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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissioni Riunite
(I e III)
8.
Martedì 16 novembre 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Nirenstein Fiamma, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ANTISEMITISMO

Audizione di Alessandro Cavalli e Enzo Risso, presidente e direttore dell'Istituto Ricerche politiche e socioeconomiche IARD:

Nirenstein Fiamma, Presidente ... 3 9 12 13 16 18
Cavalli Alessandro, Presidente dell'Istituto ricerche politiche e socioeconomiche IARD ... 4 13
Corsini Paolo (PD) ... 9 10
D'Antona Olga (PD) ... 13 16
Pianetta Enrico (PdL) ... 11
Risso Enzo, Direttore dell'Istituto ricerche politiche e socioeconomiche IARD ... 5 9 14 16
Volpi Raffaele (LNP) ... 10
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l’Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia, I Popolari di Italia Domani: Misto-Noi Sud-PID; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Repubblicani, Azionisti. Alleanza di Centro: Misto-RAAdC.

COMMISSIONI RIUNITE
I (AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI) E III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI)

Comitato di indagine sull’antisemitismo

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 16 novembre 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FIAMMA NIRENSTEIN

La seduta comincia alle 11.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di Alessandro Cavalli e Enzo Risso, presidente e direttore dell'Istituto ricerche politiche e socioeconomiche IARD.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'antisemitismo, l'audizione del professor Alessandro Cavalli e del professor Enzo Risso, rispettivamente presidente e direttore dell'Istituto ricerche politiche e socioeconomiche IARD.
Non so se i nostri ospiti sanno che noi abbiamo già svolto numerose audizioni, di carattere sia nazionale sia internazionale, e siamo molto contenti di sentire i risultati delle vostre ricerche che si occupano di realtà molto ampie e non specificamente mirate sull'antisemitismo, ma più in generale sul razzismo e sui pregiudizi etnico-religiosi.
Prima di procedere all'audizione, ritengo opportuno segnalare che una delegazione della Commissione esteri, composta da me e dal collega Corsini, in analogia con quanto già avvenuto per Londra nel 2009, è stata autorizzata dal Presidente della Camera a prendere parte alla seconda conferenza organizzata dalla Coalizione interparlamentare contro l'antisemitismo, l'ICCA, all'interno della quale opero in qualità di membro dello Steering Committee, cioè del Comitato direttivo, svoltasi a Ottawa dal 7 al 9 novembre con il patrocinio del Ministero degli affari esteri e del Ministero per la cittadinanza, l'immigrazione e il multiculturalismo canadesi. Vi hanno preso parte rappresentanti di più di 50 Parlamenti e mi riservo, insieme al collega Corsini, di darvi conto, in una prossima seduta, di tutto il lavoro svolto, un lavoro oltremodo nutriente, interessante e che ha prodotto dei documenti coi quali intendiamo avviare un percorso istituzionale con la vostra collaborazione e con la vostra competenza. Dopo la London Declaration del 2009, infatti, a Ottawa è stato adottato il Protocollo sulla lotta contro l'antisemitismo, che appare destinato a diventare un punto di riferimento fondamentale per la comunità internazionale intera, e in particolare per le agenzie internazionali impegnate su questo terreno.
Il documento, in distribuzione in lingua inglese e in corso di traduzione, potrà essere acquisito agli atti dell'indagine conoscitiva.
La Conferenza di Ottawa ha anche fatto emergere l'urgenza di provvedere nel nostro Paese a colmare una lacuna nell'apparato normativo di contrasto al fenomeno dell'antisemitismo. Peraltro, è già emersa in occasione dell'audizione dei rappresentanti della Polizia di Stato impegnati contro la criminalità informatica. L'Italia, infatti - attenzione, colleghi, questa


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è una cosa veramente basilare, come lo sarà l'acquisizione del documento del Protocollo finale della Conferenza di Ottawa in forma istituzionale anche presso il nostro Parlamento - non ha ancora siglato il Protocollo addizionale relativo ai reati di tipo razzista e xenofobo commessi attraverso sistemi informatici alla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la criminalità informatica adottato nel 2003. Si tratta di uno strumento essenziale per conferire piena efficacia all'azione di contrasto.
Riterrei assai opportuno assumere con tempestività iniziative in tal senso, auspicabilmente mediante l'adozione di un atto di indirizzo sottoscritto dai componenti di questo Comitato. Mi scuso per aver preso qualche minuto, ma erano temi indispensabili.
Ricordo che l'Istituto IARD svolge in ambito nazionale ricerche e studi sociologici principalmente rivolti all'osservazione dei fenomeni legati alla condizione giovanile, con particolare riferimento all'individuazione di elementi di criticità e di rischio che caratterizzano questa fascia di popolazione. Il tema, in particolare, è stato sempre richiamato dal collega Volpi, che gode evidentemente di un osservatorio sui giovani privilegiato, per cui ha sempre sollevato motivi di allarme nei confronti della popolazione giovanile.
Ricordo, inoltre, che il 17 febbraio scorso, nella Sala della Lupa, su iniziativa dell'Osservatorio della Camera dei deputati su fenomeni di xenofobia e razzismo, è stata presentata la ricerca, di cui il professor Enzo Risso è stato il curatore, «Io e gli altri: giovani italiani nel vortice dei cambiamenti», promossa dalla Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative delle regioni delle province autonome. Obiettivo della ricerca, dedicata al fenomeno giovani e razzismo, è stato quello di creare un modello di analisi per verificare l'evoluzione di comportamenti e atteggiamenti razzisti ed esaminare quali sono i percorsi che alimentano una cultura dell'intolleranza e dell'insofferenza.
Ringrazio per la loro presenza il professor Cavalli e il professor Risso e do loro molto volentieri la parola.

ALESSANDRO CAVALLI, Presidente dell'Istituto ricerche politiche e socioeconomiche IARD. Vorrei, innanzitutto, sottolineare che il nostro Istituto svolge ormai da circa trent'anni ricerche sulla popolazione giovanile, e quindi ha avuto sotto il suo osservatorio diverse generazioni di giovani. In ognuna delle indagini che si sono succedute - adesso stiamo apprestando la settimana - sulla condizione giovanile in Italia, abbiamo tenuto conto anche di aspetti che direttamente o indirettamente si riferiscono agli atteggiamenti nei confronti di gruppi sociali o popolazioni verso cui si manifestano dei pregiudizi. Possiamo, quindi, dire innanzitutto che l'antisemitismo rientra nei fenomeni più generali di pregiudizio nei confronti di popolazioni per le quali viene sottolineato qualche elemento di diversità. Si può dire, quindi, che in effetti ci sia una specificità dell'antisemitismo, che si inquadra però in atteggiamenti che non si rivolgono soltanto agli ebrei. Questo è un primo elemento.
Il secondo elemento è che questa componente ha delle oscillazioni nel tempo, ma tuttavia non scende mai sotto una certa soglia. Questo significa che c'è, esiste, è un fenomeno che non ha natura congiunturale, ma è abbastanza inserito nelle idee e negli atteggiamenti della popolazione giovanile, anche se questa popolazione giovanile cambia. Quelli, infatti, che abbiamo studiato trent'anni fa hanno ormai cinquant'anni. Dunque, è presente una corrente sotterranea.
Certo, come dirà molto più precisamente Enzo Risso, gli ebrei non sono il gruppo sociale o la popolazione nei confronti della quale si manifestano le forme più crude di intolleranza e di pregiudizio. Ci sono altri gruppi sociali molto più esposti a questo tipo di atteggiamento. Faccio riferimento, in particolare, agli «zingari». Adesso bisogna usare questo termine tra virgolette perché sembra che non sia politicamente corretto parlare di zingari, ma non c'è altra parola, in realtà,


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che indichi questo fenomeno. Questo è il gruppo oggi maggiormente oggetto di atteggiamenti di intolleranza, molto forte, ad esempio, anche nei confronti degli europei dell'est, i rumeni in particolare, e i bulgari. Accanto a questi gruppi ci sono i nordafricani, e poi gli ebrei. Esiste, quindi, una scala di atteggiamenti di ostilità, se vogliamo, a seconda della percezione di minaccia e diversità da questi gruppi.
Nei confronti degli ebrei c'è qualcosa di più. La minaccia non viene, infatti, percepita, così come non lo è la diversità. Molto spesso gli ebrei fanno parte della nostra cultura. Affiora, probabilmente, un elemento tradizionale, della cultura tradizionale non specificamente italiano, forse europeo, e che nel caso italiano non raggiunge forme particolarmente intense. Tuttavia, questi atteggiamenti hanno, nonostante si manifestino su una base di stabilità, delle oscillazioni nel tempo.
Mi riservo di aggiungere nel corso della discussione altri elementi, in particolare in riferimento ai fattori che spiegano la presenza di queste componenti. Come mai? Quali sono i giovani che sono più soggetti a nutrire questi atteggiamenti di tipo antisemita?

ENZO RISSO, Direttore dell'Istituto ricerche politiche e socioeconomiche IARD. Premetto brevemente che noi abbiamo realizzato, come ricordava la presidente, un'indagine complessiva per l'Osservatorio della Camera su oltre 2.000 giovani italiani sul tema del razzismo. L'indagine ha avuto carattere sperimentale perché abbiamo dovuto superare un ostacolo molto semplice: la componente delle risposte date esclusivamente per ragioni di politically correctness.
Non si può chiedere a una persona se è razzista, perché negherà. Abbiamo, allora, eseguito uno studio su tutti i singoli comportamenti, atteggiamenti, fastidi che hanno poi incrociato i dati e dopo abbiamo verificato se ci fossero atteggiamenti razzisti o meno. Il meccanismo ha funzionato, non abbiamo avuto risposte di desiderabilità sociale, ma molto sincere, anche perché l'indagine è stata realizzata con un sistema che usa la rete, attraverso il CAWI, e le persone davanti al computer rispondono in modo molto più sereno e semplice rispetto a quando sono intervistate face to face o al telefono. Aver utilizzato, quindi, questa metodologia ha tolto un ulteriore elemento di desiderabilità sociale delle risposte, per cui queste ultime sono risultate particolarmente pulite.
Quanto ai dati, il professore Cavalli diceva che le etnie verso le quali in Italia tra i giovani esiste un'antipatia marcata sono gli albanesi, i rumeni, i rom e i sinti. Emerge inoltre l'antipatia dei giovani italiani per tutto l'universo mediorientale, i cittadini dell'ex Jugoslavia, i turchi e i musulmani. Queste etnie sono quelle che generano tra i giovani un livello di antipatia o molto forte, come nel caso dei rom e dei sinti, o comunque molto presente.
Esistono, inoltre, altre etnie che, invece, sono a simpatia bassa o contenuta. In questo caso, dove troviamo cinesi, nordafricani, russi, filippini, indiani, rientra anche la popolazione ebraica. Quindi, da questo punto di vista, i soggetti riconoscibili come ebrei vengono ritenuti comunque diversi dagli altri e in ogni caso con una accettabilità contenuta.
Abbiamo provato a vedere come si spacca l'universo giovanile. Il dato positivo è quello del 78 per cento dei giovani italiani che o ha simpatia, moderato o estrema, o non prova nessun tipo di avversione nei confronti dell'universo ebraico. Abbiamo, però, un 22 per cento di giovani - un dato non molto edificante, è quasi un quarto dei ragazzi di età tra i 18 e i 29 anni, quindi una quota significativa - che prova antipatia nei confronti degli ebrei. Si va da un 6 per cento dei giovani che nutre un'antipatia estrema a un 16 per cento con antipatia moderata.
Questo è un dato che deve farci riflettere, che porta alla luce un po' quello che diceva il professor Cavalli: l'elemento dell'avversione verso la popolazione ebraica rimane uno dei tratti marcatori, pur con discese e risalite, di un atteggiamento di chiusura, di avversione o razzista o pararazzista.


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Se guardiamo il profilo di questo 22 per cento di giovani, vediamo intanto che si tratta soprattutto di maschi, l'universo femminile è molto meno antisemita, che vivono soprattutto nel nord del Paese. La quota di antisemiti è, infatti, molto più bassa nel sud del Paese, è marcata la sua presenza in alcune aree del centro del Paese, ma è ben presente nel nord. Non ci sono particolari distinzioni per età così come non ci sono particolari diversità dal punto di vista della classe sociale: non sono più antisemiti i poveri e meno antisemiti gli agiati, vi sono antisemiti tra le popolazioni che provengono da famiglie disagiate come li ritroviamo tra i giovani che provengono da famiglie agiate.
Una differenza interessante è che esiste una differente avversità nei confronti dell'universo ebraico a seconda del livello culturale: i giovani che hanno un livello di istruzione inferiore, quindi che si sono fermati alla scuola media o alle scuole superiori, esprimono un livello di avversità nei confronti dell'universo ebraico maggiore rispetto a quelli che, invece, hanno frequentato l'università. Questo non significa niente in sé, è solamente un dato che forniamo, non è un giudizio, da questo punto di vista, ma serve per focalizzare la geografia dell'universo giovanile.
Per quanto riguarda quella che abbiamo chiamato la «carta di identità dei giovani antisemiti», abbiamo costruito un lungo questionario. Vi presento, quindi, solo alcune slide, rimanendo a disposizione per approfondimenti, dal momento che si tratta di un libro di 200 pagine, quindi abbiamo cercato sintetizzare il più possibile per voi oggi. Da questa carta di identità emergono alcuni elementi che ci aiutano a capire il quadro. Il 30 per cento dei giovani italiani è più o meno legato a una visione local, si sentono cioè in primo luogo cittadini della propria comunità o della propria regione. Il sentirsi territorialmente radicati è particolarmente presente in chi si sente antisemita, in chi esprime atteggiamenti antisemiti, quindi leggiamo una correlazione tra il sentirsi local, e l'esprimere posizioni di avversità verso chi è esterno, e quindi anche verso gli ebrei. Sia ben chiaro che, se guardiamo il dato degli anti-rom, non siamo ovviamente al 37 o al 39 per cento, come per gli antisemiti, ma a percentuali molto più elevate. Dobbiamo sempre capire che l'antisemitismo oggi non è, come diceva il professore, il centro delle espressioni razziste, però esiste comunque in una fascia ridotta di giovani.
Fornirò ancora alcune descrizioni del fenomeno per poi inquadrarlo nel fenomeno razzista giovanile complessivo. Abbiamo guardato quali sono quelle che possiamo definire situazioni di inaccettabilità del contatto e ci siamo rivolti agli elementi quotidiani, chiedendo appunto ai ragazzi se ritenessero inaccettabile che eventualmente il proprio futuro figlio, o figlia sposassero, rispettivamente, un'ebrea o un ebreo, o che fossero di religione ebraica il capo con cui lavorano, i vicini di casa, una persona con cui andare a cena o un collega. Abbiamo cominciato a scoprire che per il 21 per cento dei giovani è inaccettabile che la propria futura figlia possa fare coppia con un ebreo; che per il 19 per cento dei giovani è inaccettabile che il proprio futuro figlio possa fare coppia con un'ebrea; avere un capo ebreo è inaccettabile per il 13 per cento dei ragazzi, quindi la quota, come vedete, scende, così come scende ulteriormente l'idea che avere un collega ebreo sia inaccettabile, perché lo è solo per il 9 per cento; andare a cena con un ebreo o avere dei vicini ebrei è un fattore che viene ritenuto inaccettabile solo dal 10 o dall'11 per cento del giovani.
Il dato è interessante perché, finché si tratta di fattori che generano una quotidianità di relazione ma un'estraneità di rapporto, il dato rimane tra il 10 e il 13 per cento. Nel momento in cui, invece, l'elemento diventa costruire un legame, quindi fidanzamento, matrimonio e così via, l'elemento di avversità cresce. Non c'è, quindi, un fastidio generalizzato - ribadisco che se guardiamo questi dati sui rom, sui sinti e sugli albanesi le quote salgono molto di più - ma, nonostante tutto, ancora nel 2010 esiste una quota, sicuramente minoritaria, va ripetuto, dell'universo


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giovanile italiano che, all'idea di costruire dei legami con soggetti di provenienza ebraica, prova un non piacere, una non linearità.
Vediamo cosa succede rispetto al razzismo tra i giovani e poi di cercheremo di capire come l'antisemitismo si inserisce in questo quadro. L'universo giovanile complessivo, che è diviso in due grandi aree: un 39 per cento dei giovani che appare aperto, inclusivo verso chi viene, e un 45,8 per cento che appare fobico, chiuso, xenofobo, fino ad atteggiamenti pararazzisti. Esiste una quota intermedia che abbiamo chiamato mixofobici, che non stravedono per gli altri, ma non hanno atteggiamenti violenti e di repulsione. Noi abbiamo costruito dall'analisi sette clan, ossia sette tipologie di gruppi di comportamento giovanile.
All'interno dell'area fobica abbiamo tre clan: quello meno radicalizzato, che abbiamo chiamato i «rumeni-rom-albanese fobici», giovani che hanno un atteggiamento di chiusura, di avversità mirato, non gli stanno sulle scatole - passatemi il termine - tutti, ma solo quelle tre etnie, mentre sul resto, su chi ha la pelle nera, su tutte le altre popolazioni non c'è problema. Quando, però, vedono rumeni, rom o albanesi, come se un toro vedesse il drappo rosso, partono alla carica.
Esistono poi le due aree più negative. Ne abbiamo chiamata una «xenofobi per elezione», ed è quell'area che esprime un tasso di chiusura elevato verso tutto ciò che non è italiano e una scarsa disponibilità al dialogo con le altre culture. Vi è poi una punta estrema, il 10 per cento dei giovani italiani, che abbiamo chiamato «improntati al razzismo», che ha un atteggiamento classicamente razzista, in cui le espressioni di xenofobia, di fastidio, non volontà di dialogo, rifiuto, e che ha manifestazioni violente. I termini e le parole, non parliamo degli atti, con cui si guardano le altre etnie e popolazioni sono decisamente spostati verso la bilancia non solo di una chiusura, ma di una forma di repulsione, respingimento ed esclusione.
Quanto all'antisemitismo, abbiamo visto che esistono due atteggiamenti antisemiti, uno light e uno hard, quindi uno più leggero e uno più duro. Troviamo gli antisemiti light soprattutto tra gli xenofobi per elezione: il 47 per cento di coloro che hanno atteggiamenti di antisemitismo non radicalizzato rientra nel clan degli xenofobi per elezione. La cosa più interessante è vedere che, il 60 per cento di chi ha un'espressione dura di antisemitismo appartiene al clan degli improntati al razzismo. Dopo 60 anni, quindi, dopo tutte le vicende della Shoah, esiste all'interno della quota del 10 per cento dei giovani italiani con forte e ancora presente marcatura antisemita. Questo è il dato di fondo.
Fornisco ora alcuni altri dati emersi dall'indagine prima di passare ad esaminare ciò che avviene su Internet. Abbiamo, infatti, effettuato non solo uno studio sui giovani, ma anche su come i giovani parlano delle altre etnie su Facebook.
Per quanto riguarda il rapporto con gli ebrei, il 29 per cento dei giovani italiani dice di aver avuto rapporti diretti con persone ebree; chi ha avuto rapporti tendenzialmente sottolinea che sono stati positivi - il 67 per cento; solo il 10 per cento dice di aver avuto un rapporto negativo.
Abbiamo provato a testare alcune domande, prendendole in prestito dalla storica analisi sull'antisemitismo fatta negli Stati Uniti a partire dalla Seconda guerra mondiale e voluta dalla comunità ebraica. Si tratta, quindi, di domande già poste da quarant'anni dalla sociologia americana, dalla sociologia francese, da quella europea, e quindi consolidate nella tradizione di analisi sociologica dell'antisemitismo. Si è trattato di indagare se all'origine dei pregiudizi c'è la convinzione che gli ebrei abbiano avuto un'influenza negativa sulla cultura cristiana. Questo dato riguarda solamente il 9 per cento dei giovani italiani, ma cresce tra gli antisemiti, soprattutto tra gli antisemiti hard, quindi è comunque un fattore presente, legato a un rapporto tra ebraismo e cultura cristiana, cattolica soprattutto. L'altra questione riguarda il fatto che gli ebrei sono vissuti come più leali al mondo ebraico piuttosto che al Paese in cui vivono. Nella media nazionale il 21 per cento dei giovani


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ritiene questo un elemento fondante, e comunque che giustifica, dal loro punto di vista, un'avversione. Tra gli antisemiti hard il dato sale al 51 per cento.
Quanto a Facebook, si tratta di una fotografia scattata su nel 2009. È chiaro che, se oggi andaste in rete, non trovereste questi numeri perché i gruppi nascono e muoiono, in Facebook c'è la caccia ai gruppi razzisti, che quindi vengono chiusi, per nascere sotto altri nomi, un movimento costante. Abbiamo scattato, quindi, un'istantanea: per il mese preso in considerazione, abbiamo scoperto che esistevano oltre 350 gruppi che avevano come ragion d'essere quella di essere anti-immigrati, ed erano gruppi non piccoli, anche di 7.000 iscritti; abbiamo trovato gruppi conto i musulmani (100 gruppi), i napoletani e i «terroni» - ancora oggi esistono gruppi, addirittura quasi 400, in Facebook di questo tipo e la fantasia di far vedere le cose più negative possibili non ha limiti - ci sono oltre 300 gruppi anti-rom, anti-zingari, come li abbiamo chiamati perché loro li chiamano così, quindi in questo caso abbiamo usato il termine senza virgolette proprio perché loro si definiscono in questo modo, tenendo presente che c'è stato un gruppo che si chiamava «odio gli zingari», che è arrivato in due settimane ad avere 7.000 iscritti; c'erano, inoltre, gruppi anti-rumeni e anti-albanesi, anti-maghrebini, che hanno raggiunto tra i 500 e i 700 iscritti, anti-negri, anti-cinesi e anche gruppi anti-ebrei. Abbiamo trovato un centinaio di gruppi anti-ebrei, che avevano anche 100, 150, qualche volta un po' di più, di iscritti.
Concludo con la seguente riflessione finale: se analizziamo la rete, ma anche guardando tutta la nostra ricerca, incontriamo ormai un dato di fondo, e cioè che non esiste più un razzismo, ne esistono molteplici forme. Permane, infatti, un razzismo biologico, incentrato sulla razza, che incrocia molto l'antisemitismo; permane e si espande un razzismo di matrice culturale, centrato sulla difesa del sangue, della terra, delle tradizioni; si afferma e, se vogliamo, cresce anche un'espressione razzista come bisogno di potenza, come ostentazione di atteggiamenti aggressivi. A volte nei gruppi di Facebook la cosa più drammatica, se volete, è che fanno a gara a chi la «spara» più grossa. Io non ho portato con me delle slide, ma possiamo farvele avere: c'è chi dice che bisogna affondare tutti i barconi, usare il napalm, dare fuoco, bruciare anche bambini, c'è una ostentazione di potenza. Esiste, inoltre, qualcosa di molto più sottile e pericoloso che abbiamo chiamato razzismo del quotidiano: non è caratterizzato da forme estreme, ma è una pulsione di avversità che cresce e si alimenta soprattutto dai fatti di cronaca.
Nello studio effettuato abbiamo analizzato anche il rapporto tra la comunicazione, i media, i titoli dei giornali, il modo di affrontare le notizie e la crescita di questa pulsione. Posso assicurarvi che esiste una correlazione, come si dice sociologicamente, tra chi è più esposto a una serie di comunicazioni di un certo tipo e l'avversità verso altre etnie.
Permangono, inoltre, elementi di razzismo estetico (sono brutti, sporchi eccetera), forma di repulsione che coinvolge soprattutto l'universo femminile. Noi raccontiamo soli i dati, ognuno farà i commenti che vuole. Esistono, poi, forme di razzismo «imperiale», per cui noi saremmo gli unici civilizzati e gli altri sarebbero tutti «incivilizzati», che si esprime non solo verso le etnie non italiche, ma anche verso il sud, le popolazioni del Mezzogiorno. Infine, tornano forme di razzismo ansiogeno, tarato cioè sull'individuare l'altro come il capro espiatorio della propria sofferenza, del proprio disagio e anche dei propri insuccessi.
È un quadro che da un certo punto di vista fa riflettere e che sicuramente deve porre all'attenzione l'esigenza di comprendere che oggi il fenomeno del razzismo e dell'antisemitismo non sono usciti dall'universo giovanile, ma sono anzi presenti, e che i meccanismi presenti nella società alimentano forme di tensione, di ansiogenità, e comunque rendono facile, se volete, le espressioni di questo genere.
Sia ben chiaro che in Facebook troverete anche 10.000 gruppi anti-razzisti con


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anche 5-8.000 iscritti, quindi la realtà giovanile è in movimento. I giovani non sono diventati razzisti, è una realtà in movimento, dove anime diverse si confrontano.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

PAOLO CORSINI. Ho trovato molto interessante le esposizioni del professor Cavalli e del professor Risso, e quindi li ringrazio per la loro partecipazione ai nostri lavori.
Prima di passare alle domande, vorrei che soddisfacessero una piccola curiosità del tutto personale: come mai usano l'espressione «anti-negri» e non «anti-neri»?

ENZO RISSO, Direttore dell'Istituto ricerche politiche e socioeconomiche IARD. Perché i soggetti oggetto dell'indagine la usano così.

PAOLO CORSINI. Lei, quindi, riproduce nella formula del suo questionario l'identificazione che il soggetto indagato, al quale somministra il questionario, dà del fatto.

ENZO RISSO, Direttore dell'Istituto ricerche politiche e socioeconomiche IARD. Io dico «rom», loro mi dicono «zingari» e io registro «zingari»; non mi dicono «neri», mi dicono «negri» e io registro «negri». È anche un modo per capire il linguaggio che esiste.

PAOLO CORSINI. Vorrei chiedere qualche spiegazione. Dentro il quadro delle pulsioni razziste tanto tiepide quanto hard dei giovani, tenuto conto che ormai viviamo in una società multirazziale, entra in gioco anche la categoria del razzismo interetnico? I giovani intervistati sono anche giovani neri, giovani cinesi, giovani albanesi che vivono nelle nostre città, che frequentano le nostre scuole e le nostre università o sono tutti giovani di nazionalità storicamente italiana? Questa è la prima domanda per quanto attiene all'identificazione del soggetto del questionario.
Vorrei rivolgere non solo domande ai nostri ospiti, ma anche svolgere alcune considerazioni e ascoltare il loro parere. Mi ha molto colpito, nella scheda della ricerca relativa alle situazioni di contatto, di contiguità, il fatto che, sulla dimensione professionale del rapporto - un collega ebreo, una persona ebrea con cui si va a cena, rapporti di contiguità, di frequentazione, di vita professionale, di vicinanza abitativa - questi danno indici mediamente più bassi, mentre mediamente più alti sono, invece, gli indici che attengono alla dinamica delle relazioni interpersonali che lasciano intravedere anche, ma è una mia aggiunta, rapporti di tipo sessuale. Siccome il pregiudizio anti-ebraico è legato a motivazioni di ordine biologico-razziale, nella costituzione della tradizione antisemita e anti-ebraica il tema sessuale entra in modo preponderante. Secondo loro può essere confermata questa valutazione che storicamente ormai si è consolidata? Questo, per esempio, si vede anche nella narrativa. Il massimo della violenza che il nazista infligge alla donna nel romanzo di Jonathan Littell Le Benevole è lo stupro della donna ebrea.

PRESIDENTE. Anche Sartre...

PAOLO CORSINI. Sì, nel suo libro sull'antisemitismo pubblicato da Comunità moltissimi anni fa.
Come mai nel testo che è stato consegnato al Comitato si assimilano dati che non sono assimilabili? Io posso avere ostilità nei confronti del turco, che però non è riconducibile immediatamente alla consapevolezza del giovane medio di una qualche identificazione razziale, o l'albanese, mentre nei confronti dell'ebreo diventa spesso preponderante la connotazione razzistica, o razziale, oltre a quella di tipo religioso e così via. Penso al deicida, alla ricerca del capro espiatorio, ossia alle tradizionali motivazioni dell'antisemitismo storico.
I professori, inoltre, hanno parlato di razzismo imperiale. Io preferisco parlare


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di razzismo eurocentrico ed etnocentrico, etnocentricamente centrato sull'eurocentrismo, mi scuso per il gioco di parole. Si tratta, sostanzialmente, di un razzismo eurocentrico, della categorizzazione piramidale delle culture: la cultura occidentale eurocentrica sta in vetta, tutte le altre stanno in basso. Mi piace, però, questa formula, che trovo nuova e che non conoscevo dalla trattatistica scientifica, di razzismo imperiale perché introduce l'elemento del dominio: non c'è solo una classificazione a strati - una cultura più bassa, una più bassa ancora e una ancora più bassa - sono anche autorizzato a essere dominante nei confronti di qualcuno perché è in basso rispetto a me, sempre l'imperium si accompagna al dominium.
Loro hanno rimandato al localismo, quelle che io chiamo le culture neotribali del luogo. Nei suoi studi sul pregiudizio e sulle nove forme di razzismo, Taguieff costruisce un'intera scala: c'è un rapporto con le preferenze politiche? Gli imprenditori politici dei neorazzismi possibili - il neorazzismo tradizionale biologico è invocato da una piccola minoranza e la spudoratezza di dirsi razzisti in nome del vecchio razzismo biologico appartiene ormai a strettissime minoranze -, quelli che giocano sulla sindrome del sospetto sono largamente correlati alle scelte politiche. In Italia esistono, infatti, gli imprenditori politici del neorazzismo possibile. Questa, naturalmente, è una valutazione del tutto personale, non ha una valenza scientifica. Tuttavia, per esempio, un vecchio studio di Mannheimer e di Biorcio indagava scientificamente questa correlazione.
L'ultima osservazione che vorrei fare è se è possibile desumere - è un'estrapolazione arbitraria e mia perché tiro l'acqua al mio mulino, in questo caso dal punto di vista di interpretazione culturale che do del dato, non della mia appartenenza politica - che in Italia è molto diffusa la cultura del sospetto, la quale in sostanza rifiuta la presenza dell'altro perché l'altro istintivamente suscita un sospetto e determina quella che gli studiosi chiamano la metamorfosi dell'alterità nella cultura della ostilità oppositiva. Alla luce delle loro ricerche, questa diagnosi ha un fondamento?

RAFFAELE VOLPI. Mi sembra che oggi abbiamo avuto davvero dei dati molto interessanti. Rispondo al collega Corsini ricordandogli sempre che l'unico movimento, da me rappresentato in questa Commissione, che ha fatto un outing di preoccupazione resta quello della Lega Nord. Aspetto ancora i vostri.

PAOLO CORSINI. Io non volevo fare polemica con nessuno.

RAFFAELE VOLPI. Io non sono un intellettuale come te, però capisco un po' anch'io che faccio politica. Aspetto anche l'outing rispetto ad alcune cose che ci siamo detti.
A me sembra centrale un aspetto. Parto dalla fine dell'analisi che ci è stata presentata, che è quella che a me continua a preoccupare sempre di più: su Facebook noi non abbiamo effettuato l'analisi più specifica svolta invece per età, non c'è un limite di età. È mia personale convinzione che i dati aumentino se andiamo sotto i 18 anni. Continuo ad avere questa brutta percezione che riguarda tutte le forme di razzismo, e quindi anche quella dell'antisemitismo.
Vorrei rivolgere una domanda. A pagina 4 della relazione è riportata una definizione di antipatia e antipatia estrema che lo studio, ovviamente per sintesi, definisce già antisemitismo. A me interessa capire se si tratta di antisemitismo o di un humus da cui può partire l'antisemitismo. Rivolgo questa domanda per un motivo molto semplice: visto che dovremo incontrare anche dei rappresentanti istituzionali, a mio avviso per noi è importante capire quali siano gli strumenti per disinnescare quello che può essere un bacino potenziale di utenza in senso embrionale e quello che invece è già un antisemitismo più formato.
Peraltro, a molte domande rivolte dal collega Corsini mi associo assolutamente perché sono importanti. Trovo estremamente


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preoccupante il dato del 21 per cento, anche quando si articola in quelle forme di correlazioni sociali che, a mio avviso, non sono percepibili. La domanda sul capo ufficio ebreo mi preoccupa perché a me non sarebbe venuto mai in mente di domandare al mio capo se è ebreo. Il dato può risultare differente, quindi, secondo me tra quelli che se ne sono interessati e quelli che potrebbero avere una correlazione negativa nel momento in cui venissero a saperlo senza averglielo chiesto. Alcuni dati potrebbero essere in aumento.
Devo dire che ho trovato molto interessante lo studio illustrato dai nostri ospiti. Penso che sia più articolato, mi piacerebbe avere il dato complessivo. Rivolgo anche un invito che non so se è già stato rivolto, ma potremmo senz'altro inserirlo in quel ragionamento. In questo Comitato emerse, infatti, la sensibilità di molti colleghi a parlare di tutti i razzismi. In quella circostanza sollecitai, appunto, i colleghi che facevano parte insieme a me, ma ancora prima di me, nell'Osservatorio sul razzismo della Camera istituito e presente e che ha effettuato alcuni lavori. Io penso, procedendo voi a un'analisi che in ogni caso compara, rispetto all'antisemitismo, una serie di razzismi evidenti, che sarebbe interessante avere anche in quel contesto una vostra presenza e uno studio più complessivo.
Vorrei dire una cosa simpaticamente al collega Corsini, ma purtroppo è una realtà: la gente li chiama ancora «negri», li chiama «zingari», li chiama «terroni». Credo che la nostra analisi paghi qualche volta la difficoltà di muovere da un osservatorio dove siamo anche un pochino più barocchi quando ci esprimiamo, ma la realtà dei fatti del razzismo viene proprio da situazioni in cui l'arroganza non passa per il filtro del vocabolario e anzi ritengo che lo strumento verbale sia la prima forma di razzismo evidente.

ENRICO PIANETTA. Ringrazio i nostri ospiti perché ci hanno fornito una illustrazione che deve farci preoccupare immensamente come Parlamento. Sono numeri che devono spaventarci tutti. Questa è la mia prima considerazione poiché sento veramente una preoccupazione estrema. Con le percentuali che partono dalla impronta razzista complessiva, xenofoba, e che, per quanto riguarda il nostro Comitato, focalizzano anche la percentuale di antisemitismo, credo che oggi abbiamo ricevuto un colpo veramente molto forte.
Svolgo soltanto una considerazione e faccio una domanda. Il professor Risso ha detto che questa è una realtà in movimento. Secondo le vostre sensazioni, sta crescendo, sta diminuendo, qual è il trend? Ci sono una serie di elementi che indubbiamente dobbiamo valutare perché, se, come ha detto il professor Risso, i meccanismi che esistono nella società tendono a facilitare, presumo, gli incrementi di questi fenomeni, allora sta lì tutta la grande preoccupazione e la necessità di poter fare qualche cosa da parte di questo Comitato. Non voglio accusare i media, ma restano un soggetto che indubbiamente può, se ho ben capito, nel momento in cui focalizzano certi elementi, certe situazioni, certe informazioni, innescare dei processi che possono, appunto, trasformare quei fatti in elementi tali da incentivare, in fin dei conti, il fenomeno.
L'altro aspetto fondamentale che, anche se non è particolarmente accentuato, esiste, è la differenziazione in base alla cultura. Anche qui, ancora, c'è l'eterna questione di creare le condizioni migliorative perché la cultura, la scuola, la formazione possano invece innescare tendenze diametralmente opposte. La considerazione riguarda, quindi, il che fare in ragione di queste modalità, di queste preoccupazioni. Mi sembra di capire che, piuttosto che avere una tendenza verso l'abbassamento, la riduzione di questi fenomeni, ci sono invece fenomeni, in modo particolare l'antisemitismo, anche se viene dopo altri fenomeni, che intimamente sono tendenzialmente in crescita, come tutti gli altri fenomeni collegati all'impronta fobica, xenofoba. È, quindi, veramente grande la preoccupazione che il Parlamento deve avere - ha detto bene il


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collega Volpi - nei confronti dei giovani, che sono l'elemento essenziale della futura società e della società presente.

PRESIDENTE. Innanzitutto, voglio ringraziare perché questa audizione ci ha consentito di fare un'operazione che da molto tempo dovevamo fare e che oggi troviamo svolta nella maniera più adeguata, ovvero collocare l'antisemitismo nell'ambito dell'intera situazione socioculturale italiana, nell'ambito degli altri fenomeni di razzismo e di atteggiamenti fobici nei confronti di altre etnie, culture e religioni.
Tuttavia, a me, che da tanti anni mi occupo di queste questioni e che, insieme a voi, ho sentito tante altre relazioni sull'argomento, sembra indispensabile anche un elemento che chiederei a voi di operare, quello della differenziazione. L'antisemitismo non è affatto uguale, infatti, e in tanti casi nemmeno somiglia alle altre forme di razzismo ed etnofobie. Ci sono moltissimi motivi per questo e io non mi dilungherò perché sono stati scritti degli immensi volumi, intere biblioteche che voi, naturalmente, conoscete.
Intanto, però, si potrebbe benissimo dire in maniera chiara ed evidente che non esiste nessun elemento oggettivo di differenza, non c'è qui un elemento prossemico o di lingua, di cibo, di odori, di abbigliamento o di facce rispetto al resto della popolazione all'interno della quale gli ebrei vivono. Gli ebrei sono a Roma da duemila anni e, tuttavia, nel momento in cui c'è stata la razzia del ghetto di Roma, i romani non sono corsi in loro difesa. Quando i miei nonni sono stati portati via da Firenze, dove avevano dei bellissimi negozi di antiquari sul Ponte Vecchio, erano stati i loro commessi a consegnarli dicendo dove si trovavano.
Non credo che si trattasse di un caso di razzismo simile a quello che porta a distanziare coloro che ci appaiano diversi o distanti sotto il profilo culturale, religioso o dei comportamenti sociali. Gli ebrei non sono poligamici, non sono violenti, non praticano costumi che, dal punto di vista delle leggi, possano risultare lesivi, nemmeno nelle loro frange. Forse può esserci un caso su 5 milioni. Diciamo, quindi, che la questione si pone in maniera tutt'affatto diversa. Il CDEC - lo ricorderà bene, onorevole Volpi, che ha fatto veramente outing su tutte le questioni riguardanti gli stranieri, ma lo dico anche a Corsini - venne qui da noi e disse che non esistevano fenomeni di antisemitismo nella Lega, che non se ne riscontravano neanche uno, nemmeno zero. Così disse il CDEC, che è l'istituto più importante di ricerca sull'argomento. Ci corre, insomma l'obbligo di notificare a noi stessi questa profonda differenziazione.
C'è da aggiungere un elemento secondo me importante: anche durante il fascismo - qui voglio segnalarvi il bellissimo libro, un po' difficile e un po' lungo, di Giorgio Israel, intitolato Il fascismo e la razza - in Italia il razzismo biologico nei confronti degli ebrei è stato scarsissimo. C'è stato quel tentativo di Pende, poca roba, sempre anche molto contestata, invece, è esistito una specie di razzismo spirituale nei confronti degli ebrei che «hanno ucciso Gesù Cristo», questo magari è stato un elemento più forte. Questi due elementi, poi, concorrendo insieme, hanno formato una confusa e non mai verificata e non mai accettata l'uno dall'altro movimento matrice centrale del problema italiano. Mille volte il fascismo ha cercato di definire cosa fosse la razza ebraica, si è sempre incartato, non gli è mai riuscito neanche una volta, nemmeno nei convegni, nelle conferenze e nelle riviste fondate appositamente per questo.
Una volta che descrivete agli italiani che cosa è il razzismo, è importante che l'antisemitismo venga descritto nella sua luce reale. Per esempio, per tutte le indagini abbiamo portato in questa sede la professoressa Dina Porat, che ha forse uno degli osservatori più grandi del mondo, abbiamo portato il professor Wistrich a parlare dell'antisemitismo. Viene sempre molto fuori, dunque, l'elemento dell'antisionismo, ormai molto importante e centrale e che quindi mi pare di dovervi necessariamente segnalare.


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C'è un altro elemento molto importante: nei confronti dei rom, dei rumeni o degli albanesi io non ho mai sentito dire che Hitler avrebbe fatto bene a sterminarli tutti e che anzi sarebbe meglio finire il suo lavoro, come dice tutti i giorni Ahmadinejad, seguìto purtroppo da una pletora di epigoni di ogni e qualsiasi genere. L'antisemitismo ha una componente eliminazionista che gli altri razzismi non hanno. Non ho mai sentito dire che bisogna ammazzare tutti i negri - uso la parola «negri» facendo anche io eco - ho sentito dire che bisognerebbe ridurli in schiavitù, che dovrebbero andare tutti a casa loro, che sono sporchi e tutti gli orrori che avete ben citato, ma non ho mai sentito dire che bisognerebbe ammazzarli tutti e che Hitler non ha finito il suo lavoro. L'ispirazione eliminazionista, per quello che riguarda gli ebrei, è sicuramente molto maggiore che non rispetto a tutte le altre etnie.
Tutte queste mie affermazioni sono, ovviamente, altrettante domande.

OLGA D'ANTONA. Mi scuso per essere arrivata in ritardo, ma avevo altri impegni. Ho chiesto a un collega su quale campionatura era stata fatta questa indagine. Alla sua risposta che era stata realizzata tramite computer mi sono posta una domanda, ossia se per caso non abbiamo a che fare con un target medio-alto, con ragazzi che sono disponibili a rispondere - non tutti possono esserlo - quindi già stiamo parlando di gruppi di giovani che, innanzitutto, danno la loro disponibilità a rispondere alle domande, individuando un primo digital divide, che hanno un computer e che lo usano. Non credo che questo sia proprio comprensivo di tutta la realtà dei giovani italiani. Su questo, appunto, chiederei una risposta.
Mi colpiva, inoltre, un dato: il 47 per cento che nutrirebbe «estrema simpatia» verso gli ebrei. Mi sono chiesta se non sia anche questa una forma di razzismo perché già significa una differenziazione. Io vivo a Roma, quindi inevitabilmente frequento ebrei e non ebrei perché vivono in questa città, e non avevo, sinceramente, la sensazione che potessero esistere delle percentuali di antisemitismo così elevate. Le famiglie che frequento frequentano, a loro volta, in modo indifferenziato ebrei e non ebrei, li trovo a volte a cena e a volte no, quindi non avevo la percezione di questo antisemitismo. Non mi capita, però, tra le persone che conoscono ebrei, di sentir dire che gli ebrei sono tutti simpatici: sono simpatici, antipatici, amici oppure no.
Le domande che rivolgo, quindi, riguardano il target e se esista anche nascosta una forma di razzismo, di identificazione, di separazione.

PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica.

ALESSANDRO CAVALLI, Presidente dell'Istituto ricerche politiche e socioeconomiche IARD. Risponderò ad alcune delle domande, il professor Risso ad altre, poi magari ci incroceremo. Abbiamo visto che l'area del razzismo/antisemitismo oscilla tra il 10 e il 30 per cento. Se voi mi chiedete se è alto o basso, non so darvi una risposta. Per dare questa risposta, infatti, bisognerebbe confrontarsi con le situazioni di altri Paesi. Può anche darsi che la percentuale, benché presente, non sia così particolarmente elevata in Italia. Dipende anche dal giudizio che ognuno di noi dà, in fondo, ed è anche molto soggettivo ritenerla, appunto, alta o bassa.
Come scienziato sociale non posso rispondere alla domanda se è alto o bassa, però si può dire se aumenta o diminuisce, se si ha a disposizione una serie di dati abbastanza lunga da poterlo dire.
La mia impressione è che sia stabile, che abbia delle oscillazioni, ma che non siano delle oscillazioni particolarmente marcate. Tuttavia, possiamo avere qualche piccola indicazione da altre ricerche. Nell'ultima nostra rilevazione sui giovani, per esempio, abbiamo visto che, invece, nei giovanissimi è più bassa, non più alta. Nei giovanissimi più scolarizzati gli atteggiamenti di pregiudizio etnico nei confronti degli estranei è non macroscopicamente ma significativamente più basso che nelle classi di età più elevata. Questo riflette, a


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mio modo di vedere - cercherò di argomentarlo - il fatto che c'è una soglia del pregiudizio che ha a che fare non tanto con coloro ai quali si rivolge il pregiudizio, cioè i gruppi che vengono discriminanti, ma con le condizioni di chi esercita il pregiudizio.
È abbastanza evidente, per esempio, che il pregiudizio di questo tipo - anche le ricerche condotte da Adorno negli anni Quaranta negli Stati Uniti lo dicono - è alimentato da condizioni di insicurezza, di precarietà, di ignoranza, quindi c'è un insieme di cause e di condizioni che favoriscono atteggiamenti antisemiti: c'è la ricerca di un capro espiatorio per delle difficoltà proprie, un modo cioè di attribuire le difficoltà che si incontrano non al proprio gruppo, ma a un gruppo esterno.
Credo che sia importante riflettere su questo. Se pensiamo che questo 10-30 per cento sia troppo alto e ci chiediamo cosa fare per ridurlo, c'è da rispondere che bisognerebbe ridurre l'area delle persone che vivono in una situazione di minaccia alla propria esistenza, alle situazioni quindi di precarietà, di incertezza perché è quello il tessuto, il terreno che alimenta questo tipo di atteggiamenti.
La percezione della minaccia dipende sicuramente anche dei media, che hanno delle responsabilità non indifferenti nel creare un clima di apprensione, di allarme, nel far percepire come minaccia la presenza di elementi estranei.
Vorrei concludere, però, con un'osservazione in un certo senso amara. Noi viviamo in un Paese dove il pregiudizio interetnico ha molto a che fare con la popolazione italiana. C'è un pregiudizio antimeridionale, così come c'è n'è uno antisettentrionale. Questo tema, enorme nella storia di questo Paese, non è mai stato effettivamente indagato da ricerche scientifiche. C'è stato un tabù intorno a questo grande tema, un divieto di fare ricerca su questo, salvo la vecchissima ricerca degli anni Sessanta di uno psicologico sociale di Bologna che si chiamava Walter Battacchi. Da quel momento non c'è stata più nessuna ricerca estesa e seria.
È esistito questo tabù intorno a una delle grandi spaccature interne a questo Paese perché probabilmente si pensa che affrontare questo tema significhi mettere in discussione la coesione nazionale, e quindi mettere in discussione un elemento intorno al quale è meglio il silenzio che non la parola. Segnalo questo perché in fondo anche i pregiudizi interni in qualche modo si alimentano dello stesso humus che riguarda i pregiudizi nei confronti di altri gruppi, in parte esterni, in parte interni, in parte tra l'interno e l'esterno.

ENZO RISSO, Direttore dell'Istituto ricerche politiche e socioeconomiche IARD. Provo a rispondere a tutte le questioni, se ci riesco, che ci avete posto. Parto dalle osservazioni dell'onorevole D'Antona a proposito dell'uso del computer e del tema della simpatia. In tutte le indagini sociali esiste sempre una quota di persone che si negano. Tendenzialmente, si negano nei face to face e al telefono soprattutto le persone disagiate, di bassa cultura e, nei giovani, quelli degli slum e simili, cioè quelli che stanno nelle periferie e via dicendo. Il livello di selezione del campione che viene offerto dall'indagine face to face o da un'indagine telefonica è, dunque, decisamente superiore, per selezione sociale, di istruzione e di luogo di residenza, rispetto a quello che ci è stato offerto dal computer. È vero, infatti, che c'è una parte di giovani che non usa il computer, ma si tratta di quella parte che non riusciremmo comunque a prendere mai, in assoluto, neanche se andassimo con la pistola per farli rispondere.
Intanto, va tenuto tenete presente che la popolazione tra i 18 e i 29 anni presenta circa il 95 per cento di internettizzazione secondo i dati ISTAT. Inoltre, al computer c'è una facilità, che è quella che si dice la verità. Scusate se mi ci soffermo ancora un attimo, ma quando si fa un'intervista face to face - il professor Cavalli potrebbe farvi una lunga lezione su questo - si risponde in base alla distorsione della faccia e degli occhi dell'intervistato.


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Quando si fa un'intervista telefonica c'è una distorsione in base alla qualità dell'intervistatore.
Noi usiamo un field che ha un livello di qualità nel telefonico molto alto, ma che nonostante questo rimane una distorsione. In questo senso dico che questo è un campione solido, sono 2.085 intervistati, molto solido; non è un sondaggio; è un'inchiesta; è un questionario di 140 domande; le persone potevano farlo in Internet, a più tappe, ritornando; noi li monitoravamo costantemente poiché ci sono dei trucchi per controllare se mentono; ci sono accorgimenti per evitare che qualcheduno usi, per esempio, i sistemi di software che in automatico rispondono; c'è un tempo stimato di quanto tempi si deve impiegare per rispondere a una domanda, se ci si sta troppo poco significa che non la si è letta, si è risposto male e quindi viene buttata via. Su questo abbiamo un livello di selezione alto.
Per quanto riguarda il tema dell'estrema simpatia, non è accaduto che qualcheduno ce ne parlasse, l'abbiamo decodificata e ne abbia parlato semplicemente perché, avendo effettuato un'analisi sui comportamenti, quindi disponibilità, andare a cena e tutto il vissuto quotidiano, «estrema simpatia» significava quell'area di persone che non si pone il problema.
L'area di «moderata simpatia», invece, per rispondere alla domanda dell'onorevole Volpi, è l'area di possibile crescita dell'antisemitismo: gli «altri» sono già antisemiti. Se, quindi, volete l'area dove potrebbe attecchire l'antisemitismo, è quel 31, non quel 47 per cento.
L'antisemitismo, per rispondere alla presidente, è una parte storica dell'atteggiamento delle popolazioni europee, ha una tradizione plurisecolare e in questa fase, soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale, cresce in modo esponenziale se cresce il razzismo. Questo è il dato di fatto. Più crescono le forme di intolleranza e più, all'interno di questo processo, anche nelle società in cui si pensava che questo fosse superato, cresce anche l'antisemitismo. C'è un rapporto di coazione. Ricordate il famoso scrittore quando diceva «oggi tocca a me, domani potrebbe toccare a te». Il meccanismo è che oggi, nel momento in cui si innesca un meccanismo di rifiuto di qualcun altro, che sia questo un rom, un romeno o altro, questo porta con sé una conseguenza, un percorso che a mano a mano coinvolge anche tutti gli altri. Questo è meccanismo, è un morbo, un virus di espansione. Il virus razzista è espansivo perché è un virus della quotidianità, che si lega alla pancia e a tante altre cose.
Il professore Cavalli vi diceva una cosa che certifico con un dato: gli antisemiti estremi, quelli più hard, sono soprattutto persone giovani che si sentono esclusi da questa società. Il 22 per cento dei giovani italiani si sente escluso. Tra gli antisemiti estremi, il numero dei giovani che si sente escluso è il 35 per cento. Bisogna fare attenzione, quindi, c'è un elemento molto chiaro di marcatura.
Non voglio essere esaustivo o dare risposte definitive, parlo solo sulla base dei dati che emergono dall'indagine, che è stata svolta all'interno dell'Osservatorio della Camera, finanziata dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome, presentata, come diceva la presidente, in presenza del Presidente Fini e dei vicepresidenti Lupi e Bindi proprio qui in Sala della Lupa. Noi aspireremmo a continuarla perché è un patrimonio di analisi, una metodologia che funziona e che consente di guardare e di monitorare nel tempo queste dinamiche.
Questo ci permetterebbe anche di rispondere alla domanda se sono i più giovani i più razzisti o meno. Il professor Cavalli giustamente diceva che da alcune indagini svolte in passato sembrerebbe di no. È anche vero che dobbiamo pensare che i cicli di entrata, cioè quelli tra i 15 e i 18 anni sono cicli molto veloci di entrata, quindi ogni tre anni potrebbe cambiare perché c'è un ciclo di cambiamento molto più veloce rispetto al ciclo, come tipo di cambiamento - non so se è chiaro quello che voglio dire - dell'ingresso adulto. Si tratta di generazioni per le quali, formandosi tra i 15 e i 18 anni, il cambiamento di opinioni, legate al clima


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sociale, del momento, è molto più frequente. Può, quindi, accadere che tra due anni entri una generazione più razzista e tra quattro una meno razzista.
Abbiamo effettuato, sempre per la Conferenza delle regioni, un'indagine sui giovani e la Costituzione, i giovani e i diritti umani, i giovane e la pace. Sul tema della pace, i giovani che erano tra i 15 e i 18 anni nel periodo delle grandi manifestazioni per la pace erano più pacifisti di quelli della generazione precedente e di quelli della successiva perché in quel momento avevano un elemento di impatto emotivo. Da questo punto di vista, quindi, c'è un cambiamento molto veloce e conta una sorta di ecologia del linguaggio.
Nello studio abbiamo provato a chiedere ai ragazzi quali etnie vengono loro in mente quando pensano a un reato: un furto, zingari, una violenza sessuale, rumeni, una rapina, meridionali, un attentato, ovviamente musulmani. Questo ci serviva per capire il livello di stereotipizzazione, ovviamente, dei media. Potete obiettare che non era necessario studiarlo, lo sapevamo. Altro, però, è vederselo raccontato da un 45 per cento dei giovani che dice che, se pensa a un furto, pensa a uno zingaro, per una rapina a un romeno. Il morto sul lavoro, ad esempio, è italiano o albanese. È chiaro, quindi, che una sorta di ecologia del linguaggio è necessaria.

PRESIDENTE. Non vorrei interromperla, però, onestamente, vorrei essere sicura che, oltre a una certa ecologia del linguaggio, non si voglia anche operare una certa censura del linguaggio. Io ho scritto negli anni Ottanta un libro che era intitolato Il razzista democratico, può darsi le sia capitato tra le mani: ci sono degli elementi di sospetto di carattere prossemico, non biologico né razzistico; anche Lévi-Strauss, quando guardava gli aborigeni di una certa isola osservare i cadaveri dei bianchi sciogliersi nell'acqua del mare per capire se erano uguali a loro, diceva che quella era una cultura razzista nei confronti dei bianchi. Ci sono delle cose che vanno affrontate anche con un certo senso di realtà. Per carità, lungi da me lo stereotipizzare, ci mancherebbe altro, però bisogna mettersi anche in una posizione realistica.

OLGA D'ANTONA. Le violenze sessuali avvengono prevalentemente nelle famiglie e sono intrafamiliari, quindi il dato di verità è sempre opinabile. Ascolto, per esempio, i telegiornali con sofferenza quando di un fatto, di una morte sul lavoro, di un furto, di uno stupro, si deve precisare che si tratta di un meridionale, di un albanese: ma che rilevanza ha? a me cosa importa? La notizia è che un lavoratore è morto. Se quel lavoratore era albanese, meridionale o milanese per me non cambia, è morto un essere umano.
Allora, bisogna fare attenzione perché, purtroppo, esiste una responsabilità dei media perché i dati - qui parliamo di dati - dimostrano che le violenze sessuali percentualmente sono commessi da mariti, amanti, conoscenti, zii, nonni, parenti, quindi essenzialmente sono intrafamiliari. Ci viene, però, in mente lo straniero perché delle notizie della televisione si fa un caso, mentre delle centinaia di donne stuprate e violentate all'interno della famiglia non si parla mai.

PRESIDENTE. Io ne ho parlato sempre, quindi questo non mi riguarda. Mi occupo da tanti anni di queste questioni e so bene come sono strutturate.

ENZO RISSO, Direttore dell'Istituto ricerche politiche e socioeconomiche IARD. Sono d'accordo con lei che la maggioranza delle violenze - abbiamo fatto le ricerche per Telefono rosa - avviene per l'87 per cento all'interno delle mura domestiche o familiari. Quando si parla di ecologia del linguaggio - io sono un giornalista professionista, ho fatto anche quello nella mia vita - non penso assolutamente alla censura, dico semplicemente, e non riguarda solo i media, che c'è un problema generalizzato di ecologia del linguaggio: è chiaro che alcune cose stereotipizzano degli atteggiamenti, io lo registro. Individuare quale sia la soluzione, quale debba essere il modus operandi credo che spetti


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non tanto al legislatore, ma agli operatori della comunicazione. Io non penso che debbano esserci censure o altro e penso che questo valga per tutto. È evidente che comunque, a oggi, dobbiamo registrare che esistono meccanismi automatici che partono. Noi li registriamo, dopodiché ognuno gli darà la valenza che vuole.
Quanto alla questione posta dall'onorevole Corsini sul razzismo interetnico, la ricerca è stata costruita sui giovani italiani. Noi abbiamo svolto altre ricerche più localizzate, quindi più micro, anche sui giovani stranieri ed esistono alcune forme di razzismo interetnico: nei confronti dei cinesi, tra etnie diverse e altro ancora. In questo senso, quelli che sono stati i percorsi e le pulsioni americane sono riproducibili nella realtà italiana.
Per quanto riguarda il tema della scala delle simpatie e delle antipatie, abbiamo utilizzato una scala standard, come si fa sempre in questi lavori, inserendovi tutte le tipologie etniche che sono più o meno in contatto con gli italiani, quindi andando a verificare quali sono le tipologie generali - non abbiamo distinto cinese da coreano, da vietnamita e così via - abbiamo cercato di individuare i soggetti con cui nel nostro Paese si entra in contatto e con cui si entra in contatto in altri Paesi. Alcuni fenomeni, quindi, sono stati presi in considerazione anche nell'ottica di poter fare un confronto con dati analoghi europei: è chiaro che per noi «turco» ha un senso diverso, ad esempio, rispetto a quello che può avere per la Germania. Questa rilevazione, quindi, ci consentiva anche di avere un database confrontabile con analoghe indagini che possono essere fatte in Germania, in Svezia e così via. Sotto questo profilo, una serie di precisazioni su tipologie nazionali che a noi possono sembrare secondarie, a livello europeo non sono tali.
Quanto alla questione, e concludo, se stia crescendo o meno l'antisemitismo e alle possibili correlazioni con le scelte politiche, sicuramente esistono alcuni movimenti politici al cui interno ci sono giovani che si riconoscono in questi movimenti e che hanno espressioni più intolleranti, così come altre realtà più tolleranti. Tuttavia, non è tanto o solo il movimento a generare il meccanismo, è anche una scelta in base alle proprie credenze che orienta verso il movimento, quindi c'è un'operazione di do ut des, se volete, ma non necessariamente è intollerante chi aderisce a un movimento. Può anche trattarsi di una scelta di campo in base alle proprie pulsioni, quindi da questo punto di vista c'è un rapporto molto più articolato.
Il professor Biorcio ha collaborato con noi per questa indagine, quindi abbiamo tenuto presente quello che avevano fatto prima, con Mannheimer, ma tenendo sempre presente che lo studio effettuato con Mannheimer era più un sondaggio che non un'inchiesta, quindi questo ha una sua complessità maggiore.
Quanto alla crescita dell'antisemitismo, io sono dell'idea che stiano crescendo tutte le forme di estremizzazione nel Paese, tutte le forme di tifoseria, di contrapposizione secca, di radicalizzazione dal punto di vista sociopolitico. Quella delle pulsioni di chiusura verso l'altro sta diventando un paradigma con cui ci si confronta, e quindi l'antisemitismo potrebbe essere un fenomeno che nei prossimi anni potrebbe avere forme di incremento all'interno di questa tendenza.
Va tenuto sempre presente che i fenomeni di antisemitismo, per tornare all'origine di questo incontro, hanno anche una propria peculiarità. Quello che diceva la presidente sulla componente eliminazionista è assolutamente vero. Non è un caso che gli antisemiti hard sono per il 60 per cento improntati al razzismo, componente minoritaria del 10 per cento della popolazione giovanile che ha comunque un atteggiamento radicale nei confronti del tema. Non è un caso che l'antisemitismo lì ben alloggi. Per questo motivo abbiamo distinto tra xenofobi per elezione e improntati al razzismo. Piace molto anche a me il termine «imperialista», usato di proposito proprio nell'accezione che l'onorevole Corsini giustamente ha decodificato.
Non c'è solamente l'etnocentrismo, c'è il riconoscimento della possibilità del dominio,


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che è una cosa diversa rispetto all'etnocentrismo, però le forme di xenofobia, a differenza dell'improntazione razzista, sono quelle in cui si ha un rifiuto dell'altro anche se non è già diventato un atteggiamento estremo, ma sia ben chiaro che il travaso può avvenire, non è fermo quel gruppo. Non possiamo dire che 19 per cento dei giovani che sono in Italia xenofobi per elezione rimarranno tali; potrebbero anche diventare degli improntati al razzismo, cioè potrebbero radicalizzarsi ulteriormente. I passaggi sono facili. Rispetto alla mappa che abbiamo tracciato i più bloccati sono gli inclusivi, ossia quelli che sono aperti completamente, circa il 20 per cento dei giovani, e gli improntati al razzismo.
Queste due ali estreme difficilmente cambiano. All'interno, tra mixofobici, rumeno-rom-albanese fobici, i passaggi verso le forme più estremizzate sono facili, per questo sarebbe importante continuare il monitoraggio. Sarebbe importante vedere nei prossimi anni se c'è un aumento o una diminuzione. A oggi questo è il dato di una fotografia istantanea.

PRESIDENTE. Ringrazio sentitamente da parte di tutti il professor Cavalli e il professor Risso. Speriamo che il vostro lavoro possa proseguire e ce ne possiate ancora dar conto nel futuro.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 12,40.

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