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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissioni Riunite (I e II)
2.
Mercoledì 14 settembre 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Follegot Fulvio, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEI PROGETTI DI LEGGE C. 4434 GOVERNO, APPROVATO DAL SENATO, C. 3380 DI PIETRO, C. 4382 GIOVANELLI, C. 3850 FERRANTI, C. 4516 GARAVINI E C. 4501 TORRISI RECANTI DISPOSIZIONI PER LA PREVENZIONE E LA REPRESSIONE DELLA CORRUZIONE E DELL'ILLEGALITÀ NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Audizione del Presidente della Corte dei conti, dottor Luigi Giampaolino:

Follegot Fulvio, Presidente ... 3 6 9 11
Ferranti Donatella (PD) ... 8
Giampaolino Luigi, Presidente della Corte dei conti ... 3 9
Mantini Pierluigi (UdCpTP) ... 8
Melis Guido (PD) ... 6
Napoli Angela (FLpTP) ... 7
Samperi Marilena (PD) ... 8
Sisto Francesco Paolo (PdL) ... 9

Audizione di rappresentanti della Banca d'Italia:

Follegot Fulvio, Presidente ... 11 16
Bianco Magda, Dirigente del servizio studi di struttura economica della Banca d'Italia ... 13
Donato Luigi, Capo del servizio rapporti esterni e affari generali di vigilanza della Banca d'Italia ... 11 15

Audizione del professor Francesco Merloni, ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Perugia, del professor Bernardo Giorgio Mattarella, ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Siena, del professor Luciano Vandelli, ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Bologna e del professor Carlo Federico Grosso, ordinario di diritto penale presso l'Università di Torino:

Follegot Fulvio, Presidente ... 16 24 27 30
Ferranti Donatella (PD) ... 26
Grosso Carlo Federico, Professore ordinario di diritto penale presso l'Università di Torino ... 21 27 29
Mantini Pierluigi (UdCpTP) ... 24
Mattarella Bernardo Giorgio, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Siena ... 18 29
Melis Guido (PD) ... 24
Merloni Francesco, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Perugia ... 16 28 29
Vandelli Luciano, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Bologna ... 20 30
Zaccaria Roberto (PD) ... 25
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A.

COMMISSIONI RIUNITE (I E II)
I (AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI) E II (GIUSTIZIA)

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 14 settembre 2011


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DELLA II COMMISSIONE FULVIO FOLLEGOT

La seduta comincia alle 9,40.

(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del Presidente della Corte dei conti, dottor Luigi Giampaolino.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva attinente all'esame dei progetti di legge C. 4434 Governo, approvato dal Senato, C. 3380 Di Pietro, C. 4382 Giovanelli, C. 3850 Ferranti, C. 4516 Garavini e C. 4501 Torrisi, recanti disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione, l'audizione del presidente della Corte dei conti, dottor Luigi Giampaolino.
Avverto che il procuratore nazionale antimafia, dottor Pietro Grasso, impossibilitato per impegni istituzionali a prendere parte all'audizione, ha trasmesso un documento che è già in distribuzione.
Sono presenti, per quanto riguarda la Corte dei conti, il dottor Luigi Giampaolino, presidente, il dottor Maurizio Meloni, presidente di sezione, il dottor Ermanno Granelli, consigliere, il dottor Luigi Caso, magistrato capo di gabinetto, il dottor Roberto Marletta dell'ufficio stampa e il dottor Bucci.
Do, quindi, la parola al dottor Giampaolino, presidente della Corte dei conti, che ringrazio sentitamente per la disponibilità, nonostante importanti impegni istituzionali, a essere sentito dalle Commissioni.

LUIGI GIAMPAOLINO, Presidente della Corte dei conti. Grazie, presidente. Era non solo doveroso, ma necessario intervenire e la Corte è grata per l'audizione odierna su questo provvedimento, sul quale la Corte, in verità, nella sua precedente versione ha già avuto modo di esprimere alcune considerazioni di carattere generale.
La Corte è particolarmente interessata a manifestare il suo pensiero e, quindi, a dare il proprio ausilio al Parlamento perché le sue funzioni nel nostro ordinamento in un dato senso sovraintendono l'oggetto di questo provvedimento, che è quello della prevenzione della corruzione.
La custodia della legalità, che con il controllo preventivo la Costituzione assegna alla Corte, la tutela e la garanzia del corretto uso delle pubbliche risorse, la rendicontazione che essa deve rendere al Parlamento e per esso al Paese, il giudizio di responsabilità che chiude il sistema e che chiama in causa tutti coloro i quali arrecano danno allo Stato, offrono una cornice di fondo in cui questo provvedimento ben si inserisce.
Soprattutto con riguardo a quest'ultimo aspetto dei giudizi di responsabilità ciò è tanto più valido se si pensa che la giurisprudenza nella clausola generale dell'ingiustizia del danno ha fatto riferimento non solo ai nocumenti patrimoniali che si


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arrecano allo Stato e per esso alla società, ma anche a tutti gli altri valori che la Costituzione tutela e, in particolare, a quelli che riguardano la pubblica amministrazione.
L'efficienza, il buon andamento e altri elementi sono inseriti anche in norme che molto conviene richiamare, come l'articolo 54 della Costituzione, in cui è prescritto che i pubblici funzionari debbano servire con onore e dignità. Sono tutti beni e valori che rappresentano lo sfondo e l'empireo entro il quale si colloca anche questo provvedimento.
Esso, in particolare, ha una sua valenza agli occhi della Corte, perché, soprattutto nella sua originaria versione, che viene mantenuta nel testo approvato dal Senato, si caratterizza, se è consentita un'osservazione, per il concentrarsi su talune specifiche fattispecie più che non per il tracciare un disegno generale, perché per la prima volta nella storia del nostro ordinamento non affronta il problema della corruzione e della prevenzione della corruzione sotto l'aspetto penalistico.
L'innovazione, in verità, deriva da documenti e da dettati internazionali, ma essi vengono in adesione a ciò che da tempo la dottrina amministrativa aveva auspicato e che la stessa dottrina penalistica più recente aveva, se non invocato, quanto meno indicato. Mi riferisco alla necessità che le gravi patologie vengano affrontate nell'ambito dell'amministrazione con rimedi amministrativi e non, come era frequente nel nostro ordinamento, con l'inasprimento ulteriore della tutela penale, quindi con una lettura essenzialmente penalistica del fenomeno.
Il provvedimento attuale, come osservavo, presenta specifiche indicazioni a questo fine, ma va sottolineata e - oserei dire - difesa l'impostazione di misure da trovare innanzitutto nell'ambito della stessa pubblica amministrazione.
L'articolo 1 del disegno di legge si fa carico, in attuazione della convenzione internazionale e della convenzione penale, di istituire un'Autorità indipendente. Più che istituire la norma usa l'espressione «individua l'Autorità in un organo già preesistente», come era già nella versione dell'originario disegno di legge governativo. Si tratta di un organo essenzialmente inquadrato nell'ambito dell'amministrazione, i cui connotati di indipendenza e di autonomia dalla stessa erano dubbi.
In verità, in una visione altamente amministrativa della problematica si sarebbe pur potuto prevedere che l'amministrazione in se stessa disponesse di alcuni organi i quali potessero affrontare le tematiche che si vogliono trattare.
Ometto tutte le considerazioni che nella parte conclusiva del documento scritto consegnato alla presidenza sono state riportate in ordine alla peculiarità e alla gravità del fenomeno della corruzione, che assume nei calcoli delle nostre procure generali fino a un terzo del computo complessivo dei danni di cui si risponde davanti alla Corte. Intendo solo richiamare l'importanza del provvedimento che soprattutto per questi aspetti viene in rilievo.
Ritornando al discorso, nulla avrebbe potuto vietare che nell'ambito della stessa amministrazione si fossero trovati organi idonei a porre in essere tali rimedi amministrativi, ma il dettato internazionale vuole l'indipendenza dell'organo e noi anche nella prima audizione svolta al Senato abbiamo invocato sempre maggiore indipendenza dell'organo.
L'individuazione, per usare il termine impiegato dalla norma, dell'organo previsto dà, però, luogo a un'aporia, perché non fa che richiamare la disciplina del decreto legislativo n. 150 del 2009 e, quindi, la stessa formazione e gli stessi requisiti professionali dei componenti di quest'Autorità forse andrebbero rivisti ai fini dei compiti che tale Autorità riveste.
Si è usato un termine ad hoc che, nel triplice significato che esso può avere nel nostro ordinamento, in questo contesto assume quello di essere organo preposto alla cura di un interesse cui il Parlamento attribuisce particolare importanza, sì che l'enuclea quasi dall'ordinamento amministrativo e lo sottopone all'attenzione particolare attraverso un organo specifico, che, peraltro, riferisce al medesimo Parlamento, avendo quindi un contatto diretto


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con il Parlamento, circostanza che lo distingue anche dalla precedente versione nella quale la Commissione riferiva, invece, al Governo.
Passi avanti con la nuova formulazione sono stati, dunque, compiuti, ma passi ulteriori si potrebbero fare. Non sarebbe stato del tutto controproducente, ove l'amministrazione abbia in sé stessa i requisiti dell'imparzialità e dell'autorevolezza, che essa ponesse in essere propri rimedi e proprie azioni. Ciò è previsto nel comma 4 dell'articolo 1, dove il Dipartimento della funzione pubblica riprende la sua funzione di trovare e indicare rimedi per tutte le amministrazioni.
Ovviamente ciò ha riguardo soltanto verso le amministrazioni centrali, perché uno dei problemi di fondo di questo provvedimento, al pari di altri che riguardano l'organizzazione, è quello dei rapporti tra la legislazione, nazionale e regionale, e l'autonomia statutaria dei comuni.
La problematica è affrontata solo con riguardo alle regioni a Statuto speciale nell'articolo 6, se non vado errato, peraltro con un titolo che sarebbe opportuno rettificare, in quanto ha riguardo soltanto per tali regioni.
Senza dubbio i poteri della Commissione possono essere migliorati, ma l'importante è che essa abbia i suoi contatti con il Parlamento. Analogamente, i poteri del Dipartimento potrebbero essere ulteriormente incrementati, mentre sono da condividere gli obblighi che si prevedono nel comma 5, tra cui, in particolare, quello delle procedure appropriate per la selezione e la formazione, in collaborazione con la Scuola superiore della pubblica amministrazione, dei dipendenti chiamati a operare nei settori particolarmente esposti alla corruzione, prevedendo negli stessi settori la rotazione dei dirigenti e dei funzionari.
Se è consentita un'osservazione di carattere personale, questo è uno dei punti fondamentali della lotta alla corruzione, ossia la provvista dei pubblici funzionari, la selezione nel momento della loro immissione in servizio e la loro rotazione.
Sulla trasparenza avrei ben poco avrei da osservare, se non per sottolineare come si è dovuto far ricorso alla lettera m) dell'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, per costituire una norma che si imponga con cogenza immediata a tutti i protagonisti dell'ordinamento stesso. Per i procedimenti che vengono individuati noi ci permetteremo di aggiungere la necessità di fare riferimento anche ai procedimenti posti in essere con norme derogatorie - mi riferisco alle famose ordinanze derogatorie - dove cioè il principio di legalità a cui, come rilevavo all'inizio, la Corte è particolarmente preposta e che è il primo sbarramento a ogni forma di corruzione, oltre a essere il centro di un sistema democratico, dal momento che l'Esecutivo, rispettando la legge, rispetta anche i dettati del Parlamento, ricordando che al rapporto tra Esecutivo e Parlamento è preposta l'azione della Corte dei conti, in molte di queste ordinanze viene a essere attutito, se non del tutto pretermesso.
Anche statisticamente questo è uno dei settori che più ha dato luogo a fattispecie penali di cui la Corte si è molto occupata nelle sue relazioni al Parlamento e sulle quali mi permetto di richiamare l'attenzione, perché molte delle questioni che rappresentano lo scenario sul quale si muove il provvedimento si rinvengono nelle relazioni che la Corte consegna al Parlamento ogni anno nella sua rendicontazione.
Leggendo le pagine delle relazioni con la visione generale dell'andamento delle pubbliche amministrazioni, soprattutto per quelle centrali per quanto riguarda il Parlamento nazionale, ma anche per quelle regionali, molte azioni trovano una loro rappresentazione, su cui mi è consentito richiamare l'attenzione.
Mi permetterei di indicare la necessità di implementare l'elencazione di tutta l'attività posta in essere con norme derogatorie e anche di aggiungere le opere segretate, sulle quali la Corte ha depositato espliciti, puntuali e mirati referti al Parlamento.
Con riguardo all'articolo 3, che richiama sostanzialmente l'articolo 53 del


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decreto legislativo n. 165 del 2001, si tratta di una norma che canonizza in modo necessario, ma che potrebbe risultare severo, il comportamento deontologico dei pubblici funzionari. La norma si chiude con la disciplina di fenomeni patologici, quali possono essere quelli di pubblici funzionari che, in occasione del loro servizio o a causa della loro attività, contraggono rapporti di lavoro con le imprese o con altri soggetti.
Sono ipotesi estreme, che in un rapporto di lavoro e di impiego delle pubbliche amministrazioni avrebbero dovuto trovare la propria prevenzione innanzitutto nella deontologia, nella costruzione e nello svolgimento del rapporto e poi in atti preventivi.
Nel disegno di legge si prevede la nullità di questi contratti, il che suona un po' discordante con tutta l'impostazione del provvedimento, al secondo comma dell'introdotto 16-bis, che non prevede la retroattività della disposizione.
Come è noto alle Commissioni, la disciplina del diritto transitorio in merito alla retroattività prevede un canone, al di là delle formule che si usano su diritti quesiti e rapporti esauriti. Il canone è quello dell'importanza del valore che il legislatore vuole attribuire al valore che introduce nell'ordinamento. Se si vuole introdurre il valore che questi contratti sono del tutto «ripugnanti», per usare una parola che mi viene spontanea, a uno svolgimento corretto del pubblico rapporto, non si vede perché poi debbano rimanere in vita nonostante questo giudizio di disvalore, che è implicito nell'ordinamento, ma che qui viene canonizzato.
L'articolo 4 suona a sua volta come la tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti. Per quello che è un dovere vi è la necessità di una tutela e su questo punto non vi sono osservazioni da svolgere.
Sull'articolo 5, che riguarda le attività di imprese particolarmente esposte al rischio di inquinamento mafioso, esso strettamente dovrebbe essere fuori tema, ma il fenomeno è talmente grave che non può non essere richiamato. Sono tutte attività che anche in altre sedi ho avuto modo di constatare essere oggetto di questi pericoli, per cui si ritiene necessario inserire in un provvedimento che attiene alla corruzione un fenomeno criminale quale quello della mafia.
Dell'articolo 6 ho parlato, richiamando l'attenzione sulla necessità di adeguare il titolo al reale contenuto del testo.
L'articolo 7 riguarda particolarmente la Corte dei conti. Vi si quantifica il danno all'immagine. Senza dubbio è operazione che la Corte non può non vedere con favore, perché elimina ogni possibilità di incertezza. Certamente la Corte vorrebbe che fosse richiamata l'attenzione sul fatto che l'intervento non sia limitato ai soli reati contro la pubblica amministrazione e il danno all'immagine dell'amministrazione stessa. Anche da altre forme di reato derivano gravi pregiudizi per il presentarsi dell'amministrazione quale essa deve essere, ossia protagonista di valori e di interessi pubblici nell'ordinamento.
Noto la necessità, come rilevo nel documento scritto, che la formula di probabile attenuazione venga sostituita con quella più tecnica dell'articolo 671 del Codice di procedura civile.
Infine, nell'articolo 8 vi è la delega per l'incompatibilità, per il divieto di ricoprire incarichi e per l'incandidabilità. È una norma di notevole rilievo, che è poi rimessa alla delega, ma richiamo l'attenzione sulla necessità di provvedere a una sua armonizzazione o comunque di tener presente quanto è previsto anche nell'ultimo dei decreti delegati sul federalismo, quello premiale e sanzionatorio, dove ipotesi di questo genere sono contemplate.

PRESIDENTE. Grazie, dottor Giampaolino. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

GUIDO MELIS. Ringrazio il presidente Giampaolino, che ci ha fornito un quadro molto puntuale e interessante. Pongo tre domande che nascono dalle sue considerazioni.
Lei ha sfiorato all'inizio, con molto garbo, un tema e ha affermato che sarebbe


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stato meglio forse tornare al disegno originario del provvedimento, non concentrandosi tanto su specifiche fattispecie, ma cercando di inquadrare, così mi è sembrato di capire, un disegno generale.
Si tratta di un'osservazione forse a margine, ma piuttosto consistente. Volevo chiederle se lei non ritiene di darci un suggerimento sul disegno generale. Quali sono i punti che, secondo lei, in un provvedimento che vuole affrontare in maniera definitiva il tema della corruzione amministrativa, mancano e che dovrebbero invece sorreggerlo? La critica mi sembra di quelle da non tenere in secondo piano.
Il secondo è un tema eterno di questa fase legislativa, cioè se istituire Autorità speciali o ricondurre l'amministrazione pubblica al suo ordinario e corretto funzionamento, se ricorrere a soggetti esterni che obblighino l'amministrazione a essere virtuosa od operare dentro l'amministrazione perché essa ritrovi quei meccanismi che, secondo me, un tempo aveva.
Uno dei problemi che noi abbiamo di fronte, presidente Giampaolino, non so se lei è d'accordo con me, è che noi per anni e per decenni abbiamo demolito i controlli ispettivi o li abbiamo ridotti a puri controlli formali, dove un tempo invece tali controlli erano incisivi, tempestivi e puntuali e funzionavano come veri e propri avvisatori della corruzione prima che il fatto corruttivo si verificasse, quando l'anomalia cominciava a manifestarsi.
La demolizione sistematica, per ragioni molto complesse e che ora non abbiamo il tempo di approfondire, in parte dovute anche alla cultura dell'amministrazione nel suo farsi sempre più apparato formale e sempre meno apparato capace di entrare negli aspetti sostanziali dell'attività, ha generato una condizione per cui l'amministrazione è indifesa nei confronti del fatto corruttivo, soprattutto quando viene a contatto con grandi interessi che presentano una capacità di penetrazione molto forte e che hanno alle loro spalle apparati di sostegno molto consistenti.
Non sarebbe il caso, piuttosto che perseguire questa via, che il nostro legislatore da tanto tempo persegue e che ogni volta lo induce a costituire un'Autorità speciale e ad affidarle poteri che poi normalmente vengono esercitati o in maniera molto opinabile o non vengono esercitati affatto, di allestire un progetto di ricostituzione di questa rete interna di avvisatori della pubblica amministrazione?
Il terzo tema riguarda la Corte dei conti, che in questi anni sta svolgendo, a mio avviso, un ruolo virtuoso e importantissimo. Le vostre relazioni sono di grandissimo rilievo e sono uno dei documenti più significativi tra quelli prodotti nell'ambito degli apparati pubblici. Tuttavia, presidente Giampaolino, lei non ignora che c'è stata una discussione - anche questa ormai ultradecennale - sulla conformazione della Corte, sui suoi poteri, sulla sua composizione.
Si è anche sostenuto autorevolmente che, rispetto all'evoluzione degli interessi privati che vengono a contatto con la pubblica amministrazione e rispetto alla trasformazione della società italiana che sta sullo sfondo, la Corte dovrebbe avere un'impronta (lo dirò in maniera certamente inesatta) meno giuridico-formale e più capace di apprezzare il fatto economico. Dovrebbe quindi avere al suo interno anche competenze di questo tipo.
Mi interessa molto conoscere la sua opinione in merito.

ANGELA NAPOLI. Presidente Giampaolino, lei ha premesso e poi ribadito la bontà di questo progetto, così come pervenuta dal Senato, in particolare per quanto riguarda l'approccio alla problematica legata all'impostazione prevalentemente di ordine amministrativo e non penalistico.
Le chiedo in primo luogo se si sente sicuro di poter accertare o fare affidamento sull'imparzialità dell'amministrazione centrale. In secondo luogo, se la corruzione è un reato e se all'interno della stessa è possibile l'infiltrazione della criminalità organizzata, in molti casi accertata, come si può reprimere e non prevenire - il discorso della prevenzione è un


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altro - il reato di corruzione solo facendo affidamento sugli interventi amministrativi, escludendo l'ambito penale?

PIERLUIGI MANTINI. Anch'io ringrazio molto il presidente Giampaolino. Condivido naturalmente l'approccio in base al quale forse sarebbe utile una macro-fattispecie dal punto di vista penale che riunisca corruzione e concussione, così come ci viene raccomandato anche in sede europea. Al di là dei ritocchi e degli strumenti penalistici, sono però molto importanti tutta la parte amministrativa preventiva e i rimedi.
Toccherò un solo punto, fidando sulla ben nota, acclarata e autorevolissima esperienza del Presidente Giampaolino anche nell' Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici di lavori, servizi e forniture. Lo faccio in modo quasi maniacale - devo dire la verità a me stesso - perché in più occasioni ho sollecitato la riflessione su questo tema. Io trovo che, al di là dell'autorità sulla corruzione, della CiVIT e di altri aspetti che pure sono stati sottolineati, non c'è dubbio che alcuni rimedi interni alle pubbliche amministrazioni siano necessari.
Che gli uffici si occupino anche di best practice, come la rotazione dei funzionari, dovrebbe essere una norma di buona efficienza e di attenzione al tema. Sono strumenti necessari al funzionamento vitale del corpo amministrativo. Poi occorre anche l'authority indipendente, quale punto di riferimento.
Trovo, però, che alcune materie siano più importanti di altre. La corruzione si annida - e perciò penso che la concussione sia ormai un reato sfocato - non tanto negli atti dovuti, cioè negli atti amministrativi vincolati, quanto nell'attività discrezionale, nel fare o non fare la gara, nell'affidare commesse di vario tipo, appalti, servizi opere e altro o in certe decisioni di natura urbanistica. È lì che si ha merce di scambio.
Ritengo ancora inappropriato che alcune autorità, come l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, non abbiano alcun potere, se non di bloccare o ritardare, quantomeno di segnalare anomalie in corso d'opera. Ogni qual volta dovrebbe svolgersi una gara o una gara europea e questo non avviene o c'è una grave anomalia in una gara europea bisognerebbe intervenire subito. Nove volte su dieci quel fenomeno, portato agli estremi, determina danni per lo Stato e probabilmente nasconde anche fenomeni corruttivi.
Uno dei rimedi da considerare in questo disegno di legge è anche quello di assegnare alle autorità indipendenti, e forse anche all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, quanto meno un potere di intervento preventivo sulle gravi anomalie in assenza di gare e gare europee con lesione del principio di concorrenza, con l'obbligo di riesame da parte della stazione appaltante che sta sbagliando.
Vorrei la sua opinione su questo punto.

MARILENA SAMPERI. Anch'io ringrazio il presidente della Corte dei conti. Per valutare le misure adottate nel provvedimento credo che dobbiamo partire dalla consapevolezza della gravità del fenomeno che stiamo analizzando. Ho letto in una relazione della Corte dei conti che la quantificazione, il costo per lo Stato e per i cittadini del fenomeno della corruzione è pari a 70 miliardi l'anno. È una cifra che lei conferma?

DONATELLA FERRANTI. Ringrazio il presidente Giampaolino. Ho avuto modo di leggere il contenuto della sua audizione al Senato e ho notato alcune critiche sicuramente più ferme rispetto al disegno di legge. Soprattutto in merito all'indipendenza della CiVIT il testo è stato migliorato, anche se non definitivamente a nostro avviso.
Per noi è importante capire la sua posizione. Lei ha mosso alcune critiche ancora attuali. Mentre prima era previsto un completo asservimento e inquadramento dell'autorità nell'ambito della Presidenza del Consiglio e del Dipartimento della funzione pubblica, attualmente l'autorità sembrerebbe avere una parvenza di indipendenza.
Però, occorre verificare i criteri di nomina dei membri della Commissione


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per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche che diventa Autorità nazionale anticorruzione. I requisiti di nomina sono di derivazione della Presidenza del Consiglio.
Perlomeno noi dell'opposizione non vorremmo approvare un provvedimento roboante, dando vita alla solita autorità che in realtà non possiede poteri effettivi per incidere su questo fenomeno che vogliamo aggredire anche in via di prevenzione e in via amministrativa, ma non solo.
Sarebbe meglio evitare di affermare che questo provvedimento mira alla prevenzione e alla repressione della corruzione e dell'illegalità attraverso un'autorità che di fatto nei suoi componenti non è sganciata dall'esecutivo. Inoltre mi chiedo come si potrebbe attuare il coordinamento. Quali sono i suoi suggerimenti concreti sia per i requisiti di nomina, sia per i rapporti con il Dipartimento della funzione pubblica, sia per i poteri di questa autorità?
Al comma 3 dell'articolo 1 si dispone che la Commissione può esercitare poteri ispettivi chiedendo notizie, informazioni, atti e documenti e ordina la rimozione dei comportamenti. A mio avviso, per esempio, dovrebbe essere verificato che l'ordine sia stato eseguito ed eseguito in maniera adeguata. Come lei sa, l'esercizio dell'attività amministrativa può assumere tante sfumature.
Vorrei entrare nel vivo di questa Autorità nazionale anticorruzione, di questa Commissione che ha anche il ruolo di autorità, anche se io avrei preferito organismi interni a ciascuna pubblica amministrazione. Questi «macchinoni» esterni sono sempre fonte di incarichi, ma difficilmente penetrano nei meandri della pubblica amministrazione centrale e periferica.
Vorrei sapere quali sono, in concreto, i suoi suggerimenti per migliorare, se è possibile, questo disegno di legge.

FRANCESCO PAOLO SISTO. Condivido la chiusa della relazione scritta del presidente Giampaolino e il convincimento che prevenire è meglio che combattere. Non è certamente con il rafforzamento formale delle sanzioni, soprattutto nei rapporti fra la giurisdizione contabile e quella penale, che si possono raggiungere dei risultati.
Alla fine della relazione lei afferma che «la programmazione delle azioni di verifica, attraverso la quale i settori che saranno sottoposti a controllo sono resi noti, rende meno incisivo l'effetto di deterrenza». In altre parole, questo tipo di programmazione o meglio la mancanza di una randomizzazione dei controlli vanificherebbe l'incisività dei controlli stessi.
Volevo chiederle, premesso che il metodo è sempre più importante del merito, come suggerirebbe di rendere eventualmente più efficaci i controlli preventivi, che a mio avviso possono costituire un giusto bilanciamento fra l'intervento della magistratura contabile, gli equilibri interni della pubblica amministrazione, così da sfatare il rischio, qualche volta astratto qualche volta più concreto, di mancanza di imparzialità e di lesione dell'articolo 97 della Costituzione, e soprattutto i rapporti con il procedimento penale.
Credo che sia vano rincorrere una sorta di sinergia che non tenga conto delle diverse competenze. Il principio dei vasi comunicanti deve essere comunque rispettoso delle competenze di ciascuno. Non si può pretendere che il giudice contabile ponga rimedio alle carenze del sistema penale e non si può pretendere che il giudice penale intervenga a piedi uniti sulla tipologia della magistratura contabile.
Le chiederei come questi controlli preventivi, che come ripeto reputo più importanti degli interventi di tipo repressivo, possano essere migliorati.

PRESIDENTE. Do la parola al presidente Giampaolino per la replica.

LUIGI GIAMPAOLINO, Presidente della Corte dei conti. Prenderei spunto dalle ultime parole dell'onorevole Sisto. La magistratura contabile non può sostituirsi alle carenze del giudice penale, e ancor più ambedue le magistrature non devono sostituirsi


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alle carenze dell'amministrazione. Questo è il leit motiv della relazione.
L'onorevole Melis mi ha rivolto una velata critica nel senso che a suo avviso sarebbe stato preferibile un quadro di carattere più generale. Se lei mi chiede come si sarebbe potuto costruire un provvedimento per sommi capi le direi che questo provvedimento avrebbe dovuto fare leva su quattro punti: sulla eticità da riportare nell'ambito dell'amministrazione, sugli apparati informatici, sui controlli di legittimità e di merito da riprendere, sulla chiave di chiusura della responsabilità dei funzionari. Un provvedimento siffatto avrebbe avuto un respiro tutto nell'ambito dell'amministrazione, e qui rispondo anche all'onorevole Napoli.
È vero che la tutela penale è sempre necessaria, ma è necessaria per le ipotesi estreme. L'antico sistema era che l'amministrazione trovasse in se stessa i suoi rimedi, sicché l'irrompere - mi sia consentito il termine, ma rende l'idea - del giudice penale (benché, come si sa, a tutto ci si abitua), dovrebbe essere l'eccezione. Anche per le malattie è preferibile l'intervento clinico, l'intervento fisiologico, la cura all'intervento chirurgico, che è molto più incisivo e molto più grave per un organismo, a parte tutte le problematiche che attengono all'uso della strumentazione che è data dal processo.
Questo avrebbe dovuto essere un quadro generale fondato sull'articolo 53 della Costituzione nella sua declinazione del rapporto di impiego, non visto tanto sotto l'aspetto del rapporto di lavoro e di controprestazione, quanto nel rifacimento dei principi e dei valori, ivi compresa la riviviscenza di uno dei primi rimedi, cioè il potere disciplinare. Il venir meno del rimedio disciplinare è una delle considerazioni da fare.
Un'altra riguarda un punto che era contenuto nel provvedimento originario, vale a dire la banca dati. L'apporto degli strumenti informatici è di grande importanza nella materia. La banca dati dei contratti e delle sovvenzioni potrebbe essere di notevole aiuto.
Infine, i controlli. Senza dubbio, con l'attutirsi del principio di legalità che il nostro ordinamento ha conosciuto per ragioni varie, che qui non è il caso di ripercorrere e che loro conoscono meglio di me, sono venuti meno anche i controlli nell'ambito amministrativo, e non soltanto quelli di legittimità.
Un altro dei problemi è quello dell'attutirsi del rapporto organico del funzionario con l'amministrazione. Il rapporto organico crea la presenza del funzionario con l'amministrazione e per esso con l'immedesimazione dell'interesse pubblico che esso deve conoscere. L'indicazione di funzionari avulsi alla luce della legge sulla dirigenza, i quali perdono la stessa contrattualizzazione di alcuni rapporti di lavoro, e più a monte la privatizzazione del rapporto di impiego rappresentano l'attutirsi di alcuni valori che andrebbero ripresi.
Per quanto riguarda il tema del rapporto autorità-amministrazione che è stato ripreso da molti, il caso di specie è dovuto alla convenzione dell'ONU, perciò l'autorità è imposta, ma a dire il vero ci si è quasi rassegnati a questa possibilità. Io mi auguro che l'amministrazione possa rivivere in se stessa e trovare l'autorevolezza per svolgere questi compiti.
Questo è il terzo tipo di autorità - non terza specie - che l'ordinamento conosce. Alcune autorità sono un complesso di interessi; altre sono quelle di mercato; infine ci sono autorità che sono poste a tutela di interessi che a un certo momento il legislatore o l'ordinamento ritiene di particolare tutela. Come ho detto prima, quasi il Parlamento richiama se stesso, donde la relazione da fare. Ed era il problema dei lavori pubblici e della corruzione di allora.
Senza dubbio non può esserci autorità senza poteri. Quanto meno, il riesame invocato in alcuni interventi è il minimo effetto dell'efficacia che possono avere tali provvedimenti.
L'onorevole Melis mi rivolge una domanda circa la Corte dei conti a cui mi starebbe molto a cuore rispondere. Io vedo nella Corte dei conti un corpus di giuristi


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ed economisti che possano svolgere le funzioni che l'ordinamento ad essa assegna. È stato esaltato per ragioni varie il momento giuridico e giurisdizionale della Corte, e non voglio dire giustizialista che sarebbe una patologia. Invece, gli ultimi documenti - è qui presente il presidente delle Sezioni riunite, Meloni - che abbiamo offerto al Parlamento, tra cui il rapporto sul coordinamento, sono apporti di una professionalità purtroppo ancora limitata nell'ambito della Corte. Mi auguro che in una riforma della Corte possa prevedersi un cambiamento in tal senso.
Risponderò velocemente alle altre domande che mi sono state poste.
Settanta miliardi sono una quantificazione fatta dalla procura in base a rapporti della guardia di finanza. Quella è l'indicazione e la confermo.
Per quanto riguarda i dubbi dell'onorevole Ferranti sulle nomine, riteniamo che l'indipendenza di questa autorità sia un passo avanti. Devo richiamare l'attenzione sul fatto che, seppure di nomina governativa, le commissioni parlamentari esprimono il loro parere a maggioranza dei due terzi. La verifica dei requisiti professionali è la prima garanzia dell'indipendenza dei soggetti, e questo è rimesso in buona parte al Parlamento.
Sul tema dei controlli preventivi e della randomizzazione sollevato dall'onorevole Sisto ho detto che tutto si muove nell'ambito amministrativo, intendendo con questo rimedi organizzatori e quindi l'autorità. Tuttavia, vi sono anche rimedi amministrativi procedimentali, come il Piano nazionale anticorruzione. È un momento importante, così come l'individuazione dei settori di particolare pericolo. La previsione «diagnostica» di alcuni fenomeni è molto rilevante.
Questo non dovrebbe far venire meno i controlli randomizzati, come si usa dire. Come ho affermato all'inizio, uno dei rimedi consiste nei controlli, anzitutto quelli interni alle amministrazioni, il che presuppone anche la ricostruzione per alcuni aspetti sia del rapporto di lavoro sia dello stesso rapporto organizzatorio generale, nonché i controlli della Corte, perché per gli atti più importanti il limite della legge, la legalità, cioè l'espressione del Parlamento, trovi il suo riscontro, per gli altri, come dice il mio collega Granelli riprendendo l'indicazione di carattere generale, l'accountability, cioè si renda conto di quello che si è fatto.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Giampaolino per il suo intervento e per il contributo scritto e dichiaro chiusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti della Banca d'Italia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva attinente all'esame dei progetti di legge C. 4434 Governo, approvato dal Senato, C. 3380 Di Pietro, C. 4382 Giovanelli, C. 3850 Ferranti, C. 4516 Garavini e C. 4501 Torrisi, recanti disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione, l'audizione di rappresentanti della Banca d'Italia.
Abbiamo con noi - e li ringraziamo - il dottor Luigi Donato, capo del servizio rapporti esterni e affari generali di vigilanza, e la dottoressa Magda Bianco, dirigente del servizio studi di struttura economica e finanziaria.
Do quindi la parola al dottor Luigi Donato.

LUIGI DONATO, Capo del servizio rapporti esterni e affari generali di vigilanza della Banca d'Italia. Facciamo riferimento innanzitutto alla precedente audizione che abbiamo svolto sulla stessa materia presso il Senato. Affronteremo quindi molto rapidamente una serie di punti e cercheremo di riprendere qualche argomento che riteniamo fondamentale anche per il prosieguo dei lavori parlamentari. Tenteremo soprattutto di valorizzare il nostro punto di vista come autorità di vigilanza e come autorità che studia il sistema economico e finanziario del nostro paese. L'approccio sarà quindi di tipo economico.


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Questo ci porta soprattutto a svolgere una valutazione di fondo rispetto alla visione che ci sembra giusto avere del fenomeno della corruzione. La corruzione non è concepita solamente come effetto di una distorsione o di una deviazione all'interno della pubblica amministrazione, ma come qualcosa che colpisce il sistema economico a più livelli e in maniera molto perniciosa e grave. Nelle nostre considerazioni questo ci porterà a segnalare l'importanza di vedere nella corruzione dal punto di vista penalistico un reato plurioffensivo.
Detto questo, gli effetti distorsivi della corruzione colpiscono tutti gli agenti del mercato. Riducono l'efficacia dell'azione pubblica nonché la capacità dei governi di controllare l'andamento dell'economia e i fallimenti del mercato; riducono anche la fiducia dei cittadini; segnalerei soprattutto che, in particolare in questa fase, incidono negativamente sul consenso necessario per realizzare le manovre di risanamento fiscale. Questo è un aspetto che forse, dal nostro punto di vista, vale la pena di segnalare e su cui insistere particolarmente, ossia la necessità, in una fase come quella attuale, che l'intervento sul tema della corruzione sia fortemente calibrato e che l'attenzione sia massima proprio per la circostanza della situazione esterna che caratterizza questa fase della nostra vita economica e politica.
Sul caso italiano rispetto al tema della corruzione sicuramente pesano due fattori molto forti, che sono, da un lato, quello dell'elevata presenza della criminalità organizzata e, dall'altro, quello dell'eccesso normativo e degli oneri burocratici. Su questi temi ci siamo soffermati nella precedente audizione, a cui facciamo riferimento.
Segnaleremo tre filoni di strumenti su cui insistere: la trasparenza dei rapporti della pubblica amministrazione e gli utenti; la diffusione di informazioni strutturate relative ai settori più esposti, la necessità di utilizzare anche meccanismi che rendano conveniente deviare dall'accordo corruttivo, se del caso pensando anche, per esempio, a programmi di clemenza; infine, la necessità di controlli efficaci e soprattutto di un impianto sanzionatorio efficace e credibile.
Un punto di partenza ulteriore può essere il far riferimento al rapporto di valutazione del GRECO del Consiglio d'Europa, soprattutto con riguardo all'ultimo documento, il Compliance Report del 2011, il quale aggiorna la situazione che era stata delineata dal Consiglio d'Europa sull'Italia nel 2009, quando si era fatto soprattutto riferimento ad alcune carenze e il GRECO segnalava 22 raccomandazioni al nostro Paese.
I nodi critici che sono rimasti e che il Compliance Report del giugno scorso accentua riguardano l'accesso alle informazioni, gli standard etici per i membri del Governo, la disciplina del conflitto di interessi e la tutela degli informatori.
Da questo punto di vista possiamo segnalare che, invece, su un punto il GRECO ha espresso un giudizio favorevole ed è quello relativo alla compliance del nostro sistema antiriciclaggio. È un punto che segnaliamo, sia perché la Banca d'Italia, come voi sapete, è fortemente impegnata sul campo dell'antiriciclaggio nei confronti del sistema bancario e presso la Banca d'Italia è collocata l'unità di informazione finanziaria, sia per i forti nessi esistenti tra l'antiriciclaggio e la lotta alla corruzione.
Il GRECO nell'ultimo rapporto ha dato atto della congruità degli interventi che sono stati realizzati in Italia da diversi punti di vista. In particolare, posso segnalare la circostanza per cui la Banca d'Italia ha emanato nel 2010 gli indicatori di anomalia per le operazioni sospette, un aggiornamento sulla base dell'esperienza degli ultimi anni. È stata introdotta a maggio 2011 la procedura di segnalazione telematica delle operazioni sospette e, quindi, si è intervenuti anche sulle procedure.
Per quanto riguarda più direttamente il tema della corruzione, vi sono stati due interventi molto forti da parte della Banca. Nell'ottobre 2009 sono state date indicazioni alle banche di prestare attenzione sul funzionamento dei cosiddetti


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punti delicati, quelli per l'esecuzione dei contratti pubblici connessi agli interventi di costruzione delle aree interessate dal sisma abruzzese, e nel luglio 2010 sono state date ulteriori indicazioni dettagliate di carattere tecnico con riguardo all'erogazione e all'impiego di finanziamenti pubblici per l'ipotesi che vi si annidino casi di corruzione.
Sono stati compiuti forti miglioramenti sulla tracciabilità dei flussi finanziari ed è stato strutturata dall'anno scorso la nuova configurazione dell'Archivio unico informatico presso tutti gli intermediari. Esso consente sia controlli ex ante, sia controlli successivi.
In questi giorni sono entrate in vigore le nuove procedure e i controlli dettati dalla Banca d'Italia in materia di antiriciclaggio a tutti gli intermediari.
Con riguardo al punto della corruzione segnalo che un aspetto particolarmente delicato è quello dell'adeguata verifica della clientela, cioè della circostanza che le banche devono valutare ex ante i rischi esistenti nell'avere un rapporto con un dato soggetto relativamente, in particolare, alle sue caratteristiche economiche e finanziarie.
Nella normativa vigente è previsto che vi sia una valutazione rafforzata, un'adeguata verifica rafforzata, per coloro che sono definiti PEPs, cioè le persone politicamente esposte. Secondo questa normativa, sono, però, le persone politicamente esposte di altri Paesi.
Nella nostra riflessione introdurre regole di controllo ex ante per tutti i soggetti esposti al rischio di corruzione in un Paese come il nostro sarebbe un'opera molto complessa e soprattutto un'opera che non sembra in grado di dare risultati specifici, vale a dire di stabilire che per tutti i soggetti potenzialmente a rischio vi siano procedure di adeguata verifica rafforzata.
È preferibile sicuramente il sistema attuale, che è quello di lasciare alle banche, con le indicazioni del caso sul piano tecnico, il compito di effettuare valutazioni ex post delle diverse operazioni. Tra queste operazioni è evidente che la non congruità di disponibilità finanziarie da parte di un soggetto che riveste determinate cariche e che non dà di per sé un risultato particolarmente straordinario dal punto di vista economico costituisce un fattore di rischio e, quindi, di segnalazione di operazione sospetta. Si tratta di un ingranaggio che ha avuto una riprova nei fatti per alcune vicende giudiziarie che sono scaturite o sono state rafforzate dalla segnalazione di operazioni sospette.
Lascerei alla dottoressa Bianco il compito di svolgere alcune riflessioni più specifiche sull'intervento di riforma. Concluderemo poi con due brevissime notazioni sul campo strettamente penalistico.

MAGDA BIANCO, Dirigente del servizio studi di struttura economica e finanziaria della Banca d'Italia. Svolgo alcune osservazioni molto sintetiche sull'intervento di riforma nel disegno di legge approvato dal Senato, modificato rispetto al disegno di legge originario che avevamo commentato in precedenza.
Un'osservazione generale, che riprende quella che ha svolto poco fa il dottor Donato, è che riteniamo molto importante un intervento in questa materia in un momento in cui tutte le misure che offrono ricadute in termini di crescita sono particolarmente importanti in generale nel nostro sistema e anche come meccanismo all'esterno per rafforzare la nostra credibilità sul piano internazionale.
Crediamo che questo sia un intervento importante e che vada approvato con grande urgenza. Esso deve essere accompagnato, come affermavamo all'inizio, da interventi sui fattori di contesto, alcuni dei quali molto difficili da affrontare come la criminalità organizzata, ma altri su cui si può agire e su cui qualcosa si sta facendo. Mi riferisco all'intervento sugli oneri burocratici a carico delle imprese e sulla semplificazione normativa. Sul primo fronte si è agito in parte con la manovra e occorre procedere in quella direzione.
Sulle misure specifiche contenute nel disegno di legge abbiamo alcune indicazioni per alcuni versi preliminari e comunque molto sintetiche.


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La prima riguarda la scelta di attribuire le competenze dell'Autorità nazionale anticorruzione alla CiVIT, che riteniamo migliorativa rispetto alle scelte contenute nel testo precedente, in quanto organismo indipendente. Le raccomandazioni del Consiglio d'Europa deponevano per un'Autorità ancora più indipendente e capiamo che ci sono alcuni trade-off in questo caso. La costituzione di autorità nuove e completamente indipendenti è costosa e difficile in un sistema in cui ogni intervento richiede un finanziamento.
Affidare l'incarico alla CiVIT comunque pone sicuramente al momento un problema di risorse da dedicare a questo compito impegnativo, che addirittura richiede compiti aggiuntivi. Si porrà un problema, ma se ne aggiunge uno anche sul sistema delle nomine, che forse va rafforzato per rendere effettivamente la CiVIT in misura maggiore un'Autorità indipendente, con un sistema più simile a quello delle altre Autorità.
Come osservavamo ancora in precedenza, occorre in ogni caso una valutazione delle molte richieste che in quest'ambito direttamente dalla CiVIT o attraverso la funzione pubblica vengono rivolte alla pubblica amministrazione per evitare il rischio di introdurre ulteriori adempimenti che rimangano puramente formali, come il Piano annuale anticorruzione. Sono tutti meccanismi importanti, che devono essere disciplinati in modo adeguato perché non siano un'aggiunta al Piano triennale per la trasparenza e al Piano triennale per la performance e non diventino per la pubblica amministrazione solo ulteriori oneri burocratici da adempiere in modo puramente formale.
La gestione di queste molteplici richieste, ciascuna delle quali svolge una sua funzione, alla pubblica amministrazione va coordinata per evitare che essa si trovi un eccesso di oneri burocratici da gestire in modo puramente formale.
Come asseriva il dottor Donato, la questione della trasparenza, nella pubblica amministrazione per noi è importantissima ed è un meccanismo fondamentale per combattere la corruzione. Le disposizioni contenute nell'articolo 2 sono rilevanti e vanno nella direzione giusta. Anche secondo quanto riporta il Compliance Report del GRECO forse non sono ancora sufficienti e adeguate. Sia pure in presenza di previsioni normative, le quali dovrebbero imporre meccanismi di trasparenza, non sempre le disposizioni vengono completamente rispettate o comunque incontrano ostacoli soprattutto a livello locale nelle pubbliche amministrazioni. Forse occorrerebbe un rafforzamento sia della disciplina, sia delle possibilità di sanzioni per i responsabili delle procedure che non adempiono adeguatamente alla disponibilità di informazioni in modo da assicurare sufficiente trasparenza almeno sulle procedure che riguardano i diretti interessati.
Sul conflitto di interessi la disciplina è adeguata. Riteniamo che anche questo sia un miglioramento significativo della situazione esistente, la quale richiedeva sicuramente un intervento, soprattutto in merito alla disciplina del conflitto di interessi per i soggetti che escono dalle pubbliche amministrazioni. Anche in questo caso occorre una cautela sia in difetto, sia in eccesso. È un problema importante, non facilissimo da affrontare e che richiede una disciplina attenta perché sia effettivamente efficace e consenta di tenere conto di tutte le situazioni potenzialmente in conflitto di interessi, senza naturalmente eccedere e finire per diventare un aggravio e un peso per situazioni, che, invece possono essere fisiologiche.
Un'altra questione che riteniamo apprezzabile è l'introduzione di un meccanismo di protezione degli informatori, dei cosiddetti whistleblower, che non era presente in precedenza. Se è apprezzabile l'introduzione, forse anche in questo caso la norma rischia, però, di essere un po' generica e, quindi, di non offrire una tutela effettiva ed efficace per i soggetti che agiscono da informatore e di non prevenire possibilità di elusione.
Non viene ancora presa in considerazione una questione che avevamo suggerito in precedenza, ossia la possibilità di introdurre programmi di clemenza, non solo


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di informazione, ma di rottura dei meccanismi collusivi tra corrotto e corruttore.
Sull'articolo 5 condividiamo l'approccio alla white list nei settori particolarmente a rischio con una precisazione. Temiamo che un elenco preciso dei settori non sia comunque un elenco esaustivo. Si afferma che poi l'elenco verrà aggiornato, però occorre almeno chiarire che è un elenco esemplificativo, ma che ovviamente ci sono altre attività che possono essere esposte al rischio di infiltrazione.
Sottolineiamo poi l'importanza che le banche dati che si creano, in questo caso con le white list, in questi settori si parlino fra di loro, per esempio con la Banca dati nazionale dei contratti pubblici, che era prevista all'interno del vecchio disegno di legge e che adesso è stata scorporata. Non si deve correre il rischio, che abbiamo visto in tanti altri settori, di creare banche dati localizzate e a volte disperse sul territorio, che non si parlano e che, quindi, non svolgono efficacemente la funzione che era loro attribuita.
Sul fronte della repressione si esprimerà Luigi Donato.

LUIGI DONATO, Capo del servizio rapporti esterni e affari generali di vigilanza della Banca d'Italia. Svolgo due rapidissime battute. In realtà, nel passaggio dai due rami del Parlamento non vi è stato un rafforzamento dell'apparato sanzionatorio. Tornerei sulla mia indicazione iniziale dell'importanza, dal nostro punto di vista, di concepire la corruzione innanzitutto come un reato plurioffensivo e, quindi, di non limitarla alla mera difesa della pubblica amministrazione. A noi sembra che il danno maggiore sia nei confronti dell'economia.
Andrebbe forse valorizzato questo profilo di turbativa dell'ordinato funzionamento di sviluppo dell'economia, configurandolo come una terza gamba di altri reati molto più gravi, quali l'associazione a delinquere di stampo mafioso e l'ingresso nell'economia legale da parte dell'economia criminale e la stessa turbativa dell'illecita concorrenza.
Guardando questi reati, si capisce che il danno della corruzione è forse anche maggiore, ma che l'attenzione da un punto di vista penale non è uguale. Segnalo, per esempio, che da un punto di vista economico non ha molto senso prevedere una gradazione di gravità per cui il peculato è un reato molto più grave della corruzione. Da un punto di vista economico non si giustifica questa attuale situazione di ventaglio sanzionatorio.
Riprendo altre due rapidissime annotazioni che abbiamo svolto al Senato. Ci sembrano anguste le nozioni di pubblico ufficiale e di atto d'ufficio. Riportandoli in un mondo moderno, in cui i confini e gli atti si sono complicati, ci sembra che andrebbe avviata, se possibile, una riflessione per allargare questi due concetti, che sono determinanti per l'applicazione delle norme penali, in relazione anche alla Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione, la quale prevede una nozione molto più ampia di quella italiana.
L'ultimissima annotazione riguarda la condotta del pubblico ufficiale infedele, che viene attualmente sanzionata esclusivamente rispetto all'infedeltà nei confronti della pubblica amministrazione. È assente una sanzione specifica, un punto di attacco per quanto riguarda il comportamento finanziario, quindi la fase finanziaria. Ritorniamo su una richiesta che è già stata avanzata dal Governatore della Banca d'Italia nel luglio 2009 alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia, quella dell'introduzione di un reato di autoriciclaggio.
Al di là dell'importanza di uno strumento del genere per entrare nella dinamica finanziaria di forme di criminalità veramente perniciose come quelle della corruzione, si pone anche il fatto che nella normativa di prevenzione, quella amministrativa del decreto legislativo n. 231 del 2007, la condotta di autoriciclaggio è rilevante per tutto l'apparato di interventi, di controlli e di segnalazioni di operazioni sospette e anche addirittura di sanzioni, sia pure amministrative.
Questo doppio binario andrebbe risolto nel senso che un passaggio davvero strategico


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sicuramente, a nostro giudizio, sarebbe l'introduzione dell'autoriciclaggio anche nella prospettiva di contrastare i fatti di corruzione.

PRESIDENTE. Grazie, dottor Donato. Se non ci sono domande, ringraziamo i rappresentanti della Banca d'Italia, anche per il contributo scritto che invieranno alla presidenza nei prossimi giorni.
Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del professor Francesco Merloni, ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Perugia, del professor Bernardo Giorgio Mattarella, ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Siena, del professor Luciano Vandelli, ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Bologna, e del professor Carlo Federico Grosso, ordinario di diritto penale presso l'Università di Torino.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva attinente all'esame dei progetti di legge C. 4434 Governo, approvato dal Senato, C. 3380 Di Pietro, C. 4382 Giovanelli, C. 3850 Ferranti, C. 4516 Garavini e C. 4501 Torrisi, recanti disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione, l'audizione del professor Francesco Merloni, ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Perugia, del professor Bernardo Giorgio Mattarella, ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Siena, del professor Luciano Vandelli, ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Bologna, e del professor Carlo Federico Grosso, ordinario di diritto penale presso l'Università di Torino.
Do la parola agli auditi, ad iniziare dal professor Francesco Merloni, ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Perugia.

FRANCESCO MERLONI, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Perugia. Grazie, presidente. Con il professor Vandelli, come credo sia noto alle Commissioni, abbiamo curato di recente un lavoro sulla corruzione amministrativa e, quindi, ci soffermeremo soprattutto sui profili di contrasto alla corruzione con strumenti interni alle pubbliche amministrazioni, strumenti di diritto amministrativo. Nel nostro lavoro ci sono anche proposte relative agli strumenti penalistici. Eventualmente avremo modo di intervenire anche su questo tema, ma ovviamente noi non siamo esperti di diritto penale e, quindi, non ci soffermeremo particolarmente su questo punto.
Mi soffermerei intanto sui profili di carattere generale del disegno di legge del Governo per sottolineare un'impressione in rapporto al lavoro che noi abbiamo svolto di valutazione e di definizione del fenomeno della corruzione, ossia quello di una sostanziale insufficienza del disegno di legge, perché la lotta alla corruzione, proprio per la sua dimensione, non può ridursi a interventi che, presi individualmente, possono anche manifestare una qualche efficacia, quando però il problema a noi appare di sistema.
Per portare un esempio su cui nel nostro libro noi insistiamo, a nostro giudizio la lotta alla corruzione dovrebbe avere un andamento di lungo periodo e toni analoghi alla lotta alla mafia. Occorre mettere in piedi alcuni strumenti di sistema che facciano capire a tutti i funzionari pubblici - eventualmente torneremo sulla nozione di funzionario pubblico - che lo Stato ha deciso realmente di non scherzare più con il fenomeno della corruzione e che per farvi fronte esiste una vasta serie di strumenti, che non si esaurisce nella repressione penale, perché ovviamente la repressione penale non può che colpire alcune emergenze del fenomeno corruttivo, mentre, come sappiamo, il fenomeno corruttivo è diffuso nel corpo stesso dell'amministrazione. Noi dobbiamo fare in modo che i funzionari sappiano, nel comportarsi in alcuni modi, di trovare o una sanzione di tipo disciplinare o una sanzione di tipo penale o addirittura la riprovazione degli appartenenti alla stessa


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categoria dei pubblici funzionari. Per esempio, dobbiamo lavorare sul senso etico dei pubblici funzionari.
Da questo punto di vista, le innovazioni che si introducono sono largamente insufficienti. Occorre, come ci chiedono le convenzioni internazionali, non individuare semplicemente un Piano nazionale anticorruzione o un'Autorità anticorruzione, ma dimostrare che si ha in mente una politica anticorruzione seria e di lungo periodo.
Inizialmente mi soffermerei su due profili che mi sembrano i più problematici. Il primo è rappresentato dagli aspetti finanziari. La clausola di invarianza che viene indicata a noi sembra del tutto sproporzionata rispetto al tema della corruzione. La corruzione, secondo la quantificazione della Corte dei conti, pesa per 70 miliardi di euro l'anno. Pensare di sconfiggerla a costi invariati a noi appare francamente poco credibile. Ci rendiamo conto ovviamente dei problemi della finanza pubblica, però io segnalerei un punto: è possibile immaginare, salvo un costo iniziale di attivazione di alcuni strumenti, che la politica anticorruzione si autofinanzi, vale a dire che possa essere finanziata da tutte le sanzioni disciplinari pecuniarie che possono essere irrogate a funzionari pubblici o a corruttori privati, tutte destinate poi a rafforzare la politica anticorruzione?
Da questo punto di vista la clausola di invarianza, che è si ripete un po' stancamente, in questo caso non avrebbe giustificazione, se vogliamo dare il segnale al corpo dei potenziali corruttori che si vuole fare sul serio.
Dal punto di vista organizzativo il disegno di legge adotta una soluzione, ossia fare della CiVIT l'Autorità anticorruzione. La mia personale impressione è che essa non sia in grado di svolgere questo compito, cioè che non sia in grado di svolgere il compito di Autorità nazionale anticorruzione, non che non possa avere compiti in materia di lotta alla corruzione. In particolare, per come la CiVIT è nata ed è stata costituita, la vedrei bene come strumento che lavora sui funzionari pubblici, molto meno come uno strumento di coordinamento della lotta penale alla corruzione. Non ne ha gli strumenti.
Porto solo un esempio, con due riferimenti stranieri. Il Committee on Standards in Public Life inglese è uno strumento di grandissimo prestigio, che esprime pareri al Parlamento e alle pubbliche amministrazioni sui comportamenti corretti dei pubblici funzionari. È uno strumento che è stato considerato largamente utilizzato nella stessa concezione di quali debbano essere i comportamenti corretti nella pubblica amministrazione.
Le Commissions de déontologie francesi sono commissioni che esprimono pareri vincolanti sulle autorizzazioni ai funzionari ad assumere incarichi presso altri soggetti, soprattutto privati. Il problema ovviamente è il conflitto potenziale di interessi tra lo svolgimento di una funzione pubblica e la presa d'interessi privati.
La CiVIT potrebbe essere uno strumento analogo alla Commission de déontologie e curare e rendere omogeneo il comportamento delle pubbliche amministrazioni nel concedere le autorizzazioni relative agli incarichi esterni. La CiVIT può essere valorizzata limitatamente come Autorità anticorruzione. Io penso che non ci sia un'alternativa a una vera e propria autorità di governo che si ponga il problema del coordinamento complessivo della lotta alla corruzione da parte di tutte le pubbliche amministrazioni e la CiVIT non mi sembra attrezzata. Già per i compiti che ho indicato andrebbe comunque rafforzata rispetto all'estremamente fragile struttura amministrativa di cui dispone adesso.
Accanto ad autorità indipendenti e autorità di governo, a mio giudizio, se vale il parallelo che ho fatto all'inizio con l'Autorità antimafia, dovrebbe costituirsi anche una Commissione parlamentare bicamerale. La lotta alla corruzione, secondo me, costituisce una priorità del tutto paragonabile alla mafia per attacco all'imparzialità della pubblica amministrazione e ai costi del funzionamento delle amministrazioni e, quindi, anche il Parlamento,


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secondo il nostro giudizio, dovrebbe dotarsi di uno strumento che verifichi costantemente l'attuazione della legislazione anticorruzione ed eventualmente sia in grado di aggiornare costantemente la qualità di tale legislazione.
Ci sono poi questioni particolari, che però penso possano essere oggetto più di domande da parte delle Commissione.

BERNARDO GIORGIO MATTARELLA, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Siena. Svolgerò alcune osservazioni generali sul disegno di legge e poi alcune specifiche su singoli articoli.
Per quanto riguarda le osservazioni generali, a me sembra che questo disegno di legge abbia l'approccio giusto nella prevenzione alla corruzione, perché la lotta alla corruzione si compie, in primo luogo, come asseriva il professor Merloni, con misure amministrative preventive, quindi con una strategia molto ampia e articolata e non soltanto con una strategia di repressione penale.
Vorrei ricordare, ma sicuramente le Commissioni lo conoscono, un documento, a mio parere, prezioso e ancora molto attuale, della Camera, il rapporto del 1996 del Comitato di studio sulla prevenzione della corruzione presieduto da Sabino Cassese, che contiene indicazioni piuttosto concrete, in parte recepite in questi quindici anni dalle norme, in parte assai palesemente smentite, in parte in attesa di essere attuate.
A mio parere, l'approccio giusto per la prevenzione della corruzione mi sembra seguito in questo disegno di legge, che però - anche in questo caso concordo con il professor Merloni - mi sembra incompleto. Contiene poche questioni e potrebbe essere molto arricchito, anche utilizzando i contenuti delle altre proposte di legge in discussione.
La mia principale osservazione sempre generale su questo disegno di legge è che esso si occupa molto di corruzione amministrativa e molto poco di corruzione politica, mentre, come dimostrano anche le cronache degli ultimi mesi o anni, la corruzione politica non è meno importante. Io ritengo che il Parlamento dovrebbe anche occuparsi della classe politica.
Svolgo alcuni esempi. Nel disegno di legge c'è una disciplina della trasparenza amministrativa, che peraltro è in buona parte ripetitiva o esplicativa di norme già vigenti. La trasparenza amministrativa va benissimo, ma perché non comprendervi anche la trasparenza dell'attività e degli interessi della classe politica?
Lo scandalo dei rimborsi per i parlamentari britannici di un paio d'anni fa è scoppiato perché sul sito internet del Parlamento britannico è possibile verificare come questi rimborsi vengono spesi. Se qualcosa del genere fosse possibile anche in Italia sarebbe sicuramente un passo avanti.
Altro esempio: nel disegno di legge è contenuta una disciplina dell'incandidabilità. Perché non rivedere anche la disciplina dell'ineleggibilità e delle incompatibilità parlamentari che risale agli anni Cinquanta ed è molto antiquata? Perché non introdurre una disciplina del conflitto di interessi dei parlamentari?
Mi è capitato di dirlo altre volte ad altri vostri colleghi. I parlamentari sono quasi gli unici funzionari pubblici in Italia a non essere soggetti ad alcuna norma sul conflitto di interessi. L'altra categoria di funzionari pubblici non soggetta ad alcuna norma sul conflitto di interessi è quella dei componenti degli uffici di staff, i capi di gabinetto, i capi degli uffici legislativi, i consulenti vari che, come pure le cronache hanno dimostrato, si trovano in una situazione particolare.
Un altro elemento che manca in questo disegno di legge è una disciplina dei conflitti di interessi, delle regole di comportamento e dell'incompatibilità di coloro che lavorano negli uffici di diretta collaborazione dei politici.
Sempre per quanto riguarda la sfera politica, forse sarebbe utile anche qualche intervento in materia di spoil system, di rapporto fra politica e dirigenza amministrativa. Ahimè, la tendenza legislativa anche recentissima è quella piuttosto di


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accentuare lo spoil system e indebolire i controlli reciproci fra politica e amministrazione. La mia principale osservazione generale è che questo disegno di legge si occupa lodevolmente di corruzione amministrativa, ma si occupa poco di corruzione politica.
Mancano poi alcune cose che si sono perse un po' per strada, come per esempio le previsioni in materia di appalti pubblici e quelle relative ai poteri informativi dell'autorità, ma immagino che dei poteri dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici abbia parlato il presidente Giampaolino. Manca un aspetto che è contenuto in un'altra proposta di legge, e cioè la disciplina dei contratti in deroga, dei contratti di emergenza, delle gestioni straordinarie o commissariali; e manca la disciplina degli incarichi esterni dei dirigenti amministrativi o dei magistrati e così via.
Una serie di altre idee potrebbero essere tratte, come ripeto, dal rapporto del 1996 del Comitato Cassese. Per esempio, mi pare importante intervenire per rafforzare i corpi tecnici dello Stato. Viene infatti continuamente lamentata la debolezza dell'amministrazione come contraente nel bandire, nell'aggiudicare e nel seguire l'esecuzione dei contratti.
Come ultima osservazione generale, direi che dal punto di vista del coordinamento legislativo alcune di queste norme, piuttosto che stare in una legge a sé stante, potrebbero confluire in altre leggi vigenti. Dal punto di vista dell'ordine normativo sarebbe preferibile. Per esempio, se si tratta di attribuire nuovi poteri alla CiVIT, invece di avere una legge a sé stante, sarebbe meglio emendare il decreto legislativo n. 150 del 2009.
Svolgo alcune rapide osservazioni su singole previsioni. Per quanto riguarda l'Autorità nazionale anticorruzione, anch'io penso che questo sia un passo avanti rispetto alla situazione attuale. Si chiariscono, forse non del tutto, i rapporti fra la CiVIT e la struttura anticorruzione del Dipartimento della funzione pubblica, ma io farei un passo in più. Sono abbastanza d'accordo con quanto diceva prima il professor Merloni, soprattutto per quanto riguarda le dotazioni di mezzi della CiVIT, che attualmente sono assolutamente ridotte. A questo proposito vorrei ricordare che la struttura anticorruzione dell'Unione europea, l'OLAF, costa 100 milioni di euro l'anno, ma ne recupera più di 300. È vero quindi che la prevenzione della corruzione è una politica che si autofinanzia.
Come dicevo, forse si potrebbe fare qualche passo in più nel senso di attribuire ulteriori poteri alla CiVIT, soprattutto poteri di impulso per promuovere e stimolare iniziative delle amministrazioni. In questo momento, con l'attuazione del decreto n. 150 del 2009 le pubbliche amministrazioni devono predisporre programmi per la trasparenza e per l'integrità, e normalmente le amministrazioni hanno un approccio molto burocratico, come diceva prima la dottoressa Bianco. Fanno ciò che sono costrette a fare, non inventano niente. Ci vuole qualcuno che le stimoli a introdurre nuove misure di prevenzione della corruzione.
Per quanto riguarda l'articolo 2 sulla trasparenza, ripeto che non dice molto di più rispetto a norme già esistenti. Forse potrebbe dire di più nel senso di introdurre per alcuni tipi di procedimenti, quali le autorizzazioni, quanto ci chiede la direttiva servizi, imporre cioè alle amministrazioni un obbligo di assistenza nei confronti dei privati per spiegare come la legge va applicata, come vengono normalmente interpretate le previsioni legislative.
Per quanto riguarda l'articolo 3 e le modifiche al Testo unico sul pubblico impiego, sono un po' scettico circa l'accrescimento del flusso di nuove informazioni che dovrebbero affluire presso il Dipartimento della funzione pubblica. L'esperienza dimostra che più informazioni ci sono meno sono utilizzate. Sarei quindi più selettivo.
Allo stesso modo - e qui condivido quanto diceva la dottoressa Bianco - mi sembra un po' vago l'ambito di applicazione della norma, che pure è importante, sulle restrizioni successive all'impiego.
Non ho particolari osservazioni sugli articoli 4 e 5, che mi sembrano utili. Ho invece qualche dubbio di legittimità costituzionale


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sull'articolo 6, cioè sui principi generali per le regioni e gli enti locali. Mi sembra che questo possa essere al massimo un buon consiglio, perché in materia di organizzazione amministrativa regioni ed enti locali decidono da soli le proprie regole.
Per quanto riguarda l'articolo 8, come ripeto, mi parrebbe utile approfittare dell'occasione per disciplinare non solo l'incandidabilità, come è giusto fare, ma anche l'ineleggibilità e l'incompatibilità, e magari anche introdurre un meccanismo di controllo più efficace sull'applicazione delle norme sull'incandidabilità che, come l'esperienza dimostra, vengono spesso violate.
Sono abbastanza scettico, infine, sull'inasprimento delle sanzioni penali. Mi sembra che nella prevenzione della corruzione non siano le sanzioni penali a mancare, quanto semmai il fatto che non vengono mai applicate. Forse inasprirle potrebbe addirittura contribuire a renderne poco probabile l'irrogazione.

LUCIANO VANDELLI, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Bologna. Ne approfitto per consegnarle, presidente, il volume a cui faceva riferimento il professor Merloni, a cui aggiungo un volume sui controlli e la lotta alla corruzione.
Mi inserisco nel solco aperto dai professori Merloni e Mattarella. Io credo che in buona misura questo disegno di legge muova passi nella direzione giusta. Naturalmente penso che nessuno si illuda che questo problema possa essere affrontato con un progetto di legge. Mi piacerebbe che il provvedimento si chiamasse «prime disposizioni», per dare la sensazione di una politica di lungo periodo che si apre con un'attenzione costante del Parlamento su questi temi.
Mi piacerebbe che si avviasse un circuito di regole, monitoraggio sull'andamento delle regole, revisione e integrazione delle stesse, con un processo in progress che cerchi di seguire tutti i vari rami e filoni di questo tema, che ha un'ampiezza di approcci davvero straordinaria.
Da questo punto di vista faccio presente che tra le altre cose occorrerebbe monitorare quanto si muove nei vari ambiti di produzione legislativa. Anche la manovra ci interessa vistosamente, e farò un solo esempio. Il tema dei controlli dei revisori presso gli enti è trattato nella manovra che si sta votando in questi giorni alla Camera secondo criteri che prevedono per le regioni, attraverso un meccanismo indiretto, un elenco di revisori dotati di certi requisiti professionali dal quale si effettua un'estrazione. Questa impostazione riguarderebbe le sole regioni, mentre ad esempio negli enti locali sono i consigli comunali a eleggere i propri revisori.
Mi pare che ci sia un'esigenza di coerenza e coesione nell'ordinamento che andrebbe monitorata in tutti i vari risvolti. E ci sono disposizioni vigenti, secondo me importantissime, che vengono largamente disattese. Ne cito soltanto una che a mio avviso sarebbe un grande strumento e una grande occasione di correttezza amministrativa. Si tratta di uno degli articoli fondamentali della legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo, l'articolo 12.
In base a questa norma qualunque beneficio, qualunque sussidio, qualunque contributo destinato a un privato non può mai essere erogato se non preceduto da parametri e criteri di carattere generale. Nessuno potrebbe prendere qualcosa dalle pubbliche amministrazioni se esse non avessero deciso i criteri; a quel punto un dirigente, applicando gli indirizzi generali per qualunque soggetto dell'ordinamento, adotterebbe quei criteri per tutti. Questo è uno dei precetti più disattesi del nostro ordinamento, e mi pare che nessuno stia monitorando il meccanismo.
Aggiungo soltanto un commento - ci sarebbero ovviamente molte cose da dire - sul tema della trasparenza a cui è stato fatto riferimento. Userò termini molti netti, chiedo scusa per la approssimazione. Io credo che ormai, a parte il tema


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dell'accesso ai documenti e alle informazioni, per quanto riguarda i provvedimenti siamo in una fase nuova. L'accesso è uno strumento vecchio.
Fino al 1990 la nostra amministrazione era tutta chiusa e riservata; vigeva un principio di riservatezza. Nel 1990 irrompe l'accesso per i soggetti interessati. Oggi, secondo me, per i provvedimenti non è più l'ora di consentire soltanto ai soggetti interessati di visionare ciò che è pubblico. I provvedimenti amministrativi dovrebbero essere pubblicati sui siti delle pubbliche amministrazioni e resi accessibili a chiunque e non solo a chi deve dimostrare alla pubblica amministrazione di possedere un titolo giuridico, un diritto garantito dall'ordinamento, un interesse legittimo specifico. Poter accedere a queste informazioni deve essere un diritto civico per chiunque faccia parte dell'ordinamento.
Dedico un accenno, facendo comunque riferimento a cose già dette dai colleghi Merloni e Mattarella, a questo, ahimè, disordinatissimo spoil system. Io credo che dovremmo fare semplicemente chiarezza su un punto: possiamo avere, anche opportunamente, una fascia di posizioni fiduciarie, ma quella fascia deve corrispondere a una funzione di indirizzo, di direttiva, di orientamento, di regolazione, di programmazione. I provvedimenti puntuali appartengono alla dirigenza, a cui si accede con pubblico concorso.
Sul tema delle nomine vorrei offrire un'indicazione che serva anche come strumento. Il problema è una selezione trasparente con responsabilizzazione e ricorso a criteri certi. Per essere concreto e breve, accennerò all'esperienza del Comune di Bologna, dove gli incarichi da assegnare sono stati pubblicati sul sito del comune con invito alle persone interessate a presentare il proprio curriculum. Si trattava di 23 posizioni; sono arrivati circa 500 curricula di vario tipo, molto interessanti, anche da parte di molti giovani.
Questi curricula sono stati esaminati da un gruppo di tre persone particolarmente autorevoli, le quali - si trattava di nomine tutte quante spettanti al sindaco - hanno presentato un proprio report al sindaco, indicando per ciascuna posizione i curricula che parevano più attinenti e più idonei. Su questa base il sindaco ha proceduto alle nomine. Gli indirizzi che erano stati approvati dal Consiglio comunale lasciavano la responsabilità, com'è per legge, al sindaco, che avrebbe potuto discostarsi da queste indicazioni. Nei fatti - ed è tutto pubblicato sul sito del comune di Bologna - è risultato che 21 posizioni su 23 riflettono pienamente le indicazioni di quei saggi.
Credo che sia stata un'esperienza interessante. Il comune di Milano, a quanto mi risulta, sta mettendo in atto un procedimento molto simile. Credo che potrebbe essere un'indicazione anche per il legislatore.

CARLO FEDERICO GROSSO, Professore ordinario di diritto penale presso l'Università di Torino. Io sono un professore di diritto penale, però sono d'accordo con chi ha affermato poco fa che il diritto penale è l'estrema ratio nell'affrontare il tema della corruzione e che in prima battuta bisogna utilizzare gli strumenti amministrativi di controllo, monitoraggio e trasparenza.
Sono stato amministratore locale per tanto tempo, moltissimi anni fa, e poi consigliere regionale. Fin da allora mi sono sempre battuto perché il controllo, la programmazione e la trasparenza diventassero un valore in nome del principio che è stato testé enunciato: non ci deve essere un diritto individuale d'accesso, bensì la pubblicizzazione dei dati, in modo che l'amministrazione sia trasparente, una casa di vetro.
Questo disegno di legge mi sembra che cominci a porre alcuni dati estremamente positivi in questa direzione. Forse - e sono d'accordo con chi mi ha preceduto - è il primo passo e si potrebbe andare ancora più in là, però il mio giudizio è positivo. Ben venga l'Autorità nazionale anticorruzione, anche se la sua istituzione corrisponde a un obbligo di legge. Molto bene anche la trasparenza intesa come pubblicizzazione dei dati, in modo che chiunque possa accedere agli stessi; si tratterà poi


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evidentemente di verificare come questa pubblicizzazione sarà realizzata. Positivo anche quanto stabilito in alcuni degli articoli successivi, come ad esempio la tutela del funzionario che pubblicizza certe pratiche scorrette.
Bisogna andare in questa direzione. Forse il nostro Paese è un po' in ritardo. Come diceva a ragione chi mi ha preceduto, io ricordo che prima degli anni Novanta c'era la segretezza ed era molto difficile riuscire a convincere le pubbliche amministrazioni a pubblicizzare le informazioni, anche perché probabilmente allora mancavano gli strumenti informatici idonei.
Detto questo, a me sembra che il punto più carente di questo disegno di legge sul terreno non penale riguardi il tema della incandidabilità. Io sarei molto più incisivo sia sul tema dell'incandidabilità sia sul tema della disciplina complessiva delle incompatibilità e ineleggibilità.
Ritengo che anche l'aggancio alla sentenza penale definitiva di condanna potrebbe essere superato in via cautelare. È vero che c'è la presunzione di non colpevolezza, ma se sussiste una sentenza ben motivata di primo grado sul piano della cautela si potrebbe anticipare il momento in cui valutare se consentire o meno a un soggetto privato di adire a cariche pubbliche, in considerazione di ciò che purtroppo molte volte è accaduto.
Dato che sono un penalista, vorrei soffermarmi specificamente su quello che io stesso ritengo essere forse il terreno meno interessante, ma comunque importante, dell' intervento penale. A me sembra che su questo piano si individuino le carenze maggiori del disegno di legge. È stato giustamente sollevato il dubbio che elevare le sanzioni non serva. Anch'io sono dell'idea che le sanzioni penali non debbono necessariamente essere elevate, c'è però un punto da considerare. Il punto fondamentale è che bisognerebbe mantenere o portare a livelli adeguati soprattutto i minimi sanzionatori per evitare quel fenomeno di ampia impunità che è stato denunciato precedentemente.
Direi che le norme penali di questo disegno di legge vengono effettivamente incontro a questa esigenza poiché aumentano le sanzioni penali prestando molta attenzione a incrementare gli attuali limiti minimi. Mi sembra però che l'aumento delle sanzioni penali e dei limiti minimi non sia il discorso fondamentale. Credo che bisognerebbe cominciare davvero a pensare - e mi rimangio qui quanto ho sostenuto per anni - di utilizzare con decisione lo strumento premiale nell'ambito del contrasto alla corruzione sul terreno penale.
Ricordo che ai tempi di Tangentopoli Di Pietro, con l'ausilio di un importante professore di diritto penale, il professor Federico Stella dell'Università Cattolica, aveva elaborato un progetto di legge su cui allora ero stato estremamente critico perché ero sempre stato molto sospettoso nei confronti di un'utilizzazione massiccia del pentimento. Ci possono essere dei motivi per cui pentirsi e un individuo potrebbe collaborare non dicendo il vero. Il pentimento presenta una serie di problemi e mi pareva che in materia di corruzione questi problemi potessero essere rilevanti.
Tuttavia, di fronte all'estensione del fenomeno corruttivo, può darsi che oggi utilizzare questo strumento possa rappresentare una scommessa. Se si concedessero non soltanto diminuzioni di pena ma anche forme di non punibilità a colui che entro certi termini denuncia, collabora, fa emergere fenomeni di corruzione, può darsi che alla fine i conti tutto sommato tornino.
Ammesso che il Parlamento decidesse di imboccare questa strada, che in questo progetto di legge non è stata assolutamente considerata, e la si sperimentasse, se per certi versi gli effetti fossero negativi, si potrebbe sempre tornare indietro. Però sarebbe il caso di provare.
Quando si era sotto l'incalzare del terrorismo, la scommessa sul pentitismo ha portato risultati rapidi e immediati. La collaborazione di giustizia ha prodotto grandi risultati anche in materia di contrasto alla criminalità organizzata, anche se in quel settore, come sappiamo, ci si è


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trovati di fronte a difficoltà e a dover fare i conti con una serie di collaborazioni inquietanti. La magistratura ha comunque cercato di gestire questi fenomeni. Io credo che oggi come oggi, di fronte al dilagare del fenomeno, la scommessa debba essere accettata. Questa problematica dovrebbe quindi essere introdotta nel provvedimento, tentando di trovare una sua disciplina.
Forse bisognerebbe avere il coraggio di introdurre anche nuove fattispecie di reato, così da evitare e contrastare forme di corruzione indiretta. Ho osservato che in altre proposte di legge presentati da alcune forze politiche, ma non nel disegno di legge approvato dal Senato, si prevede di introdurre il reato di traffico di influenze. In effetti col traffico di influenze si potrebbero contrastare efficacemente fenomeni triangolari e trasversali di accordi corruttivi che sfuggono all'attuale disciplina. Credo che colpire tutto ciò che sfugge all'attuale disciplina sia in questo momento storico assolutamente importante.
Allo stesso modo si potrebbe pensare di estendere le incriminazioni per corruzione all'attività privata. Questa è una richiesta che molti penalisti fanno da anni. La corruzione nella gestione di impresa è un fenomeno molto pesante anche dal punto di vista economico. Anche questo aspetto, secondo me, dovrebbe essere affrontato con decisione.
Ci sono poi alcuni dettagli tecnici su cui sono un po' perplesso, come per esempio la semplificazione. Abolire la concussione, creare un delitto di estorsione più grave se vi è violenza e ricondurre tutto alla corruzione se c'è mera induzione potrebbe essere una soluzione pratica, che eviterebbe una serie di situazioni difficili nel momento dell'accertamento processuale. Tutto sommato anche qui si potrebbe sperimentare.
Una volta si era addirittura provato a estendere la concussione, allargando il reato più grave alla cosiddetta concussione ambientale. Quella sarebbe una linea del tutto opposta perché si amplierebbe la corruzione. Sarebbe una buona cosa soprattutto se questa iniziativa fosse correlata all'introduzione del riconoscimento a chi collabora con la giustizia in modo da far emergere il fenomeno corruttivo.
C'è un ultimo punto che mi sembra importante. I tempi della giustizia sono quelli che sono. L'attuale limite prescrizionale della corruzione è estremamente risicato. Molto sovente i reati di corruzione vanno in prescrizione. Sette anni e mezzo sono obiettivamente pochi per certi fenomeni corruttivi, così come sette anni e mezzo sono quisquilie per certi reati economici. Secondo me, un'attenzione all'allungamento dei tempi della prescrizione con riferimento a questo tipo di reati sarebbe assolutamente importante.
Il diritto penale interviene sempre nel momento repressivo. È meno importante, ma il diritto penale come prevenzione agisce nella misura in cui «fa paura». Oggi ho l'impressione che le norme sui delitti contro la pubblica amministrazione siano deboli; dato lo sfaldamento dei nostri processi penali, l'allungamento dei tempi, ciò che comunque può capitare e il fatto che in ogni caso la galera rimane qualcosa di molto lontano, bisognerebbe cercare di ricostituire questa prevenzione generale. Allungare la prescrizione potrebbe essere un modo, come pure elevare i minimi edittali.
Concludo con due considerazioni. Ci sono alcuni reati di contorno che andrebbero valorizzati, ad esempio la falsa fatturazione perché si crea il «nero» che è la premessa della corruzione. Il falso in bilancio è un nervo scoperto. L'attuale disciplina del falso in bilancio è ridicola. Nessuno viene più condannato per falso in bilancio. Questa potrebbe essere un'occasione, perché si tratta di un reato attraverso il quale si creano possibilità per fenomeni corruttivi. Anche inquadrare questi problemi in un eventuale intervento coordinato di materie di tipo penale per la lotta alla corruzione mi sembra importante.
Vorrei terminare con una provocazione, forse un'eresia. Ricordo che tanti anni fa esisteva un reato che è stato molto criticato, tanto che il Parlamento l'ha


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abrogato. Mi riferisco al diritto di interesse privato in atti d'ufficio. Si diceva che fosse un reato elastico, un reato pericoloso per i pubblici amministratori. Sono stato un pubblico amministratore per dieci anni e l'interesse privato in atti d'ufficio mi terrorizzava.
Questo reato prevedeva una sanzione abbastanza elevata e consentiva le intercettazioni. La magistratura penale molte volte contestava l'interesse privato, il che era facile a farsi, e iniziava a indagare nella ricerca della corruzione.
Non suggerisco di tornare a un sistema del genere, che in astratto è barbaro, ma di trovare meccanismi per far riemergere la questione. L'interesse privato è stato abrogato ed è stato sostituito dall'abuso di atto d'ufficio. Dopodiché il Parlamento con voto unanime ha praticamente abrogato tale reato. Oggi più nessuno è condannato per abuso di atto d'ufficio; occorrono il dolo intenzionale e la violazione di legge.
Forse si potrebbe ripensare la questione, tornando indietro. Mi rendo conto che pronuncio un'eresia perché magari ci si trova su un terreno garantistico, ma, nel momento in cui il fenomeno corruttela diventa così inquinante per la vita pubblica, abbandonare alcuni livelli, alcune tacche di garanzia per rendere più incisiva la prevenzione, con la paura, potrebbe anche essere utile.
Quest'ultima è una mera provocazione, mentre le altre considerazioni che ho svolto non intendono esserlo.

PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

GUIDO MELIS. Nel ringraziare gli auditi, volevo porre una domanda che pesca un po' fuori dal disegno di legge.
In particolare, nella proposta di legge Giovanelli ed altri ci sono tre temi che volevo sollevare e che non sono stati toccati, anche se uno è stato sfiorato dal professor Mattarella. Mi riferisco allo spoil system. Vorrei sapere se voi ritenete che in materia di spoil system la revisione di questo sistema di governo della dirigenza, in particolare amministrativa, non dovrebbe essere affrontato più di petto dentro un provvedimento contro la corruzione.
Il secondo tema, che ha molto a che fare con lo spoil system e che noi affrontiamo nella proposta di legge Giovanelli, riguarda i capi di gabinetto. Uno dei fenomeni è dato dalle carriere che si formano per i cosiddetti gabinettisti, per cui ci sono magistrati, prevalentemente del Consiglio di Stato, ma anche di altre magistrature, che passano da un incarico all'altro, rimanendo estranei ai propri mondi di appartenenza, ma al tempo stesso costituendo un legame con quei mondi e rappresentando un tramite tra politica e attività che dovrebbero essere terze, funzioni giurisdizionali che dovrebbero essere terze. Nella nostra proposta di legge prevediamo un limite alla possibilità di essere capi di gabinetto o di stare nei gabinetti per la magistratura amministrativa e ordinaria. Mi piacerebbe sentire se qualcuno di loro può rispondere a questa sollecitazione.
Il terzo tema è rappresentato dagli arbitrati, un altro grande fenomeno nel quale, secondo me, alligna, se non altro, la possibilità della corruzione. Anche in tale ambito non sarebbe il caso di introdurre paletti molto seri, soprattutto per chi sta nelle magistrature? Grazie.

PIERLUIGI MANTINI. La mia domanda è se si ritiene utile l'istituzione di codici etici nella pubblica amministrazione, fermi restando tutti i limiti che essi presentano anche nella tradizione statunitense? Si tratta di uno strumento che non è stato molto usato nella nostra pubblica amministrazione e a cui collegare anche un potere disciplinare.
Che cosa pensate poi delle white list? Questo meccanismo, che è molto praticato in punti vivi dell'esperienza recente - non a caso sono state citate la ricostruzione in Abruzzo, Expo e l'emergenza carceraria - rischia di essere ritenuto una soluzione efficace, tanto che l'articolo 5, come ci


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informa l'ANCE, andrebbe rafforzato e che le white list dovrebbero essere obbligatorie.
Io nutro un dubbio, però, nel senso che mi spaventa la parola white. Noi abbiamo di fatto una certificazione antimafia rafforzata, alcuni controlli in più, rischi di lesione del principio di concorrenza, perché non ci si può rivolgere al mercato secondo le regole europee di trasparenza e di gare, ma solo a coloro che sono iscritti nell'elenco, ma non è garantito da alcuna parte che chi è iscritto in quell'elenco sia veramente white. Anche oggi c'è una difficoltà a contrattare per chi avesse carichi pendenti o situazioni non trasparenti. Si rischia con questo strumento di santificare una sorta di lista chiusa, un rimedio che in effetti tale non è e, nonostante questo strumento sia piuttosto di moda, le mie perplessità restano e volevo conoscere il vostro parere.
La considerazione finale è che voi - mi riferisco soprattutto ai professori e ai colleghi di diritto amministrativo per la loro formazione - parlate di un'amministrazione che è figlia della legge n. 241 del 1990, della separazione tra politica e gestione, in cui lo spoil system è un po' eccezionale, in cui l'accesso agli atti diventa un diritto civico e non a caso, come giustamente propone il professor Vandelli.
È tutto molto giusto, però quella pubblica amministrazione è molto a rischio, e lo sappiamo, per politiche di segno diverso, spoil system compreso, ma non solo per politiche di una parte di Governo. È molto a rischio nella nostra società, tanto che i fenomeni corruttivi si annidano nei meccanismi discrezionali delle pubbliche amministrazioni.
Ritorno sul tema di maggiori misure e severità sulle gare che non si bandiscono e che vengono occultate, nonché sul principio di concorrenza sulle grandi scelte. La riqualificazione delle grandi aree non può dipendere dalla rendita di posizione; dovrebbero esserci meccanismi che prevedano sempre una richiesta minima pubblica, un progetto di fattibilità pubblico, e poi meccanismi di gara e di confronto concorrenziale.
È il caso di Sesto, per capirci, ma tutta l'Italia è attraversata da misure di riqualificazione di aree dismesse. Quelle scelte non possono rimanere criptiche, mentre magari cerchiamo di incutere il regime di terrore, reintroducendo l'interesse privato in atto d'ufficio o il mercimonio della funzione, che esiste in altri Paesi. Per carità, si potrebbe fare.
Mi rivolgo al professor Grosso: il caso Verdini, la richiesta di autorizzazione delle intercettazioni, su cui io ho votato sì, riguarda un'imputazione di tentato abuso d'ufficio. Mi pare che il professor Grosso abbia fatto un sorriso, ma è la storia della nostra Repubblica, la nostra storia. Cerchiamo di misurare il vecchio problema del dito e della luna: non vorrei che si creasse una sorta di Stato di terrore, dimenticandoci, invece, i pochi ambiti su cui si potrebbe incidere.

ROBERTO ZACCARIA. I ringraziamenti sono di rito, ma sono sentiti, perché i vostri contributi ci hanno segnalato problemi importanti. Sono emerse diverse questioni. Io non sono un penalista, ma parto da questo discorso, che è stato introdotto dal professor Mattarella e poi sviluppato dal professor Grosso.
Ieri abbiamo sentito il professor Palazzo, il quale si era esercitato per cercare di portare una razionalità in questa materia. Il problema è che esso non si risolve con le norme penali e che comunque le norme penali che ci sono, se le analizziamo, per un motivo o per l'altro, non riescono bene a essere applicate. Il professor Grosso oggi ha parlato della prescrizione, di alcune fattispecie di reato, non solo dell'interesse privato ma anche dell'abuso d'ufficio. Proprio sull'abuso ufficio ieri il professor Palazzo ci riferiva che alcune fattispecie penali, se potessero avere maggiore incisività, potrebbero essere uno strumento finale per reprimere alcuni comportamenti, mentre in realtà sono norme scritte sulla sabbia, sono poco utilizzabili. Capisco il problema di non inasprire le pene, ma se poi, per alcuni motivi, tutto il sistema penale specifico non riesce bene a essere attivato, anche


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quello si pone come elemento di preoccupazione.
Peraltro, il professor Palazzo ha fatto anche un riferimento alla Costituzione, parlando dell'articolo 54 sulla disciplina e l'onore, concetti che non possono restare soltanto come ammonimenti morali, ma che devono avere una strumentazione che li renda effettivi. Con riferimento agli strumenti premiali si era parlato della possibilità di costruire una circostanza attenuante di carattere generale che potesse lavorare anche in queste situazioni.
Un'altra questione che apprezzo riguarda i conflitti di interesse che coinvolgono i politici. Sfondiamo una porta aperta per alcuni di noi, nel momento in cui manca la norma madre. Nella scorsa legislatura la Commissione affari costituzionali aveva costruito, qualcuno può sostenere tardivamente, un sistema di conflitti di interesse molto ampio e significativo, che poi avrebbe portato ad affrontare e a rivisitare le norme su ineleggibilità, incompatibilità e incandidabilità. Abbiamo materiale vecchio, ma anche questa è una notazione importante.
Anche in relazione agli strumenti che vengono adombrati, come la CiVIT, noi siamo pieni di autorità indipendenti; in I Commissione stiamo svolgendo anche un'indagine conoscitiva per cercare di capire se si debba porre un po' di ordine in questa materia, perché non c'è provvedimento legislativo che non veda in queste Autorità la salvezza generale. Non ci si pone il problema neanche dell'indipendenza effettiva. Siamo di nuovo messi male, se affidiamo tutto a organismi che poi non godono dell'indipendenza necessaria.
Oggi è stato audito anche il presidente della Corte dei conti. Anche la Corte dei conti riveste certamente un ruolo importante, però a volte un problema di indipendenza si pone anche al suo interno, non è una questione secondaria.
Il professor Vandelli sostiene che va bene che il provvedimento sia considerato il primo passo e che ci possiamo anche ragionare. Il problema è, però, che, se il primo passo non va nella direzione giusta, ma è un po' ondeggiante, è come quando si deve prendere un bivio. All'inizio due strade di un bivio sono vicine, però, se si cammina su una strada che può essere insufficiente, anche il primo passo potrebbe andare in una direzione sbagliata.

DONATELLA FERRANTI. Vorrei porre alcune domande solo al professor Grosso, anche perché altri argomenti sono stati trattati dai colleghi che mi hanno preceduto, ringraziando comunque tutti per essere venuti e per averci dato spunti interessanti di riflessione.
Come premessa credo di aver compreso da tutti gli interventi come sicuramente, anche se alcuni in parte affermano che si va nella direzione giusta, questo provvedimento, se non adeguatamente rimpinguato, modificato e rettificato, sia forse un'occasione mancata. Se non viene perfezionato con una convergenza di emendamenti che verranno discussi e, ci auguriamo, accettati anche dalla maggioranza, si rimane in un inizio di azione che può essere molto poco efficace.
Professor Grosso, lei ha avuto la possibilità, insieme alle altre, di valutare anche la nostra proposta, la C. 3850, che si pone nell'ottica penalistica, ossia di quella parte che manca al disegno governativo e che, secondo noi, anche se sicuramente non è la prima parte di azione di uno Stato, è comunque una parte essenziale.
Nel ringraziarla degli spunti di riflessione che ci ha offerto, volevo sapere con maggiore precisione se lei ritiene utile o no dal punto vista sistematico superare la distinzione, cui ha accennato, attualmente esistente tra corruzione in atto di ufficio o per attività contrarie all'ufficio e quella tra corruzione e concussione? Ieri sotto questo profilo il professor Palazzo ci ha rappresentato una «pericolosità» di lasciare troppo poi alla discrezionalità del giudice nell'accertamento, in una macroconfigurazione della corruzione che assorba le figure che esistono attualmente e che noi abbiamo sintetizzato nel nuovo articolo 319 del codice penale, l'articolo 1 della nostra proposta. C'era una perplessità ieri da parte del professor Palazzo,


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anche se riconosceva che ciò avrebbe consentito, sotto il profilo proprio delle indagini, di avere un'agilità o comunque una maggior speditezza proprio nelle fasi di accertamento.
Volevo poi avere una sua opinione su quella che noi abbiamo configurato come riparazione pecuniaria, cioè sull'imporre comunque un rientro di somme pari all'ammontare di quanto indebitamente ricevuto a prescindere dal risarcimento dei danni che possa essere incamerato dall'amministrazione lesa nel suo prestigio.
Quali potrebbero essere a suo avviso le misure per rendere più efficace la deterrenza delle forme di corruzione, con riferimento non soltanto all'applicazione della pena e, quindi, al limite di pena edittale aumentato nel minimo o nel massimo, ma anche alle misure interdittive e alle misure cautelari reali? Lei ha accennato alla forma del pentitismo e all'introdurre meccanismi, come è avvenuto per il terrorismo ed esiste per la mafia. Noi nella nostra proposta ci siamo limitati a prevedere una circostanza del genere speciale e attenuante che riduce di molto la pena per chi dà concreti aiuti alla raccolta di elementi decisivi. Ovviamente è diversa la forma del prevedere un'ipotesi di non punibilità, che crea molti problemi in questo ambito, gli stessi che ci sono sicuramente con riguardo al terrorismo e alla mafia. In quest'ambito francamente ci destano alcune perplessità in più.
Aggiungo un'ulteriore domanda, che potrebbe essere rivolta anche agli altri professori, nel caso in cui lo ritenessero opportuno. Mi colpisce nel disegno governativo la parte in cui si cerca di dare protezione a colui che all'interno dell'amministrazione si fa coraggio e denuncia il fenomeno. Mi sembra - ma vorrei un suggerimento in più - che, sebbene nel disegno governativo sia prevista una protezione, questa sia un po' generica e non efficace e vorrei capire se ci possono essere strumenti più idonei per far sì che ci sia una sollecitazione concreta al rispetto delle regole e un'effettiva situazione di protezione per il dipendente. Grazie.

PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica.

CARLO FEDERICO GROSSO, Professore ordinario di diritto penale presso l'Università di Torino. Ringrazio l'onorevole Ferranti per le sue domande. Effettivamente ero stato generico su questi aspetti perché non avevo capito che avrei potuto anche affrontare il tema relativo alle proposte di legge che sono abbinati al disegno di legge approvato dal Senato.
Svolgo una premessa in riferimento al dominio del terrore. Forse il diritto penale è il dominio del terrore e la sostanza è la sua assenza, soprattutto con riferimento ai reati di una data gravità. In questa prospettiva io pensavo a un incremento dei minimi edittali, perché l'azione penale diventasse, dato che la corruzione è un fenomeno, a mio avviso, molto grave, uno strumento penale con valore incisivo.
Io sono, in linea di principio, favorevole alla sostituzione delle pene detentive con pene alternative, salvo per i fenomeni che si ritengono di primaria importanza sul terreno criminale, in quanto aggrediscono beni fondamentali. Ho l'impressione che la corruzione appartenga a questo ambito.
Quanto all'interesse privato, lanciavo una provocazione, evidentemente per attirare l'attenzione sul fenomeno. È stato ricordato dall'onorevole Zaccaria che ieri il mio collega professor Palazzo aveva giustamente indicato la mancanza ormai di una norma di chiusura, come c'era una volta. Una volta esisteva l'interesse privato in atti d'ufficio e addirittura l'abuso innominato. Pur con tanti disguidi e con tante difficoltà per gli amministratori, funzionavano come valvola di sicurezza per tutto ciò che non rientrava nei fenomeni più gravi, ma oggi tutto ciò non c'è più, queste fattispecie sono state abrogate nella sostanza e c'è un vuoto. Bisogna verificare come colmare questo vuoto senza dare troppo spazio alla discrezionalità giudiziale a danno degli amministratori. Forse è un problema irrisolvibile, però vale la pena di ripensarci.
Passo alle domande puntuali. Sui punti specifici del vostro progetto, onorevole


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Ferranti, come ho affermato, io sono assolutamente favorevole all'abrogazione della concussione e alla dicotomia del fenomeno in estorsione qualificata dalla qualità di pubblico ufficiale e assolvimento della concussione per induzione nella corruzione. È una semplificazione molto rilevante.
Anch'io nutro notevoli perplessità sulla creazione di una fattispecie unica di corruzione che coinvolga sia la corruzione in atti d'ufficio, sia quella con riferimento ad atti contrari ad atti d'ufficio, sia l'eventuale corruzione con riferimento alla funzione esercitata, la nuova fattispecie amplificata che si tende a introdurre anche sul piano della codificazione, oltre che su quello giurisprudenziale. Ho paura che si deleghi alla magistratura una scelta eccessiva sulla selezione della pena. Preferirei la tipizzazione con pene più definite e con la magistratura più vincolata alle scelte del Parlamento, perché tutte le volte che il Parlamento abdica a favore della magistratura nelle scelte politiche il fenomeno mi preoccupa, perché si intorbidiscono i rapporti fra poteri dello Stato. Su questo punto avrei alcune perplessità.
Per quanto concerne la norma sulla riparazione pecuniaria sono d'accordo, mi sembrerebbe un incentivo molto forte, un'ulteriore modalità di contrasto.
Per quanto riguarda l'aspetto della premialità, tutto sommato, se si imbocca questa strada, io sarei ancora più coraggioso e arriverei, selezionando e studiando i casi, anche a riconoscere forme di non punibilità e non soltanto forme di circostanze attenuanti generali, seguendo il modello che il Parlamento ha già adottato a partire dalla normativa sul terrorismo, quando si è affrontato il problema con riferimento a quel fenomeno, vedendo che cosa capita quando il modello dovesse essere sperimentato.
Per quanto riguarda le sanzioni ulteriori rispetto a quella detentiva, sono favorevole. Si introducono ulteriori elementi di terrorismo, ma ho l'impressione che «a mali estremi, estremi rimedi». Forse è un giudizio falsato da pregiudizi, però imboccherei la strada con attenzione. Voi siete più bravi di me e avete un'esperienza molto più specifica per valutare come operare in questo settore, però l'idea tutto sommato la condivido, come sanzione non sostitutiva, ma aggiuntiva, data la gravità del fenomeno nel momento in cui lo si vuole combattere anche sul piano della prevenzione.
Sulla protezione del funzionario, non credo che sia un problema. Oggettivamente i funzionari possono essere intimiditi e avere paura. È possibile che questa normativa sia effettivamente inadeguata sul piano della tutela, però non abbandonerei il principio. Cercherei, invece, di rafforzare la tutela sul piano dell'incisività.
Come ultima battuta, prima si faceva cenno al fenomeno dell'arbitrato. È un discorso particolare. Ricordo che quando sono stato vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura abbiamo affrontato di petto il problema con riferimento alla magistratura ordinaria e abbiamo vietato che i magistrati ordinari facessero arbitrati. Allora erano ammessi a fare gli arbitrati i componenti della Corte di appello di Roma, un'assoluta stravaganza per la magistratura ordinaria, che noi abbiamo vietato. Auspicavamo che fosse vietata anche per i consiglieri di Stato, perché si tratta di una forma di corruzione implicita. È evidente, è una follia che i magistrati siano distolti dal loro lavoro per svolgere un'attività di giustizia privata lautamente pagata.
È un aspetto molto particolare, ma ha attirato la mia attenzione, perché tanti anni fa ci avevo ragionato a lungo e contiene tanti aspetti specifici su cui occorre ragionare. Io credo che il divieto sia assolutamente essenziale.

FRANCESCO MERLONI, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Perugia. Svolgo un flash sulla questione, su cui non sono stato direttamente interpellato, delle misure premiali e sul tema dell'interdizione. Il tema dell'interdizione va visto anche sotto il profilo dell'affidamento dell'imparzialità del funzionario.


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Quando il funzionario ha dichiarato di aver commesso una corruzione, pur con tutta la premialità che si vuole, non può rientrare nella pubblica amministrazione, non può essere più funzionario. Su questo punto l'interdizione va mantenuta come pena autonoma, commisurata alla gravità soprattutto dell'attacco che tale funzionario fa all'apparire imparziale. Questo mi sembra fondamentale.

CARLO FEDERICO GROSSO, Professore ordinario di diritto penale presso l'Università di Torino. Scusi se la interrompo. Una volta la sospensione condizionale della pena non si estendeva alla pena accessoria.

FRANCESCO MERLONI, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Perugia. Esattamente. Sotto il profilo della garanzia dell'imparzialità non solo nell'essere, ma nell'apparire imparziale la premialità deve essere comunque disgiunta dall'interdizione, che deve invece essere proporzionata alla gravità del comportamento e quindi all'incidenza dell'imparzialità sul mancato affidamento.
Sul tema dello spoil system mi limito a dire che di per sé non è corruzione. Il problema è come limitarlo e delimitarlo preventivamente. La Corte costituzionale già ci dice molte cose abbastanza precise, e forse una legge dovrebbe adottare in via definitiva il criterio per cui, come affermava il professor Vandelli, chi è chiamato ad assumere provvedimenti amministrativi non può essere soggetto a spoil system. Esso ha uno spazio nelle pubbliche amministrazioni, ma deve essere predeterminato dalla legge. I provvedimenti organizzativi di un ministero, ad esempio, dovrebbero quindi stabilire quali siano gli spazi di spoil system.
Detto questo, coloro che saranno nominati sulla base di un criterio fiduciario - che è giusto che ci sia seppure entro certi limiti - saranno scelti da un lato con criteri basati sulla fiduciarietà (di un direttore generale o di dipartimento o del segretario generale di un ministero ci si deve poter fidare), ma dall'altro con criteri di professionalità che permettano di delimitare le scelte. In procedimenti come quelli adottati dal Comune di Bologna la fiduciarietà è fatta precedere da forme selettive basate su requisiti di tipo professionale e di competenza.
Mi sembra, per esempio, che la legge potrebbe introdurre questo come principio generale valido per tutte le pubbliche amministrazioni.

BERNARDO GIORGIO MATTARELLA, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Siena. Rispondo molto rapidamente alle domande dell'onorevole Melis, con cui concordo su tutto. Per quanto riguarda lo spoil system, sono assolutamente d'accordo anche con quanto diceva il professor Merloni e aggiungerei che non si tratta solo di «fare pulizia» tra le norme di spoil system, come la Corte costituzionale ha cominciato a fare, ma forse un buon passo sarebbe eliminare del tutto le norme che consentono incarichi dirigenziali a soggetti esterni. Bisogna prendere atto che non hanno funzionato bene.
Concordo sulla disciplina dei capi di gabinetto; sarei contrario invece a vietare del tutto ai magistrati amministrativi di assumere cariche negli uffici di staff, ma sono favorevole a limitarle. Sono anche d'accordo sugli arbitrati di cui ha parlato il professor Grosso.
Rispetto alle domande poste dall'onorevole Mantini, convengo sull'utilità di ampliare il ricorso a codici etici, ma si tratta di una materia nella quale le amministrazioni pubbliche hanno bisogno di essere stimolate. Lo fanno se devono. Una dimostrazione è data dai codici etici delle università: fino a pochi mesi fa ne erano stati adottati due o tre, adesso che sono obbligatori per legge tutte le università stanno provvedendo, a volte con risultati interessanti. Una norma forse servirebbe.
Sulla questione della white list non sono un esperto, ma condivido le preoccupazioni dell'onorevole Mantini. Mi rendo conto che sono provvedimenti necessari, ma sono anche estremamente discrezionali e di fatto non sindacati dai


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giudici. Anche qui una disciplina legislativa analitica potrebbe essere d'ausilio.
Per quanto riguarda le domande dell'onorevole Zaccaria, risponderei solo sulla questione della CiVIT e delle autorità indipendenti. Io non sono convinto che sia proprio necessaria un'autorità indipendente in materia di corruzione. Credo che le norme internazionali che ce lo impongono siano fatte su misura per ordinamenti che non hanno una magistratura indipendente come l'abbiamo noi. Però un'autorità indipendente dobbiamo crearla e soprattutto nella prospettiva della disciplina del conflitto di interessi forse è utile. Le discipline del conflitto di interessi che funzionano bene, come quelle americane e canadesi, sono infatti quelle in cui esiste un soggetto autorevole e indipendente dal potere politico che individua la soluzione del conflitto.
Infine, per quanto riguarda la norma sui whistleblower, coloro che denunciano, sono d'accordo sul fatto che potrebbe essere arricchita stabilendo non soltanto che denunciare la corruzione non è una colpa, ma che è addirittura un merito. Visto che, per esempio, abbiamo messo in piedi un sistema di valutazione dei dipendenti pubblici, perché non tenere conto di queste condotte ai fini dell'inserimento nella fascia più alta?

LUCIANO VANDELLI, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Bologna. Sono già stati trattati vari punti. Seguendo la Corte costituzionale, credo che una disciplina complessiva generale dello spoil system che si applichi a tutte le pubbliche amministrazioni dovrebbe prevedere una delimitazione ai massimi livelli e soltanto nei casi previsti dalla legge, requisiti precisi e predeterminati, non stabiliti nel momento in cui il titolare del potere di nomina esercita il potere, limiti rigorosi ai contratti esterni, perché molto spesso allo spoil system si mescola il fenomeno dell'attribuzione di incarico a dirigenti interni rispetto a persone arruolate appositamente al di fuori della pubblica amministrazione e da ultimo poteri e funzioni da attribuire ai funzionari soggetti a spoil system distinguendo nettamente i ruoli.
In materia di arbitrati, credo che nel nostro ordinamento ci sia un punto dolente. In sostanza si riconosce di avere una giustizia che non soddisfa la domanda al punto tale da dover anche mettere a disposizione propri dipendenti e propri magistrati per formare e favorire una via alternativa più rapida ed efficiente. Temo che un fenomeno di questo genere non sia rimediabile in un breve periodo. Ritengo quanto meno importante che, laddove ci sia la presenza di un funzionario pubblico e in particolare di un magistrato, questo non sia mai su richiesta di parti private e nemmeno di parti pubbliche, ma sia designato dagli organi di autogoverno o comunque all'esterno del collegio.

PRESIDENTE. Ringrazio gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 12,15.

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