concede dei prestiti ai Paesi in difficoltà, ma è anche l'organismo che ha il potere, a fronte di questi prestiti, di intervenire pesantemente nelle scelte di politica economica e sociale dei Paesi beneficiari, di fatto avocandone la sovranità non solo sulle questioni finanziarie ma nella gestione corrente che attiene alle politiche fiscali della scuola, della sanità, delle infrastrutture e del mercato del lavoro, senza alcun limite prestabilito a questi interventi; il nuovo meccanismo europeo di stabilità avrà tutto questo potere, che, però, sarà gestito da un vero e proprio «consiglio di amministrazione» di membri certamente non eletti ma nominati dai Governi, che godranno di immunità e insindacabilità in tutti i loro atti. Il paradosso è che le scelte riguardo alle politiche sociali italiane, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, saranno prese da amministratori oscuri che ragioneranno in virtù di una contrattazione finanziaria; si assiste, quindi, alla definitiva consacrazione della finanza alla guida degli Stati sovrani;
    di questo interventismo grossolano dell'Unione europea si stanno accorgendo in molti, compreso il presidente di Confindustria che ha dovuto ammettere, ad esempio, che la riforma del lavoro proposta dal Ministro Fornero è una «boiata», ma va fatta lo stesso, perché la vuole l'Unione europea. L'affermazione è emblematica di come stiano costringendo a provvedimenti che non hanno nulla a che vedere con il bene del nostro Paese, che non avranno alcun effetto positivo, che non risolveranno i problemi strutturali dell'Italia che pure ci sono, ma sono solo cieche prove di adempimento disciplinato ai compiti assegnati;
    è stato calcolato che solo nel 2012 l'Italia verserà a vario titolo, nei vari sistemi di aiuto ai membri dell'euro in difficoltà, almeno 48 miliardi di euro: 48 miliardi sono l'equivalente dell'effetto positivo per le finanze pubbliche italiane delle pesantissime manovre del 2011, culminate con l'introduzione dell'imposta municipale unica e la riforma pensionistica. Un sacrificio enorme per il Paese, interamente non investito per la ripresa del Paese ed il sostegno a chi ne ha bisogno, ma riversato nel «buco nero» del sistema bancario spagnolo e del debito pubblico greco attaccato dalla finanza speculativa. I sacrifici degli italiani non serviranno a nulla e se ne dovranno fare ancora molti altri perché niente si è fatto per colpire le cause della crisi, nessun prezzo è stato chiesto alle banche fonte della crisi, ed i meccanismi speculativi non sono stati bloccati e nemmeno arginati; le banche vengono aiutate senza che nessuno chieda loro conto degli errori commessi. Sono, anzi, incentivate a continuare sulla strada della speculazione perché, se dal gioco perverso dei mercati ottengono dei guadagni, questi finiscono nelle loro casse, mentre se perdono i debiti vengono ripianati dai fondi pubblici e, quindi, dai cittadini;
    la crisi finanziaria nata negli Stati Uniti ha provocato una crisi economica che sta sconvolgendo l'Europa, ma che ha frenato e sta minacciando fortemente anche tutte le altre aree del pianeta, compresi i Paesi emergenti, i cosiddetti Brics, i cui tassi di crescita a due cifre hanno subito una brusca frenata. Ciò aumenta esponenzialmente i rischi di default perché sono questi Paesi che alimentano, attraverso il Fondo monetario internazionale, i fondi di sostegno e salvataggio di cui stanno già beneficiando alcuni Paesi europei. Si pone, inoltre, il dubbio morale, avanzato al vertice G20 di Los Cabos del 18 e 19 giugno 2012, se sia giusto pretendere da Paesi, che di fatto sono ancora in via di sviluppo, le cui popolazioni in larga parte vivono in condizioni di povertà, versamenti di miliardi di dollari per sostenere l'euro e, indirettamente, la costruzione europea;
    tra le proposte sul tavolo del vertice europeo di fine giugno 2012 c’è quella dell'unione bancaria: una regolamentazione europea dei requisiti di patrimonializzazione delle banche (che peraltro già esiste); un sistema unitario di monitoraggio, ma anche di ricapitalizzazione; un fondo comune sovranazionale di garanzia dei depositi; questo dovrebbe impedire che l'insolvenza di un istituto o degli istituti di un Paese possa contagiare l'intera area. Un simile meccanismo presenta numerosi punti discutibili: fino ad oggi le norme europee sulle capitalizzazioni bancarie (Basilea I, II e III) che, con le loro rigidità, sono costruite su misura per sistemi economici diversi da quello italiano, hanno penalizzato moltissimo la possibilità di concedere il credito necessario al sistema produttivo tipico del nostro Paese, quello della piccola e media impresa, e hanno in questo modo provocato un credit crunch che, a tutt'oggi, non è stato affatto superato; è, inoltre, riconosciuto a livello internazionale che il sistema bancario del nostro Paese, fondato su un risparmio privato solido e in assenza di bolle immobiliari e speculative forti, presenta una solidità maggiore a quella di tutti gli altri Paesi del Sud Europa e comparabile, se non superiore, a quello delle banche tedesche; in questo modo il risparmio bancario del nostro Paese confluirebbe in un unico fondo europeo per essere reimpiegato per salvare le banche straniere, mettendo a rischio i risparmi dei cittadini che sparirebbero dalle banche italiane per finire nel pozzo senza fondo dei salvataggi bancari di mezza Europa;
    il Consiglio europeo valuterà la proposta di creare un fondo europeo di redenzione (European redemption fund, Erf), proposto dalla Germania. Si tratterebbe di un fondo in cui far confluire l'importo dei debiti pubblici degli Stati dell'eurozona per la parte eccedente il 60 per cento del prodotto interno lordo, sui quali si emetterebbero titoli garantiti dal gettito delle imposte riscosse a livello nazionale e da asset pubblici (in particolare, riserve auree e di valuta estera) dei Paesi assistiti. Si tratta di un meccanismo complesso, che certamente ipotecherebbe le entrate fiscali di molti Paesi e sposterebbe a livello europeo il momento decisionale relativo alle tasse che ogni cittadino deve pagare; rappresenta probabilmente il massimo che la mentalità tedesca possa accettare rispetto agli eurobond; è anche l'estremo tentativo di Berlino di far comprendere agli altri partner europei che, dopo aver attuato pesanti riforme in casa propria e avere tenuto dritta la barra del rigore, non è possibile semplicemente accettare di mettere il frutto dei propri sacrifici nel calderone di Paesi europei che, fino ad oggi, hanno condotto politiche dissennate, come la Grecia, la Spagna e la stessa Italia, che continua a non porre rimedio ai suoi problemi strutturali: una pubblica amministrazione inefficiente e penalizzante, un mercato del lavoro rigido, la mancanza di infrastrutture, un Mezzogiorno che non affronta i suoi problemi storici;
    in Europa e nel nostro Paese in particolare esistono migliaia di banche di piccole e medie dimensioni, che per grandezza e struttura difficilmente possono essere la causa di un rischio sistemico al pari di colossi transnazionali che, invece, proprio perché sono «too big to fail», devono essere sottoposti a controlli e discipline molto rigorose. Non sono i piccoli istituti cooperativi, che raccolgono i risparmi privati delle famiglie e danno credito principalmente alle attività economiche del territorio, ad avere creato la crisi, bensì questi colossi che hanno abdicato alla funzione di sostegno all'economia per dedicarsi alla finanza speculativa, alimentata da banche di investimento internazionali, e consentita nel recente passato da alcune zone d'ombra di applicazione delle norme prudenziali;
    il riconoscimento del ruolo delle banche commerciali sarebbe un vero strumento per la crescita, perché permetterebbe di distinguere gli investimenti destinati alle attività produttive dai fondi (come quelli della Banca centrale europea prestati alle banche tra dicembre 2011 e febbraio 2012), immessi nel sistema bancario solo per coprire le perdite della speculazione, che non sono minimamente arrivati all'economia;
    l'esigenza di una normativa per la separazione bancaria sta entrando nella consapevolezza di tutti i Paesi europei, ne sono prova la mozione in tal senso presentata al Parlamento svedese, quella proposta da Hollande in Francia, che dovrebbe diventare più specifica in luglio 2012, quella proposta dal presidente dei socialdemocratici tedeschi Gabriel, oltre al dibattito acceso sul tema (anche se non riportato dalla stampa italiana) negli Stati Uniti;
    si è parlato da più parti anche di un progetto «politico» per l'Europa da discutere al tavolo del futuro Consiglio europeo, senza tuttavia chiarire quale contenuto si intenda dare a questo termine. Se si è giunti ad un'unione monetaria rivelatasi fallimentare, è legittimo, prima di fare ulteriori passi, ragionare sulle cause e sulle debolezze dell'attuale sistema e prima di procedere in ulteriori rafforzamenti. Pare opportuno, perlomeno, uscire dagli schemi dogmatici delle istituzioni già esistenti e ragionare semmai su un progetto politico europeo che superi gli Stati nazionali, oggi in piena crisi e, di fatto, svuotati di ogni sovranità, e lavorare per un'Europa dei popoli e delle regioni, fondata sulle persone e sulla loro cultura ed identità, anziché sull'aridità del mercato e della finanza che non ha saputo colpire i cuori delle persone e, anzi, le ha trasformate in puri «utilizzatori» di Europa, non in protagonisti;
    i forti attacchi speculativi alla moneta unica e la crisi del debito sovrano, che si sta propagando a molti Stati europei, hanno causato una vera crisi economica, stanno obbligando gli Stati a politiche molto pesanti e repressive sulle persone fisiche e sulle imprese, e secondo alcuni arriveranno ad incidere pesantemente anche sulle politiche di welfare, tanto da rendere oggi più che legittimo il dubbio se un'eventuale uscita dal sistema della moneta unica, per quanto drammatica, sia più o meno dolorosa del susseguirsi di sacrifici potenzialmente senza limite e senza alcuna certezza che essi portino alla fine ad una situazione di ritrovata fiducia e serenità,

impegna il Governo:

   a riconoscere insieme agli altri partner europei, in seno al Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2012, che l'attuale situazione di crisi della moneta unica e del sistema economico europeo è la diretta ed inevitabile conseguenza di una costruzione europea partita al contrario, eretta sulle fragili fondamenta dell'unione monetaria e di mercato, priva di unità politica e, soprattutto, di legittimazione popolare, e che per queste mancanze non solo subisce ora la crisi economica mondiale, ma annaspa nella propria, più grave, crisi di legittimità e di identità;
   a farsi promotore del progetto di una vera Europa politica, federale, che superi definitivamente gli Stati nazionali per rendere protagonisti i popoli e le regioni dell'Europa, attraverso meccanismi democratici, fondandosi su scelte che devono partire dal basso e mai essere calate dall'alto, pena l'implosione del progetto europeo proprio a causa della sua mancata legittimità popolare;
   a pretendere, come unica logica possibilità per la condivisione dei debiti sovrani creati dai singoli Stati, una equivalente cessione del controllo sui meccanismi di bilancio, affinché i meccanismi europei di stabilità non divengano un incentivo alla deresponsabilizzazione degli Stati in difficoltà ed un mero travaso senza fine di risorse da un lato all'altro dell'Europa;
   ad aprire, all'interno del nostro Paese, un confronto vero, approfondito, trasparente sui meccanismi economici, finanziari e bancari in discussione in sede internazionale e comunitaria, in particolare il meccanismo europeo di stabilità, il redemption fund e l'unione bancaria, prima di procedere all'assunzione di ulteriori impegni, sia in sede parlamentare che a tutti i livelli di coinvolgimento popolare, comprese mirate ipotesi referendarie;
   nel campo della regolamentazione europea dei mercati finanziari, a promuovere una riforma normativa volta ad affermare la separazione tra «banca commerciale» e «banca d'affari», tenendo conto della necessità di valorizzare il modello di banca tradizionale e non speculativa, per il suo ruolo economico e sociale e di riconoscerne la specificità che ne impedisce il rischio di crollo sistemico.
(1-01096) «Dozzo, Maroni, Bossi, Maggioni, Fugatti, Stefani, Alessandri, Dal Lago, Giancarlo Giorgetti, Caparini, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Cavallotto, Chiappori, Comaroli, Consiglio, Crosio, D'Amico, Desiderati, Di Vizia, Dussin, Fabi, Fava, Fedriga, Fogliato, Follegot, Forcolin, Gidoni, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lanzarin, Lussana, Martini, Meroni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Montagnoli, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Polledri, Rainieri, Reguzzoni, Rivolta, Rondini, Simonetti, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli, Volpi».


   La Camera,
   premesso che:
    nell'esporre la propria idea di Europa, Edmund Husserl annotava a mo’ di premessa che: «sin dai suoi esordi la storia europea è scandita tra il risveglio della ragione e le potenze della realtà storica». Alle seconde è da addebitarsi, per certo, la grande crisi dei nostri giorni, al primo è da affidarsi, confidandovi, il compito di sovrintendere il vertice del Consiglio europeo di Bruxelles il prossimo 28 e 29 giugno 2012;
    mentre le elezioni politiche tenutesi in Grecia il 17 giugno 2012 si sono trasformate in una sorta di referendum sulla permanenza nell'euro, a cui i greci hanno risposto in modo chiaro, dimostrando la netta intenzione di proseguire all'interno del percorso europeo, in modo da assicurare un obiettivo di lungo periodo, nell'ottica di una maggiore stabilità di una moneta affidabile, non può non considerarsi un'ulteriore passaggio del pensiero husserliano secondo il quale «il carattere più proprio della cultura europea» affonda le proprie radici proprio nell'antica Grecia, in particolare « in quel movimento di libertà» che trae linfa vitale da quella nuova forma di cultura e di filosofia;
    nelle pur necessarie spire degli imperativi categorici della crescita economica europea, usando a ragione l'aggettivazione in luogo della locuzione «in Europa», a rafforzare sentimenti di appartenenza che almeno i Paesi fondatori dovrebbero testimoniare in ogni loro atto formale e sostanziale, la forza di resistenza dei principi contenuti nei trattati non può che essere rappresentata dalla luce istituzionale dei principi, scolpiti nel trattato di Parigi istitutivo della Comunità europea del carbone e dell'acciaio, al pari del trattato di Lisbona, firmato meno di cinque anni fa;
    a distanza di due anni dalla sua deflagrazione, la crisi del debito sovrano in Grecia, iniziata come una crisi fiscale, si è estesa assumendo una dimensione economica, sociale e politica, ed ha prodotto pesanti ripercussioni sulla tenuta politica dell'intera zona euro;
    la crisi greca ha messo in luce le debolezze di una Unione europea che si trova, anzitutto, a dover affrontare una crisi politica e che, per molto tempo, ha fatto perno su un sistema monetario comune senza, tuttavia, la necessaria previsione di un adeguato ed unico quadro politico, economico, fiscale e di bilancio;
    le risposte giunte dai leader europei non hanno sortito gli effetti sperati e, anziché procedere alle necessarie riforme strutturali per il perfezionamento del sistema europeo, essi hanno preferito avanzare soluzioni volte ad arginare la crisi contingente, cosa che ha senso nel breve periodo, ma risulta insufficiente in vista della realizzazione di obiettivi di medio e lungo periodo ed anzi, mentre si sono accuratamente sottratti dal dovere di dare prospettiva alle loro decisioni contingenti nella logica lunga della solidarietà europea, commerciale, bancaria, tributaria, produttiva ma soprattutto e inevitabilmente politica;
    a dispetto degli alti obiettivi e delle finalità profonde, che la realizzazione del progetto europeo ha raggiunto, le incertezze e le difficoltà della crisi dell'euro hanno fatto riemergere e incoraggiato antiquate prospettazioni di stampo nazionalistico e neocorporativo fondate sull'ostinata miopia, in alcuni momenti tendente alla cecità di mantenere una sovranità, inevitabilmente condita di richiami populistici, talvolta banali;
    nella crisi, gli Stati e l'Europa, presi al laccio della speculazione finanziaria immune dal controllo politico democratico, appaiono oggi, agli occhi dei firmatari del presente atto di indirizzo, come i polli di manzoniana memoria, mentre neppure vengono enunciati credibilmente gli obiettivi di consolidare un'Europa vicina ai suoi cittadini, mai come ora, solitari e avvolti in un grave senso di smarrimento mentre subiscono gli effetti di una crisi le cui ragioni appaiono e sono lontane e nascoste;
    le conseguenze di tale instabilità, infatti, si sono trasformate ben presto in effetti diretti e indiretti non solo sul sistema finanziario, ma anche e pericolosamente sull'economia reale, cioè sulla vita delle persone, delle famiglie e delle imprese;
    appare evidente che tra le questioni da affrontare vi sia, pertanto, la necessità di trovare una soluzione anzitutto politica. Ogni sforzo dei leader e dei Paesi europei dovrà essere volto a realizzare azioni concrete concertate per raggiungere il definitivo completamento dell'Unione europea, andando ad incidere in prima battuta su quei pilastri ora mancanti ma necessari per il rilancio del progetto europeo; una condizione da conseguirsi senza alcuna indulgenza leaderistica, intendendo che il nome di questo o quel Capo di governo nient'altro è che la propria nazione con le sue passioni, la sua intelligenza collettiva, la sua paura contingente;
    vi è, tuttavia, la consapevolezza che, nell'immediato, appaiono urgenti e necessarie soluzioni comuni in grado di superare la crisi economica e sociale e l'ondata di recessione generalizzata nella quale versa l'Europa;
    le debolezze del sistema dell'euro, l'instabilità dei mercati finanziari e le incertezze sulle prospettive future e sulla gestione della crisi, hanno ancora una volta confermato la necessità che gli Stati membri, tra cui l'Italia, perseverino nella loro politica di riduzione dei disavanzi allo scopo di assicurare stabilità finanziaria e bilanci solidi ed evitare, in tal modo che siano le future generazioni a dover pagare le conseguenze di gestioni finanziarie fallimentari;
    se, da un lato, il risanamento dei conti pubblici e il raggiungimento degli equilibri di bilancio rappresentano uno sforzo necessario per restituire credibilità ai Paesi e nuove prospettive di crescita alla zona dell'euro, dall'altra, non sembrano politiche sufficienti a stimolare l'economia e a superare la drammatica fase recessiva o di crescita stentata che soffoca l'Europa;
    è ormai ampiamente riconosciuto che una politica del rigore, benché imprescindibile, non possa resistere nella coscienza generale e nella sua accettazione senza le opportune misure per lo sviluppo e la crescita economica;
    appare, pertanto, di primaria importanza appoggiare l'adozione di misure in grado di assicurare la sostenibilità fiscale ed economica, accompagnata da una maggiore competitività e sostenere, al tempo stesso, politiche che producano effetti immediati sull'occupazione e sull'attività economica;
    sino ad ora, l'Europa si è mostrata sorda di fronte alle urgenze che la gravità della crisi imponeva di affrontare. I prossimi incontri, dunque, saranno decisivi per affrontare le questioni dell'agenda politica europea e per compiere scelte non più prorogabili, che potrebbero influenzare il futuro del progetto europeo per i prossimi anni. In caso contrario, il default di alcuni Paesi dell'eurozona provocherebbe un contagio immediato, andando a destabilizzare l'intero continente, oltre a rendere certo il rischio della sopravvivenza stessa della moneta unica,

impegna il Governo:

   a farsi promotore, nelle competenti sedi europee, di un dibattito che ponga al centro dell'azione europea la costruzione di un'Europa politica e l'avvio di quelle riforme istituzionali per il completamento del progetto europeo;
   a sostenere incondizionatamente l'applicazione alla crisi del metodo comunitario, con una drastica e definitiva riduzione della metodologia della cooperazione intergovernativa e, in particolare, con una intelligente review dei casi di prevalenza accordata agli organi degli Stati, al principio dell'unanimità, nonché con un ricorso più esplicito, previo riconoscimento politico, agli atti vincolanti assunti dalle istituzioni europee, con il necessario corollario di un rinnovato disegno dei controlli giurisdizionali di legittimità;
   a correlare alla crisi corrente la perdurante crisi da deficit democratico delle istituzioni, così da convalidare, nella prospettiva della copertura democratica delle decisioni funzionali in area economica e sociale, la domanda di rafforzamento del ruolo e dei poteri del Parlamento europeo e di trasformazione della Commissione europea in autentica espressione di un unico, unitario e omogeneo potere esecutivo europeo;
   ad operare affinché la politica estera generale europea, le politiche di cooperazione giudiziaria in materia civile e commerciale, le politiche di cooperazione giudiziaria in materia penale, con particolare riguardo a quelle orientate alla lotta contro la corruzione in tutte le sue forme, costituiscano tout court le politiche degli Stati europei, senza specificazioni nazionali sprovviste, in questi ambiti, di giustificazione.
(1-01097) «Pisicchio, Fabbri, Mosella, Tabacci, Brugger».


   La Camera,
   premesso che:
    la stagnazione dell'economia europea e il perdurare della crisi del debito sovrano in diversi Paesi della zona euro rendono evidente che l'attuale assetto istituzionale e politico dell'Unione europea e, in particolare, dell'Unione economica e monetaria non è in grado né di assicurare la stabilità dell'area euro contro attacchi speculativi, né di promuovere il rilancio della crescita e dell'occupazione;
    in particolare, il nuovo sistema di governance economica europea, incentrato sull'irrigidimento dei vincoli posti a presidio della stabilità delle finanze pubbliche e non accompagnato da adeguate misure per la crescita a livello europeo, ha prodotto effetti prociclici, come dimostrato dal caso della Grecia;
    le tensioni sui mercati dei titoli di debito di numerosi Paesi dell'eurozona e le difficoltà di istituti bancari confermano, inoltre, l'insufficienza dei meccanismi di stabilizzazione costituiti o in via di costituzione e la necessità di creare meccanismi per l'emissione o la garanzia in comune dei debiti sovrani dell'eurozona;
    è, quindi, emerso con evidenza che soltanto l'avvio di un processo che, partendo dall'integrazione delle politiche economiche e fiscali, conduca a medio-lungo termine ad un'unione di tipo federale può assicurare la sopravvivenza della moneta unica e della stessa costruzione europea;
    se l'area euro fosse uno Stato federale, avrebbe una situazione complessiva di bilancio migliore di gran parte degli altri partner globali e sarebbe al riparo da manovre speculative alimentate dai dubbi in merito alla solvibilità dei suoi membri e delle banche, nonostante l'entità dei debiti sovrani;
    occorre, pertanto, avviare, contestualmente al completamento del processo di ratifica del fiscalcompact, della modifica all'articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e del Trattato istitutivo del meccanismo europeo di stabilità, un processo di integrazione economica e politica articolato in impegni precisi e in tappe e scadenze certe;
    le proposte sinora avanzate per definire a livello europeo un'efficace strategia europea per la crescita e creare strumenti per la gestione comune del debito non si sono tradotte sinora in misure concrete, venendo recepite solo in modo parziale e in via di principio nella dichiarazione sulla crescita adottata dal Consiglio europeo del 30 gennaio 2012, nelle conclusioni del Consiglio europeo dell'1-2 marzo 2012 e il vertice straordinario sulla crescita del 23 maggio 2012;
    il 25 gennaio 2012 la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica hanno approvato a larghissima maggioranza, tra le altre, due mozioni in identico testo (mozione Camera 1-00800 e mozione Senato 1-00534), che impegnavano il Governo, subito dopo la stipulazione del nuovo Trattato sulla stabilità, la governance e il coordinamento delle politiche economiche (cosiddetto fiscal compact) «a porre al centro della riflessione politica europea le politiche dello sviluppo e della crescita» e a riaprire, in tempi e modi opportuni, il processo costituente verso una unione politica dei popoli europei;
    il Governo italiano ha svolto un ruolo di primo piano nel promuovere iniziative per la crescita e la stabilizzazione dell'area euro, anche sottoscrivendo, il 20 febbraio 2012, insieme a Regno Unito, Spagna, Paesi Bassi, Finlandia, Estonia, Lettonia, Irlanda, Repubblica Ceca, Slovacchia, Svezia e Polonia una lettera al Presidente del Consiglio europeo, Van Rompuy, e al Presidente della Commissione europea, Barroso, recante un «Piano per la crescita in Europa»;
    il Governo ha già, inoltre, prospettato, in vista del vertice del 23 maggio 2012, alcune opzioni di intervento, relative all'applicazione delle regole patto di stabilità alle spese per investimenti, all'incremento delle risorse per gli investimenti ad alto potenziale di crescita e al completamento del mercato interno e alla creazione di meccanismi di garanzia comune del debito;
    la credibilità e la portata delle misure adottate e degli impegni assunti sinora dall'Italia per il risanamento danno al Governo l'autorevolezza necessaria per ribadire in seno alle istituzioni europee l'esigenza di una risposta più efficace, solidale dell'Unione europea alla crisi,

impegna il Governo:

   in occasione del Consiglio europeo del 28-29 giugno 2012:
    a) ad adoperarsi affinché sia adottato un piano europeo per la crescita e l'occupazione, dotato di un preciso programma di interventi coordinati e cofinanziati con risorse significative dell'Unione;
    b) a reiterare la proposta di classificare in maniera diversa gli aggregati rilevanti ai fini della verifica del rapporto deficit/prodotto interno lordo, in particolare la parte delle spese per investimenti produttivi (cosiddetta golden rule);
    c) a sostenere la necessità di rafforzare il ruolo e la capacità operativa della Banca europea per gli investimenti, procedendo ad una ricapitalizzazione di almeno 10 miliardi di euro, che consentirebbe di accrescerne il sostegno alla emissione di project bond e di prestiti per investimenti nelle infrastrutture e ad altri progetti comuni ai diversi Paesi dell'Unione europea;
    d) a promuovere una valutazione approfondita dell'ipotesi di ricorrere all'emissione diretta di titoli obbligazionari della Banca europea per gli investimenti o della Commissione europea per finanziare integralmente progetti di rilievo europeo (cosiddetti eurobond);
    e) a sollecitare l'adozione di una garanzia comune dei debiti sovrani secondo la proposta, avanzata dal Parlamento europeo, di trasferire per ciascuno Stato membro il debito eccedente il valore di riferimento del 60 per cento ad un fondo comune a responsabilità solidale (fondo per il rimborso del debito o European redemption fund), definendo un percorso di consolidamento per il rimborso del debito trasferito nell'arco di un periodo di 20-25 anni;
    f) a valutare, a medio e lungo termine, anche il ricorso agli stability bond (emissioni comuni di debito) che assicurerebbe, a regime, la garanzia comune del debito sovrano dell'eurozona, in coerenza con una prospettiva federale;
    g) a procedere a breve termine, come auspicato dalla Commissione europea e dalla Banca centrale europea, alla creazione di una unione bancaria fra i Paesi dell'eurozona, basata su un sistema comune di garanzia dei depositi, un fondo europeo di risoluzione per i fallimenti bancari e una centralizzazione della vigilanza bancaria a livello di Unione europea.
(1-01098) «Galletti, Della Vedova, Ciccanti».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Europa ha bisogno di una chiara risposta politica per uscire dalla crisi economica, finanziaria e ormai sociale più grave della sua storia e in questo senso il vertice del 28 giugno 2012 deve segnare l'inizio di un nuovo cammino e di un nuovo slancio che porti progressivamente alla realizzazione di una vera unione politica e federale;
    l'instancabile aggressività della speculazione finanziaria e la crescente inquietudine dei mercati richiedono non solo urgenti risposte tecniche, ma, soprattutto, una chiara prospettiva di integrazione politica, tale da rappresentare la risposta alle diverse forme di populismo che crescono proprio a causa dell'assenza di istituzioni europee con una più forte legittimazione politica e democratica;
    l'euro ha sempre rappresentato per l'Italia la tappa di un progetto culturale e politico complessivo che, attraverso una «unione sempre più stretta», portasse alla creazione degli Stati Uniti d'Europa, un'unione basata sulla solidarietà tra cittadini e Stati e che prevalesse sugli egoismi nazionali e particolaristici che in passato hanno sempre portato l'Europa alla rovina;
    i firmatari del presente atto di indirizzo sono consapevoli che, allo stesso tempo, occorrono risposte immediate contro la crisi economica e la speculazione finanziaria che permettano una ripresa della crescita, dal momento che si è registrato un trend di crescita ridotto rispetto agli altri partner europei e che le politiche di stabilità e di equilibrio di bilancio sono una condizione necessaria ma insufficiente per promuovere lo sviluppo economico e perseguire la creazione di nuovi posti di lavoro. Occorrono, altresì, forti misure interne a favore della competitività, nel quadro di un ampio progetto europeo e per le infrastrutture materiali e immateriali;
    insistere unicamente sul rigore rischia, infatti, di essere controproducente anche rispetto agli stessi obiettivi di stabilità: se deprime eccessivamente i consumi, diminuisce il gettito fiscale e, di conseguenza, finisce per peggiorare il rapporto stesso tra debito e prodotto interno lordo;
    l'Italia ha affrontato con grande decisione il grave problema del riequilibrio del bilancio e oggi può vantare un avanzo primario tra i più ampi in Europa, il credibile obiettivo del pareggio di bilancio in tempi congrui, un debito che – pur avendo ancora dimensioni elevate – diminuirà a partire dal 2013 e una riduzione del divario tra il valore medio dell'indebitamento dell'eurozona e quello italiano;
    peraltro, appare evidente che gli ultimi attacchi della speculazione internazionale sul debito pubblico italiano non trovano ragione e fondamento nei nostri squilibri di bilancio, ma sembrano, piuttosto, far parte di un'aggressione complessiva che prende di mira l'euro;
    i Paesi che mantengono i propri impegni nel risanamento dei conti pubblici e nel percorso di riforme, indicati nei piani di riforma nazionale e concordati a livello europeo, hanno diritto ad invocare la solidarietà degli altri membri della zona euro per far fronte a tali ingiustificati attacchi speculativi;
    la sottoscrizione del «fiscal compact» è stata accompagnata da un impegno comune per la crescita e lo sviluppo, che, se ha permesso prima significativi passi in avanti, in particolare per il completamento del mercato interno, non ha ancora portato a iniziative comuni per una nuova politica di investimenti comuni a livello europeo,

impegna il Governo:

   a sostenere l'iniziativa per la crescita che potrebbe mobilitare oltre 130 miliardi di euro a favore di investimenti produttivi, a partire dalle aree più svantaggiate della zona euro, agendo anche da catalizzatore per nuovi investimenti privati;
   a valutare l'opportunità di sostenere la rapida introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie attraverso una cooperazione rafforzata, per contrastare la speculazione finanziaria e per reperire una nuova forma di risorse proprie al servizio della crescita;
   a reiterare la proposta di definire criteri valutativi europei che consentano una distinzione di alcune categorie di investimento di interesse comune europeo ai fini della valutazione del rapporto deficit/prodotto interno lordo;
   a sostenere le proposte del rapporto Van Rompuy volte a creare un'unione economica, fiscale e bancaria, indicando, però, un percorso a tappe ben scadenzate, che si avvii al vertice di giugno 2012 e si concluda con decisioni operative al più tardi al vertice di dicembre 2012, sostenendo, in tale contesto, l'attribuzione dei poteri di vigilanza bancaria alla Banca centrale europea e la rapida creazione di un fondo di sostegno e intervento diretto per la ricapitalizzazione del sistema bancario, con possibilità di ricorrere anche al meccanismo europeo di stabilità (Esm) per affrontare crisi di tipo sistemico;
   a ribadire e difendere la proposta di creare un nuovo meccanismo di solidarietà che contrasti le oscillazioni eccessive degli spread, a beneficio degli Stati non sottoposti a procedure per deficit eccessivo e che attuino effettivamente gli impegni assunti nei piani di riforma nazionale;
   a rafforzare le proposte del rapporto Van Rompuy relative all'unione politica, dal momento che nuove procedure di sorveglianza e controllo preventivo sui bilanci nazionali o la stessa creazione di un Ministro del tesoro europeo non possono che essere collocate in una più ampia riforma politica, volta ad assicurare la piena legittimità democratica delle istituzioni europee e l'effettivo controllo parlamentare, nazionale ed europeo, sulle autorità di governo europee, possibile unicamente in un'Europa federale e democratica;
   a sostenere, nel contesto di una rinnovata unione economica e monetaria, forme di emissione comune di titoli del debito pubblico;
   a ribadire la necessità di un'Europa politica e federale, rilanciando la discussione sul futuro dell'Unione, avviando un nuovo percorso di integrazione politica che rilanci il processo costituente e di revisione dei trattati auspicabilmente in occasione delle elezioni europee del 2014.
(1-01101) «Franceschini, Galletti, Della Vedova, Pisicchio, Nucara, Cambursano, Brugger, Melchiorre, Tanoni, Gozi».


Risoluzione

   La Camera,
   premesso che
    l'Unione europea è attraversata da una crisi economica e sociale senza precedenti e non sembra che vi sia un'adeguata consapevolezza da parte di alcuni Paesi e, in modo particolare, da parte della Germania della necessità di mettere in campo interventi strutturali a favore della crescita;
    le incertezze ed i ritardi delle azioni di sostegno alla Grecia hanno alimentato un clima di sfiducia generalizzato nei confronti dell'Europa e, conseguentemente, un assalto della speculazione finanziaria al debito pubblico di Grecia, Spagna ed Italia, vanificando, di fatto, le politiche di rigore messe in campo dai rispettivi Governi;
    non è accettabile che i ritardi nella reazione alla speculazione finanziaria abbiano determinato gravi danni all'economia italiana che nel 2012 è entrata in recessione con elevati costi sociali, quali l'aumento della disoccupazione giovanile, il fallimento di numerose imprese e un crollo della fiducia degli italiani;
    non è ipotizzabile l'uscita dalla crisi finanziaria senza mettere in campo azioni decise a favore della crescita, perché solo la crescita può essere la premessa del rigore e non viceversa, come ritiene la Cancelliera Merkel;
    l'euro non è un dogma ma un mezzo per garantire la crescita ed il benessere dei popoli europei, favorire lo sviluppo delle aree svantaggiate, come, ad esempio, il Meridione italiano, ridurre la grave piaga della disoccupazione giovanile;
    non ha senso una moneta unica senza una banca centrale garante di ultima istanza e senza titoli europei di debito pubblico che consentano di pagare ai singoli Paesi gli stessi interessi, non scontando, quindi, uno svantaggio rispetto alla Germania, la cui economia continua a segnare risultati positivi a danno degli altri Paesi;
    l'Unione europea non ha futuro senza un rafforzamento della Banca centrale europea e in assenza di un consapevole coinvolgimento dei popoli in un processo di integrazione, che non si può ridurre esclusivamente ad una cessione di sovranità dei singoli Stati, come ritengono improvvisati europeisti, ma deve identificarsi sempre di più in una condizione di giustizia sociale e di equità tra i Paesi ed all'interno dei singoli Paesi europei;
    sono fondamentali strumenti come i project bond per favorire nuovi investimenti necessari per la crescita e lo sviluppo,

impegna il Governo:

   in vista del Consiglio europeo del mese di giugno 2012 a farsi promotore di iniziative che inducano a:
    a) modificare i trattati europei per attribuire alla Banca centrale europea la funzione di prestatore di ultima istanza;
    b) favorire l'assunzione a livello europeo di misure per la crescita volte ad agevolare una drastica riduzione della percentuale dei giovani disoccupati;
    c) porre con determinazione la questione del salvataggio della Grecia, che assolutamente non deve uscire dall'eurozona;
    d) valutare insieme agli altri Paesi, qualora non si volessero assumere le misure necessarie, quali l'emissione di eurobond e la trasformazione della Banca centrale europea, una concordata e progressiva fuoriuscita dall'euro che consenta ai singoli Paesi una maggiore autonomia per far fronte alla crisi e non far pagare ai poveri, ai disoccupati, ai giovani, ai pensionati e ad altri il costo di una crisi finanziaria determinata dalle banche, dalla speculazione finanziaria, ma, soprattutto, dall'interessata incertezza di qualche governante europeo.
(6-00111) «Iannaccone, Belcastro, Porfidia».


   La Camera,
   premesso che
    l'Unione europea è attraversata da una crisi economica e sociale senza precedenti e non sembra che vi sia un'adeguata consapevolezza da parte di alcuni Paesi e, in modo particolare, da parte della Germania della necessità di mettere in campo interventi strutturali a favore della crescita;
    le incertezze ed i ritardi delle azioni di sostegno alla Grecia hanno alimentato un clima di sfiducia generalizzato nei confronti dell'Europa e, conseguentemente, un assalto della speculazione finanziaria al debito pubblico di Grecia, Spagna ed Italia, vanificando, di fatto, le politiche di rigore messe in campo dai rispettivi Governi;
    non è accettabile che i ritardi nella reazione alla speculazione finanziaria abbiano determinato gravi danni all'economia italiana che nel 2012 è entrata in recessione con elevati costi sociali, quali l'aumento della disoccupazione giovanile, il fallimento di numerose imprese e un crollo della fiducia degli italiani;
    non è ipotizzabile l'uscita dalla crisi finanziaria senza mettere in campo azioni decise a favore della crescita, perché solo la crescita può essere la premessa del rigore e non viceversa, come ritiene la Cancelliera Merkel;
    l'euro non è un dogma ma un mezzo per garantire la crescita ed il benessere dei popoli europei, favorire lo sviluppo delle aree svantaggiate, come, ad esempio, il Meridione italiano, ridurre la grave piaga della disoccupazione giovanile;
    non ha senso una moneta unica senza una banca centrale garante di ultima istanza e senza titoli europei di debito pubblico che consentano di pagare ai singoli Paesi gli stessi interessi, non scontando, quindi, uno svantaggio rispetto alla Germania, la cui economia continua a segnare risultati positivi a danno degli altri Paesi;
    l'Unione europea non ha futuro senza un rafforzamento della Banca centrale europea e in assenza di un consapevole coinvolgimento dei popoli in un processo di integrazione, che non si può ridurre esclusivamente ad una cessione di sovranità dei singoli Stati, come ritengono improvvisati europeisti, ma deve identificarsi sempre di più in una condizione di giustizia sociale e di equità tra i Paesi ed all'interno dei singoli Paesi europei;
    sono fondamentali strumenti come i project bond per favorire nuovi investimenti necessari per la crescita e lo sviluppo,

impegna il Governo:

   in vista del Consiglio europeo del mese di giugno 2012 a farsi promotore di iniziative che inducano a:
    a) valutare l'opportunità di modificare i trattati europei per attribuire alla Banca centrale europea la funzione di prestatore di ultima istanza;
    b) favorire l'assunzione a livello europeo di misure per la crescita volte ad agevolare una drastica riduzione della percentuale dei giovani disoccupati;
    c) porre con determinazione la questione del salvataggio della Grecia, che assolutamente non deve uscire dall'eurozona.
(6-00111)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Iannaccone, Belcastro, Porfidia».


MOZIONE DOZZO ED ALTRI N. 1-01065 CONCERNENTE INIZIATIVE DI COMPETENZA PER L'INDIZIONE DI UN REFERENDUM CONSULTIVO SULLA ADESIONE AL TRATTATO SULLA STABILITÀ, SUL COORDINAMENTO E SULLA GOVERNANCE NELL'UNIONE ECONOMICA E MONETARIA, NOTO COME «FISCAL COMPACT»

Mozione

   La Camera,
   premesso che:
    l'Unione europea si fonda sul principio dello Stato di diritto: ciò significa che tutte le azioni intraprese dall'Unione europea si fondano su trattati approvati liberamente e democraticamente da tutti i Paesi membri dell'Unione europea;
    un trattato è un accordo vincolante tra i Paesi membri dell'Unione europea, esso definisce gli obiettivi dell'Unione europea, le regole di funzionamento delle istituzioni europee, le procedure per l'adozione delle decisioni e le relazioni tra l'Unione europea e i suoi Paesi membri;
    i trattati vengono modificati per ragioni diverse: rendere l'Unione europea più efficiente e trasparente, preparare l'adesione di nuovi Paesi ed estendere la cooperazione a nuovi settori, come la moneta unica;
    il cosiddetto «fiscal compact», noto anche come atto di bilancio, è il trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance dell'Unione economica e monetaria che è stato firmato da 25 Capi di Governo dell'Unione europea, ad eccezione del Regno Unito e della Repubblica Ceca, il 2 marzo 2012. Il trattato entrerà in vigore il 1o gennaio 2013 a condizione che almeno 12 Stati membri della zona euro lo ratifichino. Se tale condizione dovesse verificarsi prima di tale data, il trattato entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo al deposito del dodicesimo strumento di ratifica;
    ogni Paese, dopo la ratifica del trattato, ha tempo fino al 1o gennaio 2014 per introdurre la regola che impone il pareggio di bilancio nella legislazione nazionale. L'obiettivo, dopo l'entrata in vigore del trattato, è quello di incorporare, entro cinque anni, il nuovo trattato nella vigente legislazione europea;
    il «fiscal compact» è un nuovo insieme di regole, chiamate «regole d'oro», concertate tra Paesi dell'Unione europea, che sono vincolanti e prevedono criteri stringenti sulla disciplina di bilancio e, di fatto, segnano un primo passo verso la rinuncia a parte della sovranità nazionale su questo versante;
    ai fini dell'osservanza del trattato, gli Stati membri s'impegnano ad introdurre, nelle legislazioni nazionali, il pareggio di bilancio con disposizioni vincolanti e di natura permanente, preferibilmente di tipo costituzionale;
    il trattato stabilisce: la regola del pareggio di bilancio (con un margine massimo di scostamento consentito per il deficit strutturale pari allo 0,5 per cento del prodotto interno lordo) che le parti contraenti dovranno recepire a livello costituzionale o equivalente; la regola della riduzione del debito pubblico secondo le condizioni e le modalità previste dalla vigente normativa dell'Unione europea; la competenza della Corte di giustizia dell'Unione europea a monitorare il corretto recepimento della regola del pareggio di bilancio; l'istituzionalizzazione dei «vertici euro» che dovranno essere convocati almeno due volte l'anno;
    il motivo che ha suggerito ai 25 Capi di Governo di non inserire l'obbligo della modifica costituzionale nel trattato è stato quello di evitare il rischio costituito dalle consultazioni referendarie, che in alcuni Stati membri sono obbligatorie per le modifiche costituzionali;
    l'Irlanda ha deciso di sottoporre a referendum popolare l'accordo sul rafforzamento della governance economica, cosiddetto «fiscal compact». L'Irlanda ha indetto per ben due volte, nel 2001 e nel 2008, referendum sui trattati europei;
    la ratifica di trattati da parte degli Stati membri è necessaria per l'entrata in vigore del trattato stesso ed avviene secondo le rispettive norme costituzionali. Nel nostro ordinamento, la Costituzione prevede (articolo 80) che le Camere procedano alla ratifica dei trattati tramite legge e che (articolo 75) non è ammesso il ricorso a referendum per leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali. Questa norma fu concepita quando i trattati e le modifiche ai trattati erano un'eccezionalità;
    risulta doveroso e quanto mai opportuno rimediare all'esclusione dei cittadini dalla partecipazione al processo normativo e decisionale comunitario, permettendo di indire referendum ad hoc sull'adesione o modifica di trattati internazionali che sono, per loro natura, vincolanti per il Paese membro;
    non passare attraverso la «voce del popolo sovrano» sarebbe, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, ai limiti della legalità costituzionale, da parte di un Governo non legittimato da un'elezione popolare che firma un trattato che, di fatto, riduce per i prossimi decenni la sovranità dello Stato italiano e riporta il Paese in condizioni di povertà;
    essendo posta sempre più in discussione la sovranità dello Stato, appare urgente e necessario prevedere che la rinuncia di parte della sovranità statale, che si accompagna alla ratifica di trattati comunitari, sia sottoposta a forme di consultazione popolare, mediante referendum. Ciò consentirebbe, peraltro, di rimediare a quel «deficit di democraticità» che continua a caratterizzare le istituzioni comunitarie;
    sulla base delle ragioni illustrate la Lega Nord intende presentare una proposta di legge costituzionale per l'indizione di un referendum consultivo sull'adesione al trattato sulla stabilità,

impegna il Governo

ad assumere le iniziative di competenza per promuovere l'indizione di un referendum consultivo sulla adesione al trattato sulla stabilità, cosiddetto «fiscal compact», al fine di dare ai cittadini la libertà di decidere sul proprio futuro economico e sociale.
(1-01065) «Dozzo, Bossi, Maroni, Fugatti, Fedriga, Fogliato, Montagnoli, Lussana, Alessandri, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Comaroli, Consiglio, Crosio, Dal Lago, D'Amico, Desiderati, Di Vizia, Dussin, Fabi, Fava, Follegot, Forcolin, Gidoni, Giancarlo Giorgetti, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lanzarin, Maggioni, Martini, Meroni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Polledri, Rainieri, Reguzzoni, Rivolta, Rondini, Simonetti, Stefani, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli, Volpi».