Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Strumento di esplorazione della sezione Lavori Digitando almeno un carattere nel campo si ottengono uno o più risultati con relativo collegamento, il tempo di risposta dipende dal numero dei risultati trovati e dal processore e navigatore in uso.

salta l'esplora

Resoconti delle Giunte e Commissioni

Resoconto della II Commissione permanente
(Giustizia)
II Commissione

SOMMARIO

Mercoledì 9 marzo 2011


SEDE REFERENTE:

Misure contro la durata indeterminata dei processi. C. 3137 , approvata dal Senato (Seguito dell'esame e rinvio) ... 36

Sui lavori della Commissione ... 41

Disposizioni in materia di remissione tacita della querela. C. 1640 Contento (Seguito dell'esame e conclusione) ... 43

Misure contro la durata indeterminata dei processi. C. 3137 , approvata dal Senato ... 44

SEDE CONSULTIVA:

Istituzione dell'Autorità Garante per l'infanzia e l'adolescenza. Nuovo testo C. 2008-A , adottato come testo base, ed abbinate (Parere alle Commissioni riunite I e XII) (Esame e conclusione - Parere favorevole con osservazione) ... 49
ALLEGATO 1 (Parere approvato) ... 52
ALLEGATO 2 (Proposta alternativa di parere dell'IDV) ... 53

Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese. Nuovo testo unificato C. 2754 Vignali ed abb. (Parere alla X Commissione) (Esame e conclusione - Parere favorevole con osservazione) ... 50
ALLEGATO 3 (Parere approvato) ... 54

AVVERTENZA

II Commissione - Resoconto di mercoledì 9 marzo 2011


Pag. 36


SEDE REFERENTE

Mercoledì 9 marzo 2011. - Presidenza del vicepresidente Fulvio FOLLEGOT. - Interviene il sottosegretario per la giustizia Giacomo Caliendo.

La seduta comincia alle 12.45.

Misure contro la durata indeterminata dei processi.
C. 3137, approvata dal Senato.
(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato l'8 marzo 2011.

Lorenzo RIA (UdC) preliminarmente rileva che già la tempistica con la quale il provvedimento viene esaminato dalla Commissione Giustizia è indice della strumentalizzazione che la maggioranza ed il Governo intendono fare della grave questione della lentezza dei processi, considerato che l'iter legislativo ha visto accelerazioni e rallentamenti a seconda delle diverse ed improvvise esigenze giudiziarie del Presidente del Consiglio. Proprio il modo di considerare il tema della giustizia in maniera avulsa dalla sua concreta drammatica quotidianità, ha portato i cittadini a sentire i dibattiti su questo tema come distanti da loro. Sui tempi del processo, che costituiscono l'oggetto del provvedimento


Pag. 37

in esame, ad esempio, non si è svolto alcun approfondimento da parte del Governo per individuare soluzioni adeguate alla paralisi nella quale versa la giustizia. Ci si è limitati a sancire un principio del tutto irragionevole come quello del taglio indiscriminato di tutti i processi che superino una certa soglia temporale. Dichiara, sin da ora, che il suo gruppo non potrà mai essere favorevole ad un testo come quello in esame, che peraltro, come già avvenuto in altre occasioni, è stato presentato - ovvero se ne è riavviato l'esame - subito dopo la bocciatura da parte della Corte Costituzionale di provvedimenti approvati unicamente per risolvere questioni giudiziarie del Presidente del Consiglio. Tutto ciò viene fatto dalla maggioranza mascherando i provvedimenti come delle soluzioni per i mali della giustizia delle quali potrà avvalersi la collettività. In realtà, si tratta di norme che interessano sempre un cittadino solo.
Nel caso in esame, per raggiungere questo scopo si cerca di approvare un testo nel quale si procede ad una aprioristica predeterminazione dei tempi processuali senza tenere conto della reale e concreta complessità di ogni processo penale. Anche in materia civile le scelte fatte sono del tutto insoddisfacenti, non tenendosi conto, ad esempio, di tutti i termini che già scandiscono tempi del processo.
Gravi incongruenze e farraginosità si registrano anche per le disposizioni che intervengono sulla legge Pinto. Ad esempio, ritiene che possa dar luogo a facili abusi del diritto la norma secondo la quale debba essere data priorità nella trattazione ai processi nel cui ambito la parte ha preannunziato l'intenzione di fare ricorso ai rimedi della Legge Pinto, in quanto a contrario verrebbero rallentati quelli ove non si preannunzia tale volontà.
Tuttavia, vi è una disposizione del testo che supera tutte le altre come ragione insuperabile per contrastare in ogni modo l'approvazione del provvedimento. Si tratta della norma transitoria che costituisce una ragione sufficiente per esprimere la più totale contrarietà al testo. L'assurdità di una norma che pone dei limiti di fase a processi pendenti all'entrata in vigore della legge è di tale evidenza che non merita neanche di dover essere spiegata.
Rileva come tutte le ragioni che un anno fa hanno portato l'UdC ad esprimere la netta contrarietà al provvedimento approvato dal Senato siano ancora valide. Tuttavia, ribadisce la disponibilità del suo gruppo ad affrontare il tema della ragionevole durata del processo per individuare soluzioni adeguate, qualora da parte della maggioranza vi sia la disponibilità a rivedere la norma transitoria nonché la stessa suddivisione in fasi temporali del processo.
Per affrontare seriamente la questione della lentezza dei processi non ci si può limitare a mettere dei limiti temporali cancellando con un colpo di spugna miglia di processi, dovendosi piuttosto intervenire sulle cause che hanno portato alla paralisi della giustizia.
Osserva come il provvedimento sia caratterizzato da un equivoco di fondo, quale è quello di considerare equo e giusto un processo unicamente in base alla sua durata che deve essere breve. In realtà la durata di un processo deve essere ragionevole e non aprioristicamente breve. La ragionevolezza presuppone la valutazione di una serie di elementi tra i quali vi è anche, ad esempio, la complessità del processo.
Invece, la scelta della maggioranza è ben diversa. Introducendo l'istituto della prescrizione processuale si prefigura un modello processuale che finisce per tradursi in una forma di immunità in primo luogo per una persona ben determinata che costituisce il destinatario del provvedimento in esame. Di tutto ciò l'UdC è stanco.
In realtà, la ragionevole durata del processo si raggiunge se si vigila sull'effettivo rispetto delle norme che già sono vigenti, se si incentivano le misure deflattive del processo, se si rivedono le circoscrizioni giudiziarie e se si aumentano gli organici togati e civili.
Inoltre si potrebbero prendere come modelli alcune realtà virtuose di uffici giudiziari, come ad esempio il tribunale di


Pag. 38

Torino, dove a legislazione vigente e sulla base di best practice si è ridottoconsiderevolmente il carico giudiziario.
Conclude auspicando che il provvedimento in esame non rappresenti l'ulteriore occasione perduta per introdurre reali strumenti volti ad accelerare il processo.

Pietro TIDEI (PD) ritiene che il provvedimento in esame non sia volto a prevedere un «processo breve», bensì un «processo interrotto», quasi a volere applicare la logica del game over dei videogiochi alla giustizia. Non vi è analisi critica, non vi è distinzione delle problematiche, non vi è presa d'atto della realtà nelle sue complesse sfaccettature. Sembra quasi che si voglia risolvere il problema della giustizia spingendo un bottone: il bottone con il quale si attiva un timer che porta inesorabilmente all'autodistruzione del processo in un periodo di tempo determinato.
E questo avviene mentre i giudici, come tutto il personale giudiziario del resto, proseguono il loro percorso ad ostacoli tra le fiamme, porte che si chiudono, pezzi di giustizia che si staccano, perché la giustizia va in frantumi. Il tutto nell'interesse non della generalità dei cittadini, ma di un unico soggetto che ha interesse a fuggire dalla giustizia, a distruggere la giustizia pur di salvarsi.
La maggioranza si affanna a dimostrare che non vi è nessun salvataggio in atto e che il «processo breve», o meglio «interrotto», serve ai cittadini e lo chiede l'Europa
In realtà la Corte europea dei diritti dell'uomo non ha mai sentenziato che per accorciare la durata dei processi sia necessario interrompere bruscamente il corso del loro svolgimento solo perché non si è riusciti a concluderli entro i rigidi termini prefissati dell'articolo 5 della proposta di legge, buttandoli praticamente nel cestino dopo un certo lasso di tempo. Ne la Corte europea ha mai considerato separatamente le singole fasi e i singoli gradi del procedimento, ma la sua valutazione la sempre riguardato le procedure nel loro complesso. È la durata complessiva a dover essere ragionevole, non le singole fasi in cui si sviluppa il processo.
Per converso, proprio la Corte e gli accordi internazionali in Europa fanno appello ai diritti delle vittime che in questo «gioco a tempo» sono quelle che ci rimettono sempre. Nel provvedimento però non vi è traccia di meccanismi di salvaguardia delle vittime.
Cita quindi un passo dell'audizione del dottor Giovanni Canzio, Presidente della Corte d'Appello dell'Aquila, il quale ha rilevato che: «Aumenta ulteriormente la distanza della nostra disciplina rispetto all'apparato di tutela riconosciuto dalle fonti convenzionali e sovranazionali alla vittima del reato, alla persona fisica che ha subìto il pregiudizio da quelle violazioni del diritto penale riconosciuto da uno Stato membro. Faccio riferimento alla decisione quadro n. 220 del Consiglio dell'Unione europea 15 marzo 2001 relativa alla posizione della vittima del procedimento penale, per la cui attuazione anzi la legge comunitaria 2009 ha previsto criteri e princìpi direttivi di attuazione con decreti legislativi. Lo stesso Trattato di Lisbona menziona espressamente per la cooperazione giudiziaria in materia penale i diritti delle vittime della criminalità nel processo».
Ritiene quindi che l'Europa non abbia nulla a che vedere con il provvedimento, se non per il fatto che le competenti istituzioni dovranno esaminare una lunga valanga di ricorsi delle vittime dei reati come conseguenza di questa disciplina sul «processo interrotto».
Sottolinea quindi come, se davvero si volesse intervenire per dare efficacia all'azione dei magistrati, allora l'analisi dovrebbe essere più seria e vicina alla realtà. L'efficacia dei giudici e dei sistemi giudiziari è una condizione necessaria per la tutela dei diritti di ogni persona. E l'efficacia sta nell'emettere decisioni di qualità entro un termine ragionevole e sulla base di un apprezzamento equo delle circostanze. Entrano quindi in gioco l'organizzazione e il funzionamento del sistema giudiziario ed il compito del Parlamento è


Pag. 39

creare le condizioni che consentano ai giudici di svolgere la loro missione e raggiungere l'efficacia nelle loro decisioni.
Dalle audizioni che si sono susseguite non sono mancati certo i suggerimenti in questo senso.
Ne elenca alcune a titolo esemplificativo. In primo luogo, occorrerebbe modificare il codice nella parte che riguarda le notifiche, disponendo che le stesse debbano essere effettuate mediante posta elettronica certificata non solo per gli avvocati, ma anche per le società, per le imprese, per i detenuti attraverso l'ufficio matricola delle varie carceri. Si abbatterebbero i tempi di mesi per ogni fase del processo, si abbatterebbero i costi per milioni di euro ogni anno, diminuirebbe il potere discrezionale del pubblico impiegato.
Per quanto riguarda il processo civile, occorre modernizzare attraverso l'introduzione di una informatizzazione massiccia, la creazione del fascicolo elettronico su file, su CD, l'uso della posta elettronica certificata per l'iscrizione della causa al ruolo, del deposito degli atti, che vorrebbe dire risparmio di tempo e denaro da parte del ricorrente, dell'avvocato, minor traffico e inquinamento per le strade. Ed ancora: l'uso della videoconferenza per le udienze civili o in alcuni casi anche di quella penale, e la creazione, per i procedimenti civili in materia economica, societaria di sezioni specializzate e centralizzate all'interno delle quali ai magistrati venga assegnato il procedimento con un criterio automatico e non discrezionale derogando dal principio del giudice naturale precostituito per legge.
È difficile davvero pensare che le inefficienze si risolvano per legge. E comunque una legge che provi a regolare la materia dovrebbe tenere conto di una serie di fattori e di considerazioni del tutto assenti nel provvedimento in esame, perché la complessità di ciascuna causa non è legata esclusivamente alla gravità del reato o alla sanzione applicabile. Entrano in gioco altri fattori: la natura e la serietà dell'oggetto del Processo in funzione dell'imputazione formulata; le difficoltà dell'accertamento probatorio; il numero degli imputati e delle persone offese, alcune o molte delle quali costituitesi parte civile; il numero dei testimoni da ascoltare; il numero degli accertamenti tecnici da espletare; il comportamento tenuto dalle parti private e del possibile ostruzionismo opposto da alcuni difensori; la proposizione di istanze istruttorie dilatorie; i tempi inevitabili imposti dal codice di rito nei singoli passaggi riguardo al deposito di singoli atti, alla chiusura delle indagini preliminari; i tempi tecnici delle notifiche e della trasmissione degli atti dal giudice di primo grado al giudice di appello, e di tanti altri fattori.
Senza questi accorgimenti, senza queste prescrizioni il risultato sarà infausto, anche sul ricorso ai riti alternativi. Infatti, se un difensore ha la prospettiva di poter presentare al cliente la ragionevole possibilità, che andando al dibattimento, si ottenga la prescrizione processuale, considererà inutile patteggiare o fare il processo abbreviato. Verrà incentivata di gran lunga l'opposizione al decreto penale di condanna.
Con il «processo interrotto» verranno rimessi in libertà imputati accusati di reati gravi come quelli di rapina, di reati per i quali magari il periodo di detenzione non è cominciato prima della fase delle indagini preliminari, ma nel corso della stessa o addirittura al momento della chiusura, quando è stata esercitata l'azione penale e si è acquisita la qualità di imputato.
E non si tratterà di un fenomeno marginale, giacché i numeri sono allarmanti e parlano da soli. Solo a Roma, in sede di GIP/GUP dove si avrebbe il 6 per cento di processi estinti. Quasi il 30 per cento dei processi attualmente in fase di dibattimento cadrebbero sotto la falce del «processo interrotto», rimanendo senza soluzione e senza giustizia. In corte di appello il 55 per cento dei processi verrebbe cancellato e si tratta di processi per lo più del 2005-2006: si tratta di oltre 20 mila giudizi.
A Palermo ci sono 60 mila processi ordinari e oltre 20 mila, cioè il 38 per cento, sono iniziati da oltre due anni.


Pag. 40

Entro 60 giorni, quindi, i giudici palermitani dovranno teoricamente decidere su 23.000 cause, il che significa che nell'arco di sei mesi ogni giudice deve redigere non meno di 300 sentenze rebus sic stantibus.
Di efficienza o di ricerca dell'efficienza o almeno di tentativi per far funzionare meglio la macchina della giustizia nel provvedimento non vi è traccia. È come se per far arrivare puntuali i treni bastasse scrivere l'orario ferroviario e stabilire quando deve arrivare alla prima, alla seconda stazione e così via. Non solo, ma i treni verrebbero soppressi al primo ritardo, i passeggeri fatti scendere in mezzo ai binari da tutti i vagoni, sia quello delle vittime che quello dei colpevoli, o meglio, dei presunti innocenti perché tali sono fino a che il treno della giustizia non arriva a destinazione. Il tutto a vantaggio non dei cittadini, ma di un solo cittadino.

Marilena SAMPERI (PD) ricorda come la Commissione abbia svolto un considerevole numero di audizioni e come tutti gli auditi, tanto gli esperti della materia quanto gli operatori provenienti da diversi uffici giudiziari, siano concordi nel ritenere il provvedimento gravemente deleterio per il sistema giustizia. Le audizioni hanno quindi evidenziato come il provvedimento sia carente, in primo luogo, sotto il profilo della totale carenza di una previa valutazione dell'impatto delle disposizioni in esso contenute. E, dal momento che manca una simile valutazione, la Commissione non può che prendere in considerazione la valutazione effettuata dagli auditi circa l'effetto prevedibilmente devastante dell'entrata in vigore del provvedimento in esame.
Sottolinea, inoltre, come l'obiettivo della riduzione dei tempi insopportabilmente lunghi della giustizia sia comune a maggioranza ed opposizione. Ciò che il PD non condivide è la scelta dei rimedi, del tutto inefficaci a dannosi; è l'atteggiamento secondo il quale qualunque rimedio sia giustificabile se consente di raggiungere lo scopo di abbreviare i tempi del processo.
La realtà è che la soluzione proposta appare miracolistica e poco credibile, poiché è ovvio che non si possano risolvere i problemi del processo determinandone la brusca estinzione dovuta al mero trascorrere del tempo. D'altra parte risulta evidente come il principio della ragionevole durata del processo debba essere contemperato con altri valori, quali il diritto di difesa, la tutela delle vittime del reato e tutti quei principi che in materia di processo sono ormai riconosciuti e imposti dalle istituzioni europee. Senza questo contemperamento di interessi, appare impossibile creare un processo che, oltre ad essere «breve», sia anche «giusto».
Ritiene opportuno non soffermarsi sulla cosiddetta «disciplina transitoria», dal momento che la sua incostituzionalità appare manifesta e tale da non richiedere ulteriori commenti.
Ricorda peraltro come gli auditi abbiano suggerito numerosi rimedi che consentirebbero di ridurre la durata dei processi senza arrecare danni al sistema giustizia, sottolineando come una prescrizione processuale che si sovrappone alla prescrizione sostanziale, senza la previsione di adeguati contrappesi, non possa che risolversi in una grave patologia del processo, con conseguente disincentivazione a ricorrere ai riti alternativi.
Gli interventi che dovrebbero essere attuati per ridurre la durata dei processi sono ben altri. Cita, a titolo esemplificativo, le depenalizzazioni, l'informatizzazione del processo, la previsione di un sistema razionale di preclusioni endoprocessuali, la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, la creazione di un filtro per accedere al grado d'appello, la valorizzazione ed integrazione del personale amministrativo.
Rileva, quindi, con estremo rammarico come la maggioranza ed il Governo appaiano insensibili ai suggerimenti provenienti dagli operatori e dagli esperti interpellati ritenendo, forse, di essere autosufficienti. Eppure è indispensabile che maggioranza ed opposizione riflettano insieme, per modificare il provvedimento e per raggiungere l'obiettivo della riduzione


Pag. 41

dei tempi del processo attraverso una razionale riorganizzazione della macchina della giustizia.

Fulvio FOLLEGOT, presidente, avverte che risulta ancora iscritto a parlare l'onorevole Melis. Tuttavia, si era stabilito di procedere alle votazioni previste per oggi in Commissione alle ore 13.30. Per tale ragione, avverte che si passa all'esame della proposta di legge n. 1640 Contento iscritta nel calendario dell'Assemblea a partire da lunedì 14 marzo prossimo. Successivamente si passerà alla sede consultiva per esprimere i pareri previsti e, quindi, si ritornerà all'esame in sede referente della proposta di legge n. 3137, per consentire all'onorevole Melis di intervenire. Sospende quindi l'esame della proposta di legge n. 3137.

Sui lavori della Commissione.

Rita BERNARDINI (PD) ritiene che la Commissione giustizia debba immediatamente sospendere i propri lavori per consentire ai suoi componenti di partecipare ai lavori in corso presso l'Assemblea, considerato che si stanno svolgendo gli interventi in discussione sulle linee generali relativamente ad un provvedimento di estremo rilievo ed interesse quale il testo recante disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento (C. 2350-A), meglio noto come il provvedimento sul testamento biologico. Ritiene che sia estremamente lesivo delle sue prerogative parlamentari il non poter partecipare ai lavori dell'Assemblea, sia pure per ascoltare degli interventi, a causa della concomitanza dei lavori della Commissione della quale è componente.

Antonio DI PIETRO (IdV) dichiara di condividere pienamente l'intervento dell'onorevole Bernardini. Chiede pertanto che la Commissione sia messa in grado, attraverso una votazione, di decidere se sia più opportuno proseguire nei propri lavori ovvero sospenderli finché non si concluda la discussione sulle linee generali in Assemblea.

Fulvio FOLLEGOT, presidente, rileva che la questione sollevata dall'onorevole Bernardini è stata affrontata specificatamente dalla Giunta per il regolamento il 4 ottobre 2006 al fine di fugare definitivamente ogni dubbio o perplessità sulla correttezza della prassi secondo cui le Commissioni possono riunirsi durante le fasi delle sedute dell'Assemblea nelle quali non sono previste votazioni, come nel caso di discussioni sulle linee generali.
In particolare, in quella seduta della Giunta il Presidente della Camera ha ribadito come il divieto di contemporaneo svolgimento delle sedute dell'Assemblea e delle Commissioni, di cui all'articolo 30, comma 5, del Regolamento sia stato costantemente ed inequivocabilmente inteso dalla prassi come riferito (normalmente) al solo caso in cui l'Assemblea tenga una seduta in cui siano previste votazioni, salva diversa disposizione del Presidente della Camera. È stato sottolineato che si tratta di una prassi assolutamente consolidata, fondata sull'esplicito dettato regolamentare, e che il Presidente ha ritenuto di dover ribadire anche in sede di Giunta per il Regolamento solo per fugare definitivamente ogni dubbio o perplessità. Si è evidenziato come sia proprio la lettera del Regolamento ad attribuire al Presidente della Camera la facoltà di autorizzare lo svolgimento contemporaneo dei lavori dell'Aula e delle Commissioni, sulla base di una valutazione complessiva delle circostanze ed in funzione del buon andamento dei lavori parlamentari, comunque indipendentemente dal consenso unanime dei gruppi.
Nella seduta il Presidente ha inoltre rilevato come la prassi applicativa assolutamente consolidata voglia che la Presidenza autorizzi, in via generale, lo svolgimento di sedute delle Commissioni contemporaneamente a sedute dell'Assemblea nelle quali non sono previste votazioni (discussioni generali, svolgimento di atti di sindacato ispettivo, e così via). È stato altresì chiarito che non possono aver luogo


Pag. 42

le riunioni delle Commissioni in concomitanza con le votazioni in Assemblea, salva una specifica autorizzazione del Presidente della Camera. Si tratta di una prassi - pienamente corrispondente alla ratio che ha ispirato l'introduzione della norma nel 1971, quale emerge dai relativi lavori preparatori - continuamente attestata nella quotidiana esperienza della vita parlamentare.
L'intervento del Presidente si è concluso ribadendo che resta pienamente confermata la validità della prassi della possibile contemporaneità dei lavori di Aula e Commissioni qualora per i primi non siano previste votazioni e rilevando che, ove si intendesse modificare tale regime, occorrerebbe una espressa modifica regolamentare.
Nel caso in esame, considerato che non sono previste votazioni in Assemblea, nulla osta a che la Commissione prosegua i propri lavori secondo quanto stabilito dall'ordine del giorno.

Antonio DI PIETRO (IdV) contesta la decisione di proseguire i lavori della Commissione ritenendo che sia in contrasto con quanto previsto dall'articolo 30, comma 5, del Regolamento, che non può essere modificata da alcuna prassi.

Fulvio FOLLEGOT, presidente, dopo aver ricordato che la prassi richiamata è fondata sull'esplicito dettato regolamentare, come ha avuto modo di evidenziare il Presidente della Camera, ribadisce che la Commissione, alla luce di quanto chiarito da quest'ultimo il 4 ottobre 2006, è legittimata a proseguire nei propri lavori.

Rita BERNARDINI (PD) dichiara di non condividere assolutamente la decisione appena assunta dalla Presidenza. Chiede, pertanto, che della questione sia informato il Presidente della Camera, considerato che a lei viene in tal modo impedito di sentire interventi in Assemblea che ritiene estremamente importanti, come quello della collega radicale Maria Antonietta Farina Coscioni.

Fulvio FOLLEGOT, presidente, assicura che informerà della questione il Presidente della Commissione Giustizia, che a sua volta valuterà se sussistano i presupposti per investire del caso il Presidente della Camera. Ricorda che ai sensi dell'articolo 41, comma 2, del Regolamento solo in sede legislativa il presidente della Commissione è tenuto ad informarne il Presidente della Camera delle questioni regolamentari o interpretative del Regolamento che sorgano nel corso delle sedute di Commissioni. In sostanza, se una questione sorta in sede referente è ritenuta infondata dal Presidente di Commissione, salvo che si tratti dell'inammissibilità di emendamenti, non vi è alcuna esigenza che della questione sia informato il Presidente della Camera.

Federico PALOMBA (IdV) ritiene che la Commissione non sia tenuta a sospendere i lavori, ma che abbia la facoltà di procedere in tal senso se lo ritenga opportuno. Invita, pertanto, a porre in votazione la richiesta già formulata dall'onorevole Di Pietro di sospendere i lavori della Commissione.

Enrico COSTA (PdL) non comprende per quale ragione in questa occasione si debba disattendere una prassi consolidata alla quale si ispira la programmazione dei lavori delle Commissioni. Ritiene che sarebbe grave rimettere alla Commissione e, quindi, a maggioranze estemporanee legate alle singole sedute, scelte di programmazione dei lavori che spettano all'Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ovvero, qualora non si raggiunga la maggioranza prescritta, al Presidente della Commissione. Ribadisce la contrarietà del suo gruppo a derogare ad una prassi consolidata, che la Presidenza non può che applicare.

Nicola MOLTENI (LNP), dopo aver ringraziato il Vice Presidente Fulvio Follegot per l'equilibrio dimostrato nel presiedere la Commissione Giustizia sostituendo il Presidente della medesima, l'onorevole Giulia Bongiorno, negli ultimi due mesi,


Pag. 43

dichiara di concordare l'intervento dell'onorevole Costa, sottolineando la contrarietà del suo gruppo ad una sospensione dei lavori della Commissione.

Roberto RAO (UdC), pur comprendendo le preoccupazioni dell'onorevole Bernardini, ritiene che occorra evitare di creare gerarchie tra i provvedimenti all'esame dell'Assemblea prevedendo solamente per alcuni la totale e completa incompatibilità con concorrenti lavori in Commissione qualora siano esaminati dall'Assemblea. Nel caso in questione ritiene che la Presidenza della Commissione non si debba discostare dalla prassi e che non sussiste la necessità di sentire i pareri dei rappresentanti dei gruppi.

Rita BERNARDINI (PD) ritiene che nel caso in questione sia la prima volta che la Commissione Giustizia lavori in concomitanza con una discussione sulle linee generali in Assemblea, per quanto tale concomitanza si possa verificare raramente, considerato che tali discussioni si svolgono di norma di lunedì, cioè un giorno nel quale le Commissioni non sono quasi mai convocate.

Fulvio FOLLEGOT, presidente, ribadisce che, anche alla luce degli interventi svolti, non vi sono le condizioni per sospendere i lavori della Commissione.

Disposizioni in materia di remissione tacita della querela.
C. 1640 Contento.

(Seguito dell'esame e conclusione).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato il 3 marzo 2011.

Fulvio FOLLEGOT, presidente, avverte che la Commissione Affari costituzionale ha trasmesso un parere favorevole con osservazioni.

Francesco Paolo SISTO (PdL), relatore, dichiara che terrà conto dal parere della I Commissione al fine di apportare talune marginali modifiche al testo nel corso dell'esame in Assemblea.

Donatella FERRANTI (PD) ritiene che le osservazioni apposte al parere della Commissione Affari costituzionali siano pienamente condivisibili e costituiscano dei rilievi fortemente critici nei confronti di un provvedimento che viola il diritto di difesa e pone a carico della parte offesa degli oneri ingiustificabili. In testo necessita quindi di modifiche non marginali ma sostanziali. Preannuncia quindi sin d'ora il voto contrario del proprio gruppo sulla proposta di conferire al relatore il mandato a riferire in senso favorevole all'Assemblea.

Antonio DI PIETRO (IdV) esprime forti perplessità sulla ratio del provvedimento, non comprendendo in particolare la necessità di porre a carico del querelante l'onere di comparire in udienza.

Angela NAPOLI (FLI) dichiara, a nome del proprio gruppo, di condividere la ratio e la finalità del provvedimento, del quale ha seguito attentamente l'iter e le modifiche apportate. Auspica peraltro che si tenga adeguatamente conto del parere della I Commissione.

Francesco Paolo SISTO (PdL), relatore, ricorda come il provvedimento intenda produrre un effetto deflattivo nei confronti di procedimenti che non abbiano una grande rilevanza. Sono stati delineati con precisione i fatti concludenti che implicano la volontà di rimettere la querela, prestando particolare attenzione a mantenere l'equilibrio fra il processo utile e la garanzia della persona offesa che viene ristorata.

Antonio DI PIETRO (IdV) ribadisce di non condividere la scelta di porre a carico del querelante l'onere di comparire in udienza. Sottolinea come l'attribuzione ad un offerta reale, valutata in termini di congruità dal giudice, degli effetti di una remissione di querela sia invece una questione


Pag. 44

distinta, della quale si potrebbe discutere autonomamente.

Federico PALOMBA (IdV) ricorda di avere avuto già occasione di criticare la visione alla quale si ispira il provvedimento in esame una volta introdotta la possibilità di estinguere un reato sulla base di una offerta di risarcimento danno ritenuta congrua dal giudice sia pure non accolta dalla parte offesa. Si tratta di una monetarizzazione della giustizia che contrasta con i principi costituzionali, a partire dall'articolo 3, anche considerato che verrebbero avvantaggiati i soggetti con maggiore disponibilità finanziarie.

Carolina LUSSANA (LNP) annuncia il voto favorevole del suo gruppo, anche se tiene a sottolineare che lo stesso è in un certo senso condizionato all'impegno assunto dal relatore di tenere in considerazione, in vista del Comitato dei nove, gli aspetti critici emersi nel corso del dibattito ed evidenziati anche nel parere della I Commissione.

Roberto RAO (UdC), facendo affidamento sull'impegno assunto di tenere conto delle osservazioni apposte al parere della I Commissione, preannuncia il voto favorevole del suo gruppo al testo in esame.

Marilena SAMPERI (PD) ribadisce il voto contrario del suo gruppo, con riserva di modificare l'orientamento negativo qualora in Aula siano apportate le opportune modifiche.

Il sottosegretario Giacomo CALIENDO nel ricordare la ratio deflattiva del provvedimento, sottolinea come non sempre il querelante abbia interesse a proseguire il giudizio e si richiama al dibattito svolto in Commissione sul punto.

Antonio DI PIETRO (IdV) dichiara che, qualora non si rinviasse l'esame da parte dell'Assemblea previsto a partire da lunedì prossimo per approfondire tutte le questioni rimaste ancora insolute, sarebbe costretto a votare contro il provvedimento.

Fulvio FOLLEGOT, presidente, dopo aver rilevato che non è emersa la volontà da parte della Commissione di chiedere il rinvio dell'esame in Assemblea, pone in votazione il mandato a riferire in Assemblea.

La Commissione delibera di conferire il mandato al relatore, onorevole Francesco Paolo Sisto, di riferire in senso favorevole all'Assemblea sul provvedimento in esame. Delibera altresì di chiedere l'autorizzazione a riferire oralmente.

Fulvio FOLLEGOT, presidente, si riserva di designare i componenti del Comitato dei nove sulla base delle indicazioni dei gruppi.
Sospende quindi la seduta per passare alla sede consultiva

La seduta sospesa alle 14.15 riprende alle 14.30

Misure contro la durata indeterminata dei processi.
C. 3137, approvata dal Senato.

Fulvio FOLLEGOT, presidente, ricorda che è iscritto a parlare l'onorevole Melis.

Guido MELIS (PD) dichiara di avere creduto che, per questa legislatura, la maggioranza non avrebbe più riproposto il processo breve. Se ne era discusso a lungo nel 2009 e poi il tema e scomparso, sommerso da una valanga di critiche da parte degli specialisti, degli operatori e delle stesse forze politiche. Oggi riappare in superficie, più per ragioni di tattica politica che perché la maggioranza ne sia davvero convinta, probabilmente come merce di scambio in vista di quella che era, è e resta l'unica vera finalità della politica della giustizia di questo Governo e di questa maggioranza: l'immunità del presidente del Consiglio.
Non vi è nulla di razionale nel provvedimento in esame.
Si propone, per i processi civili e penali, una ghigliottina a tempo, calata alla cieca, dalla quale si attende uno sfoltimento


Pag. 45

radicale del contenzioso e la soluzione dell'annoso problema del carico pendente dei processi. Vengono chiamate «riforme» le «restaurazioni» e «innovazione» il ritorno a norme in vigore ai tempi del fascismo. Si parla di «processo breve» quando è chiaro che semmai si dovrebbe parlare di processo «interruptus», troncato a un certo stadio, casuale per altro, del suo svolgimento, senza che nessuna delle attese delle parti né tanto meno il fine superiore di rendere giustizia siano stati soddisfatti.
La maggioranza si fa forte dell'argomentazione secondo la quale il processo in Italia è ammalato di tante metastasi ormai ingovernabili; pendono davanti alle corti milioni di processi penali e specialmente di processi civili, con ritmi di smaltimento scoraggianti, mantenendo i quali occorrerebbero secoli solo per smaltire il carico pregresso, senza contare quello che ogni anno viene ad aggiungersi (per fortuna in calo, a quanto pare, nel 2010: ma questo è piuttosto l'effetto dei costi elevati della giustizia e della concomitante crisi economica che li rende sempre meno sopportabili che non di una tendenza alla diminuzione della litigiosità).
Ritiene tutto questo condivisibile. Non contesta né i dati, né l'allarme. La situazione è drammatica. In Italia la durata dei giudizi in primo grado è da record: in media di 2 anni e 8 mesi, ma in molti casi assai più dilatati. Una durata dei giudizi d'appello di 4 anni e 2 mesi. Vi sono tribunali e corti di appello letteralmente ingolfati. L'arretrato civile si aggira sui cinque milioni di processi. Quello penale non è da meno. Qualcosa bisogna fare, anzi si sarebbe dovuto fare da tempo.
Al formarsi di questa patologia hanno concorso negli anni e nei decenni molteplici fattori, senza la cui valutazione ogni terapia rischia di rivelarsi inadeguata. Cita, innanzitutto, la propensione italiana alla lite, superiore a quella di altri Paesi per ragioni che si radicano nella storia stessa della penisola, nel carattere della nostra aggregazione sociale e nelle caratteristiche storiche stesse della nostra tradizione giudiziaria: in ogni caso, come è stato ricordato anche in sede di audizione, il numero delle cause in Italia è uguale a quello di Francia, Germania e Spagna messe insieme. Un dato che non si può archiviare come se non esistesse.
Occorre aggiungere la specificità culturale, anch'essa con antiche radici, per cui la sentenza, civile e penale, nonché quella del giudice amministrativo, tende a dar conto delle posizioni delle parti, a soppesarne in sentenza tutte le ragioni, instaurando con esse una dialettica nel processo, e perciò stesso, rispetto a quanto avviene in altri ordinamenti (in Francia, ad esempio) tende a presentarsi come un documento finale di un iter complesso, ricco di articolazioni, e a caratterizzarsi per l'interpretazione analitica della disposizione normativa applicata. Si aggiungano poi le lentezze della procedura, non sanate da riforme relativamente recenti, ispirate spesso a un esasperato formalismo che, anch'esso, viene da lontano.
Cita quindi la povertà strutturale ed il progressivo, sistematico impoverimento della macchina della giustizia, civile come penale, gli organici lacunosi dei tribunali e delle corti d'appello, intere regioni nelle quali le procure della Repubblica vivono in perenne carenza di magistrati, la deficienza di mezzi, di tecnologie moderne, di strumentazione e di personale (la crisi endemica dei cancellieri, quella degli uditori giudiziari).
Si sono accumulate in questa prima parte della legislatura decine di interrogazioni in commissione e in aula, una mozione parlamentare, numerosissime denunce su questi aspetti: sarà sufficiente riferirsi ad esse per documentare lo stato penosamente inadeguato delle strutture e del personale.
Insieme al record dei processi inevasi, si riscontra quello della quota Pil dedicata alla giustizia tra le più basse d'Europa.
Lo stato inadeguato delle strutture e del personale confligge con le direttive europee, che imporrebbero (cita la Raccomandazione CM/Rec (2010)12, richiamata anche in una delle audizioni) di «creare le condizioni che consentano ai giudici di svolgere la loro missione e raggiungere l'efficacia».


Pag. 46

«Ogni Stato deve assegnare ai tribunali risorse, strutture e attrezzature adeguate, che consentano loro di operare in conformità delle esigenze di cui all'articolo 6 della Convenzione e per consentire ai giudici di lavorare in modo efficace». «Ai tribunali», continua la raccomandazione, deve essere assegnato un numero sufficiente di giudici e di personale di supporto adeguatamente qualificato».
L'Europa, come si vede, è molto lontana: da Enna, da Caltanissetta, dall'Aquila, da Nuoro ma anche da Venezia e da Roma, da Cagliari come si è sentito nelle audizioni.
Si considerino poi anche, tra le cause del malessere profondo del processo, l'antiquata architettura dell'articolazione giudiziaria per circoscrizioni, i cui confini costituiscono quasi sempre l'eredità non solo del secolo scorso ma dell'Ottocento. Annoso problema che la politica, di destra e di centrosinistra, stretta dalle resistenze delle società locali regionali e sub regionali, non ha mai avuto il coraggio e la coerenza di affrontare e risolvere. In Francia hanno rimaneggiato la geografia giudiziaria anche di recente, mentre l'Italia è immobile.
Richiama, infine, una legislazione, specie in campo penale, isterica e schizofrenica, che eleva le pene senza curarsi degli effetti prodotti, che inventa sempre nuovi reati quando si dovrebbe semmai depenalizzare (da ultimo, colpo mortale al sistema, quello di immigrazione clandestina, situazione nella quale casualmente può cadere qualunque lavoratore straniero cui decada, anche per il solo effetto di un licenziamento o per un ritardo burocratico, il permesso di soggiorno).
Ricorda come abbia avvertito saggiamente uno dei magistrati auditi dalla Commissione, la dottoressa Manuela Romei Pasetti, presidente della Corte d'appello di Venezia, che occorrerebbe sempre valutare l'impatto di una nuova norma sulle strutture; e non solo sul complesso delle strutture a livello nazionale, ma sull'insieme e sui singoli distretti, ognuno dei quali presenta caratteri suoi tipici, a seconda del bacino sociale di riferimento. Ma la valutazione della ricadute delle norme in termini amministrativi e più latamente sociali è ignota al nostro sistema di governo della giustizia e forse anche alla nostra cultura delle istituzioni.
Sono venute dalle audizioni di queste settimane precise analisi dello stato comatoso del sistema e altrettanto puntuali suggerimenti su quelli che potrebbero costituire i rimedi, di breve, medio e lungo periodo. In generale è poi venuto un giudizio totalmente negativo circa le conseguenze di una applicazione all'attuale situazione del cosiddetto «processo breve».
Come affermato dal dottor Canzio, procuratore generale dell'Aquila: «In difetto dei contrappesi, la prescrizione funziona solo come agente patogeno e può comportare il rischio del collasso e della perdita di autorevolezza della giurisdizione penale, programmando una fine scontata, quindi non più straordinaria e eccezionale ma ordinaria e tipica, del processo penale per il mero decorso del tempo. Quella che, se razionalmente organizzata, dovrebbe essere una conclusione straordinaria ed eccezionale, perché fallisce la funzione primaria della funzione cognitiva dell'accertamento e della ricostruzione probatoria dei fatti, perché c'è la sconfitta dell'attesa di verità delle vittime del reato e di giustizia della collettività, della comunità di riferimento, viene invece disciplinata come uno dei tipici e ordinari esiti proscioglitivi, e l'imputato avrà ben diritto di tendere a questo esito nel momento in cui lo si pone nello sfondo».
Si assisterà, dunque, da parte di difese in difficoltà, all'adozione (del tutto legittima, per altro, stante la nuova legge, che le incoraggia) di tattiche dilatorie, volte unicamente a far maturare i termini della prescrizione. Una quota consistente di processi moriranno di morte provocata, senza sortire alcuna finalità di giustizia. E saranno selezionati, nel monte dei processi pendenti, non sulla base della gravità del reato o della sua pericolosità sociale, ma semplicemente sul dato aridamente formale della data di prescrizione. Contemporaneamente si produrrà una serie di nefaste conseguenze che, ugualmente, le


Pag. 47

audizioni hanno previsto. Ne cita solo due: la prima sarà l'ovvia disincentivazione dei riti alternativi, a quel punto poco convenienti, quando si può giocare direttamente la carta dell'estinzione del processo; la seconda sarà la disincentivazione di indagini complesse (per sfuggire alla mannaia della prescrizione): e ciò scoraggerà, alla lunga, la capacità di fare giustizia, con effetti perversi sulla credibilità del sistema nel suo complesso.
La scelta dei processi da mandare al macero sarà casuale. In realtà, anche sulla scorta delle audizioni, questa affermazione, vera in termini generali (perché la legge non contiene alcuna distinzione per tipo di reato), lo è meno in termini di specifica applicazione. Come ha ricordato la dottoressa Corradini, Presidente della Corte d'appello di Cagliari, i processi più colpiti saranno «proprio quelli di maggiore impatto sociale, i processi per associazione a delinquere, per bancarotta, eccetera, [cioè] quelli che durano di più».
Si chiede quanti saranno i processi falciati dalla legge, dal momento che il Ministero non lo comunica. Le audizioni, peraltro, danno un'idea abbastanza approssimata regione per regione.
Si limita ai dati della Toscana.
Presso la Corte d'appello di Firenze, come riferito dal dottor Emilio Gironi, Presidente della prima sezione penale della Corte d'appello, «su un totale di 6.800 processi pendenti alla data dell'11 febbraio 2011, si dovrebbero dichiarare già oggi estinti, qualora la disciplina fosse già a regime, 2.127 processi, mentre altri 1.597 sono pressoché prossimi al termine finale e si possono dare per defunti».
Presso il Tribunale di Firenze «il numero complessivo dei processi certamente estinguibili ai sensi dell'articolo 9, comma 1, della proposta di legge è stato stimato ad oggi in 1.249, mentre altri 2.000 si approssimano al termine per l'estinzione, e il superamento del termine massimo appare pressoché la regola per i processi con udienza preliminare, che è necessario distinguere da quelli a citazione diretta».
Per il Tribunale di Prato il dato è di 24 procedimenti di competenza monocratica su 1.916 e di 3 su 50 di competenza collegiale.
Per il Tribunale di Pisa in senso assoluto i dati sono apparentemente poco significativi, ma in percentuale invece raggiungono il 4,43 per cento. Per il Tribunale di Pistoia è stata segnalata la possibilità di estinzione di 26 processi di competenza monocratica e di 3 di competenza collegiale. Per il Tribunale di Siena il dato è significativamente maggiore, perché 261 processi sarebbero destinati con certezza all'estinzione per quanto attiene la competenza monocratica su 948 (circa un quarto), ma non è stata effettuata alcuna stima precisa per quelli di competenza collegiale, perché è stato impossibile rilevare la data di deposito della richiesta di rinvio a giudizio. In ogni caso, è stata indicata una percentuale approssimativa dei processi destinati all'estinzione nell'ordine del 35-40 per cento. Minore è invece quella del Tribunale di Grosseto, che è stata indicata in termini percentuali nell'ordine del 5 per cento e in termini assoluti in 75 processi. Per il tribunale di Lucca invece l'estinzione riguarderebbe una percentuale del 20-30 per cento per quelli di competenza monocratica e tra il 30 e il 50 per cento per quelli di competenza collegiale. Quanto al Tribunale di Livorno, all'estinzione sarebbero destinati 24 processi su 104, quindi una percentuale prossima al 25 per cento per la competenza collegiale, e 69 su 1.695 per quelli di competenza monocratica. Per il Tribunale di Montepulciano il dato numerico è poco significativo, ma la pendenza è notoriamente bassa, quindi sono 8 processi di competenza monocratica e 5 di competenza collegiale.
Per quanto riguarda i processi civili, i dati forniti riguardano due tribunali toscani: Firenze, 13.092 processi pendenti da oltre due anni e destinati a superare il limite della ragionevole durata ai sensi dell'articolo 1, comma 3-ter, della proposta di legge; Livorno con 911 processi in analoga condizione.


Pag. 48


Si domanda quali reati grazierebbe il provvedimento in esame. Ritiene evidente che il nuovo meccanismo di «estinzione del processo» inciderebbe specialmente, con effetti gravissimi, sui procedimenti penali riguardanti le ipotesi di reato già condizionate dai termini di prescrizione previsti dalla legge n. 251 del 2005, cosiddetta legge Cirielli. Dunque le fattispecie della corruzione di cui agli articoli 318-322 del codice penale; i delitti contro la pubblica amministrazione, salvo i peculati ex articolo 314, primo comma, e di concussione ex articolo 317 del codice penale; i delitti contro l'amministrazione della giustizia (articoli 361 e seguenti), ad eccezione della calunnia aggravata come punita dal terzo comma dell'articolo 368; i delitti contro la fede pubblica (articoli 453 e seguenti del codice penale), ad eccezione della falsificazione delle monete, della spendita e introduzione nello Stato, previo concerto, di monete falsificate e della falsità, materiale o ideologica, commessa dal pubblico ufficiale, ma solo se aggravata quest'ultima; la violazione degli obblighi di assistenza familiare (articoli 570 e seguenti) e i maltrattamenti in famiglia (articolo 572); l'abuso dei mezzi di correzione e di disciplina; la sottrazione di persone incapaci ex articolo 475 del codice penale; la sottrazione e trattenimento di minore all'estero; l'abbandono di persone minori o incapaci; la stragrande maggioranza dei reati di aggressione alla incolumità fisica, psichica e morale del minore; la corruzione di minorenne; larga parte dei reati di pornografia minorile; la detenzione di materiale pedopornografico; le lesioni personali volontarie anche «gravi»; l'omicidio e le lesioni personali colpose; la truffa; l'appropriazione indebita; la ricettazione; la bancarotta preferenziale; i reati in materia di imposte dirette e di Iva; i reati societari.
Si tratta di molti reati gravissimi. Si chiede quindi se si sia attentamente riflettuto sulle vittime di questi reati cancellati dalla riforma, sullo stato di denegata giustizia che ne deriverebbe, sul fatto che che, applicando le nuove norme, anche la legge Pinto, finirebbe in un binario morto.
Si augura che questa sciagurata legge resti negli atti parlamentari e che non abbia corso. Da parte del PD vi è, come più volte ribadito, la disponibilità a discutere di a misure concrete, efficaci, che incidano sui tempi dei processi e valgano a ridurre l'arretrato avviando una nuova fase, virtuosa, di gestione della giustizia. Le misure da adottare sono note. Non miracolistiche ricette ma una graduata e coerente serie di interventi che aggrediscano il problema da tutti i lati, a monte come a valle, e valgano progressivamente a risolverlo.
Non può dirsi che negli anni scorsi i rimedi non siano stati identificati. Risalendo nel tempo vi è una storia del riformismo giudiziario che contiene già in sé molte proposte virtuose capaci di avviare i processi di riforma.
Leggendo materiali relativi al dibattito interno alla magistratura negli anni Sessanta e Settanta è rimasto colpito nel vedere con quanta preveggenza le cause del male fossero state denunciate al loro apparire e i rimedi proposti via via dagli operatori del settore. Se quelle diagnosi e quelle prognosi sono rimaste sulla carta, e interessano oggi solo gli storici, la ragione è una e una sola: la sordità della politica di allora come di quella di oggi, la distrazione delle classi di governo, la prevalenza in esse di facili scorciatoie elettoralistiche rispetto ad un cammino virtuoso che avrebbe richiesto programmazione, intese larghe, costanza di applicazione.
Ritiene che certamente si possa ancora oggi mettere mano alle storture procedurali esistenti; ridurre a monte il tasso di legificazione, specie penale, esagerato, delegificando e riducendo i reati minori; introdurre massicciamente l'informatica negli uffici (anche qui, senza propaganda: perché è a tutti noto che mentre si parla di processo informatico, ci sono uffici dove mancano i cancellieri, dove si fanno i verbali con la penna a biro grazie alla collaborazione degli avvocati); spendere nella giustizia: assumendo nuovi magistrati, personale amministrativo, distribuendo meglio le risorse anche con la modifica delle circoscrizioni, introducendo indici e controlli di produttività.


Pag. 49


Si può fare molto, se si rompe il cerchio per cui la riforma deve punire i giudici, da una parte, oppure deve essere respinta in nome di chissà quali tradizioni, dall'altra. Occorre sedersi seriamente a un tavolo e discutere di questa riforma. Ma è necessario lasciare prima da parte le provocatorie proposte che sono proprio oggi sui giornali e che mirano soltanto, come è evidente anche ad una prima lettura, a punire i pubblici ministeri, ponendoli alla mercè del potere politico, a rendere pericolosamente autonoma l'indagine della polizia giudiziaria (né più né meno com'era al tempo del fascismo) e in definitiva a incidere sull'autonomia della magistratura, violando un principio cardine della Costituzione.

Fulvio FOLLEGOT, presidente, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 14.55.

SEDE CONSULTIVA

Mercoledì 9 marzo 2011. - Presidenza del vicepresidente Fulvio FOLLEGOT. - Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Giacomo Caliendo.

La seduta comincia alle 14.15.

Istituzione dell'Autorità Garante per l'infanzia e l'adolescenza.
Nuovo testo C. 2008-A, adottato come testo base, ed abbinate.
(Parere alle Commissioni riunite I e XII).
(Esame e conclusione - Parere favorevole con osservazione).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Angela NAPOLI (FLI), relatore, osserva come il testo in esame preveda l'istituzione dell'«Autorità Garante per l'infanzia e l'adolescenza», anche in attuazione dell'articolo 31 della Costituzione e di convenzioni internazionali ed europee, figura già esistente in molti paesi europei (articolo 1).
Ricorda quindi come la Commissione abbia espresso il 22 settembre 2009, sulla precedente formulazione del testo, un parere favorevole con una condizione ed una osservazione.
Nel predetto parere si era evidenziato come la proposta di legge suscitasse alcune perplessità, che potrebbero essere oggetto di ulteriori approfondimenti da parte delle Commissioni di merito, come, ad esempio, la scelta di configurare il Garante quale organo monocratico e di attribuire al medesimo alcuni compiti che sembrerebbero interferire con altri che la legge già attribuisce al Governo.
Anche il nuovo testo suscita analoghe perplessità, poiché conferma la configurazione dell'Autorità garante come organo monocratico, al quale sono attribuiti ampi e numerosi poteri.
La Commissione giustizia, con apposita condizione, aveva chiesto che l'articolo 4, comma 4, fosse riformulato nel senso di prevedere che il Garante possa richiedere ai soggetti e per le finalità di cui al comma 1 di accedere a banche dati o ad archivi previa autorizzazione del Garante per la protezione dei dati personali, anziché sentito quest'ultimo.
La condizione posta dalla Commissione giustizia appare sostanzialmente recepita nella nuova formulazione dell'articolo 4, comma 4, a norma del quale il Garante può richiedere l'accesso a banche dati o ad archivi «nel rispetto delle disposizioni previste in materia di protezione di dati personali».
L'articolo 3, comma 9, prevedendo che il Garante segnali alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni situazioni di disagio di minori, al fine di consentire l'adozione di provvedimenti e l'apertura di procedimenti di protezione, e alla procura della Repubblica competente abusi che abbiano rilevanza penale o per i quali possano essere adottate iniziative di sua competenza, conferisce al Garante dei compiti per il cui svolgimento non appare necessaria una fonte di legittimazione di


Pag. 50

natura legislativa se non nel caso in cui da un comportamento omissivo si vogliano far derivare delle forme di responsabilità per il Garante.
I predetti rilievi costituivano l'oggetto dell'osservazione apposta al parere espresso dalla Commissione giustizia il 22 settembre 2009. Tale osservazione non risulta essere stata recepita dalla Commissione di merito.
Formula quindi una proposta di parere favorevole con osservazione (vedi allegato 1).

Federico PALOMBA (IdV) presenta ed illustra una proposta alternativa di parere favorevole con condizioni (vedi allegato 2).
Sottolinea, in particolare, come l'istituenda Autorità garante, per svolgere efficacemente le funzioni alle quali è istituzionalmente preposta, dovrebbe essere dotata di adeguati poteri di vigilanza e sanzionatori.

Angela NAPOLI (FLI), relatore, pur comprendendo l'intervento dell'onorevole Palomba, ricorda come la Commissione giustizia non possa sindacare le scelte di merito che spettano alle Commissioni riunite I e XII.

Fulvio FOLLEGOT, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, pone in votazione la proposta di parere del relatore. Avverte che in caso di approvazione di quest'ultima, non sarà posta in votazione la proposta alternativa di parere.

La Commissione approva la proposta di parere del relatore (vedi allegato 1).

Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese.
Nuovo testo unificato C. 2754 Vignali ed abb.

(Parere alla X Commissione).
(Esame e conclusione - Parere favorevole con osservazione).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Salvatore TORRISI (PdL), relatore, osserva come il provvedimento in esame sia volto a definire lo statuto giuridico delle imprese e dell'imprenditore al fine di assicurare lo sviluppo della persona attraverso il valore del lavoro, sia esso svolto in forma autonoma che d'impresa, e di garantire la libertà di iniziativa economica privata in conformità agli articoli 35 e 41 della Costituzione (articolo 1, comma 1).
Ricorda che la Commissione giustizia ha già espresso, il 17 novembre 2010, un parere favorevole con condizioni sulla precedente formulazione del testo in esame.
Nel predetto parere si chiedeva, in primo luogo, di sopprimere il secondo periodo dell'articolo 1, comma 1, comma 2, contenente una definizione della nozione di impresa che, facendo riferimento al concetto di «status», poteva risultare fuorviante e costituire fonte di equivoci interpretativi. Tale disposizione risulta soppressa nel nuovo testo.
Si chiedeva, inoltre, di espungere, dagli articoli 2 e 6 del precedente testo, i riferimenti ad una precisa delimitazione temporale della durata dei processi civili che, limitatamente ai rapporti tra imprese e tra imprese e pubblica amministrazione, avrebbe dovuto essere non superiore ad un anno.
La Commissione di merito risulta avere accolto anche questa condizione, riformulando le relative disposizioni ed introducendo un generico riferimento alla riduzione dei termini dei processi «entro termini ragionevolmente brevi».
Risulta essere stata accolta anche la condizione con la quale si chiedeva di sopprimere la definizione di interesse legittimo, contenuta nell'articolo 3-bis.
Si chiedeva, altresì, di sopprimere l'articolo 8, in materia di lotta contro i ritardi nei pagamenti delle transazioni commerciali e recante anche una delega al Governo per l'emanazione di disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 7 ottobre 2002, n. 231; tale disposizione appariva infatti estranea all'impianto originario del provvedimento e meritevole di costituire l'oggetto di un autonomo esame parlamentare.


Pag. 51


Rileva che la disposizione di cui all'articolo 8 risulta, nella nuova formulazione, sensibilmente modificata e ridimensionata, essendo volta ad introdurre sostanzialmente delle modifiche al decreto legislativo n. 231 del 2002, con lo scopo di dare attuazione allo Small Business Act e di compensare e mitigare la particolare forza contrattuale che può essere esercitata dalla pubblica amministrazione, ovvero dalle imprese nei confronti dei propri fornitori o dei subcommittenti, in particolare nel caso in cui si tratti di micro, piccole e medie imprese.
La disposizione di cui all'articolo 8, comma 1, dovrebbe, per ragioni di ordine sistematico, essere più propriamente inserita nell'articolo 4 del decreto legislativo n. 231 del 2002.
In accoglimento di un'ulteriore condizione posta del precedente parere della Commissione giustizia, risulta inoltre soppresso l'articolo 10, che conteneva una delega volta sostanzialmente a riformare la legge fallimentare.
Propone quindi di esprimere un parere favorevole con osservazione (vedi allegato 3).

Nessuno chiedendo di intervenire, la Commissione approva la proposta di parere del relatore.

La seduta termina alle 14.30.

AVVERTENZA

Il seguente punto all'ordine del giorno non è stato trattato:

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

II Commissione - Mercoledì 9 marzo 2011


Pag. 52

ALLEGATO 1

Istituzione dell'Autorità Garante per l'infanzia e l'adolescenza.
Nuovo testo C. 2008-A.

PARERE APPROVATO

La Commissione Giustizia,
esaminata la proposta di legge in oggetto,
rilevato che:
la Commissione ha espresso il 22 settembre 2009, sulla precedente formulazione del testo, un parere favorevole con una condizione ed una osservazione;
nel predetto parere si era evidenziato come la proposta di legge suscitasse alcune perplessità, che potrebbero essere oggetto di ulteriori approfondimenti da parte delle Commissioni di merito, come, ad esempio, la scelta di configurare l'Autorità garante quale organo monocratico e di attribuire al medesimo alcuni compiti che sembrerebbero interferire con altri che la legge già attribuisce al Governo;
anche il nuovo testo suscita analoghe perplessità, poiché conferma la configurazione del Garante come organo monocratico, al quale sono attribuiti ampi e numerosi poteri;
osservato che:
la Commissione giustizia, con apposita condizione, aveva chiesto che l'articolo 4, comma 4, fosse riformulato nel senso di prevedere che il Garante possa richiedere ai soggetti e per le finalità di cui al comma 1 di accedere a banche dati o ad archivi previa autorizzazione del Garante per la protezione dei dati personali, anziché sentito quest'ultimo;
la condizione posta dalla Commissione giustizia appare sostanzialmente recepita nella nuova formulazione dell'articolo 4, comma 4, a norma del quale il Garante può richiedere l'accesso a banche dati o ad archivi «nel rispetto delle disposizioni previste in materia di protezione di dati personali»;
rilevato altresì che:
l'articolo 3, comma 9, prevedendo che il Garante segnali alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni situazioni di disagio di minori, al fine di consentire l'adozione di provvedimenti e l'apertura di procedimenti di protezione, e alla procura della Repubblica competente abusi che abbiano rilevanza penale o per i quali possano essere adottate iniziative di sua competenza, conferisce al Garante dei compiti per il cui svolgimento non appare necessaria una fonte di legittimazione di natura legislativa se non nel caso in cui da un comportamento omissivo si vogliano far derivare delle forme di responsabilità per il Garante;
i predetti rilievi costituivano l'oggetto dell'osservazione apposta al parere espresso dalla Commissione giustizia il 22 settembre 2009;
esprime

PARERE FAVOREVOLE

con la seguente osservazione:
le Commissioni di merito valutino l'opportunità di sopprimere il comma 9 dell'articolo 3.


Pag. 53

ALLEGATO 2

Istituzione dell'Autorità Garante per l'infanzia e l'adolescenza.
Nuovo testo C. 2008-A, adottato come testo base, ed abbinate.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DELL'IDV

La Commissione,
esaminata la proposta di legge in oggetto,
premesso che:
l'approvazione, oltre un anno fa in Assemblea, di un emendamento presentato dal Gruppo dell'IdV ha disposto la modifica del titolo dell'originario disegno di legge governativo assunto come testo base in «Istituzione dell'Autorità Garante dell'infanzia e dell'adolescenza», con ciò modificandone completamente lo spirito iniziale, con il fine di istituire una vera e propria autorità amministrativa indipendente, con poteri propri ed autonomi;
nella ripresa e nel prosieguo dell'esame presso le Commissioni competenti si è giunti alla predisposizione del nuovo testo che ora viene esaminato al fine dell'espressione del prescritto parere: pur nella consapevolezza e nella soddisfazione del testo nel quale sono confluite molte delle attese e dei suggerimenti dei Gruppi dell'opposizione, tuttavia la meticolosità di esso non riesce a nascondere il fatto che l'istituenda autorità garante sia priva di effettivi ed incisivi poteri, risultando essa una figura alla stregua di un organo consultivo non vincolante o di un osservatorio sugli aspetti e sulla disciplina dei diritti che è chiamato a difendere;
la figura dell'autorità garante, rispetto all'obiettivo evidenziato nel titolo del provvedimento, ne risulta fortemente indebolita, a causa della mancanza di poteri di vigilanza e, in particolare, sanzionatori,
esprime

PARERE FAVOREVOLE

con le seguenti condizioni:
a) siano attribuiti all'autorità garante effettivi poteri di vigilanza in ordine al suo ambito oggettivo e soggettivo di intervento e competenza;
b) siano attribuiti, in particolare, i medesimi poteri indicati nella precedente lettera a) e quelli conseguentemente sanzionatori in ordine alle violazioni commesse nell'ambito televisivo e mediatico in generale.
Palomba.


Pag. 54

ALLEGATO 3

Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese.
Nuovo testo unificato C. 2754 Vignali ed abb.

PARERE APPROVATO

La Commissione Giustizia,
esaminato il testo unificato in oggetto,
rilevato che:
la Commissione giustizia ha espresso, il 17 novembre 2010, un parere favorevole con condizioni sulla precedente formulazione del testo in esame;
nel predetto parere si chiedeva, in primo luogo, di sopprimere il secondo periodo dell'articolo 1, comma 1, contenente una definizione della nozione di impresa che, facendo riferimento al concetto di «status», poteva risultare fuorviante e costituire fonte di equivoci interpretativi; tale disposizione risulta soppressa nel nuovo testo;
si chiedeva, inoltre, di espungere, dagli articoli 2 e 6 del precedente testo, i riferimenti ad una precisa delimitazione temporale della durata dei processi civili che, limitatamente ai rapporti tra imprese e tra imprese e pubblica amministrazione, avrebbe dovuto essere non superiore ad un anno; la Commissione di merito risulta avere accolto anche questa condizione, riformulando le relative disposizioni ed introducendo un generico riferimento alla riduzione della durata dei giudizi civili «entro termini ragionevolmente brevi»;
risulta essere stata accolta anche la condizione con la quale si chiedeva di sopprimere la definizione di interesse legittimo, contenuta nell'articolo 3-bis;
si chiedeva, altresì, di sopprimere l'articolo 8, in materia di lotta contro i ritardi nei pagamenti delle transazioni commerciali e recante anche una delega al Governo per l'emanazione di disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 7 ottobre 2002, n. 231; tale disposizione appariva infatti estranea all'impianto originario del provvedimento e meritevole di costituire oggetto di un autonomo esame parlamentare;
l'articolo 8 non è stato soppresso ma risulta, nella nuova formulazione, sensibilmente modificato e ridimensionato, essendo volto ad introdurre delle modifiche al decreto legislativo n. 231 del 2002, con lo scopo di dare attuazione allo Small Business Act, rafforzando sostanzialmente la disciplina vigente in materia di abuso di posizione dominante, con riferimento anche alla particolare forza contrattuale esercitata dalla pubblica amministrazione;
appare peraltro opportuno che disposizione di cui all'articolo 8, comma 1, per ragioni di ordine sistematico, sia collocata nell'ambito dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 231 del 2002;
in accoglimento di un'ulteriore condizione posta nel precedente parere della Commissione giustizia, risulta inoltre soppresso l'articolo 10, che conteneva una delega volta a modificare ampie parti della legge fallimentare;
esprime

PARERE FAVOREVOLE

con la seguente osservazione:
valuti la Commissione di merito l'opportunità di riformulare la disposizione di cui all'articolo 8, comma 1, in modo che la stessa sia integrativa dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 231 del 2002.

Consulta resoconti
Consulta convocazioni