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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione I
2.
Martedì 20 marzo 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Zaccaria Roberto, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 244 MAURIZIO TURCO, C. 506 CASTAGNETTI, C. 853 PISICCHIO, C. 1722 BRIGUGLIO, C. 3809 SPOSETTI, C. 3962 PISICCHIO, C. 4194 VELTRONI, C. 4955 GOZI E C. 4956 CASINI, IN MATERIA DI ATTUAZIONE DELL'ARTICOLO 49 DELLA COSTITUZIONE

Audizione di esperti della materia:

Zaccaria Roberto, Presidente ... 3 10 12 14
Bressa Gianclaudio (PD) ... 10
Mantini Pierluigi (UdCpTP) ... 10
Pasquino Gianfranco, Professore ordinario di scienza politica presso l'Università di Bologna ... 3 12
Tassone Mario (UdCpTP) ... 12
Vassallo Salvatore (PD) ... 11
Verzichelli Luca, Professore ordinario di scienza politica presso l'Università degli studi di Siena ... 7 13
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

COMMISSIONE I
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 20 marzo 2012


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO ZACCARIA

La seduta comincia alle 10,05.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di esperti della materia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'esame delle proposte di legge C. 244 Maurizio Turco, C. 506 Castagnetti, C. 853 Pisicchio, C. 1722 Briguglio, C. 3809 Sposetti, C. 3962 Pisicchio, C. 4194 Veltroni, C. 4955 Gozi e C. 4956 Casini, in materia di attuazione dell'articolo 49 della Costituzione, l'audizione di esperti della materia.
Sono presenti il professor Gianfranco Pasquino, ordinario di scienza politica presso l'università di Bologna, e del professor Luca Verzichelli, ordinario di scienza politica presso l'università degli studi di Siena.
Ringraziandoli a nome mio e della Commissione per essere intervenuti, do loro la parola iniziando dal professor Pasquino.
Considerato che alle 11 dovremo concludere l'audizione per l'inizio delle votazioni in Assemblea, pregherei entrambi di contenere gli interventi entro i venti minuti ciascuno. Ci sarà poi uno spazio per i colleghi che vorranno fare delle domande.

GIANFRANCO PASQUINO, Professore ordinario di scienza politica presso l'Università di Bologna. Ho debitamente letto le proposte di legge in esame e una parte della discussione precedente. Ho letto inoltre - ma potrei dire «riletto», come si fa qualche volta con un po' di civetteria - il dibattito svoltosi in Assemblea costituente sull'articolo 49 della Costituzione; probabilmente siete infatti stati informati dagli uffici legislativi del Parlamento italiano, che sono una delle sue cose migliori, che sono l'autore del commento a tale articolo per il commentario di Branca edito da Zanichelli. Su questo quindi non intervengo, e rimando a quel testo che credo sia disponibile e comunque facilmente recuperabile.
Mi soffermerò brevemente su cinque punti, per avere più spazio per rispondere alle domande e ai quesiti rimasti aperti o che magari siano emersi in questo giro di audizioni.
Anzitutto, in qualsiasi modo vogliate procedere, credo sia utile definire accuratamente che cos'è un partito, perché altrimenti ne seguirebbe tutta una serie di rischi. Se tutte le liste che si presentano a una qualsiasi elezione possono definirsi partito, avrete poi naturalmente qualche difficoltà a decidere che tipo di statuto debbano darsi tali liste, nate magari in uno specifico momento elettorale. Avrete la difficoltà, per esempio, di individuarne i dirigenti, se le stesse liste non li definiscono.


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Sotto questo profilo, faccio presente, per esempio, che dire chi sia il segretario del Movimento 5 stelle - che pure, secondo me, è fondamentalmente un partito - mi pare un'operazione alquanto difficile e azzardata. Avrete qualche difficoltà anche per stabilire come dare rimborsi o eventuali finanziamenti. La mia prima osservazione è quindi che è necessario essere accurati. In alcune delle proposte di legge c'è un tentativo di definire che cos'è un partito; mi sembra però che, ad esempio, indicare in tre il numero di persone che possono dare vita a un partito sia forse un regalo troppo grande.
In secondo luogo, credo che ci sia un problema effettivo relativamente allo statuto. In Assemblea costituente, come sapete, su questo il dibattito è stato molto intenso, e comprensibilmente, perché c'erano spinte e pulsioni anche, oserei dire, relativamente poco democratiche.
Sulla democrazia interna ai partiti si è scritto molto, anche arrivando a conclusioni parzialmente difformi da quelle a cui sembra siano giunte le proposte di legge in esame. Credo però che ci siano alcuni punti problematici, che vorrei sollevare, perché non sono qui per dare soluzioni, ma per sottolineare i problemi.
Anzitutto, preferirei che non si parlasse di «quote rosa» - come ho visto scritto con una certa chiarezza - ma semplicemente di «rappresentanza di genere», che mi pare un'espressione più ampia, che in qualche modo non predefinisce nulla e consente quindi di discutere accuratamente su come andare verso questo tipo di rappresentanza di genere. Presumo che la battaglia, o semplicemente la diversità di opinioni, sarà sulle percentuali.
Ho riflettuto in merito e ritengo che probabilmente il 35 per cento sia troppo poco. Io credo che la quota non dovrebbe essere inferiore al 40 per cento di cui parla una delle proposte di legge. Naturalmente questo, in termini generali, significa che non si tratterebbe necessariamente di «quote rosa»: un giorno forse non lontanissimo potrebbero eventualmente diventare «quote blu» ed essere dunque accuratamente garantiste anche nei confronti degli uomini.
Il secondo punto che mi pare problematico e che riguarda lo statuto è quello relativo al limite dei mandati. In una delle proposte di legge esso è previsto in due modi: dapprima con riferimento alle cariche direttive dentro ai partiti e poi ai mandati parlamentari. Mentre nel primo caso credo che sia corretto avere un limite di mandati alle cariche direttive di vertice dentro i partiti - il segretario, ma anche il presidente, quando i partiti ne hanno uno - ho invece enormi difficoltà, ma dovrei forse dire contrarietà, a stabilire limiti ai mandati parlamentari.
Primo perché temo naturalmente che ci sia un problema costituzionale, posto che nella Costituzione questo limite non c'è e che introdurlo limiterebbe certamente il candidato o il parlamentare in carica. In secondo luogo, cosa che mi pare più importante, esso porrebbe un limite nascosto al potere degli elettori, anche se so che questa frase suona provocatoria, ma com'è noto non sono mai stato particolarmente diplomatico. Quando troviamo un parlamentare bravo, dobbiamo consentire all'elettore di eleggerlo e rieleggerlo sistematicamente, per lunghissimi periodi di tempo. Non possiamo togliere all'elettore questa risorsa, come si dice in termine «politichese». Dobbiamo invece consentire all'elettore di premiare in continuazione il suo parlamentare bravo. Anche in questo caso con una relativa dose di cattiveria, aggiungo che è più utile che il parlamentare cattivo venga bocciato dagli elettori piuttosto che venga sostituito soltanto perché ha svolto due o tre mandati.
Sarei dunque contrario a introdurre un limite al numero di mandati dei parlamentari in una legge che naturalmente non dovrebbe essere oberata da tutta una serie di indicazioni costituzionali. Questa mi parrebbe un'indicazione molto controversa.
Se sul limite al numero dei mandati parlamentari sono abbastanza fermo, all'interno di questo discorso c'è un terzo


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elemento che mi preoccupa leggermente, il problema delle primarie. Vedo che sono state variamente inserite nei progetti di legge, con modalità leggermente diverse, che avrebbero però conseguenze significative. Credo che dovremmo consentire ai partiti di decidere da sé come vogliono scegliersi i candidati. Questo è un punto che non dovrebbe essere imposto ai partiti. O essi riflettono e scelgono la strada delle primarie - come mi pare abbia scelto il Partito Democratico, che le prevede nel suo statuto - oppure tale strategia non può essere loro imposta, per di più con sanzioni di tipo economico. In questo caso sono per la libertà di scelta: i partiti devono decidere come scegliersi i candidati, senza essere costretti a sceglierli attraverso le primarie, con incentivi o punizioni monetarie.
Le primarie sono prima di tutto uno strumento molto delicato e, soprattutto in un contesto come quello italiano, richiedono un adeguato rodaggio. Sarà il caso di ricordare che le primarie americane statunitensi non sono le uniche primarie al mondo, come sento troppo spesso dire, dato che se ne fanno in continuazione. Di recente, in Venezuela, si sono svolte le primarie nello schieramento di opposizione, così come è avvenuto in Messico; in America latina esiste una numerosa casistica e c'è una tradizione lunghissima in materia. Ritornando alle primarie statunitensi, vorrei sottolineare che hanno avuto un rodaggio molto lungo perché, grossomodo dal 1900 fino al 1960, le primarie non si tenevano che nella metà e forse anche meno degli Stati.
Noi stessi siamo inevitabilmente ancora in una fase di rodaggio. Ho inoltre l'impressione che siano già emersi alcuni inconvenienti, che secondo me impediscono di andare in questa direzione, ma neanche incoraggiano a farlo. Suggerirei dunque di essere molto cauti, nel caso delle primarie, e di lasciare le modalità con cui scegliere le candidature alla definizione da parte dei dirigenti o - come naturalmente preferirei - dell'assemblea del partito. Riproponendo la stessa logica della mia osservazione precedente, poiché non è facile trovare parlamentari molto bravi, i partiti dovrebbero preoccuparsi probabilmente non solo di fare scegliere i loro parlamentari dall'elettorato, dai simpatizzanti o da coloro che dichiarano di votare per il partito, ma anche di costruire un gruppo parlamentare e quindi di riuscire a tenere in carica molto a lungo coloro che sono capaci. Questo esito è senz'altro migliore, da un certo punto di vista, che non semplicemente ricorrere alle primarie, che pure hanno, com'è noto - anche su questo ho scritto da tempi immemorabili - molti aspetti positivi.
Anche per quello che riguarda il finanziamento ho guardato con attenzione quanto è scritto nelle proposte di legge. So che naturalmente il finanziamento - e giustamente - è «sotto tiro», da tutte le parti. Sono tra coloro che fin dall'origine pensavano che la legge del 1974 sarebbe stato non solo pessima, come fu, ma in un certo modo produttiva di una serie di conseguenze negative. Credo di essere stato anche uno dei promotori del referendum del 1993, ma su questo poco male, o forse molto bene, chissà.
Ho l'impressione che il punto da tenere molto fermo sia che i rimborsi vanno calcolati non sulla base dell'elettorato, vale a dire di coloro che hanno diritto al voto, ma sulla base di coloro che effettivamente votano. Questo è un punto molto rilevante, da sottolineare, perché significa affermare che i partiti devono davvero andare a cercare gli elettori, non limitandosi a preoccuparsi delle astensioni: devono occuparsene e li aiutiamo a farlo se facciamo in modo che abbiano maggiori rimborsi nel caso in cui trovino più elettori. In una delle proposte di legge si parla di considerare solo coloro che effettivamente votano.
Questo tema è delicatissimo e probabilmente non dovrebbe essere inserito in questa proposta di legge: io preferirei che rimanesse separato. Anche questo è però un problema, da un lato, di tecnica legislativa e, dall'altro, di opportunità politica. Credo dunque che si debba valutare meglio l'aspetto del finanziamento; se infatti diamo per scontato che i partiti svolgano


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una funzione essenziale, quella elettorale - offrono cioè un'alternativa all'elettorato - e che dunque sia giusto ricompensarli per questo con dei rimborsi, va però considerato che i partiti svolgono anche altre attività e bisognerebbe forse riflettere se si debbano finanziare anche le altre loro attività oppure no.
Sono in disaccordo totale e frontale con l'idea che una percentuale del denaro venga destinata alla formazione dei giovani. Sono in disaccordo perché penso che questo sia un modo di creare degli «spostati», ma soprattutto di cominciare a pre-definire coloro che andranno a fare politica rispetto a coloro che non lo faranno. Capisco che la mia posizione possa apparire assolutamente teorica, ma potrei fornire a sua conferma i dati provenienti da altri Paesi. Bisognerebbe che tutti coloro che fanno politica abbiano prima acquisito capacità e competenze in una qualsiasi attività, che cioè, se entrano in politica, abbiano già un mestiere e una professionalità, perché in questo modo possono anche uscirne. Coloro che ci sono entrati senza aver fatto nulla prima, infatti, sono costretti ad abbarbicarsi alla loro carica e a ricoprirla il più a lungo possibile, giustificando poi la richiesta di un limite ai mandati parlamentari. Sono contrario all'idea che bisogna formare i giovani alla politica. Per questo ci sono le facoltà di scienze politiche, per esempio, ma anche molte altre facoltà dove si può imparare che cos'è la politica. Il resto - ad esempio, come si fanno le campagne elettorali - lo si impara sul campo e certo molte cose le si imparano anche arrivando in Parlamento. Sono tutt'altro che contrario al fatto che venga eletto qualcuno che non conosce tutte le tecniche legislative e così via, perché le può imparare studiando perché in Parlamento si imparano moltissime cose.
Non vorrei però creare, appunto, una schiera di giovani aspiranti che, essendo stati reclutati in età relativamente giovane, hanno poi l'aspettativa o forse addirittura la pretesa di passare allo stadio successivo. Suggerirei quindi di togliere questo aspetto dalla legge. Fra l'altro, ho letto questo passaggio con una leggera irritazione crescente, pensando alle sottostanti motivazioni demagogiche. Sembra che, da parte dei parlamentari, si offrano insegnamenti ai giovani che attualmente protestano, quindi una sorta di apprendistato che poi consentirà loro, prima o poi, di entrare in Parlamento, naturalmente se si comporteranno bene, e se si metteranno, come si direbbe negli Stati Uniti, «sulle code» del loro parlamentare - o, meglio, del loro capocorrente - di riferimento. Penso che dovreste tagliare immediatamente questo aspetto.
Da ultimo - perché sono francamente più interessato alle vostre domande che alle mie riflessioni - ho letto la proposta di legge sulle fondazioni e ho ascoltato quello che si dice in giro in merito. Non faccio alcuna osservazione relativamente alla fondazione de La Margherita e ad altre vicende di questo genere, però ho l'impressione che il discorso delle fondazioni debba essere molto approfondito. Così com'è non mi convince quasi per niente, ma anzi produce in me moltissime perplessità.
Le fondazioni possono fare anche delle cose utili, ma ho l'impressione che nelle proposte di legge in esame non sia riflessa la situazione tedesca. Vedo delle contraddizioni tra le fondazioni, il denaro che avranno e il tipo di denaro che andrà invece ai partiti. Non vorrei che ci fossero sovrapposizioni, competizioni o «addizioni». Vedo complicato tutto il discorso delle fondazioni.
Ho l'impressione poi, anche sulla base di quello che è già successo, che esse rischierebbero di essere non fondazioni di partito, bensì fondazioni del capo corrente. Anche questo non mi piace, e non perché io sia per un partito totalmente monolitico. Deve esserci un qualche tipo di competizione all'interno del partito, ma ho l'impressione che non debba strutturarsi intorno a fondazioni che, naturalmente, danno segnali potentissimi e che, possedendo denaro, sono poi in grado di ricompensare variamente i loro sostenitori. Questo introdurrebbe dunque un elemento, di non facile controllo, di «inquinamento»


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delle idee: è un'espressione forte ma non ne trovo una migliore. Vorrei che tutto quanto riguarda un partito avvenisse dentro il partito, quindi vedo male, in questo momento, così come l'ho letta, l'indicazione delle fondazioni come una delle soluzioni al problema dei partiti. Se è una delle soluzioni, molto probabilmente non è una buona soluzione.
Sono giunto a una battuta conclusiva. Quello delle fondazioni di partito è un argomento delicatissimo che, anche se so che i tempi del Parlamento non sono mai brillantemente rapidi, merita una riflessione attenta. Soprattutto, per quello che ho imparato nel corso del tempo, credo che la definizione complessiva di partito debba essere molto chiara e semplice, per evitare poi tutta una serie di inconvenienti in fase prima di interpretazione e poi di applicazione di qualsivoglia legge sul loro status.

LUCA VERZICHELLI, Professore ordinario di scienza politica presso l'Università degli studi di Siena. Il mio intervento sarà breve, anche perché mi ricollegherò ad alcune riflessioni già fatte dal professor Pasquino, con cui sono d'accordo. Non posso del resto contare sull'esperienza di Gianfranco Pasquino e non essendo un giurista, e nemmeno uno studioso in senso stretto di organizzazione partitica, non aggiungerò molto a quanto già è stato detto. Salterò pertanto alcuni passaggi e non mi avventurerò in considerazioni di tipo esegetico o teorico sullo sviluppo della - come si diceva una volta - sociologia dei partiti. In questo oltretutto, sono favorito dal fatto di trovarmi di fronte ad una discussione già molto avanzata. Trovo anch'io che questo sia un momento propizio - e mi compiaccio del grado di avanzamento del vostro lavoro - ricollegandomi all'ultima riflessione del professor Pasquino. Sono infatti tra coloro che sostengono da tempo l'importanza di una legge di attuazione dell'articolo 49 della Costituzione. Credo che sia maturo il tempo per giungere a tale riforma, e che questo scorcio della legislatura può essere il momento decisivo per arrivare ad una legge organica, anche collegata ad altre questioni. Si tratta appunto di decidere cosa mettere all'interno del perimetro della legge, e anch'io dirò qualche cosa su questo aspetto.
In questo breve intervento mi rifaccio essenzialmente a tre livelli di analisi.
Il primo livello è rappresentato dalla trasformazione e dal grado di consolidamento della forma organizzativa dei partiti attuali, un tema che deve giustamente essere affrontato guardando alla dimensione diacronica e allo sviluppo dei partiti odierni, che certamente non sono più quelli di un tempo, nonché alla dimensione comparata.
Il secondo livello è quello della democrazia intrapartitica, a cui fanno riferimento molti dei progetti di legge qui in esame, e che rappresenta un tema importante, non solo nel nostro Paese. Probabilmente, la lunga e incerta transizione ha fatto sì che il tema della democrazia intrapartitica abbia suscitato in Italia discussioni particolarmente ricche di tensione, ma si tratta certamente di un tema presente anche nelle altre democrazie.
Il terzo livello è quello della rinnovata funzione di selezione della classe politica, che per me è fondamentale, ed è forse il punto su cui posso dare un modesto contributo al lavoro della Commissione. La funzione dei partiti nella promozione della classe politica, vale a dire nella fase di preparazione e selezione delle candidature per gli uffici politico-rappresentativi, rimane infatti fondamentale nel presente e lo sarà anche in futuro, a prescindere dal destino che sarà riservato alle altre tradizionali funzioni dei partiti.
Tutti questi concetti possono d'altra parte essere rifocalizzati all'interno del breve ma fondamentale articolo 49 della nostra Costituzione, del quale ovviamente non c'è bisogno di produrre una analisi esegetica in questa sede. Tuttavia, dopo gli anni della cosiddetta «biforcazione» tra politica e comunità (io cerco di non usare il termine «società civile») si pone la questione di cosa siano i partiti - mi ricollego qui alla prima parte dell'intervento del professor Pasquino - e di come il loro consolidamento organizzativo possa


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essere aiutato da una norma. Questo aspetto è diventato particolarmente rilevante, proprio perché con tali regole dobbiamo evitare ulteriori fenomeni di depoliticizzazione e distacco, e quindi scongiurare la crescita di un gap di partecipazione già allo stato attuale molto preoccupante.
In secondo luogo, dal dettato dell'articolo 49 della Costituzione deriva che i partiti concorrono «con il metodo democratico», ma l'esercizio del metodo democratico deve essere adesso portato all'interno dei partiti: quella che chiamiamo democrazia intrapartitica, non è soltanto un modo per riorganizzare la struttura di opportunità dentro un dato partito, ma serve anche per far si che la classe politica si eserciti al metodo democratico. Invece di una mera distribuzione di spoglie tra correnti, come appunto abbiamo appena sentito, dobbiamo garantire meccanismi tesi alla selezione dei migliori e a un attento controllo sul delegante, che rimane naturalmente il popolo, l'elettore.
Il terzo punto concerne il fatto che i partiti, attraverso il metodo democratico, determinano la politica nazionale. Cerco di evitare riferimenti inutili di fronte a protagonisti della politica italiana che non hanno bisogno certamente di illustrazioni di questo tipo, ma non possiamo non richiamare qui quanto sia cambiato, in Italia, il governo di partito. Nel vecchio governo di partito, chiamato in vari modi - organico, totale oppure anche con lo stesso termine «partitocrazia» poi divenuto dispregiativo - nessuno metteva in discussione la capacità dei partiti di scegliere al meglio per i propri elettori e forse anche per gli altri elettori, perché naturalmente il governo non decide soltanto per coloro che lo hanno scelto. L'esperienza ci ha però insegnato che tale capacità era essenzialmente collegata a quello che potremmo definire il «governo delle persone», che a un certo punto è diventato fondamentale rispetto al «governo delle cose», come la letteratura dei vent'anni successivi ha messo in chiaro, studiando la crisi o, se volete, l'evoluzione del governo di partito in Italia.
Indubbiamente, ritoccare a livello normativo la struttura dei partiti significa ridare un senso al governo dei partiti, il che è centrale per un'interpretazione contemporanea della bellissima espressione «...concorrere a determinare la politica nazionale». Naturalmente questo non è facile, ma occorre plasmare una logica diversa e nuove aspettative da parte del delegante. La politica si determina oggi con l'azione del leader. Non parlo solo del leader nazionale, il capo del Governo o premier, ma di colui che, a tutti i livelli, è chiamato a guidare una determinata battaglia politica e che al tempo stesso ha la risorsa del consenso, essendo stato selezionato per quella determinata carica, e presenta il programma, le idee, le aspettative giudicate prioritarie da tutti i suoi sostenitori. Sulla base di questa veloce rilettura, trovo che una legge di «disciplina organica dei partiti politici» - è l'espressione che preferisco - non è solo rilevante ma, alla luce dei progetti di legge che ho visto, è oggi realisticamente raggiungibile.
Quanto al primo livello, la priorità di ridefinizione del partito, sono sostanzialmente d'accordo col professor Pasquino e non ho molto da aggiungere. Trovo che l'introduzione di alcuni obblighi leggeri, formali, come lo statuto, la registrazione o, come ho letto in uno dei progetti, l'omologazione, possa segnare in qualche misura ciò che chiamo «ritorno alla politica». Questa ridefinizione normativa presuppone di stabilire che cos'è un partito, come si diceva prima, e richiede di dargli, almeno sul piano potenziale, una robusta strumentazione giuridica per l'assunzione di nuove responsabilità e, di conseguenza, anche una propria credibilità. Il partito registrato è un partito che esiste, che certamente può scegliere da sé la sua forma organizzativa - di nuovo concordo con Pasquino, poiché la struttura dei singoli partiti può delinearsi soltanto all'interno di «famiglie» e di «modelli» partitici alternativi - ma che deve mantenere le caratteristiche minime che ne fanno un entità giuridicamente rilevante di fronte alla comunità.
Il secondo aspetto, il tema della trasparenza nelle decisioni interne, è particolarmente


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importante. Questo è il secondo vagone necessario di un convoglio normativo che, lo ripeto, può essere più o meno lungo. Io propendo per una legge di attuazione dell'articolo 49 relativamente breve, e opterei per una chiusura rapida di questa che chiamo «disciplina organica sui partiti politici», proprio perché penso che almeno i tre aspetti sopra indicati possano stare insieme e, alla luce degli atti che ho visto, non vedo particolari problemi di assemblaggio rispetto ai contributi giunti fino adesso in Commissione.
Anche sui punti specifici sulla trasparenza nelle decisioni interne vorrei evitare una trattazione di elementi molto tecnici e rimanere forse più generico rispetto al professor Pasquino, il quale ha invitato a riflettere su alcuni aspetti critici. L'obiettivo della trasparenza mi sembra molto simile in tutte le proposte, benché vi sia su questo punto una maggiore varianza tra i diversi progetti, rispetto al punto relativo alla definizione di partito. Se l'obiettivo è assicurare il metodo della democrazia interna ai partiti in modo continuativo, cioè non solo nel momento della selezione del candidato a una determinata competizione, ma attraverso varie modalità di trasparenza, il modo per ottenerlo può essere naturalmente diverso da partito a partito, ma è necessario un elemento minimo comune. Alcuni progetti enfatizzano la natura assembleare delle unità collegiali o di base, che dovrebbero poi eleggere o comunque essere capaci di controllare l'operato dei leader del partito. Altri addirittura si muovono dando un'enfasi particolare alla partecipazione dei giovani, alla partecipazione femminile, al turnover forzato. Anch'io su questi aspetti tenderei a distinguere tra cariche partitiche - ripeto quanto ha detto Pasquino - e cariche elettive pubbliche. In merito, ho indicato nel volume Vivere di politica di un paio di anni fa alcune «ricette» - ma non sono abituato a dare ricette, quindi prendetele con il beneficio di inventario. Sarei personalmente più aperto e interessato a vedere come funzionano i cosiddetti term limit a livello regionale e comunale, proprio per favorire un turn over nelle arene di circolazione delle elites ed evitare forme eccessive di galleggiamento del ceto politico. Sul livello parlamentare sono contrario al term limit e ribadisco invece quanto formulato poc'anzi dal professor Pasquino.
Viceversa, è importante fissare, se non regole di turnover, almeno le regole generali che consentano un'adeguata democrazia interna per le cariche partitiche e quindi per la strutturazione della leadership partitica e degli uffici all'interno delle organizzazioni di partito. Ripeto molti dei progetti di legge che ho letto presentano norme generali mature su informazione, trasparenza, ripartizione territoriale delle risorse e bilancio dei partiti. Mi sembra interessante anche l'idea di una regolazione più stretta relativa alla presenza su Internet, non tanto per creare un ennesimo mito della rete - ogni partito deve scegliere l'uso della rete che vuole fame - ma per assimilare ancora di più la visione esterna dei partiti rispetto alla loro natura di soggetti latori di una funzione pubblica. Così come le amministrazioni pubbliche, anche i partiti devono dunque avere un comune denominatore di visibilità pubblica attraverso elementi informativi riconoscibili. Questa norma, che ho trovato in uno dei progetti di legge all'esame, sembra interessante e vale forse la pena di affiancarla al contenuto di altre proposte.
Sul terzo vagone di questo convoglio, credo vi sia l'unica nota, se ho capito bene, di parziale divergenza rispetto a quanto sostenuto da Gianfranco Pasquino. Mi riferisco al tema delle primarie, a cui credo bisognerebbe fare riferimento all'interno di una legge organica, anche se non saprei dire a che livello di dettaglio.
Sappiamo bene che fino adesso questo lavoro di normazione è stato fatto soltanto a livello regionale e soltanto in una regione. Probabilmente, una sanzione forte per i partiti che non scelgono le primarie, come la diminuzione del 50 per cento dei rimborsi prevista in uno dei progetti qui discussi, è eccessiva. Tuttavia trovo che l'elemento sia rilevante e possa essere inserito in una legge di disciplina organica sui partiti, come un incentivo forte ad usare le primarie «certificate» dalla legge,


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almeno per la selezione delle candidature ad alcune cariche monocratiche importanti.
Viceversa trovo ancora lontano, ma molto interessante, il tema delle fondazioni politico-culturali che, in questo momento, vedo come un vagone posto su un altro binario normativo, ma che deve essere sicuramente oggetto di discussione parallela da parte di questa Commissione. Lo stesso vale per altri temi. In particolare, mi rifaccio a quanto ho letto soprattutto nel progetto di legge Turco ed anche in altri documenti, ossia la proposta di un testo unico in materia di finanziamento. Questi sono infatti gli altri due elementi forti sui quali vorrei continuare a parlare - non adesso, naturalmente - e che penso anche voi dobbiate tenere a mente, immaginandoli come una sorta di satellite rispetto alla legge sui partiti. L'obiettivo è importante, quindi mi rendo conto che non è così facile portare a sintesi tutto ciò. Ma in conclusione, vorrei cercare di esortare la Commissione verso questa legge organica, perché è il momento, come dicevo all'inizio, di dare un segnale importante, che vada nella direzione della rinascita della politica e non solo e non tanto dei partiti politici. Un ritorno alla politica che è ovviamente importante per il Paese.

PRESIDENTE. Ricordo che a partire dalle 11 sono previste votazioni in Aula e quindi complessivamente abbiamo quindici minuti a disposizione. Chiederei ai colleghi che si sono iscritti a parlare di limitare i loro interventi, per potere dare poi la possibilità di una breve replica ai professori.
Do quindi la parola ai deputati che intendano porre domande o formulare osservazioni.

GIANCLAUDIO BRESSA. Farò una breve domanda. Proprio all'inizio della sua comunicazione, il professor Pasquino ha detto che sarebbe quanto mai opportuna un'accurata definizione di che cos'è un partito. Il professor Verzichelli ha parlato poi di ridefinire un partito attraverso una robusta strutturazione giuridica.
Voi ritenete che in una legge organica come questa ci debba essere una definizione teorica di che cosa è un partito - e in tal caso vorrei conoscere la vostra opinione - oppure la ridefinizione del partito è frutto delle norme che lo strutturano da un punto di vista giuridico?

PIERLUIGI MANTINI. Anch'io intervengo molto brevemente. Non c'è dubbio che siamo tutti orientati a fare ora questa legge - anche perché, se non ora, quando? - però questo mi spinge a chiedervi quanto segue. Certo la politica, il suo valore, la sua dignità, il suo onore e la sua funzione sono una cosa, mentre i partiti politici sono un'altra, ma il nesso tra loro è molto stretto, in questa fase in particolare. Rispetto alla storia degli ultimi quindici o venti anni, che è stata una storia a vario titolo di destrutturazione del concetto di partito politico, per varie ragioni populiste, demagogiche, di spinta verso il bipolarismo/bipartitismo, cioè con una concezione un po' all'americana di «partito liquido», forse noi dovremmo affermare con una certa nettezza - parlo di un incipit, di un'impostazione - la strada contraria, perché altrimenti non ne usciremo granché.
Noi siamo in un guado, naturalmente i partiti di massa di tipo storico non sono più possibili - anche per fortuna, per certi versi - però non sono possibili neanche il partito iperliquido, il comitato, il modello delle primarie, la leadership carismatica e via dicendo. Non sarebbe adatto un modello di partito per cui l'articolo 49 - per rifarmi a quanto affermato in audizione dal professor Lanchester in termini molto chiari - declinerebbe verso l'articolo 18 della Costituzione, rendendo cioè i partiti delle pure associazioni private, con quel che ne consegue in termini di negazione del finanziamento meramente privato.
Dovremmo forse puntare - lo dico in forma di domanda - verso un modello un po' più tedesco, un po' più partito-istituzione, il che non significa tornare ai vizi della partitocrazia, perché questa è tutt'altra questione. In questa logica è fondamentale la questione del finanziamento,


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da affrontare non già tornando all'ipocrisia - rispetto al referendum - del rimborso spese, ma affermando il concetto di un finanziamento pubblico che vada ai partiti con uno statuto riconosciuto, delle regole, dei principi democratici interni e via dicendo, sia pur nell'ambito di una legge che, a mio avviso, deve essere soft, fatta di soli principi e quindi non sovraccaricata di soluzioni inerenti le primarie o i giovani, com'è emerso anche dalle audizioni dei vostri colleghi; non si tratta solo di una mia opinione. Una legge chiara di principi, quindi, la cui impostazione sottolinei però la dimensione pubblicistica dei partiti. Su questo mi ricollego anche alla domanda tecnica del collega Bressa, perché dobbiamo capire anche che tipo di istituzione sarebbe questo partito, se un ente o cos'altro.
Da questo punto di vista, la mia ultima e precisa domanda è questa: in tale logica, non vedreste l'idea di un finanziamento di tipo regionale, cioè un cofinanziamento di questo partito-istituzione non più centralizzato nelle casse non solo di un solo tesoriere - con riferimenti alle cronache - ma nemmeno di un solo gruppo o di una sola leadership nazionale? Oggi il problema del ricambio delle leadership e della contendibilità democratica dei partiti è infatti legato all'esistenza di un gruppo dotato di soldi e potere sulla comunicazione. Nella logica pubblicistica, il finanziamento dovrebbe a mio avviso seguire un modello di tipo - non uso la parola «federale» perché non mi è mai piaciuta e non appartiene al mio lessico - regionale, comunale, statale e via dicendo. Questo è un aspetto fondamentale, nella logica a cui ho accennato.

SALVATORE VASSALLO. È già capitato che gli esperti che abbiamo audito abbiano sottolineato alcuni punti, che evidentemente dobbiamo noi stessi approfondire. Uno di questi è la definizione di partito che dovrebbe essere contenuta in una disciplina legislativa che attui l'articolo 49 della Costituzione.
Dalle discussioni emerse mi viene il dubbio - ma sottopongo questo interrogativo ai nostri ospiti - che rischiamo di dare un obiettivo improprio a questa definizione, nel senso che forse non è necessario pretendere di dare una definizione ontologica, prescrittiva o descrittiva dei partiti. Dobbiamo identificare le funzioni pubbliche che specificamente svolgono le organizzazioni che definiremo partiti, in ragione delle quali attribuiamo a questi soggetti delle particolari prerogative, la principale delle quali è sostanzialmente il finanziamento pubblico. Riconoscimenti pubblici che condizioniamo dunque ad un set di vincoli regolativi. La mia domanda è dunque se sia proprio necessario che noi diamo una definizione di che cos'è o dovrebbe essere il partito politico. Dovremmo forse invece capire quali sono le funzioni pubbliche svolte solo dalle organizzazioni che denominiamo partiti, in ragione delle quali questi soggetti si vedono quindi attribuiti una serie di prerogative, a condizione che si sottopongano a certi vincoli regolativi. Nella definizione più largamente condivisa, la funzione pubblica che differenzia i partiti rispetto agli altri soggetti è che essi si presentano alle elezioni. Il punto è quindi stabilire quali prerogative attribuiamo a quelle organizzazioni politiche che si presentano alle elezioni e a quali vincoli le sottomettiamo, se vogliamo riconoscere loro queste prerogative. In altri termini, alla fine dei conti, se non capisco male, il vero problema è stabilire quali siano le condizioni che questi soggetti devono rispettare per potersi candidare oppure anche per ottenere il finanziamento pubblico.
Il mio quesito diventa dunque molto più specifico: secondo voi, in una disciplina dei partiti politici, i requisiti stabiliti a garanzia della loro democraticità interna devono essere fatti valere per tutti quelli che si candidano alle elezioni o solo per quelli che, avendo dimostrato una certa stabilità e di svolgere questa funzione in maniera continuativa, accedono al finanziamento pubblico? Le proposte di alcuni di noi inclinano infatti sul primo versante, però all'inizio c'è stato un accenno del professor Pasquino, che condivido, secondo cui non necessariamente dobbiamo


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regolare e definire come partiti tutti quelli che, in un qualche momento, decidano di candidarsi alle elezioni. Vi sottopongo dunque la questione se questo problema della definizione non possa essere ridefinito in questi termini, dal punto di vista giuridico, e quale sia quindi, secondo voi, la funzione pubblica in relazione alla quale i partiti devono essere regolati.

MARIO TASSONE. Il professor Verzichelli ha fatto riferimento al ruolo dei partiti rispetto al governo, evidenziando una differenza tra il governo tecnico di oggi e il governo espresso dai partiti di ieri, nella fase precedente della Repubblica. Si è parlato - anche i colleghi intervenuti - di natura dei partiti, fisionomia dei partiti, partiti come istituzioni, enti e quant'altro.
Non vi sembra che tutto questo sia in parte condizionato dal sistema elettorale o dal suo rinnovo, poiché esso influisce sulla forma dei partiti, su che cosa sono, sul collegamento tra loro e sul loro ruolo?
Noi stiamo cercando ora di insistere sull'articolo 49 della Costituzione, attraverso una sua regolamentazione. Nei primi anni della Repubblica, soprattutto negli anni '60 e '70, si parlò molto degli articoli 39 e 40 della Costituzione. Soprattutto per quanto riguarda il 40, sul diritto di sciopero, che doveva essere regolato con legge. In parte la questione si è poi risolta perché i sindacati - attraverso gli accordi, i contratti collettivi e quant'altro - sono praticamente diventati un'altra Camera di fatto, in materia di lavoro.
Vi chiedo infine una parola e una valutazione sul taglio dei parlamentari. Taglio lineare? Ruolo dei parlamentari? Rapporto diverso col territorio?

PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica.

GIANFRANCO PASQUINO, Professore ordinario di scienza politica presso l'Università di Bologna. Prima ho cominciato a parlare senza neanche ringraziarvi per l'invito, dunque lo faccio ora. Sono contento di poter interloquire con parlamentari che si occupano di questa tematica molto rilevante.
Sul taglio del numero dei parlamentari lascio la parola al professor Verzichelli, quindi da questo tema esco subito, mentre invece torno sul tema dei partiti, di che cosa sono e di che cosa bisogna fare rispetto a loro.
Ho letto secondo una delle proposte di legge - credo quella dell'onorevole Castagnetti - basterebbero tre persone per poter costituire un partito: francamente mi pare una definizione non utilizzabile, che vorrei non usaste.
Preferirei definire i partiti con riferimento a quello che fanno, cioè operando l'importante e grande distinzione tra le funzioni e la struttura. Io vorrei si finanziassero le funzioni. I partiti offrono delle alternative elettorali e dunque hanno diritto ad essere considerati tali e ad essere finanziati perché offrono alternative elettorali, offrono qualcosa all'elettorato, al sistema politico. Siamo sicuri che senza i partiti non avremmo una democrazia. Potremmo anche giungere, per caso, a qualcosa che vi assomigli, ma sarebbe certamente di bassissima qualità.
La mia definizione di partito è dunque legata alla presentazione di alternative elettorali. Dopodiché si apre però il problema - sul quale forse si potrebbe discutere, non adesso certamente - del livello a cui queste alternative elettorali devono essere offerte, perché potrebbe darsi che una serie di liste civiche si colleghino fra di loro e che si presentino a livello comunale. Stabilire che riteniamo partiti quelle organizzazioni che offrono alternative elettorali a livello nazionale è però una decisione politica. Se scendiamo al livello regionale, a cui ci suggeriva di guardare l'onorevole Mantini, abbiamo naturalmente di fronte una scelta fattibile, che credo sarebbe ancora più efficace se davvero il livello regionale avesse maggiore rilievo di quello che ha attualmente.
Non vorrei neanche che si incoraggiasse la comparsa di nuovi partiti. Quindi sarei dell'idea di essere rigorosi sulle funzioni e di essere ugualmente rigorosi nel non


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finanziare le strutture; spero che voi non vogliate farlo, e personalmente non lo desidero. Vorrei cioè che le strutture venissero finanziate, a loro volta, da coloro che fanno politica all'interno dei partiti. Esistono molte modalità per farlo e, fra l'altro, immagino che già parecchi di voi stiano cedendo al proprio partito, per finanziarne la struttura, una parte della loro indennità.
In questo caso potrebbe essere utile riflettere sul sistema elettorale, perché se si optasse per un sistema elettorale maggioritario in collegi uninominali, allora io investirei sul candidato e, a quel punto, sul parlamentare.
Una leggera perplessità farà inevitabilmente la sua comparsa riguardo a cosa fare delle liste civiche. Se mai ci fosse una lista civica a livello nazionale, il che cosa farne diventerà un problema politicamente rilevante, in una fase di destrutturazione del sistema dei partiti che mi pare tuttora in corso.

LUCA VERZICHELLI, Professore ordinario di scienza politica presso l'Università degli studi di Siena. Visto che il professor Pasquino ha annunciato che avrei risposto io sul taglio del numero dei parlamentari, mi «imbonisco» subito la Camera dicendo che, in effetti, un paio di anni fa ho scritto che basterebbe fare una Camera delle Regioni o un Senato federale - ma quella è un'altra storia, un'altra riforma - con 100 membri e lasciare una Camera abbastanza numerosa, ma capisco che avrei dei problemi a dirlo ai senatori...
A parte gli scherzi, credo che il taglio sul numero complessivo sia necessario. Tuttavia, mi ripeto, quella è un'altra storia che deve considerare il «confezionamento costituzionale» che si intende raggiungere. Sicuramente lascerei in agenda questo tema, così come la questione del finanziamento, anche se le risposte su questi punti sono in parte un corollario di quella sulla definizione di partito. Insomma, vedo la disciplina generale sui partiti e le norme sul finanziamento su due strade parallele che potrebbero essere anche collegarsi, ma di nuovo, il problema qui sembra soprattutto a livello di drafting legislativo e di tempistica, ed è un problema che lascio quindi a voi e ai vostri esperti ed agli uffici.
Sul modello di finanziamento sono d'accordo con l'osservazione dell'onorevole Mantini: rimanere vincolati all'aspetto del rimborso, almeno per come è nato e come si è sviluppato in questi ormai quasi vent'anni, è sostanzialmente un'ipocrisia. Temo sia un po' difficile, in questo momento, uscire con un terzo modello, che non può essere la rivisitazione del modello del 1974. Credo che mettersi su questa strada significhi investire molto tempo e anche assumersi dei rischi, da un punto di vista politico, perché qualsiasi modello diverso dal rimborso elettorale è difficilmente comprensibile da parte dell'opinione pubblica. Si può però avviare un ragionamento su questo se - e di nuovo bisogna vedere quale veste dare alle altre riforme - si introduce il livello federale o regionale. Riportare le risorse sul livello territoriale dove le organizzazioni politiche operano renderebbe più visibile i bisogni della politica e responsabilizzerebbe le strutture locali dei partiti «federali». Fino ad ora non ho però visto su questo dei grandi passi in avanti.
Vengo alla questione della definizione di partito, che vorrei affrontare in modo molto «laico». Ci sono buone ragioni per «tipicizzare» un poco di più, rispetto a quanto ho visto nei vari progetti, ma rimango dell'idea che è preferibile una definizione basata essenzialmente sull'idea di uno statuto minimamente tipicizzato - ciò che ho visto nelle varie buone definizioni contenute nelle proposte in esame - secondo cui, in sostanza, i partiti sono associazioni riconosciute, con personalità giuridica e con l'obbligo di alcuni basilari elementi statutari. Poi si potrebbero aggiungere gli altri due «vagoni», come li ho chiamati, restando su una definizione generica di cosa sono i partiti, ma insistendo molto sulle loro funzioni. A questo punto potremmo probabilmente avere una legge organica non particolarmente rigida, come ho sentito anche negli interventi di alcuni deputati. Io terrei anche alla regolazione


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delle primarie, che per me sono un modo di tenere assieme il problema della selezione della classe politica, ma non andrei oltre.
Naturalmente - e qui mi ricollego a quanto diceva Gianfranco Pasquino - andando verso una definizione più stretta, sarà necessario tenere in considerazione la possibilità di avere più livelli di organizzazione: un primo livello, il partito, accederebbe all'intero schema previsto dalla legge per questo tipo di ente riconosciuto (compreso il finanziamento pubblico) mentre un secondo livello potenziale, l'associazionismo non partitico, potrebbe rappresentare una seconda figura capace di formare liste, senza rientrare nella definizione e quindi senza essere registrato come vero partito. Rimango però dell'idea che probabilmente una legge organica potrebbe essere costruita su una definizione più laica possibile, stando anche a quello che ho riscontrato nei progetti di legge all'esame.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Pasquino e il professor Verzichelli. Se riterranno opportuno trasmettere una nota scritta integrativa alla Commissione, sarà cosa gradita.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 11.

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