Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Strumento di esplorazione della sezione Lavori Digitando almeno un carattere nel campo si ottengono uno o più risultati con relativo collegamento, il tempo di risposta dipende dal numero dei risultati trovati e dal processore e navigatore in uso.

salta l'esplora

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Torna all'elenco delle indagini Torna all'elenco delle sedute
Commissione II
2.
Martedì 24 luglio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Follegot Fulvio, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLO SCHEMA DI DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA CONCERNENTE IL REGOLAMENTO RECANTE RIFORMA DEGLI ORDINAMENTI PROFESSIONALI (ATTO N. 488)

Audizione di rappresentanti di Professioni area tecnica (PAT), di Confprofessioni e dell'Organismo unitario dell'avvocatura (OUA):

Follegot Fulvio, Presidente ... 3 5 6 10 13 15 16
Cavallaro Mario (PD) ... 14
De Tilla Maurizio, Presidente dell'Organismo unitario dell'avvocatura (OUA) ... 10 15 16
Jogna Giuseppe, Presidente del Consiglio nazionale dei periti industriali, vicecoordinatore PAT ... 5
Siliquini Maria Grazia (PT) ... 13
Stella Gaetano, Presidente di Confprofessioni ... 6
Vencato Giovanni Maria, Coordinatore del gruppo di lavoro sulla riforma delle professioni di Confprofessioni ... 16
Zambrano Armando, Presidente del Consiglio nazionale ingegneri, coordinatore PAT ... 3 15
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONE II
GIUSTIZIA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 24 luglio 2012


Pag. 3

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FULVIO FOLLEGOT

La seduta comincia alle 15,40.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di Professioni area tecnica (PAT), di Confprofessioni e dell'Organismo unitario dell'avvocatura (OUA).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sullo schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente il regolamento recante riforma degli ordinamenti professionali (Atto n. 488), l'audizione di rappresentanti di Professioni area tecnica (PAT), di Confprofessioni e dell'Organismo unitario dell'avvocatura (OUA).
Do la parola ad Armando Zambrano, presidente del Consiglio nazionale ingegneri e coordinatore PAT.

ARMANDO ZAMBRANO, Presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri, coordinatore PAT. Presidente, grazie per averci dato l'opportunità di esprimere la nostra opinione sul regolamento di delegificazione, che è in attuazione, della riforma delle professioni. In questa sede rappresento l'area tecnica - che comprende l'ordine dei biologi, chimici, dottori agronomi e forestali, geologi, ingegneri, tecnologi alimentari nonché i collegi dei geometri, periti agrari e periti industriali - che intende esprimere il proprio disagio rispetto alle modalità in cui si è sviluppata la procedura di approvazione e di determinazione del suddetto testo.
L'area tecnica ha cercato e desidera la riforma delle professioni - vuole la liberalizzazione e non intende ostacolarla - tuttavia vorrebbe che queste norme fossero effettivamente utili allo spirito della legge, che è quello di una liberalizzazione effettiva. Le professioni tecniche sono cresciute del 70 per cento in dieci anni, pertanto non abbiamo mai posto barriere all'accesso; ciononostante, vorremmo lavorare nel modo migliore e, soprattutto, in un regime di effettiva concorrenza che tenga conto dei princìpi di correttezza e di deontologia che sono propri delle professioni.
Ciò premesso, il PAT ha avviato un tavolo tecnico su richiesta del Ministro Severino; abbiamo lavorato insieme alle altre due professioni dell'area tecnica - gli architetti e gli agrotecnici - che, pur non aderendo al PAT, hanno sottoscritto insieme a noi un documento unico, che abbiamo trasmesso al ministro su sua richiesta, e che prevedeva le norme a nostro avviso utili nello spirito della riforma. Purtroppo, e ne siamo molto rammaricati, improvvisamente il ministro ha accantonato il testo senza più ascoltarci e ne ha proposto un altro, che è un testo unico per tutte le professioni.
Questo rappresenta già un grave problema perché vi sono specificità così evidenti, tra le diverse professioni, che non


Pag. 4

rendono facile mettere insieme tutte le regole in un testo unico articolato; tali regole riguardano specificità, compiti, attività, organizzazione ma anche tradizioni, costumi, usi, abitudini e procedimenti disciplinari che sono diversi da professione a professione. L'area tecnica era riuscita ad arrivare a un punto comune ma, purtroppo, il ministro non lo ha portato avanti.
Ciò detto, siamo qui per portare alcune proposte di miglioramento al provvedimento. Non entriamo nel merito di tutti gli aspetti giuridici relativi alla possibilità o meno che il regolamento di delegificazione possa effettivamente modificare i nostri ordinamenti e riteniamo di portare avanti questa strada insieme a voi; tuttavia, è indispensabile che, al riguardo, vengano mantenuti alcuni punti fermi.
Innanzitutto, la proposta di decreto del Presidente della Repubblica è andata oltre la delega che la legge consentiva. Pertanto, già vi sono alcuni aspetti da contestare, come ad esempio l'articolo 1 (sarò breve nell'esposizione ma consegnerò un documento affinché siate in grado di valutare le nostre proposte con più attenzione) che prevede di estendere le regole del decreto del Presidente della Repubblica intendendo per «professioni regolamentate» anche quelle che non sono contenute in albi professionali di ordini o collegi. Questo, a nostro avviso, è già un primo aspetto oggettivamente al di fuori della delega.
Analogamente, vi sono aspetti delicati come l'assicurazione, per la quale è prevista l'entrata in vigore tout court il 13 agosto, senza tener presenti le difficoltà operative che si presentano per i professionisti nel fare delle scelte ragionate in mancanza di quell'obbligo, per le assicurazioni, di stipulare le polizze con i professionisti. Ciò pone un problema di asimmetria dal punto di vista sia informativo sia della possibilità di contrattare le polizze stesse.
Se entra in vigore il 13 agosto, la legge prevede che gli ordini e i consigli nazionali possano stipulare delle convenzioni che regolamentino e difendano i professionisti sotto gli aspetti tecnici ed economici delle polizze; tuttavia, vi renderete conto che se la norma si approva il 13 agosto, e il 14 entra in vigore, non so che tempi ci verranno concessi per tutelare i nostri iscritti con polizze congruenti con le necessità e con le problematiche oggi presenti. Sappiamo che per l'area medica è stata già concessa una proroga (che noi abbiamo chiesto come ordini tecnici) perché è indispensabile prevedere delle regole che le assicurazioni devono rispettare; altrimenti, si finirà come i medici, che hanno grosse difficoltà a stipulare assicurazioni visto l'enorme aumento delle contestazioni da parte degli utenti.
Vi sono altri due aspetti, molto delicati, che esulano dalla delega concessa: mentre la legge prevedeva una durata massima del tirocinio, nel decreto è stata imposta sia una durata (diciotto mesi) sia, addirittura, l'obbligatorietà. Vi sono professioni, come la nostra e come altre dell'area tecnica, che oggi non hanno alcun obbligo di tirocinio e, di conseguenza, alcuna complicazione per l'accesso. Ci sembra assurdo che in una legge di liberalizzazione, che serve proprio ad agevolare l'accesso, si imponga invece un ulteriore passaggio.
Gli ingegneri e altre professioni sono intenzionati a prevederlo, ma tenendo conto delle difficoltà che oggi si presentano nell'imporre all'improvviso il tirocinio a decine di migliaia di giovani iscritti o potenziali iscritti agli albi. Vorremmo almeno poter decidere i tempi e le modalità per il tirocinio.
Quanto alle modalità, vi sarebbe molto da dire sull'istituzione di un corso obbligatorio di 200 ore con esame finale, che sostanzialmente sarebbe una duplicazione dell'esame di Stato. Non si capisce il motivo per cui si debba inserire un corso se la professione può essere «insegnata» con corsi di apprendimento (tanto varrebbe seguirli durante il percorso universitario) né si comprende perché, successivamente, bisognerebbe svolgere anche il tirocinio. Il tirocinio è tutt'altra cosa e riguarda la possibilità di imparare la professione sul campo, che è una cosa ben diversa dallo studio e dai corsi universitari.


Pag. 5


Anche con riferimento alla formazione si rileva un vulnus molto grave: la legge prevedeva che gli ordini disponessero i propri regolamenti e mi sembra evidente che gli ordini debbano decidere anche i criteri per la formazione permanente. Tenuto presente che il mancato rispetto di questa norma prevede degli illeciti disciplinari, gli ordini che decidono i procedimenti disciplinari devono decidere anche quali obblighi dare ai professionisti. La legge delega prevedeva che fossero i consigli degli ordini nazionali a stabilire le regole, mentre la norma attribuisce inopinatamente al Ministero della giustizia (che con questo regolamento ha già combinato qualche piccolo o grosso pasticcio) la facoltà di decidere anche in termini di riforma delle professioni.
L'ultimo aspetto, delicatissimo, riguarda la modifica del regime disciplinare. Riteniamo opportuno che questo venga distinto dalle competenze amministrative dei consigli nazionali e territoriali ma vorremmo regole certe e chiare e, soprattutto, utili all'utente.
Se con questa norma si voleva prevedere una terzietà dell'organismo che decideva i provvedimenti disciplinari, appare molto strano che questa sia affidata ai primi dei non eletti nelle elezioni dei consigli nazionali. Mi sembra veramente un paradosso, una circostanza incredibile. Anche la scelta degli ordini viciniori che stabiliscono le attribuzioni disciplinari per i colleghi degli altri ordini mi sembra una complicazione che poi crea anche dei vulnus normativi, considerata l'incompatibilità tra consigliere disciplinare e consigliere amministrativo, quindi si avrebbero confusioni anche su questi temi.
Ci sono tanti aspetti di questo regolamento che vanno assolutamente modificati, anche in fretta - vorremmo conoscere le regole prima del 13 agosto - e se qualche cosa, come credo, non è possibile fare in questo termine, sarebbe opportuno prorogare l'entrata in vigore di queste norme, altrimenti creeremmo un grosso danno alle professioni.
Riteniamo che la riforma sia necessaria e importante per noi, ma crediamo anche che le regole, in qualche modo, dobbiamo costruirle insieme a chi ha la responsabilità di approvarle; questo non per un interesse nostro, ma perché le nostre specificità sono così particolari che è assolutamente indispensabile un rapporto leale e corretto di collaborazione.

PRESIDENTE. Grazie. Do ora la parola a Giuseppe Jogna, presidente del Consiglio nazionale periti industriali e vice coordinatore PAT.

GIUSEPPE JOGNA, Presidente del Consiglio nazionale dei periti industriali, vicecoordinatore PAT. Grazie. Concordo perfettamente con quanto detto dal Presidente Zambrano, tuttavia desidero fare una comunicazione che non è stata oggetto di attenzione e di valutazione da parte del PAT perché la bozza di decreto non l'aveva assolutamente tenuta in considerazione.
Mi riferisco a un principio che è entrato nell'ordinamento italiano attraverso l'approvazione delle varie fasi dei decreti-legge successivi, a partire da agosto dello scorso anno per arrivare fino al decreto-legge n. 1 del 24 gennaio 2012, convertito dalla legge n. 27 del 24 marzo 2012, laddove si dice che uno dei princìpi importanti e fondamentali è anche quello di andare nella direzione della riduzione, attraverso accorpamenti, su base volontaria, per professioni che svolgono attività similari.
È un principio che ho letto anche nelle dichiarazioni comunitarie e che leggo anche in molte dichiarazioni dei partiti. A me sembra che la semplificazione sia una cosa importante. Siccome, però, questo principio, nella norma legislativa a cui facciamo riferimento, è scritto prima dei due punti (sebbene io non sia un giurista), l'ufficio legislativo del Ministero della Giustizia ha ritenuto che non facesse parte dei suoi compiti. Tuttavia, lo segnalo a questa Commissione perché mi sembrava e tuttora mi sembra forse l'unica vera novità di tutta questa riforma di cui stiamo parlando.
Ridurre credo sia utile - parlo anche a nome di altre professioni che ovviamente


Pag. 6

condividono questo principio - perché significa diminuire i costi, migliorare l'organizzazione, perdere poltrone di presidenza nazionali e territoriali, ma significa anche dare, come professione, un servizio migliore alla collettività.
Ho fatto questa osservazione - e prego la Commissione di tenerne conto - non per essere in contraddizione come PAT, ma solo per riferire ciò che il Ministero della giustizia non ha voluto tenere in alcuna considerazione nella elaborazione del decreto.

PRESIDENTE. Ricordo a chi ha predisposto dei contributi scritti di lasciarli alla Commissione.
Do la parola al presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella.

GAETANO STELLA, Presidente di Confprofessioni. Buongiorno a tutti e grazie per questa convocazione.
È trascorso quasi un anno dall'adozione del decreto-legge dello scorso agosto, da cui ha preso le mosse il processo di riforma delle professioni intellettuali. Solo oggi, dopo un passaggio presso la 10a Commissione industria, commercio, turismo del Senato in occasione dell'audizione sul «Decreto liberalizzazioni» (decreto-legge n. 1 del 24 gennaio 2012 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività»), i soggetti più rappresentativi dei professionisti vengono invitati a offrire il proprio contributo valutativo dinanzi alle istituzioni. Già in quella sede avevamo avuto modo di stigmatizzare interventi che palesavano evidenti limiti di mancanza e/o di insufficiente coordinamento e di disorganicità, e che inficiavano spesso la chiarezza e la coerenza del quadro normativo risultante.
Vale la pena ricordare che nel corso degli ultimi mesi si sono susseguiti diversi interventi normativi concernenti la riforma delle professioni, a partire dall'articolo 3, comma 5, del citato decreto-legge n. 138 del 2011, all'articolo 10 della cosiddetta «legge di stabilità», fino all'articolo 9 del decreto-legge n. 1 del 24 gennaio 2012, e fino al recente schema di regolamento sulla riforma degli ordinamenti professionali all'esame della vostra Commissione.
Proprio grazie a questa opportunità che la II Commissione ci offre, i liberi professionisti hanno la possibilità di contribuire a rendere il regolamento più aderente alla realtà del settore professionale, auspicando che attraverso questa audizione possano emergere spunti per alcune necessarie correzioni dell'impianto del regolamento di delegificazione.
Confprofessioni rappresenta il mondo della libera professione da oltre quarant'anni, quale confederazione delle associazioni dei liberi professionisti e parte sociale nella sottoscrizione del contratto collettivo nazionale degli studi professionali. Il confronto con il mondo delle libere associazioni di professionisti appare particolarmente utile se si vuole che la riforma non si limiti al piano delle formulazioni normative astratte, ma penetri nel concreto delle attività professionali.
Già da alcuni mesi e in diverse occasioni avevamo sollevato perplessità e rilievi su talune scelte di fondo della strategia di riforma, a cominciare dall'opzione per la delegificazione in una materia che attraversa profili costituzionalmente sensibili, parzialmente coperti da riserve di legge. La stessa tecnica di formulazione delle norme generali regolatrici della materia, che l'articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988 impone ai fini della delegificazione, è apparsa in molti casi poco precisa e tale da non soddisfare il livello di specificità richiesto alle norme generali di autorizzazione alla delegificazione, che sono da intendersi, per costante giurisprudenza, più stringenti delle norme di principio emanate nell'ipotesi di delegificazione legislativa.
La sensazione, dunque, è quella di una riforma attesa dai professionisti da decenni, elaborata con approssimazione e senza dialogo, per di più costruita su di una struttura normativa fragile, esposta al rischio di assai probabili interventi correttivi da parte della Corte costituzionale.


Pag. 7


Passando all'esame dei contenuti dello schema di regolamento, condividiamo anzitutto il richiamo del Consiglio di Stato sulla necessaria riformulazione della nozione generale di cui all'articolo 1 del regolamento. La definizione prevista dal Ministero della giustizia innova rispetto alla concezione tradizionale di professione intellettuale che il costituente diede per presupposta, estendendo l'ambito del lavoro professionale a figure quali le professioni non organizzate in albi e ordini, sulla cui natura e sul cui opportuno riconoscimento permangono dubbi rilevantissimi.
Già intervenendo in audizione sul provvedimento relativo alle professioni non regolamentate, attualmente all'esame del Senato, avevamo sottolineato la grave carenza della valorizzazione della prevalente natura intellettuale della prestazione professionale e lo schiacciamento del lavoro professionale su canoni ispirati alla normativa comunitaria che omologano i professionisti a operatori del commercio e dei servizi in senso generico.
Occorre allora ribadire, tanto con riferimento alla disciplina normativa al vostro esame quanto per quella relativa alle professioni non regolamentate, che il riconoscimento pubblico e la conseguente apposizione di vincoli e controlli sulle professioni intellettuali non deve corrispondere a un'esigenza di promozione di categorie o settori delle attività produttive in una logica profondamente fuorviante del principio di libera concorrenza, ma discende del pregio costituzionale e della qualità dei diritti coinvolti e degli interessi pubblici perseguiti con il lavoro professionale.
Di qui la specificità e la protezione entro cui il mondo delle professioni intellettuali opera e la necessità di definizioni normative che inquadrino l'ambito del lavoro professionale entro limiti stretti.
Entriamo nel merito dei punti specifici dell'audizione, cominciando dalla pubblicità professionale. La peculiarità del lavoro professionale si riflette sulle limitazioni alla pubblicità commerciale dei professionisti che hanno da sempre caratterizzato il mondo delle professioni e che hanno trovato apprezzamento persino nelle istituzioni e negli atti normativi dell'Unione europea.
La norma generale di cui alla lettera g) dell'articolo 3, comma 5, del decreto-legge n. 138 del 2011 ha invece disposto una totale parificazione della pubblicità dei professionisti alla pubblicità commerciale. Il parere del Consiglio di Stato sembra incentivare questa lettura di integrale parificazione tra pubblicità commerciale e informazione pubblicitaria professionale quando invita ad escludere riferimenti che possono dar luogo alle previsioni di vincoli deontologici ulteriori a quanto già vietato dal codice del consumo.
Benché sia sensato condividere la critica alla prassi eccessivamente restrittiva posta in essere dagli ordini in materia pubblicitaria, non sembra tuttavia che la via di una totale apertura al mercato pubblicitario possa rappresentare una forma di garanzia per l'utenza e per la libera concorrenza del comparto. Vale la pena sottolineare che i professionisti non dispongono di risorse equiparabili a quelle delle imprese da destinare al mercato pubblicitario.
Dinanzi a questa realtà il ricorso alla pubblicità finirà per concentrarsi soltanto su quanti potranno disporre di sostanziose risorse, creando uno squilibrio competitivo soprattutto nei confronti dei giovani professionisti. Occorrerebbe piuttosto imporre in capo agli ordini la predisposizione di prospetti informativi che consentano agli utenti di comprendere la complessità e l'articolazione della prestazione professionale, in modo da poter valutare le proposte sottoposte dal professionista con cognizione di causa.
Per quanto riguarda l'assicurazione, una delle principali innovazioni contenute nei princìpi del decreto-legge n. 138 del 2011 riguarda l'obbligo di stipulare un'assicurazione che copra dai rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale. La previsione, che pur costituisce un onere in capo ai professionisti, ci trova sostanzialmente favorevoli, ad ulteriore conferma


Pag. 8

del senso di responsabilità che i professionisti portano nei confronti della collettività.
Si tratta, peraltro, di una buona pratica professionale in molti casi adottata già da tempo, ma non si può entrare in regime di assicurazione obbligatoria senza prevedere un contestuale obbligo di «assicurare» in capo alle compagnie assicuratrici nonché canoni stringenti di garanzie dell'utenza.
È noto a tutti come oggi i professionisti che intendono assicurarsi incontrino difficoltà e resistenze da parte delle compagnie di assicurazione o, in altri casi, condizioni economiche assolutamente inaccettabili. Il rischio sottostante è quello di imporre costi di assicurazione altissimi ai professionisti, costi che per i giovani potrebbero rappresentare vere e proprie limitazioni all'accesso alla professione, in totale controtendenza con gli obiettivi perseguiti dal disegno riformatore. Si cominci allora a ripensare all'obbligo almeno con riferimento a determinate categorie di professionisti, per esempio a coloro che esercitano la professione all'interno di uno studio professionale, per i quali esistono già coperture assicurative stipulate dal titolare dello studio.
Non solo, ma l'idea, sottolineata dal parere del Consiglio di Stato, di rimettere agli ordini e alle Casse previdenziali la negoziazione con le società assicuratrici appare del tutto sbilanciata rispetto ai diversi interessi che occorre equilibrare nella materia.
Agli ordini, infatti, non può che essere rimessa la sola determinazione dei minimi di copertura assicurativa per ciascuna prestazione e la negoziazione - con l'Autorità di vigilanza sulle assicurazioni più che con le compagnie assicuratrici - dei premi massimi. Questa è la sola funzione che può spettare agli ordini se non si vuole ingessare la libertà negoziale dei singoli e trasformare un ente pubblico come l'ordine professionale in un intermediario economico di ambigua identificazione.
All'interno di paletti fissati a garanzia dell'utenza, degli ordini e delle autorità di vigilanza, saranno poi i singoli a sottoscrivere i contratti di assicurazione secondo le regole del mercato, eventualmente assistiti nella negoziazione dai soggetti associativi.
Le statistiche più recenti attestano la diminuzione del 30 per cento del fatturato dei professionisti. Se non si vuole che l'assicurazione obbligatoria divenga un odioso balzello è necessario salvaguardare l'autonomia contrattuale privata.
Qualsiasi restringimento della libertà economica determinato da una preclusione per soggetti privati, singoli o associati, di stipulare in libertà contratti assicurativi, pur all'interno di paletti generali determinati dai suddetti enti pubblici, o qualsiasi controllo del processo assicurativo da parte di un ente pubblico ad iscrizione obbligatoria entrerebbe in contrasto con i princìpi di cui all'articolo 41 della Costituzione, in una fase storica in cui si rende necessaria maggiore libertà economica, non più controllo pubblico.
Per quanto riguarda il tirocinio nelle scuole di formazione, condividiamo il parere del Consiglio di Stato laddove sottolinea l'opportunità di non imporre l'obbligatorietà della partecipazione ai corsi di formazione professionale durante il tirocinio. La nostra esperienza di professionisti impegnati quotidianamente sul campo ci insegna che il tirocinio deve essere prevalentemente pratico. Ai sei mesi di tirocinio universitario non si deve perciò accostare un ulteriore semestre di formazione teorica, ma un impegno all'interno degli studi.
In ogni caso, qualsiasi possa essere il valore, ai fini del tirocinio, della formazione teorica presso i corsi di formazione, è ovviamente condivisibile la previsione di cui all'articolo 6 dello schema del regolamento, per cui i corsi possono essere organizzati anche dalle associazioni dei professionisti. Contro questa previsione si sono invece espressi alcuni esponenti del mondo ordinistico, che evidentemente disattendono i princìpi costituzionali, in particolare il contenuto dell'articolo 33, comma terzo, della Costituzione che riconosce ai privati il diritto di istituire scuole e istituti di educazione.
Le associazioni dei professionisti iscritti in albi, così come altri soggetti privati,


Pag. 9

devono dunque poter organizzare corsi di formazione validi ai fini del tirocinio, secondo quanto disporrà la norma, salvo l'accreditamento della scuola da parte dell'ordine, secondo il meccanismo già in uso per la formazione continua.
Su questo punto del tirocinio avevamo già avanzato in precedenza anche la richiesta di inserire l'equo compenso per i praticanti, che successivamente è stata disattesa. Tra l'altro, nel contratto collettivo che abbiamo sottoscritto avevamo previsto la possibilità che venisse svolta un'attività di praticantato nel periodo di apprendistato, quindi poteva essere quello un riferimento economico da concedere appunto ai praticanti, anche perché avevamo previsto l'alta formazione nel periodo di apprendistato svolto durante il periodo dell'università.
Stessi princìpi orientano la nostra posizione sulla disciplina prevista in materia di formazione continua. Peraltro, è lo stesso Consiglio di Stato che si avvede dell'incongruenza della norma che affida agli ordini lo svolgimento dell'attività di formazione continua con i princìpi di liberalizzazione che dovrebbero ispirare l'intera riforma.
La formazione continua dovrà invece essere regolata con criteri generali degli ordini, quindi gestita tramite l'accreditamento da enti di formazione, nel pieno rispetto della libertà e del pluralismo formativo.
La funzione della formazione continua potrebbe poi essere ulteriormente valorizzata attraverso la previsione di percorsi di qualificazione delle specializzazioni professionali. Negli ultimi anni si è assistito a prassi sconvenienti che hanno determinato una distorsione del mercato della formazione professionale, a danno della concorrenza e della qualità della docenza. Su questo fronte appare di impellente urgenza la previsione di rigorose regole di incompatibilità tra membri dei consigli degli ordini, territoriali o nazionali, e lo svolgimento di incarichi di docenza retribuiti o incarichi direttivi, la partecipazione societaria a enti che svolgono attività di formazione accreditati dall'ordine stesso.
È questo il momento opportuno per imporre regole di incompatibilità e trasparenza. Né pare che l'assenza di un'esplicita norma generale in tal senso nell'articolo 3, comma 5, del decreto-legge n. 138 del 2011 impedisca la previsione in via regolamentare di tale disciplina, innanzitutto perché a un regolamento governativo è certamente consentito prevedere, oltre a quanto disposto in sede di autorizzazione, contenuti ulteriori purché non contrastanti con norme di legge e non invasivi di riserve di legge, in secondo luogo perché regole stringenti di incompatibilità come quelle qui caldeggiate appaiono in perfetto svolgimento del principio generale di concorrenza che sorregge esplicitamente l'impianto della norma di autorizzazione.
Infine, il processo disciplinare. L'inversione dei criteri radicati di svolgimento del procedimento disciplinare presso gli ordini professionali appare uno dei princìpi di riforma maggiormente condivisibili, nella direzione della valorizzazione della responsabilità e del prestigio del lavoro professionale.
Le soluzioni congegnate nell'articolo 9 dello schema di regolamento per corrispondere ai princìpi di autorizzazione sono in gran parte apprezzabili. In particolare, la scelta di affidare la competenza disciplinare al Consiglio dell'ordine territorialmente viciniore contempera in modo equilibrato interessi tra loro configgenti: l'esigenza di non duplicare gli organismi interni agli ordini, la terzietà del giudice, il mantenimento in capo ai professionisti del controllo stesso.
Non convince, invece, l'esclusione di taluni Consigli nazionali dall'ambito di applicazione della normativa. L'argomento accolto dal Ministro della giustizia per cui la riserva assoluta di legge di cui all'articolo 108 della Costituzione impedirebbe di delegificare sulla competenza di quegli organi che in ragione della loro origine precostituzionale mantengono funzioni giurisdizionali e si qualificano come giudici speciali, si fonda su di un parere del professor Capotosti che peraltro non appare condivisibile. Infatti, la disposizione


Pag. 10

contenuta nella legge di autorizzazione prevede che la carica di consigliere dell'ordine territoriale o di consigliere nazionale è incompatibile con quella di membro dei consigli di disciplina nazionali e territoriali. Si tratta di tutta evidenza di una norma dal chiaro e immediato contenuto precettivo, che non necessita di alcuno svolgimento regolamentare né in via di integrazione né in via di delegificazione, come invece per la gran parte delle norme contenute nel medesimo decreto-legge.
La norma di legge è pertanto completa e idonea a intervenire sulla materia coperta da riserva di legge di cui all'articolo 108 della Costituzione. Introducendo nulla più che regole strettamente applicative del principio di incompatibilità direttamente e completamente disposte in via legislativa, la disciplina regolamentare in materia di Consigli nazionali non si deve intendere come disciplina delegificante, ma come disciplina di stretta esecuzione in via regolamentare, perfettamente ammissibile in materie coperte da riserve di legge.
Per chiarire il punto sarà al limite opportuno dedicare a tali discipline di esecuzione un autonomo articolo del regolamento che indichi esplicitamente l'effetto non delegificante ma veramente attuativo dell'intervento normativo.
Il passaggio che il mondo delle professioni sta attraversando è di incredibile delicatezza: profondamente colpito dalla crisi economica, attraversato da tensioni fortissime tra esigenze di modernizzazione delle forme del lavoro professionale e resistenze di conservazione, minacciato da pretese di riconoscimento di attività tipiche dei professionisti che vengono ora rivendicate da soggetti privi di requisiti formativi e non soggetti a sistemi di controllo deontologico, ora sottoposto ad una riforma da tempo auspicata ma calata dall'alto e non concordata.
Nell'imminenza della scadenza del termine di metà agosto entro il quale dovrà necessariamente essere emanato il regolamento governativo su cui siete chiamati a esprimere il parere, molte soluzioni normative appaiono ancora confuse e il tempo per correggere queste approssimazioni appare davvero esiguo, mentre incombe la minaccia dell'abrogazione automatica delle norme incompatibili con i princìpi di delegificazione, un esito da scongiurare ad ogni costo.
La speranza è che questa occasione opportunamente promossa dalla Camera dei deputati possa consentire di recuperare la pluralità dei contributi valutativi che il mondo delle professioni è in grado di esprimere. Ciò vale anche per la predisposizione degli altri provvedimenti normativi all'esame del Governo: ci riferiamo al regolamento governativo sulle società tra professionisti e al decreto ministeriale sui parametri per la liquidazione giudiziaria dei compensi, su cui un primo esame delle bozze disponibili dà luogo a consistenti perplessità che ben potrebbero essere corrette se solo si perseguisse un maggior dialogo con le parti sociali.

PRESIDENTE. Grazie. Ringrazio per la presenza il sottosegretario per la giustizia Antonino Gullo.
Do la parola all'avvocato Maurizio De Tilla, presidente dell'Organismo unitario dell'avvocatura.

MAURIZIO DE TILLA, Presidente dell'Organismo unitario dell'avvocatura (OUA). Ringrazio lei, presidente, e anche l'onorevole Siliquini che ha sollecitato questa audizione.
Vorrei affrontare delle questioni preliminari. La legge n. 138 del 2011 aveva un'impostazione molto giusta perché affermava dei princìpi e stabiliva, all'inizio, che dovevano intervenire con legge riforme e modifiche degli ordinamenti professionali delle varie categorie. Le leggi potevano riguardare le singole professioni o aree di professioni, come avviene in Europa, laddove non si fanno leggi su questa materia per tutte le professioni, ma per area o per singola professione.
Qui invece siamo davanti a un regolamento che fa di tutte le professioni - di tutte le erbe - un fascio. Quindi noi formuliamo l'eccezione preliminare, che non riguarda solo gli avvocati ma a mio avviso riguarda tutte le professioni, per le guarentigie


Pag. 11

che debbono avere le singole professioni. La delegificazione, a nostro avviso, è incostituzionale perché non si tratta soltanto delle professioni di carattere costituzionale ma di tutte le professioni che hanno un riconoscimento in base all'articolo 33 della norma costituzionale. La teoria del professor Capotosti, pertanto, è superata da questa considerazione.
Abbiamo un ibrido per cui entro il 13 agosto si emana questo decreto presidenziale e tutto il resto che rimane nell'ordinamento viene accorpato in vari testi unici da preparare entro il 31 dicembre. Avremo, dunque, una parte dell'ordinamento dimezzato e una parte dell'ordinamento che rimane legislativo, senza aver riflettuto bene su quello che non andava dimezzato e su quello che si sarebbe dovuto portare a dicembre.
Questo è un pasticcio colossale che si riverbera nel fatto che, quando sentite tutte le professioni, ogni professione, anche riguardo all'organizzazione, ha una visione diversa. D'altra parte, lo stesso articolo 3 salvaguardava le tariffe: si parla di crisi del lavoro, ma la salvaguardia delle tariffe prevista nell'articolo 3 era fondamentale perché in un momento di liberalizzazione si era deciso che per favorire specialmente i giovani e fronteggiare la crisi di lavoro il parametro delle tariffe fosse fondamentale.
Successivamente l'articolo 3 è stato modificato e sono state abolite tutte le tariffe, il che ha determinato anche un abbassamento, a nostro avviso, deontologico e uno scivolamento delle categorie verso le imprese, quando le categorie professionali non sono imprese. Si è commesso dunque un doppio errore: stabilire che non c'era l'ordinamento e abolire le tariffe come riferimento (non erano i minimi di tariffa fissati nella n. 138), che avevano trovato tutte le professioni disponibili.
Noi avvocati, dunque, chiediamo di uscire dal decreto, come in parte sono usciti i medici e i notai, e altre professioni devono uscire. Il decreto diventerebbe allora un po' «liquido», nel senso che le professioni andrebbero regolamentate con legge dal Parlamento. È vero che gli ordinamenti sono vecchi, ma hanno un radicamento nella società e non si possono trattare come sono stati trattati con questo decreto.
Mi associo totalmente alla proposta presentata dal PAT di emendamento dell'articolo 1 perché si è fatta un'operazione che non si doveva fare: qui stiamo parlando di professioni regolamentate, anche ordinistiche. Il sindacato rappresenta professioni ordinistiche, non professioni scritte a registri di enti pubblici, quindi già sappiamo che quelle ordinistiche non sono iscritte ai registri di enti pubblici. Addirittura è pericolosissimo porre le basi in questo regolamento - sarebbe anche fuori dalla delega - per la costituzione di altre professioni senza studiare le sovrapposizioni, le incompatibilità, i riferimenti e gli influssi che possono avere albi e registri presso gli enti pubblici con le altre professioni esistenti.
Ciò premesso, vorrei fare ulteriori considerazioni. A me pare che abbia ragione l'onorevole Siliquini quando dice che non possiamo domani mattina rendere obbligatorie le polizze. Pensate a un giovane che deve fare un patto con il cliente e, oltre a non avere le tariffe, deve dimostrare di avere la polizza assicurativa: addirittura potrebbe anche pattuire un compenso professionale di un euro a prestazione, e del resto tra gli avvocati ci sono compensi professionali di 5-10 euro a prestazione e alcuni ingegneri partecipano ai concorsi con un compenso sostanzialmente pari a zero. C'è poi il pericolo dei cartelli assicurativi. Basterebbe andare in Francia per vedere quanto costano le polizze.
Chiediamo quindi il rinvio di un anno, l'assestamento di questa norma, l'inserimento di una protezione per i giovani che iniziano la professione e si trovano già a dover fronteggiare questa stangata assicurativa che diventerà molto consistente (in Francia, dove costa circa 2-3.000 euro all'anno, il costo è addirittura superiore ai contributi che i giovani pagano alle loro casse di previdenza).
Io non so chi ha scritto la norma, ma spero che non siano giuristi - il sottosegretario


Pag. 12

è un giurista, ma è arrivato da poco, quindi non ne è responsabile - perché è stata scritta con i piedi. Dico questo perché chi ha scritto la norma avrebbe dovuto considerare come era organizzata la disciplina. Le professioni non sono state armonizzate sulla disciplina, ma ogni professione è organizzata in maniera diversa: gli avvocati hanno quelli eletti dai consigli distrettuali, tutti i giornalisti italiani eleggono il Consiglio nazionale che fa disciplina e poi hanno l'autorità giudiziaria (alcuni ordini hanno in primo grado la disciplina, in secondo grado l'autorità giudiziaria).
Ogni professione doveva quindi avere un assetto sulla disciplina calato sulla professione e sull'organizzazione anche elettorale della professione. Non è possibile prefigurare dei componenti della disciplina senza verificare il tipo di elezione. È vero che negli esami per avvocati si commettono strafalcioni, ma non può farli anche il ministero!
Va detto che i primi dei non eletti non ci sono in alcune professioni, le quali non hanno le liste nazionali ma le liste territoriali. Se si scelgono i più votati dei primi dei non eletti sarebbero solo alcuni grandi ordini a nominare il Collegio di disciplina perché i grandi ordini hanno i grandi numeri dei primi dei non eletti. Peraltro, come è stato osservato, il primo dei non eletti è stato bocciato nelle elezioni.
Noi abbiamo sempre sostenuto che la terzietà dovesse essere verificata dalla qualità di questi giudici, perché per essere terzo non basta essere estraneo, ma bisogna dimostrare la propria qualità attraverso dei requisiti di pratica nel settore, nella disciplina, requisiti morali non minimi, bensì massimi. Ad esempio, i collegi di disciplina francesi sono presieduti dagli anciens batonniers, che non possono più candidarsi all'ordine, ma presiedono i collegi di disciplina e scelgono le persone con una buona caratura.
Qui si parla dei primi dei non eletti e, a livello distrettuale, di uno scambio, mutuando - rimango veramente sorpreso - una regola che vale per il singolo magistrato, che quando deve essere sottoposto a un giudizio non è lo stesso giudice del distretto che lo giudica, ma quello vicino (per esempio Salerno rispetto a Napoli). In quel caso si tratta di pochi magistrati che commettono reati o sono inquisiti per reati. Qui, invece, si tratta di una grande sfera, due milioni di professionisti assoggettabili alla regola di essere giudicati da colleghi che sono eletti in altri distretti designati dal presidente dell'ordine. Abbiamo, per esempio, che Cagliari decide a Palermo, con tutte le conseguenze che immaginiamo. Servono giudici designati sul posto, che non sono eletti in un altro ordine. Ma scherziamo? Davvero vogliamo riformare e rinnovare le professioni attraverso queste formule di tipo di scambio?
Rimango molto meravigliato di come si è organizzata la disciplina. Sarebbe bastato che chiamassero alcuni di noi che abbiamo esperienze di rappresentanza ai vertici delle professioni (io da 37 anni, Jogna da 36); avremmo portato il materiale necessario e si sarebbe realizzato qualcosa di diverso, mentre adesso siete costretti a dissentire in maniera totale, perché non è configurabile, in professioni che vogliono guadagnare una qualità, una struttura disciplinare di quel tipo.
Su questo non ci troviamo, come non ci troviamo - e potete verificare che manca la costituzionalità - sul fatto che se viene delegificata una parte dell'ordinamento, non può il decreto presidenziale rimandare a un regolamento, è vietato. Il pasticcio è stato quello di dire che, pur non potendosi fare tutto, tutto si deve fare entro il 13 agosto. Sarebbe stato opportuno prevedere, al 13 agosto, una proroga di otto mesi, senza prevedere dei regolamenti, peraltro con poteri nemmeno ben organizzati.
Noi abbiamo lavorato tutta la vita e insieme con i parlamentari abbiamo scritto molti progetti di legge nel passato - le professioni sono state chiamate a scrivere i progetti di legge insieme alla politica, insieme ai ministri - ma mai è stato scritto qualche cosa di questo tipo, che peraltro viene presentato come se fosse un'innovazione della professione.


Pag. 13


Questa situazione non è aggiustabile perché i regolamenti non si possono fare. Alla Camera dei deputati c'è il nostro progetto di legge, che è stato varato dal Senato, ci sono degli emendamenti, c'è una specie di consenso anche in questa Commissione giustizia, ma gli avvocati non possono entrare in questo pasticcio enorme. Non è tanto il problema della fonte costituzionale, ma il problema della delegificazione, che è ancora più forte.
Infine, vi è la più grossa chicca che io abbia mai visto in qualsiasi produzione ordinamentale del mondo: se entro il 13 agosto non si fa questo decreto cadono gli ordinamenti. Prima avevano stabilito che sarebbe caduto tutto l'ordinamento, poi si sono accorti dell'errore e mi pare che proprio la Commissione giustizia della Camera abbia introdotto la modifica.
Ora vi chiedo di immaginare che il 14 agosto un avvocato ammazzi una persona e non c'è più il giudice disciplinare (sebbene, naturalmente, venga arrestato) o commetta una scorrettezza, ad esempio rubi i soldi dei clienti, e non c'è il giudice disciplinare, perché abbiamo una norma che stabilisce - direi quasi che in questa parte «minaccia» - che se non si fa il decreto viene abrogato tutto, dunque gli ordini non hanno più la disciplina, non hanno più la formazione, non hanno più niente che riguarda il decreto. La fretta che sta dando il ministero è errata, perché quel termine va abrogato. Un ordinamento fatto con legge può essere sostituito, ma solo quando si fa una norma che lo sostituisce può essere abrogato (abrogazione implicita, oppure espressa se la legge lo esplicita). Si è introdotto un elemento di angoscia - volutamente, per dire che è necessario fare presto, anche se male - prevedendo l'abrogazione, che però decade completamente. Non è possibile che gli ordini non facciano più la disciplina in assenza di un regolamento.
Vorrei che questa Commissione giustizia, che ha sempre messo in linea tante cose eccezionali, oltre a focalizzare le osservazioni che sono state fatte - sottoscrivo le considerazioni del PAT e condivido gran parte dell'indagine socio-economica fatta dall'amico Stella - chiedesse al ministero di far slittare il termine del regolamento e di promuovere l'abrogazione della legge che stabilisce a sua volta l'abrogazione degli ordinamenti se non viene fatto il decreto.
Siamo veramente in una fase allucinante della produzione legislativa, pur considerando la necessità di risanare il Paese e la necessità che Monti possa dire ad Angela Merkel di aver fatto la riforma delle professioni e via dicendo. Peraltro, pur con tutti questi discorsi, lo spread è ancora a 516, sebbene Monti avesse previsto che sarebbe sceso a 200.
Vorrei che questa Commissione nell'esprimere il parere - quando parla la Commissione parla il Parlamento - focalizzasse tutti questi punti. Non è un'azione distruttiva, perché noi siamo disposti a collaborare, a concertare, a sederci al tavolo. Noi siamo disponibili da sempre - lo abbiamo sempre fatto, tranne nell'ultima fase - a dialogare, però voi dovete dare dei segnali molto giusti, altrimenti il 13 agosto si fa un pasticcio e chiederemo nuovamente che venga fatta la legge e il regolamento perché tutto quello che si è fatto ha vanificato completamente l'esistente. Non è che non abbiamo niente, non è che queste professioni ordinistiche debbano essere riconosciute: hanno già un impianto consolidato nel tempo che ha bisogno di modifiche, di ritocchi, ma non di stravolgimenti o di momenti di vuoto legislativo.
Presidente, le chiedo scusa, ma non sono abituato a leggere quindi tendo a dilungarmi.

PRESIDENTE. Grazie, avvocato De Tilla. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MARIA GRAZIA SILIQUINI. Al di là di tutte le condivisibili, a mio parere di relatore, critiche nel merito del regolamento, che già ha avuto molte contestazioni dal Consiglio di Stato, per gli eccessi di delega e varie questioni, una strada per consentire al Governo di approntare degli


Pag. 14

aggiustamenti su queste tematiche che presentano gravi lacune potrebbe essere quella del rinvio a una data che, peraltro, c'è già, ossia il 31 dicembre, che riguarda i testi unici. In tal modo, da una parte si consentirebbe al Governo di riparare agli errori fatti e, dall'altra, di portare a compimento un lavoro organizzato e completo. So che il ministro ha incontrato tutti i presidenti degli ordini, pochi giorni fa, prendendo atto di tutte queste contestazioni, quindi c'è anche da supporre che uffici abbiano scritto questo regolamento di cui forse il ministro non aveva estrema contezza. Insomma, il lavoro sta ricominciando.
Quale potrebbe essere, al di là del merito, dal punto di vista della procedura, la proposta operativa che potremmo portare avanti come Commissione per consentire di aggiustare il tiro su questi aspetti? Potreste chiarirla in modo che ne prendiamo contezza?

MARIO CAVALLARO. Anche a me preme vedere se possiamo trovare una forma collaborativa per uscire da questa che si preannunzia come un'impasse abbastanza faticosa e difficile.
A me pare che, posto che alcuni di noi hanno molti dubbi su un principio di delegificazione che questo provvedimento attua, tuttavia la naturale conseguenza del principio di delegificazione sarebbe il contrario di quello che è accaduto, in quanto il principio di delegificazione comporta il riconoscimento delle autonomie - chiamiamole con una parola arcaica - «liberali» dell'organizzazione delle professioni, quindi semmai è il contrario di quello che accade: non il potere autoritativo del ministro o dei ministeri, ma tutt'al più un potere di controllo dei ministeri, quindi un potere di autodichia e di autorganizzazione in generale, salvo alcuni punti.
Chiedo, in secondo luogo, se sia ipotizzabile che, trasformando il provvedimento in un provvedimento di princìpi e quindi affidandolo a un meccanismo concertativo successivo, su alcuni temi si possa licenziare un testo condivisibile. Mi riferisco in particolare alla questione della disciplina, sulla quale a me pare che il testo attuale sia inaccettabile. Personalmente - parlo da avvocato - non mi farei mai giudicare da un collega del foro viciniore che non è neanche il miglior collega, ma è quello che ha perso le elezioni per la carica di presidente dell'ordine.
Mi pare che questa stessa questione possa essere adottata, per esempio, per le regole sul tirocinio e aggiungo, dove ci sia questo consenso, sulla formazione di accorpamenti di professioni, qualora su base volontaria si avvii questo procedimento. Sappiamo, per aver partecipato a degli incontri, che c'è questa disponibilità e anche questo interesse, quindi questo farebbe anche guadagnare del tempo e accorciare i provvedimenti.
Mi sembra che anche sul tirocinio ci siano alcuni rilievi; anche da questo punto di vista, queste norme potrebbero essere trasformate in norme di principio e poi attuate attraverso singoli provvedimenti delle singole autorità.
Pongo due problemi alla vostra attenzione. Innanzitutto, spesso ho rivendicato per alcune professioni - sebbene, per la verità, parlerei di «aree professionali» - la necessità di leggi quadro e mi sembra che questo purtroppo non sia esattamente il risultato, ma potremmo anche dire che se un decreto delegificato nasce da questo impianto equivale a un provvedimento normativo, perché in qualche misura ha un particolare significato.
Il secondo tema che pongo in termini problematici, non avendo nemmeno io una risposta da offrire, è quello della governance dei singoli ordinamenti. Il problema, parlando ad esempio per la categoria forense, in realtà è stato risolto soltanto ai fini disciplinari. L'enfasi con la quale è stata salutata la sopravvivenza del Consiglio nazionale forense, in realtà al momento attuale riguarda solo i fini disciplinari, ma mi domando e vi domando come possiamo ricomprendere la geometria variabile delle governance delle singole professioni in un unico sistema unitario, facendo in modo che questo si attui attraverso provvedimenti che, a mio giudizio,


Pag. 15

comunque un punto di riferimento unitario debbono averlo. Io preferisco il punto di riferimento normativo, ma se, come in questo caso, è di carattere «decretale», seppure con la copertura rafforzata del decreto di delegificazione, mi domando come si possa accedere a questo tipo di problematica.

PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica.

MAURIZIO DE TILLA, Presidente dell'Organismo unitario dell'avvocatura (OUA). Rispondo all'ultima questione sollevata dall'onorevole Cavallaro, mentre per il resto sono d'accordo con le considerazioni svolte dallo stesso e dall'onorevole Maria Grazia Siliquini.
Certo, il problema della governance è importante, non è di secondo piano, perché le professioni devono ammodernarsi e riadeguarsi su questo aspetto. Questo vale specialmente per noi avvocati, che abbiamo una governance per due terzi perfetta, la governance degli ordini, della Cassa di previdenza, e le altre Casse più o meno hanno la stessa organizzazione, ma non hanno una governance accettabile e riconoscibile a livello nazionale, laddove per proteggere la funzione giurisdizionale non abbiamo una rappresentanza. Tant'è vero che l'avvocatura ha dovuto scegliere la rappresentanza politica - io sono qui eletto dal Congresso degli avvocati, insieme all'avvocato Marciante - ma sarebbe un giudice disciplinare che viene mantenuto che ha una governance che andrebbe sistemata. Io non dico come, può darsi con la legge e può darsi anche che esista - negli avvocati esiste sicuramente - il problema della governance a livello nazionale, mentre per le altre professioni non conosco l'organizzazione.
Vedo anche un emendamento proposto dai biologi, che hanno una governance molto strana, accentrata, manca addirittura il periferico, quindi le professioni andrebbero riadattate, perché non è possibile avere un Consiglio nazionale e non avere degli ordini territoriali. Mi pare che i biologi chiedano una cosa di questo tipo perché hanno l'ordine nazionale ma non hanno l'ordine territoriale.
Tutte le altre professioni hanno gli ordini territoriali, ma hanno strani ordini nazionali, alcuni completamente elettivi, altri non elettivi, altri addirittura eletti come i giudici. Della vicenda della governance bisognerebbe fare cenno anche nel lavoro del ministero perché è importante che le professioni abbiano una propria unità e una propria configurazione anche per avere una maggiore modernità delle proprie rappresentanze.

ARMANDO ZAMBRANO, Presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri, coordinatore PAT. Come professioni tecniche credevamo in questa riforma e ci spiace sinceramente che questo decreto di delegificazione sia così inapplicabile e sia scritto così male da costringerci ad associarci a una necessaria richiesta di rinvio della sua entrata in vigore.
La norma non è sicuramente aggiustabile entro il 13 agosto. Qualcuno ha detto che è inemendabile e anche noi abbiamo avuto grosse difficoltà nel pensare di mettere a posto questo provvedimento, perché la sua filosofia ci sfugge. Esso è decisamente confuso, ma soprattutto non tiene conto, come dicevo prima, delle specificità delle professioni.
Bisogna ricominciare purtroppo da zero, partendo da un principio fondamentale: le professioni sono diverse e vanno rispettate per quelle che sono, ossia un patrimonio di questo Paese, un patrimonio importante, e dobbiamo stare attenti a scrivere norme che le riguardano, altrimenti rischiamo di buttare tutto a mare.
È evidente che qualunque regola deve avere un tempo per essere messa in campo, come quella sull'assicurazione, quella sulla formazione, quella riguardante i collegi disciplinari. È impossibile pensare che non ci sia una norma transitoria che preveda un differimento dei tempi tra l'entrata in vigore di questo provvedimento e le varie misure attuative, siano esse i regolamenti previsti all'interno della legge delega oppure eventuali ulteriori provvedimenti amministrativi. Pensare che dal 13 agosto possano saltare pezzi del nostro ordinamento - non per colpa nostra, che anzi non abbiamo


Pag. 16

fatto nulla per ostacolare questa norma, ma per colpa di chi doveva scrivere un provvedimento fatto bene e non lo ha fatto - mi sembra veramente una mortificazione e un'offesa che come professionisti non meritiamo.
Tra l'altro, come qualcuno diceva prima, anche sul provvedimento che riguardava i parametri giudiziali il ministero ne ha combinate di tutti i colori. È previsto che, nel caso di prestazione di particolare pregio redatta con urgenza, il compenso può essere aumentato, così come è giusto, ma anche diminuito: credo che un'aberrazione di questo genere non si possa trovare in nessun altro provvedimento giuridico di questo mondo. Lo cito come esempio per dirvi come sono state scritte certe regole e come esse siano semplicemente punitive dal punto di vista ideologico, a meno che non debba pensare che la norma sia stata scritta da un pazzo a cui in quel momento scappava la penna dalla mano.
Questo momento di massacro delle professioni non ce l'aspettavamo e non ce lo meritavamo. Credo che a questo punto la proroga sia l'unico sistema per mettere qualche pezza su questo vestito stracciato.

MAURIZIO DE TILLA, Presidente dell'Organismo unitario dell'avvocatura (OUA). Se noi portiamo al 31 dicembre questo termine l'altro termine deve slittare al 30 giugno, perché la redazione dei testi unici per ogni professione presuppone già che abbiamo accertato che c'è un regolamento vigente: quindi, 31 dicembre e 30 giugno, così superiamo anche le nuove elezioni e speriamo che il 30 giugno inizi un periodo felice per questo Paese.

GIOVANNI MARIA VENCATO, Coordinatore del gruppo di lavoro sulla riforma delle professioni di Confprofessioni. Mi chiamo Giovanni Maria Vencato e coordino il gruppo di lavoro sulla riforma delle professioni per Confprofessioni.
Mi associo al tentativo di trovare una soluzione anche tecnica che esca da questa Commissione come proposto dall'onorevole Siliquini e dall'onorevole Cavallaro che, va ricordato, sono tra i maggiori esperti della Camera dei deputati per l'esperienza in termini di bozze, ma potremmo dire del Parlamento in generale. Con loro, comunque, noi abbiamo seguito nell'ultimo quindicennio lo sviluppo di questa storia.
Vorrei dire semplicemente che è necessario che venga adottata, come ha detto il presidente Stella nel nostro documento, una strategia dell'ascolto delle persone che vivono questi problemi. Vi è un piano di realtà - se sei mesi sono un tempo necessario e noi lo accogliamo ben volentieri - per cui noi ai nostri iscritti e ai nostri rappresentati e voi, onorevoli deputati, ai cittadini che vi hanno eletto, dobbiamo rispondere perché stiamo dando l'impressione che quest'area importantissima della società della conoscenza, che sono le professioni tradizionali, sia non trasformabile e quindi non riusciamo a sbloccarla in nessuna maniera. Credo che il meglio sia nemico del bene e che questa preoccupazione dobbiamo tenerla comunque presente.

PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione e l'indagine conoscitiva.

La seduta termina alle 16,40.

Consulta resoconti delle indagini conoscitive
Consulta gli elenchi delle indagini conoscitive