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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissioni Riunite (I e III)
11.
Mercoledì 18 maggio 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Nirenstein Fiamma, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ANTISEMITISMO

Audizione del Ministro della gioventù, Giorgia Meloni:

Nirenstein Fiamma, Presidente ... 3 9 11 14
Corsini Paolo (PD) ... 10
Meloni Giorgia, Ministro della gioventù ... 4 12
Pianetta Enrico (PdL) ... 11
Volpi Raffaele (LNP) ... 10
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONI RIUNITE (I E III)
I (AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI) E III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI)

Comitato di indagine sull’antisemitismo

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 18 maggio 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
FIAMMA NIRENSTEIN

La seduta comincia alle 14,10.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti a circuito chiuso e la trasmissione sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro della gioventù, Giorgia Meloni.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'antisemitismo, l'audizione del Ministro della gioventù, Giorgia Meloni.
Fin dall'avvio di quest'indagine conoscitiva sull'antisemitismo, nel gennaio del 2010 - da allora abbiamo svolto molte audizioni, ad iniziare dal Ministro Frattini e anche il Ministro Gelmini ci ha onorato della sua presenza - è apparsa a tutti noi centrale la questione della formazione e informazione delle nuove generazioni sul tema dell'antisemitismo. Se ne è parlato insieme al Ministro Frattini in relazione alle iniziative da assumere in sede europea per dare sostegno a viaggi di studio di giovani studenti ai Memoriali della Shoah che si trovano in Europa, a cominciare da quello di Berlino.
Anche il CDEC, uno fra i diversi centri di documentazione ebraica contemporanea che abbiamo sentito - ne abbiamo sentiti diversi fra italiani e stranieri - ha stigmatizzato la diffusione dell'antisemitismo fra i giovanissimi.
Tale fenomeno rientra nel quadro di una più larga diffusione dell'antisemitismo che purtroppo si è registrata nel corso di questi ultimi anni e che è stata lo spunto per un'indagine conoscitiva su questo tema. Penso che alla fine saremo in grado di darne un quadro alquanto accurato, considerato che abbiamo ascoltato numerose opinioni e ricevuto tante indicazioni di lavoro.
Internet è il luogo in cui le manifestazioni dei giovani di intolleranza, pregiudizio e violenza antisemita trovano più spazio e ascolto amplificato e su questo punto abbiamo svolto molti approfondimenti, sperando anche di poter dare un seguito al tema in sede legislativa. È molto difficile, lo sappiamo, e abbiamo scavato molto nella questione.
Sul ruolo dei più giovani ci siamo confrontati con autorevoli rappresentanti istituzionali, a partire dai rappresentanti delle comunità ebraiche in Italia, e con esperti prestigiosi, quali l'ISPO e lo IARD, che hanno fornito studi e rilievi statistici interessantissimi ai fini della nostra ricerca. Molte indicazioni di livello internazionale che ci hanno consentito un'analisi comparativa sono venute da esperti australiani, americani e israeliani.
A conclusione di questo impegno occorre adesso ricollocare il materiale istruttorio raccolto in una prospettiva di indirizzo politico, perché questa è la logica che orienta il Comitato di indagine. In merito è prezioso il contributo che il Ministro Meloni potrà fornire. Ci pare infatti che il


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contributo del Ministro possa essere veramente fondamentale per uno sguardo più preciso su tutta la questione.
Do la parola al Ministro Meloni, a cui do il benvenuto.

GIORGIA MELONI, Ministro della gioventù. Ringrazio il Comitato di indagine sull'antisemitismo delle Commissioni riunite I e III e la presidente Nirenstein, perché il lavoro lunghissimo che la presidente ora riassumeva, che voi state portando avanti e al quale anche io mi pregio di contribuire, può rappresentare anche per noi un interessante punto di vista, su una questione molto complessa, che non si deve mai semplificare.
Noi abbiamo svolto anche su questo tema un lavoro come Governo italiano. Il Comitato ha già audito alcuni ministri competenti e, quindi, eviterò di ripetere il lavoro che è stato compiuto e che anche io ho portato avanti come Ministro della gioventù, soprattutto in rapporto col Ministro Gelmini. Cercherò di offrire, invece, alcuni spunti sul lavoro che noi abbiamo svolto e, in generale, un quadro sulla situazione del rapporto tra i giovani e l'antisemitismo. Dobbiamo partire proprio da questa introduzione.
I dati di cui disponiamo sono figli di un'indagine recente realizzata dall'Istituto di ricerche IARD, un istituto molto autorevole, che ha 40 anni di esperienza, e che il Comitato conosce, indagine che veniva portata avanti proprio nei confronti dei giovani in rapporto all'antisemitismo. I dati che ne escono sono effettivamente ancora preoccupanti.
Parliamo di un 22 per cento di giovani italiani che dimostra «antipatia» nei confronti del popolo ebraico. Di questi più o meno il 6 per cento ha un approccio radicale alla questione. Il primo dato che, secondo me, balza agli occhi è che oltre l'80 per cento dei ragazzi che dichiarano tale antipatia non ha mai conosciuto una persona di religione ebraica. Questi ragazzi non hanno mai avuto rapporti con persone di religione ebraica.
Di questi soggetti il 75 per cento non ha mai avuto l'occasione di incontrarle per puro caso, mentre solo un 7 per cento non ha voluto cogliere tale occasione, ossia ha preferito non averla. È un dato che francamente colpisce, perché resta da capire come si possa nutrire una naturale antipatia verso qualcuno che non si conosce davvero.
Chi sono questi giovani? Sono per lo più maschi, nel numero del 60 per cento circa. Il problema sembra essere leggermente più radicato al nord e un altro dato che mi ha colpito molto è il fatto che il 60 per cento di questi ragazzi è studente o laureato. Mentre noi tendiamo a ritenere che il razzismo si annidi laddove c'è ignoranza, in questo caso la questione sembra completamente diversa. Parliamo di persone per la maggior parte mediamente istruite.
Veniamo alle motivazioni di tale atteggiamento. Il 38 per cento di questi ragazzi, a motivazione della propria antipatia, sostiene che il popolo ebraico sia più leale verso il proprio mondo piuttosto che verso la realtà nella quale vive. Il 22 per cento ha, invece, una motivazione di carattere storico-culturale, cioè sostiene che la religione ebraica abbia avuto un'influenza negativa sulla cultura e sulla civiltà cristiana.
Anche questi sono spaccati sicuramente per noi curiosi. Rimane il dato positivo che il 78 per cento dei giovani italiani intervistati ha una forte o una normale simpatia per il popolo ebraico. Lo dico anche perché io sono tra coloro - lo preciserò nel corso del mio intervento - che amano molto valorizzare il dato buono oltre a condannare ciò che non funziona.
Rimane il fatto che il problema è reale e che il 78 per cento dei ragazzi che non lo avverte minimamente non può comunque farci dimenticare e sottovalutare un dato significativo, per il quale ancora oggi nel 2011 due ragazzi su dieci si dichiarano antisemiti. Da questo macrodato dobbiamo partire e io ho offerto solamente gli spunti che mi sembravano più interessanti.
In Italia la situazione è molto diversa rispetto ad altri Paesi, come quelli del


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l'Europa del nord. La cronaca è testimone del fatto che episodi di violenza contro le persone per motivi legati all'antisemitismo in Italia non solo non sono usuali, ma sono quasi inesistenti. Non sono un problema con il quale noi ci confrontiamo in maniera rilevante.
Sono capitati episodi di atti vandalici o di oltraggio a monumenti legati all'Olocausto, che sono ovviamente agghiaccianti, ma non accade facilmente in Italia che persone identificate come ebree vengano aggredite per strada.
Lo preciso in rapporto a ciò che accade e di cui noi leggiamo sulla cronaca in altre nazioni, soprattutto nel nord Europa, dove, invece, sono assolutamente frequenti episodi di violenza fisica nei confronti delle persone. Anche questo può essere un dato che ci aiuta a capire.
In Italia l'antisemitismo prende piuttosto la forma dell'opinione intellettuale e politica, non tanto e non solo, come è più comune pensare nell'opinione pubblica, da parte di opinionisti riconducibili all'estrema destra. Oggi, infatti, esiste anche un fenomeno legato all'antisemitismo di estrema sinistra, che è molto aumentato negli ultimi anni e che viene di solito confuso con la critica alla politica dello Stato di Israele nei confronti della Palestina o con l'antisionismo.
In Italia l'antisemitismo è quindi piuttosto un fenomeno culturale che non di violenza e noi dobbiamo, quindi, tentare di contrastarlo soprattutto sul piano culturale.
Primo Levi affermava che se comprendere è impossibile, conoscere è necessario. Io penso, e tutto il lavoro che il Ministero della gioventù ha portato avanti si basa sostanzialmente su questa frase, che la conoscenza sia da sempre la chiave per combattere qualunque forma di odio razziale, soprattutto quella dell'antisemitismo.
Nel caso di questo problema esistono due forme di conoscenza necessaria: la memoria, cioè raccontare e tramandare ciò che è accaduto nel passato perché non abbia a ripetersi, e l'incontro, con riferimento al problema che citavamo per cui l'80 per cento di chi si dichiara antisemita di fatto non sa di che cosa sta parlando.
È esperienza di ciascuno di noi che poi, quando ci si trova di fronte, al di là di un pregiudizio che si può avere, a una persona fatta in carne e ossa, con i suoi sogni, con le sue speranze e con i suoi occhi, diventa molto più difficile coltivare lo stereotipo tipico dell'odio razziale, ossia l'incapacità di andare nel profondo delle questioni.
Noi abbiamo lavorato seguendo queste due direttrici. Voi avete avuto modo ascoltare altri ministri del Governo. Avete ascoltato in particolare il Ministro Gelmini e, quindi, non mi soffermerò su tutta l'attività che è stata avviata negli ultimi anni nelle scuole e nelle università e che rappresenta la parte significativa di ciò che si può realizzare nel rapporto con le giovani generazioni rispetto all'educazione in tema di contrasto al razzismo, però vale la pena di spendere una parola su alcuni capisaldi.
Un caposaldo è, per esempio, rappresentato dal Giorno della memoria. Io credo che il tema del Giorno della memoria non abbia semplicemente un'importanza simbolica, ma che abbia anche un significato particolare laddove consente agli insegnanti di concentrare la propria attenzione per un giorno, per una mattinata, sulla capacità di raccontare storie.
Per me questo è un elemento molto importante dell'educazione. Ricordo che sono rimasta molto colpita quando sono stata allo Yad Vashem, ma non tanto in tutto il percorso e non tanto in tutta la parte che racconta l'ignominia dell'Olocausto. Ciò che ha colpito me, Giorgia Meloni, più di tutto è stata l'ultima sala dello Yad Vashem. Non so quanti di voi ci siano stati: si tratta di una sala nella quale vengono raccolte fotografie di volti, di persone. Mi ha colpito molto perché noi siamo abituati a considerare i fatti della storia, soprattutto quelli che coinvolgono numeri, rischiando di spersonalizzarli. Sei milioni di persone rischiano di essere un dato statistico, ma un volto è una persona, una storia, un essere umano: è una cosa diversa.


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Mi ha colpito molto questo punto. Io temo che noi, col passare degli anni, a mano a mano che perderemo le persone che sono testimoni di quella storia, che rappresentano sempre le esperienze più importanti che si possono portare di fronte a un giovane - ciò che trasmette un libro di storia, un libro di testo, non equivale mai all'esperienza dell'anziano che con i suoi occhi racconta come è stata quella sofferenza nelle piccole cose, nella quotidianità, perché sono le piccole cose che umanizzano, ci rendono davvero partecipi di un evento e ci fanno capire davvero quanto una realtà sia drammatica - rischiamo di perdere anche la capacità di raccontare l'umanità di queste storie, la parte che sul piano educativo ha sempre un impatto maggiore.
Credo che il valore del Giorno della memoria, se lo sappiamo interpretare in questo modo, possa essere non solo un fatto simbolico, ma anche un elemento strutturale importante per i nostri ragazzi, per insegnare loro che ciò di cui si parla non è un evento che appartiene a un altro mondo. Noi rischiamo spesso di vedere la storia in questo modo, come una realtà che comunque non ci può riguardare, che è stata attraversata da gente che non eravamo noi, come se fosse riferita a un altro pianeta.
Dobbiamo, invece, ricordare che, nello specifico, la storia dell'Olocausto è una storia che risale a settant'anni fa e settanta anni storicamente non sono nulla. Significa che è un fatto accaduto ieri, che può accadere oggi, ed è il grande insegnamento che dobbiamo trarre dal racconto di queste vicende. Non esiste infatti solo il dato della memoria, ma anche quello educativo dell'insegnamento. Si tratta allora di una sfida non ancora vinta, un rischio che si corre ogni giorno, se non si riescono a presidiare adeguatamente i valori che contano da questo punto di vista.
Con il Ministero della gioventù abbiamo tentato di interpretare il Giorno della memoria, con un'iniziativa che è diventata ormai piuttosto tradizionale e che ci ha dato grandi soddisfazioni.
In una battuta prima sostenevo che, oltre a condannare il male, noi dobbiamo - è una considerazione che può sembrare banale, ma che non lo è - avere sempre la capacità di raccontare anche l'altra faccia della medaglia, vale a dire di comunicare sempre alle persone, soprattutto ai giovani, che in ogni tempo e in ogni luogo viene data la possibilità a ciascuno di noi di compiere una scelta, di decidere da che parte stare.
È la medesima filosofia dei Giusti tra le nazioni, ossia quella di raccontare di coloro che hanno scelto di dire di no, che in un tempo molto diverso da questo, quando era molto difficile e molto rischioso farlo, hanno comunque avuto il coraggio di schierarsi da un'altra parte.
Come Ministero della gioventù abbiamo portato avanti un esperimento insieme al Keren Kayemet LeIsrael Italia, il Fondo nazionale ebraico, la più antica associazione ambientalista, con il quale abbiamo un buon rapporto. Ogni anno scegliamo una scuola o alcune scuole simbolo e andiamo in queste scuole a piantare un albero, come si fa per ricordare i Giusti tra le nazioni e lo facciamo dedicando questi alberi non solo alla memoria delle vittime e dei familiari delle vittime, ma anche alla memoria di uno tra questi Giusti, di una persona che ha saputo sacrificare se stessa.
Porto un esempio. Siamo partiti alcuni anni fa con la Scuola elementare Giovanni Palatucci di Roma, a San Basilio, e da tale esperienza capimmo che l'iniziativa riscuoteva tra i ragazzi una grande attenzione.
In Italia ci sono scuole intitolate a Giovanni Palatucci, ma i nostri ragazzi non conoscono quasi mai chi sia questo questore italiano che si oppose ai rastrellamenti a Fiume, salvò circa 5.000 persone, meritò una medaglia d'oro al valor civile, è ora uno dei Giusti tra le nazioni e per il quale la Chiesa cattolica ha avviato un percorso di canonizzazione.
Abbiamo raccontato questa storia ai ragazzi e con loro abbiamo piantato un albero per ogni classe per ricordare la sua vicenda e per lanciare il seguente messaggio:


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c'è sempre un tempo nel quale ci si trova di fronte a un bivio e si può scegliere da che parte stare e anche quando la storia ha raccontato la sua faccia più drammatica c'è stato chi ha saputo rappresentare una luce.
Questa è, secondo me, l'iniziativa più importante che possiamo attuare sul piano educativo anche nell'ambito del Giorno della memoria. È bello, peraltro, rispondere alla morte, in una data drammatica, con un segno di vita e piantare un albero è comunque un segno perfettamente speculare a quello della morte. Secondo me, da nessuna parte come nel giardino di una scuola è possibile inviare questo messaggio di speranza alle giovani generazioni.
Da quell'anno abbiamo piantato alberi ogni anno in diverse scuole e ci piacerebbe allargare sempre più questa tradizione. È solo una delle iniziative che abbiamo attuato seguendo questo filo conduttore.
Ne cito un'altra, che si chiama «Passo dopo passo - da Borgo San Dalmazzo ad Auschwitz». È stata promossa dalla cooperativa sociale ONLUS Il Melarancio ed è un evento che si è svolto tra il 15 febbraio, la ricorrenza dell'avvio alla deportazione degli internati di Borgo San Dalmazzo, e il 1o maggio, il Giorno della memoria nazionale in Israele.
Passo dopo passo si colloca a metà tra un pellegrinaggio laico della memoria e una pièce teatrale itinerante. Sono quasi 2.000 chilometri per 76 giorni che attraversano l'Italia, l'Austria, la Repubblica Ceca e la Polonia e coinvolgono le popolazioni locali e i ragazzi delle scuole.
I protagonisti sono giovani, due attori, un musicista e altri undici artisti, che a staffetta si sono susseguiti, tappa per tappa, nelle rappresentazioni dal vivo.
Il tema è questo. Io penso che, nonostante le molte sfortune di essere giovani in questo tempo, una delle caratteristiche assolutamente straordinarie che i ragazzi hanno davanti oggi è quella di avere molte possibilità di viaggiare con facilità, di conoscere altre culture, di confrontarsi, di familiarizzare con altre lingue, possibilità che le generazioni precedenti alla nostra non avevano.
Noi abbiamo cercato, utilizzando questa forza, di promuovere il maggior numero possibile di occasioni di incontro tra ragazzi italiani, israeliani e palestinesi. La prima parte del tema della comprensione, come abbiamo accennato, è dato dalla memoria e la seconda dall'incontro e dal confronto.
Sono tante le iniziative che abbiamo portato avanti, al netto degli scambi culturali che svolgiamo ogni anno particolarmente tra Italia e Israele. Ne ho parlato lungamente anche per cercare di implementare questo confronto, tanto con l'ambasciatore israeliano in Italia, quanto con il Ministro dell'istruzione israeliana, quando sono stata in visita in Israele. Ne ho parlato anche ovviamente con il Ministro Gelmini. Abbiamo, come sempre, problemi di risorse, ma si sta cercando di coinvolgere soggetti terzi, perché per promuovere la conoscenza lo scambio culturale è sempre la prima delle iniziative che si possono attuare.
Tra le altre iniziative che abbiamo promosso ricordo su tutte il Concerto di Natale per la vita e per la pace, un evento mediatico di livello internazionale che ormai si svolge da diversi anni. È un concerto che sotto il periodo natalizio si svolge a Greccio, a Betlemme e a Gerusalemme. Noi l'abbiamo adottato negli ultimi tre anni ed esso viene promosso e organizzato sotto il patrocinio del Ministero della gioventù, tanto che nel 2010 il concerto ha visto come protagonista artistica l'orchestra giovanile italiana della scuola di Fiesole.
Questi ragazzi si recano in Israele, suonano a Gerusalemme, suonano nella Basilica della Natività di Betlemme, e in Italia a Greccio. Questa è solo l'iniziativa simbolo che si realizza sotto il periodo natalizio di un progetto che coinvolge, in realtà, scambi durante tutto l'anno.
È un'altra iniziativa che ci ha dato grandi soddisfazioni, perché noi pensiamo che nell'incontro tra giovani generazioni sia molto importante utilizzare tutti gli strumenti che i ragazzi comprendono. Lo strumento della musica è uno di questi. Parlavo


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prima di una pièce teatrale. Lo strumento del teatro può essere un altro strumento.
Anche lo sport è importante. Penso alla maratona-pellegrinaggio in Terra Santa dal titolo «Lo sport e il turismo per la pace», che si è svolta lo scorso 25 aprile tra Betlemme e Gerusalemme. È stata organizzata dall'Opera romana pellegrinaggi e ha ricevuto il nostro patrocinio. Anche questa iniziativa è organizzata con l'ausilio e gli strumenti del Ministero della gioventù e ha visto la partecipazione di atleti israeliani, palestinesi e italiani. Secondo noi, si tratta di un altro simbolo importante per coniugare i valori positivi dello sport con i messaggi di dialogo e di conoscenza reciproca.
Che cosa resta da fare? Io penso che quello che la presidente Nirenstein poneva all'inizio di questa audizione sia il tema centrale, che interessa anche il Ministero della gioventù, vale a dire la questione di Internet.
Sicuramente tra le questioni più complesse da affrontare oggi vi è l'approccio che si ha con i nuovi strumenti di comunicazione rispetto a questioni che su di essi transitano e che spesso noi non sappiamo come arginare.
Io ritengo che la sfida principale che abbiamo di fronte sia sempre quella che ho tentato di raccontare finora. L'obiettivo più importante che dobbiamo realizzare è tentare di capire come si possano utilizzare gli strumenti della comunicazione moderna in positivo piuttosto che subirne solo l'utilizzo negativo.
Sono molto scettica sul fatto che, per quanto riguarda Internet, la capacità effettiva di contrastare il razzismo e la xenofobia possa essere una via di carattere legale, vale a dire una via di carattere normativo, perché noi sappiamo che oggi il problema non transita più semplicemente su siti Internet che ieri si potevano oscurare, ma, per esempio, sui social network. I social network sono una realtà molto più complessa da affrontare. Quando si afferma che, se un idiota apre un gruppo cretino su Facebook, si può oscurare Facebook, francamente si svolge un'affermazione che io non mi sento di sostenere. Sarebbe come sostenere che bisogna chiudere Piazza del Popolo perché vi si è svolto un omicidio.
Non dobbiamo confondere lo strumento con l'utilizzo che se ne fa, né possiamo impedirci di dotare la nostra società di alcuni strumenti perché tali strumenti possono essere utilizzati male. Diventa molto difficile il contrasto diretto.
Ci sono diversi tipi di reati o di episodi deprecabili che camminano sulla rete e particolarmente sui social network. Noi riscontriamo molta più benevolenza da parte di Facebook se, per esempio, lavoriamo sul tema della pedofilia, quindi di un reato vero e proprio, ma diventa diverso coinvolgere Facebook su tutto ciò che riguarda i reati d'opinione. Lo stesso Mark Zuckerberg, che peraltro è ebreo lui stesso, non si è mai voluto configurare come soggetto censore. Si rende conto che il suo è uno strumento nel quale la gente esprimerà alcune opinioni e che alcune saranno aberranti, ma diventa molto difficile oscurare lo strumento in ragione del fatto che qualcuno su quello strumento esprime posizioni aberranti.
Peraltro, si porrebbe la necessità, se volessimo davvero lavorare seriamente sul piano di una censura delle idee pericolose che viaggiano su Internet, come voi sapete benissimo, di armonizzare le leggi praticamente di tutte le nazioni del mondo, che è un'operazione difficilissima da compiere. Molte nazioni sono totalmente contrarie all'introduzione di qualunque reato di opinione. Sul piano tecnico diventa una materia molto complessa.
Se posso esprimere la mia opinione, credo che il tema sia sempre lo stesso. Quando parliamo di Internet, ci limitiamo sempre a condannare ciò che non va e non ci poniamo mai il problema di come utilizzare questi strumenti a nostro favore.
Vi porto un esempio che potrebbe non sembrare pertinente, ma che per alcuni versi lo è. È l'esempio dei disturbi alimentari, su cui abbiamo lavorato molto come Ministero della gioventù. Nel mondo esistono 300.000 siti «pro ana», vale a dire siti che inneggiano all'anoressia. Di tanto


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in tanto vengono presentate proposte di legge per oscurare i siti che inneggiano all'anoressia o alla bulimia.
Anche in questo caso la tematica è un po' più complessa, perché se si svolge una banale ricerca su Internet, si scopre che non si tratta di siti di qualcuno che ha un interesse a pubblicizzare l'anoressia, bensì di blog di ragazzine malate che si scambiano informazioni con altre ragazzine malate. Se noi emaniamo una legge per immaginare una previsione penale su una questione del genere, non facciamo altro che aggiungere una denuncia a una malattia e io non credo che ciò risolva il problema.
Mi ha colpito, però, quando mi sono approcciata a questo problema per la prima volta - mi scuso per la digressione - il fatto che di contro non esistessero siti che potevano aiutare le famiglie o le ragazzine malate a capire come difendersi da questo problema. Non esisteva un sito istituzionale che desse consulenza alle famiglie. È pazzesco. È incredibile che nel mondo esistano 300.000 siti che inneggiano all'anoressia e non ci sia un sito che faccia controinformazione.
Ne approfitto per comunicare, anche se non ha a che vedere con la nostra materia, che abbiamo rimediato. Abbiamo aperto alcuni siti anche con l'Ospedale pediatrico Bambin Gesù.
Vorrei legarmi allo stesso tema. Io penso che alla fine la nostra sfida sia quella che hanno raccolto anche alcune realtà molto significative. La risposta più bella che è stata data al problema dell'antisemitismo è venuta proprio ultimamente dallo Yad Vashem, quando ha scelto di dichiarare guerra on line ai negazionisti.
Penso che un'altra scelta molto bella sia stata compiuta dal Centro mondiale di documentazione sulla Shoah quando, pochi mesi fa, ha presentato il canale Youtube in farsi, la lingua della Repubblica islamica dell'Iran. Esisteva già un sito del Memoriale che era attivo, ma la scelta di entrare in Youtube è significativa.
Volevo sottolineare come anche di Youtube noi ne sentiamo parlare solo quando un ragazzino cretino «posta» l'episodio di bullismo e non ci poniamo mai il problema di come utilizzarlo per raccontare, invece, tutti coloro che combattono il bullismo o che, in questo caso, combattono il razzismo. Credo che queste siano le risposte più significative.
Su questo tema mi piacerebbe lavorare e sono assolutamente aperta e disponibile alle proposte che dovessero arrivare. Penso che nel 2000 la difesa della storia non possa fare a meno dei social network e delle piattaforme di condivisione, come accade su Youtube, cioè che non si possa fare a meno del nostro utilizzo in positivo di questo strumento, piuttosto che stare a lambiccarci su norme che difficilmente ci aiuteranno a risolvere il problema e che probabilmente non saranno neanche molto efficaci nella soluzione.
Se il nostro nemico, che in questo caso è il razzismo, utilizza questi strumenti come arma di offesa, noi dobbiamo capire come utilizzarli come arma di difesa. Ritengo, quindi, che la nostra sfida in questo tempo debba essere quella di lavorare per promuovere un esercito di giovani divulgatori, di operatori di pace on line, di persone che possano aiutarci, persone educate, formate e sensibilizzate adeguatamente a combattere tutto ciò che sulla rete cammina e che rappresenterà sempre una minoranza.
Il punto rimane quello di sempre: le minoranze sono sempre più rumorose. Fa molto più rumore l'albero che cade rispetto alla foresta che cresce, ma non dobbiamo dimenticare che esiste una foresta che cresce. Il punto è capire come utilizzare la foresta che cresce, mentre il nostro nemico utilizza bene l'albero che cade.
A me paiono questi gli spunti più significativi da offrire, ma sono a disposizione per le vostre domande.

PRESIDENTE. Ringrazio innanzitutto il Ministro per la sua relazione così attiva, così ottimista, così piena di speranza e di idee.


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Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

RAFFAELE VOLPI. Premesse le considerazioni che ha svolto il Ministro e sulle quali c'è la massima condivisione e premesso che l'esistenza di questo Comitato dimostra l'attenzione del Parlamento sul tema dell'antisemitismo, oggi voglio uscire dal solito tracciato, perché credo che ormai siamo arrivati, come affermava la presidente Nirenstein, quasi alla fine del nostro lavoro e che, quindi, le considerazioni siano più generali rispetto all'inizio dell'indagine conoscitiva, che abbiamo svolto sentendo molte persone.
Concordo con quello che ha affermato il Ministro rispetto a coloro che pensano di non aver mai voluto conoscere qualcuno perché è, in un certo modo, secondo loro, diverso, ma che in realtà non lo è. Mi viene in mente una bella frase, che ricorderò sempre, di un nostro audito, il quale disse che fondamentalmente l'antisemitismo è la paura di uno troppo simile a noi per essere riconoscibile.
Probabilmente esiste un elemento di mancanza di consapevolezza, ma rilancio una sfida diversa. Io credo che sulle nuove generazioni bisogna lavorare in maniera bipartisan. Non sto parlando di politica, ma di comunità.
Non c'è dubbio che sussista un aspetto educativo, che è generale. Io ho insistito molto perché il Comitato affrontasse il problema di Internet, tema poi ampiamente condiviso, ma temo che nelle nuove generazioni ci sia la necessità anche da parte di chi vive all'interno delle comunità ebraiche italiane di avere un rapporto diverso con il resto del mondo.
Se faccio riferimento al lavoro svolto dal nostro Comitato, le posso riferire, signor Ministro, che si sono accorti dell'esistenza di questo Comitato molto di più gli antisemiti che non le comunità ebraiche. Noi abbiamo ascoltato le comunità ebraiche in audizione, ho sentito con piacere le iniziative che si attuano, ma il problema è che, da quando sono componente e segretario di questo Comitato, non ho mai avuto l'occasione di essere invitato a una manifestazione legata a questo problema.
Ritengo che essere autoreferenziali sia un modo assolutamente sbagliato per dare una mano a noi come parlamentari e alle istituzioni per superare la tematica drammatica dell'antisemitismo e auspico che il lavoro che noi ci accingiamo a intraprendere riguardo gli elementi di criticità del problema dell'antisemitismo - lavoro che voi come Governo state svolgendo e che porteremo avanti anche con proposte legislative, mi auspico comuni, anzi sicuramente tali - si compia cercando anche di far uscire dall'autoreferenzialità, che io purtroppo ho rilevato, le comunità ebraiche.

PAOLO CORSINI. Vorrei prendere le mosse da una valutazione positiva dell'esposizione del Ministro. Mi è parsa un'esposizione assolutamente assennata e anche accorata e sotto questo profilo non posso che manifestare un apprezzamento, per quanto riguarda sia la raffigurazione del problema, sia l'enunciazione degli intendimenti che il Ministro ha esposto. Rilevo il fatto che onestamente il Ministro, così come già il Ministro Gelmini, ha reso pubblico un limite di fondo, vale a dire la ristrettezza delle risorse economico-finanziarie di cui i ministri dispongono.
Ci sono solo un paio di osservazioni in ordine all'esposizione che ho ascoltato che mi sento di sottoporre all'attenzione sua e dei colleghi.
Si è verificata una piccola scivolata, credo del tutto inconsapevole, quando lei, Ministro, ha parlato di una mattinata o di una giornata dedicata alla questione della memoria, al Giorno della memoria. In realtà, nella scuola italiana, ma anche presso organizzazioni informali, il tema del Giorno della memoria non si limita al giorno definito per legge, ma entra dentro un processo educativo di natura curricolare estremamente diffuso in alcuni Paesi europei e, in modo particolare, in Francia, dove esiste addirittura un istituto pubblico di didattica della Shoah.


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Peraltro, in Italia disponiamo delle ricerche di uno studioso, Mantegazza, il quale ha dedicato una vita a promuovere una pedagogia in ordine all'Olocausto.
Credo che sarebbe interessante se, tanto dal Ministero dell'istruzione, dell'università e delle ricerca, quanto dal ministero che lei rappresenta venissero promanati orientamenti circolari che invitassero gli insegnanti italiani e le scuole italiane di ogni ordine e grado a promuovere non semplicemente il giorno della riflessione, ma il giorno della riflessione come punto d'approdo di una ricerca e di un apprendimento che può attraversare l'educazione scolastica nel tempo.
Passo alla seconda osservazione. Ho molto apprezzato, e credo che vada incoraggiato, l'orientamento del Ministro per quanto attiene alla volontà di vedere l'altra faccia dell'Olocausto, cioè la faccia rappresentata da Schindler, Perlasca, Palatucci e via elencando. Credo che questo tipo di impegno sia molto proficuo e non posso che compiacermi di tale risoluzione.
Proseguendo, ho conosciuto anch'io, in un altro ruolo istituzionale che ho ricoperto, i cosiddetti viaggi o pellegrinaggi della memoria, che ho cercato di sostenere. Si tratta di iniziative molto importanti, ma che non possono esaurirsi in un turismo scolastico. Il vero dato di fondo è il ritorno, il meccanismo della restituzione di quell'esperienza, che nelle vicende scolastiche più interessanti e positive si regge sulla diffusione degli esiti e delle acquisizioni che i viaggi riproducono, in una sorta di allargamento e di messa a disposizione della più ampia comunità nell'ambito di una scuola aperta e dialogica.
Ancora ho apprezzato e ho trovato decisamente positiva la sottolineatura che lei ha svolto del ruolo dello sport e della cultura, anche perché ho conosciuto e vissuto direttamente l'esperienza per quanto attiene all'incontro di giovani israeliani ebrei e di giovani palestinesi. Il male, inteso come l'incapacità del confronto, del dialogo e del riconoscimento reciproco, va combattuto in sede educativa fin dalle origini.
Da questo punto di vista lo sport, la cultura e la musica sono fondamentali. Accenno all'esperienza di un grande musicista, Barenboim, il quale promuove concerti di cui sono protagonisti musicisti ebrei e arabi palestinesi, che danno risultati estremamente significanti e costituiscono un fatto di grande prospettiva e di grande speranza.

ENRICO PIANETTA. Ministro, il 22 per cento di giovani è una percentuale enorme, che deve giustamente preoccupare. Il suo intervento è stato puntuale e preciso, perché pensare che più di due ragazzi su dieci nutrano questa «antipatia» sta a significare che esiste un investimento negativo sul futuro che non lascia ben pensare.
Vorrei che lei approfondisse, Ministro, la questione dei social network, perché credo che, oltre alle manifestazioni, all'impegno, a tutto ciò che lei ha espresso e per il quale c'è indubbiamente il nostro il plauso, si tratta di capire che cosa maggiormente si possa fare nell'alveo di Internet e di questo settore.
Bisogna immaginare che più soggetti possano operare in positivo. Sposo completamente la sua considerazione sul fatto che c'è negatività, ma che bisogna contrastarla attraverso una grande capacità di innescare elementi positivi.
Credo che il ministero abbia l'opportunità, la possibilità di creare le condizioni affinché tanti soggetti possano contribuire a combattere questa grande battaglia positiva per fare in modo che i giovani che frequentano questi mezzi possano essere maggiormente attratti. Credo che debbano esserci proprio una speranza e una tendenza a un incremento della positività. Vorrei sentire il suo parere.

PRESIDENTE. Ministro, mi fa piacere esprimerle rapidamente un paio di considerazioni personali.
Innanzitutto, le sono davvero molto grata e la sua idea di dover lavorare su Facebook e su Youtube in maniera proactive, che funzioni direttamente e non indirettamente come risposta, mi pare veramente


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ottima. È un'idea nuova e si tratta di metterla in movimento con l'utilizzazione di giovani.
Io non ho un'idea illuministica dell'antisemitismo come la sua, cioè non credo che la memoria o la conoscenza possano cancellare completamente l'antisemitismo. Céline, il grande scrittore francese, sapeva benissimo chi fossero gli ebrei e, tuttavia, era un furioso antisemita. Fra gli SS, che deportavano e uccidevano gli ebrei, c'erano appartenenti alle classi superiori. Lei ha affermato molto a proposito che si stupiva che ci fossero persone delle classi superiori fra chi si dichiara antisemita, ma è un dato di fatto.
La questione non è tanto quella di sapere, quanto di condannare. Occorre una deterrenza culturale, una dequalificazione dell'antisemitismo. Questo è il punto. Deve «fare schifo» a chiunque il fatto che una persona sia antisemita. Va indotta una maggiore deterrenza di carattere culturale, oltre che una conoscenza dei soggetti e degli eventi. Dobbiamo studiare questo aspetto e credo che ci siano molti modi per poterlo fare.
Passo all'altra questione molto importante che le voglio sottoporre. Forse dal punto di vista dell'attività si tratta dell'aspetto più forte. Tutti coloro che nel corso delle audizioni ci hanno portato immagini, statistiche, racconti sull'antisemitismo ci hanno mostrato che da una parte funziona molto la conoscenza della vicenda dell'Olocausto, perché ovviamente una persona normale non può che sentirsi piena di repulsione di fronte a episodi come quelli, e quindi senz'altro è importante far conoscere la vicenda.
Abbiamo visto sull'Olocausto una documentazione di tipo negazionistico veramente ripugnante e disgustosa, contro la quale occorre agire. Il Giorno della memoria è una delle iniziative importanti, con tutte le altre che lei citava.
Esiste, però, un altro elemento. Noi abbiamo visto nelle testimonianze che ci hanno portato coloro che sono stati auditi, vere e proprie follie sullo Stato di Israele, da Israele Stato di apartheid, agli israeliani con la bocca da cui cadono gocce di sangue, che stringono un bambino palestinese, tengono in mano un sacchetto di dollari e sparano missili sulla popolazione civile innocente palestinese. Un'enorme quantità di stereotipi antisemiti oggi diffusi nelle scuole e, soprattutto, nelle università, presenta questo carattere. Abbiamo a disposizione tutti questi materiali e glieli faremo avere molto volentieri.
Sollevo il tema non per creare un lamentevole caso relativo allo Stato di Israele, ma per rimarcare che bisognerebbe agire come in America e in tanti altri Paesi del mondo, ossia studiare la storia del Medio Oriente. Oltre a studiare la storia dell'Olocausto, bisogna sapere veramente che cos'è lo Stato di Israele, come funziona la sua democrazia, come questo Stato si distingua da tutti i Paesi circostanti proprio per il fatto che è un Paese democratico, perché le donne hanno lo stesso status degli uomini, perché con i palestinesi si cerca una strada per la pace già da moltissimo tempo.
Io credo che questo terreno di conoscenza, che mi fa piacere citare di nuovo perché lei l'ha portato qui in maniera congrua e interessante, debba avere due track, due direzioni, una relativa alla memoria e una al presente. Questo è il mio punto di vista.
Do la parola al Ministro per la replica.

GIORGIA MELONI, Ministro della gioventù. Svolgo solo alcune considerazioni. Sulla partecipazione delle comunità ebraiche che veniva citata nell'intervento dell'onorevole Volpi, voglio solo riferire che la gran parte delle iniziative che noi abbiamo portato avanti - a solo titolo di comunicazione mi pare importante precisarlo - vede un coinvolgimento diretto o ha visto alla base proposte delle comunità ebraiche. C'è un interesse che noi abbiamo raccolto, nel tentativo di collaborare insieme.
Voglio rispondere all'onorevole Corsini, relativamente a ciò che lui osservava sul Giorno della memoria, dato che probabilmente non mi sono spiegata bene. Volevo esprimere una considerazione molto simile alla sua, cioè che il Giorno della memoria,


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secondo me, può essere la giornata da utilizzare per raccontare le esperienze vissute. So benissimo che il Giorno della memoria è semplicemente una tappa in un lavoro che va svolto durante tutto l'anno e che riguarda aspetti completamente diversi, di cui fanno parte, per esempio, i viaggi della memoria che sono organizzati non solo dalle scuole, ma a volte anche dalle istituzioni. Noi abbiamo collaborato anche alla realizzazione di diversi viaggi della memoria, che sono un altro momento importante, ma ci sono anche le mostre che le scuole organizzano, i lavori fotografici, i video. Si attuano tantissime iniziative.
Penso però, poiché avevo portato l'esempio dello Yad Vashem e focalizzavo l'attenzione su quanto sia importante raccontare le storie di persone, come premessa rispetto al nostro esperimento sulla vicenda di Palatucci, che il Giorno della memoria possa avere una capacità di andare oltre il lavoro, pure importantissimo, che si compie nel raccontare la vicenda dell'Olocausto, se dedichiamo questa giornata ad alcune storie simbolo.
Noi abbiamo lavorato, come Ministero della gioventù, per dare esattamente questo taglio, soprattutto raccontando le storie di chi ha scelto di stare dall'altra parte, ma sarebbe importante se raccontassimo le storie singole di vittime. Un conto è affermare che ci sono state migliaia di vittime, un altro raccontare la storia di una famiglia. Essa rende la comprensione del fenomeno, la sua drammaticità, la sua aberrazione molto più aderente per un ragazzo del nostro tempo.
Noi finiamo sempre con il rischio di leggere questi episodi come eventi che comunque non ci possono appartenere in alcun modo, ma, poiché il 22 per cento dei ragazzi nel 2011 si dichiarano antisemiti, evidentemente la questione non è tanto lontana.
Noi possiamo vederla come una questione più o meno alla stregua di quella delle crociate, ma non stiamo parlando delle crociate, bensì di un episodio che in termini storici è riferito a ieri. Bisogna saper umanizzare il fenomeno, renderlo immediato, alla nostra portata, perché possiamo capire che effettivamente è un fatto che può accadere anche a noi.
In questo modo i ragazzi capiranno quanto sia grave quando poi si lancia la battuta o - arrivo a quanto sosteneva la presidente Nirenstein - quando si utilizzano gli strumenti moderni della comunicazione per passare messaggi che a volte si nascondono anche sotto le posizioni di geopolitica o di politica estera e di ciò la presidente ci portava alcuni esempi. Sono assolutamente d'accordo; forse non mi ero spiegata bene.
Che cosa possiamo fare di più su Internet, chiede l'onorevole Pianetta. Questo è un po' il tema sul quale anche io, ben comprendendo che si tratta della questione centrale sulla quale può operare specificamente il Ministero della gioventù, ho chiuso il mio intervento, aprendo una prospettiva piuttosto ampia, sulla quale vale la pena anche di confrontarci insieme e io sono disponibile, se lo riterrete opportuno, a organizzare altre iniziative di questo tipo.
Penso che la sfida sia sempre quella di coinvolgere i ragazzi, di responsabilizzarli e di utilizzare tutto ciò che noi abbiamo anche sui nuovi strumenti di comunicazione. Le porto un esempio. Esistono un dato numero di gruppi su Facebook o di siti in cui si fanno affermazioni stupide. Quante scuole di quelle che ogni anno organizzano il Giorno della memoria e che durante l'anno organizzano mostre e iniziative prendono il loro lavoro, lo raccontano attraverso Internet e mettono i loro video su Youtube, le loro mostre fotografiche su Facebook, i lavori dei loro ragazzi, i temi, le riflessioni su un gruppo di Facebook? Quante saranno? Zero, o forse una, due, cinque. Esistono le esperienze positive, però vi rendete conto di come noi rischiamo, alla fine, di subire solo tutto ciò che non va rispetto a strumenti che sono comunque un'opportunità straordinaria di moltiplicare il messaggio? Noi abbiamo bisogno, per venire a quanto affermava la presidente Nirenstein, se vogliamo davvero dare vita a una deterrenza di carattere


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culturale, di bombardamenti comunicativi mediatici, che siano peraltro comprensibili ai ragazzi.
Durante l'anno nelle scuole e nelle università, ma anche negli istituti di cultura, nelle associazioni, nelle comunità ebraiche c'è un mondo infinito che sul tema dell'Olocausto, dell'antisemitismo nel nostro tempo, degli scambi e del confronto organizza migliaia di iniziative. Nel caso nostro, però, come se non fossimo nel 2011, esse rimangono confinate all'interno della classe o della scuola, mentre nel caso dell'imbecille su Youtube diventano di dominio pubblico.
Poiché esiste il problema dell'emulazione, succede che finisce come la storia del bullismo che citavo prima. Noi utilizziamo Youtube solo per raccontare gli episodi di bullismo e finiamo per fare in modo che esso diventi uno strumento di emulazione negativa, perché raccontiamo in questo modo questa generazione ed essa, alla fine, si percepisce così. Non ci poniamo mai il problema di come lo stesso strumento si possa utilizzare per creare emulazione positiva, per diffondere storie belle.
Io ripeto sempre, perché mi ci confronto, che noi dobbiamo capire come si utilizza questo strumento. Partendo da una semplice questione banale che mi hanno suggerito i vostri interventi, ad esempio contattiamo le scuole e cerchiamo di capire come si possa utilizzare il lavoro che ogni anno viene svolto e moltiplicarlo sulla rete. Dopodiché, e su questo mi riservo di svolgere un approfondimento, si possono studiare modi e forme per coinvolgere direttamente i ragazzi che animano la rete in iniziative di controinformazione.
Mi interessa molto il tema dello studio della storia del Medio Oriente. Poiché si diceva che buona parte dell'antisemitismo di oggi è figlia di letture degenerate che attengono al tema della geopolitica, della storia e delle vicende note di politica estera, sicuramente una migliore conoscenza e comprensione di un conflitto molto lungo, molto complesso e molto difficile da capire per tutti, sarebbe opportuna. È in questa ignoranza che si annida buona parte dei nostri problemi. Sicuramente su questo tema - non è di mia competenza diretta e, quindi, mi riservo di consultarmi col Ministro Gelmini - possiamo tentare di aprire un focus all'interno delle scuole per fare in modo che ci sia una comprensione migliore.
È vero che il nostro antisemitismo è figlio prevalentemente di questo problema. Non è un problema razziale, ma soprattutto di rapporto con la politica estera, con la questione mediorientale, con la questione palestinese, con una rappresentazione che viene diffusa e che a volte è al di là dell'immaginabile. Mi pare una questione sicuramente molto interessante e mi riservo in merito di svolgere volentieri un approfondimento.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,05.

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