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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione II
2.
Mercoledì 27 luglio 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Follegot Fulvio, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLO SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO RECANTE CODICE DELLE LEGGI ANTIMAFIA E DELLE MISURE DI PREVENZIONE NONCHÉ NUOVE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI DOCUMENTAZIONE ANTIMAFIA (ATTO N. 373)

Audizione del dottor Francesco Menditto, giudice della sezione per l'applicazione delle misure di prevenzione del tribunale di Napoli, nonché di rappresentanti dell'Unione Camere penali italiane e dell'Associazione nazionale magistrati:

Follegot Fulvio, Presidente ... 3 7 8 10 12 14 15
Capano Cinzia (PD) ... 12
De Minicis Francesco, Componente della giunta dell'Unione delle camere penali italiane ... 7
Ferranti Donatella (PD) ... 10
Inghilleri Renzo, Componente della giunta dell'Unione delle camere penali italiane ... 8
Menditto Francesco, Giudice della sezione per l'applicazione delle misure di prevenzione del tribunale di Napoli ... 3 10 12
Napoli Angela (FLpTP) ... 12 15
Palamara Luca, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 14
Samperi Marilena (PD) ... 12

ALLEGATO: Documentazione depositata dal procuratore nazionale antimafia il 6 luglio 2011 ... 17
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A.

[Avanti]
COMMISSIONE II
GIUSTIZIA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 27 luglio 2011


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FULVIO FOLLEGOT

La seduta comincia alle 14,55.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del dottor Francesco Menditto, giudice della sezione per l'applicazione delle misure di prevenzione del tribunale di Napoli, nonché di rappresentanti dell'Unione Camere penali italiane e dell'Associazione nazionale magistrati.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia (Atto n. 373), l'audizione del dottor Francesco Menditto, giudice della sezione per l'applicazione delle misure di prevenzione del tribunale di Napoli, nonché di rappresentanti dell'Unione Camere penali italiane e dell'Associazione nazionale magistrati.
Ricordo che la Commissione ha audito informalmente il procuratore nazionale antimafia, dottor Pietro Grasso, prima che venisse disposta l'indagine conoscitiva in merito all'esame dello schema di decreto all'ordine giorno. Ritengo che sia opportuno acquisire agli atti dell'indagine conoscitiva il documento depositato dal procuratore, del quale autorizzo, quindi, la pubblicazione in allegato al resoconto della seduta odierna (vedi allegato).
Saluto cordialmente tutti gli intervenuti, che invito a consegnare eventuali contributi scritti.
Do la parola al dottor Francesco Menditto.

FRANCESCO MENDITTO, Giudice della sezione per l'applicazione delle misure di prevenzione del tribunale di Napoli. Cercherò di essere estremamente sintetico, rimanendo poi a disposizione per eventuali domande.
Mi preme ovviamente ringraziarvi per avermi dato la possibilità di venire davanti a voi e di portare la mia esperienza di giudice delle misure di prevenzione. Svolgo questo compito da dieci anni, è un compito esaltante, bello, che mi piace, è una delle poche funzioni che per legge prevede una destinazione sociale dei beni che andiamo a confiscare, quindi è particolarmente interessante.
Mi sono occupato da subito, da quando è stato deliberato dal Consiglio dei ministri, del presente schema del decreto e ho scritto subito un articolo che ho lasciato agli atti della Commissione, perché ero curioso di vedere come veniva realizzato un codice che attendevamo da almeno dieci anni.
Devo dire che mi sono subito preoccupato, perché il testo predisposto, per le ragioni che ho diffusamente scritto e che ora elencherò in estrema sintesi, è un codice rischioso per il contrasto all'azione criminale che portiamo avanti tutti i giorni. La mia è un'esperienza pratica,


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svolgo questa attività da dieci anni e mi occupo anche della destinazione dei beni confiscati, perché collaboro con l'associazione Libera per mio interesse.
Ho registrato con grande piacere l'audizione del Procuratore Grasso, che ho letto e che ha riportato in buona parte il testo del mio articolo perché ne condivideva lo spirito, il testo e le conclusioni. Parlandoci personalmente mi ha confermato di condividere integralmente questa problematica e di avere rappresentato a voi in Commissione di aver ampiamente attinto dal mio articolo. Ne sono stato soddisfatto, perché una cosa è intervenire come piccolo giudice della prevenzione o a livello scientifico, altra cosa è che un'autorità istituzionale possa fare proprie queste tesi, perché ovviamente è più convincente di me, per cui esprimo grande soddisfazione.
Devo fare una brevissima premessa. Il contrasto alle associazioni criminali attraverso i sequestri con le confische è fondamentale: lo vediamo sul campo quando andiamo a sequestrare i beni e li espropriamo, lo vediamo quando i beni vengono destinati a fini sociali e dal simbolo dell'illegalità si passa al simbolo della legalità. Vi prego, quindi, di rivolgere la massima attenzione perché siete l'ultimo baluardo prima della decisione del Governo.
L'esperienza ha permesso di rilevare come, se queste norme non sono scritte bene, si rischia di far emergere far una quantità di problemi. Tenete presente che due sono le linee di azione nel contrasto alle organizzazioni criminali: quella di prevenzione di cui mi occupo io, e quella penale di cui ci si occupa nel processo penale lungo e complicato, dove si opera il sequestro dei beni ma principalmente ci si preoccupa di condannare le persone, quindi c'è minore attenzione su questo tema.
Noi giudici della prevenzione, una volta che riceviamo la proposta dalla Procura, dalla DIA o dal Questore, svolgiamo indagini, decidiamo se sequestrare, decidiamo sulla revoca del sequestro e sulla confisca di primo grado, amministriamo i beni fino alla confisca definitiva, quindi siamo gli osservatori privilegiati in materia, non solo io ma la quarantina di giudici che la tratta e sono tutti su questa linea.
Il problema è che lo strumento penale è uno strumento delicato ed è rischioso intervenire in maniera poco accorta sulla base di una legge delega che avete approvato all'unanimità, ma che presentava gravi limiti perché priva di principi e criteri direttivi in materia penale - vi è sfuggito: l'avevamo detto prima che l'approvaste anche in una riunione tenutasi nel luglio dell'anno scorso in cui c'erano anche componenti del Ministero della giustizia - e, se non si danno principi e criteri direttivi, si può fare solo un'opera di ricognizione, come vi hanno detto anche il dottor Grasso e altri.
Il Governo ha deciso di non fare neanche l'opera di ricognizione. Nella relazione illustrativa al disegno di legge delega del Governo (A.C. 3290) si afferma l'intenzione di fare la ricognizione di tutte le norme in materia previste dal codice penale e dal codice di procedura penale, ma nel codice non c'è nulla di tutto questo: sono state estrapolate pochissime norme penali, sostanziali e di procedura, introdotte in questo codice, a mio avviso - è una mia opinione - solo per definirlo codice antimafia e non codice delle misure di prevenzione.
Ovviamente tutto questo comporta grandi problemi all'interprete. Troverete eccessi di delega, cioè un aumento di pena illegittimo operato dal codice, noterete che manca l'abrogazione di alcune norme, per cui si applicherà sia il codice antimafia, sia l'eguale norma presente nel codice penale in una legge speciale, perché nel penale vige il principio dell'abrogazione espressa, e troverete un danno che va assolutamente eliminato - scusate questo accorato appello -, che è l'articolo 8, in cui si prevede un'ipotesi particolare di confisca.
In questa è stata frazionata la norma attualmente vigente sul sequestro e la confisca antimafia, definita dall'articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306; se ne è preso un pezzo, lo si è riportato nel codice antimafia ignorando l'esigenza di fare una serie di richiami, per


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cui non si sa come saranno amministrati questi beni e quali saranno gli effetti deflagranti di questa opera di frammentazione, che nel diritto penale è inaccettabile e in contrasto con la vostra tendenza come legislatori (ad esempio la legge 31 marzo 2010, n. 50, di conversione del decreto-legge 4 febbraio 2010, n. 4, relativa all'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata) a unificare gli strumenti di aggressione e non di frazionarli, per cui avete creato l'Agenzia nazionale che interviene in tutti i settori sia penale che di prevenzione. Se ora si fraziona, lavoreremo molto male.
Sarebbe quindi necessario eliminare i primi dieci articoli e assolutamente l'articolo 8 perché ci creerà enormi problemi. Per le misure di prevenzione - presidente, mi dica se sto rubando troppo tempo - devo fare una premessa, che fa parte di quanto vi ho detto prima. È una materia specializzata, conosciuta da pochi giudici, avvocati e studiosi, e, se non la si pratica, non si può commentare e intervenire.
Anche voi come legislatori avete commesso molti errori soprattutto nel decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, che ci ha creato una serie di problemi che abbiamo dovuto risolvere a livello interpretativo per non farne dichiarare l'incostituzionalità; siamo di fronte a una materia delicata in cui interviene spesso la Corte europea per i diritti dell'uomo perché è una materia particolare, molto efficace perché, a differenza del diritto penale, si sequestrano anche beni di persone indiziate di appartenenza all'associazione e quindi non condannate.
Ho sequestrato beni di Paolo Di Lauro prima che fosse indagato, poi autore di varie faide negli anni successivi, così come le case di tutti i suoi parenti. Si può intervenire anche in caso di morte del soggetto, mentre nel processo penale in caso di morte bisogna dichiarare estinto il processo e restituire i beni. Grazie al lavoro che avete fatto nel 2008, possiamo anche sequestrare e confiscare beni di persone già decedute da cinque anni, riuscendo dunque a togliere dal circuito economico tutti i beni illegalmente acquisiti da soggetti deceduti di cui fruiscono ingiustamente i parenti, gli eredi. Dobbiamo eliminarli dal circuito criminale per la valenza negativa.
È prevista la figura di un giudice specializzato perché sappiamo come amministrare, come intervenire in ogni caso. Si tratta quindi di una materia molto importante, molto delicata, non facile da maneggiare: quando si interviene, se non si hanno le competenze, si rischia di creare problemi.
Appena ho letto questo codice ho constatato che è stato scritto da persone prive di esperienza in materia di misure di prevenzione, che non hanno consultato avvocati e studiosi più bravi di me in questo settore, perché si rilevano clamorosi errori.
Probabilmente, la parte relativa al riconoscimento dei creditori in buona fede è stata scritta da qualche giudice fallimentare, ma il fallimento è cosa molto diversa dalle misure di prevenzione: nel settore fallimentare c'è un'immediata sentenza dichiarativa di fallimento e il giudice deve liquidare i beni del fallito in favore dei creditori, quindi del privato, mentre noi sequestriamo e confischiamo per togliere ai mafiosi e ai camorristi per dare allo Stato e far riutilizzare questi beni.
Se sarà approvato questo codice, ci trasformerete in giudici liquidatori, perché dovremo prima lavorare per sequestrare e confiscare - non è facile, vi assicuro -, poi dovremo vendere questi beni per pagare i creditori dei mafiosi, che spesso hanno concesso crediti con una certa facilità. Non è questo il lavoro per il quale ho scelto di fare il magistrato delle misure di prevenzione, a parte che andrò via per altre ragioni.
Tra l'altro, in questo settore c'è il grosso problema - devo sintetizzare, ma vorrei segnalarvi almeno qualche passaggio fondamentale - delle banche. Vi ho detto della scelta legislativa sicuramente necessaria di pagare i creditori in buona fede del camorrista. Attenzione: vi ha detto anche il dottor Grasso, l'ho scritto


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subito e mi ha colpito, che nello schema di decreto si preveda la soddisfazione totale di questi soggetti, prelevando l'intero importo confiscato al mafioso e vendendo tutti i suoi beni. Tutti questi soldi serviranno quindi per pagare il creditore, senza neanche detrarre le spese sostenute dallo Stato.
Vi assicuro che gli amministratori costano molto, quindi lavoreremo molto, pagherete noi magistrati e gli amministratori, e lo Stato sarà in perdita, quando invece la legge delega, che su questo punto avete scritto bene, diceva che i creditori dovevano essere soddisfatti nella misura del 70 per cento. Mi chiedo come sia aumentato al 100 per cento, perché è veramente un eccesso di delega e, se mi capiterà, solleverò la questione di costituzionalità.
Tra l'altro, non si tiene conto che in questo settore il grosso problema è quello degli istituti bancari che concedono crediti a persone poi dichiarate camorristi. Se leggerete la relazione dell'Agenzia nazionale per i beni confiscati del 2011, vedrete che ci sono 1.500 beni immobili che dovrebbero essere utilizzati per fini sociali, ma non possono perché gravati da ipoteche. Il giudice li ha già confiscati, non possono essere utilizzati perché c'è un'ipoteca in favore della banca, e l'Agenzia nazionale, prima di assegnarli per fini sociali, vuole che il Comune si faccia carico degli eventuali oneri del pagamento di queste ipoteche, ma ovviamente i Comuni non hanno la possibilità di pagarle perché andrebbero in fallimento.
Tra l'altro, l'ammontare di queste ipoteche è di 500 milioni di euro, 1.000 miliardi di vecchie lire: se non interverrete con norme transitorie, questo fardello continuerà a gravare negli anni, i beni non saranno destinati perché le banche potrebbero chiedere a noi giudici il riconoscimento della buona fede e il diritto al risarcimento, quindi avere un ristoro da parte dello Stato. Al tribunale di Napoli è stata presentata una quindicina di queste istanze dalle banche, ma sono state tutte rigettate.
Nel mio articolo è citato il caso di un'evidente collusione della banca con il camorrista, al quale veniva concesso un credito infinito. La stessa banca sinora ha pagato fior di avvocati per cercare di avere indietro questi soldi, perché abbiamo confiscato tutto al camorrista; quindi, la banca non può riappropriarsi di nulla e vorrebbe soldi dallo Stato, ma abbiamo rigettato l'istanza perché non era in buona fede.
Le banche fanno così poche azioni perché iscrivono nel loro bilancio il credito, seppure in sofferenza, ed è comunque un attivo. Nel momento in cui, invece, azionano davanti a noi le richieste di ristoro e noi le rigettiamo definitivamente devono cancellare dal bilancio tali crediti e c'è una perdita secca che poi devono sopportare con conseguenti responsabilità interne. Vi fornisco questi elementi perché avete l'occasione di poter inserire una norma transitoria, che ho formulato. Per rendere più semplice il lavoro della Commissione, troverete una relazione di trentacinque pagine, perché ritengo utile criticare, studiare, ma anche proporre.
In queste trentacinque pagine, dall'articolo 1 all'articolo 131, vi ho indicato quali proposte dovrebbero essere finalmente accolte in un codice delle misure di prevenzione. Quarantuno articoli sono oggetto di osservazioni e di richieste di intervento e per ognuno di questi ci sono almeno cinque o sei richieste di modifica. Se ci sarà la possibilità di farlo, sentendo anche altre persone, potrà venire fuori qualcosa di positivo; se non sarà approvata almeno buona parte di queste modifiche, gli effetti saranno solo deleteri.
Mi avvio alla conclusione perché non voglio rubare troppo tempo. La cosa più sconcertante - vi prego di prenderne nota - è che per la prima volta nella mia vita ho visto un atto normativo presentato al Parlamento in via ufficiale sul vostro sito (l'ho scaricato lo scorso 21 giugno) con delle cancellature, perché all'ultimo momento sono stati cancellati due articoli, anche se con il programma di videoscrittura word è abbastanza semplice eliminare un articolo.


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Troverete errori clamorosi: l'ultimo articolo è monco, cioè si sono dimenticati di scriverne una parte; troverete errori nella numerazione dei commi (manca il terzo e il quarto comma), con una conseguente sciatteria, errori di coordinamento (all'articolo 54 si cita l'applicabilità delle norme dell'articolo 54 perché non si sono accorti che intanto la norma di richiamo aveva cambiato numerazione). Se depositassi un sequestro o un provvedimento di questo tipo, sicuramente la Corte d'appello me lo straccerebbe, ma credo che rischierei anche un procedimento disciplinare.
Posso rispondere sui dettagli in base alla mia esperienza, ma il messaggio chiaro deve essere questo: eliminazione dei primi dieci articoli e ampia rivisitazione degli altri novanta articoli, con introduzione di norme transitorie di coordinamento e finali mancanti, che sono complicate da scrivere, perché lì si gioca molto.
Se infatti il testo dovesse essere approvato in questo modo, ci creerebbero enormi problemi di applicabilità. Tenete presente che, quando non scrivete bene una norma - scusate se sono così diretto, ma sono abituato a parlare in questo modo -, non si ferma lì: ci crea molti problemi perché le difese giustamente cercano di individuare tutti gli spazi, come è loro dovere (farei la stessa cosa e siamo contenti che lo facciano perché ci danno la possibilità di riflettere).
Rischiate però di ottenere effetti contrari a quelli che vi proponete, e questo codice antimafia che doveva raccogliere le istanze maturate in tanti anni e migliorare la lotta alle associazioni criminali sotto il profilo soprattutto del contrasto patrimoniale, nel rispetto delle garanzie perché io sono un garantista assoluto (operiamo continuamente interpretazioni costituzionali conformi alla CEDU), invece di avere un effetto positivo, se sarà approvato così, avrà solo effetti negativi e renderà più complicato il nostro lavoro. Grazie e scusate se mi sono dilungato nel mio intervento.

PRESIDENTE. Grazie, dottor Menditto, per la sua chiarezza. Do ora la parola all'avvocato Francesco De Minicis, componente della giunta dell'Unione delle camere penali italiane.

FRANCESCO DE MINICIS, Componente della giunta dell'Unione delle camere penali italiane. Grazie, presidente, ringrazio gli onorevoli membri della Commissione. Sarò molto più breve del dottor Menditto anche perché divideremo l'intervento con l'avvocato Inghilleri.
La predisposizione di un testo unico, che raggruppa in un unico luogo normativo norme sparse, è cosa da salutare positivamente in qualsiasi caso, a maggior ragione in sede penale, in una materia che ha dato origine a una serie di difficoltà interpretative.
Trovo, tuttavia, un forse non occasionale motivo di accordo con il dottor Menditto non ritenendo approvabile la trasposizione nel testo unico della normativa penale in materia di associazioni mafiose e reati satelliti anche per una questione di principio perché riteniamo che le violazioni ai valori maggiormente importanti in un ordinamento debbano stare nel codice penale che è l'usbergo principale, ma è giusto e possibile che le norme sanzionatorie relative alle violazioni delle misure di prevenzione stiano nella legge speciale; meno indicato ci sembra che questo avvenga per le norme del codice penale sostanziale, quindi, per le norme fondamentali.
È anche vero che questa è una mera trasposizione che non aggiunge nulla. Se ci fosse stata da parte della legge delega la possibilità di un aggiustamento e di una modifica, sarebbe stata l'occasione per intervenire in un settore particolarmente delicato, rappresentato dalla necessità di normare il concorso esterno nei reati associativi, problema che fa tremare le vene ai polsi ma sul quale l'intervento del legislatore, secondo l'Unione delle camere penali, è quanto mai importante.
Questo non era possibile in ragione della delega, quindi concordiamo sotto questo profilo con il dottor Menditto nel


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chiedere che i primi dieci articoli vengano espunti e rimangano nella sede propria. Più in generale riteniamo che l'aggressione economica sia un terreno giusto da percorrere nel rispetto delle garanzie, mentre il collega Inghilleri entrerà nel merito delle singole misure previste.
Da sempre l'Unione delle camere penali italiane ritiene inaccettabile il diritto penale di prevenzione che interviene con misure parapunitive a prescindere dalla commissione di reati. Mentre un sacrificio patrimoniale è più assimilabile a una controversia civilistica in cui può valere questa regola entro certi limiti e con le dovute garanzie, quando si aggredisce la libertà personale la regola deve essere quella dell'oltre ogni ragionevole dubbio.
Questo ci induce a ribadire in questa sede una contrarietà di principio a ogni diritto penale di prevenzione, che prescinda dal reato o peggio, come riteniamo si verifichi ancora in questo codice, si fondi sul sospetto o su elementi evanescenti come il «si ha motivo di ritenere che» o il «vivere al di sopra».
Non vale a nostro avviso a mitigare questa ingiustizia la circostanza della formale giurisdizionalizzazione delle misure di prevenzione, perché comunque, quando il giudice ha in mano concetti estremamente vaghi come il sospetto, in realtà ontologicamente non riesce a jus dicere e fa un'attività di discrezionalità amministrativa mascherata da giurisdizione. Questo è quindi il discorso che in linea di principio ci ha visto contrari a tutte le modifiche e agli appesantimenti in sede di misure di prevenzione succedutisi negli anni.
Di fronte a questo testo dobbiamo registrare in modo ancor più preoccupante che la sintesi fra le varie normative, in particolare, ha operato un'unificazione e un'elevazione verso l'alto delle possibili conseguenze sanzionatorie, equiparando a categorie obiettivamente pericolose, come quelle dei mafiosi e dei camorristi, anche la categoria residuale del vecchio numero 3) dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, che ora è diventata lettera c) dell'articolo 11 di questo testo.
Questo individua una serie di categorie del tutto residuali, con un livello di pericolosità incomparabile con quello delle categorie del numero 1) del citato articolo. Possono rientrare in queste categorie anche contravventori per schiamazzi notturni (quindi non solo delinquenti). Il disturbo alle persone commesso reiteratamente può far rientrare colui che commette tale reato in questa categoria.
Prima c'era una differenza e quanto meno la necessità dell'avviso orale prima di dar luogo a ipotetiche misure di sorveglianza speciale, c'era un blocco totale rispetto alla possibilità di adottare misure patrimoniali in ordine a questi soggetti, mentre ora l'argine è completamente rotto. A noi sembra che qui si rischi di equiparare in modo inaccettabile soggetti devianti di piccolo calibro, e assolutamente non pericolosi, alla criminalità organizzata.
Su questo punto chiediamo una riflessione e quanto meno la reintroduzione degli sbarramenti precedenti, cioè la necessità dell'avviso orale e la non possibilità dell'automatica applicazione delle misure patrimoniali, ferma restando la nostra contrarietà di principio e il nostro auspicio che il diritto penale di prevenzione sia sempre meno presente in un ordinamento democratico e liberale.
Accanto a questa modifica in peius del sistema delle norme, vi sono poi pigrizie ingiustificabili, perché, se è vero che nel settore penale la delega non consente le organizzazioni, nel settore delle misure di prevenzione questo è consentito. Che all'articolo 18 si parli di «osterie e bettole» nel terzo millennio, mi pare francamente eccessivo: scriveteci locali notturni o birrerie! Questo si può fare, è un discorso banale, ma credo che anche la qualità del legislatore debba essere salvaguardata. Mi fermo qui, lasciando la parola al collega Inghilleri, e vi ringrazio.

PRESIDENTE. Grazie. Do quindi la parola all'avvocato Inghilleri.

RENZO INGHILLERI, Componente della giunta dell'Unione delle camere penali italiane. Grazie, presidente. Ringrazio tutti


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i componenti della Commissione per averci dato l'opportunità di esprimere il nostro parere su disposizioni normative così importanti, che hanno un impatto notevole sul sistema normativo in generale e un impatto sociale molto importante.
Sarò davvero breve. In genere, quando nelle aule giudiziarie noi avvocati diciamo «sarò breve» tutti si preoccupano perché significa l'esatto contrario, ma in questo caso l'avvocato De Minicis ha già detto molto, quindi la promessa di brevità sarà mantenuta.
Le misure di prevenzione patrimoniali contemplate dal futuro testo unico - per il momento ci misuriamo su uno schema di decreto legislativo - hanno un'importanza notevole e, come ci insegna l'esperienza giudiziaria, un'efficacia notevole nella lotta alla criminalità organizzata, al fenomeno delle associazioni a delinquere di tipo mafioso, perché si incide sui patrimoni e quindi - perdonatemi l'espressione poco elegante - si tagliano i viveri alle associazioni criminali di tipo mafioso.
C'è però una distonia, cui ha accennato l'avvocato De Minicis, perché, se, come è nella normativa vigente (la legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modifiche), le misure patrimoniali hanno lo scopo di combattere efficacemente la criminalità di tipo mafioso, ancora una volta non si comprende questo ampliamento della categoria dei destinatari delle misure patrimoniali a soggetti che poco o nulla hanno a che vedere con la criminalità organizzata e segnatamente quella di tipo mafioso.
Ribadisco quindi l'esigenza di espungere dai destinatari la categoria dei soggetti indiziati o sospettati di commettere reati che attentino alla integrità fisica o morale dei minorenni o alla salute e alla tranquillità pubblica.
In linea generale, per quanto concerne le misure di prevenzione e segnatamente per quanto concerne le misure di prevenzione patrimoniale, si registra - è così nella normativa vigente e continuerà ad essere così, se questo testo unico vedrà la luce - una violazione del principio di tassatività e di determinatezza, perché non c'era e non ci sarà un'individuazione delle fattispecie di pericolosità sociale, né c'è un'individuazione dei criteri sotto un profilo di concretezza dell'accertamento della pericolosità sociale.
Sotto questo aspetto potrebbe anche verificarsi un problema di contrasto rispetto alla legge delega n. 136 del 2010, che all'articolo 1, comma 3, lettera a), punto 5), stabilisce che «deve essere definita in maniera organica la categoria dei destinatari delle misure, ancorandone la previsione a presupposti chiaramente definiti e riferiti in particolare all'esistenza di circostanze di fatto che giustificano l'applicazione delle suddette misure di prevenzione». Evidentemente, il legislatore delegato dovrà individuare in modo compiuto quali circostanze di fatto il giudice dovrà valutare, per stabilire se una persona sia socialmente pericolosa, e, quindi, se sia il caso di applicare la misura di prevenzione richiesta.
Nel testo unico, che ripropone con una certa pigrizia - mi piace il termine usato dal collega De Minicis - e peraltro in modo incompiuto la legislazione vigente, il legislatore su questo punto si limita a dire che il giudice dovrà valutare la sospettabilità di reato sulla base di circostanze e di elementi di fatto, quindi, evidentemente, non c'è nessun passaggio sotto il profilo della determinatezza dalla delega al testo del legislatore delegato.
Certo, l'obiezione è che sia così anche oggi, perché la normativa in materia di misure di prevenzione lo prevede, ma è proprio questo il punto che contestiamo per le ragioni evidenziate dall'avvocato De Minicis.
Vorrei sottolineare un altro aspetto, che attiene sempre alle misure di prevenzione patrimoniali e riguarda la pericolosità sociale. Non c'è dubbio: le misure di prevenzione patrimoniali possono essere applicate in modo disgiunto dalle misure di prevenzione personali e anche indipendentemente dall'accertamento della pericolosità sociale. C'è però un punto da rilevare: è saltata una proposizione che era contenuta nella legge delega, cioè «anche


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indipendentemente dalla pericolosità sociale al momento della richiesta della misura».
È chiaro che non è necessaria l'attualità della pericolosità sociale nel momento in cui la misura deve essere applicata, ma per la legge delega, così come nella legislazione vigente (la legge del 1965 come modificata nel 2008), occorreva pur sempre un accertamento di pericolosità sociale sicuramente antecedente. Pensiamo a un'ipotesi di applicazione di misure di prevenzione personale cessata nel momento in cui si deve decidere sull'applicazione della misura patrimoniale.
Nello schema di decreto legislativo questa parte, cioè «al momento della richiesta della misura cautelare» è scomparsa, il che significa che, se dobbiamo interpretare letteralmente questa proposizione, la misura patrimoniale sarà completamente disancorata da ogni riferimento alla pericolosità sociale. Il dottor Menditto ha individuato tanti aspetti di eccesso di delega o di violazione del principio del rispetto della delega, e sicuramente questo è uno di quelli.
In conclusione, come ha già detto l'avvocato De Minicis, non condividiamo la filosofia di questa normativa per i motivi che ha espresso molto bene. Anche se mi rendo conto che la legge delega è stata fatta in un certo modo e quindi il decreto legislativo dovrà uniformarsi ai suoi principi, sebbene dalla lettura dello schema di decreto legislativo sembri non averlo fatto molto bene, proponiamo a voi legislatori che le misure di prevenzione e segnatamente la confisca siano residuali rispetto all'accertamento effettuato dal giudice penale con sentenza di condanna, che applica la confisca a seguito di una sentenza di condanna.
È accettabile che non ci sia uno stretto collegamento tra il bene oggetto di confisca e il reato, e, in effetti, il legislatore ha superato i criteri dell'articolo 240 del codice penale già nell'articolo 12-sexies del decreto legislativo n. 306 del 1992, ma l'articolo ora citato riguarda le ipotesi di confisca obbligatoria in presenza di un reato di usura o di riciclaggio (previsto dall'articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), allorché il possesso di determinati beni non venga giustificato e sia sproporzionato rispetto al reddito della persona condannata.
È chiaro che i presupposti sono diversi: qui c'è una condanna, che in sede di misure di prevenzione non ci può essere. Auspicheremmo però che le misure di prevenzione un giorno possano essere applicate solo in via residuale, ad esempio, quando non è più possibile un accertamento penale per prescrizione o altre cause di estinzione del reato, oppure anche in presenza - lo dico violentando la mia natura di avvocato difensore - di una sentenza assolutoria che sia intervenuta ai sensi del secondo comma dell'articolo 530 del codice di procedura penale, a patto che il giudice possa valutare sulla base di elementi concreti, non certo dei vaghi indizi citati nella normativa oggi proposta alla nostra attenzione, in presenza di un quadro indiziario serio, robusto, corroborato da significativi elementi di prova, altrimenti si rischia una deriva che non può essere accettata in uno Stato e in un ordinamento democratico.
Vi ringrazio dell'attenzione.

PRESIDENTE. Grazie. In attesa dell'arrivo dei rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati, do ora la parola ai colleghi che desiderino intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

DONATELLA FERRANTI. Nell'attesa vorrei chiedervi qualche ulteriore delucidazione relativa alle anomalie che sono state evidenziate nelle relazioni che abbiamo agli atti riguardanti la vendita dei beni e anche di quote, prevista dall'articolo 58 del testo.

FRANCESCO MENDITTO, Giudice della sezione per l'applicazione delle misure di prevenzione del tribunale di Napoli. Voglio rassicurare gli avvocati perché l'applicazione


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delle misure di prevenzione è sempre conforme alla Costituzione. Anche la CEDU ha detto che sono conformi perché finché abbiamo la criminalità organizzata non c'è altro modo, ma comunque l'applichiamo in modo costituzionalmente orientato perché crediamo nelle garanzie volute dai nostri costituenti.
Questo è un aspetto importante. Il decreto è permeato da una filosofia di vendita dei beni sequestrati e confiscati in via definitiva probabilmente perché non si conoscono neanche bene le norme che sono state a volte inserite all'ultimo momento.
Ci sono quattro punti da affrontare molto velocemente. Il Governo ha molto sbandierato l'istituzione della revoca di una confisca definitiva, prevedendo che solo in alcuni casi il bene sia trattenuto allo Stato. Per la legislazione attuale, tutte le volte in cui revochiamo una confisca definitiva per elementi sopraggiunti dopo l'intangibilità del giudicato, il bene non viene mai restituito al soggetto, ma c'è sempre il ristoro economico. Già con questo primo passaggio saranno restituiti beni che oggi non vengono restituiti.
Secondo passaggio: con una norma inserita non si sa come e perché è previsto che dopo la confisca definitiva vengano vendute le quote di partecipazione societaria. È un inciso che sarebbe passato facilmente, se non fosse stato letto con attenzione. Mi spiego rapidamente perché la materia è complessa.
Come giudici della prevenzione, sequestriamo beni aziendali di imprese individuali (un bar, un supermercato che fanno capo a una ditta individuale, a una persona fisica) e le quote di società (una Srl, una Snc). Queste società di cui sequestriamo le quote sono titolari di attività imprenditoriali, quindi la Srl Menditto & C. ha un certo capitale sociale, gestisce un bar, un supermercato, una società di compravendita, è proprietaria di immobili e di tante attività commerciali.
Con questa norma, divenuta definitiva la confisca delle quote sociali di questa società che gestisce imprese e beni immobili che dovrebbero essere utilizzati a fini sociali, queste quote sociali saranno obbligatoriamente vendute a privati, che compreranno tutto il patrimonio societario, quindi tutti gli immobili e tutte le aziende, con una chiara elusione della norma che prevede l'utilizzo per fini sociali dei beni immobili.
Spero di essere chiaro perché questa è una norma deflagrante, che può essere applicata nei soli casi in cui le quote sociali sequestrate siano ampiamente minoritarie. Possiamo sequestrare la totalità delle quote sociali perché il camorrista agisce attraverso tutte le quote sociali, per cui vanno mantenute al patrimonio dello Stato, o sequestrare solo il 10-20 per cento delle quote, e in quel caso possiamo anche venderle.
È previsto per esempio - leggerete le trentacinque pagine delle proposte specifiche e puntuali anche di eliminazione dei punti per rendere costituzionali alcune norme delle misure di prevenzione - che quando si sequestra un bene in quota indivisa (70 per cento camorrista, 30 per cento persone perbene) oggi si mantenga il 70 per cento e possiamo sciogliere la comunione o acquisire il 30 per cento.
Secondo il legislatore, qualunque sia la quota di partecipazione dello Stato (io ho sequestrato un grande bene solo per il 2 per cento, in altri casi per il 90 per cento), qualora non si possa sciogliere il bene (quasi sempre è impossibile sciogliere la comunione) c'è un diritto di prelazione del compartecipante o la vendita del bene. Anche in questi casi, quindi, perderemmo i beni immobili. È ovvio che quando c'è una partecipazione ampia dello Stato questo deve trattenerli e liquidarli, anche perché c'è una partita di giro tra vendita e acquisto.
L'elemento più deflagrante sul quale riflettere è la previsione che durante il procedimento di prevenzione o comunque dopo la confisca definitiva si debbano vendere i beni immobili confiscati per pagare quei benedetti crediti. Se, quindi, entrerà in vigore questo codice, avremo


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prevedibilmente il 20 per cento di beni immobili confiscati destinati a fini sociali rispetto a oggi.

ANGELA NAPOLI. Vi siete giustamente soffermati sul capo II perché riguarda le misure di prevenzione e occupa la maggior parte del testo proposto.
Anche in queste parti avete evidenziato in alcuni casi un eccesso di delega, il suo mancato rispetto o alcuni vuoti rispetto ad essa. Proponete lo stralcio dei primi dieci articoli, cioè della parte penale. A mio avviso anche questo sarebbe da parte del legislatore delegato un contrasto alla delega, perché questa parla di «completa ricognizione della normativa penale sul contrasto alla criminalità organizzata» e mi chiedo come potrebbe definirsi un codice antimafia.
Lo chiedo perché dovrò fare una proposta di parere e, ferme restando tutte le cose condivisibili, non mi sento di proporre l'abrogazione. Vorrei chiederle se non ritenga che si debba proporre intanto l'abrogazione di norme quali l'articolo 416-bis dal codice penale, e riportare il contenuto del codice penale all'interno del codice antimafia.

PRESIDENTE. Grazie. Ricordo che l'onorevole Angela Napoli è la relatrice del provvedimento. Do, quindi, la parola all'onorevole Samperi e quindi all'onorevole Capano.

MARILENA SAMPERI. Riguardo alle misure patrimoniali e a questa sorta di doppio regime tra quelle penali e quelle di prevenzione, in contrasto anche con l'andamento dell'ultima legislazione che tende a unificarle, mi chiedo se attraverso questo sistema normativo ci sia di nuovo il rischio di una diversificazione che disorienti nell'applicazione.
Dal momento che le misure di prevenzione sono risultate più efficaci delle altre, sarebbe forse possibile, all'interno di questa delega, riuscire a riportare ad unità queste due misure.

CINZIA CAPANO. Sarò brevissima, perché affronterò solo un punto a cui si riferiva prima il dottor Menditto. A proposito della vendita, lei ci ha detto che adesso è prevista non più con la limitazione del 70 per cento. Mi rendo conto che dietro a questo c'è una pressione molto forte soprattutto degli istituti bancari, ma è una storia che risale a tanto tempo fa, perché ricordo che nel 1997 si svolse il primo convegno sulla tutela dei terzi in buona fede rispetto alle misure di prevenzione.
Credo però che lei ci abbia posto un problema di particolare importanza, perché l'eliminazione di quel tetto produce un'inversione dell'onere della spesa: mentre prima quella spesa gravava sui beni sequestrati, adesso si sposta sull'amministrazione della giustizia. Se questo provvedimento non ha una previsione di spesa consistente, non può essere emanato.
Chiedo, quindi, al dottor Menditto se la mia interpretazione sia corretta e se possa farci anche una previsione percentuale della spesa, perché pagare l'amministratore giudiziario non è una cosa da nulla. Questa inversione significa che dobbiamo pretendere una previsione di spesa a cui non credo sarà disponibile la Commissione bilancio. Grazie.

FRANCESCO MENDITTO, Giudice della sezione per l'applicazione delle misure di prevenzione del tribunale di Napoli. Sarò rapidissimo perché sono arrivati i colleghi dell'Associazione nazionale magistrati, che saluto.
Ho letto la prima relazione dell'onorevole Napoli, che mi ha sorpreso piacevolmente perché aveva colto alcuni aspetti mentre stavo scrivendo l'articolo o l'avevo da poco completato, e c'era una coincidenza perché quando si studia, si approfondisce e si ha la stessa sensibilità per questi temi si arriva alle stesse conclusioni, sempre che non si voglia correre, perché la fretta è cattiva consigliera.
Non direi che sia un eccesso di delega rispetto ai primi dieci articoli, perché è stata tradita la delega: i colleghi del Ministero della giustizia sono bravi, non conoscono le misure di prevenzione ma conoscono gli istituti del diritto penale e si


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sono resi conto che fare un'opera di ricognizione di tutta la materia penale sostanziale e processuale in materia antimafia è un'operazione molto complicata, perché è complicato togliere e mettere da un'altra parte se non si ha la possibilità di coordinare, modificare e riportare a unità.
Mi spiego meglio. Queste disposizioni vivono: voi avete scritto una cosa, ma la giurisprudenza le ha interpretate in un certo modo, ed è un sistema coordinato che viene interpretato giorno per giorno, per cui quando si tocca una cosa e non se ne tocca un'altra c'è un rischio notevole.
I colleghi si sono resi conto che, non avendo la possibilità di modificare, era complicato prendere questo mare magnum di norme in materia antimafia, che sono poste un po' nel codice penale, un po' nel codice di procedura penale, un po' in una decina di leggi speciali succedutesi nel tempo, che hanno avuto un'interpretazione da parte della Corte costituzionale che ne ha abrogato alcune parti. Compiere questa operazione sarebbe stato complicato senza principi e criteri direttivi.
A questo punto, hanno tradito la delega. Si saranno messi intorno a un tavolo e, non potendo effettuare la ricognizione completa senza criteri direttivi, avranno scelto di prendere qualcosa e metterla nel codice antimafia. Hanno preso cinque articoli di diritto sostanziale e cinque articoli di procedura commettendo clamorosi errori, come avviene quando si opera in questo modo.
Se, quindi, il Parlamento vuole dare una delega più ampia, si può anche rivedere tutta la materia, ma sinceramente fare una ricognizione dell'intera materia senza principi e criteri direttivi è un'operazione estremamente complessa, un'operazione - consentitemi - di facciata, che difficilmente porta a risultati concreti, a meno che dei colleghi non lavorino ad essa per un anno. Si potrebbe varare un testo unico che ha un'efficacia diretta perché ha effetti diversi rispetto all'interpretazione, ma occorrono sei mesi per scriverlo in maniera seria e bisogna consultare i colleghi che trattano la materia penale; questa è, dunque, la procedura da seguire: dapprima disporre lo «stralcio» delle norme per non tradire lo spirito della delega, successivamente, effettuare la ricognizione attraverso un testo unico.
Secondo passaggio: diversificazione degli istituti. Lei, onorevole Samperi, ha colto quello che ho detto: bisogna cercare di riportare a unità gli istituti in materia di sequestro e confisca antimafia. Anche qui bisogna lavorare, perché non si arriva in un solo momento: ci abbiamo ragionato e ci sono soluzioni possibili.
Oggi, il Ministero della giustizia, nel proporre questo schema di decreto legislativo, va lungo un'altra strada e crea enormi problemi applicativi. Coloro che faranno i sequestri penali non sapranno quali norme utilizzare per amministrare questi beni, il che è un problema, perché dopo il sequestro qualcuno deve amministrarli. È complicato anche - l'ho scritto e ho consegnato anche il dischetto per consentire un'operatività immediata alla Commissione - perché attualmente si prevede che in materia penale siano applicabili alcune norme in materia di misure di prevenzione.
Queste norme sono cambiate completamente, quindi, bisognerà scrivere una norma che preveda, in materia di sequestro penale - da lasciare invariato nell'articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 - quali disposizioni in materia di amministrazione e destinazione di beni debbano essere inserite nel nuovo codice, perché le vecchie non esistono più e in rarissimi casi c'è una corrispondenza, altrimenti ci saranno problemi enormi, colmabili solo con effetti deflagranti.
Per quanto riguarda gli istituti bancari, la norma prevista dal testo unico è un eccesso di delega, quindi certamente va eliminata la possibilità di pagare integralmente i creditori in buona fede, perché qualunque giudice solleverebbe la questione costituzionale per eccesso di delega e faremmo solo perdere tempo allo Stato. Bisogna, quindi, assolutamente rivederla perché si tratta di un errore clamoroso.
Come evidenziava l'onorevole Capano, bisogna anche prevedere - la legge delega era fatta bene su questo punto - di


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detrarre comunque dal 70 per cento le spese sostenute, perché gli amministratori costano. Vi posso assicurare che quando sequestriamo compendi aziendali estremamente ampi, con decine di società immobiliari che stanno costruendo e che bisogna portare avanti (il nostro obiettivo è non chiudere mai le imprese, al contrario degli slogan che vi hanno citato secondo cui la mafia e la camorra danno lavoro e lo Stato licenzia) operiamo liquidazioni di decine di migliaia di euro però alla fine il saldo è sicuramente attivo perché sequestriamo compendi aziendali di importi notevoli.
Dovete assolutamente dire al legislatore delegato di riportare alla conformità costituzionale alcune norme. Alcune sono state citate, ma io ho avanzato una quarantina di proposte concrete per eliminare alcuni termini, perché non è possibile che nel 2011, in uno Stato democratico ci siano ancora alcune norme che noi giudici dobbiamo colmare, applicandole non nel modo in cui sono scritte, ma in modo diverso.
Quando si parla di «indizio» gli avvocati si preoccupano, ma noi non applichiamo le misure di prevenzione in caso di sospetto, anche se qualcuno lo pensa: applichiamo le misure di prevenzione solo dopo aver accertato il fatto.
Siamo molto attenti nell'accertare la pericolosità dei soggetti per dare un'applicazione costituzionale come previsto dalla Corte costituzionale e dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Questo è il binario che seguiamo per garantire i difensori e i cittadini soprattutto, perché anche noi siamo cittadini.

PRESIDENTE. Grazie. Procediamo ora all'audizione dei rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati. Sono presenti il presidente dell'Associazione, dottor Luca Palamara, la dottoressa Silvana Sica e il dottor Antonio Balsamo.
Do la parola al dottor Luca Palamara.

LUCA PALAMARA, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Buon pomeriggio a tutti. Considerato il tempo a nostra disposizione, ci riserviamo all'esito di questa audizione di presentare un più articolato testo scritto, con il quale avanzare le nostre proposte. Ove i lavori fossero andati avanti, la presenza dei colleghi Sica e Balsamo sarebbe stata utile per rispondere a ulteriori quesiti, in relazione ai quali comunque rimaniamo a disposizione della Commissione.
Ho ascoltato la parte finale dell'intervento del collega Menditto, noto esperto in materia di prevenzione. Come Associazione nazionale magistrati, non possiamo che tratteggiare un giudizio di carattere generale, rinviando uno più specifico a una successiva elaborazione, ma fissando alcuni punti fermi.
In primo luogo, rileviamo una netta divaricazione tra quelli che volevano essere gli obiettivi e quelli che sono stati i risultati di questo codice antimafia. L'obiettivo di realizzare un riassetto complessivo della materia antimafia è tradito dalla lettura delle singole norme. La progressiva costruzione di norme sulla criminalità organizzata in Italia ha rappresentato il frutto di una serie di intense, drammatiche, feconde stagioni di dialogo tra politica e giurisdizione, che hanno accompagnato la storia sociale e politica del Paese a partire dalla legge Rognoni-La Torre.
Questo metodo a nostro avviso conserva tuttora la sua validità e oggi appare indispensabile per evitare che questo propagandato codice antimafia rappresenti un passo indietro nella lotta alla criminalità organizzata. C'è una netta divaricazione tra gli obiettivi e i risultati. Potremmo dire che ci vuole ben altro per realizzare un codice antimafia, per sconfiggere la mafia, in primo luogo, con riferimento ad aspetti relativi al diritto penale di carattere sostanziale, laddove dobbiamo evidenziare la mancata revisione della normativa sull'autoriciclaggio, che crea nel nostro Paese un vuoto di tutela, come rilevato a più riprese da autorevoli studiosi, a differenza di quanto avviene nei principali ordinamenti di civil e di common law.
Analogamente avviene per quanto riguarda la mancata previsione volta ad


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estendere la fattispecie dello scambio elettorale politico mafioso, di cui all'articolo 416-ter del codice penale, e l'ipotesi in cui il corrispettivo dell'appoggio elettorale sia rappresentato, come avviene di regola, da prestazioni diverse dal denaro. Anche su questo punto abbiamo evidenziato un vuoto normativo all'interno della suddetta normativa.
Anche sotto il profilo processuale, vanno evidenziate profonde mancanze per quanto riguarda le misure di prevenzione patrimoniale, che rischiano di produrre un grave depotenziamento dell'efficacia di questo fondamentale strumento di contrasto delle basi economiche del crimine organizzato. Su tutti, la fissazione di termini perentori di efficacia delle misure patrimoniali rischia di vanificare tutto il lavoro svolto dalla magistratura e dalle forze dell'ordine per sequestrare e confiscare i patrimoni alla mafia.
Un'altra grave carenza da evidenziare è la mancanza di una espressa disciplina della fase istruttoria del procedimento di prevenzione, che finora è stata regolata attraverso un rinvio alle norme del procedimento di esecuzione, in modo da consigliare esigenze di garanzia e di efficienza, rendendo questa materia ampiamente conforme ai principi internazionali del giusto processo, come più volte riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo.
Come già detto in precedenza, anche la nuova regolamentazione in materia di amministrazione giudiziaria di tutela dei terzi rischia di distruggere le imprese sequestrate, con evidenti ricadute di natura economica e occupazionale, depauperando quasi completamente i patrimoni confiscati.
Questi per grandi linee sono i punti che abbiamo voluto evidenziare come situazioni di maggiore criticità, rappresentando però una problematica di fondo che mira a rievocare quanto detto in precedenza. Prendendo spunto dalle felici esperienze della legge Rognoni-La Torre, oggi vogliamo evidenziare nuovamente la mancanza di espresse previsioni, il fatto che le previsioni così indicate non realizzino un efficace strumento di contrasto alla criminalità mafiosa, rappresentando al contrario un passo indietro per le ragioni che abbiamo esposto.
Rimaniamo a disposizione per ulteriori chiarimenti e ci riserviamo di far pervenire un più articolato testo scritto.

PRESIDENTE. Grazie, dottor Palamara. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

ANGELA NAPOLI. Non desidero porre alcuna domanda, ma vorrei solo chiedere al Presidente Palamara di farci avere al più presto il testo scritto perché siamo alla scadenza dei tempi previsti per esprimere il parere.

PRESIDENTE. Nel ringraziare gli auditi, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,55.

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