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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione I
6.
Mercoledì 10 ottobre 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Bruno Donato, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUI RECENTI FENOMENI DI PROTESTA ORGANIZZATA IN FORMA VIOLENTA IN OCCASIONE DI MANIFESTAZIONI E SULLE POSSIBILI MISURE DA ADOTTARE PER PREVENIRE E CONTRASTARE TALI FENOMENI

Audizione del Direttore generale del Centro Studi Investimenti Sociali (Censis), dottor Giuseppe Roma:

Bruno Donato, Presidente ... 3 6 8
Lo Moro Doris (PD) ... 7
Meroni Fabio (LNP) ... 6 9 10
Roma Giuseppe, Direttore generale del Centro Studi Investimenti Sociali (Censis) ... 3 8 10
Tassone Mario (UdCpTP) ... 6
Turco Maurizio (PD) ... 7
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONE I
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 10 ottobre 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATO BRUNO

La seduta comincia alle 14,10.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Direttore generale del Centro Studi Investimenti Sociali (Censis), dottor Giuseppe Roma.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui recenti fenomeni di protesta organizzata in forma violenta in occasione di manifestazioni e sulle possibili misure da adottare per prevenire e contrastare tali fenomeni, l'audizione del Direttore generale del Centro Studi Investimenti Sociali (Censis), dottor Giuseppe Roma.
Nel ringraziare, a nome della Commissione, il dottor Giuseppe Roma della sua disponibilità, gli do la parola.

GIUSEPPE ROMA, Direttore generale del Centro Studi Investimenti Sociali (Censis). Innanzitutto, ringrazio il presidente e la Commissione dell'invito. Vorrei fare una piccola premessa perché il titolo dell'indagine conoscitiva, in maniera molto precisa, fa riferimento ai fenomeni di protesta organizzata in forma violenta. Tuttavia, il Censis non ha una specifica conoscenza su questo argomento; quindi la mia relazione verterà sui fenomeni di protesta più in generale, anche perché credo che possa essere utile per capire dove si innesca la dimensione della protesta più violenta e antagonista, di cui possono occuparsi più proficuamente altri, in primo luogo le forze di polizia.
Cercherò di non dilungarmi troppo nella mia relazione, anche per dare spazio alle domande dei parlamentari. Vorrei, per prima cosa, cercare di chiarire le dimensioni e le caratteristiche della protesta in Italia, anche grazie agli esiti di una recente indagine che abbiamo chiamato «dell'antagonismo errante degli italiani», la quale mostra, appunto, la crescita di un fenomeno sociale di protesta allargata a diversi strati della popolazione, non limitata solo ai giovani o agli studenti. È un fenomeno che, stando allo studio che abbiamo condotto nel luglio del 2012, coinvolge quasi il 18 per cento della popolazione maggiorenne. Poi, sappiamo che c'è anche una fascia più giovane, ma su di essa non possiamo fare sondaggi. In sostanza, circa 9 milioni di persone, nell'ultimo anno, sono state coinvolte in manifestazioni di protesta.
Se, poi, guardiamo all'universo che più interessa l'indagine conoscitiva della Commissione, cioè quello delle manifestazioni non autorizzate, che non sempre, però, sfociano in violenza, anche se sono certamente diverse da quelle autorizzate, nell'ultimo anno, secondo la nostra indagine, vi ha partecipato circa un milione e mezzo di cittadini italiani, pari al 3,3 per cento della popolazione.


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Ho detto che questo fenomeno di protesta sembra in crescita rispetto al periodo precedente perché avevamo fatto un'indagine analoga nel 2004, da cui risultava che gli italiani coinvolti erano il 12 per cento, mentre oggi siamo arrivati - ripeto - al 18 per cento di persone che ha partecipato a manifestazioni di protesta.
L'incremento maggiore ha riguardato, in particolare, due fasce, sia quella alta dei laureati, che passano dal 16 al 24 per cento - quindi vi è un 8 per cento in più di italiani laureati che ha partecipato a manifestazioni - sia quella con il minor grado di istruzione, cioè che non ha neppure la licenza elementare, nella quale si passa dal 5 al 9 per cento, arrivando quasi al raddoppio.
Se invece di fare un discorso parziale, facessimo una panoramica di tutti coloro che hanno partecipato a una manifestazione, vedremmo che la presenza giovanile è relativamente minoritaria. Nella fascia tra i 18 e 29 anni, il 21 per cento ha partecipato a manifestazioni di protesta, esattamente quanto gli ultra sessantacinquenni. In sintesi, abbiamo 21 giovani e 21 anziani, mentre il restante 58 per cento è composto dalla popolazione italiana attiva, vale a dire da persone fra i 30 e i 64 anni.
Abbiamo usato l'aggettivo «erratica» perché si tratta di una contestazione frammentata, che può certamente dare luogo a episodi più gravi. Penso l'indagine della Commissione si riferisca, per esempio, alla tragica manifestazione di Roma dell'ottobre dall'anno scorso, oppure ai casi di blocchi di strade, noti a tutti noi, riguardanti soprattutto il tema dei rifiuti. Tuttavia, nonostante questi numeri, si tratta di contestazioni che riteniamo estremamente frammentate, anche se certamente creano problemi all'ordine pubblico.
In sostanza, oggi è difficile capire con quale canalizzazione queste manifestazioni portino nel Paese un clima di conflittualità sociale. Vi è - ripeto - una frammentazione, per cui, anche se vi sono contestazioni con fatti anche gravi e violenti, in questo momento non vediamo una generalizzazione in termini di conflitto sociale allargato, come in altri tempi.
Le cause della protesta sono immaginabili, pertanto parlerò di quelle meno conosciute. Certamente, la crisi acuisce le ragioni della protesta. Pensiamo a tutte le manifestazioni relative al lavoro, alle casse integrazioni e quant'altro, che danno una concreta dimostrazione di quanto il momento sia difficile, dal punto di vista delle famiglie e dei lavoratori, soprattutto di quelli dell'industria e della manifattura, abituati a una loro organizzazione in fabbrica o in miniera, in confronto ai giovani che sono dispersi e che non hanno mai avuto una forma di rappresentanza e di organizzazione.
Questo conflitto non ha, peraltro, una radice solo italiana. Pensiamo ai movimenti spagnoli o soprattutto a quelli greci, ma anche a quelli degli Stati Uniti. Quindi, ci troviamo di fronte a fenomeni più ampi di quelli tipicamente italiani, anche grazie alle tecnologie e ai social network. Non mi soffermerei, però, su questo, visto che siamo nel Parlamento italiano.
Direi che ci sono due ragioni specifiche che riguardano l'Italia. La prima, che viene anche registrata nelle nostre indagini, è quella che abbiamo chiamato «una bassa coesione sistemica dei sistemi di rappresentanza». Siamo, cioè, in un Paese in cui la coesione di sistema per quanto riguarda sia i partiti politici, sia la rappresentanza sindacale, sia anche l'associazionismo è bassa, per cui quei canali di rappresentanza che nei decenni passati hanno raccolto la protesta, anche nelle forme estreme, oggi - sulla base di quanto ci viene detto - risultano più deboli. La dimensione della canalizzazione della protesta entro strutture organizzate che, al di là delle differenze di posizioni politiche, hanno comunque il compito di guardare alla coesione nazionale come fattore principale, in questo momento è ritenuta mancante.
Vi sono, poi, dei fattori specifici di carattere più sociologico perché ritroviamo, non soltanto rispetto alla protesta pubblica, ma più in generale, un atteggiamento di maggiore aggressività che si dimostra nell'estremizzazione di quello che abbiamo chiamato una sorta di «relativismo


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soggettivo», per il quale - non vorrei essere troppo astratto - è il singolo cittadino a giudicare ciò che va fatto o meno. Si tratta di un'estremizzazione di quel tradizionale modo degli italiani di guardare alle regole con una rilevante approssimazione.
Per esempio, nel caso di Equitalia è evidente che ci troviamo di fronte a proteste che hanno senso perché in passato il pagare una contravvenzione, piuttosto che una tassa o un'imposta è stato ritenuto flessibile e rinviabile. Oggi, le azioni, anche violente, contro un esattore sarebbero impensabili in qualsiasi Paese europeo. Probabilmente, tutto ciò può essere collegato anche ai meccanismi eccessivamente punitivi di alcune sanzioni che devono essere pagate, ma, su questo punto specifico, si tratta di una regola non rispettata, che ha prodotto un disagio ancora maggiore che se fosse stata rispettata. Poi, attraverso un'ampia comunicazione mediatica, si riporta la notizia di una persona che non può pagare ed è in difficoltà. Insomma, questi sono meccanismi tipici del nostro Paese, che, però, si riferiscono a una labilità di enforcement, cioè al fatto che quando c'è una regola, bisogna poi farla rispettare.
L'ultimo punto che vorrei affrontare, per non dilungarmi ulteriormente, riguarda un altro aspetto tipicamente italiano, vale a dire il rapporto con il territorio e il localismo. Infatti, molte di queste proteste hanno luogo proprio per opporsi a interventi di tipo territoriale. Su questo penso che ci sia un grande spazio normativo e legislativo.
Cito, per esempio, la protesta più eclatante anche sotto il profilo della vostra indagine conoscitiva, in relazione al tema della violenza, quella relativa alla TAV, che parte dal territorio, ma si è allargata enormemente fino a divenire un'effettiva protesta antagonista contro i poteri costituiti in generale. Secondo me, alla base di questa forma di protesta vi sono svariati elementi - sono stato a fare un lavoro in Val di Susa, quindi ho potuto verificare direttamente - che favoriscono non tanto l'azione dei violenti, che ha una sua autonomia e ragioni che poco dipendono direttamente dal contesto o dalla causa prima, bensì l'aggregarsi di un'opinione più diffusa, che potrebbe essere sicuramente prevenuta.
Mi riferisco, per esempio, al fatto che le nostre infrastrutture non abbiano una programmazione visibile comunicata al Paese. Occorrerebbe dire che le grandi infrastrutture europee sono decise da tutti i Paesi europei - questa è la scala in cui si decide - e che non possiamo modificarle: le ferrovie, i porti, gli aeroporti sono quelli e basta. Peraltro, credo che proprio nel decreto del Governo di questa notte ci sia qualcosa in merito all'interesse nazionale, ma anche alla gestione nazionale di queste infrastrutture, che non riguardano il singolo Paese. Se vogliamo realizzare una ferrovia veloce che ci colleghi all'Europa, non la possiamo fare dove vogliamo noi: non possiamo fare un buco e poi dall'altra parte non troviamo nulla. Questo è normale.
Tuttavia, vi sono carenze nel modo in cui le infrastrutture vengono programmate. Penso alla stessa «legge obiettivo», che si è accresciuta di centinaia di progetti, ma non ha reso al cittadino chiaro il ragionamento di che cosa si debba fare. In più, non abbiamo una normativa che riguarda il coinvolgimento effettivo dell'opinione pubblica e dei cittadini, come in tutti gli altri Paesi. Che sia l'inglese public engagement o la francese enquête publique, è indispensabile che, per un certo numero di settimane o di mesi, ci sia una consultazione, dopodiché si decide e si parte. Invece, noi ci troviamo di fronte a una programmazione incerta e a strumenti, come le compensazioni, che conducono a una continua contrattazione con il territorio, generando fenomeni che creano un alone non del tutto positivo, su cui il violento interviene, in maniera assolutamente non giustificata.
Un altro argomento che può interessare la Commissione è ad esempio sapere quello che effettivamente prevede il progetto attuale della ferrovia ad alta velocità in territorio italiano: 12 chilometri di tunnel di base (la gran parte è in Francia),


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3 chilometri in aria aperta, l'autoporto di Susa, quindi una struttura esistente, e una galleria ulteriore che va a Bussoleno, che si innesca sulla vecchia ferrovia. Ecco, penso che nessuno sappia che questo è il progetto attuale dell'alta velocità. Nello stesso tempo, però vediamo scene con il filo spinato e i manifestanti che attaccano continuamente.
Insomma, per isolare le forme di violenza bisogna comunicare con chiarezza gli obiettivi che lo Stato intende realizzare sul territorio. Occorre, quindi, anche un accentramento a livello statale di certe funzioni perché poi, una volta che il cittadino ha il beneficio di quell'infrastruttura, si innesca un circuito positivo.
Ho concluso. Lascio a disposizione della Commissione una relazione scritta, dichiarandomi, ovviamente, disponibile a rispondere a vostre eventuali domande.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Roma e dispongo che il documento scritto da lui consegnato alla presidenza sia messo in distribuzione.
Do la parola ai deputati che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

FABIO MERONI. Non metto in dubbio il carattere scientifico del lavoro svolto dal Censis. Tuttavia, mi fa specie sentir dire che si è passati dal 12 al 18 per cento di persone che rientrano nell'ambito dell'«antagonismo errante», cioè che partecipano a manifestazioni. In più, mi sorprende che ci sia un milione e mezzo di persone, pari al 3,3 per cento della popolazione, che partecipa a manifestazioni non autorizzate. Allora, la mia considerazione è molto semplice.
Semplificando - come avete fatto nel documento che ci avete consegnato, ma in maniera giustificata, ovviamente, data la corposità di quello che avete prodotto - siamo di fronte a un «antagonismo errante», che si sposta, poiché quelli che sono in Val di Susa non possono essere gli stessi che sono a Roma. Ciò nonostante, non posso pensare che un milione e mezzo di italiani siano tutti convinti di partecipare a manifestazioni non autorizzate.
Inoltre, venendo da una circoscrizione elettorale del nord, non posso pensare che il 75,3 per cento sia disponibile a scendere in piazza contro il prelievo fiscale, mentre ben l'80,2 sia contro i privilegi del ceto politico. Queste informazioni da domani saranno disponibili a tutti i parlamentari, che potranno usarle come meglio conviene loro. Insomma, stiamo attaccando ancora una volta la cosiddetta «politica fatta da gente eletta», con delle considerazioni tecniche che lasciano il tempo che trovano.
Personalmente, non sono convinto che la colpa sia solo ed esclusivamente dei rappresentanti politici e che tutta la gente che scende in piazza, sia cosciente del motivo per cui lo fa. Ci sono tante strumentalizzazioni da ambo le parti. Pertanto, più che un rapporto scientifico, questa mi sembra una semplificazione dei fenomeni che avvengono sul nostro territorio.

MARIO TASSONE. Vorrei porre un paio di questioni al dottor Roma, che ringrazio per la sua interessante esposizione. La Commissione ha deliberato di svolgere questa indagine conoscitiva non soltanto per raccogliere importanti documentazioni, attraverso audizioni che sono state, come questa, di particolare rilevanza, ma anche per capire le premesse, le dinamiche e le motivazioni di queste manifestazioni violente e per comprendere le ragioni per le quali non si è raggiunto durante lo svolgimento delle manifestazioni un adeguato livello di sicurezza e, prima ancora, di prevenzione.
La presenza del direttore generale del Censis - come si evince anche dalla sua relazione introduttiva - è importante al fine di comprendere quali sono le dinamiche e le situazioni sociali che determinano questi momenti che si sono rivelati di forte rottura, con accenti di una certa gravità. Del resto, questa indagine è avvenuta all'indomani di una manifestazione che si è svolta a Roma, ma dopo aver vissuto, sia pure da spettatori, le vicende del 2001 a Genova. Insomma, si pensava che dopo il 2001 qualche meccanismo di prevenzione fosse stato messo in atto.


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Arrivando alla domanda che voglio porre al dottor Roma, vorrei osservare che la prevenzione riguarda certamente le misure di sicurezza, quindi la capacità di presenza e di contrasto da parte delle forze di polizia, che dovrebbe far trarre una valutazione anche dal punto di vista sociologico e psicologico. C'è mai stato un rapporto tra il Censis e le forze di polizia? Inoltre, le forze di polizia alimentano oppure chiedono l'alimentazione di dati sulla configurazione sociale in relazione anche ai ritmi e soprattutto allo scadenzario della vicenda politica del nostro Paese?
Personalmente, capisco quanto ha detto per quanto riguarda la rappresentanza, l'associativismo e i partiti. Ci sono stati momenti di rottura nel nostro Paese. Pensiamo alle manifestazioni, anche violente, del dopoguerra, legate, ad esempio, alla discussione in Parlamento dell'adesione al Patto atlantico. Allora, c'erano i grandi partiti, ognuno dei quali aveva il proprio servizio d'ordine, come anche i grandi sindacati. Oggi, ci sono dei manifestanti legati al contingente, cioè a una situazione particolare. Dalle sue parole mi sembra di capire, però, che ci sono anche dei reparti stabili di professionisti che sono erranti e si muovono in giro per l'Europa o forse anche fuori. Sembra, insomma, un reparto mobile. Una volta c'erano i reparti mobili della Celere; oggi, ci sono i reparti mobili di manifestanti, contigui a situazioni che, a mio avviso, richiamano nella nostra mente atti di violenza, quindi, per alcuni versi, vicini al terrorismo.
Si è compreso quello che viene fuori dall'animo umano e quali sono gli input esterni. Tuttavia, la mia domanda principale è se le nostre forze di polizia, al di là dei loro centri studi di rilevamento, certamente qualificati, abbiano una proiezione più ampia, coinvolgendo il Censis o altri organismi, oppure vadano al confronto sulla piazza senza un'attrezzatura e senza aver messo in atto delle misure di sicurezza e di prevenzione, che sono certamente importanti.
Nei sistemi dittatoriali c'erano le liste dei proscritti, quindi si isolavano o si invitavano a stare a casa preventivamente coloro che erano propensi a manifestare contro. Secondo lei, è possibile che questa massa di manovra venga fuori in questo modo? Del resto, ci sono dei registi. Molte volte, peraltro, la contestazione è legittima, per esempio quando riguarda un provvedimento economico. Tuttavia, gli eventi che si sono verificati sanno di operazioni quasi paramilitari, con obiettivi ben precisi. Ci deve essere, insomma, una centrale, ma soprattutto una catena di comando, per cui pochi gruppi riescono a muoversi e soprattutto a determinare quel clima di psicosi e di esplosione che è proprio delle masse quando qualcuno le aizza e indica gli obiettivi da abbattere.
Ecco, è questo il senso della mia domanda. Ringrazio di nuovo il direttore generale del Censis della disponibilità.

MAURIZIO TURCO. Credo che i dati che emergono dall'indagine del Censis siano davvero preoccupanti e che siano abbastanza fuorvianti alcune considerazioni che - come ha evidenziato il collega Meroni - potremmo trovare domani sui giornali. Sono davvero incredibili le cifre che emergono da questi studi. Non voglio dire, di converso, che ci sia una criminalizzazione di massa, ma c'è senz'altro un'eversione di massa. Mi consenta, allora, una domanda. Questa è un'indagine statistica. Su quale campione è stata effettuata? Inoltre, è stata fatta direttamente dal Censis o da una società demoscopica?

DORIS LO MORO. Vorrei un chiarimento. Faccio riferimento, in maniera particolare, alla tabella 6 di pagina 11 della documentazione scritta consegnata dal dottor Roma e riferita alla disponibilità ad aderire a future forme di protesta divisa per livello socio-economico dell'intervistato. Mi è chiaro il perché della domanda, che è stata formulata perché ha a che fare con l'indagine conoscitiva. Si chiede, infatti, la disponibilità ad aderire a future forme di protesta. La divisione, lo ripeto, è per livello socio-economico dell'intervistato.
Ecco, alcuni dati mi sorprendono, soprattutto quello relativo al livello socio-economico


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medio-alto, con il 95,2 per cento degli interpellati che parteciperebbe a proteste contro i cosiddetti «privilegi della casta politica», quindi non sarebbero i livelli bassi a essere proiettati verso questa forma di protesta, ma, appunto, quelli medio-alti. Ugualmente, mi sorprende il dato relativo alle proteste contro la liberalizzazione di alcuni servizi pubblici, come l'acqua, in cui sembra che il livello basso si attesti al 52 per cento. Questo è un dato strano perché il referendum in materia ha visto, invece, una partecipazione molto attiva di quel livello.
Queste mie considerazioni, che saranno oggetto di riflessione futura, mi spingono a farle una domanda. Secondo le sue competenze, che rapporto c'è tra il dissenso e le forme di protesta? Difatti, un conto è dissentire, un altro è essere disponibili a forme di protesta. C'è un'equivalenza o una forte distanza tra questi ambiti? Questa informazione è utile per capire meglio i dati.

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Roma per la sua replica.

GIUSEPPE ROMA, Direttore generale del Centro Studi Investimenti Sociali (Censis). Innanzitutto, vorrei rassicurare la Commissione perché i dati contenuti nella documentazione che ho consegnato non sono stati resi pubblici oggi, ma si trovano in una pubblicazione del luglio scorso. Peraltro, non ho neanche parlato di questa tabella, che è solo di propensione.
Comunque, voglio dire all'onorevole Turco che il campione è rappresentativo della realtà italiana, quindi ha tutte le caratteristiche di un campione di un sondaggio. È stato realizzato in tempi molto recenti, in giugno, quindi probabilmente le opinioni riflettono della condizione sociale. Sui giornali, del resto, va molto di più e molto peggio di quell'80 per cento.
Volendo dare una risposta di tipo tecnico, se guardate le altre tabelle della documentazione scritta, le forme di protesta a cui si fa riferimento sono di vario tipo - firmare una petizione, aderire a uno sciopero, partecipare all'attività di un'associazione, partecipare a manifestazioni di protesta non violenta - quindi non è che l'80 per cento va in piazza e partecipa a una manifestazione non autorizzata, cosa che coinvolge una quota molto piccola.
Rispondo all'onorevole Meroni: provenendo dal nord, lei sa che la protesta contro l'inasprimento fiscale è abbastanza vicina all'80 per cento (75 per cento). In quel caso, siamo spesso di fronte a forme non autorizzate perché si parla di rivolta fiscale e quant'altro, quindi mi sembra che questo rispecchi una tendenza che, sebbene non violenta, è certamente diretta a manifestare un dissenso su un problema, quale la pressione fiscale, che è oggettivo perché sappiamo che è molto elevata nel nostro Paese.
Onorevole Turco, normalmente facciamo circa 90.000 questionari all'anno in forma di interviste alla popolazione italiana, che non realizziamo con nostre strutture, ma attraverso organismi certificati. Nel caso specifico, non so dire quale delle imprese certificate abbia realizzato il sondaggio. Ciò nonostante, l'80 per cento è una quota molto ampia, che fa dire che oggi, in Italia, quasi tutti sono spinti alla protesta. D'altronde, il Parlamento sta legiferando in materia, quindi non stiamo discutendo di un problema secondario. Comunque, quando si parla di sondaggi di opinione, dovete tener conto che si tratta di opinioni fortemente condizionate dal contesto in cui l'intervista viene realizzata.
All'onorevole Tassone, che ringrazio delle osservazioni, vorrei dire che non abbiamo mai avuto occasione di realizzare direttamente ricerche per conto del Ministero dell'interno in relazione a questo problema. Lo facciamo, però, su altri temi, come l'immigrazione, il bullismo e la dispersione scolastica. Per esempio, nell'ambito del progetto del PON (Programma operativo nazionale) Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno abbiamo realizzato, insieme al Ministero dell'interno, dei centri di prevenzione nelle scuole contro i fenomeni di bullismo e della dispersione scolastica. Credo, comunque, che sul tema della violenza il Ministero dell'interno e la


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polizia abbiano analisti che guardino a questo problema anche dal punto di vista sociologico. Non so dirle, tuttavia, se c'è un'unica centrale, né come sono organizzati.
Il mio piccolo contributo è nel dire che è evidente che qualsiasi forma organizzata di violenza nella protesta sociale possa avere più spazio se il contesto dentro cui si cala non è ben presidiato. Questo è il punto. Poi, credo che anche la rilevanza delle indagini giudiziarie abbia affermato che ci sono gruppi che si spostano addirittura in Europa. Il problema è, però, capire se queste forme violente si innescano in forme di protesta che non trovano, a mio avviso, i canali democratici e ordinari di realizzazione. Questo può avvenire per le ragioni più diverse.
Come è sempre stato in Italia, bisogna lavorare con la repressione da parte degli organi istituzionali preposti all'ordine pubblico per quanto riguarda i piccoli gruppi, ma anche con l'attenzione politica ai problemi che sorgono, come quelli relativi alla localizzazione di impianti sul nostro territorio. Insomma, non può essere che solo in Italia non si possa realizzare nulla.
Credo che, peraltro, queste forme di violenza - non mi riferisco a quelle organizzate, su cui occorre la prevenzione che riguarda l'ordine pubblico e il sistema di sicurezza - siano difficilmente controllabili. Dobbiamo, infatti, anche ammettere che, nell'attuale condizione delle società avanzate, alcune bolle di violenza esplodono anche in maniera incontrollata in tanti Paesi. Pensiamo, per esempio, alle periferie parigine e londinesi che hanno visto forme improvvise e violente di proteste molto più gravi di quanto accada da noi, ma anche a tante altre forme che si manifestano in altri Paesi, come il folle che arriva in una scuola.
Ci sono, cioè, delle forme di aggressività nella società contemporanea a cui bisogna guardare con estrema attenzione, soprattutto riportando quello spirito di comunità e di coesione sociale che è l'unica possibile prevenzione, stante sempre il fatto che poi un folle - come è avvenuto anche in Italia, a Brindisi - possa mettere una bomba e uccidere degli studenti. Vedevamo queste scene nei film americani degli anni Cinquanta; adesso, purtroppo, è una realtà anche da noi.
Dal punto di vista istituzionale e politico, bisognerebbe dedicare grande attenzione ai processi di relazione tra le istituzioni e i cittadini, che devono essere innanzitutto autorevoli. Per esempio, nel caso di un'infrastruttura, le istituzioni devono volerla fare a tutti costi, se è giusto farla, chiedendo ai cittadini una partecipazione attiva, ma costruttiva. Mi rendo conto che è un discorso generale, che riguarda anche la conoscenza dei fenomeni, come quelli più di tipo sociologico, che coinvolgono anche il mondo giovanile.
Un altro aspetto è che siamo fortemente condizionati da una comunicazione che, obiettivamente, è spesso superficiale. Per esempio, non tutte le proteste - come si evince dai nostri dati - sono dovute al «fattore giovani». D'altronde, il disagio giovanile, in termini di lavoro e di partecipazione alla vita attiva, non sempre genera una protesta diffusa, che è più legata ai gruppi che bloccano la strada perché non vogliono una discarica. In sostanza, si tratta di fenomeni molto articolati e complessi che vanno visti da diverse sfaccettature.
A ogni modo, questa tabella non deve assolutamente impensierire la classe politica perché penso che su questo si debba fare chiarezza in termini di dinamiche effettive, anche dal punto di vista strettamente sociologico. Personalmente, ogni volta che vengo in questo palazzo vedo gente molto seria, che fa il suo lavoro con passione e abnegazione. Peraltro, lo riporto anche all'esterno. Tuttavia, purtroppo l'immagine che viene data non è questa e, visto che la gente non viene nel palazzo, ma legge i giornali, dovreste prendervela con la comunicazione più che con noi analisti.

FABIO MERONI. Vorrei un chiarimento. Stavamo discutendo con l'onorevole Turco del fatto che stiamo parlando di cifre che sono all'interno del documento


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del Censis. Il milione e mezzo di italiani che ha partecipato a manifestazioni non autorizzate risulta da interviste telefoniche.

GIUSEPPE ROMA, Direttore generale del Centro Studi Investimenti Sociali (Censis). Sono loro che l'hanno dichiarato.

FABIO MERONI. Al di là della protesta fiscale, alla quale si aderisce anche mentalmente perché non si è d'accordo con i provvedimenti del Governo, per cui quando si riceve la telefonata, l'intervistato risponde che «ucciderebbe tutti», mi sembra strano il dato di un milione e mezzo. Infatti, il problema vero è che si dice che un milione e mezzo di italiani ha partecipato a manifestazioni; di conseguenza, o stiamo criminalizzando tutti quelli che scendono in piazza per svariati motivi, dicendo che partecipano a manifestazioni non autorizzate, o forse bisognerebbe rendere più esplicito quello che si dichiara. Personalmente, non ho visto manifestazioni così imponenti, ma non ho visto neanche la mole non indifferente di un milione e mezzo di italiani che ha partecipato a manifestazioni non autorizzate, tralasciando i 9 milioni di italiani che, teoricamente, secondo lo studio del Censis, sono intervenuti anche in manifestazioni autorizzate.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Roma del prezioso contributo e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,50.

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