Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Strumento di esplorazione della sezione Lavori Digitando almeno un carattere nel campo si ottengono uno o più risultati con relativo collegamento, il tempo di risposta dipende dal numero dei risultati trovati e dal processore e navigatore in uso.

salta l'esplora

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Torna all'elenco delle indagini Torna all'elenco delle sedute
Commissioni Riunite
(I e V)
3.
Lunedì 24 ottobre 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEI PROGETTI DI LEGGE C. 4205 COST. CAMBURSANO, C. 4525 COST. MARINELLO, C. 4526 COST. BELTRANDI, C. 4594 COST. MERLONI, C. 4596 COST. LANZILLOTTA, C. 4607 COST. ANTONIO MARTINO, C. 4620 COST. GOVERNO E C. 4646 COST. BERSANI, RECANTI INTRODUZIONE DEL PRINCIPIO DEL PAREGGIO DI BILANCIO NELLA CARTA COSTITUZIONALE

Audizione dei professori Francesco Saverio Bertolini, ordinario di diritto costituzionale, Università degli studi di Teramo, Antonio Brancasi, ordinario di diritto amministrativo, Università degli studi di Firenze, Franco Bruni, ordinario di economia internazionale e di economia monetaria internazionale, Università Luigi Bocconi di Milano, Giuseppe Pisauro, ordinario di scienza delle finanze, Università La Sapienza di Roma, Piero Alberto Capotosti, Presidente emerito della Corte costituzionale, ordinario di giustizia costituzionale, Università La Sapienza di Roma, e Francesco Merloni, ordinario di diritto amministrativo, Università degli studi di Perugia:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 6 9 11 13 20 25 26 28 30 31 32
Bertolini Francesco Saverio, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Teramo ... 6 12 13
Brancasi Antonio, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli studi di Firenze ... 3 11
Bruni Franco, Professore ordinario di economia internazionale e di economia monetaria internazionale presso l'Università Luigi Bocconi di Milano ... 14 26 27 28
Calderisi Giuseppe (PdL) ... 31
Cambursano Renato (IdV) ... 10 25
Causi Marco (PD) ... 30
Merloni Francesco, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli studi di Perugia ... 28 32
Pisauro Giuseppe, Professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università La Sapienza di Roma ... 20 31 32
Tassone Mario (UdCpTP) ... 10 26 27
Zaccaria Roberto (PD) ... 9
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A.

COMMISSIONI RIUNITE
I (AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI) E V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE)

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di lunedì 24 ottobre 2011


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 11,10.
(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione dei professori Francesco Saverio Bertolini, ordinario di diritto costituzionale, Università degli studi di Teramo, Antonio Brancasi, ordinario di diritto amministrativo, Università degli studi di Firenze, Franco Bruni, ordinario di economia internazionale e di economia monetaria internazionale, Università Luigi Bocconi di Milano, Giuseppe Pisauro, ordinario di scienza delle finanze, l'Università La Sapienza di Roma, Piero Alberto Capotosti, Presidente emerito della Corte costituzionale, ordinario di giustizia costituzionale, Università La Sapienza di Roma, e Francesco Merloni, ordinario di diritto amministrativo, Università degli studi di Perugia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva deliberata nel quadro dell'istruttoria legislativa dei progetti di legge C. 4205 cost. Cambursano, C. 4525 cost. Marinello, C. 4526 cost. Beltrandi, C. 4594 cost. Merloni, C. 4596 cost. Lanzillotta, C. 4607 cost. Antonio Martino, C. 4620 cost. Governo e C. 4646 cost. Bersani, recanti introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale, l'audizione dei professori Francesco Saverio Bertolini, ordinario di diritto costituzionale, Università degli studi di Teramo, Antonio Brancasi, ordinario di diritto amministrativo, Università degli studi di Firenze, Franco Bruni, ordinario di economia internazionale e di economia monetaria internazionale, Università Luigi Bocconi di Milano, Giuseppe Pisauro, ordinario di scienza delle finanze, Università La Sapienza di Roma, Piero Alberto Capotosti, Presidente emerito della Corte costituzionale, ordinario di giustizia costituzionale, Università La Sapienza di Roma, e Francesco Merloni, ordinario di diritto amministrativo, Università degli studi di Perugia.
Do, quindi, la parola al professor Antonio Brancasi dell'Università degli studi di Firenze.

ANTONIO BRANCASI, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli studi di Firenze. Ringrazio le Commissioni dell'opportunità che mi viene data di contribuire ai loro lavori e di poter esprimere la mia opinione su questi temi.
Ho preparato per l'occasione un breve scritto che deposito agli atti delle Commissioni riunite e a cui rinvio per circoscrivere al massimo il mio intervento. Mi limiterò, quindi, a sintetizzare i passaggi del ragionamento attraverso il quale ho cercato di rispondere ai quesiti che mi sono stati inviati, in particolare quelli relativi ai profili economico-finanziari. Procederò per semplici affermazioni, sulle


Pag. 4

quali, se interessa, mi riservo di tornare per fornire giustificazioni e ogni eventuale chiarimento.
A mio parere, il problema del rientro del debito pubblico va tenuto nettamente distinto dalla questione della modifica della Costituzione per introdurre nuove regole di finanza pubblica. Il primo è un problema contingente, di natura congiunturale, da risolvere con disposizioni destinate ad avere un'efficacia limitata al tempo necessario per raggiungere l'obiettivo che si vuole perseguire, che immagino sia il rientro del debito pubblico entro il limite del 60 per cento del PIL.
La questione, invece, di nuove regole costituzionali di finanza pubblica va affrontata con regole tendenzialmente stabili, come sono quelle costituzionali, rivolte a impedire che, una volta completata l'operazione di risanamento della finanza pubblica, ci si possa in futuro trovare nuovamente in una situazione analoga all'attuale.
Le due tipologie di regole richiedono entrambe una medesima precisazione: per poter presentare rilievo giuridico queste regole non possono riguardare un aggregato di enti e amministrazioni, ma devono costituire prescrizioni rivolte ai singoli enti e alle singole amministrazioni individualmente considerate.
Per le regole congiunturali, quelle relative al rientro del debito pubblico, si pongono due ordini di problemi: con quale tipo di atti stabilirle e quale contenuto dare loro. Quanto agli atti, il vero problema riguarda la loro capacità di vincolare le leggi e il bilancio dello Stato. Nei confronti delle regioni e degli enti locali lo strumento esiste già e si tratta delle leggi di coordinamento della finanza pubblica. Per lo Stato può valere la soluzione francese e spagnola di introdurre in Costituzione la previsione di una legge rinforzata, che stabilisca le regole da seguire per il e fino al rientro del debito pubblico.
Una delle tecniche da utilizzare per ottenere questo rafforzamento potrebbe essere una maggioranza qualificata per l'approvazione della legge, ma escluderei i due terzi perché rappresentano la stessa maggioranza richiesta per modificare la Costituzione senza un referendum. Introdurre in Costituzione una norma che preveda una legge rinforzata con la stessa maggioranza della revisione costituzionale, a mio parere, sarebbe un controsenso. Si potrebbe pensare ad una maggioranza dei tre quinti e, come ulteriore misura, alla previsione in Costituzione che per l'abrogazione delle disposizioni di tale legge sia necessaria una dichiarazione abrogativa espressa da parte del successivo legislatore.
Sul versante, invece, del tipo di percorso che potrebbe essere prescritto, bisogna ricordare che questo era già stato tracciato dall'Unione europea. La ricetta era incentrata su due condizioni: realizzare tassi di crescita superiori ai tassi di interesse e avere saldi di finanza pubblica in avanzo primario. Questa era la regola che ci ha permesso di entrare nell'euro.
La condizione del differenziale dei due tassi di interesse avrebbe consentito di pagare gli interessi per il debito pregresso mediante l'aumento delle entrate prodotto dalla crescita economica. La condizione, invece, dell'avanzo primario avrebbe permesso di disporre di un'eccedenza di risorse per rimborsare parte dei titoli in scadenza senza rinnovarli e avrebbe, quindi, consentito una riduzione del debito complessivo. Tutto questo avrebbe poi innestato un meccanismo di riduzione geometrica del debito complessivo.
Questa ricetta ha cessato di funzionare perché i tassi di crescita sono inferiori ai tassi di interesse. A fronte di ciò e a seconda, a mio parere, delle opzioni di teoria economica, o viene riproposta, rendendola praticabile, la ricetta di un tempo oppure la si corregge. La soluzione di riproporla richiede di puntare sulla crescita, che proprio la riduzione della spesa pubblica potrebbe ostacolare o quanto meno non favorire.
La seconda soluzione, invece, richiede di stabilire una regola che prenda atto che ormai non si può più fare affidamento sulla crescita per pagare gli interessi del pregresso indebitamento: la soluzione potrebbe allora consistere nel vincolo a far


Pag. 5

fronte con le entrate finali, vale a dire tutte le entrate escluse quelle da indebitamento, a tutte le spese finali e anche a una parte di quelle relative al rimborso di prestiti. In altri termini, il vincolo ad avere un saldo netto da impiegare o, in presenza di un ciclo negativo, un pareggio del saldo netto.
Una regola del genere, pur essendo meno rigida del vincolo al pareggio, potrebbe risultare in realtà impraticabile perché graverebbe su ciascun ente, rendendo in tal modo impossibile sfruttare quelle compensazioni consentite dal Patto di stabilità interno fra settori in avanzo e settori in disavanzo.
Due sono, allora, le soluzioni immaginabili. La prima, a mio parere difficilmente praticabile e che rappresenta quasi una provocazione, sarebbe quella di trasferire alle autonomie territoriali, principalmente alle regioni, parte del debito dello Stato; la seconda consisterebbe, invece, nel prevedere trasferimenti finanziari da regioni ed enti locali allo Stato o, quanto meno, nel provvedere, con le disposizioni di coordinamento della finanza pubblica, a congelare e riservare allo Stato alcuni cespiti riconosciuti a regioni ed enti locali dalle disposizioni sul cosiddetto federalismo fiscale.
Quanto poi al secondo tipo di regole, quelle di natura non congiunturale da inserire direttamente nell'articolo 81 della Costituzione, io escluderei decisamente le due soluzioni ricorrenti nei disegni di legge presentati in questi mesi, sia quella di costituzionalizzare i vincoli già previsti a livello europeo sia quella del pareggio di bilancio. Sulla giustificazione di questa mia posizione potrò semmai tornare, se interessa. Sono convinto che una disciplina non congiunturale dell'indebitamento più che vietarlo dovrebbe sottoporlo a uno scrutinio di sostenibilità patrimoniale e finanziaria. Non si tratta, perciò, di vietare l'indebitamento, ma di renderlo sostenibile, di ammetterlo in quanto sostenibile.
La sostenibilità patrimoniale andrebbe accertata valutando gli effetti che l'impiego delle risorse procurate dall'indebitamento è in grado di generare sullo stato patrimoniale della pubblica amministrazione, con l'avvertenza, però, che lo stato patrimoniale andrebbe definito superando le categorie proprietarie, in modo da considerare come attività del patrimonio non soltanto la ricchezza dell'amministrazione, ma anche quella che l'amministrazione crea e ha creato in capo alla collettività. Dietro la sostenibilità patrimoniale dell'indebitamento vi è l'equità intergenerazionale, che può essere garantita riservando a determinati impieghi le risorse reperite con l'indebitamento.
La sostenibilità finanziaria sta a indicare, invece, la capacità di fronteggiare le future spese di ammortamento senza dover ricorrere all'indebitamento. Ma non vi è concettualmente motivo di trattare queste spese di ammortamento diversamente da qualsiasi altra spesa pluriennale. A questo fine vi è già l'obbligo della copertura finanziaria, che si riferisce, come indicato nella sentenza n. 1 del 1966 della Corte costituzionale, anche alle spese destinate a gravare sugli esercizi successivi.
Semmai, l'unico aggiustamento da fare in Costituzione sarebbe modificare il quarto comma dell'articolo 81 in modo da estendere l'obbligo della copertura finanziaria anche al bilancio, oltre che alle leggi diverse dal bilancio, per la parte in cui esso decida di ricorrere all'indebitamento.
Infine, una regola di chiusura rivolta a garantire l'equilibrio dei conti è quella di estendere anche allo Stato il principio, comune a tutti gli enti pubblici, che i risultati di un esercizio, positivi o negativi che siano, si scaricano sull'esercizio successivo e non, come attualmente avviene, sulla gestione di tesoreria. Ciò comporta, però, una riforma anche contabile della gestione di tesoreria, che oggi è fuori dal bilancio.
Un ultimo problema è quello dei controlli relativi all'osservanza di entrambi i tipi di regole, sia quelle costituzionali sia quelle congiunturali interposte alla Costituzione, la cui violazione comporterebbe un'incostituzionalità pur trovandosi esse non in Costituzione, ma nella legge rinforzata.


Pag. 6


Penso che per ipotesi del genere non sia sufficiente prevedere il ricorso in via principale alla Corte costituzionale. Nel caso del bilancio serve a ben poco sanzionare a posteriori l'incostituzionalità. Ritengo sia necessario operare in via preventiva, e a questo fine mi sembra interessante la soluzione di rafforzare il controllo del Presidente della Repubblica e di prevedere la necessità di una maggioranza particolarmente qualificata per la riapprovazione delle leggi rinviate per la violazione di queste regole.
Una soluzione del genere trarrebbe giustificazione, a mio parere, non dal grado di gravità di questo tipo di illegittimità, perché ci sono ben altri e più gravi profili di illegittimità delle leggi, quanto dall'incapacità degli strumenti ordinari di scongiurare il carattere irreversibile degli effetti prodotti da questa illegittimità che, una volta entrato in vigore il bilancio, non sarebbero più recuperati.

PRESIDENTE. Grazie, professore. Il suo intervento mostra come sull'argomento oggetto delle nostre audizioni ci sia una grande varietà di opinioni.
Do la parola al professor Bertolini dell'Università degli studi di Teramo.

FRANCESCO SAVERIO BERTOLINI, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Teramo. Grazie dell'invito. Seguirò i quesiti posti dalle Commissioni, che muovono dalla questione di una riformulazione dell'articolo 11 della Costituzione dal punto di vista dei vincoli europei di natura economico-finanziaria.
A me sembra che il problema non sia urgente perché questo tipo di vincoli per propria natura non è auto-applicativo. Siccome la valenza delle norme costituzionali che riconoscono i vincoli comunitari sta nel fatto di creare meccanismi di auto-applicazione delle norme comunitarie, in questo caso il problema, secondo me, non si pone. In realtà, se si riflette, si nota che l'attuale procedimento instaurato per far valere i vincoli come costituzionali è conseguenza del fatto che si tratta di vincoli che l'Europa non è in grado di far valere.
I vari progetti di legge presentati intendono sostanzialmente far valere come interno e costituzionale un vincolo che, dal punto di vista comunitario, non può essere fatto valere sul piano giuridico. La conseguenza è che questo tipo di vincolo, che tocca il cuore della sovranità dello Stato, vale a dire le politiche di bilancio, finisce per scaricarsi sul controllo di costituzionalità, il che, dal punto di vista costituzionalistico, può effettivamente sollevare qualche motivo di riflessione.
Considerando i progetti presentati, il nuovo limite costituzionale che si vuole introdurre colpirebbe precisamente la legge di bilancio perché, mentre le leggi di spesa sono tuttora sottoposte al vincolo di costituzionalità, la legge di bilancio non lo è. Inoltre, i nuovi vincoli che si stabilirebbero sarebbero di due tipi.
Il primo è un vincolo materiale, cioè contenutistico, in base al quale il bilancio non potrebbe più scrivere liberamente certe grandezze, come avviene adesso. Come insegna il professor Brancasi, il compito della legge di bilancio è stabilire gli equilibri; oltre a questo, attualmente non esistono per la suddetta legge altri limiti. La Costituzione, invece, prescriverebbe che il bilancio non possa più fissare certi equilibri e indicherebbe dei canoni predeterminati. Il primo aspetto, quindi, è un controllo materiale sulle leggi di bilancio.
Il secondo vincolo completamente nuovo per la legge di bilancio sarebbe di tipo procedurale. Finora, la legge di bilancio è stata una legge come tutte le altre. I limiti sostanziali del procedimento, limiti che probabilmente funzionano grazie all'intreccio con i Regolamenti parlamentari, sono regolati dalla disciplina prevista per la legge finanziaria, oggi legge di stabilità, per la quale vige comunque il principio della legge posteriore. Invece, tutti i progetti presentati, specialmente i due che ho preso in considerazione, cioè quello del Governo e quello a firma dei parlamentari del Partito democratico, prevedono che le regole di bilancio siano fissate con legge


Pag. 7

rinforzata. A questo punto, la legge di bilancio sarebbe sindacabile anche nel suo procedimento perché, laddove non rispettasse le regole previste in questa legge, diventerebbe incostituzionale.
Dal punto di vista del contenuto, i vari progetti disegnano il limite costituzionale in modo diverso o come limite rigido, per esempio come obbligo di pareggio fissato direttamente in Costituzione, o come limite più flessibile, che prende, per esempio, in considerazione i cicli economici e, quindi, le fasi di recessione e di espansione. Il progetto del Partito democratico rimanda questo limite a una non meglio specificata deliberazione che le Camere dovrebbero assumere a maggioranza assoluta dei componenti - ma non si capisce se si tratti o meno di una legge - che fissi i saldi da seguire per adeguarsi ai vincoli comunitari.
Questo insieme di limiti materiali e procedurali alla legge di bilancio nasconde, come dicevo prima, il punto rilevantissimo della perdita di una sovranità piena dello Stato sulle politiche di bilancio. Ma chi dovrebbe controllare tutto questo? Non essendo fatti valere come vincoli europei, ma come vincoli costituzionali - perché pare che attualmente non ci sia altra strada - il tutto finirà per scaricarsi sulla Corte costituzionale. Correttamente, mi pare, il professor Brancasi sottolineava che il problema non cambia se questi limiti vengono posti in una legge rinforzata perché sono comunque sottoposti al controllo di costituzionalità.
Come costituzionalista, io prendo sul serio questo tipo di vincoli. Si potrebbe anche pensare che con queste leggi si voglia raggiungere un «effetto apparenza» per tranquillizzare i mercati. Invece, io prendo sul serio il fatto che domani questi vincoli saranno inseriti in Costituzione. La Corte Costituzionale sarà in grado di compiere tale controllo? La questione si può considerare almeno da tre punti di vista: il modo in cui arrivarci, a cui accennava il professore Brancasi, il parametro di giudizio che la Corte si troverà a utilizzare, e gli effetti del giudizio.
La nostra Corte costituzionale si è espressa su alcune leggi di spesa e ha già utilizzato, come parametro nel suo giudizio, l'articolo 81 della Costituzione. Tuttavia, nella stragrande maggioranza delle sentenze nelle quali la Corte ha dichiarato l'incostituzionalità per violazione dell'articolo 81, il giudizio aveva ad oggetto leggi regionali su ricorso del Governo. Questa competenza della Corte ha, cioè, funzionato come strumento di controllo sulle spese regionali. Sono, invece, rarissimi - io ne ho contati solo due, ma forse ce ne sarà qualcuno in più - i casi in cui la Corte è arrivata a dichiarare illegittima una spesa fissata dalla legge dello Stato. Da questo punto di vista, non esiste una vera esperienza di controllo sulle leggi di spesa, con l'aggravante che in questo caso il problema riguarderebbe addirittura la legge di bilancio.
Quanto ai modi di accesso, il problema delle leggi di spesa è noto. Il Governo può ricorrere contro leggi regionali, ma non esiste alcun meccanismo inverso. L'unico accesso è quello in via incidentale durante un giudizio, ma le leggi di spesa non sono direttamente applicabili in giudizio, e questa è una prima difficoltà. Alcuni progetti di legge, per esempio quello del Partito democratico, prevedono un accesso diretto da parte della Corte dei conti. Questo sistema è coerente con il progetto del Partito democratico, che prevede che la legge di bilancio si adegui alla deliberazione sui saldi che emette il Parlamento, ma nel progetto del Governo, per esempio, questo sistema di ricorso diretto funzionerebbe?
Il progetto del Governo prevede che la legge di bilancio ricorra al disavanzo in caso di cicli congiunturali sfavorevoli. Quando si chiede agli economisti come si fa capire se un ciclo congiunturale è sfavorevole, la loro risposta sposta più in là il parametro di giudizio della Corte, che diventerebbe piuttosto generico o meglio frutto di un calcolo dinamico e opinabile.
È vero che gli economisti sostengono l'esistenza di criteri utilizzabili - l'Unione europea ne usa alcuni e altri fanno riferimento a un istituto di ricerca nordamericano -


Pag. 8

però mi viene spontaneo domandarmi dopo quanto tempo si riesca a capire se il ciclo è davvero sfavorevole. Quanto dovrebbe aspettare la Corte per determinare se il bilancio ha fatto bene ad adeguarsi a un ciclo sfavorevole? A mio parere, tali questioni si pongono oggettivamente.
Aggiungo che, mentre gli uffici delle Camere hanno strumenti adeguati per questo tipo di controllo, la Corte non ha quasi niente da questo punto di vista. La Corte si è dotata di un ufficio in grado di valutare l'onere derivante dalle proprie sentenze a seguito delle polemiche che sono succedute negli anni Settanta e Ottanta alle pronunce che ampliavano la spesa. La Corte creava un onere privo di adeguata copertura finanziaria. Come sappiamo, erano sentenze che producevano leggi a loro volta incostituzionali.
La Corte ha creato un ufficio che compie questo controllo, ma, per la mia esperienza, non possiede strumenti che le consentirebbero di verificare la rispondenza a un parametro di questo genere. Nello scaricare tale compito alla Corte, il Parlamento vuole farsi carico di queste questioni o intende lasciarle completamente all'autorganizzazione della Corte? Da costituzionalista, credo, quindi, che ci siano diversi problemi da porsi o quanto meno sui quali riflettere.
Per quanto riguarda gli effetti del giudizio, di nuovo emergono una serie di punti interrogativi. Se la Corte costituzionale annulla una legge di spesa, la conseguenza è che quella spesa non si può più effettuare. Se ben capisco i progetti di legge in esame, anche la legge di bilancio potrebbe stabilire una variazione degli oneri diventando così una legge contenutistica.
Inoltre, come sarà predisposto il bilancio, dal momento che possiede un principio di unità? Nella legge di bilancio si potrà trovare la corrispondenza fra maggiori oneri e mancata previsione della provvista di mezzi finanziari o confluirà tutto in un unico calcolo finale? Se fosse così, qualsiasi violazione del principio della corrispondenza fra spese e mezzi per farvi fronte colpirebbe il bilancio nella sua interezza. Lo stesso varrebbe per i limiti procedurali: se la legge di bilancio violasse un limite procedurale, la legge nel suo complesso presenterebbe un vizio formale.
Che la Corte annulli una legge di bilancio francamente faccio fatica a immaginarlo, sia per i problemi sottolineati dal professor Brancasi sia perché, a rigore, dovrebbe derivarne l'inapplicabilità della legge di bilancio. È un'ipotesi immaginabile? Per me no. Da questo punto di vista occorrerebbe innanzitutto prevedere modi di accesso adeguati al tipo di giudizio della Corte, partendo, per esempio, dal fatto che si riconosce alla Corte dei conti la possibilità di sollevare la questione nel giudizio di parificazione. Ciò riguarderebbe sia il rendiconto sia il bilancio preventivo, quindi la strada potrebbe essere aperta in questo senso.
Diversamente, si potrebbe sia indirizzare la Corte verso un'autorganizzazione che consenta tale controllo sia prevedere effetti delle declaratorie di legittimità diversi da quelli attuali. Una sentenza di mero accertamento dell'incostituzionalità, ad esempio, potrebbe aiutare la Corte a decidere senza produrre, nel contempo, l'effetto di una paralisi del sistema, perché una volta annullata la legge di bilancio verrebbe meno l'autorizzazione a effettuare le spese e a riscuotere le entrate.
Se le Commissioni ritengono, potrei aggiungere due parole sul rapporto tra le altre fonti, un altro aspetto oggetto dei quesiti. È degno di interesse il fatto che sia il progetto del Governo sia quello presentato dal principale partito d'opposizione prevedono una legge rinforzata, o addirittura «rinforzatissima», laddove sono richiesti i due terzi dei componenti per dettare le regole del bilancio.
Per quanto attiene al rapporto con le altre fonti, io direi che si tratterebbe di una legge ordinaria, anche se rinforzata, e quindi subordinata all'articolo 81 della Costituzione, ma superiore alle altre leggi per i motivi noti, e in particolare alla legge di bilancio. Non vedo problemi di compatibilità con i decreti-legge perché la nostra


Pag. 9

Corte costituzionale esclude che in ragione della necessità il decreto-legge possa andare contra constitutionem.
Più curioso, nel progetto del Governo, è il rapporto fra questa legge a maggioranza dei due terzi e l'ipotesi della deliberazione di stato di necessità adottata dalle Camere che permetterebbe lo scostamento dal principio del pareggio. Il rapporto tra i due atti è curioso perché la legge a maggioranza qualificata sarebbe derogabile con una deliberazione a maggioranza assoluta. A questo riguardo sarebbe effettivamente necessario prevedere un migliore incastro tra le fonti.
Mi sembrerebbe oltre tutto logico che tale deliberazione fosse approvata con legge, l'unico modo in cui alla mera dichiarazione dello stato di necessità possano essere aggiunti altri elementi, come, per esempio, la durata dello stato di necessità, secondo l'impostazione del professor Brancasi, oppure altre indicazioni da dettare nell'occasione. Se le due Camere volessero individuare ulteriori prescrizioni, l'unica forma diventerebbe quella della legge.
Oltre a ciò, le Commissioni chiedono espressamente di sapere se esistano altre fonti utilizzabili oltre alla legge «rinforzatissima». I parlamentari presenti sanno benissimo che, da quando è stato previsto che le leggi di amnistia e indulto fossero approvate con quella maggioranza, in sostanza non se ne sono più fatte, perciò queste disposizioni sollevano qualche perplessità. Si potrebbe supporre di utilizzare la stessa legge costituzionale che novella la Costituzione in modo che le regole sul bilancio non siano introdotte in Costituzione, ma in una legge costituzionale che, per una parte, innoverebbe la Costituzione e, per l'altra, detterebbe le nuove regole.
Se proprio si volesse instaurare un principio di assicurazione reciproca fra le due parti, si potrebbe anche prevedere che la legge costituzionale sia modificata dalla legge ordinaria approvata a maggioranza dei due terzi, sia cioè decostituzionalizzata. Questo avrebbe il vantaggio di permettere al Parlamento non solo di dire cosa intenda fare, ma di farlo direttamente, il che tutto sommato non sarebbe un male.
In conclusione, merita attenzione il quesito con cui le Commissioni chiedono di sapere se si può introdurre, fra le materie di competenza legislativa non concorrente ma esclusiva dello Stato, il coordinamento della finanza locale. In astratto, non avrebbe molto senso perché il coordinamento, per definizione, è costituito da principi, che rimangono tali anche se diventano di competenza esclusiva. C'è, però, una differenza sostanziale che deriva dalla giurisprudenza della Corte, la quale esclude il ricorso ad atti amministrativi del Governo nelle materie concorrenti e lo consente nelle materie esclusive.
Proprio in materia di finanza degli enti locali, c'è una sentenza recente della Corte. Il Governo con un decreto-legge aveva stabilito di disciplinare l'assoggettamento delle società partecipate al Patto di stabilità interno in questi termini: «le società partecipate degli enti locali sono assoggettate al Patto di stabilità interno secondo le modalità di attuazione previste dal Governo con proprio regolamento». La Corte ne ha dichiarato l'illegittimità perché la materia è concorrente; se fosse stata esclusiva, il Governo avrebbe potuto farlo.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Bertolini. Do la parola ai colleghi che vogliano porre quesiti o svolgere osservazioni.

ROBERTO ZACCARIA. Volevo soltanto certificare che tutti e due i professori auditi parlano dell'articolo 81 della Costituzione. Mi pare, quindi, che, ove si toccasse la Costituzione, vi sia una preferenza perché sia fatto sull'articolo 81 e non sul 53. Questo per me non è un fatto secondario perché intervenire sull'articolo 53 significherebbe modificare la prima parte e far nascere diritti condizionati. Volevo averne la conferma e mi pare di averla avuta.
Con riferimento all'intervento del professor Brancasi, che distingue giustamente rientro del debito e nuove norme di finanza


Pag. 10

pubblica come due fasi distinte, vorrei chiedere che cosa osterebbe, rispetto all'impostazione da lui proposta, se inserissimo nell'articolo 81 della Costituzione una norma leggera, di principio, come quella a cui accennava il professore riguardo alla copertura estesa al bilancio, che si riferisse alla seconda delle due fasi - diverse concettualmente, ma non per forza cronologicamente - stabilendo che si persegue l'equilibrio qualificando l'indebitamento e lasciando a una legge rinforzata gli altri contenuti.
Quanto alla legge rinforzata, mi pare che entrambi gli interventi raccomandino di fare attenzione alle maggioranze qualificate troppo alte. Io sono d'accordo, ma questa legge rinforzata potrebbe farsi carico di molto di ciò che non si mette bilancio nella Costituzione. Volevo sapere dal professor Brancasi se ritiene che i due momenti possano essere unificati.

RENATO CAMBURSANO. Ringrazio i professori per le ottime relazioni.
Come loro avranno potuto constatare, la prima proposta di legge, che mi vede come primo firmatario, voleva essere più che altro uno stimolo ai colleghi e risale al 23 marzo scorso.
Più auditi ascoltiamo più i pareri sono in toto o in parte contrastanti. Questo rientra nella varietà del pensiero, ma anche delle culture che stanno a monte di queste posizioni. Io non sono un costituzionalista né un cultore del diritto, ma mi occupo di finanza. Credo che, al di là dei problemi corretti che sono stati posti soprattutto dai costituzionalisti, si imponga oramai da mesi la necessità di procedere nella direzione indicata dal Patto euro plus.
Che lo si facesse attraverso una modifica della Costituzione o altro strumento idoneo, così come suggerito, era una scelta che spettava ai singoli Paesi. Noi non abbiamo fatto né l'una né l'altra cosa. Come evidenziato anche dal presidente Giorgetti, il fatto che ci troviamo nella condizione di sentirci costantemente chiedere dal partner forte, la Germania, aggiornamenti sull'introduzione del vincolo del pareggio di bilancio è lì a confermarlo.
Altri auditi hanno sostenuto che nel corso del dibattito in sede costituente il vincolo del pareggio fosse già insito nell'articolo 81. Non è stato tradotto in lettera, ma nello spirito sicuramente c'era e quindi non esisterebbe lo «scandalo» che, invece, altri vedono nell'introduzione di questa norma costituzionale.
A me interessa molto di più, se mi permettono, chiedere a entrambi sin dove possiamo spingerci nel modificare. Io sono per cambiare esclusivamente la parte seconda della Costituzione e per non toccare né l'articolo 11 né l'articolo 53, inserendo, come ho fatto, tutte le nuove disposizioni nell'articolo 81. Semmai si potrebbe ampliare, con riferimento al coinvolgimento di autonomie locali e regioni nel raggiungimento del pareggio di bilancio, l'articolo 117 dalla Carta costituzionale ovvero l'articolo 119.
Vorrei sapere a tale proposito quali deroghe al pareggio potrebbero essere introdotte nella Costituzione. C'è chi ha suggerito che per l'Italia in questo momento valga ancora la famosa golden rule, altri invece, come si legge nella proposta governativa, ma anche in quella del Partito democratico, prevedono alcune eccezioni quali il ciclo avverso, o gravi eventi.
Vorrei conoscere l'opinione dei professori su questo fronte.

MARIO TASSONE. Intervengo semplicemente per una battuta, dopo aver dato atto ai professori di un'esposizione articolata e complessa. Ho constatato nelle relazioni dei professori Bertolini e Brancasi lo sforzo di presentare una serie di confronti, di tendenze e di approdi dottrinali.
La mia domanda sarà prosaica. Dopo aver letto, ad esempio, questo confronto con le leggi rinforzate di Spagna e Francia, mi pare che le loro valutazioni, e non poteva essere diversamente, sconfinino nel dato politico, nel contingente, ma qui ci troviamo di fronte a una dimensione diversa. Si parte dalla valutazione del debito pubblico e si tenta di esorcizzare il tutto attraverso una modifica dell'articolo 81


Pag. 11

della Costituzione. Questo è il dato in sintesi.
Al di là della non omologabilità delle nostre normative, anche di rango costituzionale, con quelle di altri, è un percorso, questo della modifica dell'articolo 81 e della previsione dell'equilibrio di bilancio attraverso il dettato costituzionale, che ritenete giusto e legittimo? Sembrerà una domanda banale, ma ho voluto premettere che ci riferiamo a un dato politico contingente.
Potremmo discutere dei cicli economici, della difesa dei diritti e dei sacrifici. Una situazione di equilibrio dello Stato, di giustizia, in senso più ampio si tradurrebbe di riflesso in ingiustizia rispetto alla mancata garanzia di diritti che dovrebbero, invece, essere garantiti e che sono previsti dalla Costituzione. Si tratta di una previsione costituzionale che potrebbe avere insita una violazione.
Chiedo scusa per l'eventuale confusione, ma ho cercato di esprimere il mio parere affinché voi capiste qual è il mio pensiero rispetto alle proposte di modifica dell'articolo 81.

PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi che sono intervenuti e do la parola ai nostri ospiti per la replica.

ANTONIO BRANCASI, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli studi di Firenze. La prima domanda riguardava la parte della Costituzione sulla quale intervenire. Io escluderei assolutamente di mettere mano alla prima parte della Costituzione perché essa serve ad affermare valori. Pareggio ed equilibrio di bilancio riguardano semmai il modo in cui perseguire dei valori. Vogliamo porre il pareggio come valore a cui tendere al di sopra di qualcos'altro? A mio parere, lo si può immaginare come un modo o un limite attraverso cui perseguire dei valori e non come valore in sé.
Più delicata mi sembra l'altra domanda relativa all'ipotesi di inserire nell'articolo 81 un principio di perseguimento dell'equilibrio di bilancio rinviando a una legge rinforzata la definizione di ciò che debba essere. Se prendiamo sul serio l'espressione «perseguire l'equilibrio», io non condivido questo modo di procedere perché, ancora una volta, non può essere un metodo stabile di operare. Può essere un obiettivo che ci prefissiamo perché oggi il Paese ha questo problema che, tra l'altro, ci espone a un ricatto a livello europeo. Se il debito pubblico fosse pari zero, riterremmo necessario introdurre in Costituzione il divieto di indebitarsi o un certo equilibrio? La mia idea è quindi separare i due aspetti.
Detto questo, però, nell'articolo 81 ci dovrebbe essere non soltanto la previsione di questa legge rinforzata, ma anche l'indicazione della missione a termine che le viene assegnata. In questa chiave, quella del risanamento, si ripropone il perseguimento dell'equilibrio. L'articolo 81 dovrebbe, quindi, essere modificato per prevedere la legge rinforzata e per stabilire la missione della legge rinforzata.
L'idea che io avrei della legge rinforzata è diversa da quella che traspare dai progetti di legge oggetto del nostro esame, dove il problema è posto in considerazione delle prescrizioni di natura tecnica che questa legge dovrebbe contenere. Si dice che queste prescrizioni non possano stare in Costituzione, ma le si immagina come prescrizioni stabili, che non possono entrare nella Costituzione solo perché sono tecniche. Secondo il mio discorso, la legge rinforzata dovrebbe essere invece una legge a termine, magari con una durata di parecchi anni, ma finalizzata a quell'obiettivo, come del resto risulta dalle soluzioni spagnola e francese. La vedo come una legge che stabilisce degli obiettivi da raggiungere e che, una volta raggiunti, non ha più ragione d'essere.
Incidentalmente passo alle altre domande. Io sono convinto che l'attuale formulazione dell'articolo 81 non comporti assolutamente, checché ne dicesse Einaudi, il pareggio di bilancio. I lavori alla Costituente furono estremamente stringati su questo punto e riguardarono in realtà tutt'altro problema, cioè quello dell'iniziativa parlamentare di spesa; poi nel coordinamento finale confluì tutto nell'articolo 81.


Pag. 12

Einaudi pronunciò una famosa frase, certo. Tuttavia, mi dispiace per Einaudi, ma se si voleva garantire il pareggio bisognava sottoporre all'obbligo della copertura anche il bilancio. L'espressione «ogni altra legge» diversa dal bilancio conferma che il risultato del pareggio non si può far discendere dalla Costituzione.
Non mi si dica che in realtà il bilancio non può aumentare le spese perché questo non è mai avvenuto. Non si è mai pensato, ad esempio, di prevedere che le spese di funzionamento dell'amministrazione fossero stabilite da un'apposita legge che indicasse la copertura. È sempre stato il bilancio a stabilire le spese di funzionamento. Un principio come quello del pareggio del bilancio è un principio forte, non è qualcosa che ripristina un'elusione verificatasi in questi anni.
Per quanto riguarda le deroghe al pareggio, l'ipotesi di una norma che prescriva stabilmente il pareggio non mi convince perché non ne vedo la giustificazione. Qual è la giustificazione di impedire l'indebitamento? Ancora una volta dovremmo immaginare che il debito sia pari a zero. È curioso leggere questi disegni di legge perché il debito pubblico viene criminalizzato come fattore di politica keynesiana. Quando poi si impatta sugli enti locali, in molte di queste proposte si prevede che gli enti locali possano indebitarsi perché si percepisce che, attraverso il debito, si possono effettuare spese utili.
Vorrei essere provocatorio sul punto: il debito pubblico è il modo per far pagare alle generazioni future la ricchezza che si lascia loro, come quando, ad esempio, un padre accende il mutuo per comprare la casa al figlio. Stiamo attenti a non buttare il bambino con l'acqua sporca! È meglio parlare, quindi, di sostenibilità patrimoniale.
Io preferisco una golden rule, cioè una regola che stabilisca che le risorse si impiegano per gli investimenti, con l'avvertenza di definire che cos'è un investimento. La definizione che ha dato la legge finanziaria di qualche anno fa, secondo cui gli investimenti ai fini dell'indebitamento sono soltanto gli investimenti diretti, ha prodotto la conseguenza che gli enti locali si possono indebitare, ad esempio, per rifare la sede del Consiglio comunale, ma non per finanziare l'economia. Bisogna mettere mano a una logica non più proprietaria.
L'ultima domanda era relativa all'esorcizzare il terrore della situazione in cui ci troviamo attraverso la modifica dell'articolo 81. Direi che più che esorcizzare dovremmo trovare, attraverso una legge rinforzata, un percorso di rientro. Io esorto a dotarci di regole per uscirne più che a immaginare che il debito pubblico sia sempre e comunque, in qualsiasi contesto, un valore negativo.
Spero di avere risposto esaurientemente alle vostre domande.

FRANCESCO SAVERIO BERTOLINI, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Teramo. Per quel che riguarda la sistematicità di questa innovazione, per la verità il fatto che la prima parte della Costituzione riguardi i diritti e doveri non mi impedisce di ritenere che potrebbe invece essere adeguata anche una modifica dell'articolo 53. In quell'articolo è infatti stabilito che tutti noi dobbiamo contribuire alle spese; lo Stato, dall'altra parte, si impegnerebbe a utilizzare queste spese in modo adeguato ed equilibrato. Si può fare riferimento espresso al principio dell'equità intergenerazionale.
La sensazione che il debito pubblico abbia bruciato le ricchezze attuali a scapito delle generazioni future è una sensazione forte, quindi non trovo che la prima parte la Costituzione sia inadeguata a un impegno dello Stato, cioè della collettività organizzata-Stato, nei confronti dei singoli consociati.
Per quel che riguarda la necessità che qualcosa vada fatto comunque, non vorrei essere stato frainteso. Quando ho sollevato perplessità sul controllo di costituzionalità, non volevo con questo dire che l'articolo 81 non debba essere modificato. Intendevo dire che bisogna considerare le conseguenze al momento di farlo. Se si mette


Pag. 13

sulle spalle della Corte costituzionale un controllo di questo genere, occorre riflettere. Non entro nel merito dell'operazione, valuto solo le conseguenze formali.
Quanto ai limiti e alla derogabilità del principio del pareggio, i limiti formali non riguardano il deficit, ma l'indebitamento. Il Patto euro plus ha una valenza politica e le regole sono quelle del Patto di stabilità che conosciamo tutti: il deficit al 3 per cento del PIL e il debito al 60 per cento. Se questo giustifichi politicamente un'azione così rigorosa sull'articolo 81, non credo di avere la veste adatta per dirlo. Certamente, l'obbligo di pareggio non c'è perché il Patto di stabilità non lo prescrive. È una scelta autonoma della Repubblica italiana di vincolarsi più di quanto chieda l'Europa.
Sulla modifica in sé e per sé dell'articolo 81 a fronte della garanzia di diritti costituzionali, sicuramente potrebbe crearsi una situazione paradossale tale per cui l'obbligo di bilancio incide su situazioni garantite per legge. Bisogna fare al riguardo un piccolo ragionamento. La Costituzione tutela i diritti fondamentali, però non può stabilire il loro contenuto specifico, questo è chiaramente impossibile. Quando la Corte costituzionale agisce sulle leggi perché non garantiscono diritti costituzionali, si avvale in realtà della legislazione esistente, da cui ricava il livello dei diritti costituzionalmente garantiti.
Da questo punto di vista, come loro sanno, il meccanismo «taglia-spese» che è stato individuato negli ultimi anni è stato giudicato con perplessità perché lascia in mano a un ministro il potere di bloccare spese garantite dalla legge. La Corte costituzionale si troverebbe in una situazione analoga. Formalmente risolverebbe il problema annullando la legge, mentre il ministro si limita a sospenderla, ma è chiaro che la sua posizione sarebbe delicata, il che significa che, se si vuole compiere questa operazione senza creare tali attriti, bisogna rivedere al ribasso la legislazione sui diritti fondamentali. Del resto, si distribuisce la ricchezza che c'è, non quella che non c'è.
Al riguardo, come indicazione, forse un po' di gradualità sarebbe opportuna. L'unica cosa che dico non come studioso ma come cittadino è che quest'obbligo di pareggio così improvviso dopo quasi quarant'anni di deficit fa un po' effetto.

PRESIDENTE. Questo è l'elemento cruciale. Ad esempio la legge che individua i LEA, i livelli essenziali applicati alla sanità e alle regioni, che rango avrebbe?

FRANCESCO SAVERIO BERTOLINI, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Teramo. Andrebbe rivista.

PRESIDENTE. Esatto, va rivisto completamente tutto l'approccio. Da questa decisione discendono a cascata tante altre questioni che incidono anche sul federalismo in itinere.
Ringraziamo il professor Brancasi e il professor Bertolini per il loro contributo, che ci sarà estremamente utile anche perché queste audizioni saranno disponibili in forma stenografica per tutti i commissari.
Sospendo brevemente la seduta.

La seduta, sospesa alle 12,10, è ripresa alle 12,15.

PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori.
Avverto che il professor Piero Alberto Capotosti ha comunicato di non poter partecipare all'audizione a causa di un'improvvisa indisposizione fisica. Di ciò si scusa con i presidenti delle Commissioni riunite e con tutti i componenti.
Se non vi sono obiezioni da parte dell'interessato, proporrei di aggregare il professor Merloni a questa seconda fase di audizioni in modo da completare i lavori della seduta odierna.
Do, quindi, la parola al professor Bruni dell'Università Luigi Bocconi di Milano, del quale ricordiamo una precedente audizione, citata più volte durante i lavori ordinari della Commissione sia dall'onorevole


Pag. 14

Cambursano sia da me, che fu quasi profetica e introdusse temi oggi di assoluta attualità.

FRANCO BRUNI, Professore ordinario di economia internazionale e di economia monetaria internazionale presso l'Università Luigi Bocconi di Milano. Grazie mille per avermi invitato a contribuire a questi lavori parlamentari per l'introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale.
A mio modo di vedere il cambiamento della Costituzione non deve essere pensato come un provvedimento per affrontare la congiuntura economica e politica di oggi, ma come un modo per migliorare le regole del gioco che andranno applicate per lungo tempo a partire da domani, questo anche per rispetto della Costituzione.
Lascio, d'altra parte, alla dottrina e alla professionalità dei costituzionalisti ciò che rientra nella loro competenza, come, ad esempio, la distribuzione delle modifiche lungo l'indice della Carta, e mi limito a poche osservazioni sui profili economico-finanziari della questione. Le mie considerazioni tengono presente soprattutto il disegno di legge governativo nella versione presentata il 15 settembre scorso.
Credo che sia importante avere presenti le motivazioni sostanziali di fondo e di lungo periodo per provvedere in questo senso e non quelle congiunturali.
L'idea di prescrivere al più alto livello della gerarchia delle fonti l'equilibrio del bilancio pubblico, a mio avviso, è da condividere: è in armonia con le tendenze e le esperienze europee e internazionali, riflette alcune importanti conclusioni della teoria della politica economica e corrisponde ai risultati delle analisi empiriche, che mostrano come vincoli alle politiche di bilancio statuiti in modo permanente e con procedure di modifica complesse riducono il costo del debito pubblico, soprattutto nei periodi di maggiore incertezza e turbolenza finanziaria.
Nel caso europeo le decisioni di bilancio dei legislatori ordinari e dei governi sono disciplinate dagli organi comunitari all'interno del Patto di stabilità e crescita e sono soggette alla cosiddetta «disciplina di mercato», quella che fa alzare gli spread. L'introduzione di un vincolo costituzionale non deve pensarsi, a mio modo di vedere, come un sostituto né dell'una né dell'altra di queste due fonti di disciplina, che rimangono essenziali. È casomai un metodo per renderle funzionanti in modo meno improvviso e violento, più agevole da rispettare e più credibile. Ci devono essere tutte e tre le componenti. È l'intenzione con cui anche in Europa si è elaborata questa idea.
Il problema da affrontare, a mio modo di vedere, è di tipo concettuale e profondo. Consiste nella tendenza all'eccessivo indebitamento pubblico che risulta dagli incentivi del decisore politico - su questo mi sono soffermato nell'audizione di marzo che il presidente ha avuto la cortesia di ricordare - e nella credibilità degli impegni del decisore in politica di bilancio, una credibilità che è ridotta dalla possibilità che subentrino delle convenienze a deviare da questi impegni.
È insita nel meccanismo della politica, profondamente studiata dalla teoria, una irresponsabilità intertemporale, che per venire corretta e limitata richiede vincoli e controlli diversi da quelli che regolano l'indebitamento privato. Occorre evitare che le motivazioni sostanziali - cioè quelle che ho appena citato e su cui si può lavorare ulteriormente - di questa novità costituzionale vengano confuse con le urgenze della situazione congiunturale. Il richiamo che sentivo fare prima alla tempistica dei lavori mi trova perfettamente d'accordo. È necessario agire nel migliore dei modi perché la Costituzione va rispettata e la congiuntura si può aggiustare con altri provvedimenti d'urgenza che la Costituzione tutelerà poi in futuro.
La menzione in Costituzione del principio di equità intergenerazionale non si trova nel disegno di legge governativo, ma in diversi altri progetti. Direi che, inserita in un luogo della Carta prossimo a quello dove si introdurrà l'obbligo di pareggio, potrebbe aiutare a comunicarne il significato essenziale, al di là delle emergenze contingenti della finanza pubblica. Non


Pag. 15

vorrei che si modificasse la Costituzione perché lo chiede Trichet nelle sue lettere.
Elevare a norma costituzionale il pareggio di bilancio, in qualunque forma ciò avvenga, non deve far pensare che il pareggio stesso sia sufficiente. È un altro equivoco da evitare. Per la sostenibilità del debito pubblico italiano, nei prossimi anni l'aggiustamento del livello del debito in rapporto al PIL, soprattutto se il tasso di crescita reale dell'economia rimane troppo basso relativamente al tasso di interesse reale, rischia di chiederci avanzi consistenti. Il vincolo costituzionale è una disciplina necessaria, ma non è affatto detto che sarà sufficiente.
Se in tutti i Paesi si adottasse una regola di bilancio in pareggio che annulli l'indebitamento pubblico lordo, l'ammontare di titoli di debito sovrano del mondo tenderebbe a divenire gradualmente irrilevante rispetto alla ricchezza e al reddito. Non è detto, per varie ragioni che non è qui il caso di ricordare, che la sparizione del debito pubblico a livello mondiale sarebbe un fatto del tutto positivo. Succederebbe comunque in un futuro abbastanza lontano da non giustificare adesso preoccupazioni rilevati.
Tuttavia, due implicazioni di questo pensiero possono essere interessanti fin d'ora. In primo luogo, non è detto che vincolare i deficit pubblici a zero sia meglio che vincolarli a non superare un dato rapporto con il reddito o la ricchezza nazionale. Mettere in Costituzione, anziché il pareggio di bilancio, una regola come quella del 60 per cento di Maastricht riferita al rapporto fra debito e PIL consentirebbe di avere dei deficit, almeno quando il tasso di crescita dell'economia supera il tasso di interesse. La regola del pareggio è più severa ed è indipendente dall'andamento del PIL, e la procedura per la sua applicazione è più facilmente monitorabile. Io credo che sia preferibile.
La seconda implicazione di una riflessione critica su una regola che implica la tendenza a far scomparire nel lungo periodo i debiti pubblici nazionali in rapporto al PIL è la considerazione del possibile subentrare di debiti pubblici internazionali o sopranazionali, il che è particolarmente importante in Europa, dove strumenti di debito pubblico comunitario - i famosi Eurobond - potrebbero sostituire gradualmente quelli nazionali, con una graduale transizione alla centralizzazione delle politiche di bilancio e del debito pubblico europeo.
Il primo articolo del progetto di legge governativo inizia giustamente con la menzione dell'appartenenza della Repubblica all'Unione europea. Anche tenendo conto di quanto appena detto a proposito del debito pubblico comunitario, la locuzione «la Repubblica in osservanza dei vincoli economici e finanziari che derivano dall'appartenenza all'Unione europea» potrebbe sostituirsi con un'espressione che non associ immediatamente e unicamente l'Unione europea a osservanze sgradevolmente vincolanti. Io preferirei qualcosa del tipo: «la Repubblica nell'adottare comportamenti economici e finanziari coerenti con l'appartenenza all'Unione europea». È una questione di parole e forse saranno i costituzionalisti ad avere la giusta sensibilità in questo, ma dal punto di vista economico fa notevole differenza presentare l'Unione europea, nell'articolo 53 della Costituzione, come qualcosa che vincola o come qualcosa che offre opportunità di procedere.
Quale sia il saldo da mettere in pareggio è una delle domande che giustamente vi siete posti nei vostri lavori. Innanzitutto occorre definire il perimetro del settore pubblico da considerare nel calcolare il pareggio del saldo. Il progetto di legge governativo sceglie giustamente quello delle pubbliche amministrazioni, provvede poi a considerare separatamente la disciplina del bilancio dello Stato e degli enti territoriali.
A questi ultimi l'attuale articolo 119 della Costituzione consente l'indebitamento solo per finanziare spese di investimento. La proposta del Governo mantiene questa regola aurea per i singoli enti ma, oltre ad aggiungere la richiesta di una contestuale definizione di piani di ammortamento, impone il pareggio dei conti per il complesso degli enti medesimi. Sembra


Pag. 16

che al complesso degli enti non possa applicarsi la tolleranza per l'indebitamento nelle fasi avverse del ciclo economico che è, invece, concessa al bilancio dello Stato.
La richiesta di pareggiare la posizione di aggregati di enti trascura il problema che sorge quando il rallentamento del ciclo economico colpisce tutti gli enti contemporaneamente, rischiando di comprimerne sproporzionalmente gli investimenti. Ciò sembrerebbe richiedere, a favore del complesso degli enti territoriali, la stessa tolleranza concessa all'operare degli stabilizzatori automatici nel bilancio dello Stato. Ciò si otterrebbe se l'articolo 3 del disegno di legge governativo richiamasse, oltre ai principi del rinnovato articolo 53, anche quelli del rinnovato articolo 81, dove è stabilita la tolleranza della Carta.
Al posto di questo genere di tolleranza si potrebbe disporre che lo Stato si assuma, con opportuni trasferimenti, l'onere di compensare gli effetti del ciclo sugli enti territoriali, almeno in una misura che tenga conto della parte della loro spesa che lo Stato stesso fissa, seppure indirettamente, quando impone agli enti di fornire i livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117 della Costituzione.
Alle modalità di inclusione degli enti territoriali nel saldo da pareggiare, si collega il problema più generale della necessaria coerenza del disegno di legge in questione e del progetto di federalismo, che da tempo è in cantiere in Italia, anche se a me questo cantiere non è ancora chiaro. Di questa coerenza dovrebbe rassicurarci maggiormente la legge attuativa - la famosa legge rinforzata - della modifica costituzionale. Ad esempio, tale legge dovrebbe disporre un disegno preciso dei sottogruppi di enti territoriali per tipologia, e forse per macro-regione, la definizione dei quali pare necessaria per rendere fattibile la realizzazione e il monitoraggio, davvero molto complicati, del pareggio dei conti nel complesso degli enti.
Una proposta di più d'uno dei progetti di legge diversi da quello del Governo riguarda la necessità di modificare anche l'articolo 117 della Carta costituzionale per riportare l'armonizzazione dei bilanci pubblici, il coordinamento della finanza pubblica e il sistema tributario fra le materie esclusive di competenza dello Stato. Io credo che qualcosa di questo genere possa servire proprio per creare il raccordo col federalismo, il quale deve significare anche ordine e chiarezza nelle responsabilità contabili, ancor più se si aggiunge la complessità di realizzazione dell'obbligo costituzionale al pareggio delle amministrazioni pubbliche. Ciò richiede un accentramento dei poteri di coordinamento, coordinamento fra l'altro dei meccanismi di solidarietà fiscale interregionale che, va ricordato, non sono esclusi né dal federalismo né dal principio di pareggio dei bilanci dello Stato e delle amministrazioni locali.
Il testo attuale del disegno di legge del Governo sembra riferire l'obbligo di pareggio alla proibizione di ricorrere all'indebitamento pubblico lordo, evitando cioè opportunamente di consentire l'aggiramento dell'obbligo con le pericolose opacità delle operazioni sotto la linea. Un esplicito cenno di precisazione in tal senso sarebbe comunque opportuno nel testo costituzionale affinché non si confonda fra lordo e netto.
Almeno nella legge attuativa, va inoltre disposto quanto occorre per evitare che l'indebitamento in conto capitale, permesso dalla regola aurea degli enti territoriali, venga usato per conferimenti a società partecipate. Va anche disposto quanto occorre perché il principio del pareggio non venga eluso con la fornitura di garanzie pubbliche su debiti formalmente privati, cioè i debiti contingenti.
L'articolo 1 del disegno di legge è, invece, esplicito nel richiedere che il vincolo di bilancio operi non solo nel preventivo, ma anche nel consuntivo, implicando eventuali misure di correzione. Ciò è senz'altro opportuno, ed è giusto, come fa il disegno di legge, rinviare alla legge attuativa gli essenziali dettagli sui modi per monitorare e correggere il consuntivo.
Una distinzione ben nota e importante è quella fra il saldo grezzo e quello corretto per il ciclo. La correzione ciclica


Pag. 17

può contare su tecniche econometriche ampiamente utilizzate dagli analisti, dalla Commissione europea e da altri enti e organizzazioni internazionali. Si tratta, però, di tecniche controverse e basate su ipotesi diverse, i cui risultati possono differire significativamente. La Costituzione non è il luogo dove menzionare stime di tale natura. Ho visto, invece, che alcuni progetti di legge presentati fanno diretto richiamo al ciclo corretto dalla Commissione eccetera, ma non sono d'accordo.
È invece bene che il riferimento al saldo corretto avvenga indirettamente, come si fa nel disegno di legge del Governo, consentendo l'indebitamento nelle fasi avverse del ciclo economico nei limiti degli effetti da esso determinati. Il risultato non è diverso, però, si evita il riferimento a calcoli. Credo, quindi, si debba intendere come obbligatorio il riassorbimento del debito nelle fasi positive del ciclo. Alcune parole più precise in questo senso potrebbero apparire nella riformulazione dell'articolo 81, anche se ogni precisazione va lasciata alla legge applicativa.
Mentre per i singoli enti territoriali è consentito l'indebitamento per finanziare investimenti, la cosiddetta regola aurea non si applicherebbe, nella maggior parte dei progetti di legge presentati, all'insieme dei conti della pubblica amministrazione. Non mancano ragioni convincenti contrarie alla regola aurea: essa può essere elusa classificando come investimenti spese e trasferimenti che sono in realtà di natura corrente e non accumulano capitale produttivo per il futuro. Ancor più rilevante è l'opposto, cioè il fatto che spese correnti, come quelle per istruzione e ricerca, generano in realtà capitale umano e sociale più importante di alcuni investimenti in capitale fisico, nei confronti dei quali, oltre tutto, la possibilità di finanziamento con debito tende a disincentivare un accurato confronto fra costi e benefici.
Esistono, quindi, ragioni per evitare il riferimento alla regola aurea, ma rimane il fatto che l'impossibilità di accumulare capitale pubblico ad alta produttività sociale a fronte di debito rischia di sacrificare investimenti preziosi, soprattutto infrastrutturali, e di incentivare eccessivamente - questo mi preoccupa molto - il collocamento della loro proprietà o presso enti territoriali, ai quali si applica la regola aurea, o presso enti privati inadeguatamente regolamentati - una sorta di privatizzazione forzosa delle infrastrutture che mi sembra ingiusto inserire in un meccanismo costituzionale -, ai quali sono disponibili le più varie forme di finanziamento.
L'autorizzazione al finanziamento con debito pubblico se, anziché diretta alla categoria generale di investimenti pubblici, fosse selettiva potrebbe trasformarsi in un incentivo a fare accurate scelte strategiche nelle politiche per la crescita. Molte se non la totalità di queste scelte e di questi selezionati investimenti potrebbero rientrare in piani europei organici, ma decentrati.
Andrebbe, dunque, considerato di inserire nella Costituzione la possibilità che la legge attuativa preveda una speciale procedura per un'accurata e ineludibile definizione di alcuni investimenti che, anche in seguito ai piani di riforma e di crescita concordati in sede comunitaria e a speciali considerazioni contemplate nei programmi di stabilità presentati alla Commissione, possano essere finanziati con emissione di titoli pubblici da rimborsarsi con un ben specificato piano di ammortamento. Nell'articolo 81 potrebbe, cioè, essere inserita una frase del tipo: «La legge di cui all'articolo 53, terzo comma, può stabilire, in coerenza con piani comunitari, procedure speciali per selezionare alcuni investimenti finanziabili con emissioni di debito pubblico con piani di ammortamento predefiniti».
Alcune delle proposte di costituzionalizzazione del principio di bilancio in pareggio gli affiancano l'introduzione nella Carta di un limite alla spesa pubblica, espresso in percentuale del prodotto nazionale. Ciò aiuterebbe a contrastare la simmetria degli incentivi politici che tenderebbero a obbedire all'obbligo di pareggio elevando le imposte piuttosto che contenendo le spese. Tuttavia, la proposta di


Pag. 18

tale introduzione non mi trova d'accordo perché costituirebbe un sovraccarico del testo costituzionale, comportando maggiore complessità nel monitoraggio dell'implementazione della giustiziabilità della combinazione dei due vincoli. Inoltre, in una prospettiva di lungo periodo la scelta della percentuale avrebbe un grado di arbitrarietà in più rispetto allo zero imposto al saldo di bilancio.
Venendo alle eccezioni all'obbligo di pareggio, il pareggio annuale dei conti complessivi consuntivi delle pubbliche amministrazioni ha nel disegno di legge governativo tre possibili violazioni: errori di previsione nei conti preventivi, apparentemente sottintesi nell'articolo 1, effetti determinati dal ciclo economico e conseguenze di uno stato di necessità che non può essere sostenuto con le ordinarie decisione di bilancio, menzionati all'articolo 2.
Quanto allo stato di necessità, si potrebbe considerare di aggiungere l'obbligo di impegnarsi a definire oggettivamente la fine dello stato di necessità e, per tempo, il piano di ammortamento dei debiti conseguenti. Si potrebbe, inoltre, considerare che, nei confronti di alcuni rischi non del tutto imprevedibili, i bilanci dei tempi normali effettuino appropriate forme di accantonamento di fondi o risorse reali da imputare alle loro uscite.
Quanto agli errori di previsione e agli effetti del ciclo, va detto innanzitutto che non è sempre facile distinguerli, anzi è quasi impossibile. È, dunque, meglio trattare insieme nella legge di attuazione della modifica costituzionale gli obblighi di correzione delle due devianze dal pareggio. Nel primo anno in cui il consuntivo costringe a un imprevisto indebitamento vanno predisposte, per esempio, le misure per il suo rientro in un tempo limitato, non superiore, ad esempio, al successivo triennio.
Se si è trattato di un errore nella previsione, per esempio, di alcuni capitoli di spesa, il rientro può essere disposto entro l'esercizio successivo. Se, invece, le valutazioni e le previsioni che accompagnano le misure di correzione contemplano un'evoluzione ciclica con una fase avversa che si prolunga negli anni successivi, un'ulteriore crescita dell'indebitamento può essere consentita nei limiti degli effetti determinati dalla fase avversa e contestualmente alla previsione che la fase di ripresa che subentrerà permetterà il riassorbimento dei debiti. La legge attuativa potrebbe anche contemplare, limitandolo rigorosamente nella misura, nei tempi e negli strumenti, il ricorso a politiche di stabilizzazione attiva, che rinforzino gli stabilizzatori automatici.
Il pericolo è ovviamente che il debito prenda a crescere e mai a rientrare, con la giustificazione più o meno veritiera del succedersi di errori di previsione, guarda caso sempre nello stesso senso, e di cicli che permangono troppo a lungo avversi. Questo genere di giustificazioni potrebbe in realtà nascondere la debolezza delle misure correttive adottate e la loro inadeguata implementazione.
Perciò, se il vincolo di pareggio deve essere credibile, deve a un certo punto tradursi in ineludibili clausole fiscali di salvaguardia o, eventualmente, in un vero e proprio blocco fisico delle emissioni nette di titoli pubblici. Per esempio, all'inizio del triennio di aggiustamento prima ipotizzato, la legge di attuazione potrebbe richiedere che venga fissato un livello massimo del debito pubblico oltre il quale le emissioni non saranno consentite, se non con un voto a maggioranza qualificata delle Camere.
Dopo di che, se l'economia, anziché di un'avversità ciclica, mostrerà di soffrire di una crisi strutturale di crescita o se la finanza pubblica, anziché vittima del ciclo o di errori di previsione, mostra di essere inadeguatamente controllata nelle entrate e nelle uscite, la disciplina di bilancio prevista dalla Costituzione farà il suo mestiere. Avrà, cioè, l'effetto di accelerare il riconoscimento dei costi che la collettività deve sopportare per affrontare e correggere i problemi di lungo periodo strutturali, reali, politici, distributivi, amministrativi, culturali che affliggono il suo


Pag. 19

benessere, anziché nascondere quei costi rinviandoli con il debito alle future generazioni.
Vorrei concludere con un paio di osservazioni sul problema della giustiziabilità, che secondo me è l'aspetto più carente del disegno governativo. La giustiziabilità riguarda due aspetti: la validazione delle stime delle previsioni contabili, sulle quali si fonda il meccanismo di disciplina di bilancio, e la validazione dei provvedimenti legislativi, che se non realizzano la disciplina diventano anticostituzionali in base al nuovo testo della Carta.
È evidente il rischio di coinvolgere la Corte costituzionale in un continuo contenzioso, denso di tecnicalità contabili, economiche e finanziarie, che minerebbe la serenità del suo lavoro e l'efficacia del nuovo vincolo, senza contare la delicatezza delle necessarie normative circa la procedura per adire la Corte e la titolarità del diritto a farlo nei diversi casi di pretesa violazione che possono configurarsi in un processo così ampio come la legislazione di bilancio.
Non posso qui soffermarmi su questo aspetto della riforma in discussione, che fra l'altro è prevalentemente giuridico e procedurale. Come economista noto, però, che, se non venisse affrontato adeguatamente, la riforma in discussione mancherebbe di credibilità e quindi di efficacia, anche come disciplina preventiva. Si tratta di precisare i ruoli, le responsabilità e i tempi per il loro esercizio del Governo, del Parlamento, della Corte dei conti, della Presidenza della Repubblica e della Corte costituzionale.
Un ruolo importante andrebbe assegnato anche a un nuovo organo, la cui istituzione è da tempo suggerita da molti anche in sede europea, e che dà buona prova in quasi tutti i Paesi dove è stato creato: un'autorità di bilancio indipendente, adeguatamente attrezzata, con funzioni e competenze specifiche, complementari a quelle della Corte dei conti. Le sue valutazioni, delle quali al legislatore sarebbe fatto obbligo di tener conto, agevolerebbero il monitoraggio e l'implementazione del vincolo di pareggio, rendendo più radi ed efficaci i pronunciamenti della Consulta. Fra i membri dell'autorità di bilancio indipendente potrebbero trovare posto anche rappresentanti di organi comunitari delegati a presidiare il raccordo fra la disciplina di bilancio nazionale e quella europea.
L'istituzione dell'autorità indipendente dovrebbe far parte di una serie di misure e cambiamenti di atteggiamento degli organi della Repubblica nei confronti della disciplina di bilancio, di un grande investimento nella trasparenza, nella qualità delle statistiche, nell'adozione di previsioni economiche prudenti, nella chiarezza dei tempi e dei modi di realizzazione del federalismo e via elencando.
Senza chiarezza, certezza e stabilità delle regole di distribuzione delle risorse disponibili, anche per gli enti territoriali, l'obbligo del pareggio dei bilanci non può essere inteso con la serietà necessaria per elevarlo a principio costituzionale. Solo in un clima di effervescente e condiviso impegno in intense e articolate riforme della finanza pubblica, partecipato anche dall'opinione pubblica, l'inserimento in Costituzione del pareggio di bilancio avrebbe credibilità ed efficacia e si rivelerebbe effettivamente giustiziabile.
Il mio consiglio, se si compie un'operazione simile in Costituzione, è fare una campagna di marketing di altissima professionalità che coinvolga l'opinione pubblica nel capire profondamente che cosa si sta facendo. Guai se passa l'idea che cambiamo la Costituzione perché abbiamo un problema con l'Europa! Bisogna spiegare alla gente che stiamo andando al cuore dell'equilibrio intergenerazionale dei diritti fondamentali sui quali si svolge la nostra vita politica, e che lo stiamo facendo con grande cautela, attenzione e realismo.
Naturalmente le procedure di giustiziabilità non devono entrare nella Carta, ma devono essere adottate con apposita legislazione. In Costituzione, però, ci vuole almeno un minimo riferimento all'obbligo di legiferare in proposito. Se le modifiche


Pag. 20

alla Costituzione non facessero riferimento al tema della giustiziabilità, non sarebbero credibili.
Vi ringrazio per l'attenzione.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Bruni e do la parola al professor Giuseppe Pisauro dell'Università La Sapienza di Roma.

GIUSEPPE PISAURO, Professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università La Sapienza di Roma. Ringrazio innanzitutto per l'invito a partecipare a queste audizioni.
Partirò da un punto di vista critico rispetto all'idea di introdurre l'obbligo di pareggio del bilancio in Costituzione. Poi dirò perché, secondo me, bisogna comunque cercare di fare qualcosa e userò i punti critici come guida rispetto a possibili formulazioni del principio.
Il mio punto di partenza per l'elencazione dei punti critici è la lettera che sette grandi economisti americani hanno scritto nel luglio scorso al Presidente degli Stati Uniti e al Congresso a proposito dell'eventualità di introdurre lo stesso principio nella Costituzione americana. In quella lettera, scritta da quelli che, secondo me, sono tra i maggiori economisti viventi, da Arrow a Solow, si elenca una serie di punti, intorno ai quali è costruito il mio intervento.
Il primo punto afferma che rispettare il principio del pareggio di bilancio in fase di recessione economica comporterebbe l'adozione di misure controproducenti e neutralizzerebbe il funzionamento degli stabilizzatori automatici.
Il secondo punto riguarda la golden rule: il pareggio di bilancio impedirebbe al settore pubblico, diversamente da ciò che normalmente avviene nel settore privato, il ricorso al debito per finanziare spese per infrastrutture, istruzione, ricerca e sviluppo, protezione ambientale e altri investimenti vitali per il benessere futuro della nazione.
Il terzo punto è che si incentiverebbe il ricorso a pratiche contabili creative. È probabile che da ciò deriverebbe un ampio contenzioso sull'interpretazione da dare al principio e, di conseguenza, un ruolo improprio del sistema giudiziario nella determinazione della politica economica.
Il quarto punto riguarda il fatto che l'introduzione del principio si accompagna alla previsione di procedure di deroga, che in molte proposte richiedono maggioranze qualificate, come avviene anche nel caso italiano. Si tratta di una ricetta per situazioni di stallo.
Come quinto punto, alcune proposte prevedono anche l'introduzione di un limite al totale della spesa. Come vedete, la discussione anche al di là dell'Atlantico non è molto diversa da quella che si sta svolgendo qui.
Questi sette economisti dicono che un tale limite danneggerebbe la capacità di contrastare una recessione attraverso stabilizzatori automatici o interventi discrezionali, ma che un tale limite sarebbe dannoso anche in fasi espansive, perché avrebbe effetti negativi sulla crescita, in quanto investimenti ad alto rendimento, anche se pienamente finanziati dai tagli addizionali, dovrebbero necessariamente essere controbilanciati da tagli ad altre spese.
Poi ci sono due punti più contingenti. Se si vuole il pareggio di bilancio, non è necessario emendare la Costituzione - negli anni Novanta, il bilancio federale statunitense ha registrato un surplus per quattro anni consecutivi - e, infine, nella congiuntura odierna è pericoloso cercare di raggiungere rapidamente il pareggio di bilancio, perché ciò danneggerebbe una ripresa economica già molto debole.
Partirei proprio da questo punto, che meno si può trasportare nella situazione italiana, non tanto perché il perseguimento del pareggio di bilancio non danneggerebbe la ripresa economica già debole, perché questo è certo: manovre come quella disegnata e approvata la scorsa estate danneggiano la ripresa economica. Lo sforzo di trovare 5-6 punti di PIL di riduzione del disavanzo ha infatti un effetto negativo, almeno nel breve periodo.
Su questo c'è consenso unanime, e anche chi pensava che interventi di riduzione


Pag. 21

del disavanzo potessero avere anche nell'immediato effetti positivi sulla crescita sta assumendo una posizione molto più cauta.
Tuttavia nel caso italiano questa è per certi versi una scelta obbligata, contingente, perché, a differenza della situazione americana, non abbiamo a nostra disposizione lo strumento di una politica monetaria autonoma, ma dobbiamo assumere il vincolo della politica monetaria europea.
In questa situazione è evidente che il pareggio di bilancio va perseguito: il problema è se vada perseguito nel contingente o se questo richieda l'inserimento di un principio generale nella Costituzione, che quindi valga «per sempre».
Primo argomento: si può usare al contrario il sesto punto, quello in cui gli economisti americani dicono che aver avuto per quattro anni negli anni Novanta il surplus di bilancio è la prova che possiamo conseguire pareggi e anzi addirittura surplus senza bisogno di toccare la Costituzione.
Noi non abbiamo mai avuto surplus o pareggi di bilancio in tempi storici recenti - per usare un eufemismo - quindi questo potrebbe indurci a ritenere che abbiamo bisogno di legarci le mani con una regola esterna di rango costituzionale. Si potrebbe controbattere che nel 2013 raggiungeremo il pareggio di bilancio, ma queste è una novità che non sottovaluterei: è la prima volta in cui una proiezione di bilancio approvata dal Parlamento prevede il pareggio di bilancio, seppure fra due anni. Questo è sicuramente un elemento importante.
Vorrei fare un breve excursus sullo stato delle regole attuali, perché nel leggere le relazioni illustrative delle varie proposte presentate - mi riallaccio a quanto diceva il professor Brancasi - in alcune emerge la nozione che l'attuale formulazione dell'articolo 81 originariamente fosse stata pensata per perseguire il pareggio di bilancio. Ho una posizione diversa da quella del professor Brancasi, che sostiene che i costituenti non volessero il pareggio di bilancio, perché credo che lo volessero però in un contesto completamente diverso da quello attuale.
Mi spiego: l'attuale formulazione dell'articolo 81 impone il pareggio al margine, cioè il pareggio sulle innovazioni legislative, ma non dice nulla sugli effetti finanziari di tutta la legislazione di spesa vigente. Infatti, con un bilancio dello Stato in cui non c'erano programmi di spesa che definissero diritti - i cosiddetti entitlement - oppure nel quale il sistema tributario era basato su imposte di tipo reale - che, quindi, meno risentivano dell'andamento del ciclo economico - , non c'era molta differenza tra pareggio al margine e pareggio complessivo.
Il problema è che nei decenni successivi è cambiata profondamente la natura dell'intervento pubblico: imposte che risentono immediatamente dell'andamento dell'economia, programmi di spesa in materia di previdenza e sanità che definiscono diritti e che, quindi, vanno per conto proprio.
Anche se noi avessimo sempre rispettato, senza trucchi e senza sbagli, il quarto comma dell'articolo 81 della Costituzione, oggi probabilmente ci ritroveremmo con un disavanzo, perché la natura è al margine ed è solamente ex ante. Il quarto comma dell'articolo 81, tuttavia, non è l'unica regola esistente nel nostro sistema: da venti anni questa regola è stata integrata da altre regole, che vengono dai trattati europei e rispondono ai difetti del quarto comma dell'articolo 81, quindi vanno verificate ex post e definiscono un limite all'indebitamento - il famoso 3 per cento - a livello del bilancio complessivo, quindi compresi gli effetti finanziari della legislazione previgente.
Non è casuale che il cambiamento di paradigma con l'introduzione delle regole dei trattati europei abbia accompagnato il cambiamento della situazione del nostro bilancio. Siamo passati da disavanzi per le amministrazioni pubbliche compresi tra il 10 e il 12 per cento del PIL in tutti gli anni Ottanta a livelli sempre vicini o inferiori al 3 per cento nei dodici anni 1997-2008, con la sola eccezione del 2005.


Pag. 22


La grande crisi ha prodotto un disavanzo al 5,4 nel 2009, che poi è sceso al 4,6 nel 2010, e come dicevamo si programma di portarlo a zero entro il 2013. Si potrebbe benissimo sostenere che non vi sia un particolare bisogno di cambiamenti di regole, ma tuttavia una nuova regola costituzionale segnalerebbe - questo è il punto - ai mercati la ferma volontà di raggiungere il pareggio e di mantenerlo, ben più di quello che è possibile fare con i provvedimenti del Governo pro tempore.
Ci sono, comunque, come emergeva dalla lettera degli economisti che ho prima ricordato, una serie di controindicazioni, assunte da tutte le proposte. A queste obiezioni ci sono due tipi di risposta: il primo tipo propone di considerare non il saldo di bilancio grezzo, semplice, puro, ma corretto per il ciclo. Questo indicatore - sono pienamente d'accordo con le considerazioni del professor Bruni - soffre di problemi tecnici seri.
Cito solo un esempio per chi non è addetto ai lavori: se ricalcoliamo nel 2014 il saldo corretto per il ciclo riferito all'anno 2010, lo stesso cambia dal momento che il saldo corretto per il ciclo ci dà una misura di quale sarebbe il disavanzo se l'economia fosse sul suo sentiero normale. Tuttavia, il sentiero normale si calcola, però, sulla base dell'esperienza del passato, quindi, se ho dieci anni di caduta, il sentiero normale diventa più vicino alla caduta. Il sentiero normale quindi cambia: non è un dato definito, ma è assunto di volta in volta.
Questo è un esempio semplice, ma ce ne sono altri più complessi. Concordo con il professor Bruni che l'idea di citare esplicitamente saldi corretti per il ciclo andrebbe evitata. Tra l'altro, è uno dei motivi che è dietro la riforma del Patto di stabilità.
Come sapete, nel Patto di stabilità prima delle recenti modifiche e tuttora vigente si parla di saldo corretto per il ciclo. La giustificazione del passaggio invece all'idea che le spese debbano crescere in linea con il livello delle attività economiche è proprio questa. Le misure basate sulle correzioni per il ciclo sono incerte, controverse, quindi meglio una «regola del pollice» semplice, come quella che prevede, dopo aver assunto tutti i vincoli sul disavanzo e sul debito, un vincolo ulteriore che dice che le spese devono crescere in linea con il PIL perché le entrate crescono in linea con il PIL e quindi occorre mantenere le spese in linea con il PIL. Tutto ciò, infatti, consente di non avere nel futuro problemi.
La stessa formulazione del nuovo Patto di stabilità non abbandona, ma mette molto tra parentesi l'idea del riferimento alle correzioni per il ciclo.
La correzione per il ciclo, anche ammettendo che si possa calcolare in modo tranquillo, non è comunque sufficiente a rispondere alle esigenze, che possono insorgere in situazioni di recessione grave. Nel 2008-2009 non ci si è limitati alla correzione per il ciclo in quasi tutti i Paesi, non in Italia per la situazione da cui partivamo. Infatti, in alcune situazioni, per contrastare gli effetti del ciclo sono necessarie politiche fiscali di espansione molto più aggressive.
Come fare le deroghe? Qui vale il quarto punto della lettera degli economisti americani: attenzione alle situazioni di stallo. Nella vicenda statunitense della scorsa estate, tutti erano d'accordo sull'obiettivo, ma il problema era la composizione del pacchetto da approvare. Possiamo essere tutti d'accordo che sia necessario approvare un pacchetto di stimolo fiscale, ma richiedere maggioranze qualificate è la ricetta per il gridlock, una situazione di stallo assoluto. Mi pare che questa delle maggioranze qualificate sia presente in qualche proposta.
Anche il principio della maggioranza dei componenti mi sembra troppo, perché ritengo che le deroghe debbano essere percorribili. Condizioni troppo stringenti le renderebbero non percorribili, anche perché in situazioni come quelle che abbiamo vissuto nel 2008-2009 la tempestività è importante. Ma oltre alla questione ex ante, connessa alle deroghe, vi è quella relativa all'ex post.


Pag. 23


A tale proposito, la questione è sottile: nel disegno di legge del Governo si ammette un disavanzo ex post «nelle fasi avverse del ciclo economico, nei limiti degli effetti da esso determinati». Benissimo, però anche qui vi sono difficoltà di calcolo, perché capire quali siano i limiti degli effetti determinati non è molto semplice, e pone le medesime questioni del saldo strutturale. Le difficoltà di calcolo che, se c'è giustiziabilità, possono dar luogo a contenzioso presso la Corte costituzionale e a una serie di problemi non di poco conto.
In sintesi, questa formulazione sembra ammettere di far operare gli stabilizzatori automatici e di non impedirne il funzionamento. Non so bene cosa si possa rispondere all'obiezione che sto per fare, però è un esempio della complessità di queste regole: gli stabilizzatori automatici sono qualcosa di insito e intrinseco al bilancio? Dipende: il grado di reattività del bilancio al ciclo economico varia da Paese a Paese e dipende da come abbiamo costruito i programmi di spesa e di entrata.
Per fare un esempio, nel caso del nostro bilancio, abbiamo una sensibilità al ciclo dal lato delle spese quasi nulla, mentre in altri Paesi, che, ad esempio hanno sistemi di protezione sociale nei confronti della disoccupazione molto più forti, la reattività delle spese al ciclo è molto maggiore.
Questo fa capire - anche se non so quale possa essere la soluzione - che c'è un grado di opinabilità in queste ricette e in queste in queste regole. Potrei avere un disavanzo maggiore nella futura recessione, se oggi cambiassi la struttura del bilancio rendendolo più reattivo al ciclo. Nella situazione italiana attuale, con il bilancio vigente, in una situazione normale - non quella con il debito al 120 per cento del PIL - con un debito a livelli più fisiologici, il nostro attuale bilancio non è sufficientemente reattivo al ciclo.
Con l'attuale bilancio, quindi, non mi limiterei ad accettare il funzionamento degli stabilizzatori automatici, ma vorrei qualcosa di più in una situazione normale, ma qui parliamo del lungo periodo, parlando di modifiche alla Costituzione.
Altre proposte prevedono la fissazione di limiti alla pressione fiscale o al rapporto tra spese e PIL. Qui valgono le considerazioni degli economisti americani che ho letto prima, che sono le obiezioni fondamentali, ma oltre alla scarsa eleganza di mettere numeri in Costituzione - ad esempio il limite al 45 o al 38 per cento - c'è anche un'obiezione di natura tecnica.
In una situazione come la nostra, in cui la spesa per interessi pesa parecchio ed è completamente al di fuori del controllo delle autorità di bilancio, non possiamo immaginare che quando cambia lo spread e aumenta la spesa per interessi si possa fare una riduzione compensativa nelle altre spese, per rispettare il limite, che è riferito alla spesa totale della pubblica amministrazione. Al massimo, si può accettare un limite del genere se riferito alla spesa primaria. In questo caso, infatti, si tratterebbe di una correzione minima.
Un'altra questione riguarda i limiti sia della spesa che della pressione fiscale. Questo tipo di obblighi è in insanabile contraddizione con i princìpi del decentramento fiscale inseriti nel Titolo V, in particolare con la previsione di attribuzione di autonomia finanziaria di entrata e di spesa agli enti territoriali. Qualsiasi limite alla spesa pubblica o alle imposte richiederebbe di neutralizzare l'autonomia finanziaria di tutti i comuni, province, città metropolitane e regioni.
Posso imporre in Costituzione il pareggio di bilancio a tutti, posso anche imporre un limite alla spesa del bilancio dello Stato, un limite alla pressione tributaria delle imposte erariali, ma non posso imporre un limite alla somma delle spese o delle imposte di migliaia di soggetti istituzionali, ai quali ho attribuito autonomia finanziaria.
Bisogna scegliere tra l'autonomia finanziaria per gli enti territoriali e la previsione di limiti alla spesa pubblica e alla pressione fiscale: tutte e due le cose insieme non si possono avere e non conosco nessuna situazione di Paesi con decentramento


Pag. 24

fiscale che presenti vincoli di questo tipo riferiti al complesso della spesa della pubblica amministrazione. Le stesse proposte degli economisti americani riguardano strettamente il bilancio federale, non vanno sui bilanci dei singoli Stati e non parlano delle imposte raccolte dalla California e dal Texas o delle loro spese.
Quando si parla di pressione fiscale, si parla non solo della pressione fiscale dello Stato, ma di tutti gli enti territoriali. Da un punto di vista tecnico, non ci sono particolari difficoltà nel riferire l'obbligo del pareggio all'intero settore delle amministrazioni pubbliche, basta imporre l'obbligo del pareggio a tutti. Non credo che sia tecnicamente agevole immaginare un pareggio per il complesso delle regioni, in cui una regione in avanzo compensa il disavanzo di un'altra, e meno che mai per i comuni.
Se vogliamo il pareggio per l'intera pubblica amministrazione, occorre che il pareggio sia stabilito ente per ente e nessuno possa indebitarsi. Questo naturalmente, come evidenziato al terzo punto della lettera degli economisti americani, non metterebbe al riparo da pratiche contabili creative. Si pensi, ad esempio - e qui andiamo alla sostanza della riforma costituzionale, anche se tale questione andrebbe affrontata con legge ordinaria - al problema del rapporto tra il settore delle amministrazioni pubbliche e le società di proprietà pubblica non incluse nel suddetto settore.
Sarebbe sempre possibile, in tutte queste proposte di riforma, trasferire spesa finanziata con debito a entità esterne al settore delle amministrazioni pubbliche, ma di proprietà pubblica. D'altra parte, questo è quello cui abbiamo assistito in tutto il settore delle amministrazioni locali, vale a dire alla creazione di società esterne con il trasferimento della spesa per sfuggire ai vincoli del Patto di stabilità interno.
Questo aspetto può essere sostanziale e avere dimensioni importanti. Nel conto della pubblica amministrazione oggi ci sono circa 2,5 punti di PIL - equivalenti a 40 miliardi di euro - per trasferimenti alle imprese. Questi sono in gran parte trasferimenti a imprese pubbliche, contributi alla produzione e agli investimenti.
Una prima scappatoia ovvia rispetto a un vincolo di pareggio in Costituzione è quella di non dare più questo tipo di sussidi e lasciare indebitare le imprese pubbliche esterne. C'è sicuramente un problema da questo punto di vista.
Vengo alla questione della golden rule. In molte proposte di riforma l'obbligo del pareggio è riferito solo al bilancio dello Stato, in qualcuna anche a quelli delle regioni. Si lascerebbe alle autonomie locali la possibilità di indebitarsi per finanziare spese di investimento come oggi già è previsto dalla Costituzione.
Ci sono ottimi motivi per prevedere la possibilità di finanziare le spese di investimento con debito. Tra l'altro, vedo che in molte proposte si afferma il principio dell'equità intergenerazionale, ma non mi è chiaro cosa implichi questo principio. Dovrebbe implicare almeno che le generazioni future sopportino parte dell'onere del finanziamento degli investimenti, che andranno a beneficiare tali generazioni.
Il principio dell'equità intergenerazionale, almeno nelle sue versioni più semplici - ce ne sono di molto più complicate - è del tutto coerente con la possibilità di finanziare a debito gli investimenti e non richiede assolutamente il pareggio di bilancio, quindi da una cosa non discende necessariamente l'altra. Dall'una discende senza dubbio la disciplina fiscale, ma non il pareggio di bilancio.
Non riesco a capire perché bisogna fornire una maggiore protezione agli investimenti effettuati da amministrazioni locali rispetto a quelli effettuati dallo Stato, perché questo è implicitamente sotteso nell'idea che siano finanziabili con debito solo gli investimenti locali e non anche quelli dell'amministrazione centrale. Tra l'altro, dal punto di vista della crescita economica futura, obiettivi più ampi possono essere raggiunti dall'amministrazione centrale, quindi non riesco a capire la ratio di questo tipo di impostazione.


Pag. 25


Dal punto di vista quantitativo, i tre quarti degli investimenti fissi lordi delle amministrazioni pubbliche, che nel 2010 ammontavano a circa 32 miliardi di euro, sono responsabilità di amministrazioni locali, mentre la restante parte - un quarto - ricade nel settore delle amministrazioni centrali. In tal modo, creiamo una distorsione - ben rappresentata dall'intervento precedente - anche nelle scelte di investimento e nel modo di far funzionare le infrastrutture pubbliche.
Tutto ciò esclude investimenti effettuati da entità pubbliche ma esterne alla pubblica amministrazione come ad esempio le Ferrovie dello Stato, che possono indebitarsi.
Un'altra questione riguarda il coordinamento della finanza pubblica. La disciplina fiscale in un Paese con più livelli di Governo richiede un processo di formazione del bilancio, in cui ruoli e responsabilità dei vari attori siano chiaramente definiti. Da questo punto di vista valuto positivamente le proposte di modifica dell'articolo 117 della Costituzione, tese ad attribuire alla competenza esclusiva dello Stato la legislazione in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica del sistema tributario.
Infine, un'ultima notazione con riferimento al grado eccessivo di dettaglio che si riscontra in alcune proposte di riforma. In alcuni casi i testi assomigliano più a una legge ordinaria che non alla Costituzione. In merito, si potrebbero avanzare considerazioni di eleganza, ma sono sempre opinabili. C'è, invece, un fatto più importante: un eccesso di dettaglio in Costituzione irrigidisce e limita eccessivamente le scelte successive.
La vicenda del Titolo V della Costituzione, le difficoltà di applicazione di quella riforma, in particolare dei commi dell'articolo 119 in cui si elencano le forme ammesse di finanziamento per gli enti locali, escludendo completamente i trasferimenti, cosa che non esiste in nessun Paese federale del mondo, neanche nei più decentrati, dovrebbero fungere da caveat. Raccomando, quindi, attenzione nell'introdurre con buone intenzioni troppi dettagli, per i quali è sempre difficile considerare appieno le conseguenze future. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie. Siccome il professor Bruni deve lasciarci a breve, do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

RENATO CAMBURSANO. Chiedo scusa al professor Merloni perché purtroppo non potrò ascoltarlo, ma leggerò la sua relazione.
Ringrazio il professor Pisauro per l'ottima relazione. Condivido parecchie delle sue considerazioni, ma l'unica difficoltà è l'approccio che lei ha voluto dare, partendo dal confronto del Paese Italia rispetto alla situazione in cui si trovano gli Stati Uniti.
È vero che alcuni premi Nobel hanno espresso le preoccupazioni a cui lei faceva cenno rispetto al pareggio di bilancio federale, ma è altresì vero che negli Stati Uniti su cinquantuno Stati circa quaranta hanno già questo vincolo, cosa che noi non abbiamo a nessun livello almeno in modo formale e soprattutto rispettoso delle formalità.
Non ho alcuna osservazione da fare al professor Bruni, perché condivido totalmente la sua relazione. Ha giustamente affermato che non dobbiamo riscrivere la Costituzione sull'onda della situazione contingente in cui ci troviamo. Come non essere d'accordo, anche considerando che, una volta modificata la Costituzione, la stessa dovrebbe valere al di là del ciclo congiunturale?
Noi siamo però in una crisi strutturale e abbiamo avuto l'esempio della Spagna ai fini dell'andamento dei mercati, che è una delle regole, oltre a quelle del Patto di stabilità, che abbiamo sottoscritto nel tempo e che dovrebbe regolare anche la nostra comunità e quindi chi la governa. La Spagna nel giro di pochissime settimane ha introdotto a larghissima maggioranza nella propria Costituzione il principio del pareggio del bilancio. Noi non lo abbiamo fatto, e chi lo ha letto in modo negativo ci ha penalizzato sui mercati.


Pag. 26


Vengo invece alla proposta che lei oggi ha reiterato, avendola già annunciata il 16 marzo, nella precedente audizione, ovvero l'individuazione nella Costituzione di un'autorità di bilancio indipendente, che verifichi la giustiziabilità del principio del pareggio, cioè un nuovo organo, che non può essere né la Corte costituzionale - la quale, anche secondo quando affermato dal professor Bertolini nell'audizione di questa mattina, non avrebbe l'esperienza per entrare nel merito -, né la Corte dei conti, ma sarebbe un'autorità di bilancio indipendente.
Questo organismo dovrebbe, però, essere previsto in Costituzione, perché altrimenti non gli si dà quella forza e quel ruolo effettivo di controllo.
Infine, non posso che essere d'accordo con lei: in queste settimane il nostro Paese ha perso tante autonomie. Figuriamoci se sarebbe un insulto se rappresentanti di organi comunitari potessero far parte di questa autorità di bilancio indipendente, così come sarebbe davvero buona cosa - è un invito più a me stesso, al presidente, alla Commissione e al Parlamento - se venisse coinvolta l'opinione pubblica in questa operazione per l'importanza che riveste, perché altrimenti verrebbe letta come l'ennesimo colpo di mano di cui non si capisce bene l'obiettivo, ma si pagano le conseguenze.

PRESIDENTE. Onorevole Cambursano, non riusciamo a coinvolgere i colleghi deputati, non vedo come riuscire a coinvolgere l'opinione pubblica!

MARIO TASSONE. Chiedo scusa se tra qualche istante dovrò raggiungere l'Assemblea. L'ho seguita con molta attenzione, professor Bruni, e ho cercato di recuperare quanto mi era sfuggito attraverso la lettura del documento che ci ha consegnato.
Lei insegna economia monetaria internazionale, quindi ha una visione privilegiata. I temi oggi legati ai disegni e alle proposte di legge sull'articolo 81 della Costituzione riguardano anche gli eventi non controllabili. In una situazione economica globalizzata ma priva di un «Governo europeo» ci sono fattori e dati che non possono essere predeterminati. Un nuovo articolo 81 ovviamente sarebbe una dichiarazione di buoni intendimenti o di previsione di sane politiche, ma quali sono le sane politiche? Forse quella della riduzione dell'indebitamento, ma poi l'articolo 119 della Costituzione prevede che per quanto riguarda le autonomie territoriali si possano fare indebitamenti se ci sono investimenti, dato di cui parlavo con l'onorevole Calderisi su cui vorrei richiamare la vostra attenzione.
Vorrei chiedere anche una valutazione comparata tra quanto è successo nel dopoguerra per quanto riguarda l'indebitamento, gli investimenti e la ricostruzione e oggi, perché, se nel dopoguerra si fosse fatto un annuncio formale di rango costituzionale, cosa sarebbe avvenuto rispetto agli obiettivi che il Paese ha raggiunto?
Vorrei avere una vostra valutazione sull'indebitamento di allora, che poi è lievitato negli ultimi anni, senza dare colpe agli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, in cui la situazione che si verifica oggi era ovviamente sotto controllo. Ritengo che oggi non si possano fare previsioni economiche, se non fare una previsione costituzionale secondo cui non bisogna mai morire di fame, non bisogna essere poveri e bisogna capire come non morire di fame e non essere poveri.

PRESIDENTE. Do la parola al professor Franco Bruni per la replica.

FRANCO BRUNI, Professore ordinario di economia internazionale e di economia monetaria internazionale presso l'Università Luigi Bocconi di Milano. Scusatemi se devo andare. Comincerei dal tema del dopoguerra. Secondo me nel dopoguerra c'era una diversa consapevolezza del lungo periodo, perché il nostro Paese era distrutto e si guardava al lungo periodo. Anche la classe politica aveva una diversa tensione morale e intellettuale, quindi, credo che la differenza sia enorme non solo nel nostro Paese, ma in tutte le democrazie.


Pag. 27


Oggi siamo in crisi nel rapporto di delega democratica, e dobbiamo trovare modo di mettere dei vincoli altrimenti i delegati non sono più credibili: ne hanno fatto talmente di tutti i colori che, se non si legano le mani, non sono più credibili, infatti non lo sono più perché quando parlano nessuno crede loro. Non sto parlando solo dei nostri politici: è un problema generale e, andando spesso negli Stati Uniti, vi assicuro che la credibilità della classe politica americana è nulla in questo momento.
Non parliamo dei premi Nobel, che fra l'altro sono il contrario del buonsenso, anzi credo che la mancanza di buon senso sia una condizione necessaria per vincere il premio Nobel, ne ho conosciuti tanti e ve lo assicuro.
C'è una controprova di quanto dicevo sulle analogie con il clima del dopoguerra: oggi, infatti, siamo veramente nei guai a livello globale - è una situazione che assomiglia a una specie di guerra - e stanno tornando di attualità quelle preoccupazioni sulle responsabilità per il futuro e per il lungo periodo che c'erano una volta. Essere qui, così come in tutto il mondo, a discutere del vincolo di bilancio in Costituzione e parlare di disciplina di bilancio significa che siamo tutti preoccupati, anche se in modo diverso, e stiamo cercando di rilanciare la cooperazione internazionale perché abbiamo la consapevolezza dell'interdipendenza delle nostre economie, proprio come nel dopoguerra.
Quanto ai fattori incontrollati, credo che, così come ho cercato di dire nella mia relazione e come evidenziato anche nell'intervento del professor Pisauro, si possa gestire l'introduzione del principio del pareggio in Costituzione con la dovuta flessibilità. Si tratta di inserire tale principio in Costituzione nel modo giusto, in modo tale che quando non sarà rispettato a causa di fattori incontrollabili o di errori ci sia il tempo per porvi rimedio. Il riaggiustamento deve, però, essere obbligatorio e deve essere monitorato in modo molto speciale, perché altrimenti di anno in anno si sposta in là l'obiettivo, ed è proprio questa la ragione per la quale abbiamo un debito pubblico enorme.
Non è che non ci sia voglia di tornare indietro: è che non lo si fa invece, bisogna prevedere regole molto stringenti. A tale proposito, ho addirittura accennato all'idea di prevedere un vincolo alle emissioni di debito pubblico, che potrebbe essere anche mediato da questa famosa autorità indipendente.
Sull'autorità indipendente occorrerebbe un seminario specifico nel quale raccogliere tutti gli esempi che ci sono negli altri Paesi e discutere a fondo su come configurarla.

MARIO TASSONE. Io sono contrario a qualsiasi autorità, in quanto si delegano i controlli.

FRANCO BRUNI, Professore ordinario di economia internazionale e di economia monetaria internazionale presso l'Università Luigi Bocconi di Milano. Io, invece, credo che sia uno dei modi per legarsi le mani. In questo modo l'autorità politica acquista maggiore credibilità e maggiore autorevolezza nella misura in cui fissa degli obiettivi e gli strumenti con cui raggiungerli assumendosene la responsabilità politica, ma poi si impegna a non interferire nell'esecuzione tecnica e chiede solo conto di come l'autorità indipendente abbia esercitato le proprie funzioni.
Questa autorità indipendente dovrebbe avere obiettivi molto precisi di natura contabile e valutativa, ma, per esempio, teniamo conto che negli Stati Uniti, quando qualcuno si alza al Congresso e propone qualcosa, il Congresso nel congressional budget office fa i conti, e quei conti fanno stato, nel senso di dire che la proposta ha un determinato costo.
Questa autorità, che a un certo punto si mette in competizione anche con accademici esterni e centri studi, deve difendere la sua reputazione nel fare le sue valutazioni e rendere conto di come ha esercitato le sue funzioni. Non so se la previsione di questa autorità vada inserita esplicitamente in Costituzione, forse potrebbe


Pag. 28

essere prematuro, ma su tale questione può essere utile chiedere ai costituzionalisti.
Qualcosa del genere va fatto, perché altrimenti non ci sarebbe una sufficiente pressione. Questa è una delle cose che l'Europa chiede di più e sono sicuro che, nella sostanza, questo farebbe più piacere a Bruxelles che non l'introduzione del limite del pareggio di bilancio in Costituzione. Tra l'altro, a Bruxelles stanno pensando seriamente di rendere obbligatoria l'istituzione di un'autorità di siffatta natura per tutti i Paesi europei in modo da poter avere un controllo omogeneo dal centro sul modo con cui questi vengono fatti i conti e le previsioni. Oggi è quasi impossibile: i francesi prevedono il ciclo in modo diverso da noi e così via, Eurostat e la Commissione cercano di mettere ordine, ma è un vero disastro.
Un'ultima osservazione sulle riforme approvate recentemente in Spagna. Non mi sembra che la riforma fatta dagli spagnoli sia un granché. Certo, hanno dato un buon esempio del fatto che ci tengono a provvedere alle richieste che vengono dall'Europa, però credo che per guadagnare questo tipo di credibilità il nostro Parlamento e il nostro Governo abbiano talmente tante cose da fare subito che non ci sia bisogno di correre per farlo. Per riacquistare credibilità basta molto meno in un certo senso, ma molto di più.

PRESIDENTE. Osservo che il debito pubblico lo fanno anche negli Stati Uniti nonostante la presenza del Congressional Budget Office (CBO).

FRANCO BRUNI. Professore ordinario di economia internazionale e di economia monetaria internazionale presso l'Università Luigi Bocconi di Milano. Assolutamente sì.

PRESIDENTE. Sei anni fa, la Commissione bilancio ha visitato il CBO, quindi si può anche rispolverare la relazione che avevamo predisposto all'epoca.
Ringrazio il professor Bruni e do subito la parola al professor Merloni, che è stato tirato in ballo. Vediamo cosa ne pensa un esperto di diritto amministrativo.

FRANCESCO MERLONI, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli studi di Perugia. Ringrazio dell'invito e mi limiterò a pochissimi punti, perché sul tema del pareggio di bilancio anch'io sono arrivato pieno di perplessità, ma mi pare che quello che è stato detto fin qui alimenti nettamente l'ipotesi di distinguere tra il perseguimento dell'equilibrio di bilancio con una normativa - che può essere transitoria - e l'inserimento di una clausola così netta, come il divieto permanente del ricorso all'indebitamento, che non mi sembra una soluzione.
La discussione si è sviluppata molto sul tema dei controlli. Io sono dell'idea che i controlli debbano essere preventivi prima che successivi e che a questo fine vi sia già una tradizione delle Commissioni parlamentari, che purtroppo non è riuscita nell'intento, perché la verifica è fatta su ciascuna legge mentre occorrerebbe avere sempre un quadro d'insieme degli effetti anche nel tempo e soprattutto degli effetti del ciclo, sulla base dei quali l'andamento previsto per una spesa subisce delle variazioni.
Ci sarebbe, quindi, bisogno di un meccanismo di allarme e di un meccanismo che richiami le Camere rispetto a leggi che possano violare l'equilibrio del bilancio. Da questo punto di vista, la proposta del Partito democratico di coinvolgere il Presidente della Repubblica è positiva, perché è l'unica autorità che può rinviare un progetto di legge alle Camere e quindi sollecitare una nuova adozione del provvedimento, magari con una maggioranza qualificata.
Il problema è l'individuazione del soggetto al quale riconoscere il potere di attivare l'intervento del Presidente della Repubblica, perché se come abbiamo visto c'è un problema alla Corte costituzionale, la quale non è in grado di attrezzarsi in termini di controlli tecnici sull'andamento della spesa, non può dirsi lo stesso per la Presidenza della Repubblica. Quindi il


Pag. 29

problema rimane: o Corte dei conti o questa autorità. Da esperto di questioni relative ai rapporti Stato-regioni-enti locali, - poi dirò qualcosa anche a proposito della competenza in materia di armonizzazione dei bilanci e coordinamento della finanza pubblica - capisco perfettamente tutte le esigenze, ma, se vogliamo tenere in piedi uno Stato decentrato, non possiamo nei momenti di crisi accentrare di nuovo drammaticamente tutto, cancellando l'autonomia di regioni ed enti locali.
Il risultato è infatti che parliamo di federalismo, il quale però si sbriciola, e addirittura qui è in discussione la sovranità nazionale per certi aspetti, ma quella collegata all'euro e in genere alle politiche economiche è una cessione di sovranità, che lo Stato fa consapevolmente, salvo che - poi come avvenuto in Germania - la Corte costituzionale chieda che sia il Parlamento a esprimersi ad ogni cessione di sovranità.
Il tema dell'autonomia è molto delicato perché, se tocchiamo la Costituzione, rischiamo di rimettere in discussione un modello. Il professor Pisauro si è mostrato molto critico sull'articolo 119 della Costituzione, e capisco gran parte delle sue obiezioni. Però, a mio giudizio, questo articolo è una delle poche cose del Titolo V scritte adeguatamente, con l'idea di difendere l'autonomia. Tornando alla questione della Corte dei conti o dell'autorità, continuo a ritenere che la Corte dei conti per vari motivi, per quanto sia stato detto che è un organismo al servizio della Repubblica, sia al servizio più dello Stato che della Repubblica.
Ci vorrebbe, quindi, un'autorità molto forte, una Corte dei conti rivista, magari separandola rispetto alle funzioni giurisdizionali, che abbia l'autorità di richiamare il Parlamento, attraverso, ad esempio, il Presidente della Repubblica o i consigli regionali, nel caso dell'approvazione di leggi che abbiano contravvenuto ai vincoli stabiliti.
Quanto alla collazione nella Costituzione del principio del pareggio del bilancio, mi pare che la prima proposizione del disegno di legge del Governo, in cui si parla, con la correzione del professor Bruni, invece di osservanza dei vincoli, di adeguare i propri comportamenti all'appartenenza alla comunità europea, debba essere riferita all'articolo 81, piuttosto che al 53. Ritengo, inoltre, che tale formulazione sia migliore della secca affermazione del pareggio di bilancio e del divieto di indebitamento, in quanto formulata in termini tendenziali rispetto all'obiettivo che si deve raggiungere.
Una norma transitoria può stabilire in maniera più cogente che cosa si deve fare nei prossimi anni. In questo senso, una legge di stabilità rinforzata, che costringa a ridurre non solo il disavanzo - dovremo arrivare al pareggio nel 2013 -, ma lo stock di debito.
Vorrei richiamare l'attenzione su un tema che è stato già sfiorato da diversi interventi. Diversi progetti di legge - non quello del Governo, non quello del principale partito dell'opposizione - contengono la previsione di un limite alla spesa.
Il limite alla spesa qui mi sembra un eccesso di zelo, perché è considerato come un provvedimento complementare, che dimostrerebbe ulteriormente la volontà di tenere i conti sotto controllo. A questo proposito alle obiezioni di carattere tecnico-economico che sono state sollevate dagli economisti e dai premi Nobel americani, per cui, se non si raggiunge l'obiettivo, lo si irrigidisce ulteriormente, aggiungerei alcune valutazioni di ordine costituzionale. Se consideriamo il tetto alla spesa, dobbiamo valutare se il tetto debba essere fissato al 40 o al 45 per cento, e in rapporto a che cosa, cioè a quale quantità di spesa ammissibile. Faccio notare che ci sono dei Paesi europei, la Francia ma soprattutto i Paesi scandinavi, che viaggiano ad un livello di spesa pubblica pari a circa il 50 per cento del prodotto interno lordo e non hanno nessun problema di equilibrio di bilancio o hanno problemi di equilibrio di bilancio diversi, molto minori rispetto ai nostri. Evidentemente, quindi, il problema non risiede nel limite alla spesa, anche perché in un sistema di equilibrio l'indebitamento dovrebbe essere l'eccezione,


Pag. 30

ma dovrebbe essere consentito proporre che la spesa maggiore venga sostenuta con maggiore fiscalità.
Nella normale dialettica che c'è in tutta Europa tra partiti conservatori e partiti progressisti, c'è la logica per cui i partiti conservatori propongono una riduzione della spesa pubblica e i partiti progressisti propongono una spesa pubblica non certo coperta con l'indebitamento. Dovrebbero assumersi la responsabilità di proporla con maggiori entrate fiscali. Non ci sono alternative: questo è il modello dei Paesi scandinavi, nei quali maggiori entrate fiscali tengono il bilancio in pareggio.
Se prendiamo la Costituzione nella sua parte prima, quindi tutti i valori costituzionali, e la recente indicazione dei famosi livelli essenziali delle prestazioni, abbiamo sostanzialmente l'idea di una Costituzione che chiede investimenti pubblici nella scuola, nella sanità, nelle infrastrutture e nella stessa previdenza, mentre un'ulteriore previsione indica che queste prestazioni devono essere stabilite dallo Stato, come livelli essenziali da rispettare in tutto il territorio nazionale.
Questo significa che regioni ed enti locali sarebbero nella possibilità di elevare i livelli delle prestazioni, rivolgendosi alle rispettive popolazioni attraverso una maggiore imposizione fiscale, e non certo con l'indebitamento.
Se questa è la regola che deve essere mantenuta per tenere insieme la prima parte della Costituzione con la seconda parte, mi pare che fissare un limite alla spesa pubblica non avrebbe senso, anzi sarebbe in esplicito contrasto con il perseguimento di altri obiettivi che la Costituzione ritiene necessariamente da perseguire.
Concludo, infine, con la questione, precedentemente accennata, del coordinamento della finanza pubblica. Credo che dobbiamo metterci d'accordo forse una volta per tutte - e probabilmente anche il federalismo fiscale non ha dato una risposta definitiva - su come pensiamo al coordinamento della finanza: se in modo binario, per cui lo Stato ha due rapporti, uno con la regione e uno con gli enti locali, o a cascata.
Sono sostenitore di una reinterpretazione del Titolo V, che dice che solo la regione è il decisore finale sull'assetto della finanza locale, perché solo la regione sa quali sono le competenze degli enti locali nella regione interessata ed ha, quindi, il quadro della situazione. La regione quindi deve farsi garante del sistema della finanza regionale e locale e risponderne anche allo Stato. Ci sono, quindi, due livelli di coordinamento della finanza pubblica: quello dello Stato e il sistema delle autonomie; livelli che, però, ridurrei a un rapporto tra Stato e regioni, e uno relativo alla finanza locale, in cui è la regione che si deve fare carico di un coordinamento della finanza locale.
Se diciamo semplicemente che ci siamo sbagliati e che la materia coordinamento della finanza ritorna ad essere materia statale, perdiamo questa capacità di coordinamento della finanza anche a livello regionale, che si aggiunge a quello statale senza far perdere a quest'ultimo il ruolo fondamentale per cui lo Stato è il garante degli equilibri complessivi della finanza, ma poi è la regione che fa il lavoro minuto di coordinamento della finanza a livello locale.

PRESIDENTE. Una situazione complicata. Do la parola all'onorevole Causi.

MARCO CAUSI. Nel ringraziare tutti i professori, vorrei porre una domanda sull'autorità, visto che il professor Bruni ha sollevato il tema. Noi l'abbiamo già affrontato in occasione dell'approvazione della legge di riforma della finanza pubblica, la n.196 del 2009, dal momento che in uno dei testi approvati dal Senato era prevista la costituzione di un'autorità indipendente di controllo dei conti pubblici. Questa era, però, di tipo parlamentare, derivando dalla riunificazione dei servizi bilancio della Camera e del Senato e doveva, quindi, avere un ruolo non solo di valutazione esterna, ma anche di consulenza per il Parlamento stesso.


Pag. 31


Poi non se ne fece nulla, quindi vorrei chiedere un parere sulla configurazione che questa autorità dovrebbe assumere: indipendente o in rapporto con il Parlamento?
Sul coordinamento della finanza pubblica il professor Merloni ha detto una cosa molto importante e vorrei conoscere l'opinione del professor Pisauro in merito.

PRESIDENTE. Do ora la parola agli auditi per la replica finale.

GIUSEPPE PISAURO, Professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università La Sapienza di Roma. Per quanto riguarda il confronto con gli Stati Uniti, era ovviamente un artificio retorico quello di prendere l'autorità dei sette studiosi americani, anche se tra loro ci sono Arrow e Solow, i che ritengo due dei maggiori economisti viventi. Mi sembrava, quindi, un buon modo per cominciare.
Quelle considerazioni valgono a prescindere dal contesto. So bene - l'ho anche detto - che il contesto americano è diverso da quello italiano, infatti alcuni di quei punti non si applicano direttamente al nostro Paese. Proverei a ragionare, infatti, sulle ragioni per le quali in una situazione come quella del federalismo americano, mentre gli stati hanno spesso nelle proprie Costituzioni l'obbligo del bilancio in pareggio, il governo federale non ce l'ha.
Si tratterebbe di rovesciare completamente l'impostazione dell'articolo 119 della Costituzione: come mai negli Stati Uniti il Governo federale si indebita e gli stati no? Perché la funzione di stabilizzazione e redistribuzione è affidata, come nei testi sacri del federalismo, al governo centrale, che si indebita e finanzia anche gli investimenti locali.
Sarebbe interessante fare una riflessione in merito.
Assai interessante è la questione del coordinamento della finanza pubblica e, in particolare, dell'applicazione di un modello a cascata o parallelo. A tale proposito, sia nella scorsa legislatura che in questa tutti i tentativi di applicazione del Titolo V tentano di mediare su questo aspetto, anche se le opinioni sono diverse.
Non sono un giurista, quindi mi avventuro su un terreno non completamente di mia pertinenza, ma anche assumendo il punto di vista del coordinamento a cascata, in cui la finanza locale è competenza regionale, questo significa che le regioni devono fare i loro piccoli patti di stabilità interni, ma questa mi sembra una funzione amministrativa, mentre qui parliamo di funzione legislativa in tema di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
Credo, quindi, che questa funzione possa essere attribuita allo Stato anche in un modello a cascata: non riesco a cogliere la contraddizione tra le due cose, pur non essendo completamente convinto dell'opportunità di procedere al modello a cascata, ma su questo si può ulteriormente discutere.
Sull'autorità indipendente mi sarebbe piaciuto che il professor Bruni fosse rimasto, perché non ho capito bene cosa avesse in mente. Ha parlato di legarsi le mani con riferimento all'istituzione dell'autorità indipendente in materia di politica fiscale, poi però ha citato ad esempio il CBO, che non ha nulla a che fare con il legarsi le mani: svolge una funzione fondamentale che serve a dare maggiore trasparenza a tutta la finanza pubblica, sia ai conti sia alle valutazioni di singole proposte.
C'è un accordo abbastanza ampio sull'ipotesi di avere un elemento di dialettica con il Governo, perché poi di questo si tratta: il Governo ha, infatti, strutture che fanno le proprie valutazioni e partono da basi dati indipendenti, mentre quelle elaborate dal Parlamento, stante la situazione attuale, non possono che fare le pulci a quanto ha scritto nella relazione tecnica il Governo. In altri termini non c'è una capacità di elaborazione indipendente da parte delle strutture del Parlamento.

GIUSEPPE CALDERISI. Una commissione paritetica parlamentare sarebbe una soluzione?


Pag. 32

GIUSEPPE PISAURO, Professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università La Sapienza di Roma. Esatto. Su quello siamo d'accordo, ma sarebbe immaginabile anche l'unificazione dei servizi bilancio della Camera e del Senato, anche se tale configurazione non incontra il favore di alcuni.
Una cosa diversa è un'autorità fiscale che per la politica di bilancio svolga compiti paragonabili a quelli attribuiti alla Banca centrale per la politica monetaria. Lì siamo su un altro terreno.
In proposito, condivido quanto affermato da un membro della Commissione ovvero che sarebbe una rinuncia eccessiva, mentre una autorità che vigila sulla correttezza dei conti ed esprime valutazioni indipendenti che possano essere confrontate con quelle ufficiali mi sembra sicuramente opportuna.
Mi pare che non fossero state sollevate altre questioni. Grazie.

FRANCESCO MERLONI, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli studi di Perugia. Consentitemi un flash sull'autorità. È chiaro che l'autorità indipendente svolgerebbe un ruolo completamente diverso rispetto a quello parlamentare, per cui comunque vanno rafforzati i meccanismi di allarme interni al Parlamento. Si tratta però di capire se siano sufficienti oppure no.
Il modello delle autorità indipendenti, per capirci il modello delle autorità antitrust di tutti i Paesi europei, che fanno riferimento al Commissario europeo per la concorrenza, non è un modello che oggi noi possiamo realizzare, ma è probabile che ci venga imposto prima o poi.
Ho infatti l'impressione che uno dei passaggi successivi sarà questo. Indipendentemente dal realizzare una politica economica di bilancio pienamente europea, quantomeno ci sarà un rafforzamento della capacità di verifica e di controllo dell'andamento della spesa anche attraverso la predisposizione da parte della Comunità europea di propri terminali presso i vari Paesi.
Probabilmente ci arriveremo, per cui a quel punto sarebbe meglio essere già pronti, pensando che questa autorità debba avere un certo grado di qualità tecnica e di indipendenza anche rispetto all'Europa. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie. In un quadro già complicato questo rappresenta un altro elemento di complicazione.
Nel ringraziare gli auditi per il loro contributo, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13,45.

Consulta resoconti delle indagini conoscitive
Consulta gli elenchi delle indagini conoscitive