Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Strumento di esplorazione della sezione Lavori Digitando almeno un carattere nel campo si ottengono uno o più risultati con relativo collegamento, il tempo di risposta dipende dal numero dei risultati trovati e dal processore e navigatore in uso.

salta l'esplora

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Torna all'elenco delle indagini Torna all'elenco delle sedute
Commissione I
1.
Mercoledì 11 febbraio 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Bruno Donato, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE PROBLEMATICHE RELATIVE AL DISTACCO DI COMUNI DALLA REGIONE MARCHE E ALLA LORO AGGREGAZIONE ALLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA

Audizione del professor Massimo Luciani e del professor Tommaso Frosini:

Bruno Donato, Presidente ... 3 9 17
Santelli Jole, Presidente ... 20
Amici Sesa (PD) ... 16
Bernini Bovicelli Anna Maria (PdL) ... 9
Calderisi Giuseppe (PdL) ... 10 16
Dussin Luciano (LNP) ... 8
Favia David (IdV) ... 7
Frosini Tommaso, Professore ordinario di diritto pubblico comparato ... 9 10 13 18 20
Giovanelli Oriano (PD) ... 17 20
Luciani Massimo, Professore ordinario di diritto costituzionale ... 3 7 8 9
Pini Gianluca (LNP) ... 14
Pizzolante Sergio (PdL) ... 15
Vassallo Salvatore (PD) ... 15
Vannucci Massimo (PD) ... 14
Zaccaria Roberto (PD) ... 7 10 13

Audizione di rappresentanti dell'ANCI, dell'UPI e della Lega delle autonomie:

Santelli Jole, Presidente ... 21 26 27
Calderisi Giuseppe (PdL) ... 23 26
De Lucia Luca, Rappresentante della Lega delle autonomie ... 21 22 26 27
Marchioni Elisa (PD) ... 24
Pini Gianluca (LNP) ... 23
Pizzolante Sergio (PdL) ... 22 24 26
Pruccoli Giorgio, Rappresentante dell'ANCI ... 22
Vannucci Massimo (PD) ... 22 25 26
Volpi Raffaele (LNP) ... 23
Zaccaria Roberto (PD) ... 25
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

COMMISSIONE I
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 11 febbraio 2009


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATO BRUNO

La seduta comincia alle 14,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna, sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del professor Massimo Luciani e del professor Tommaso Frosini.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle problematiche relative al distacco di comuni dalla regione Marche e alla loro aggregazione alla regione Emilia-Romagna, l'audizione del professor Massimo Luciani e del professor Tommaso Frosoni, che ringrazio per aver accettato il nostro invito.
L'indagine conoscitiva rientra nell'ambito dell'esame delle proposte di legge n. 63 d'iniziativa del deputato Pizzolante e n. 177 d'iniziativa del deputato Pini, concernente il «Distacco dei comuni di Casteldelci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, San Leo, Sant'Agata Feltria e Talamello dalla regione Marche e loro aggregazione alla regione Emilia-Romagna, ai sensi dell'articolo 132, secondo comma, della Costituzione».
La presente audizione è motivata anche dal fatto che stiamo discutendo, con l'esame di una specifica proposta di legge costituzionale, la modifica dell'articolo 132 della Costituzione. Dunque, avevamo piacere di sentire in merito gli esperti, ritenendo che nessuno più di voi possa illuminare i lavori della nostra Commissione.
Do la parola al professor Luciani.

MASSIMO LUCIANI, Professore ordinario di diritto costituzionale. Ringrazio la Commissione, nella persona del suo presidente, per avermi nuovamente onorato della pazienza di ascoltarmi su un tema di particolare interesse e delicatezza, qual è quello del distacco dei comuni. Ringrazio, inoltre, il presidente di avermi consentito di parlare per primo.
Ho predisposto solo alcuni appunti, dunque perdonerete l'andamento un po' casuale della mia esposizione.
Se non ho male interpretato l'oggetto di questa audizione, la questione che interessa la Commissione sembrerebbe duplice: da un lato, l'inquadramento nella disciplina costituzionale vigente delle due proposte legislative di attuazione dell'articolo 132 - che sono pendenti e per le quali c'è già un testo unificato redatto dal relatore - e, dall'altro, l'intreccio con le prospettive di riforma dell'articolo 132, essendo pendente una proposta di legge di revisione costituzionale.
Muoverei dalla prima questione, quella dell'inquadramento nella normativa vigente. Un primo interrogativo è sollecitato dall'articolo 45, quarto comma della legge n. 352 del 1970, il quale afferma che l'iniziativa, per le leggi di contenuto analogo a quelle che stiamo commentando, spetterebbe al Ministro dell'interno, che dovrebbe presentare un disegno di legge entro 60 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del risultato del prescritto referendum.


Pag. 4


Ovviamente, questo si riferisce sia al disegno di legge costituzionale sia al disegno di legge ordinaria di cui all'articolo 132 della Costituzione.
Nella fattispecie, le iniziative legislative attualmente in discussione non vengono dal Ministro dell'interno, ma da due parlamentari, gli onorevoli Pizzolante e Pini (Atto Camera 63 e 177). Dunque, ci si può chiedere se il procedimento previsto per il distacco dei comuni da una regione all'altra sia stato effettivamente rispettato. Queste previsioni normative che ho rapidamente indicato prima sono contenute in una legge ordinaria, che però è intesa come legge di sistema, che regola complessivamente il processo di trasformazione della consistenza territoriale delle regioni.
Come è noto, una parte della dottrina ritiene che le leggi ordinarie di sistema, che regolano i successivi procedimenti legislativi, ossia che costituiscono una normativa sulla produzione legislativa, debbano essere osservate dalle leggi e dagli atti con forza di legge che sono tenuti a osservare quel procedimento. Ci sono anche esempi di rinvio presidenziale delle leggi che hanno assunto proprio l'inosservanza della legge n. 400 del 1988, che disciplina i poteri normativi del Governo, quale ragione di perplessità nella promulgazione di una legge di conversione.
Un'altra parte della dottrina, invece, afferma sostanzialmente il contrario.
A mio avviso, la posizione più equilibrata, trascurando la questione degli atti con forza di legge - perché qui siamo di fronte ad una legge - è quella che non ravvisa nell'inosservanza delle leggi ordinarie sulla produzione legislativa un vizio di costituzionalità, ma avverte che questa inosservanza può essere assunta come un dato rilevante nel successivo scrutinio di costituzionalità, ove vi fosse.
Nel caso di specie, tuttavia, la sostituzione dell'iniziativa governativa con quella parlamentare mi pare che non abbia un particolare significato dal punto di vista dell'apprezzamento della costituzionalità della legge. Quello che conta - sul punto tornerò in seguito, perché credo che sia la questione forse più interessante - è che il Parlamento eserciti la propria valutazione politica sull'ipotesi di distacco. Se il Parlamento fa questo, la provenienza dell'iniziativa, tutto sommato, interessa molto poco.
Per giunta, la dottrina più convincente ha rilevato che, per questa parte, la legge n. 352 del 1970 sarebbe addirittura sospetta di illegittimità costituzionale, perché affida l'iniziativa legislativa ad un soggetto che non è previsto dall'articolo 71 della Costituzione e nemmeno dalle leggi costituzionali.
Detto questo, vengo alla questione della valutazione politica del Parlamento, alla quale ho accennato pochi istanti fa. A questo proposito, mi permetto di manifestare un dissenso rispettoso dalla tesi, pure accennata nei lavori parlamentari, che un'iniziativa legislativa successiva a un referendum popolare approvativo del distacco costituisca un atto dovuto. Ritengo che ciò non sia convincente per ragioni testuali e sistematiche.
Dal punto di vista testuale - questo è un dato che mi pare sia stato raramente osservato in dottrina, ma che ritengo inconfutabile - bisogna ricordare che sia il primo sia il secondo comma dell'articolo 132 configurano il referendum popolare come atto di approvazione, in quanto parlano di «approvazione popolare». La legge ordinaria prevista dal secondo comma dell'articolo 132 si sovrappone a questo atto di approvazione. Dunque, è bene chiedersi che cosa si intenda qui per «approvazione» e quale sia il rapporto tra legge e referendum.
A mio avviso, ciò è chiarito dalla XI delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione, nella quale si stabilisce che fino a cinque anni dall'entrata in vigore della Costituzione «si possono, con leggi costituzionali, formare altre regioni [...] fermo rimanendo tuttavia l'obbligo di sentire le popolazioni interessate».
Dal momento che, nel passaggio immediatamente precedente, la XI disposizione transitoria ha richiamato testualmente l'articolo 132, ciò vuol dire che quel referendum serve per «sentire» le popolazioni


Pag. 5

interessate. Quindi, il referendum non ha una caratura decisoria, ma è sostanzialmente consultivo. Il «sentire le popolazioni interessate» di cui parla la XI disposizione transitoria e finale si riferisce, evidentemente, proprio a quel referendum previsto dall'articolo 132.
Aggiungerei inoltre che, sebbene negli atti della Costituente non ci sia una manifestazione univoca di volontà dei costituenti in questo senso, almeno un intervento di Ambrosini, molto autorevole, si muoveva in questa direzione. Aggiungo anche che la dottrina ha rilevato che l'articolo 132, comma secondo, presenta dei problemi di coordinamento con l'articolo 131 e con gli articoli 56 e 57. Ciò perché il distacco dei comuni da una regione all'altra per un verso altera l'identità territoriale delle regioni - questo il problema di rapporto con l'articolo 131 - e, per altro verso, determina fatalmente l'alterazione dei collegi senatoriali e delle circoscrizioni elettorali nelle due regioni interessate (oltre che, ovviamente, le circoscrizioni provinciali, ma ciò ci interessa meno in questa sede) e può addirittura comportare, teoricamente, una riduzione o un aumento del numero dei seggi assegnati.
Infine, ricordo che la Commissione parlamentare per le riforme costituzionali - il cui lavoro è stato trasfuso ampiamente nella legge costituzionale n. 3 del 2001, che ha modificato l'articolo 132, comma secondo, che è quello che applichiamo oggi - aveva previsto, inizialmente, addirittura la legge costituzionale anche per il semplice distacco dei comuni (non si può pensare ad un atto dovuto, evidentemente, per una legge costituzionale).
Tutto questo dimostra come, a mio sommesso parere, la legge del Parlamento non si possa ritenere atto doverosamente consequenziale al referendum popolare, il quale mantiene la sua natura tipicamente consultiva. Spetta alle Camere, appunto, l'apprezzamento dell'interesse generale e la valutazione delle conseguenze del distacco, nell'ambito di un procedimento che, più che pluralistico, nel senso c'è molto apporto di soggetti vari, definirei plurifasico, cioè prevede più fasi distinte, una delle quali vede l'intervento del Parlamento, e la legge quale atto finale e logicamente decisorio.
Se non ho male interpretato, e se così fosse me ne scuso, anche nella discussione interna alla Commissione mi sembra che questa posizione sia stata sostenuta, implicitamente o esplicitamente, negli interventi dell'onorevole Giovanelli, nella seduta del 13 gennaio, e dell'onorevole Bernini Bovicelli nella seduta del 27 gennaio.
Non si potrebbe obiettare che i referendum hanno sempre una sostanza decisionale, una debordante valenza decisionale, e che non possono essere ridotti a mere consultazioni, perché questo non è comprovato dal diritto comparato e, a mio avviso, non è logicamente corretto. Ho cercato di dimostrarlo in sede scientifica, ma non è certo mia volontà tediare la Commissione con considerazioni eccessivamente prolisse.
Va da sé, comunque, che evidentemente il principio democratico impone un'adeguata considerazione della volontà popolare per come manifestata in via referendaria, ma l'apprezzamento politico generale spetta al Parlamento.
Un'ultima considerazione su questo punto riguarda le modalità della decisione parlamentare. Ferma restando la sovranità delle Camere in ordine alla decisione da assumere - sì o no - il principio di certezza, che è stato affermato da una consolidata giurisprudenza costituzionale, suggerirebbe una pronuncia parlamentare esplicita, più che l'ipotesi, che era stata prospettata in dottrina, di lasciare, nell'eventualità di un dissenso, il disegno di legge quiescente.
Resta la questione delle concrete previsioni regolative del distacco, contenute nella proposta di testo unificato del relatore.
Metterei in luce alcuni problemi applicativi. Il primo riguarda la previsione di un commissario statale per curare gli adempimenti necessari al distacco: articolo 2, comma 1, del testo unificato del relatore. Com'è noto, l'articolo 117, comma secondo, lettera p) della Costituzione riserva


Pag. 6

allo Stato solo la disciplina degli organi di governo e delle funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane. Quindi, si potrebbe anche dubitare della legittimità di questa previsione. Tuttavia, a mio avviso, l'intervento di un organo statale sembra comunque necessario, visto che il distacco incide, effettivamente, anche su attribuzioni statali. Il dubbio sul ruolo del commissario si potrebbe risolvere prevedendo l'intesa con le regioni interessate come un meccanismo necessario e non come una mera eventualità, perché il meccanismo dell'intesa potrebbe anche valere a superare le inerzie eventualmente determinatesi nel corso del procedimento. In tal modo, si applica il principio di leale collaborazione che è stato stabilito più volte dalla Corte costituzionale.
Inoltre, occorrerebbe una precisazione - questa è forse la questione più delicata - in ordine ai poteri del commissario, in particolare in riferimento all'autonomia costituzionalmente garantita ai comuni dall'articolo 118 della Costituzione. Forse una previsione di salvaguardia dell'autonomia comunale e di delimitazione dei poteri commissariali sarebbe effettivamente auspicabile. Quindi, in conclusione su questo punto, l'intervento di un commissario statale sembrerebbe necessario per l'intreccio di competenze che si determina fatalmente in un caso così delicato, ma sarebbe opportuno che il legislatore ordinario, attuando l'articolo 132, delimitasse accuratamente i poteri del commissario, allo scopo di evitare successive censure di legittimità costituzionale radicate nell'ipotetica violazione dell'articolo 118.
Un altro problema è quello della ridefinizione del collegi senatoriali e delle circoscrizioni elettorali. Come è noto, tanto il Testo unico del 1957, per la Camera, quanto il decreto legislativo n. 533 del 1993 per il Senato prevedono che l'assegnazione territoriale dei seggi sia effettuata con un decreto del Presidente della Repubblica che è contemporaneo al decreto di convocazione dei comizi elettorali. Quindi, si dovrebbe attendere quel momento per operare la ridefinizione.
Anche se mi rendo conto di uscire dal campo che mi spetta, ossia quello della legittimità costituzionale, e di invadere il terreno dell'opportunità, ritengo che l'eccezionalità di questa vicenda e ragioni di adeguata pubblicità e certezza - mi permetto di osservarlo soltanto perché c'è sotto la certezza quale valore costituzionale - forse suggerirebbero di anticipare la ridefinizione degli ambiti territoriali, fermo restando l'aggiornamento secondo le procedure usuali, quindi con il decreto del Presidente della Repubblica da intervenire al momento della convocazione dei comizi.
Infine vengo alla questione dell'intreccio del procedimento legislativo che stiamo commentando con l'ipotesi di una revisione dell'articolo 132 della Costituzione.
Su questo punto, trattandosi di questioni che attengono all'esercizio del potere di revisione costituzionale, mi posso limitare soltanto a esprimere brevi osservazioni. Nel testo attualmente disponibile, la proposta di legge costituzionale n. 1221 si ispira ad una logica molto diversa da quella dell'attuale articolo 132, soprattutto per come interpretato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 334 del 2004, in particolare per quanto concerne l'ampliamento delle popolazioni da consultare. Questa considerazione induce a rafforzare il convincimento, che ho manifestato prima, sul ruolo della legge ordinaria nel procedimento.
Specialmente in questa fase di transizione - o forse dovrei dire di eventuale transizione, perché ovviamente non sappiamo se poi vorrete approvare la legge costituzionale - ancora di più la legge ordinaria ha la funzione di apprezzamento dell'interesse generale e di considerazione anche delle posizioni di tutti gli interessi territoriali coinvolti.
In conclusione, mi rendo conto che la Commissione ha davanti una questione di estrema delicatezza perché, anche se siamo nel 2009, ci troviamo di fronte a una novità. Questa novità deve essere


Pag. 7

accuratamente normata, proprio nel momento in cui si agisce con la legge ordinaria prevista dall'articolo 132.

DAVID FAVIA. Professor Luciani, lei ha parlato della legge ordinaria sul referendum e ha raggiunto la conclusione che questa legge preveda un referendum consultivo. Argomentando a contrariis, se si volesse sostenere che questo referendum, invece, fosse vincolante, potrebbe dirsi che questa legge ordinaria, confliggendo con la Costituzione, è incostituzionale?

MASSIMO LUCIANI, Professore ordinario di diritto costituzionale. Se non ho male interpretato il quesito, il punto è questo, ossia se la ricostruzione del referendum previsto dall'articolo 132 ha una funzione decisoria oppure no.
Da questo punto di vista, mi pare che la risposta al quesito venga a priori dallo scioglimento di questo nodo problematico. Il referendum, in questo caso, non può avere una funzione decisoria perché il procedimento è plurifasico, proprio perché è prevista la legge del Parlamento e non c'è traccia, in Costituzione, nemmeno nei lavori preparatori, di un vincolo per il legislatore ordinario.
Quindi, un'eventuale pronunzia negativa non sarebbe illegittima, tuttavia - sottolineo il fatto che ho evidenziato precedentemente - è chiaro che il legislatore, quando si trova di fronte a una manifestazione di volontà popolare, deve valutare con accorta attenzione il suo significato. Questo è evidente.
Il punto mi pare un altro: forse i vizi eventuali di legittimità costituzionale di una legge come questa si potrebbero appuntare sulle modalità concrete di attuazione. Ho cercato di mettere in luce alcuni aspetti proprio perché è estremamente delicato capire cosa succede. È facile dire che nel caso di un comune che viene distaccato da una regione e aggregato ad un'altra si tratta di un problema di transito di territori e popolazioni e che, tutto sommato, dal punto di vista fattuale non c'è un gran problema. Dal punto di vista giuridico-costituzionale, però, il problema è serio. Proprio per questo, ritengo che in quella previsione dell'articolo 2, se non ricordo male, nella quale la Commissione ha identificato un procedimento, si debba essere molto precisi nella identificazione dei poteri rispettivi, in quanto ognuno dei soggetti che intervengono in questo procedimento ha una sfera competenziale costituzionalmente garantita. A questo proposito scattano sia l'articolo 117 che l'articolo 118, ed è in questo ambito, mi pare, che i dubbi possono avere una loro sostanza.

ROBERTO ZACCARIA. Devo riconoscere che, quando si approfondiscono certi argomenti, si comprendono dei risvolti che inizialmente potevano risultare poco chiari, come è accaduto oggi discutendo questi temi alla luce della lettura dell'articolo 132.
Il dibattito che si è tenuto in questa Commissione sul tema dell'iniziativa legislativa dovuta, che naturalmente non voleva dire iniziativa legislativa esclusiva del Governo - non sarebbe pensabile, infatti, non essendo scritta in Costituzione - mi pare che volesse indicare che c'è un momento di autonomia nell'intervento legislativo, a prescindere dall'iniziativa del Governo, rispetto alle determinazioni che si realizzano con il referendum consultivo e attraverso tutte le altre fasi del procedimento (i pareri e via dicendo). Quello che mi pare chiaro - e vorrei una conferma in tal senso dal professor Luciani - è che in nessun caso il Parlamento possa essere considerato una sorta di notaio in questo procedimento, per effetto di una serie di fasi precedenti che si sono determinate. Ciò vale, paradossalmente, anche nel caso in cui i pareri delle due regioni fossero convergenti: in realtà rimane, dunque, un margine di valutazione di un livello istituzionale diverso, che deve tenere conto di una serie di profili diversi da quelli delle popolazioni interessate. I profili di queste ultime rappresentano un momento di democrazia relativa a quel luogo; esiste, poi, il momento delle istituzioni regionali, che si inseriscono con le loro valutazioni e, infine, il momento dello


Pag. 8

Stato che, in qualche modo, attraverso la sua determinazione gioca un ruolo autonomo.
Ho trovato interessanti le fasi relative alla legge, con l'intesa, i poteri del commissario e la salvaguardia delle autonomie. Questi mi sembrano punti importanti.
Sottolineo, comunque, il ruolo non notarile della legge del Parlamento, anche nell'ipotesi in cui, paradossalmente, tutte le fasi preliminari fossero convergenti.
Mi interesserebbe sentire un suo giudizio al riguardo.

MASSIMO LUCIANI, Professore ordinario di diritto costituzionale. Credo che il problema, come spesso accade, sia risolto dal testo delle norme costituzionali, che spesso è trascurato, paradossalmente, proprio dalla dottrina, che se ne interessa meno di quanto non se ne interessasse una volta. Io farei leva, dunque, sull'articolo 67 della Costituzione, sul fatto, cioè, che ciascun membro del Parlamento rappresenta la nazione. Dunque, le Camere del Parlamento sono chiamate a valutare questa tematica, così come tutte le altre, alla luce dell'interesse nazionale, e quindi dell'interesse generale, dell'intera comunità politica e dell'intera Repubblica.
Oltretutto, dopo che i rapporti Repubblica-Stato-regioni sono stati ridefiniti dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, la cosa è ancora più facile. I comuni sono considerati dalla giurisprudenza e dalla dottrina come enti a competenza generale, nel senso che curano tutti gli interessi della popolazione residente nel comune. Altrettanto si può dire per le regioni, che curano gli interessi della popolazione regionale. La sintesi, a livello nazionale, spetta alle Camere del Parlamento. Tuttavia, essa non è una indicazione semplicemente di buonsenso, ma proviene dal testo della Costituzione, e specificamente dall'articolo 67. L'articolo 132, che pure, devo dire, non sembra sia stato meditato con particolare attenzione dai costituenti originari - essi non si posero una serie di problemi circa il rapporto tra l'articolo 132, il 131 e via dicendo - tuttavia in questo è chiaro. Esso vuole fare emergere, a livello degli interessi generali, una questione che apparentemente potrebbe essere solo locale, ma non lo è, proprio in quanto coinvolge tutti quei problemi che trascendono la località del fenomeno che si sta disciplinando.

LUCIANO DUSSIN. Professore, vorrei chiederle un parere su una questione specifica. Una volta approvata la legge, non ritiene che questa figura poc'anzi citata del commissario, che dovrebbe coordinare, possa usurpare delle competenze che sono già proprie delle province? Le province, infatti, devono già coordinare le esigenze dei vari comuni.
Ovviamente, lo Stato dovrà interessarsi di questioni relative al sistema elettorale, alle nuove circoscrizioni e via dicendo. In ogni caso, ciò non dovrebbe rientrare nel compito del presunto commissario. Le chiedo, dunque, se non strida, secondo lei, questa sovrapposizione di due figure, dal momento che la provincia, secondo il mio modesto parere, dovrebbe già essere titolata a svolgere questa funzione.

MASSIMO LUCIANI, Professore ordinario di diritto costituzionale. Il suo quesito mi fa molto piacere perché mi consente di precisare qualche passaggio argomentativo del mio intervento precedente. A questo riguardo esiste, in effetti, un problema invalicabile di coordinamento, in quanto le competenze dei comuni sono costituzionalmente garantite, le competenze delle province sono costituzionalmente garantite e altrettanto lo sono quelle delle regioni.
Tuttavia, ci troviamo di fronte ad un caso affatto peculiare di un fenomeno di trasferimento di popolazioni e territori da una regione all'altra, quindi anche da una provincia all'altra. Se noi ritenessimo, dunque, che le attribuzioni costituzionali e legislative delle province si debbano salvaguardare in modo assoluto, resteremmo paralizzati, perché avremmo da una parte la provincia emiliana e dall'altra la provincia marchigiana che non potrebbero dialogare e non potrebbero, di conseguenza, decidere. Invece, un'istanza di coordinamento nazionale - mi permetto


Pag. 9

di dire, se posso manifestare una valutazione di opportunità - credo la Commissione abbia fatto bene a prevederla. Mi sono, però, preoccupato di sottolineare un punto: proprio in quanto esiste questo intreccio di sfere di competenza, la legge dovrebbe definire con grande precisione i rapporti tra tutti i soggetti.
Per questo, come dicevo, il modello dell'intesa potrebbe essere un modello da assumersi come strumento ordinario, e non da utilizzare soltanto per un'eventualità; esso dovrebbe essere assunto come lo strumento di questa vicenda di distacco e aggregazione. D'altro canto, mi sembrava molto opportuno delimitare i poteri del commissario, in modo tale, onorevole Dussin, che siano effettivamente salvaguardate le attribuzioni degli enti territoriali in gioco.
Mi sono riferito ai comuni, ma chiaramente ciò vale anche per le province. Esiste, infatti, un'attribuzione costituzionale - articolo 118 - che ovviamente deve essere rispettata.
Da questo punto di vista, quindi, la legge dovrebbe essere precisa - per quanto può essere precisa una legge che non può, ovviamente, contemplare tutti i complessi casi cui la vita pone materialmente di fronte i soggetti che dovranno procedere al distacco e all'aggregazione - nel definire i poteri rispettivi, onde evitare in futuro un eventuale contenzioso costituzionale.

ANNA MARIA BERNINI BOVICELLI. Vorrei chiedere un chiarimento circa il fatto che si debba trovare forzatamente un'intesa, anche quando questa non ci sia.
La sentenza del 2004 ha identificato diverse categorie di interesse tra le popolazioni, ossia ha valorizzato l'interesse della popolazione partente rispetto a quello della popolazione recipiente. Può, mutatis mutandis, questo principio identificato dalla stessa Corte costituzionale nell'interpretazione del dettato costituzionale, a Costituzione invariata, avere un significato?

MASSIMO LUCIANI, Professore ordinario di diritto costituzionale. L'osservazione è molto acuta. Effettivamente, l'interesse delle popolazioni «distaccate» è stato ritenuto sostanzialmente esclusivo dalla Corte, ma nel procedimento di distacco, ossia nello scegliere se distaccarsi o meno. Mi sembra di poter dire, con ragionevole certezza, che tale scelta non è di tipo decisionale ma ha una valenza consultiva.
Un conto, infatti, è dire che l'interesse è esclusivo, ossia che io assumo quella comunità politica come l'unica che può manifestare il suo avviso; altro è dire che l'altra comunità politica, quella verso la quale avviene l'aggregazione, non abbia un interesse. Al momento dell'attuazione di quella deliberazione popolare, infatti, scatta un procedimento diverso.
Proprio per questo motivo tengo a sottolineare la natura plurifasica del procedimento; questo ci consente, in qualche modo, di distinguere anche la caratura e il peso degli interessi nelle varie fasi. In questa ulteriore fase, che vede un protagonismo parlamentare e in seguito vedrà un protagonismo delle autorità amministrative, mi pare che quella sentenza della Corte, pur mantenendo certamente un grande interesse, non possa essere risolutiva proprio perché siamo in una fase distinta, nella quale abbiamo ormai passato il Rubicone - è il caso di dirlo - anche se in direzione opposta.

PRESIDENTE. Ringraziamo il professor Luciani per la sua presenza e la sua disponibilità anche ad inviarci una nota scritta.
Do la parola al professor Tommaso Frosini.

TOMMASO FROSINI, Professore ordinario di diritto pubblico comparato. Ringrazio il presidente e la Commissione per questo invito che mi è molto gradito.
Il mio compito è ora più difficile. Per dare un contributo di riflessione ai lavori parlamentari di questa Commissione, dovrò provare, infatti, a dire qualcosa di diverso rispetto a quanto è già stato detto. Cercherò, dunque, di dare un taglio differente agli argomenti affrontati dal collega Luciani, che in parte - ma non


Pag. 10

completamente - condivido. Per esempio, riguardo al referendum, permetterete che anch'io faccia, in seguito, una piccola chiosa su questo istituto a livello locale.
Vorrei, però, iniziare sottolineando che siamo in presenza di un'attuazione costituzionale, di una legge, cioè, che attua la Costituzione. Tale iniziativa mi pare, di per sé, assolutamente meritoria. Il Titolo V, infatti, è andato avanti per stop and go - in particolare l'articolo 117 è stato oggetto di continua rimeditazione da parte della Corte costituzionale - e alcune norme della Costituzione, nella parte nuova del Titolo V, non hanno ancora visto applicazione. Se oggi ci troviamo in presenza di un'applicazione di norma costituzionale è merito della Commissione, che lo ha messo all'ordine del giorno.
Direi che è compito innanzitutto del legislatore dare attuazione della Costituzione. Quindi, ben venga questa iniziativa, in quanto finalizzata ad attuare l'articolo 132.
Detto ciò, mi permetto di prendere le distanze da un'ipotesi di riforma dell'articolo 132. Innanzitutto, se si realizza una legge attuativa dell'articolo, forse potrebbero non esserci i margini per riscriverlo. Una volta messo in moto il meccanismo per avviare il procedimento di distacco e aggregazione di comuni e regioni, non vedo per quale motivo si dovrebbe poi ritornare alla norma primaria della Costituzione modificandola...

GIUSEPPE CALDERISI. Primo e secondo comma...

TOMMASO FROSINI, Professore ordinario di diritto pubblico comparato. Sì, ma in questo modo si rimescola un po' tutto il procedimento che si è avviato a seguito dell'approvazione della legge.
Inoltre, la modifica dell'articolo 132 sarebbe isolata, mentre forse - ma questa è un'opinione personale - andrebbero rivisti alcuni passaggi dell'intero Titolo V e non il solo articolo 132. Insomma, forse tale intervento andrebbe collocato all'interno di un arco normativo costituzionale più ampio, in cui, a mio avviso, si dovrebbero rivedere, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale, alcune norme della Costituzione riferite al Titolo V.
C'è, poi, un altro punto che forse non è stato toccato dal collega Luciani e che è giusto richiamare. Si applica il principio di autodeterminazione e anche questo è un profilo importante. Con l'articolo 132, infatti, viene ad essere valorizzato un principio che, per così dire, ancora si muoveva sotto terra nelle nostre istituzioni e nella concezione del costituzionalismo italiano: il principio, cioè, dell'autodeterminazione dei popoli, ossia il fatto che i popoli possono autodeterminare delle scelte che competono al loro territorio per il tramite del passaggio da un territorio ad un altro.
Si tratta, quindi, di due profili di livello costituzionale: l'applicazione dell'articolo 132 e un principio immanente alla Costituzione a seguito della valorizzazione del meccanismo regionale, quello dell'autodeterminazione.
Credo che il compito del Parlamento rispetto a questo procedimento sia di farsi garante e tutore degli interessi unitari. Il Parlamento, con la legge che consente l'avvio del processo di distacco di comuni, di province o di regioni, ha il compito di verificare se questi distacchi non minino il principio di unitarietà.
Faccio un esempio. Il caso esaminato oggi in Commissione è un caso di scuola, che non presenta molti problemi. Siamo di fronte, infatti, a comuni dell'Alta Valmarecchia che sono perfettamente confinanti con l'Emilia-Romagna, quindi il disegno del nuovo confine territoriale regionale consisterà in un semplice colpo di penna che aggregherà questi comuni. Poniamo, però, un'ipotesi diversa, che oggi ci appare fantasiosa ma che ho estrapolato da una notizia riportata su Il Giornale di stamattina: «Ora le Eolie chiedono l'annessione a Bolzano». Si tratta chiaramente di una provocazione...

ROBERTO ZACCARIA. Lampedusa l'aveva chiesta...

TOMMASO FROSINI, Professore ordinario di diritto pubblico comparato. Sì,


Pag. 11

Lampedusa. Questi sono certamente casi eclatanti, che hanno la finalità di provocare per ottenere aiuti economici, finanziamenti e quant'altro.
Però, poniamo l'ipotesi meno astratta che il comune di Latina chieda ed ottenga, per il tramite del referendum, di trasferirsi alla regione Campania. Apparentemente la cosa potrebbe non destare preoccupazioni; tuttavia, è chiaro che la collocazione territoriale del comune di Latina rispetto a quella della regione Campania determinerebbe tantissimi problemi di natura logistica, innanzitutto, ma anche rispetto alle modalità con cui una regione dovrebbe occuparsi quasi di una enclave, di un comune appartenente, la cui collocazione territoriale è, però, distante e rientra nell'ambito di un altro territorio regionale.
Quella che esaminiamo in questa sede è una situazione abbastanza pacifica; l'aggregazione dei comuni avverrebbe per il tramite di una sorta di accoglimento di questi nell'ambito della regione Emilia-Romagna. Osserviamo, ora, quali sono i problemi che pone questo testo unificato. Innanzitutto, leggendo il resoconto del dibattito che si è tenuto in Commissione, mi pare che manchi un passaggio. Come si è arrivati dalle due proposte di legge che prevedevano i decreti legislativi del Governo alla soluzione del commissario? Nei resoconti non risulta un momento in cui si fornisce chiaramente la motivazione di tale decisione...
Immagino che abbia contato l'esperienza delle istituzioni delle province. Da ultimo, infatti, la regione Sardegna ha istituito nuove province e l'ha fatto per il tramite di un commissario ad acta. Come recita la legge regionale del 2002, «entro 30 giorni la Giunta regionale nomina un commissario con il compito di curare ogni adempimento connesso alla sua istituzione fino all'insediamento degli organi elettivi». Questo, però, è un caso di ex novo, di province che dovevano nascere e venivano, cioè, ad essere create.
Qui, invece, siamo di fonte a dei comuni già esistenti, il cui passaggio da una regione ad un'altra comporta tantissimi problemi sul piano della distribuzione delle funzioni amministrative. Ne cito qualcuno, con alcuni flash. Lo statuto comunale dei comuni della Valmarecchia, come Casteldelci, Maiolo e via dicendo, certamente prevede al suo interno un riferimento alla regione Marche, prevede, cioè, alcune norme che ben si parametrano rispetto allo statuto regionale delle Marche. Il passaggio alla regione Emilia-Romagna comporterà - passi la riscrittura dello statuto comunale, che sarà fatta e la Giunta l'approverà - che tutta la normativa di cui i comuni sono oggi beneficiati, in quanto appartenenti alla regione Marche, dovrà essere rimodulata sulla base della legislazione regionale dell'Emilia-Romagna, in particolare delle funzioni che spettano a regioni in base alla competenza residuale di cui all'articolo 117. Penso, soprattutto, alle competenze provinciali, ai piani di coordinamento del territorio, alla pianificazione ambientale, alle competenze scolastiche - i licei scientifici spettano alle province, mentre i licei classici alla regione - alle competenze minerarie e via dicendo. Dunque, ci sono delle funzioni, delle attività di carattere amministrativo pienamente corrispondenti alle funzioni attinenti alle province, che dovranno essere rimodulate sulla base di una trasformazione del comune conseguente al suo passaggio dalla regione Marche alla regione Emilia-Romagna.
Uno dei punti sui quali forse converrebbe, a mio sommesso avviso, riflettere è l'istituzione del commissario in luogo dei decreti legislativi del Governo. Il poteri del commissario, come era stato detto anche prima, non sono specificati nella legge, quindi immagino che essi saranno scritti nel decreto di nomina del Ministro dell'interno, il quale nominerà il commissario affidandogli tutti i poteri e i compiti che gli spettano per dare attuazione al passaggio dei comuni da una regione all'altra. I decreti legislativi, forse, sono una fonte che, per certi versi, meglio si presta a dare razionalità all'organizzazione amministrativa.
L'altro aspetto, sul quale era stata sollecitata una mia riflessione, è quello che il


Pag. 12

testo unificato di legge prevede al comma 5 dell'articolo 2, ossia il problema elettorale. A questo proposito, voglio soltanto sottoporre alcuni problemi derivanti dalla possibile applicazione di questa norma, che individua come termine il 5 aprile, perché le elezioni sono a giugno e occorrono, appunto, due mesi per consentire la riscrittura delle liste elettorali, ossia tutta quella legislazione elettorale di contorno che servirà a permettere ai cittadini di questi comuni di eleggere i rappresentanti delle province.
Faccio notare, però, che a giugno si vota anche per le elezioni europee e che l'Emilia-Romagna rientra nel collegio nord orientale, mentre le Marche rientrano nel collegio Italia centrale. Stiamo parlando di 16 mila elettori, che costituiscono un pacchetto molto modesto rispetto ai numeri delle elezioni europee, ma che rappresentano, in ogni caso, un contributo importante in termini elettorali, a prescindere dalla quantificazione. Ora, se questa legge dovesse entrare in vigore prima del 5 aprile - a parte le questioni attinenti alla formazione dei consigli provinciali di Rimini, Pesaro e Urbino, sui quali dirò qualcosa subito dopo - si pone un problema di coordinamento rispetto alle elezioni europee, dal momento che gli elettori di questi comuni si troverebbero a dover votare per il collegio Italia nord orientale piuttosto che per quello Italia centrale. Ciò va sistemato nei termini e nei tempi giusti per consentire ai cittadini di esplicitare un diritto costituzionale quale quello del voto.
Vengo ai problemi ipotetici derivanti dalla formazione dei consigli provinciali di Pesaro e Urbino da una parte e di Rimini dall'altra. Ora, se la legge dovesse entrare in vigore, faccio un esempio, tra un mese, nulla quaestio, la data del 5 aprile è perfetta. Se, invece, ci fossero problemi sulla tempistica dell'entrata in vigore, un'ipotesi di rischio potrebbe essere quella di privare questi elettori di una loro rappresentanza. Infatti, nel frattempo verrebbe ad essere formato il consiglio provinciale di Rimini e loro sarebbero, invece, costretti a votare ancora per quello di Pesaro e Urbino. Nel frattempo, entrata in vigore la legge, i comuni verrebbero aggregati alla regione Emilia-Romagna, aderendo in tal modo alla provincia di Rimini, ma dal punto di vista rappresentativo sarebbero collegati alla provincia di Pesaro Urbino. Si verificherebbe, per così dire, una sorta di «strabismo» elettorale nel senso che, dal punto di vista della rappresentanza, gli elettori non si vedrebbero proiettati nel consiglio provinciale della provincia della quale, grazie ad una legge del Parlamento, sono entrati a far parte. Al contrario, essi sarebbero rappresentati in consigli provinciali di cui ormai non sarebbero più parte, dal punto di vista territoriale e amministrativo. Questi sono i problemi sui quali, a mio parere, occorre appuntare una riflessione.
Il collega Luciani accennava, giustamente, al problema del coordinamento, dal momento che sono presenti in campo diversi soggetti: il commissario, le regioni, le province e, semmai, anche l'assemblea dei sindaci, ove costituita, e via dicendo. Tutto ciò va bene, a patto che ci sia un coordinamento. Cosa accade, però, in sua assenza? Cosa accade se si blocca l'azione amministrativa? In questa eventualità può ricorrere il potere sostitutivo. Cito l'articolo 8 della legge n. 131 del 2003, nota come legge La Loggia, che prevede il potere sostitutivo del Governo e che, a mio avviso, potrebbe essere applicato nel caso specifico, per dare attuazione completa al processo di integrazione e aggregazione.
In conclusione, vorrei fare una brevissima osservazione sulla questione del referendum. Io credo che questo referendum, proprio perché si innerva in una nuova concezione che parte dal principio di autodeterminazione, abbia un valore fondamentale, non so se sul piano giuridico - secondo me, anche - ma di sicuro su quello politico. Si tratta, infatti, di un referendum dal cui esito dipende la procedimentalizzazione del processo di aggregazione-distacco. Se tale esito è negativo non si può procedere, ma se l'esito è positivo esso dà avvio al procedimento. Difatti, è proprio il referendum, la sua natura vincolante, a dare o meno avvio a quel procedimento che culmina e si conclude


Pag. 13

in sede parlamentare. Tuttavia, senza l'esito favorevole ciò non sarebbe possibile. Il Parlamento non è messo in condizione di operare un distacco-aggregazione, perché tutto dipende dal risultato del referendum, sia esso negativo o positivo. Quindi, la natura del referendum ha un peso e una rilevanza notevolissima, dal momento che è esso a «dare l'input al procedimento legislativo» (lo dico tra virgolette ai fini della resocontazione, non vorrei essere bocciato all'esame di diritto costituzionale!).
È chiaro, insomma, che senza il referendum non si può dare avvio al procedimento legislativo, dunque esso dovrà pur avere una funzione maggiormente qualificante e determinante piuttosto che una natura meramente consultiva.

ROBERTO ZACCARIA. Nonostante avessimo la percezione dei problemi posti dall'articolo 132, queste due audizioni ci hanno confermato che sussistono altre difficoltà, dandoci la sensazione che la complessità dei problemi relativi a questa disposizione è molto rilevante. Naturalmente, ciascun problema ha una soluzione, se si danno le risposte adeguate.
Abbiamo chiaro - mi pare questo sia un punto comune - che, per quanto si possa enfatizzare il discorso dell'autodeterminazione delle popolazioni, certamente l'articolo 132 pone il momento significativo della legge nazionale. Il professor Frosini diceva che potrebbe esserci una sorta di contrarietà all'unitarietà dello Stato, facendo l'esempio di aggregazioni distanti, mentre la vicinanza non consentirebbe di intervenire...

TOMMASO FROSINI, Professore ordinario di diritto pubblico comparato. La vicinanza affina anche identità culturali.

ROBERTO ZACCARIA. Mi è chiaro. Siamo comunque d'accordo sul fatto che, a prescindere dalle nozioni sue e del professor Luciani sul ruolo della legge dello Stato, si tratta di accertare se questo tipo di aggregazioni determina problemi in riferimento all'interesse nazionale. Questa è una valutazione autonoma del Parlamento.
Non mi soffermerei sul discorso di attuare l'articolo 132 o modificarlo, discorso che ci porterebbe troppo lontano. È vero che siamo in fase di attuazione dell'articolo 132, ma non tutte le norme costituzionali sono uguali. Anche se l'articolo 132 non fosse mai attuato, ciò non costituirebbe un problema di negligenza. Si tratta, infatti, di una norma che indica un procedimento, a prescindere dalla sua attuazione. Da questo punto di vista, la giustificazione della modifica costituzionale deriva dalla presa d'atto - un po' come le ciliegie, una tira l'altra - che i referendum di spostamento da una regione all'altra sono stati numerosissimi. Essi sono un po' contagiosi, per ragioni diverse. Il Parlamento non può non porsi il problema che una norma, così com'è disegnata, possa incentivare quel processo di distacco e aggregazione, che ha molte connotazioni diverse. Di questo siamo tutti consapevoli.
Lei, professore, ha giustamente richiamato l'attenzione sul fatto che le due proposte di legge parlavano di decreti legislativi. Ora, i colleghi che le hanno presentate - non me ne vogliano - credo che lo abbiano fatto per porre un problema. Che poi si potesse attuare l'articolo 132 con una legge delega è altro discorso, che fa nascere dei dubbi. La legge delega, per sua natura, si presta ad altri strumenti. Ebbene, voi avevate ipotizzato questo strumento. Quello del commissario, maturato nella Commissione, è uno strumento diverso; uno strumento che certamente preoccupa i colleghi della Lega - ma non solo loro - perché l'ipotesi di prevedere un commissario, naturalmente, si pone in conflitto con potenziali problemi relativi alle autonomie.
Noi siamo di fronte a casi molto diversi. Tutti i casi di referendum fatti in Italia per passare da una regione all'altra sono molto diversi tra loro: abbiamo cominciato con il comune di Lamon, adesso siamo alla Valmarecchia, ma ci sono molti altri casi in altre regioni italiane.


Pag. 14


So bene che la legge non può contenere una motivazione, anche se alcuni colleghi ritengono che la motivazione della legge sarebbe, in qualche modo, auspicabile. Tuttavia, essa, nel giustificare l'approvazione per ragioni di interesse nazionale, collegate ai problemi cui lei faceva riferimento, non potrebbe in qualche modo mettere dei paletti che circoscrivano il distacco dei comuni a determinati casi? Il passaggio, insomma, può avvenire per determinate ragioni, che non sono sempre le stesse, perché non tutti i casi sono uguali.
Come si può in qualche modo dare conto di questa motivazione del legislatore che giustifichi l'accoglimento - in questo caso, dei casi di rifiuto si parlerà quando si presenteranno - delle richieste di distacco dei comuni? Come si può far emergere nel testo normativo questa motivazione?

GIANLUCA PINI. Mi sia permessa una piccolissima parentesi: la questione del commissario non è scaturita dal dibattito in Commissione, ma era nella mia proposta di legge. Ciò non per forzare le autonomie, ma per cercare di dare piena attuazione ad un processo di aggregazione che, come ricordava il professor Frosini, risponde al diritto all'autodeterminazione dei popoli.
Per quel che riguarda i casi diversi, vorrei far presente che essi sono esplicitati in maniera chiarissima nelle premesse delle proposte di legge. L'onorevole Zaccaria ricordava - e io lo chiedo al professor Frosini - come sia di fatto impossibile, a meno che non si sia modificato il diritto, dare motivazione all'interno degli articolati della legge.
Il professor Frosini ha accennato alla legge La Loggia e nello specifico all'articolo relativo al potere sostitutivo, mentre il professor Luciani sosteneva che la figura del commissario è necessaria per portare a termine alcuni adempimenti. Ebbene, professor Frosini, lei ritiene, alla luce del dibattito emerso nell'audizione di oggi, che sia più consono alle finalità della legge fare un richiamo, anziché al commissario, semplicemente alla norma che prevede il potere sostitutivo? Questa è la prima domanda.
La mia proposta di legge e quella dell'onorevole Pizzolante, che divergono, appunto, solo sulla questione del commissario, sono state depositate per questi sette comuni in quanto è già stato acquisito il parere delle regioni. L'unico caso di parere positivo della regione ricevente è quello dell'Emilia-Romagna. Il parere della regione Marche è negativo, ma le premesse sono tutte in positivo; quindi, il parere negativo viene dato per motivi prettamente politici - così è scritto - ossia di opportunità politica, non per ragioni di rispetto del principio di autodeterminazione.
Altri due comuni, che hanno svolto il referendum sei mesi dopo, si trovano nella stessa situazione ma non hanno ancora acquisito il parere delle regioni, perché sostengono che il disegno di legge del Governo - dell'allora Governo Prodi - non è mai stato depositato.
Dunque, la mia domanda è questa: le regioni, secondo lei, sono obbligate, in ogni caso, ad esprimere un parere in presenza di un referendum o devono attendere necessariamente il deposito di un disegno di legge, così come previsto dalla legge n. 352 del 1970?

MASSIMO VANNUCCI. I suggerimenti che emergono dalla relazione del professor Frosini sono sicuramente utili.
Tuttavia, della sua relazione mi interessano soprattutto i giudizi che egli ha espresso in merito alla non opportunità di una modifica dell'articolo 132, oggetto tra l'altro, di un provvedimento in discussione in questa Commissione. Comunque, per approfondire questo aspetto avremo altre occasioni, forse - magari è un suggerimento anche per il presidente - quando avremo quel provvedimento.
È evidente come sia già dovuta intervenire una sentenza della Corte costituzionale per interpretare il concetto di «popolazioni interessate». A mio avviso, anche la prima esperienza, che vede giacenti molte proposte di referendum, dovrebbe suggerire al legislatore di affrontare il problema. A questo proposito, mi


Pag. 15

sembra che il giudizio espresso dal professor Frosini, pur non avendo attinenza con il provvedimento che discutiamo, abbia indotto un po' di confusione.
È già intervenuta la sentenza n. 334 del 2004, ma lei comprende, professore, che qualsiasi contenzioso che si aprisse all'interno di una provincia o di una regione potrebbe determinare, per reazione, la richiesta di distacco e questo Parlamento sarebbe costretto a dover avviare, comunque, discussioni legislative. Io credo, invece, che la materia sia degna di essere interpretata.
Se è intervenuta una sentenza, vuol dire che i costituenti (in questo caso coloro che hanno modificato il Titolo V) probabilmente non la pensavano così. Sarebbe utile approfondire i lavori preparatori del procedimento.
L'altra affermazione che io ho trovato, se lei permette, un po' azzardata nella sua illustrazione è il riferimento all'autodeterminazione dei popoli. La fonte non è, ovviamente, nella nostra Costituzione. Credo, infatti, che sia assolutamente pericoloso adottare questo principio in casi come questo. Allora, potrebbe parlarsi di autodeterminazione anche per la popolazione di una frazione rispetto al comune, di un quartiere rispetto alla città o di un condominio rispetto al quartiere, se estendiamo il principio fra il Marecchia e il Rubicone, per citare i fiumi di questo caso specifico, ma non voglio ragionare di questo provvedimento.

SERGIO PIZZOLANTE. Mi sembra che dagli interventi del professor Luciani e del professor Frosini sia emersa la piena legittimità, sotto ogni punto di vista, dei due progetti di legge e del testo unificato e il fatto che esso rientri perfettamente nell'iter previsto. Sono stati forniti importanti suggerimenti di perfezionamento delle procedure che noi - almeno per quanto mi riguarda - accogliamo positivamente.
Non mi sembra che dagli interventi dei due professori siano emersi o possano emergere dubbi rispetto all'interesse nazionale. Non credo che questa legge, che noi andiamo a votare per rispondere a una domanda specifica e particolare di sette comuni dell'Alta Valmarecchia, possa contenere indicazioni per iniziative future di altri comuni che volessero fare la stessa scelta, come è stato sottolineato anche in Commissione. Non credo che questa sia la sede. Questa legge, infatti, deve intervenire rispetto alla domanda posta dai sette comuni e niente altro, quindi non deve dire che cosa debba succedere in situazioni simili a queste.
Del resto, i due costituzionalisti hanno detto che, alla fine, la decisione spetta al Parlamento, il quale ha tutta l'autonomia di decidere in base alla domanda posta e alle condizioni che stanno intorno alla medesima. Qui non stiamo facendo scattare degli automatismi per il futuro, quindi non vi è alcun «effetto ciliegia». Intendo dire che se altri comuni dovessero compiere una scelta di questo tipo, le situazioni saranno valutate in questa sede caso per caso. Quello che stiamo affrontando, dal nostro punto di vista, è un caso eccezionale, per una serie di ragioni storiche e territoriali che abbiamo esposto nei dibattiti e nelle nostre proposte di legge.
Rispetto a tutti gli altri casi di richiesta di distacco in Italia, quello in oggetto ha una particolarità, che consiste nel pieno accoglimento della provincia di Rimini e della regione Emilia- Romagna. Noi lo valutiamo e lo giudichiamo in base a questo, mentre altre eventuali situazioni saranno giudicate in base alle diverse circostanze.

SALVATORE VASSALLO. Mi soffermerò solo su uno specifico punto toccato dal professor Frosini, che al riguardo ha espresso un'osservazione molto acuta. Se i comuni in questione fossero chiamati a votare ancora sotto la veste di comuni appartenenti alle Marche, voterebbero per un'assemblea provinciale che non li rappresenterebbe; qualora ci fosse successivamente la legge statale che lo consente, essi rientrerebbero in un'altra provincia, nella quale non sono rappresentati.
Mi chiedo, però, se a fronte di questo problema rilevante non si debba considerare


Pag. 16

anche l'altro problema, che riguarda il concreto svolgimento delle elezioni provinciali. Come naturalmente il professor Frosini sa bene, nel caso delle elezioni provinciali si vota con collegi uninominali, ancorché nell'ambito di un sistema proporzionale. Questo richiederebbe, quindi, un ridisegno complessivo di tutte le circoscrizioni, cioè di tutti i collegi uninominali sia della provincia cedente che della provincia ricevente. Questo, peraltro, dovrebbe essere fatto in un arco temporale molto ristretto, per di più scombinando un po' il naturale collegamento tra i rappresentanti e il territorio che rappresentano.
Vorrei, quindi, suggerire di riflettere su questo tema e considerare che, qualora ci fosse la volontà del Parlamento di decidere favorevolmente ed esso si potesse esprimere in tempi rapidi, i problemi da considerare sono due, quello posto dal professor Frosini e quello che ho testé esposto.

SESA AMICI. Ritengo che le due audizioni porteranno, nel prosieguo dell'esame della proposta di legge, materia di riflessione.
In particolare, vorrei chiedere al professor Frosini delucidazioni in merito a quanto sembra essere anche un punto di differenza con il professor Luciani, cioè la funzione del referendum. Il professor Frosini ci ha detto, infatti, che quel referendum deve rispondere al principio di autodeterminazione dei popoli. È del tutto evidente che questa affermazione è molto pregnante, ha un significato molto esplicito: io capisco che il professor Frosini attribuisce a quel referendum un potere decisionale e vincolante. Mi pare, invece, che il professor Luciani ci invitasse a riflettere sulla natura plurifasica del procedimento e sulla transitorietà di questa disposizione.
È del tutto evidente che, proprio alla luce di queste indicazioni, dobbiamo trovare l'elemento definitivo. Dalla sua affermazione, professor Frosini, sono discese due osservazioni (lo dico anche per capire se ho ricostruito bene il suo pensiero): da una parte, lei vede nel passaggio dai decreti legislativi al commissario un elemento che non agevola ma, al contrario, rende il procedimento molto più confuso, in quanto si tratta di svolgere delle funzioni amministrative che mettono anche in discussione l'autonomia dell'ente territoriale e del comune; d'altra parte, qualora ci trovassimo in difficoltà, il suo suggerimento è di utilizzare il potere sostitutivo, quindi alla luce del referendum, che comunque è di nuovo vincolante e decisorio. Ritengo, quindi, che nella procedibilità dell'attuazione della legge occorre che noi stiamo molto attenti a come formuliamo il testo base.
In particolare, la caratteristica di questi comuni è che sono sulla linea di confine, come dire, già quasi dentro il territorio. Ciò non toglie che, anche per le prossime elezioni provinciali ed europee, che avverranno nella stessa giornata, si tratterebbe di attuare dei procedimenti di ridisegno e di spostamento dei collegi.
È vero che si tratta di una popolazione non troppo consistente (16 mila persone), ma comunque si dovrebbe procedere a una ridefinizione; peraltro, il sistema dell'attribuzione dei seggi cambia da provincia a provincia. È del tutto evidente, comunque, che anche questo può diventare un elemento di riflessione.
Quello che voglio chiederle è cosa succederebbe se noi affermassimo che quel referendum si pone non come elemento di mero ascolto. Noi inseriremmo nei procedimenti di legge ordinaria un principio molto forte - che quindi dovrebbe riguardare anche l'articolo 132 e sono convinta che poi dovremo ragionare in parallelo - dal momento che, nella sua introduzione, lei lo ha posto come un principio di autodeterminazione.

GIUSEPPE CALDERISI. Vorrei semplicemente rilevare che, tutto sommato, non vedo grande differenza tra il parere del professor Luciani e quello del professor Frosini.
Anche il professor Luciani, infatti, ha messo in evidenza la rilevanza dello svolgimento del referendum. Mi sembra di ricordare, infatti, che il referendum pone


Pag. 17

al Parlamento il dovere di pronunciarsi, in un senso o nell'altro. Credo che questo dia una rilevanza politica alla decisione delle popolazioni interessate e proprio in questo consiste la sottolineatura fatta dal professor Frosini che, se vogliamo, sotto altra chiave, era stata fatta anche dal professor Luciani. Non vedo, quindi, un'eccessiva divaricazione nelle due opinioni.
Per quanto riguarda, invece, il problema degli adempimenti amministrativi, ritengo necessaria una riflessione alla luce dei contributi che sono stati portati nelle due audizioni. Dobbiamo capire bene i tempi, anche quelli dell'altro ramo del Parlamento, rispetto alle scadenze elettorali imminenti, e comprendere come collocare questi adempimenti amministrativi. Credo che questa riflessione sia da fare in sede di Commissione, nel Comitato dei nove o dove sia più opportuno per tener conto anche dei giusti suggerimenti forniti sul delicato problema degli adempimenti amministrativi.
Per quanto riguarda il problema dell'intesa, sul quale ha insistito il professor Luciani, ritengo che bisogna fare in modo che questa necessità di intesa non costituisca un meccanismo che finisca per impedire l'attuazione di una decisione del Parlamento. Bisogna trovare il modo, eventualmente anche ricorrendo al potere sostitutivo, di evitare che una mancanza di intesa riguardo agli adempimenti amministrativi possa di fatto bloccare una decisione presa dal Parlamento.

ORIANO GIOVANELLI. Porrò due rapidissime domande.
Il professor Frosini ha detto - e vorrei lo chiarisse - che, siccome con questa legge attuiamo l'articolo 132 così com'è, questo sostanzialmente complica il fatto che stiamo lavorando alla modifica del suddetto articolo. Questo aspetto non è irrilevante per noi, visto che esiste un consenso abbastanza ampio sulla necessità di modificare l'articolo 132 per governare questa proliferazione di referendum nel Paese.
La seconda questione che necessità di un chiarimento è la seguente. Lei ha detto una cosa importante, che io condivido, e cioè che il referendum non è uno strumento qualsiasi, ma attiva una procedura, e ciò in tutti i 34 casi in cui si è svolto, non solo nei sette casi che stiamo prendendo in esame. Se così è, rilevo che noi abbiamo - proprio per la consequenzialità dell'atto che dovrebbe portare al pronunciamento del Parlamento - il dovere di adottare un trattamento pari verso tutti i 34 casi. Il Parlamento deve arrivare a pronunciarsi su tutti.
Questo, dal mio punto di vista, rafforza l'incomprensibilità rispetto al fatto che, nella fattispecie dell'aggregazione alla provincia di Rimini, ci siano due referendum che non vengono presi in considerazione, che riguardano due comuni del Conca. Inoltre, le procedure relative alle richieste che riguardano la regione Veneto non sono state attivate né, mi pare, abbiamo intenzione di farlo: il ministro non s'è mosso e non c'è alcuna legge di iniziativa parlamentare. Questo è un vulnus rispetto all'argomento che lei ha esposto.

PRESIDENTE. Onorevole Giovanelli, non voglio sostituirmi al professor Frosini, ma vorrei chiarire che se ci fosse stata una proposta di legge che comprendeva 34 richieste, probabilmente avremmo deciso di discuterle tutte. La proposta di legge che discutiamo oggi è questa. Il Parlamento la affronta nel momento in cui ci sono determinate condizioni, vale a dire esiste un'iniziativa legislativa. Nel caso di Lamon la proposta è arrivata, ma è solo una. Voglio dire che, se non c'è l'iniziativa di nessuno di noi, difficilmente il Parlamento è portato a dare un giudizio, anzi non lo dà affatto.

ORIANO GIOVANELLI. La procedura è partita, vi sarebbe il dovere del Governo di presentare il disegno di legge entro 60 giorni...

PRESIDENTE. Questa è un po' come la storia dei trattati. Anche per i trattati dovrebbe essere il Governo a presentare un disegno di legge di ratifica. Noi sappiamo che, invece, un parlamentare può


Pag. 18

ben chiedere la ratifica di un trattato a cui tiene. Comunque, non voglio togliere il mestiere al professore.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE JOLE SANTELLI

TOMMASO FROSINI, Professore ordinario di diritto pubblico comparato. Provo a dar conto delle tante osservazioni che sono state mosse e delle quali vi ringrazio. Cercherò, in maniera molto rapida, di soddisfarle tutte, iniziando dalle osservazioni dell'onorevole Zaccaria.
È vero, non per tutte le norme costituzionali esiste l'obbligo di attuarle, e questa forse è una di quelle. Tuttavia, laddove vengono attuate, o laddove c'è un impegno ad attuarle, ciò è comunque motivo di soddisfazione: la Costituzione è stata scritta per essere attuata. Poi si possono verificare delle condizioni storiche o politiche che momentaneamente sconsigliano di attuare determinate norme, ma la scrittura delle stesse è proiettata all'attuazione, altrimenti non avrebbe senso scrivere nella Costituzione norme destinate ad essere dormienti vita natural durante.
Nel momento in cui si esamina una legge che dà attuazione alla norma costituzionale è quantomeno - se posso dirlo, se non altro per deformazione professionale - motivo di soddisfazione: come ho detto, la norma è stata scritta per essere applicata.
Per quanto riguarda la motivazione della legge, sempre per rispondere all'onorevole Zaccaria, effettivamente questo rappresenta un problema. Sarebbe difficile giustificare il diniego, nel caso in cui il Parlamento non volesse promulgare una legge che consenta il distacco e l'aggregazione. Si potrà risalire ai lavori parlamentari. È stata pubblicata da poco una monografia, che ancora non ho letto, dedicata proprio al tema della motivazione della legge. Mi auguro che un domani si possa anche prevedere la possibilità di motivare la legge; per adesso, sono i lavori preparatori che consentono di risalire alla giustificazione che ha indotto il Parlamento a non seguire un determinato procedimento.
Su questo punto, confesso che non c'è una risposta per via della mancanza di una disciplina che accompagni la legge a una sua motivazione.
L'onorevole Pini mi ha giustamente corretto: io avevo detto che entrambe le proposte di legge prevedevano un decreto legislativo. Tuttavia, onorevole, se mi posso permettere, lei prevede il commissario, ma prevede anche il decreto legislativo. Io avevo detto, sintetizzando, che le proposte di legge prevedevano il decreto legislativo, dal momento che la sua prevede anche il decreto legislativo. Ora, semmai, c'è da chiedersi se sia opportuno tenere sia l'uno che l'altro.
Direi che la fonte del decreto legislativo - questo anche per rispondere alle varie osservazioni - è una fonte più garantista rispetto all'azione di un commissario. A me, personalmente, il commissario ad acta crea una leggera inquietudine, specialmente se non ne sono ben delineati i poteri e i compiti. Il decreto legislativo, invece, è una fonte del diritto e, come sappiamo bene, il Parlamento esercita un controllo con le Commissioni parlamentari, nel momento in cui viene emanato. Insomma, si tratta di una procedura più «garantita» rispetto all'azione di un commissario.
Il potere sostitutivo, sempre per rispondere all'onorevole Pini, è un'extrema ratio, non può essere adoperato a prescindere. Questa è una soluzione che io ho auspicato laddove ci fosse una impasse in grado di bloccare il processo di passaggio di un comune da una regione all'altra. Se, per ipotesi, si venisse a creare un conflitto all'interno di enti che devono coordinare l'azione di distacco e aggregazione, in quel caso bisognerà trovare una soluzione per consentire che questo avvenga in virtù di una legge votata e approvata dal Parlamento. Ecco, in questo caso, l'extrema ratio del potere sostitutivo, ex articolo 120 della Costituzione, che trova la sua concreta applicazione nella norma, che ho citato, della legge La Loggia. Faccio presente,


Pag. 19

però, che anche il potere sostitutivo, secondo la Costituzione, è temperato dal principio di leale collaborazione e di sussidiarietà. Non è, dunque, un potere esercitato in maniera prepotente.
Passando alla questione del parere delle regioni, il passaggio della Costituzione dice chiaramente «sentiti i consigli regionali». Il tema è, quindi, se si può procedere anche in assenza del parere delle regioni. Forse sì, ma anche in questo caso siamo nell'ambito della leale collaborazione, poiché si sta procedendo nella direzione di un interesse comune. Dunque, non c'è alcuna forzatura o sbrego rispetto a un disegno unitario, ma la volontà espressa - diciamolo pure - secondo il criterio dell'autodeterminazione. Al riguardo, ho avuto la sensazione che aver adoperato il concetto di autodeterminazione abbia creato un minimo di fibrillazione. L'autodeterminazione è un principio nobile dal punto di vista del pensiero politico e costituzionale, ma è un principio soggetto a bilanciamento, a temperamento. Come sosteneva anche l'onorevole Pizzolante, il Parlamento è arbitro, dunque il principio di autodeterminazione è alla base, ma è comunque soggetto al suo severo scrutinio.
Il principio di autodeterminazione non rompe qualunque argine penetrando nell'ordinamento, ma costituisce il momento di avvio, l'input iniziale. È questo il luogo in cui esso deve essere temperato e, semmai, bilanciato con il principio dell'unitarietà e della coesione economica e sociale che, forse, per certi versi è sovraordinato al principio di autodeterminazione stesso.
Colgo l'occasione, rapidamente, per fare una riflessione sulla quale prima ho sorvolato per non mettere troppa carne al fuoco. Noi ci troviamo di fronte al parere negativo di una delle due regioni, ovvero la regione Marche. In questo caso può succedere che la regione Marche sollevi un conflitto di attribuzione nei confronti della regione Emilia-Romagna, laddove trovasse nella legge un vizio in grado di sollevare conflitti o che le consenta di rivolgersi alla Corte costituzionale. Si può anche immaginare un'impugnativa al TAR delle delibere, nel caso in cui queste dovessero violare alcuni princìpi amministrativi. Bisogna, insomma, immaginare quale potrà essere la reazione della regione che ha dato parere negativo: se accetta di buon grado la soluzione parlamentare e recepisce il fatto di non avere più nel suo territorio quei comuni o meno e, in questo caso, bisogna pensare - mettendosi, come si diceva una volta, dalla parte dell'«avvocato di Boston» - a quali azioni essa potrà ricorrere per tentare di bloccare questa operazione.
Dunque, anche per rispondere all'onorevole Vannucci, il principio di autodeterminazione va bene, ma deve essere bilanciato e temperato, poiché non si tratta di un principio che deve valere e prevalere rispetto agli altri. È un principio come tanti, che in questo caso si esplicita per il tramite della volontà di una popolazione di staccarsi da una regione o piuttosto aggregarsi ad un'altra provincia. In ogni caso, tale principio passa attraverso il filtro parlamentare e, quindi, l'autodeterminazione viene a sciogliersi nel momento in cui la rappresentanza nazionale decide di accendere il semaforo verde o rosso rispetto a quel progetto di distacco e aggregazione.
In merito alla modifica dell'articolo 132, come mi sono permesso di dire en passant, credo che un ragionamento più complessivo su alcuni aspetti «fallaci» del Titolo V andrebbe fatto in maniera più coesa. Invece di considerare solo l'articolo 132, riterrei opportuna una ipotesi di revisione costituzionale anche del 132 - non l'ho voluto escludere - ma in un contesto di revisione dell'impianto del Titolo V dopo un bilancio più che decennale che mostra come alcune norme abbiano, per così dire, mancato rispetto al suo disegno originario.
Il Titolo V andrebbe riscritto, semmai, alla luce della giurisprudenza costituzionale, la quale si è dovuta sostituire al legislatore ogni qual volta si è resa necessaria un'integrazione della normativa. Quindi, ben venga una ipotesi di revisione dell'articolo 132, che però vedrei meglio


Pag. 20

collocata all'interno di un quadro più generale, e non come singola norma da revisionare.
Do atto all'onorevole Pizzolante circa le affermazioni sul ruolo del Parlamento, che in questa logica ha, naturalmente, un ruolo centrale e discrezionale, com'è giusto che sia. Esso, infatti, da un lato ammorbidisce, per così dire, gli intenti di autodeterminazione e dall'altro è arbitro della decisione, laddove ritiene che ci siano le convenienze storiche, politiche e geografiche per permettere il passaggio di un comune da una regione all'altra. Laddove non lo ritenga, pur non avendo la possibilità di motivarlo, è in ogni caso libero e sovrano di decidere di non consentire tale passaggio.
Condivido in pieno l'osservazione dell'onorevole Vassallo, relativamente al problema dei collegi elettorali. In particolare, nella rappresentanza provinciale, il metodo uninominale richiederebbe un'ulteriore revisione della legislazione elettorale di contorno. Se davvero si vuol fare ciò, si metteranno al lavoro gli uffici elettorali competenti per ridisegnare tutti gli aspetti, con la consapevolezza che c'è un aggravio di lavoro.
Per quanto concerne la riflessione dell'onorevole Amici sul problema del commissario e del potere sostitutivo, credo di aver in parte risposto su quest'ultimo. Mi sono anche lasciato sfuggire qualcosa sul commissario, ritenendolo una figura un po' forte rispetto ad un tipo di azione amministrativa che può essere sciolta per il tramite dei decreti legislativi.
Sul tema del referendum e del principio di autodeterminazione spero di non esser stato equivocato. Il referendum è previsto dall'articolo 132 della Costituzione, che impone che il procedimento di modifica avvenga per il suo tramite. Il professor Luciani, se non ho compreso male il suo pensiero, lo riferiva più ad un momento consultivo, importante ma consultivo. Io voglio dargli un valore maggiore, aggiungendo che il referendum - qui rispondo anche all'onorevole Giovanelli - dà l'avvio al procedimento. Questo, però, è vero nel momento in cui l'esito è positivo...

ORIANO GIOVANELLI. Io ho parlato solo di quelli positivi.

TOMMASO FROSINI, Professore ordinario di diritto pubblico comparato. Esatto, ma non c'è l'obbligo del Parlamento ad avviare un procedimento, sia pure per il tramite di un referendum e della volontà popolare. Come diceva l'onorevole Calderisi, il Parlamento è comunque il luogo dove si decide se avviare il procedimento, sia pure voluto con il referendum, anche in maniera plebiscitaria, all'unanimità, attraverso la presentazione delle proposte di legge.
In questo senso aderisco a quello che diceva prima il presidente: laddove fossero stati depositati progetti di legge inerenti agli oltre 42 comuni che hanno chiesto il distacco, il Parlamento se ne sarebbe dovuto occupare e avrebbe dovuto vagliare i singoli casi. Ciò alla luce del suo ruolo, che è quello di mantenere il principio dell'interesse unitario nel caso vi fossero forti asimmetrie fra la richiesta di distacco e l'oggettiva collocazione del comune in un contesto territoriale completamente avulso rispetto alla sua tradizione storica, politica e culturale.
Anche questo aspetto, infatti, non deve essere trascurato, perché non si tratta soltanto di un meccanismo giuridico. La richiesta del passaggio dovrebbe nascere - e si spera che sia sempre così - sulla base di un forte riconoscimento identitario, culturale, storico, politico, economico e sociale nei confronti di un'altra provincia, alla quale ci si sente più vicini e, dunque, si desidera farne parte.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Frosini e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta, sospesa alle 15,40, riprende alle 15,45.


Pag. 21

Audizione di rappresentanti dell'ANCI, dell'UPI e della Lega delle autonomie.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle problematiche relative al distacco di comuni dalla regione Marche e alla loro aggregazione alla regione Emilia-Romagna, l'audizione di rappresentanti dell'ANCI, dell'UPI e della Lega delle autonomie.
Comunico che l'UPI non ha potuto far intervenire all'audizione propri rappresentanti ma ha trasmesso una relazione scritta. Do la parola al professor De Lucia, della Lega delle autonomie.

LUCA DE LUCIA, Rappresentante della Lega delle autonomie. Sarò molto breve anche perché abbiamo predisposto un documento che abbiamo già consegnato. In linea preliminare, vogliamo sottolineare l'esigenza di una revisione di tutta la procedura di distacco e aggregazione, perché anche la realtà effettuale dimostra e segnala la necessità di una cornice unitaria entro la quale svolgere questo tipo di attività estremamente complessa.
Tale cornice unitaria consente il trattamento omogeneo di situazioni altrimenti soggette a trattamento differenziato. Anche in quest'ottica vogliamo quindi segnalare l'inadeguatezza dell'articolo 132, comma secondo, nell'attuale formulazione.
È necessario evidenziare alcuni aspetti più tecnici sulla procedura dell'articolo 132, innanzitutto la natura della procedura stessa. Abbiamo una richiesta che nasce da enti locali sottoposta a referendum, ma, nonostante in passato la dottrina avesse assunto un diverso orientamento, si tratta di una mera proposta e il referendum ha natura consultiva. La Corte costituzionale ha infatti chiarito che la consultazione popolare si svolge su una richiesta che non è neanche all'avvio della procedura legislativa. Al Parlamento spetta dunque il margine di discrezionalità e di potere per determinare in ordine all'eventuale distacco. Questo è il primo punto.
Un secondo aspetto di carattere formale che abbiamo ritenuto di segnalare riguarda la sussistenza nel caso di specie della regolarità del referendum svolto. Esiste poca giurisprudenza su questo profilo, a parte la nota sentenza della Corte costituzionale. La materia è nota, disciplinata dalla legge n. 352 del 1970, segnatamente il titolo III della legge, che all'articolo 47 riguardante i referendum di cui all'articolo 132 della Costituzione rinvia ai precedenti due titoli. L'articolo 31 della legge, contenuto nel titolo II, prevede limiti temporali nell'ambito dei quali non si possono tenere referendum. L'articolo 47 richiama quindi l'articolo 31 che stabilisce che «non può essere depositata richiesta di referendum nell'anno anteriore alla scadenza di una delle due Camere e nei sei mesi successivi alla riconvocazione dei comizi elettorali».
Questa disposizione serve a evitare che consultazioni popolari di diversa natura si sovrappongano, per cui dal 27 aprile 2005 all'11 agosto 2006 sarebbe stato impossibile depositare la richiesta di referendum. Non siamo in grado di valutare se questa disposizione debba trovare applicazione. Il rinvio è però evidente, giacché il titolo III rinvia al titolo II e quindi l'articolo 31 compresa questa moratoria deve trovare applicazione. Ci permettiamo quindi di segnalare un eventuale approfondimento istruttorio su questo punto, eventualmente anche attraverso la consultazione dell'amministrazione del Ministero degli Interni, responsabile di questi procedimenti.
Secondo un consolidato orientamento della Corte, che si era pronunciata sul 133, eventuali difetti di queste procedure portano poi a inficiare la validità della legge che è il prodotto di questo procedimento. Segnaliamo quindi alla Camera l'opportunità di valutare questo aspetto e di chiedere chiarimenti all'amministrazione.
Il 27 aprile 2005 parte la moratoria, perché in data 11 febbraio 2006 sono state convocate le elezioni per la XV legislatura.
Comunque abbiamo argomentato per iscritto questo aspetto.
Quanto allo spazio di valutazione che il legislatore evidentemente dispone in questi casi, dopo la sentenza del 2004 la Corte ha chiarito che si consente di rendere rilevante


Pag. 22

l'interesse al distacco, ma si sottolinea la funzione meramente consultiva, per cui il Parlamento dovrà valutare anche eventuali contro-interessi.
Riteniamo che in questi casi si debbano seguire alcuni parametri, primo fra i quali l'articolo 97 della Costituzione e il 118, cioè buon andamento e adeguatezza, giacché un eventuale distacco da un territorio all'altro non può condurre a una situazione in cui si abbia un'amministrazione sul territorio più inefficiente della precedente. Da questo punto di vista, anche la legge del 1970 prevedeva l'iniziativa del Ministro dell'interno, perché in grado di avere una visione di insieme più completa. Tale iniziativa poi è decaduta.

SERGIO PIZZOLANTE. Il Parlamento, no?

LUCA DE LUCIA, Rappresentante della Lega delle autonomie. Questo non lo so. Un altro aspetto è rappresentato dal principio di proporzionalità. L'atto di iniziativa alla richiesta fa emergere una volontà popolare legata ad alcune esigenze, alcuni disagi e alcune necessità.
Il principio di proporzionalità, ragionevolezza e rispetto delle autonomie chiede che eventuali interventi in materia meno incisivi rispetto a una legge di distacco consiglino l'astensione dalla legge di cui all'articolo 132. Avendo letto soltanto gli atti senza essere a conoscenza del merito delle questioni, constato come il protocollo di intesa stipulato tra le due regioni si riferisca segnatamente a questa zona e abbia una valenza di integrazione riguardo la sanità e le infrastrutture, in cui le due regioni e le province interessate si impegnano ad agire per il miglioramento e l'integrazione di questi territori.
Riteniamo che probabilmente il Parlamento dovrà valutare se questo accordo sia sufficiente a garantire la risposta alla popolazione. Se questo sarà sufficiente, non si dovrà dar corso alla legge di distacco.

GIORGIO PRUCCOLI, Rappresentante dell'ANCI. Il parere di ANCI che potremo far avere anche in forma scritta è di grande rispetto riguardo all'iter approvativo di una legge prevista dall'articolo 132 della Costituzione. I 7 comuni dell'Alta Valmarecchia hanno svolto nell'alveo di questo percorso la prima tappa, che è quella del referendum consultivo, e hanno determinato la loro intenzione con un risultato evidentissimo.
La posizione di ANCI è quindi di assoluto rispetto dell'autonomia dei comuni associati, che si sono espressi attraverso lo strumento popolare, quello referendario. Conosco questa situazione in maniera molto particolareggiata essendo il sindaco del comune confinante, Verucchio. Da uno studio da noi realizzato emerge come questo sia l'unico caso di richiesta di cambio di regione da una a statuto ordinario a un'altra a statuto ordinario, mentre tutti gli altri casi riguardano passaggi da una regione a statuto ordinario a una a statuto speciale.
Coerentemente con la volontà espressa dai loro cittadini, i sette comuni hanno provveduto a integrare all'interno dei propri statuti il passaggio presso la regione Emilia-Romagna. Anche il nostro comune di Verucchio, in occasione di una revisione dello statuto comunale intervenuta tre anni fa per altri motivi, ha integrato tra le situazioni territoriali di cui fa parte, oltre alla provincia di Rimini e alla Valmarecchia, anche il Montefeltro, proprio perché, secondo una valutazione personale ma sicuramente coerente con il parere dell'ANCI nazionale, questi territori hanno un'integrazione storico-culturale...

MASSIMO VANNUCCI. Mi sembra l'audizione del comune di Verucchio...

GIORGIO PRUCCOLI, Rappresentante dell'ANCI. Come dice? Ho detto chiaramente che la posizione dell'ANCI è questa. A titolo personale ma coerente con il documento che presenta l'ANCI, aggiungo che questi territori sono assolutamente integrati dal punto di vista storico, culturale, economico e di relazioni umane, oltre che turistico, legato soprattutto alla sfera eno-gastronomica, con il territorio della provincia di Rimini.


Pag. 23


Anche il consiglio provinciale di Rimini ha invitato il Governo a presentare con sollecitudine il disegno di legge per il distacco territoriale dei comuni, andando oltre il pronunciamento della regione Emilia-Romagna e accogliendo favorevolmente l'eventualità di questo passaggio per un'integrazione territoriale.
Questo territorio è stato staccato dai territori emiliano romagnoli soltanto nel 1800, aggregato ai territori di Urbino e successivamente si è sempre verificata la volontà della popolazione di questi territori, ma anche di tutto il comprensorio riminese, di una riunificazione. Il parere è dunque favorevole anche in funzione di questi elementi.

GIANLUCA PINI. Ringrazio i rappresentanti di Legautonomie e dell'ANCI. Provenendo dallo stesso territorio del rappresentante dell'ANCI nonché sindaco di Verucchio, confermo l'assoluta fondatezza delle valutazioni espresse in termini di opportunità di portare a termine questo passaggio, al di là degli aspetti tecnici sollevati dal consulente di Legautonomie, docente dell'università di Salerno, che, anche per la distanza territoriale, non ricorda bene come l'accordo da lui menzionato tra la regione Emilia-Romagna e la regione Marche e comunque tra gli enti territoriali dell'Alta Valmarecchia sia stato successivo al referendum. Si è trattato quindi di un tentativo molto tardivo e anche imbarazzante di prendere in considerazione la volontà di autodeterminazione dei cittadini dell'alta Valmarecchia, di questi 7 comuni che poi sono addirittura 9, ma hanno poi svolto un referendum.
Alla luce delle sue considerazioni sul periodo in cui è stato richiesto e svolto il referendum, vorrei sapere come valuti il fatto che questo sia stato svolto con decreto del Presidente della Repubblica. Mi chiedo dunque se vengano messe in discussione la volontà e la decisione della più alta carica dello Stato. Vorrei sapere inoltre come valuti il fatto che conseguentemente lo scorso Governo abbia comunque depositato correttamente il disegno di legge previsto dall'articolo 132 della Costituzione e dall'articolo che lei citava nella legge n. 352 del 1970.

GIUSEPPE CALDERISI. Desidero solo rassicurare il professor De Lucia che, per quanto riguarda il problema dell'articolo 31 della legge 352 del 1970 sui limiti temporali, ovvero la norma che stabilisce che «non può essere depositata richiesta di referendum nell'anno anteriore alla scadenza di una delle due Camere o nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali per l'elezione di una delle due Camere medesime», tale disposizione si applica per il solo referendum abrogativo. Non si applica quindi per quello di cui all'articolo 138, né in questi casi. L'organismo che deve valutare l'ammissibilità del referendum, ovvero l'Ufficio centrale per il referendum della Corte di Cassazione ai sensi dell'articolo 43, che deve valutare il rispetto della legge, lo ha infatti ammesso e ha già fatto questo scrutinio.
Sotto questo punto di vista, credo che questo problema non sussista.

RAFFAELE VOLPI. Nel ringraziare sia la rappresentanza dell'ANCI che di Legautonomie, mi permetto di esprimere una breve considerazione e di porre una domanda. A parte il fatto che stiamo discutendo di un caso specifico, considero giusto informare le rappresentanze in audizione che questa Commissione si sta occupando dell'articolo 132 della Costituzione anche verificando eventuali modifiche funzionali al rapporto di distacco o di riunione di altre regioni.
Nel suo documento, professor De Lucia, trovo che ci siano degli elementi pregiudizievoli o pregiudicanti rispetto all'atteggiamento, laddove l'incipit del documento recita:«diversamente evidentemente il rischio di offrire un viatico al proliferare di iniziative di distacco di porzioni di territorio da una regione all'altra». Credo che sia nella libertà dei territori proporsi senza che noi, da un punto di vista di legislatori, partiamo da un elemento di pregiudizio della libertà delle autonomie


Pag. 24

locali. Il vostro punto di vista viene poi ribadito nello stesso documento, laddove si afferma: «devono essere evitate condizioni di evidenti irrazionalità e inefficienza all'organo amministrativo e territoriale. In tal caso, si deve ritenere che il diritto di autodeterminazione delle autonomie locali debba cedere al cospetto dei valori del buon andamento e di adeguatezza dell'amministrazione pubblica». Tale concetto può essere condiviso, ma declinandolo in questo modo sottintende che tutti quelli che si occupano di questi casi siano fondamentalmente degli irresponsabili e che non si occupino né delle problematiche amministrative né, come avvenuto nelle audizioni precedenti, di tutte le problematiche sottovalutate, che, come rilevato dal collega Zaccaria, emergono nell'affrontare le audizioni.
Lasciando da parte il primo pezzo di documento che non condivido, vorrei sapere se lei ritenga che la soluzione di quanto stiamo affrontando sia nel protocollo stipulato nel marzo 2007 tra i presidenti delle due regioni.

ELISA MARCHIONI. Ringrazio i rappresentanti dell'ANCI e di Legautonomie, perché ci aiutano a fare una scelta in piena consapevolezza. Spesso abbiamo ribadito in questa Commissione e nelle sedi in cui abbiamo valutato questa richiesta dei 7 comuni l'unicità della richiesta pervenuta, che appare differente dalle altre analoghe perché chiede un passaggio da regione a statuto ordinario ad altra regione sempre a statuto ordinario, quindi senza alcun vantaggio fiscale, in un territorio con un'indubbia unitarietà geografica morfologica, più che storica già nella prassi. Anche il protocollo di intesa testimonia dunque l'esistenza di una serie di relazioni in atto fra i due territori, come probabilmente accade in moltissimi territori di confine che hanno buone prassi, contiguità, servizi e infrastrutture in comune.
La mia domanda è relativa al fatto che i 7 comuni chiedono un passaggio ulteriore, peraltro precedente al protocollo, proprio perché si tratta di un tipo diverso di integrazione, di un passaggio che rilega gli stessi comuni. Per andare a Pesaro, gli abitanti dei 7 comuni devono venire a Rimini e poi andare a Pesaro. Per fare alcune pratiche, è prevista una serie di passaggi che appesantiscono; devono fare 75 chilometri invece che 30. La richiesta evidentemente è più forte di quella di una serie di prassi che colleghino i due territori che già fisicamente collaborano per molti motivi con antiche radici. Vorrei sapere quindi se nella tipicità del caso, che non apre ad altri precedenti proprio perché è l'unico che coinvolge due regioni a statuto ordinario e senza vantaggi fiscali e con una serie di motivazioni storiche e geografiche, l'idea del protocollo non sia insufficiente comunque a ricollegare un territorio che è unitario da sempre e che chiede che questa unitarietà venga riconosciuta.

SERGIO PIZZOLANTE. Ripetiamo cose già spesso ribadite, però ringrazio intanto l'ANCI e il sindaco di Verucchio per la posizione espressa a nome dell'ANCI. Francamente, proprio non capisco e vorrei che mi fosse spiegata meglio la posizione di Lega delle autonomie.
Il protocollo citato dalla Lega delle autonomie è stato immediatamente contestato dai 7 comuni interessati, che quindi non si riconoscono in esso. Successivamente, la stessa provincia di Rimini ha preso le distanze da quel protocollo, perché veniva usato in maniera strumentale contro la scelta fatta dai cittadini dei 7 comuni da parte della provincia di Pesaro e dalla regione Marche. È infatti subito apparso nel suo valore strumentale ed è stato cancellato dalla discussione, per cui mi dispiace che la Lega delle autonomie si aggiunga a questa attività di strumentalizzazione contro le scelte operate dai cittadini di quei comuni.
Non capisco inoltre questo continuo riferimento al rischio di proliferazione di questa attività di richiesta di autonomia messo in evidenza dalla Lega delle autonomie ma anche più volte in questa Commissione dal presidente dell'associazione, l'onorevole Oriano Giovanelli. Questo evidenzia


Pag. 25

infatti la totale sfiducia nei confronti del Parlamento e della sua capacità di decidere in autonomia sui singoli casi, valutandone le diversità, nei confronti della politica e dei cittadini di quei comuni ai quali sembra che vogliamo impedire di pronunciarsi perché altrimenti altri cittadini potrebbero fare lo stesso.
Mi sembra un atteggiamento autoritario che fa parte di storie del passato, che consideravamo superate e che invece da questi atteggiamenti sembrano ancorate nel profondo delle proprie culture.

ROBERTO ZACCARIA. Volevo esprimere qualche considerazione non di rito sull'utilità di queste audizioni. Anche nell'inevitabile diversità dovuta alla presenza di organismi diversi che esprimono valutazioni diverse, elemento che considero sempre positivo non aspettandomi risposte monolitiche, dalle relazioni delle due associazioni che rappresentano i comuni emerge lo spessore della problematica che si agita intorno a questa iniziativa legislativa. A me interessa questo.
Anche nel leggere la relazione del professore De Lucia, l'ho ritenuta utile perché può dare una valutazione critica sul problema collegato al referendum. Ritengo che l'onorevole Calderisi abbia una grande esperienza in materia e che, seppure posto sommessamente, sia un problema sul quale riflettere. Personalmente, infatti, condivido la preoccupazione da lui espressa che quella norma si riferisca a un certo tipo di referendum.
Un legislatore deve considerare alcune valutazioni nel fare una legge nazionale, valutando un livello di interesse diverso da quello comunale, da quello regionale e dalle leggi del Parlamento. Si può considerare irrilevanti il protocollo o il buon andamento dell'amministrazione, ma non ritengo opportuno porsi di fronte a questo problema affermando, come il presidente, di avere solo questa iniziativa legislativa. Sullo sfondo abbiamo potenzialmente altre iniziative, quindi dobbiamo usare criteri simili.
L'iniziativa del comune di Lamon è più avanti di quella che stiamo esaminando. Allo scadere del sesto mese della legislatura, un esponente della Lega ha chiesto di ripescare il provvedimento, concluso in sede referente nella precedente legislatura, relativo a questo comune che vuole andare nella regione a statuto speciale Trentino-Alto Adige, provvedimento in stato di relazione per l'Aula, quindi formalmente più avanti di questo. L'Aula è investita di un giudizio su una vicenda che riguarda il passaggio di un comune da una regione a statuto ordinario a una regione a statuto speciale.
Ringrazio anche il sindaco del comune di Verucchio che ha parlato per l'ANCI per averci fornito una visione utile di questo problema. Se come parlamentare devo approvare un provvedimento, non posso farlo frettolosamente se constato una rilevante quantità di problemi, ma devo farlo in maniera appropriata perché sono coinvolti commissari e possibili intese tra le regioni e dobbiamo rispettare queste procedure. Dobbiamo inoltre darci conto dei criteri, che forse non metteremo formalmente nella legge, perché è tecnicamente difficile affermare che diamo parere positivo per le ragioni storiche, turistiche, enogastronomiche. Anche a Lamon ci sono ragioni di questa natura, ma va da una regione a statuto ordinario a una a statuto speciale. Credo dunque che voi abbiate il compito di dirci che il problema ha la complessità che avete esposto.
Non ho domande specifiche da porre, ma desidero sottolineare che queste audizioni consentono di realizzare questo approfondimento.

MASSIMO VANNUCCI. Le audizioni servono per ascoltare e per fare domande, non per processare gli auditi. Qui siamo di fronte a tre associazioni, Lega delle autonomie, ANCI e UPI, che ci mandano un documento scritto. Probabilmente, l'ANCI, la Lega delle autonomie e l'UPI associano enti locali dell'Emilia-Romagna, delle Marche e di tutta Italia.
La loro posizione ci aiuta poco in materia, perché in evidente imbarazzo più sulla discussione sulle necessità di modificare l'articolo 132 che su un caso specifico


Pag. 26

come questo. Non ho capito bene il parere dell'ANCI, perché c'è stato un intreccio tra le due posizioni, questi richiami alle terre malatestiane del 1800, a quelle del 1500 di Federico da Montefeltro, ma poi leggeremo il testo consegnato. Sono intervenuto, onorevole Pizzolante, proprio a seguito del suo intervento, per chiarire un aspetto. È giocoforza che anche l'UPI si dichiari favorevole a un accordo o che la Lega delle autonomie sia incline a richiamarsi al protocollo per governare insieme questi territori, mentre l'ANCI con il punto interrogativo...

SERGIO PIZZOLANTE. L'ANCI con il punto esclamativo...

MASSIMO VANNUCCI. Non ho capito. Non posso però permettere al collega Pizzolante di dichiarare che quel protocollo tra le due regioni avesse un carattere strumentale. Posso essere d'accordo sull'interpretazione data dai 7 comuni che vogliono cambiare regione e si dichiarano contrari a un protocollo di intesa di quel tipo, che è fuori tempo massimo, però non si può definire strumentale perché questo protocollo non è stato firmato d'imperio dalla regione Marche e dalla provincia di Pesaro, ma è un protocollo firmato dalla regione Marche, dalla regione Emilia-Romagna, dalla provincia di Pesaro e dalla provincia di Rimini. Se la sua posizione politica rispetto alla provincia di Rimini o alla provincia dell'Emilia-Romagna è diversa, questo non significa - ripeto - che enti fortemente impegnati in questa azione come la regione Emilia-Romagna e la provincia di Rimini, anche oltre - secondo il mio parere - i buoni e corretti rapporti istituzionali, abbiano firmato un protocollo che possa essere definito in questa sede strumentale.

PRESIDENTE. È del tutto chiaro che nessuno intenda processare gli auditi, che nell'intervento del sindaco di Verucchio rappresentante dell'ANCI c'erano dati di fatto contestuali di territorio, quindi difficilmente opinabili o contestabili. Anch'io però ascoltando la Lega delle autonomie, poiché il professor De Lucia era partito da una premessa sulla modifica dell'articolo 132 della Costituzione, che è in discussione presso questa Commissione, finendo con l'accenno al protocollo, mi sono posta il problema.
Poiché nella nostra discussione la regione con parere consultivo ha una valenza di un certo tipo, sicuramente minore rispetto alle due volontà del territorio e del Parlamento che tutela l'interesse generale, in questa sottolineatura forse dovremmo dare un ruolo diverso alle regioni e quindi metterle in condizione di esercitare addirittura un potere di veto e di intermediazione tra Parlamento e comuni? Questa domanda va oltre il caso Valmarecchia per un discorso più generale.
Do la parola al professore Luca De Lucia per la replica.

LUCA DE LUCIA, Rappresentante della Lega delle autonomie. Innanzitutto desidero precisare che si trattava di considerazioni di carattere generale, riferite alla procedura tranne specifici riferimenti al protocollo di intesa. Abbiamo segnalato spunti di riflessione, non ci sono verità. Per quanto riguarda il protocollo di intesa, il Parlamento valuterà la rilevanza che riterrà di avere nell'ambito del procedimento. È semplicemente un elemento di riflessione suggerire di considerare anche che è stato fatto anche questo, senza esprimere una valutazione nel merito di quel protocollo.
Parimenti, non abbiamo sostenuto che l'aspetto temporale del referendum sia stato violato, ma semplicemente che l'articolo 47 della legge 352 del 1970 si riferisce ai referendum in materia dell'articolo 132 della Costituzione rinvia al Titolo I e II, nell'ambito del quale è contenuto anche l'articolo 31. Si tratta di un rinvio complessivo, per cui si pone un problema. Non ho sostenuto che sia stato violato...

GIUSEPPE CALDERISI. Devono essere letti anche il 43 e il 44 del titolo III...


Pag. 27

LUCA DE LUCIA, Rappresentante della Lega delle autonomie. Ho semplicemente segnalato un fatto, poi naturalmente la Camera è in grado di fare tutte le valutazioni. Ho segnalato un aspetto e un'eventuale possibilità di interpellare l'amministrazione dell'Interno se si ritenesse opportuno.
Premesso che sto parlando in generale e non nel caso specifico, la Corte costituzionale con la nota sentenza del 2004 ha ristretto il novero dei cittadini chiamati ad esprimersi, ma nel contempo ha riconosciuto di agevolare attraverso questa sentenza l'emersione di questi interessi, quindi un'adesione della popolazione immediatamente interessata al distacco, con la precisazione che però quella consultazione ha una valenza meramente consultiva, eliminando un'interpretazione serpeggiata in dottrina, per la quale la consultazione popolare prevista dal 132, secondo comma, potesse essere interpretata come atto di iniziativa legislativa.
La Corte sottolinea invece che ci troviamo in una fase precedente all'iniziativa, dopo di che il Parlamento, che è l'organo sovrano, valuterà e bilancerà gli interessi e i contro interessi, che sono buon andamento, imparzialità, efficienza, adeguatezza della pubblica amministrazione, una valutazione politica del Parlamento degli elementi di riflessione di valenza generale, per evitare scelte palesemente irrazionali.

PRESIDENTE. Non possiamo collegare le Eolie a Bolzano.

LUCA DE LUCIA, Rappresentante della Lega delle autonomie. Certamente. Questo contributo alla riflessione non era collegato particolarmente al caso specifico ma a iniziative di carattere generale, non a considerazioni di merito nel caso di specie.

PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti dell'ANCI e della Lega delle autonomie.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,20.

Consulta resoconti delle indagini conoscitive
Consulta gli elenchi delle indagini conoscitive