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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione I
1.
Mercoledì 24 giugno 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Bruno Donato, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA MODIFICA DELL'ARTICOLO 132, SECONDO COMMA, DELLA COSTITUZIONE, IN MATERIA DI DISTACCO E DI AGGREGAZIONE DI COMUNI E PROVINCE

Audizione dei Presidenti emeriti della Corte costituzionale professor Annibale Marini e professor Valerio Onida; dei docenti universitari professor Antonio D'Atena, professor Gian Candido De Martin, professor Tommaso Frosini, professor Massimo Luciani, professor Giovanni Pitruzzella e professor Nicolò Zanon:

Bruno Donato, Presidente ... 3 17 18 19
D'Atena Antonio, Professore ordinario di diritto costituzionale ... 7
Frosini Tommaso, Professore ordinario di diritto pubblico comparato ... 8
Lanzillotta Linda (PD) ... 18
Luciani Massimo, Professore ordinario di diritto costituzionale ... 10
Mantini Pierluigi (UdC) ... 18
Marini Annibale, Presidente emerito della Corte costituzionale ... 3
Onida Valerio, Presidente emerito della Corte costituzionale ... 5 18
Pitruzzella Giovanni, Professore ordinario di diritto costituzionale ... 13
Zaccaria Roberto (PD) ... 17
Zanon Nicolò, Professore ordinario di diritto costituzionale ... 14
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: (Misto-RRP).

COMMISSIONE I
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 24 giugno 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATO BRUNO

La seduta comincia alle 14,40.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione dei Presidenti emeriti della Corte costituzionale professor Annibale Marini e professor Valerio Onida; dei docenti universitari professor Antonio D'Atena, professor Gian Candido De Martin, professor Tommaso Frosini, professor Massimo Luciani, professor Giovanni Pitruzzella e professor Nicolò Zanon.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla modifica all'articolo 132, secondo comma, della Costituzione, in materia di distacco e di aggregazione di comuni e province, l'audizione dei Presidenti emeriti della Corte costituzionale professor Annibale Marini e professor Valerio Onida; dei docenti universitari professor Antonio D'Atena, professor Gian Candido De Martin, professor Tommaso Frosini, professor Massimo Luciani, professor Giovanni Pitruzzella e professor Nicolò Zanon.
Avverto inoltre che il professor Gian Candido De Martin ha comunicato che, a causa di sopravvenuti impegni, è spiacente di non poter partecipare all'audizione odierna, ma che invierà comunque una nota scritta nei prossimi giorni.
Do la parola al Presidente emerito della Corte costituzionale, professor Annibale Marini.

ANNIBALE MARINI, Presidente emerito della Corte costituzionale. Indicherò brevemente alcuni aspetti problematici di questa proposta di legge costituzionale, facendo riferimento al testo base adottato dal Comitato ristretto, che si differenzia, per taluni aspetti, dalla proposta originaria.
L'interrogativo di fondo che, a mio avviso, questa proposta solleva, riguarda l'opportunità di ricomprendere in una previsione unitaria, quindi in una disciplina unitaria, il distacco da una regione e l'aggregazione ad un'altra non solo dei comuni ma anche delle province, per le quali non ricorrono quelle ragioni economico-finanziarie e storico-culturali, evidenziate nel corso della discussione, che invece possono giustificare il distacco dei comuni da una regione e la loro aggregazione ad un'altra.
Questo spiega perché questo procedimento di distacco e di aggregazione ha riguardato esclusivamente i comuni. Che io sappia, e anche da quanto risulta nel prospetto presentato dal Governo nel corso della discussione in Commissione, questo fenomeno non ha mai riguardato le province. D'altronde, mi sembra difficile ipotizzare una ragione che giustifichi il distacco di una provincia, all'infuori della mera volontà di distaccarsi da una regione e aggregarsi ad un'altra.
Sempre limitatamente alle province, c'è un aspetto che credo debba essere sottolineato. Il problema si è posto, e forse si porrà, per i comuni di piccole dimensioni come,


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ad esempio, i comuni montani, ai quali, se non ricordo male, è stato fatto riferimento.
Mentre il distacco dei comuni non altera l'identità della regione, il distacco di una provincia da una regione e la sua aggregazione ad un'altra è in sé tale, soprattutto per le dimensioni della provincia, da alterare l'identità di due regioni.
Questo presenta un problema che non si pone per i comuni, vale a dire se il relativo procedimento richieda in ogni caso, per le province, una legge costituzionale. Infatti, si tratta di una modificazione che incide direttamente sulle regioni elencate all'articolo 131 della Costituzione, le quali mantengono inalterata la loro denominazione di carattere puramente formale, mentre invece muta sostanzialmente l'identità della regione.
Vorrei formulare un'ulteriore osservazione. Se per il passaggio di una provincia da una regione ad un'altra - faccio riferimento alla previsione del testo base, ovviamente - la richiesta deve essere approvata mediante referendum dalle due regioni interessate, non si vede perché questo iter consensuale non debba valere anche per i comuni. Infatti, nel testo della proposta di legge antecedente al testo base questo procedimento consensuale era previsto anche per i comuni, riferito ovviamente alle province e non alle regioni.
Qui però si pone un ulteriore interrogativo, che mi permetto di sottoporre: l'accordo, l'autodeterminazione - come si è anche detto - va benissimo quando gli interessi sono convergenti. Funziona poco o male, o non funziona affatto (è contraddittorio in termini), quando invece gli interessi non sono convergenti ma sono antitetici, specie quando si tratta di interessi di carattere economico.
Questo per dire che una cosa è sentire le province interessate o i consigli regionali interessati, altra cosa è invece attivare un procedimento consensuale che facilmente potrebbe dare un esito negativo, perché magari la regione si pronuncia in un modo e la regione o la provincia di accoglienza si pronunciano in modo diverso, ma ripeto: se questo vale per le province, secondo me non può non valere anche per i comuni.
Faccio un'ultima osservazione, sempre sulle province: si parla di un imminente riordinamento dell'istituto delle province, ma a me sembra - lo dico in modo del tutto sommesso - che questo riordinamento possa suggerire, forse, di limitare la previsione del procedimento di distacco e aggregazione solo ai comuni, con una norma - che potrebbe essere benissimo quella del testo base - snella e di facile applicazione, perché allo stato attuale - mi riferisco sempre al prospetto prima citato - questa procedura di distacco e di aggregazione, per una certa farraginosità, non ha dato esito positivo.
Faccio qualche piccolissima osservazione, ma di carattere puramente formale e ripetitiva, peraltro, di osservazioni già svolte nel corso del dibattito parlamentare: un requisito che sarebbe bene formalizzare, anche se può ritenersi implicito, è quello della contiguità dell'ente che chiede il distacco con la regione di accoglienza, perché diventa un po' singolare il caso di un comune abbarbicato su una montagna che chiede l'aggregazione ad una regione ad esso non contigua: questo creerebbe non pochi problemi. Quello della contiguità mi sembra un requisito che magari è implicito, ma non sarebbe forse male formalizzarlo.
Sostituirei, nel testo, il verbo «consentire» con il verbo «disporre»; anche questo è già stato detto nel corso dell'iter in Commissione e lo reputo del tutto opportuno, e forse risponde ad una certa visione ormai superata dei rapporti tra Stato e regione.
Va benissimo la previsione di una legge costituzionale. Io mi permetterei, se il discorso lo limitiamo ai comuni, di non ricorrere alla bomba atomica quando si tratta di una mosca. Voglio dire: va benissimo la previsione di una legge costituzionale quando si tratta di una regione a statuto speciale, ma quando si tratta di un piccolo comunello di montagna che chiede il distacco e l'aggregazione - come si è detto nel corso del dibattito - anche


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per motivi economici, e lo chiede ad una regione a statuto speciale, questo richiede una legge costituzionale? Mi sembra forse - sottolineo il forse - un po' eccessivo. Da questo punto di vista, non mi pare che questa previsione sia giustificata in tutti i casi di aggregazione.

VALERIO ONIDA, Presidente emerito della Corte Costituzionale. Mi limiterò ad offrire alcuni spunti.
In premessa, anche se questo è un po' estraneo al tema specifico delineato dalla Commissione affari costituzionali, vorrei porre il problema del perché l'argomento del distacco e della aggregazione, che per decenni è stato del tutto silente, oggi è esploso.
È notissimo che le ragioni non sono quelle a cui pensava il costituente quando immaginava una possibile revisione dei confini provvisoriamente tracciati: sono ragioni attinenti all'attuale regime differenziato tra regioni speciali e regioni ordinarie, soprattutto - per non dire esclusivamente - sul terreno finanziario.
Se il Parlamento vuole affrontare il problema nascente di comuni che chiedono di staccarsi e di aggregarsi, io penso che per prima cosa dovremmo domandarci come mai ci siano queste richieste, che sono notoriamente dovute alla tendenza dei comuni confinanti ad aggregarsi ad una regione più ricca, con più mezzi, con più risorse.
A mio avviso, quindi, la prima cosa da fare è affrontare questo problema, ovviamente in termini di revisione dell'ordinamento finanziario, assicurando l'eguaglianza fondamentale dei cittadini pur nel rispetto delle differenze, anche sul terreno finanziario, che riguardano le regioni a statuto speciale.
Ciò premesso, vorrei dire innanzitutto che sono concorde con la proposta del collega professor Marini. Se si dovesse modificare l'articolo 132, che oggi prevede il distacco e l'aggregazione anche nel caso di una provincia, in effetti potrebbe apparire molto più plausibile l'idea di prevedere il meccanismo di distacco e aggregazione solo per i comuni, perché se concepiamo distacco e aggregazione, come è nella Costituzione, come una possibilità per le popolazioni di aggregarsi in entità territoriali più ampie secondo un proprio processo di autoidentificazione e di autoriconoscimento, non c'è dubbio che le popolazioni siano quelle dei comuni. Se c'è un intero territorio provinciale che vuole staccarsi e aggregarsi è sufficiente che tutti i comuni di quella particolare area facciano la richiesta.
Nel caso della provincia, essendo un ente a livello intermedio superiore, non c'è ragione per prevederne questa identità collettiva anche nel senso di poter chiedere l'aggregazione dell'intera provincia ad un'altra regione.
Concorderei pertanto sull'idea che, se si dovesse modificare l'articolo 132, si dovrebbe pensare al distacco e all'aggregazione come qualcosa che riguarda solo le popolazioni dei comuni, quindi deve riguardare uno o più comuni, anche tutti, di una provincia, ma solo i comuni, perché è là la base della popolazione che non è più soddisfatta del riconoscersi in una certa identità regionale e vuol passare ad un'altra.
Ciò detto, nutro qualche dubbio sulla necessità di modificare l'articolo 132 , anche nel senso delle proposte avanzate dall'onorevole Lanzillotta e da altri e dell'attuale testo base, perché mi pare che su questo terreno il punto fondamentale sia quello del referendum delle popolazioni ad esso interessate.
Ebbene, mi pare che qui si debba distinguere nettamente il ruolo del referendum-richiesta, ossia relativo alla richiesta delle popolazioni interessate, che deve essere approvata per referendum per evitare che ci siano dei consigli comunali che, oltre o contro la volontà dei propri amministrati, instaurino un procedimento di distacco e aggregazione.
Il referendum, quindi, nella popolazione degli enti e dei comuni richiedenti il distacco e l'aggregazione è necessario, e il requisito dell'approvazione della maggior parte delle popolazioni interessate dovrebbe essere mantenuto, come recita l'attuale testo dell'articolo 132.


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Altra cosa è, invece, il referendum delle popolazioni interessate in un senso più ampio. Come ha sancito la Corte costituzionale, possono esserci anche popolazioni della regione ricevente, e via elencando. Questo è un referendum-parere, ed è una cosa diversa. Un conto è il referendum di approvazione della richiesta, che deve per forza essere attuato: il procedimento si instaura solo se lo chiedono le popolazioni; altra cosa è parlare di consultazione più ampia e, al riguardo, l'attuale articolo 132, secondo comma, tace, per la verità, pur non vietando di fare dei referendum di tipo consultivo.
L'interrogativo può essere se noi immaginiamo che occorra anche l'approvazione delle popolazioni più ampiamente interessate, quindi che sia non solo un referendum-parere ma anche una sorta di referendum condizionante, almeno se negativo, fermo restando che, anche in caso di esito positivo, il Parlamento è sempre libero di dire di no, perché alla fine si fa una legge statale, o costituzionale nel caso dell'articolo 132, primo comma.
Ferma restando, quindi, la libertà del Parlamento, il problema è se nel caso di esito negativo, non delle popolazioni direttamente interessate ma di quelle interessate in senso più ampio, ci si debba per forza fermare o se invece il Parlamento non possa, nella sua discrezionalità, andare oltre.
Su questo tema, l'articolo 132 attuale consente di fare dei referendum, ma consultivi e non vincolanti, nemmeno in caso di esito negativo, perché non ne parla.
Basterebbe modificare la legge sui referendum, che tra l'altro va modificata perché in ogni caso, come sappiamo, a parte la dichiarazione di incostituzionalità, è stata concepita su questo terreno su basi diverse dalle attuali, se non altro perché la modifica costituzionale dell'articolo 132, attuata nel 2001, richiede anche un adeguamento della legge.
Personalmente, sono dell'idea che se si distingue nettamente il referendum-richiesta dal referendum-parere, il primo deve essere ovviamente vincolante, nel senso che ci deve essere l'approvazione della popolazione perché la richiesta vada avanti. L'altro, invece, può essere un referendum rispetto al cui esito il Parlamento dovrebbe forse essere interamente libero di decidere se procedere o meno al distacco e all'aggregazione.
Se fosse così, non ci sarebbe neanche bisogno di modificare l'articolo 132: si modifica la legge sul referendum, prevedendo un referendum delle popolazioni interessate che però ha luogo senza effetti vincolanti, nemmeno nel caso in cui l'esito sia negativo. L'unico referendum vincolante sarebbe quello di approvazione della richiesta, che è un requisito necessario per avviare il procedimento.
Se si dovesse, invece, adottare su questo terreno la linea che emerge dai progetti, trovo - sono d'accordo con il collega Marini - improprio che si preveda un referendum delle popolazioni interessate nel caso del distacco delle province, e non si preveda un referendum delle popolazioni interessate in senso più ampio nel caso del distacco o aggregazione di comuni. Un distacco e un'aggregazione di un comune, se è grande, o di più comuni, può avere la stessa portata territoriale e sostanziale che ha il distacco di un'intera provincia. Pertanto, la soluzione dell'attuale testo base mi sembra ibrida e non convincente, da questo punto di vista.
L'ultima cosa riguarda le regioni a statuto speciale: qui c'è veramente un problema, perché non c'è soltanto il fatto formale che le regioni speciali hanno degli statuti che quasi sempre identificano la circoscrizione territoriale, elencandone i comuni (statuto della Val d'Aosta, lo statuto del Trentino).
In questi casi, modificare il confine della regione speciale aggregandovi nuovi comuni significa modificare lo statuto. In questo caso è senza dubbio necessaria una legge costituzionale ma, al di là di questo, io credo che per le regioni speciali il problema di distacco o aggregazione ponga problemi particolari, perché una regione speciale ha anche una sua identità (può essere l'isola, ma può essere anche, nel


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caso della Val d'Aosta o del Trentino-Alto Adige, identità di tipo culturale e sociale) che può essere alterata.
Possiamo immaginare che mezzo Veneto voglia diventare parte della regione Trentino-Alto Adige, sia pure con referendum più o meno trionfali? Si cambia qualcosa radicalmente, in quel caso.
Queste regioni non sono soltanto delle espressioni geografiche - per così dire - sono delle identità precise volute dalla Costituzione e identificate dai rispettivi statuti.
A mio avviso, su questo terreno il consenso della regione ricevente dovrebbe essere considerato necessario, perché altrimenti si rischia di alterarne l'identità stessa.
Ovviamente, parlando della regione Trentino-Alto Adige, credo che il trattamento che la legge costituzionale ordinaria riserva alle regioni debba essere riservato anche alle province autonome, perché come è noto le province autonome di Trento e di Bolzano sono praticamente delle regioni, e anche per loro sussiste un problema di rispettiva identità, come è noto, da un punto di vista storico.

ANTONIO D'ATENA, Professore ordinario di diritto costituzionale. Farò delle osservazioni molto brevi, iniziando col condividere la premessa che ha fatto il presidente Onida: il problema del 90 per cento delle migrazioni comunali che ci siamo trovati negli ultimi anni sul tappeto è un problema di trattamento finanziario delle regioni speciali rispetto alle regioni ordinarie.
In effetti, quindi, un intervento che riguardi soltanto il procedimento di aggregazione senza affrontare direttamente quel nodo, sarebbe un intervento che si rivolge al sintomo più che alla causa.
Detto questo, intendo aggiungere che il complesso delle proposte mi sembra migliorativo della disciplina attuale, perché elimina alcuni dubbi interpretativi e dà delle risposte che, tutto sommato, trovo soddisfacenti.
Formulo poche osservazioni facendo riferimento al testo, e qualche piccola proposta emendativa, iniziando dal significato del verbo «consentire» così come indicato nella formula originaria della Costituzione, dove evidentemente si voleva sottolineare che si desse seguito ad un'aspirazione alla diversa collocazione dell'entità territoriale. Può andare bene anche il termine «disporre», che forse fa cadere questo senso ma è più appropriato.
Aggiungerei anch'io la specificazione di «regione confinante». Oggi non è specificato, dovrebbe quindi essere implicito ma non sono certo che lo sia. Ci sono ordinamenti nei quali le aggregazioni prescindono dalla contiguità territoriale, quindi aggiungere che si debba trattare della regione confinante è importante anche se, in prima battuta, potrebbe circoscrivere un fenomeno che poi, però, potrebbe estendersi per effetto della cordata comunale, per cui il confine si sposta man mano che i comuni si aggiungono. Questa è, in ogni caso, un'aggiunta che potrebbe essere opportuna.
La legge costituzionale, a mio avviso - e qui condivido la soluzione data dalla Corte costituzionale - oggi non è indispensabile, perché non soltanto i territori regionali speciali sono costituzionalizzati ma, secondo me, anche i territori regionali ordinari: quando l'articolo 131 enumera le regioni allude a delle entità territoriali.
È chiara, quindi, l'esigenza di intervenire, perché non si tratta soltanto di uno spostamento territoriale ma di qualcosa di più, vale a dire anche dello spostamento di un regime giuridico differenziato. Pertanto, è questo a mio giudizio che rende opportuno l'intervento della legge costituzionale, alla quale oggi si può rinunciare.
In passato c'era una soluzione pragmaticamente adottata, ovvero quella di avanzare proposte di legge costituzionale per venire incontro a questa esigenza sostanziale; però si trattava, appunto, di venire incontro ad un'esigenza sostanziale e non, secondo me, di dare applicazione ad una disciplina costituzionale.
Per quanto riguarda il discorso del referendum, ciò che non mi riesce chiaro è la parte che cita: «mediante referendum secondo le norme dei propri statuti».


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Possiamo immaginare che siano gli statuti degli enti locali a disciplinare il quorum necessario, per esempio? È una possibile scelta.
Oggi, il quorum richiesto da parte della legge dello Stato è altissimo, in questi giorni si parla di quorum referendari in cui si chiede la maggioranza assoluta, ossia computata sugli aventi diritto, quindi mi chiedo: da una disciplina del genere, si pensa di passare ad una disciplina affidata completamente agli enti locali, con scelte differenziate?
Trovo opportuno fissare un termine per i pareri dei consigli regionali, altrimenti la mancanza del parere potrebbe sine die bloccare il procedimento. La richiesta di una sorta di parere implicito alla scadenza del termine mi sembra assolutamente opportuna.
Relativamente al discorso della previsione del referendum per le popolazioni di ciascuna delle regioni interessate richiesto per le province, in effetti nella proposta originaria si pensava ad un referendum per la popolazione delle due province interessate qualora si trattasse di comuni. Probabilmente, l'attuale asimmetria del testo base tra province e comuni non si giustifica o, almeno, si potrebbe qui introdurre un elemento quantitativo.
È chiaro che, in certi casi, lo spostamento equivale quasi ad una rettifica di confini; se invece la popolazione ha una maggiore consistenza il discorso potrebbe essere diverso.
Mi domando se per alcuni di questi dettagli non possa essere il caso, anziché di scrivere una disciplina in Costituzione, di fare dei rinvii alla legge statale affinché possa determinare con maggiore precisione.
La figura del referendum-parere mi suscita qualche perplessità. Il referendum ha una forza politica tale per cui relegare ad un ruolo consultivo un referendum delle popolazioni di due regioni interessate mi sembrerebbe non tener conto della forza che il referendum ha in sé.

TOMMASO FROSINI, Professore ordinario di diritto pubblico comparato. Ringrazio lei, signor Presidente e tutta la Commissione per avermi nuovamente onorato dell'invito. Ricordo che sono già stato ospite di questa Commissione, insieme al collega Luciani, nel febbraio di quest'anno, proprio per parlare di questo tema, cioè del testo unificato delle proposte di legge, che la Camera ha successivamente approvato, riguardante il distacco e l'aggregazione di alcuni comuni dell'Alta Valmarecchia, cioè il passaggio di questi comuni della regione Marche alla regione Emilia-Romagna.
Vorrei partire proprio da quella seduta, per dimostrare che l'articolo 132 ha funzionato: la necessità di modificarlo, secondo me, è venuta meno, quantomeno nella parte relativa ai comuni, mentre per le province qualche piccolo problema ancora c'è.
Questa necessità è venuta meno nel momento in cui la Camera ha approvato le proposte di legge riguardanti il distacco-aggregazione di alcuni comuni che ne avevano fatto richiesta, seguendo le procedure di cui all'attuale articolo 132.
Questo secondo me dimostra che il vero garante dell'applicazione dell'articolo 132 non è il procedimento preventivo che deve essere attivato in sede comunale, regionale e provinciale, ma è il Parlamento. È questa la sede in cui viene deciso, sulla base di criteri, di parametri, della ragionevolezza, del criterio dell'unitarietà e via dicendo, se è il caso o meno di consentire che alcuni comuni possano passare da una regione a un'altra nonostante abbiano espletato correttamente tutte le procedure di cui all'articolo 132.
Questa proposta, dal punto di vista della tecnica legislativa è sicuramente compiuta e razionalizza molto il procedimento, dall'altra parte invece lo complica, come afferma anche l'onorevole Lanzillotta nella seduta del 6 novembre 2008, dove ad un certo punto afferma che questo disegno di legge è volto a rendere più gravoso il procedimento di distacco e aggregazione.
Il punto - scusate, pongo un problema di metodo - è che siamo in presenza di una trasformazione da uno Stato regionale


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ad uno Stato a tendenza federale, e gli Stati a tendenza federale debbono prevedere, e prevedono, un principio sottostante all'assetto costituzionale: è il principio dell'autodeterminazione dei popoli, che ovviamente non va esasperato, è un principio del costituzionalismo contemporaneo. Poi ci sarà un organo centrale, quale è il Parlamento, che si farà garante della sua applicazione nei termini corretti e coerenti.
Io mi chiedo, e chiedo a questa Commissione, se l'articolo 132 debba essere inteso come una norma promozionale - Bobbio ne parlava a proposito delle norme giuridiche - oppure no, cioè se è una norma che deve favorire, in un certo senso, il procedimento di aggregazione e di distacco dei comuni, o se lo deve reprimere.
Se l'obiettivo è quello di rendere più difficile e complicato il momento di distacco e aggregazione da parte dei comuni, allora riscriviamo una norma costituzionale che renda il procedimento più complicato.
Se, invece, riteniamo che l'articolo 132 debba essere una norma cosiddetta «promozionale», allora dobbiamo favorire le istanze di distacco e aggregazione, salvo poi, in sede parlamentare, verificarne la fattibilità.
C'è un problema anche dal punto di vista meramente relativo alla formula costituzionale, perché io credo che il testo base abbia un po' invertito il procedimento. È qui che, secondo me, ha reso complicato il tentativo di procedere a distacco e aggregazione, perché nel testo base, infatti, si dice che «Si può con legge della Repubblica consentire che province e comuni...»: l'incipit è, appunto, «Si può, con legge della Repubblica», quindi c'è un'autoattribuzione in capo al Parlamento che, invece, nell'attuale articolo 132 mi sembra che sia sfumata.
Difatti, il secondo comma dell'attuale articolo 132 stabilisce che: «Si può, con l'approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati, espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i consigli regionali, »consentire« che Province e Comuni che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione e aggregati ad un'altra». Insomma, cambia proprio l'approccio.
Nel testo base che questa Commissione ha adottato, il punto di partenza diventa la legge della Repubblica, ossia: «Si può, con legge della Repubblica».
Nell'attuale articolo 132 c'è un favor - diciamocelo pure - nei confronti dell'ipotesi di distacco e aggregazione, laddove è detto che si può, attraverso il procedimento previsto per consentire l'attivazione del distacco, e con legge della Repubblica, «consentire» che province e comuni siano staccati.
È proprio nella formulazione della norma costituzionale che già si avverte il tentativo di voler rendere più complicato un processo che, a mio avviso, non deve far temere niente a nessuno perché, ripeto e insisto, ne è dimostrazione la recente approvazione, da parte della Camera, delle proposte di legge che, se il Senato procederà ad approvarla in via definitiva, consentiranno ai comuni delle Marche di passare dalla provincia di Pesaro-Urbino alla provincia di Rimini. È il momento parlamentare che consente la verifica della tenuta di un procedimento di distacco e aggregazione.
Queste sono le ragioni per cui anche le ipotesi, nemmeno troppo fantasiose, di consentire che un comune possa diventare una sorta di enclave all'interno di un'altra regione, debbono essere vagliate in sede parlamentare. Non è automatico che, se le due popolazioni interrogate votano e approvano con referendum il distacco di Lampedusa dalla Sicilia al Trentino-Alto Adige - faccio l'esempio più eclatante, a tutti noto - questo automaticamente avverrà. No, perché sarà il Parlamento la sede dove verranno valutati l'impatto, la tenuta, la fattibilità e tutti gli interessi in gioco nel procedimento di distacco e aggregazione.
Il mio modesto parere è che non si avverte oggi la necessità di una modifica dell'articolo 132, laddove questo articolo


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ha saputo dare prova di sé nel momento in cui la Camera ha approvato una legge ordinaria riguardante proprio il procedimento dell'articolo 132.
Aggiungo una piccolissima postilla metodologica. Non credo sia opportuno procedere poi ad una modifica di un solo articolo del Titolo V. Semmai, qui c'è da rivedere l'intero Titolo V, perché mi chiedo se è possibile che il Parlamento si azioni nel suo procedimento di revisione costituzionale ex articolo 138 per andare in maniera significativa - per carità, non voglio con questo ridurre la portata dell'intervento normativo - a modificare solo l'articolo 132, mentre sappiamo benissimo che i problemi derivanti dall'applicazione del Titolo V sono ben altri, a cominciare dalla distribuzione delle competenze ex articolo 117, dove la Corte costituzionale ha dovuto supplire il legislatore.
Semmai, ammesso e non concesso che sia opportuno farlo, l'articolo 132 potrà essere modificato in un contesto più ampio, vale a dire in un contesto in cui il legislatore costituzionale riveda il Titolo V. Quella sarebbe l'occasione e l'opportunità, se il legislatore lo riterrà opportuno e necessario, di intervenire anche sull'articolo 132.

MASSIMO LUCIANI, Professore ordinario di diritto costituzionale. Desidero in primo luogo ringraziare, come sempre, nella sua persona, signor presidente, l'intera Commissione per l'invito a partecipare a questa audizione.
Si tratta di una proposta di legge ai sensi dell'articolo 138 della Costituzione, pertanto credo che il commento dello studioso del diritto costituzionale, in punto di legittimità ovviamente si debba limitare alla valutazione della corrispondenza tra questo progetto e i princìpi fondamentali della Costituzione che, sin dalla sentenza n. 1146 del 1988, sono limite alla revisione della Costituzione.
Per altro verso, tuttavia, si può svolgere anche qualche altra considerazione in punto di coerenza complessiva della proposta, ferma però restando l'esclusione di qualsivoglia apprezzamento di opportunità o di merito, perché penso che non interessi alla Commissione che cosa personalmente chi vi parla pensi da questo punto di vista del progetto.
Innanzitutto vorrei fare alcune osservazioni puntuali. Comincio da quella più generale sulla conformità ai principi fondamentali.
Non si ravvisa, evidentemente, alcuna distonia tra questa proposta di legge costituzionale e i princìpi fondamentali; non mi sembra che vi sia alcun vizio nella determinazione delle popolazioni da consultare, quindi di violazione del principio democratico, né mi sembra di ravvisare alcun vizio di violazione del principio autonomistico, dal punto di vista del coinvolgimento degli enti interessati al procedimento. Possiamo quindi accantonare senz'altro il primo problema.
Passo ora alla questione delle osservazioni puntuali sulla coerenza complessiva del disegno.
Il primo punto non me l'ero segnato nelle note, ma lo aggiungo adesso alla luce di quello che è stato detto dai colleghi. Sulla questione se sia o meno opportuno parlare di regioni confinanti: io avrei qualche dubbio, perché ad esempio esistono anche i comuni insulari e, da questo punto di vista, il termine «regioni confinanti» potrebbe indurre all'equivoco. Si può parlare di contiguità territoriale, come è stato detto da Annibale Marini, di contiguità geografica o di quant'altro, ma si può anche tacere, perché forse il problema si risolve confidando al Parlamento ciò che è suo, cioè una valutazione della tenuta logica di un'operazione di distacco e aggregazione.
Passo alla seconda osservazione puntuale: si parla, nel testo base, di legge della Repubblica. Non per essere puntiglioso, però «legge della Repubblica» non mi pare un'espressione corretta, per una ragione semplice: sarebbe meglio parlare di «legge dello Stato».
Invito a riflettere su questo punto: nel vecchio testo del Titolo V, il riferimento era sempre alla legge della Repubblica, sempre; mentre soltanto il secondo comma dell'articolo 118 e il terzo comma dell'articolo


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119 facevano riferimento allo Stato - non alla legge dello Stato - che, con legge, avrebbe dovuto adottare determinati provvedimenti.
Nel nuovo testo del Titolo V, invece, maggioritariamente si parla di legge dello Stato, ovviamente, mentre invece sono rimasti, come una sorta di relitto, di residuato della vecchia impostazione, alcuni riferimenti alla legge della Repubblica.
Tutto dipende, è inutile che sia io a dirlo alla Commissione, dalla modificazione dell'articolo 114, quindi visto che prima questo articolo diceva semplicemente che la Repubblica si riparte in regioni, province e comuni, e che il nuovo articolo, con una formula che - mi permetto di dire sommessamente, desta qualche perplessità - dice altro, a questo punto, per evitare qualunque equivoco sarebbe meglio parlare di legge dello Stato, o anche puramente e semplicemente di legge.
Una seconda sollecitazione alla riflessione viene dalle scelte che sono state operate nel testo base relativamente all'ambito spaziale e personale del procedimento di distacco e aggregazione.
Nella relazione di accompagnamento della proposta originaria si erano identificati tre livelli: un livello «micro», quello degli enti e delle popolazioni locali; un livello «meso», quello delle province o regioni, e un livello «macro», quello statale.
Ferma restando la promessa di non fare apprezzamenti di merito, dal punto di vista logico questa identificazione di tre distinti livelli era corretta, perché effettivamente sono tre distinti livelli interessati al procedimento di distacco e aggregazione.
Come abbiamo avuto modo di osservare nella audizione ricordata prima dal professor Frosini, dedicata alle proposte di legge ordinaria di attuazione dell'articolo 132, la proposta si ispirava ad una logica molto diversa da quella dell'attuale articolo 132 della Costituzione, soprattutto per come interpretato dalla Corte con la sentenza n. 334 del 2004, in particolare per quanto concerne l'ampliamento delle popolazioni da consultare.
Il testo base, invece, riduce il raggio, evidentemente in base alla considerazione formulata dal relatore - l'onorevole Bianconi, nella seduta del 12 febbraio 2009 - dell'opportunità di non ostacolare troppo il processo di distacco e aggregazione.
In particolare, per il passaggio di comuni da una regione all'altra si elimina nettamente il pronunciamento delle popolazioni della provincia a qua e di quella ad quam, ossia delle due province interessate al passaggio.
Come premesso, non mi spetta formulare valutazioni di opportunità sull'una e sull'altra scelta; mi limito tuttavia ad osservare che il cosiddetto livello «meso» può anche non comprendere tutte le popolazioni delle province interessate, cioè della provincia a qua e della provincia ad quam, ma potrebbe anche essere più ridotto.
In altri termini, c'è un'alternativa tra il non consultare nessuno e il consultare l'intera popolazione provinciale. Ad esempio, si potrebbe pensare di consultare la popolazione dei comuni confinanti, o anche di identificare altri criteri, quindi sottopongo questo modesto rilievo alla discussione.
Una questione ulteriore è quella della disciplina del pronunciamento popolare. Il testo base prevede che la richiesta della provincia o del comune (o dei comuni) sia preceduta dall'approvazione delle rispettive popolazioni mediante referendum, secondo le norme dei propri statuti. Ebbene, in questo modo si è voluto escludere il quorum strutturale, sostenendo che sarebbe un ostacolo eccessivo.
Anche in questo caso, - ripeto, io ho le mie idee su cosa sia più opportuno fare, anche se ciò non è rilevante - in astratto, tra l'eliminare il quorum strutturale e invece lasciarlo in teoria ad un livello eccessivamente elevato ci sono delle strade intermedie, che si possono valutare.
Penso, in particolare, alla proposta che qualcuno ha avanzato a proposito del referendum abrogativo dell'articolo 75


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della Costituzione, di mantenere il quorum strutturale ma di fissarlo ad una percentuale del tasso di partecipazione alle precedenti elezioni politiche o amministrative. Insomma, sarebbe il turn-out elettorale che determina poi il quorum. Può piacere o meno, ma è comunque un elemento di valutazione del quale credo la Commissione possa, se non debba, tenere conto.
C'è inoltre il problema legato al tema degli effetti della consultazione popolare sui quali, signor presidente, non vorrei tediare la Commissione, essendo cose che ho già detto nella citata audizione del febbraio scorso; mi limito a manifestare il mio disaccordo con quanto è stato detto prima dal collega D'Atena relativamente alla possibilità che esista un referendum consultivo.
Il referendum può essere consultivo, non c'è alcun ostacolo alla natura consultiva del referendum ma è un problema soltanto di effetti politici. Tuttavia, gli effetti politici debbono essere apprezzati dall'organo che questi effetti politici può valutare, e questo organo è il Parlamento.
Sono anche in disaccordo - mi permetto di dire - con quanto detto dal collega Frosini in riferimento al principio di autodeterminazione dei popoli.
Qui non c'è un principio di autodeterminazione dei popoli perché non ci sono popoli che si confrontino, e questo per la ragione che è stata messa in luce, con una sentenza forse eccessivamente rigida, ma che accettiamo, dal Conseil Constitutionnel a proposito del popolo Còrso, quando ha stabilito che il popolo Còrso non esiste. Ebbene, se non esiste il popolo Còrso, figuriamoci se possiamo parlare di popoli dei singoli comuni.
Ad ogni modo, su tutti questi temi ero già intervenuto in occasione della precedente audizione, ragion per cui non intendo soffermarmi ulteriormente. Tuttavia, se la Commissione dovesse condividere queste osservazioni e se la proposta si muovesse da queste premesse - che non so se siano effettivamente condivise, ma leggendo il testo parrebbe che queste premesse sugli effetti del referendum siano condivise dai proponenti e dal testo base -, sarebbe opportuno esplicitarlo nel testo, chiarendo l'assoluta discrezionalità dell'adozione della legge, perché il «si può» con il quale si esordisce forse potrebbe non essere sufficiente.
Al termine del mio intervento cercherò di indicare quale potrebbe essere una strada, per evitare qualunque equivoco.
Sembra inoltre opportuna una scansione più lineare del testo, che metta in ordine le varie fasi del procedimento sistemandole in ordine logico e cronologico, perché adesso mi sembra che si intreccino. Anche su questo, formulerò in chiusura una modestissima proposta.
Da ultimo, visto che il passaggio da una regione all'altra, come era stato osservato nella seduta di febbraio, potrebbe anche comportare un'alterazione dei collegi elettorali, mi sembrerebbe opportuno stabilire nell'articolo 132 che la legge che dispone distacco e aggregazione debba dettare anche norme sull'eventuale ridefinizione dei collegi elettorali, onde evitare i problemi che avete dovuto affrontare in occasione della proposta di legge ordinaria di cui abbiamo discusso. Si tratta semplicemente di un problema procedimentale, che si risolve agevolmente.
In definitiva, un testo che accogliesse eventualmente queste suggestioni relative ad una maggiore chiarezza e trascurasse completamente quelle che ho detto prima relative al quorum strutturale, all'ambito delle popolazioni degli enti da consultare - tutto questo si può lasciare da parte - lasciando il testo base così com'è lo si potrebbe, a mio avviso, strutturare diversamente, prevedendo quanto segue.
In un primo comma - si potrebbe anche distinguere in commi - possiamo parlare della fase iniziale, ovvero la fase nella quale i rispettivi consigli delle province e dei comuni possono richiedere il distacco da una regione e l'aggregazione ad un'altra. Nello stesso comma si può prevedere che la richiesta sia sottoposta all'approvazione delle rispettive popolazioni mediante referendum, secondo le norme statutarie. Sin qui nulla cambia, è soltanto un problema di ordine.


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Nel secondo comma, poi, si potrebbe prevedere la seconda fase, ovvero che per il passaggio di una provincia da una ad un'altra regione tale richiesta, approvata ai sensi del comma precedente, deve essere approvata mediante referendum dalle popolazioni delle regioni interessate.
Il terzo comma potrebbe riguardare l'altra fase, ovvero la richiesta con la prova delle intervenute approvazioni popolari e con i pareri dei consigli regionali interessati. Parlo di approvazioni popolari al plurale perché potrebbero essere una o due, potrebbe essere quella relativa alla richiesta o anche quella relativa al passaggio della provincia.
Signor presidente, qui preciserei - anche se dal testo attuale si capisce - che i pareri dei consigli regionali debbono essere espressi entro il termine perentorio di tre mesi, termine che farei decorre da una data certa, cioè dalla trasmissione della richiesta da parte dell'ente interessato.
Ebbene, una volta fatto tutto questo, la richiesta, corredata dalla prova delle approvazioni popolari e dai pareri regionali, è trasmessa alle Camere e al Governo: credo che questo sia necessario, perché poi alla fine la macchina non parte se non c'è un'iniziativa legislativa, ed è prevedibile che questa iniziativa legislativa sia governativa, ma non è affatto detto che debba esserlo, come è dimostrato anche nei fatti.
A questo punto l'ultimo comma dovrebbe prevedere proprio l'ultima fase: sulla base della richiesta, e in seguito alla presentazione di un progetto di legge ai sensi dell'articolo 70, si può disporre - a questo punto l'equivoco sul significato di questo termine viene dissipato - con legge il distacco dalla regione di appartenenza e l'aggregazione alla nuova regione.
In questo modo, il problema precedentemente sollevato dai colleghi sparirebbe, e ovviamente resterebbe l'ultimo periodo sulla garanzia della legge costituzionale per le regioni che hanno un'autonomia speciale, cioè quelle di cui all'articolo 116, primo comma, che è menzionato.
Questo, signor presidente, è a mio avviso il punto forse più importante: se il tentativo della Commissione è quello di sottoporre alla Camera un testo che metta ordine nell'articolo 132, allora forse la strada migliore sarebbe quella di scandire le fasi procedimentali e di distinguerle eventualmente anche in commi diversi, in modo tale da evitare qualunque equivoco.

GIOVANNI PITRUZZELLA, Professore ordinario di diritto costituzionale. Signor presidente, la ringrazio per avermi invitato ad esprimere la mia opinione in una sede così importante.
Mi limiterò a brevissime osservazioni perché gli autorevoli colleghi hanno detto tante cose sulle quali mi trovo in larga misura d'accordo.
Partirei comunque osservando che la riforma costituzionale del 2001, magari anche per la velocità con cui è stata approvata, contiene e lascia aperti dei problemi interpretativi, ragione per cui è opportuno un intervento come questo che ponga dei correttivi, risolva dei problemi, operi magari con atteggiamento chirurgico su singole parti senza stravolgere l'impianto generale del sistema costituzionale, che sta trovando un suo assetto anche grazie alla giurisprudenza costituzionale, alle prassi politiche e via elencando.
Un intervento come questo, a mio parere, è auspicabile e opportuno perché risolve dei problemi che abbiamo vissuto nel corso degli anni precedenti. Sappiamo tutti, comunque, a riguardo di questi problemi - come è già stato detto -, che le ragioni storico-concrete che poi hanno portato alle esigenze di distacco e di aggregazione sono state legate soprattutto a problematiche economico-finanziarie, e vi era la richiesta di far parte di regioni a statuto speciale.
Vero è che il riordino delle regioni speciali potrà attenuare il problema, ma secondo me questo fenomeno non verrà meno perché il federalismo fiscale verso il quale ci siamo indirizzati porrà comunque delle forti differenziazioni territoriali e finanziarie tra regioni più o meno ricche, quindi le spinte a lasciare il luogo dove si sta peggio per andare dove si vive meglio a mio parere resteranno, anzi, forse potrebbero trovare un'ulteriore accentuazione.


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Ragione ulteriore, questa, per mettere mano ad una riforma come quella a cui avete pensato.
In ordine al testo predisposto dal Comitato ristretto, io solleverei qualche problema. In primo luogo, mi pare che il testo si ispiri all'esigenza di una valorizzazione del principio autonomistico. Neanche io scomoderei il principio di autodeterminazione dei popoli che, probabilmente, con riferimento a quanto successo storicamente in Italia e alle vicende del singolo comune, c'entra poco; però c'entra il principio autonomistico.
A me pare che, nel voler dare risalto, come si fa, alla volontà del comune che vuole aggregarsi per ragioni identitarie ad un altro territorio, occorrerebbe dare altrettanto risalto alla volontà del territorio ricevente.
Non si tratta, come afferma il professor Frosini, di introdurre delle norme che appesantiscono e rendono più difficoltoso il processo di distacco e di aggregazione. Non credo sia questa l'intenzione né della prima proposta, né del Comitato ristretto.
Si tratta semplicemente di bilanciare, di realizzare un equilibrio tra l'interesse di chi vuole staccarsi e l'interesse di chi deve ricevere un altro soggetto, un'altra entità con dei problemi di vario tipo che comunque incidono nella vita economica, amministrativa e via dicendo.
Non sarei d'accordo, dunque, sul fatto che, mentre nel testo originariamente discusso si prevedeva che anche nel passaggio di uno o più comuni da una provincia ad un'altra ci fosse una richiesta approvata mediante referendum dalle popolazioni della provincia ricevente interessata, nel testo elaborato dal Comitato ristretto, laddove ci si occupa del passaggio della provincia da una regione ad un'altra con il consenso dell'altra provincia, nel passaggio di un comune da una regione ad un'altra, non si fa invece riferimento al consenso della popolazione della provincia della regione che riceverà il comune: si tratta di trapianti istituzionali, che comunque hanno delle conseguenze. Pertanto, quel principio di autonomia cui facevamo riferimento all'inizio vorrebbe proprio che tutti i soggetti interessati in modo uguale dovessero esprimere la propria opinione.
Resta il problema se il referendum debba essere solo di tipo consultivo oppure se debba esserci un'approvazione effettiva. Rispetto alla mia esposizione, vi sarà chiaro che io propendo per questa seconda soluzione.
Dico ancora che, come è stato già osservato dal professor Marini, probabilmente il tema del distacco e dell'aggregazione delle province non può essere posto sullo stesso terreno del distacco e delle aggregazioni di comuni, perché far decollare una provincia da una regione e farla atterrare in un'altra regione significa incidere profondamente nell'identità politica della regione ricevente, ma - perché no? - anche nella sua dimensione finanziaria, e in un'epoca di federalismo fiscale a questi temi dovremmo stare tutti molto attenti.
Per finire, mi unisco al coro delle obiezioni sul vocabolo «consentire» nonché alla necessità di fare riferimento alla contiguità geografica in questo tipo di passaggi.
In ultimo, mi pare che il testo lasci intendere chiaramente che alla fine a decidere sia il Parlamento, a cui spetta l'ultima parola nell'operare un bilanciamento ed una composizione di tutti gli interessi coinvolti in questo processo.

NICOLÒ ZANON, Professore ordinario di diritto costituzionale. Signor presidente, la ringrazio dell'invito a interloquire in una sede così importante.
Desidero fare poche considerazioni perché ormai il più mi sembra che sia stato detto, anche se io esprimerò su alcuni punti opinioni forse in parte divergenti.
Pongo una prima questione, forse di metodo. Mi permetterei di osservare che, se si tocca la Costituzione, si tratta preliminarmente di scegliere a che livello di dettaglio si intende scendere. Ci si può chiedere, cioè, se sia meglio lasciare nell'articolo 132 una normativa scarna e di principio oppure se sia meglio, senza esagerare, disegnare con relativa precisione le varie


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fasi del procedimento, anzi, il procedimento «plurifase», come è stato definito giustamente.
Se si lascia una norma costituzionale di largo principio, bisogna tener presente che si deve lavorare sulle scelte legislative ordinarie, ma non sulla legge ordinaria provvedimentale, quella che realizza il distacco e aggregazione, semmai sulla legge generale di procedimento, sulla legge procedimentale generale, quella che è attualmente è ancora la n. 352 del 1970.
Bisogna quindi cercare, e questo è compito del legislatore, un equilibrio tra le scelte irrinunciabili di principio e la necessaria chiarezza sui passaggi procedimentali.
La Commissione, insomma, lavora su tre fonti: la Costituzione, la legge generale di procedimento e le leggi concrete che dispongono distacco e aggregazione.
Ho predisposto alcune note scritte che potrei consegnare alla presidenza e che ora cercherò di riassumere.
Ad esempio, ho fatto alcune considerazioni, che dirò ora, ai fini di un arricchimento del dibattito, sull'espressione «si può consentire», in chiave del tutto dissonante rispetto a quanto è stato detto dalla maggioranza dei colleghi.
A mio parere si può «consentire», e addirittura quel «consentire» segnala, secondo me opportunamente, la discrezionalità del Parlamento nell'approvare o meno la legge di distacco e aggregazione.
Si può naturalmente cambiare il termine, per rispetto all'evoluzione del nostro ordinamento verso una tendenza federale; ma io avrei qualche perplessità nell'apportare modifiche di questa natura.
Sul fatto che non esista alcun vincolo nei confronti del Parlamento, sulla sua autonomia di scelta, non nutro nessun dubbio.
Passo ad un altro aspetto del procedimento che mi sembra rilevante, ovvero i pareri dei consigli regionali. L'obiettivo della formulazione attuale della norma del Comitato ristretto, come mi pare di intendere dalle affermazioni dell'onorevole Bianconi nella seduta del 12 febbraio 2009 e come forse è già stato ricordato, è di evitare che l'inerzia di una regione possa interrompere il procedimento.
Lo scopo è raggiunto con questa formulazione, perché di fronte all'eventualità di un'inerzia il procedimento proseguirebbe. Inoltre, la norma ha questo aspetto sollecitatorio, cioè sollecita la regione a dare il parere per non essere tagliata del tutto fuori dal procedimento di formazione della legge. Nella normalità dei casi, insomma, la regione si esprimerà.
Mi permetto di rilevare che resta però il fatto - mi rendo conto che si tratta di una valutazione di opportunità, e so anche che forse non dovremmo farla - che in sede di revisione costituzionale resta questa immagine, che è l'immagine di un parere di fatto facoltativo, non obbligatorio, dal quale forse si può, o meglio, si deve prescindere in certi casi, cioè quando sono trascorsi tre mesi.
Mi permetterei anche di sottolineare l'aspetto leggermente punitivo per gli organi rappresentativi regionali, tanto più forte in quanto contenuto in una norma costituzionale. Capisco benissimo le esigenze, ma mi pareva anche giusto sottolinearlo.
Inoltre, si potrebbe forse sottolineare un altro aspetto. Questa norma potrebbe combinarsi con un'altra questione, perché qualora la richiesta di distacco provenisse dai comuni, non sarebbe prevista altra forma di consultazione delle popolazioni indirettamente interessate. Ovvero: se il Consiglio ritarda più di tre mesi, la procedura complessiva in questa ipotesi non vedrebbe, almeno da parte mia, alcun intervento delle popolazioni indirettamente interessate al distacco e aggregazione.
Sottolineerei che, secondo la sentenza n. 334 del 2004, è proprio nel momento di espressione del parere dei consigli regionali che è consentita - dice la Corte - «l'emersione e la valutazione degli interessi locali contrapposti (o anche non integralmente concordanti con quelli espressi attraverso la soluzione della rigida alternativa propria dell'istituto referendario)». In sostanza, dice la Corte, l'espressione


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di questo parere ha un ruolo rilevante ai fini dell'eventuale approvazione della legge di modifica territoriale.
Per concludere, mi sembrava interessante ragionare sugli effetti dello svolgimento della procedura sugli organi centrali. Qualcosa è già stato detto, in particolare dal professor Luciani; proverei ad argomentare ulteriormente.
Per quanto riguarda le richieste formatesi secondo il procedimento delineato nella proposta, fermo restando che non c'è nessun vincolo e nessuna discrezionalità da parte del Parlamento nel decidere se approvare o meno una legge, c'è almeno un vincolo a presentare il disegno di legge per il distacco e l'aggregazione? E chi sarebbe il soggetto di questo atto dovuto a iniziativa doverosa? Questo mi pare un aspetto importante.
Si potrebbe dire, al riguardo, che ci sarebbero da bilanciare due valori di rango costituzionale. È vero che siamo in sede di revisione, dunque il legislatore è molto più libero. Ma i paletti quali sono?
Da una parte, la sovranità degli organi costituzionali centrali, la sovranità del Parlamento financo nel decidere se occuparsi di una certa questione. Forse discorsi non lontani potrebbero essere fatti anche in riferimento al Governo, che decide concretamente l'indirizzo politico.
Dall'altra, il già evocato più volte cosiddetto diritto di autodeterminazione dell'autonomia locale o delle collettività locali «la cui affermazione e garanzia risulta tendenzialmente accentuata dalla riforma del 2001», come scrive la Corte costituzionale nella sentenza n.334.
Io osserverei, per inciso, che questa parte di motivazione della sentenza della Corte dove si parla del diritto all'autodeterminazione era funzionale, in quella sentenza, alla sola eliminazione di oneri procedimentali relativi alla fase della richiesta di referendum iniziale, come sembra confermato anche dalla sentenza n. 66 del 2007, che ribadisce il ruolo fondamentale nella fase iniziale del procedimento della popolazione del singolo ente interessato.
Non mi sentirei di estendere questa motivazione, che fa riferimento al diritto all'autodeterminazione, al di là di questa fase fino a coinvolgere addirittura la discrezionalità degli organi costituzionali centrali.
Sottolineerei ancora che, con riferimento all'attuale testo dell'articolo 132, secondo comma, la sentenza n. 66 del 2007 afferma in modo chiaro che, anche dopo l'eventuale esito positivo del referendum iniziale, la presentazione del disegno di legge di distacco e aggregazione è meramente eventuale. Pertanto, l'iniziativa legislativa non è definibile come atto dovuto, giuridicamente parlando.
Il Ministro dell'interno - lo desumo dai prospetti presentati nel corso dell'iter in Commissione - pur dopo lo svolgimento con esiti positivi del referendum, non avrebbe dato seguito alla presentazione del disegno di legge e, a giustificazione di questa inerzia, erano evidenziate le perplessità espresse dalla Presidenza della Repubblica sull'opportunità di presentare il disegno di legge senza la preventiva acquisizione dei pareri dei consigli regionali.
Ebbene, richiamerei l'attenzione sul fatto che in una recente ordinanza della Corte costituzionale, la n. 434 del 2008, in un conflitto sollevato dai delegati di sette comuni veneti contro il Governo proprio per non aver presentato il disegno di legge, la Presidenza della Repubblica pare aver smentito la presentazione di queste perplessità.
Ad ogni modo, se quella descrizione fosse vera, si sarebbe implicitamente accolta la tesi secondo cui il Governo conserva una discrezionalità nel decidere se attivare o meno il procedimento legislativo, potendo valutare anche l'opportunità di arrestare il meccanismo attivato con la consultazione qualora i consigli regionali interessati dovessero esprimere parere negativo, ovviamente.
Mi rendo conto che questo è un punto delicato, dal momento che non è possibile svuotare del tutto il peso delle richieste degli enti locali. Bisogna essere molto cauti su questo, soprattutto se sono assistiti,


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ovviamente, da un voto favorevole al referendum. Dipende anche da quanto ampio sia il coinvolgimento delle popolazioni, soprattutto di quelle indirettamente interessate.
Ritengo, però, che l'autonomia e la sovranità del Parlamento dovrebbero consentire all'organo legislativo anche di poter decidere se attivare l'iniziativa legislativa dopo l'eventuale richiesta degli enti locali. A me non piacerebbe l'idea di un Parlamento obbligato a dar corso ad una richiesta.
Quanto al Governo - dobbiamo capire se sia giusto pensarlo e se sia poi da scrivere - dobbiamo immaginare che un qualche vincolo sia configurabile non in capo al Parlamento ma in capo al Governo.
Forse si potrebbe pensare di valorizzare quanto già dispone l'attuale articolo 45, quarto comma della legge n. 352, nella parte in cui dice che il Ministro dell'interno, entro sessanta giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dei risultati del referendum presenta - presente indicativo, che significa doverosità - il disegno di legge costituzionale ordinario di cui all'articolo 132.
Peraltro, so che su questa norma si appuntano anche dubbi di legittimità costituzionale proprio per l'eccentrica identificazione, rispetto a quanto previsto dall'articolo 71 della Costituzione, del soggetto cui spetta l'iniziativa legislativa.
In dottrina, qualcuno ha sostenuto la tesi per cui il Ministro dell'interno qui si limiterebbe a operare come tramite formale di un'altrui iniziativa sostanziale. Non so se questa tesi possa avere un significato.
È evidente che se una prospettiva di questo tipo venisse inserita in Costituzione, si farebbe chiarezza e, ovviamente, questo farebbe anche venir meno problemi di legittimità costituzionale.
Mi pongo da solo alcune obiezioni, che immagino abbiate già presenti: come trasformare il ministro, e in senso lato tutto il Governo, in un mero passacarte che non può valutare discrezionalmente, alla luce del suo indirizzo politico, richieste provenienti da parti limitate del territorio nazionale.
Forse proprio nell'ipotesi in cui le richieste arrivino a pioggia, quindi nell'ipotesi in cui apparentemente il principio cosiddetto di autodeterminazione delle collettività territoriali abbia più forza, come accettare che queste richieste seriali non possano suscitare, nello stesso Governo, un rifiuto, accompagnato dalla saggia decisione politica di intervenire, come si diceva prima, per sanare altrimenti segnali di disagio provenienti dal territorio.
Questi sono interrogativi sui quali non ho risposta. Forse si potrebbe superare queste obiezioni, inserendo - se si vuole andare nei dettagli - la doverosità quanto meno dell'iniziativa governativa, alla luce della sicura considerazione che l'intera discrezionalità sull'approvare o meno la legge di modifica spetta al Parlamento, e che quindi la doverosità della presentazione del disegno di legge è una mera doverosità di carattere procedurale, che non impegnerebbe l'indirizzo politico governativo. So che è difficile da qualificare così, ma in tal caso sarebbe un disegno di legge di iniziativa governativa anomala perché la categoria di un'iniziativa governativa che non impegna la responsabilità politica del Governo è un po' singolare. Credo che il bilanciamento tra i diversi valori coinvolti forse potrebbe provare, una soluzione di questo tipo, ma sono ovviamente considerazioni di opportunità.

PRESIDENTE. Considerato l'esiguo tempo a disposizione, dovendosi anche svolgere una seduta del Comitato pareri, riterrei di valutare l'ipotesi di un rinvio.

ROBERTO ZACCARIA. Presidente, credo sia più opportuno, per non costringere i nostri ospiti a tornare in un'altra occasione, svolgere ora i nostri interventi, contenendoli in tempi brevissimi.

PRESIDENTE. Sta bene. Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.


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LINDA LANZILLOTTA. Mi astengo dai ringraziamenti, che sarebbero dovuti perché sono state fatte considerazione molto significative. Ringrazio da ultimo il professor Zanon che ha posto la questione della discrezionalità dell'iniziativa del Governo, che è all'origine di questa proposta di legge.
Le domande sono secche, me ne scuso: chiedo di valutare la preferibilità tra questa disciplina molto articolata e di dettaglio, come veniva in parte suggerito, o invece optare per una soluzione molto essenziale, che indichi i princìpi e rinvii a una legge statale, ad una legge ordinaria, che disciplini tutti gli effetti elettorali, anche finanziari, perché io trovo singolare che, ad esempio, non si valuti l'impatto finanziario di queste operazioni.
Il secondo quesito, già posto molto opportunamente negli interventi degli auditi, riguarda se si tratti di un'iniziativa a contenuto vincolato da parte del Governo, perché tutta la discrezionalità sull'an della decisione debba passare al Parlamento. Durante il periodo in cui ho ricoperto un ruolo di governo, questo tema è stato oggetto di una ampia discussione ed è stato risolto con la decisione di presentare il disegno di legge con una relazione sostanzialmente negativa, che era un ibrido. Quella espressione, cioè il ribaltamento della sequenza «si può, con legge» rispondeva esattamente a questa logica, cioè sottolineare la facoltatività e discrezionalità della legge dello Stato, concordo su quest'aspetto, non più della Repubblica.
Terzo punto: chiaramente, tranne la vicenda della regione Marche, il tutto nasce dalla trasmigrazione verso il mondo migliore, rappresentato al di là del confine dalle regioni a statuto speciale; questo problema, come è noto, non è stato minimamente risolto dalla legge sul federalismo fiscale.
Domando ai costituzionalisti presenti come si possa risolvere questa contraddizione insanabile tra i princìpi fondamentali di uguaglianza, tradotti dall'articolo 119 in materia di federalismo fiscale, e la questione dell'obbligo di intesa per modificare le norme finanziarie degli statuti di rango costituzionale, atteso che non si raggiungerà mai un'intesa che modifichi il meccanismo attuale di finanziamento a vantaggio di un meccanismo coerente col principio costituzionale.

PIERLUIGI MANTINI. Premesso che reputo l'assalto trasmigratorio, soprattutto nelle regioni a statuto speciale, una patologia, ispirata anche da nostalgie storiche come è avvenuto nella regione Marche, nel Montefeltro e via dicendo; premesso che trovo pure aberrante la soluzione del silenzio procedimentale, una sorta di silenzio-assenso da parte della regioni, non solo alla chiara luce dell'articolo 334 ma anche della semplice logica della Costituzione - per la tutela dei cittadini che non si esprimono, e via dicendo - faccio una domanda un po' capziosa: chiedo se gli esperti presenti non reputano, in punto di dottrina, che si possa tranquillamente provocare una migliore configurazione in questa materia, rinunciando alla modifica costituzionale - ed è questa la mia opinione - agendo con la legge generale n. 352 sul procedimento e anche con la legge sul referendum a proposito di quorum non disomogenei.

PRESIDENTE. Do la parola a chi tra i professori intenda brevemente replicare o fare una considerazione finale.

VALERIO ONIDA, Presidente emerito della Corte Costituzionale. Vorrei dare una risposta telegrafica alle domande che abbiamo ascoltato.
La disciplina dell'articolato è essenziale: non bisogna mai mettere troppe cose in una legge costituzionale.
Sull'iniziativa a contenuto vincolato, io trovo contraddittorio presentare un'iniziativa e scriverne una relazione che sia contraria; non è una iniziativa vincolata, perché l'iniziativa legislativa per definizione non lo è. Ci sarà un vincolo politico a esprimersi, quindi a dire in Parlamento perché non si vuole quella determinata cosa.
La contraddizione c'è e va risolta in questi termini: non si possono ovviamente


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modificare gli statuti senza l'intesa; tuttavia, nel disegno del cosiddetto federalismo fiscale non può non entrare un elemento di perequazione, che può anche raggiungere il limite estremo, nel caso in cui non si raggiungano intese, di un obbligo di trasferimento di risorse a carico delle regioni più ricche e a favore delle regioni meno ricche.

PRESIDENTE. Ringrazio tutti gli intervenuti per la cortesia. Ho sentito che qualcuno di voi ha prodotto un documento: vi pregherei di trasmetterlo, così da poterlo distribuire a tutti i componenti della Commissione, compresi i colleghi che in questo momento non sono presenti.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,55.

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