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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione II
1.
Mercoledì 26 settembre 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giulia Bongiorno, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 255 BERNARDINI, C. 1846 COTA, C. 4616 BERNARDINI, C. 5295 PAPA E C. 5399 FERRANTI, RECANTI DISPOSIZIONI IN MATERIA DI MISURE CAUTELARI PERSONALI

Audizione di rappresentanti dell'Unione camere penali italiane (UCPI), del professore Giorgio Spangher, ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma, e di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati (ANM):

Giulia Bongiorno, Presidente ... 3 6 8 18
Federico Palomba, Presidente ... 12 14
Bernardini Rita (PD) ... 12
Canepa Anna, Vicepresidente dell'Associazione nazionale magistrati (ANM) ... 17
Contento Manlio (PdL) ... 13
Ferranti Donatella (PD) ... 12 14
Gramigni Lapo, Avvocato dell'Unione camere penali italiane (UCPI) ... 6
Rosso Eriberto, Avvocato dell'Unione camere penali italiane (UCPI) ... 5
Rossomando Anna (PD) ... 13
Sabelli Rodolfo, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati (ANM) ... 8 17
Spangher Giorgio, Professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma ... 6 8 14
Spigarelli Valerio, Presidente dell'Unione camere penali italiane (UCPI) ... 3 15
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONE II
GIUSTIZIA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 26 settembre 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIULIA BONGIORNO

La seduta comincia alle 12,30.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, ai sensi dell'articolo 65, comma 2, del Regolamento, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

Audizione di rappresentanti dell'Unione camere penali italiane (UCPI), del professore Giorgio Spangher, ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma, e di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati (ANM).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva avviata nell'ambito dell'esame delle proposte di legge C. 255 Bernardini, C. 1846 Cota, C. 4616 Bernardini, C. 5295 Papa e C. 5399 Ferranti, recanti disposizioni in materia di misure cautelari personali, l'audizione di rappresentanti dell'Unione camere penali italiane (UCPI), del professore Giorgio Spangher, ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma, e di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati (ANM).
Domani si procederà all'audizione del dottor Ernesto Lupo, Presidente della Corte suprema di cassazione, del professor Oliviero Mazza, ordinario di diritto processuale penale presso l'Università Bicocca di Milano, del professor Paolo Ferrua, ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino, del professor Carlo Fiorio, ordinario di diritto processuale penale e diritto penitenziario presso l'Università degli studi di Perugia, e del professor Enrico Marzaduri, ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Pisa.
Do la parola al presidente dell'Unione delle camere penali, Valerio Spigarelli, per la relazione iniziale.

VALERIO SPIGARELLI, Presidente dell'Unione camere penali (UCPI). Ringrazio il presidente e la Commissione per l'audizione. Mi limiterò ad alcuni cenni introduttivi, lasciando poi la parola all'avvocato Eriberto Rosso e all'avvocato Lapo Gramigni che hanno fatto parte di un gruppo di studio dell'Unione delle camere penali che si è occupato della materia e ha prodotto una serie di proposte iniziali che faremo pervenire alla Commissione, corredate da una relazione illustrativa.
Come prima valutazione, esaminando i disegni di legge già depositati, vorremmo sottolineare che il punto di partenza è un'applicazione della custodia cautelare che nel corso del tempo si è modificata o ha modificato la sua impostazione di estrema ratio per diventare qualcosa di antitetico. Nella sua prolusione di apertura dell'anno giudiziario il primo presidente della Corte di cassazione è stato molto diretto e chiaro nel dire che il legislatore deve intervenire sulla materia affinché sul serio la custodia cautelare assuma la natura di extrema ratio, recentemente riaffermata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 231/2011.
Il primo presidente della Corte di cassazione ha sottolineato un altro dato di assoluta evidenza ed eversivo rispetto all'applicazione


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della custodia cautelare. La custodia cautelare, infatti, nel nostro sistema viene utilizzata come anticipazione della pena. Alla inefficienza del sistema si risponde con una dilatazione dei criteri di applicazione della custodia cautelare.
Il dottor Lupo è stato assolutamente chiaro. Chiamando in causa i giudici, ha dichiarato che il difetto endemico del nostro sistema, a causa dell'eccessiva distanza temporale tra condanna ed esecuzione, comporta sovente la spinta ad anticipare in corso di processo o di indagine il ricorso al carcere al fine di neutralizzare una pericolosità sociale, anche se soltanto ipotizzata, al fine di offrire una risposta illusoriamente rassicurante alla percezione collettiva di insicurezza sociale.
Parole più chiare non si potevano usare per descrivere ciò che è sotto gli occhi di tutti e che un dato percentuale dimostra in maniera ancora più netta. Il 42 per cento dei detenuti attualmente presenti nel sistema penitenziario italiano è in attesa di una condanna definitiva. Questa modifica è una necessità incontestabile, anche perché lasciatemi dire che la tenuta giurisdizionale dello statuto di libertà degli indagati è piuttosto debole a causa di un difetto strutturale del sistema. I giudici italiani difettano di terzietà, nonostante la prescrizione costituzionale, e si fanno carico di esigenze di difesa sociale molto più che della difesa della libertà degli indagati.
I punti critici dell'attuale normativa sono essenzialmente legati alla valutazione effettuata in base all'articolo 274, lettera c) del codice di procedura penale. Essendo il veicolo attraverso il quale si verifica questa distorsione, bisogna intervenire in primo luogo su tale norma. Le maniere di intervenire possono essere diverse, ma aggiungere aggettivi o avverbi a una norma che ne è già provvista probabilmente lascerebbe la situazione inalterata.
La scelta che va fatta è più radicale e consiste nell'impedire l'applicazione della custodia cautelare in carcere se non a un determinato range di reati particolarmente gravi. Se non si incide su questo elemento, con ogni probabilità torneremo a discutere del problema negli stessi termini in cui lo ha posto il primo presidente della Corte di cassazione. Questo è il primo dei punti su cui necessariamente bisogna incidere.
La valutazione della Corte di cassazione è particolarmente pregevole anche perché, ai fini della prognosi del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie indicata nell'articolo 274, lettera c), richiama la necessità di irrobustire un criterio di concretezza e attualità del pericolo. Molto spesso ci troviamo di fronte a persone nei confronti delle quali viene applicata la custodia cautelare in carcere perché giudicate proclivi a commettere un reato facendo riferimento a fatti distanti nel tempo. Anche questo dato deve essere preso in considerazione nel momento in cui si modifica la materia.
Il problema non coinvolge soltanto gli articoli 274, 275 e seguenti. Si è amplificato con l'introduzione di un procedimento speciale, quello che noi definiamo immediato cautelare. Come i commissari sanno, è possibile saltare la fase dell'udienza preliminare nell'ipotesi in cui il pubblico ministero agisca tempestivamente in un periodo di tempo assai limitato ovvero nell'ipotesi in cui, innovazione introdotta non molto tempo fa, l'indagato sia sottoposto a custodia cautelare con un provvedimento emanato entro centottanta giorni dalla richiesta.
Questo termine è già di per sé problematico. L'immediato cautelare e dunque la richiesta di custodia cautelare sono diventati una maniera per accelerare i tempi del processo. Ciò avviene anche quando la notizia di reato è risalente e le indagini preliminari si sono protratte per un lunghissimo periodo di tempo. Abbiamo procedimenti «immediati» che vengono richiesti, dopo anni di iscrizione del nominativo nel registro delle notizie di reato, solo perché al termine dell'indagine preliminare viene chiesto e ottenuto un provvedimento di custodia cautelare.
La giurisprudenza ha inoltre provveduto a edulcorare il contenuto della norma, ritenendo che il termine entro il quale si può applicare questo tipo di procedimento sia un termine non soltanto ordinatorio, come già indica la legge, ma


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addirittura privo di valenza. Oggi l'immediato cautelare viene chiesto e ottenuto anche nell'ipotesi in cui sia trascorso quel periodo di tempo.
L'indebolimento della cautela e della difesa del principio costituzionale che tutela anche la libertà dell'indagato trasmuta in un'accelerazione dei tempi del processo, ma a spese di un bene costituzionale come la libertà.
Tra poco lascerò la parola ai miei colleghi su alcuni punti dei disegni di legge. Come anticipavo, abbiamo elaborato, insieme al professor Spangher, una serie di potenziali modifiche del sistema. A nostro avviso, tali scelte dovranno essenzialmente impedire che questa distorsione si protragga nel tempo e dovranno incidere sulla residualità della custodia cautelare in carcere nonché sull'impossibilità di applicare la custodia cautelare come acceleratore del processo, intervenendo altresì sulla disciplina dell'immediato cautelare.
Tra i disegni di legge che abbiamo avuto modo di esaminare ce ne sono alcuni che pongono il tema in maniera corretta, anche se con soluzioni discutibili. Concordiamo sui disegni di legge che intervengono specificamente sulla durata della custodia cautelare, amputandone i termini. I termini intermedi e finali di custodia cautelare sono infatti troppo lunghi e vanno dimezzati. Allo stesso modo ci trova d'accordo l'ipotesi formulata in una delle proposte di legge di un aumento del periodo di liberazione anticipata, cioè di un allungamento a sessanta giorni rispetto ai quarantacinque attualmente previsti.
In una dimensione diversa, che noi verifichiamo nell'intero sistema e che non è oggetto di questa audizione ma di altre iniziative legislative pendenti in Parlamento, occorrerebbe spostare il carcere dal centro del sistema sia dal punto di vista sanzionatorio penale sia come cautela elettiva e utilizzare strumenti alternativi, ma efficaci. A nostro modo di vedere la cautela in carcere deve essere riservata solamente a fatti gravissimi e a reati di tipo «predatorio». Certamente le altre cautele previste sono più che sufficienti nell'ipotesi in cui sussistano esigenze cautelari per fatti di natura diversa.
Lascerei ora la parola agli avvocati Rosso e Gramigni per l'esame di alcuni punti specifici dei disegni di legge.

ERIBERTO ROSSO, Avvocato dell'Unione camere penali (UCPI). Sarò molto breve. Ci siamo divisi i compiti per sottolineare alcuni degli elementi specifici emersi dall'esame delle proposte di legge. A volte abbiamo l'opportunità di contribuire direttamente alla stesura delle proposte, altre volte abbiamo la possibilità di esaminarle e di rappresentare le nostre deduzioni.
Del disegno di legge C. 4616 ci convince l'introduzione di un nuovo parametro, quello dell'attualità del pericolo, sulla base del quale valutare l'insieme delle condizioni designate dall'articolo 274, lettera c). Condividiamo, quindi, la necessità che il giudice dichiari che il pericolo è concreto, ma anche attuale.
Ci convince molto meno la soluzione prospettata dagli estensori della proposta di legge, che risolvono il tema dell'articolo 275 del codice di rito demandando a una pregressa declaratoria di professionalità, abitualità o per tendenza del soggetto cautelato. È evidente che questo modo di procedere ripropone il tema del diritto penale d'autore, dal quale noi riteniamo che debba stare lontana l'intera riflessione sulla costruzione di queste norme procedimentali e della fattispecie stessa.
Ci convince invece il tema prospettato nel progetto di legge C. 5295 Papa e altri in ordine alla necessità di rivisitare l'immediato cautelare. Come ricordava il presidente Spigarelli, è tema di assoluta attualità al fine di correggere l'introduzione di un nuovo e improprio parametro per la celebrazione dei processi. La discussione ci ha impegnati lungamente tutti quanti e sappiamo quale sia la conseguenza.
Non so se il termine indicato nella proposta sia quello su cui potremo trovare un punto di incontro o di equilibrio, ma certamente il tema da affrontare è questo, accanto a una nuova verifica dei presup


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posti dell'immediato cautelare. La dubbia costituzionalità della costruzione normativa non può consentire che si crei una corsia preferenziale senza una verifica di quel filtro processuale, semplicemente in presenza di una condizione di adozione della cautela, magari non più in essere.
Per quanto riguarda l'altro progetto di legge C. 255 Bernardini e altri, la riduzione dei termini è una risposta nell'immediato e al di fuori di un'ipotesi di ricostruzione del sistema. Consente comunque di allinearci alle indicazioni europee e di rendere il sistema più vicino ai canoni del giusto processo.
Come ricordava il presidente Spigarelli, i benefici in esecuzione sono assolutamente condivisibili.

LAPO GRAMIGNI, Avvocato dell'Unione camere penali (UCPI). Vi ringrazio. I progetti di legge che abbiamo avuto modo di esaminare trovano il nostro consenso, salvo questa pericolosa incursione nel campo del diritto penale d'autore che si nasconde dietro al tentativo di arginare il ricorso alla custodia facendo leva sulle condizioni soggettive.
Il nostro lavoro sulla custodia cautelare si è incentrato sulle stesse linee di tendenza che ritroviamo nei progetti di legge depositati. L'abbattimento dei termini e il ricorso a strumenti per arginare l'uso improprio e distorto della custodia cautelare come anticipazione di pena sono i punti principali.
Il nostro lavoro di elaborazione si sta orientando anche al tentativo di recuperare ipotesi di proporzionalità ex lege o di approntare strumenti che evitino la violazione del principio di proporzionalità. Sappiamo che il legislatore ha già introdotto una valutazione ex lege di tale principio laddove ha stabilito che, nel caso in cui vi sia una prognosi di concessione della sospensione condizionale, non è consentito il ricorso alla custodia cautelare.
Stiamo valutando se sviluppare o meno questa linea di tendenza ritenendo violato ex lege il principio di proporzionalità in tutti i casi in cui la custodia in carcere venga applicata a fronte di una prognosi di pena, che potrebbe essere eseguita secondo gli strumenti alternativi previsti dall'ordinamento penitenziario. Si è voluto allineare il divieto di custodia in carcere alle previsioni della cosiddetta «legge Simeone» e in particolare alla previsione di cui all'articolo 656 che consente l'esecuzione extra moenia ab initio.
Altro tema su cui riteniamo doveroso concentrarci è quello dell'effetto che il ricorso abusivo ed eccessivo alla custodia provoca in termini di sovraffollamento delle carceri. Stiamo meditando sull'opportunità di introdurre nell'articolo 277 un capoverso che imponga il divieto di mantenere la custodia in carcere ove sia accertata una violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) o sia intervenuta una sentenza della Corte europea che accerti tale violazione.
L'obiettivo è evitare nuovi casi Dorigo e supplenze improprie della Corte costituzionale.

PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti dell'Unione camere penali e do la parola al professor Spangher.

GIORGIO SPANGHER, Professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma. Il mio intervento si articola su due linee. La prima riguarda il senso politico lungo il quale ci si sta muovendo. Questo non può che trovarmi consenziente. Mi riferisco in particolare all'allungamento dei tempi delle interdittive, che possono essere strumento alternativo. Non posso però negare alcune perplessità - chiedo scusa per l'espressione - sulla qualità del prodotto. Ognuno fa il suo mestiere, ma mi pare che l'esito sia più che migliorabile.
Non entro nel merito delle durate dei termini perché sono legate alla discrezionalità politica. I termini di durata della custodia cautelare non possono però che essere calibrati sulla durata del processo e della struttura processuale. Chi ha studiato il codice di procedura penale sa che quei termini sono stati calcolati in relazione


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alla durata delle indagini e alla durata dei processi.
Vengo ad alcune osservazioni. Dirò quanto segue in punta di piedi, ma invitandovi a riflettere. Mi riferisco in particolare all'articolo 2 del disegno di legge C. 4616 Bernardini. Io ho fatto il magistrato di sorveglianza onorario e vi inviterei a riflettere sulle ricadute che può avere tale articolo e in particolare l'indicazione dei due mesi su un rito abbreviato. Cosa vuol dire un processo svolto con rito abbreviato? Nove anni ridotti a sei, due anni e quattro mesi di carcere che diventano due anni e quattro mesi di detenzione domiciliare.
È un problema politico. Segnalo che forse bisognerebbe considerare la fase penitenziaria premiale in relazione alla stessa premialità del procedimento ordinario perché si cumulerebbero due premi che possono avere delle valutazioni da prendere in considerazione. Non spetta a me dire sì o no. Non sono qui con questo spirito.
Le proposte sull'articolo 275 del codice di procedura penale sono per alcuni versi tutte vecchie. Tre giorni fa la Corte di cassazione a sezioni unite ha rimesso alla Corte costituzionale addirittura la questione delle modalità dell'articolo 416, come a dire che la Corte di cassazione a sezioni unite sul 275, comma 3 è molto più avanti di quanto siate voi.
Segnalo peraltro alcuni profili di natura formale, che sono poi di natura sostanziale. Noi professori usiamo l'espressione custodia cautelare come somma sia del carcere che degli arresti domiciliari. Poiché si rischia di fare confusione, mi permetto di segnalare ai proponenti che scrivere custodia cautelare o arresti domiciliari fa passare l'idea che custodia cautelare e arresti domiciliari siano due cose diverse.
Prima di riscrivere in questo modo l'articolo 275 bisognerebbe essere più cauti perché già di per sé custodia cautelare, rispetto a sospensione condizionale della pena, implica l'assorbimento degli arresti domiciliari. La custodia cautelare è intramuraria e domestica. Se in un testo sta scritto custodia cautelare o arresti domiciliari, a un giurista o a un pratico che scriva di queste cose viene da pensare che gli arresti domiciliari non siano custodia cautelare. Nel codice sono presenti espressioni diverse che non hanno quel significato.
Parimenti, dal punto di vista della qualità non si può far riferimento all'accumulo delle misure cautelari applicate. La Corte di cassazione a sezioni unite ha detto innanzitutto che non si possono applicare cumulativamente, il che non vuol dire che il legislatore non possa stabilire il contrario. Il caso riguardava un soggetto agli arresti domiciliari a cui erano state applicate tre misure alternative rispetto alla detenzione. Se scrivete che il carcere non può essere comminato quando sono state applicate misure cumulativamente, scrivete una cosa fortemente contraddittoria. Se ho applicato le misure cumulativamente, ho già ritenuto di non poter dare il carcere o gli arresti domiciliari.
Il caso è emblematico. Il soggetto stava agli arresti domiciliari e hanno applicato le misure cumulative. La Cassazione ha annullato il cumulo perché le misure cumulative si danno solo nei casi ex articolo 276 e ex articolo 307. Mi scuso per il tecnicismo, ma siete legislatori. Al di là del senso politico nel quale vi muovete, il prodotto deve avere una sua qualità.
La Cassazione stabilisce che gli arresti domiciliari non sono possibili perché le misure cumulative escludono la possibilità di una condizione più grave. Non ha senso dire che il carcere non si può comminare quando sono state applicate le misure cumulative perché, se sono state applicate le misure cumulative, le esigenze cautelari sono più basse del carcere. È un fatto di logica contraddittoria.
In generale l'indirizzo politico mi trova d'accordo. Certo, condivido meno la proposta Cota, che va in tutt'altra direzione. Nella proposta Papa, però, non capisco cosa significhi l'appello sul riesame perché dubito che esista.
Mi scuserete, ma io faccio il mio mestiere.


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PRESIDENTE. Giusto per chiarezza, professore, noi vi audiamo proprio perché ci forniate chiarimenti tecnici. Non c'è bisogno di scusarsi. Se ci ritenessimo autosufficienti, non vi chiameremmo.

GIORGIO SPANGHER, Professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma. Al di là del discorso di natura politica, quell'appello non ha alcun significato. Se si intende dire che il giudice dell'appello sulla domanda di revoca deve essere composto diversamente, si scriva la norma in modo più chiaro. L'appello sul riesame non esiste.
Anche a me non piace l'immediato custodiale, ma come si fa a dire che la misura cautelare viene meno per il solo fatto che il pubblico ministero lo chiede? Ci può essere il pericolo di fuga; ci possono essere esigenze cautelari oppure il termine dei quarantacinque giorni può non essere ancora scaduto. Mi sembra che occorre un migliore coordinamento. Capisco il senso, ma non può essere il pubblico ministero a decidere la liberazione perché non è lui a disporre della libertà personale del soggetto.
È interessante la proposta dell'articolo 3 che l'interrogatorio del soggetto in vinculis non possa avvenire senza la presenza del giudice. Bisognerebbe anche prevedere l'interrogatorio ai sensi dell'articolo 388. Nulla escluderebbe che il pubblico ministero interroghi sulla base di un fermo anziché di una misura cautelare senza la presenza del giudice.
Quello che mi convince è il tentativo di spostare alcuni elementi all'interno dell'articolo 275. Intervenire sulla lettera c) dell'articolo 274 spostando forse sul 275 i criteri legati al carcere mi pare corretto e positivo. Mi sembra convincente anche il concetto di attualità. In generale, al di là della filosofia, bisognerebbe però stare più attenti a non creare una disarmonia sistematica, nella quale ci si potrebbe perdere.
Tornando al punto, vi invito a prendere atto della sentenza delle sezioni unite che, come ripeto, è molto più avanti dei progetti che avete presentato.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Spangher e do la parola ai rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati.

RODOLFO SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati (ANM). Vi ringrazio. Seguirò l'ordine dei disegni di legge e degli articoli, cercando di essere il più succinto possibile e richiamando qualche considerazione di carattere generale. Partirei, quindi, dalla proposta di legge C. 255 Bernardini e altri, che prevede una riduzione dei termini di custodia cautelare. Traggo l'occasione da questo disegno di legge per fare una considerazione di carattere generale.
La relazione illustrativa al disegno di legge richiama principi generali che, a nostro avviso, sono assolutamente condivisibili. È indubbio che in un sistema come il nostro, che prevede la presunzione di innocenza fino alla sentenza irrevocabile, vi sia un favore per la condizione di libertà. Tuttavia, questo favore deve essere bilanciato con la necessità, nei casi in cui ciò sia indispensabile, di tutelare anche le esigenze della collettività di fronte al pericolo di commissione di reati particolarmente gravi.
La proposta di legge C. 255 prevede un dimezzamento dei termini di custodia cautelare di fase e complessivi. A nostro giudizio, così come risulterebbero all'esito di questo intervento, tali termini potrebbero essere troppo brevi, considerando le difficoltà di accertamento dei reati nella fase investigativa e di prova nelle fasi successive.
Non vi è dubbio che i princìpi da cui muove la proposta di legge siano condivisibili. A nostro avviso, come abbiamo già avuto modo di dire in altra sede, ma forse anche in Commissione giustizia, sarebbe importante intervenire anzitutto con strumenti processuali, oggetto di altri disegni di legge sui quali siamo stati invitati a esprimere il nostro parere, che mirino alla


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riduzione dei tempi del processo penale. Questo potrebbe avere come effetto virtuoso anche la contrazione della durata della custodia cautelare.
Venendo alla proposta di legge C. 1846 Cota, Lussana, essa si muove in una prospettiva di altro tipo. Partirei dall'esame dell'articolo 1, che prevede la sostituzione del comma 3 dell'articolo 275. Osservo anzitutto che questa proposta di legge elimina la clausola di residualità della custodia cautelare, muovendosi in una direzione per certi aspetti opposta a quella di altri testi. A nostro avviso, invece, la clausola di residualità della custodia cautelare rispetto alla possibilità e all'efficacia di altre misure cautelari dovrebbe essere conservata.
Il comma 3 così come proposto prevedrebbe il ripristino di previsioni che sono già state esaminate dalla Corte costituzionale. Prevede cioè che per alcuni delitti espressamente indicati venga sempre applicata la custodia cautelare in carcere qualora nei precedenti cinque anni vi sia stata l'esecuzione di una sentenza definitiva di condanna a pena detentiva per un delitto della stessa specie, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari.
Questa previsione rischia di contrastare con quanto già rilevato dalla Corte costituzionale in diverse sentenze, che si sono succedute nel tempo, con riferimento a specifici titoli di reato, laddove la Corte ha stabilito l'illegittimità della norma attualmente vigente nella parte in cui non fa salva l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici in relazione al caso concreto dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. La Corte costituzionale, nel caso specifico, ha ritenuto di non dichiarare l'illegittimità solo con riferimento ai reati di cui all'articolo 416-bis a determinate condizioni.
Per quanto riguarda, invece, l'articolo 2 della proposta di legge Cota, esso introduce una presunzione invincibile con riguardo alla fase esecutiva che limita i benefici previsti dal comma 1 dell'articolo 4-bis, qualora si tratti di persona già precedentemente condannata per i delitti previsti nella stessa norma. Noi osserviamo che questa presunzione invincibile si riferisce a fattispecie tra loro molto diverse e, se si considera il titolo del reato, di diversa gravità.
Peraltro, alcune di queste fattispecie, in particolare l'articolo 628, comma 3 del codice penale, possono riferirsi a fatti che concretamente, come ci insegna l'esperienza quotidiana dei tribunali, sono davvero minimali al di là del titolo di reato apparentemente molto grave. Questa presunzione così rigida rischia inoltre di contrastare con il principio rieducativo e di recupero, che nel nostro sistema costituzionale è uno dei fondamenti della pena detentiva.
Passando alla proposta di legge C. 4616 Bernardini e altri, l'articolo 1 prevede anzitutto tra le condizioni di applicazione della misura cautelare il requisito dell'attualità del pericolo, oltre a quello della concretezza, come attualmente previsto dal codice. Premetto che alcune sentenze della Corte di cassazione hanno affermato che in effetti l'attualità è cosa diversa dalla concretezza, e questa immagino sia la ragione che ha ispirato questa proposta di riforma, che peraltro si ritrova in altro disegno d legge.
L'attualità del pericolo può essere riferita sia al tempo trascorso da altri fatti dai quali si desume la pericolosità sia dall'attualità di circostanze che possono favorire la reiterazione del crimine. In linea generale mi auguro che la giurisprudenza già valuti il profilo dell'attualità del pericolo nel momento in cui si procede all'applicazione di una misura cautelare. Esprimiamo però qualche perplessità in quanto, con riferimento alla circostanza che l'attualità può essere collegata all'attualità delle circostanze che determinano la reiterazione del crimine e potendo essere queste circostanze imprevedibili, contingenti e improvvise, questa previsione potrebbe creare qualche problema di tempestività ed efficacia nell'applicazione delle misure cautelari.
Il comma 2 dell'articolo 1 mira a introdurre una nuova condizione, cioè la


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possibilità di applicare misure cautelari, laddove l'esigenza sia collegata al rischio di reiterazione, solo nei confronti dei delinquenti abituali, professionali o per tendenza, condizione che si aggiunge a quelle attualmente previste.
Esprimiamo perplessità su questa disposizione in quanto la limitazione delle misure cautelari in caso di pericolo di reiterazione ai soli soggetti dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, da un lato, rischia di restringere eccessivamente l'ambito di applicazione della custodia cautelare, laddove in realtà la concreta pericolosità per rischio di recidiva può manifestarsi anche in presenza di precedenti condanne che non abbiano determinato dichiarazione di abitualità, professionalità o delinquenza per tendenza. Dall'altro lato, questa disposizione richiama istituti, quali la delinquenza abituale, professionale o per tendenza, che sono stati concepiti per ragioni diverse e cioè, oltre che per altri effetti, ai fini dell'applicazione di misure di sicurezza.
L'articolo 2 della proposta irrigidisce, ma in modo conseguente alla limitazione dell'ambito di applicabilità della custodia cautelare in carcere, le condizioni di esecuzione degli arresti domiciliari, stabilendo che il soggetto sottoposto alla misura non può comunicare con persone diverse da coloro che coabitano o assistono, salvo che il giudice disponga diversamente.
Ciò inverte la situazione attualmente prevista dal codice. Ci sembra una limitazione troppo rigida in quanto gli arresti domiciliari il più delle volte vengono stabiliti per evitare la commissione di reati nient'affatto collegati alla comunicazione con terze persone, ma semplicemente alla presenza fisica del soggetto imputato o indagato al di fuori della sua abitazione.
La lettera b) prevede il divieto di concedere gli arresti domiciliari qualora il soggetto sottoposto alle indagini coabiti con la persona offesa. Si tratta di disposizione indubbiamente opportuna, anche se nella prassi applicativa mi sembra improbabile che possano essere applicati arresti domiciliari in un luogo dove vi sia coabitazione con il soggetto che è stato offeso dal reato.
Ci sembra molto opportuna la disposizione che aumenta i termini della sanzione interdittiva, contenuta anch'essa in altro disegno di legge. In una prospettiva più ampia, il rafforzamento delle misure interdittive, ma anche delle sanzioni interdittive, come abbiamo avuto modo di dire in altra sede, ci sembra un utile strumento per bilanciare e limitare l'ambito applicativo delle cautele detentive nonché delle sanzioni detentive.
Per quanto riguarda la proposta di legge C. 5295 Papa e altri, all'articolo 1 si propone nuovamente la sostituzione del comma 3 dell'articolo 275 con una disposizione di altro tipo. Nei confronti di questa previsione devo però ripetere le osservazioni precedenti. Questo nuovo comma sembrerebbe non adeguatamente coordinato con quanto disposto dalla Corte costituzionale, ovvero non si fa salva l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici dai quali risulti che le esigenze possono essere soddisfatte con misure diverse.
Dico questo perché la Corte costituzionale si è pronunciata con riferimento, tra l'altro, all'articolo 575 del codice penale e credo che le stesse osservazioni possano essere rinnovate anche per la previsione dell'articolo 628, comma 3, numero 1 del codice penale.
La nuova versione proposta per l'articolo 303 del codice di procedura penale prevede una sostituzione integrale della norma. Si stabilisce in linea generale una durata complessiva massima della custodia cautelare di sei mesi. Poiché la sostituzione è integrale, non riferendosi all'uno o all'altro comma, verrebbe abolito tutto il sistema di distinzione per fasi.
Sei mesi per qualsiasi reato in modo indifferenziato, senza alcuna distinzione di fase, ci sembrano contrastare con la necessità, che discende dai principi costituzionali, di garantire adeguatamente la salvaguardia dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica di fronte a reati gravi, qualora ovviamente ricorrano le altre esigenze.


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Inoltre, il richiamo alle proroghe previste dall'articolo 305, una volta abolito il sistema di fasi, appare superfluo.
L'articolo 3 propone una sostituzione del comma 6 dell'articolo 294, per cui il pubblico ministero potrebbe procedere all'interrogatorio del detenuto solo alla presenza del giudice per le indagini preliminari.
Anche su questa previsione esprimiamo la nostra contrarietà perché, al di là della depressione del ruolo del pubblico ministero e dell'irrigidimento delle modalità del suo intervento nell'assunzione di un atto investigativo, osserviamo che è già prevista, se non la necessità, la possibilità che nell'interrogatorio il difensore assista il detenuto. Non mi è mai capitato nella prassi che un difensore non sia stato presente all'interrogatorio del suo assistito. Ciò costituisce una garanzia più che adeguata in caso di interrogatorio del detenuto da parte del pubblico ministero. Va anche aggiunto che gli interrogatori dell'indagato detenuto sono soggetti a registrazione obbligatoria.
L'articolo 4 aggiunge all'articolo 310 del codice di procedura un comma 3-bis. Io credo che questa previsione nasca forse da un equivoco circa il fatto che il giudizio di appello sulle misure cautelari sia giudizio di secondo grado rispetto al giudizio di riesame previsto di primo grado. In realtà non è così. Si tratta di strumenti diversi, entrambi definibili, in modo non propriamente tecnico, di primo grado e in certa misura alternativi. Questa esigenza di differenziare un giudice di secondo grado da un giudice cosiddetto di «primo grado» mi pare non sussista.
L'articolo 5 propone la sostituzione del comma 1-bis dell'articolo 453. Osservo che un termine di trenta giorni per la richiesta di giudizio immediato rischia di depotenziare gravemente il ricorso al giudizio immediato. Esprimiamo poi la nostra contrarietà alla previsione di una richiesta di revoca della misura cautelare nel caso in cui venga richiesto il giudizio immediato, dal momento che le esigenze cautelari non sono affatto legate alla fase investigativa, ma possono proseguire nella fase del giudizio. Si pensi che un omicida o altro soggetto indagato per reati molto gravi sarebbe automaticamente rimesso in libertà a seguito di richiesta di giudizio immediato.
Peraltro, questa disposizione non sarebbe nemmeno coordinata con il sistema generale. Non è affatto previsto il venir meno della misura cautelare laddove, nei casi diversi dal giudizio immediato, il pubblico ministero eserciti l'azione penale. Del resto è pacifico che misure cautelari possano essere richieste e applicate tanto nella fase dibattimentale quanto nel giudizio di appello.
L'articolo 6 prevede la separazione fra i detenuti e in particolare tra coloro che sono sottoposti a misure di custodia cautelare e coloro che, come si legge testualmente, scontano una pena a seguito di una sentenza già pronunciata. Sembra di capire che si faccia riferimento a una sentenza irrevocabile. A noi pare però che questa previsione sia già contenuta nell'articolo 14 dell'ordinamento penitenziario, a cui dà concreta attuazione l'articolo 30 del regolamento della stessa legge sull'ordinamento penitenziario.
L'ultima proposta di legge C. 5399 Ferranti, Orlando, Rossomando agli articoli 1 e 2 prevede, come la precedente proposta di legge sulla quale abbiamo riferito, l'inserimento dell'attualità. Pertanto non mi ripeto. L'articolo 3 stabilisce che, nei casi di cui alla lettera b), la sussistenza delle situazioni di pericolo non possa essere desunta esclusivamente dalla gravità del reato. È una revisione opportuna e in linea con la giurisprudenza ormai stabile della Corte di cassazione.
Il comma 1-bis di cui si propone l'aggiunta stabilisce che, nei casi di cui alla lettera c) del comma 1, la sussistenza delle situazioni di pericolo non possa essere desunta esclusivamente dalle modalità del fatto e la personalità dell'indagato o dell'imputato non possa essere desunta unicamente dalle circostanze del fatto addebitato. È forse un criterio un po' rigido. Sarebbe preferibile, a nostro giudizio, che


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questi aspetti fossero rimessi all'intelligente e prudente apprezzamento del giudice.
Ci sembra opportuna la previsione del comma 2-bis, che equipara la custodia cautelare a quella degli arresti domiciliari, nel senso che anche la misura degli arresti non può essere applicata ove si ritenga possa essere concessa la sospensione condizionale, in linea con il generale principio di equiparazione fra custodia cautelare e arresti domiciliari.
Senz'altro opportuna è anche la previsione dell'articolo 5 con cui si afferma esplicitamente che la custodia cautelare può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate. Va detto che la giurisprudenza ormai consente il cumulo delle misure cautelari anche oltre i casi espressamente previsti dagli articoli 276 e 307 del codice di procedura penale. Ci sembra utile peraltro l'esplicito riferimento al cumulo con riguardo al principio di residualità della custodia cautelare perché in linea con un tendenziale rafforzamento di sanzioni interdittive o diverse da quelle di natura custodiale.
L'articolo 6 propone un allineamento, anche questo condivisibile, del disposto del secondo periodo del comma 3 dell'articolo 275 al contenuto delle sentenze della Corte costituzionale. Esprimiamo parere favorevole anche sulla modifica dell'articolo 299, comma 1, laddove il riferimento ai fatti sopravvenuti viene sostituito da quello alle ragioni sopravvenute.
La sostituzione del comma 3-ter rimpiazza il precedente riferimento agli elementi con l'espressione fatti. Anche questo è condivisibile, ma a nostro parere sarebbe opportuno mantenere la previsione contenuta nella prima parte dell'attuale comma 3-ter, cioè la possibilità per il giudice di procedere all'interrogatorio facoltativo dell'indagato. Opportuna è altresì la previsione di aumento della durata delle sanzioni interdittive da due a dodici mesi proprio in quella prospettiva di favore per misure cautelari diverse da quelle custodiali.
Infine, l'articolo 9 prevede il dimezzamento da sei a tre anni della pena edittale massima per l'articolo 73, comma 5 in materia di sostanze stupefacenti. Pur dovendo riconoscere che il comma 5 dell'articolo 73 prevede, per la natura della circostanza, casi di particolare tenuità del fatto, tuttavia va anche osservato che la giurisprudenza presenta delle oscillazioni e delle notevoli flessibilità nel riconoscimento di questa attenuante, che tante volte viene applicata anche in presenza di quantitativi non esattamente modici.
Una pena massima di tre anni non si può dunque ritenere adeguata, anche considerando la forte riduzione del massimo edittale che avrebbe l'articolo 73, comma 5 rispetto al massimo edittale, in effetti molto elevato, previsto per l'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990.
Ho concluso. Mi scuso per essere stato forse troppo sintetico.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FEDERICO PALOMBA

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Sabelli e do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

DONATELLA FERRANTI. Voglio ringraziare gli intervenuti per gli elementi di valutazione che ci hanno fornito. Vorrei porre una domanda al professor Spangher, di cui ho apprezzato le note critiche di tipo tecnico-processuale.
Vorrei chiedergli di indicarci alcune linee di modifica dell'attuale disciplina delle misure cautelari.

RITA BERNARDINI. Anch'io ringrazio gli intervenuti per gli spunti e i suggerimenti. In particolare aspetto con ansia le indicazioni dell'Unione delle camere penali, che da molti mesi stanno elaborando delle proposte di modifica. Una delle nostre


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proposte di legge, tra l'altro, è stata redatta insieme alla Camera penale di Roma e al professor Marafioti.
La mia domanda è rivolta tanto al professor Spangher quanto ai rappresentanti dell'ANM. Il professor Spangher ha criticato la qualità dei testi presentati, che creerebbe una disarmonia sistemica. Chiedo allora quali potrebbero essere le proposte in armonia con un sistema che produce la più alta percentuale di detenuti in attesa di giudizio d'Europa. La media europea è del 25 per cento, mentre in Italia è il doppio. Io mi aspetto davvero qualche suggerimento concreto per poterlo raccogliere.
È un sistema che nel suo insieme produce milioni di processi penali pendenti e ci relega agli ultimi posti quanto a carcerizzazione. Si finisce, cioè, in galera senza troppe alternative. Le pene diverse sono molto poco applicate.
Vorrei sapere quali modifiche suggerite per interrompere lo stato di cose che va avanti ormai da anni e produce il doppio della carcerazione cautelare che si registra in Europa.

ANNA ROSSOMANDO. Ringrazio gli intervenuti, e non a titolo di formale cortesia, per il loro contributo così di sostanza.
Le mie domande sono semplici. Mi sembra che ci sia convergenza sui punti principali, che sono l'introduzione di concretezza e attualità, una più stringente motivazione e, per quanto riguarda in particolare la nostra proposta di legge, l'eliminazione degli automatismi, ribadendo l'obbligo di valutare tutti gli elementi ivi comprese la concretezza e l'attualità.
Nella proposta di cui sono estensore non abbiamo preso in esame la questione dell'immediato cautelare, che mi pare però essere un punto interessante. L'Unione delle camere penali, da quanto so, propone non l'eliminazione, ma un intervento che armonizzi l'istituto e lo riporti all'esigenza primigenia, salvaguardando la parità di diritti della difesa in relazione alla questione delle indagini. Vorrei avere un approfondimento su questo. È una domanda che rivolgo anche al professor Spangher, che con riferimento all'immediato cautelare ha espresso perplessità sulle proposte di legge. Vorrei che ci spiegasse qual è il suo orientamento.
Nella nostra proposta interveniamo anche sulla possibilità di cumulo delle misure interdittive in alternativa alla misura cautelare. È un tentativo di ampliare, pur non introducendone altre, l'applicazione delle misure cautelari alternative al carcere. Tale orientamento è emerso nel dibattito tra gli operatori di giustizia e personalmente sono molto interessata al tema. In altre occasioni è stato citato l'esempio della Francia, dove il ventaglio è molto più ampio e non costringe ad applicare la misura cautelare in carcere.
Vorrei conoscere il parere del professore, avendo preso nota dell'opportuna segnalazione sul significato di custodia cautelare in carcere e domiciliare.

MANLIO CONTENTO. Vorrei chiedere ai nostri cortesi interlocutori, posto che hanno identificato il problema nell'articolo 275, lettera c), dal momento che le questioni relative alle indagini o al pericolo di fuga difficilmente potrebbero essere eluse dalla normativa, se non ritengano che, a fronte dell'uso discrezionale che si fa - è inutile girarci attorno - della lettera c), sarebbe meglio identificare o i reati per i quali è ammessa la custodia cautelare in carcere o i reati per i quali non è ammessa la custodia cautelare in carcere.
Continuo a vedere motivazioni che giustificano in qualsiasi modo la custodia cautelare in base alla lettera c) e, dirò di più, anche in base alle altre due lettere. Molto spesso anche chi opera in questo campo si trova spiazzato dalle decisioni in tema di gravi indizi di colpevolezza o dalle sentenze dei giudici di legittimità, la cui interpretazione vira da una parte all'altra, mentre in alcuni casi gli indizi proposti sono di merito e in altri sono di legittimità. Io credo che non si faccia un buon servizio alla libertà personale.
Chiedo quindi ai nostri interlocutori se condividano l'impostazione che punta a


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eliminare questa discrezionalità e quali suggerimenti darebbero al legislatore per rendere più pregnante la lettera c) onde evitare la discrezionalità e soprattutto onde evitare di girare attorno al problema aggiungendo, come qualcuno ha ricordato, un avverbio che sarebbe travolto dalla motivazione.

DONATELLA FERRANTI. Vorrei porre ai nostri ospiti ancora una domanda su un tema che in altri Paesi è stato affrontato e che in alcune proposte è stato risolto con il dimezzamento dei termini massimi di custodia cautelare. In alcuni processi, per alcune tipologie di reati o per alcune tipologie di imputati viene lamentato il fatto che, a causa dei termini della custodia cautelare o di una non particolare solerzia nella conduzione delle indagini, si renda necessaria la custodia in carcere.
Vorrei sapere cosa pensate, ognuno per la propria titolarità, di una forma di controllo periodico d'ufficio, che affianchi le forme di controllo su istanza di parte previste dall'articolo 299, effettuato dal giudice. Ci sono una serie di problemi da affrontare con riferimento all'impulso all'indagine da parte del pubblico ministero.
È questione delicata.

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

GIORGIO SPANGHER, Professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma. Cominciamo a distinguere. La sciatteria del prodotto, onorevole Bernardini, non incide sul merito. Io ho distinto due profili. Il primo è la qualità delle cose che vengono scritte. Altro è il problema politico dell'uso della custodia cautelare. Abbandoniamo il secondo e concentriamoci sul primo.
La direzione scelta mi soddisfa, fermo restando che il discorso dei termini non può essere sganciato dalla struttura processuale. Mi pare inevitabile per essere realistici. Al di là di ciò che vorremmo, ci sono le cose che possiamo fare o che si possono fare.
Il problema della custodia cautelare è legato a tre elementi: la gravità del reato, la gravità degli indizi e le esigenze cautelari. C'è poco da discutere. Se si vuole, si deve incidere su questi tre dati. Si può incidere sull'utilizzabilità della gravità indiziaria, sull'onere di motivazione o sul controllo. Questo è un primo elemento. Possiamo anche incidere sulla gravità del reato, elevando i reati per i quali si applica la custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari o con altre misure.
Il problema più delicato è sempre stato la lettera c), che in teoria può essere presunta di incostituzionalità. Se però la Corte costituzionale, nel vuoto dei fini della Costituzione di Leopoldo Elia, ci ha detto che la lettera c) va bene, non possiamo eliminarla. Possiamo soltanto elevare il pericolo di reiterazione in ordine ai reati suscettibili di reiterazione o, in altre parole, elevare la soglia dei reati della stessa specie.
Indubbiamente vanno meglio tipizzate le posizioni sia soggettive sia relative al reato. Questo è un problema delicato perché sono scatole vuote che vanno riempite con l'onere della motivazione e con il controllo. C'è un dato che non è emerso. Io sono favorevole all'uso dell'interrogatorio anticipato della misura cautelare sul modello delle misure interdittive dell'articolo 289, che vale solo per il pubblico ufficiale. L'interrogatorio anticipato si potrebbe usare, ma solo per le misure non custodiali. Si rischia altrimenti di mettere l'imputato che sa di essere sottoposto a misura custodiale nella condizione di dover confessare per non andare in carcere o agli arresti domiciliari. Per le misure non custodiali un interrogatorio anticipato si potrebbe invece fare.
Sono d'accordo anche sul cumulo, a condizione che si capisca cosa vuol dire. Il cumulo è una misura più bassa delle altre. Può essere uno strumento alternativo agli arresti domiciliari o al limite anche al carcere, a meno che non sussistano le esigenze dell'articolo 275.
A proposito del 275, la linea tracciata dalla Corte costituzionale e dalla Corte di cassazione a sezioni unite ci dice già che,


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esclusi i reati della famosa «sentenza Pantano» della Corte europea dei diritti dell'uomo e la criminalità organizzata, tutti gli altri reati possono essere affidati alla discrezionalità del giudice, il quale valuta se al posto del carcere possano essere decise misure alternative.
All'onorevole Contento rispondo che gli automatismi devono essere evitati perché la Corte costituzionale, come si è dimostrato con l'articolo 275, comma 3, li elimina. Un meccanismo automatico eccessivamente rigido non può esistere. Una certa discrezionalità del giudice va mantenuta, ma la giurisprudenza deve avere il coraggio di stabilire l'annullamento delle motivazioni per relazione. Noi stiamo parlando dell'ingresso, ma la custodia cautelare è una fase che dura mesi, che passa attraverso i percorsi del riesame, della Cassazione, dell'annullamento, della revoca. Non basta solo il momento genetico. Ci vogliono anche i momenti successivi.
Mi si domanda come destrutturare tutto questo. Non bastano gli articoli 273, 274, 275: bisogna muoversi lungo tutto l'itinerario processuale. Se la Cassazione annulla per mancanza di indizi e rimanda al giudice del riesame, il soggetto resta in carcere. La detenzione non riguarda solo quelli che entrano il primo giorno. Lo stato di detenzione continua. Noi stiamo affrontando il problema da un certo punto di vista, ma la custodia è un fatto complessivo.
Sull'immediato cautelare è stata fatta una scelta politica. Sono stati allungati i tempi del direttissimo contestuale e non contestuale ed è stato introdotto l'immediato. Politicamente si è in grado di tornare indietro? L'immediato custodiale andrebbe eliminato perché non ha una sua razionalità. È funzionale, ne siamo pienamente consapevoli, ma Cordero diceva che lo strumento che funziona per obliquo si applica, ma non è detto che sia il migliore.
È un fatto politico. Il presidente Spigarelli sa che per un certo periodo abbiamo cercato di eliminare l'immediato cautelare, ma la risposta è stata che in quel momento non si poteva fare. Se oggi si può fare, lo si elimini. Quello che non sta in piedi è il meccanismo automatico di liberazione per il solo fatto che il pubblico ministero chieda l'immediato.
Come dicevo l'altro giorno, ogni uomo ha un suo punto di criticità. Per le misure cautelari - è un debito che ho nei confronti di Iacoviello - è il principio di proporzionalità. Io capisco il principio di adeguatezza e capisco il carcere come estrema ratio. Non ho capito ancora quale sia il principio di proporzionalità tra pena e durata. Non ho trovato molti elementi in ordine alla proporzionalità. È un qualcosa che è presente nel codice e permetterebbe di graduare le misure e ancor di più la durata delle misure. La proporzionalità è un punto nuovo.
Spero di aver risposto a tutte le domande.

VALERIO SPIGARELLI, Presidente dell'Unione delle camere penali italiane (UCPI). Il professor Spangher ha già detto molto. Quest'ultimo intervento dell'onorevole Contento riporta a ciò che noi dicevamo inizialmente ed è la chiave di lettura di un possibile intervento organico sul sistema della cautela.
Come ha detto prima di noi il primo presidente della Cassazione, in questo momento la cautela è molto spesso utilizzata ad altro fine, cioè per tutelare un'esigenza sociale rispetto all'ineffettività complessiva del sistema. Questo è il punto. Una delle scelte possibili è quella di rimeditare, come suggerito dall'onorevole Contento, l'ultima locuzione dell'articolo 274, lettera c) e prendere atto che, mentre per un fatto di rilevante gravità la custodia cautelare in carcere è possibile, per fatti, anche sussistenti, per cui esista un'esigenza di cautela ben possono bastare le misure di tipo diverso, graduando dagli arresti domiciliari in poi.
Siamo pienamente convinti che il rafforzamento delle misure interdittive sia la strada giusta perché risolve il problema che il presidente della Cassazione ha sottolineato. Se il giudice che si fa carico di un'esigenza sociale dispone di una misura


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interdittiva che funziona, eviterà di abusare - questo è il termine giusto - della custodia cautelare.
È certamente una scelta dal forte connotato politico, come diceva il professor Spangher. Nella nostra ipotesi complessiva, che da qui a poco depositeremo, onorevole Bernardini, sottolineiamo che per l'articolo 274, lettera c) il pericolo di reiterazione non può essere l'elemento risolutivo se il reato non prevede una pena inferiore, ad esempio, ai sei anni. In quella pena inferiore ai sei anni, come tutti comprendete immediatamente, rientrano anche reati politicamente sensibili.
Non trattandosi di reati predatori, gli arresti domiciliari, se ben congegnati, con il divieto che qualcuno propone di mettere nero su bianco, ma che di fatto è correntemente applicato nelle modalità esecutive dei domiciliari, potrebbero benissimo assolvere alle esigenze cautelari. La scelta è tutta qui. Altrimenti gireremo intorno al problema senza riuscire mai a risolverlo.
In nessuna di queste proposte si ritrova un elemento che attiene alla custodia cautelare sub specie di tutela del diritto di difesa. Esiste una norma che è un residuo inquisitorio e una stimmate di diffidenza nei confronti della difesa. Mi riferisco all'articolo 104, commi 3 e 4, che permette al giudice di differire l'immediata interlocuzione tra il difensore e chiunque venga privato della propria libertà in cautela. Quella sì che è un'incrostazione del passato da eliminare. I difensori che possono essere sospettati di qualcosa devono essere censurati in altra maniera e non con questa norma, che vi invito a considerare di natura inquisitoria.
L'onorevole Rossomando ha chiamato in causa l'immediato cautelare. La prima opzione l'ha già menzionata Giorgio Spangher e a ciò mi rimetto. Senza quella sventurata stagione politica che vedeva nella sicurezza il leitmotiv di tutta la - poca e per di più colpita da censure della Corte costituzionale in punto processuale - produzione normativa, l'immediato cautelare non l'avremmo proprio avuto. Se ci fosse la volontà di eliminarlo, noi saremmo d'accordo.
Siccome siamo animati dall'ottimismo della volontà, ma anche dal pessimismo, vogliamo sottolineare che il problema dell'immediato cautelare è il suo utilizzo strumentale, che può essere compresso legando l'esperibilità di questo giudizio speciale a un automatismo. Non è possibile svolgere indagini per cinque anni per poi applicare la cautela e chiedere l'immediato cautelare. Ci deve essere un legame con il tempo di iscrizione nel registro delle notizie di reato, legame già previsto in una certa misura dalla legge.
Tanto nell'ordinario quanto nel cautelare l'immediato si dovrà poter chiedere o entro i novanta giorni o entro i centottanta giorni, ma non più di questo perché altrimenti diventerebbe altro da sé e cioè uno strumento per velocizzare un procedimento. L'immediato cautelare fu introdotto con un'esigenza diversa: nel momento in cui si toglieva la libertà, lo Stato si impegnava a giudicare molto rapidamente.
Quando le indagini si svolgono per qualche lustro, il materiale probatorio è tale che la difesa ha gli occhi e le mani legate. Anche dopo l'imposizione della cautela e l'esperibilità, molto virtuale in quei casi, di un procedimento incidentale de libertate di fronte al tribunale del riesame, la possibilità di difendersi è ridotta. L'immediato cautelare dovrebbe, quindi, riguardare fatti che siano accertabili in un periodo di tempo breve e di per sé ontologicamente maneggiabili anche dalla difesa per via di un materiale probatorio non troppo rilevante.
Le proposte su questo punto sono legate essenzialmente alla decadenza della possibilità di chiedere l'immediato cautelare. Come ho detto all'inizio, i termini che vengono presi in considerazione dalla norma non servono a nulla. O mettiamo nero su bianco che l'immediato cautelare può essere chiesto, pena la decadenza, entro centottanta giorni o entro novanta giorni o non risolveremo il problema.
Da ultimo, ci era sfuggito il fatto che una delle proposte di legge prende in considerazione il problema dell'incompatibilità del giudice del tribunale dell'appello


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o del riesame - la norma è un po' confusa - in certe ipotesi. Così non funziona, ma prevedere un'incompatibilità del collegio del riesame in sede di rinvio, dopo l'annullamento da parte della Corte di cassazione, sarebbe sacrosanto e farebbe del procedimento incidentale un procedimento molto più garantito.
Assolutamente diversa è un'incompatibilità tra il giudice del riesame e il giudice dell'appello cautelare perché non ci sono così tanti collegi del riesame a disposizione.

RODOLFO SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati (ANM). Cercherò di essere breve.
Concordiamo anzitutto con le osservazioni del professor Spangher. Non mi piace invece quando si pone, come ha fatto l'onorevole Bernardini, il problema dell'eccesso di detenuti e non lo si affronta, dando l'impressione di volere parlar d'altro. In questo mi conforta quanto osservavano l'avvocato Spigarelli e il professor Spangher a proposito del fatto che il sistema deve essere valutato nel suo complesso. Da qui deriva la necessità di procedere a riforme processuali. Sono ancor più confortato dal fatto che riforme processuali a nostro avviso utili sono già oggetto di disegni di legge all'esame della Camera.
Facevo riferimento alla necessità di riformare il sistema sanzionatorio anche per le ricadute che una rivalutazione del sistema sanzionatorio delle pene potrebbe avere sul sistema cautelare. A nostro avviso, quello che vede la sanzione detentiva come sanzione non unica, ma senz'altro centrale, di pressoché unico reato è un approccio che dovrebbe essere superato, individuando di volta in volta e in relazione alla natura del reato, alla sua gravità e all'oggetto quale sia la sanzione più efficace, se quella detentiva o quella patrimoniale, magari attraverso un'estensione della confisca per equivalente, o quella interdittiva.
Per quanto riguarda riforme che producano un notevole indebolimento delle previsioni dell'articolo 275 o al contrario un rafforzamento, com'è in alcune proposte, del comma 3, mi rifaccio alla storia della norma, la quale ha conosciuto alterne vicende di rafforzamenti e indebolimenti in relazione, purtroppo, al caso concreto. È un invito a tenere una posizione di equilibrio che non crei automatismi, con tutti i rischi che ricordava il professor Spangher.
È già stato osservato che l'immediato cautelare è un istituto funzionale al sistema. A nostro avviso, è attualmente utile in questa prospettiva di funzionalità. Cambiando il sistema processuale nel suo complesso, evidentemente si potrebbe anche ripensare l'immediato cautelare. Come ripeto, attualmente ci sembra una norma utile. Non mi ripeto sulla previsione di un cumulo di misure cautelari perché mi sono già espresso e concordo con le osservazioni di chi mi ha preceduto.
Per quanto riguarda le considerazioni dell'onorevole Contento sull'utilità o meno di indicare i titoli inclusi o esclusi dall'applicazione delle misure cautelari, mi pare che si debba rifuggire da eccessi di automatismo, anche perché il pericolo è legato alla gravità del reato non come fattispecie astratta, ma come fattispecie concreta. Come dicevo, alcuni titoli di reato, come ad esempio la rapina aggravata, comprendono fattispecie concrete che vanno da situazioni di estrema gravità a fatti in realtà molto lievi.
Da ultimo, per rispondere all'onorevole Ferranti in ordine al controllo d'ufficio periodico sulla permanenza delle esigenze cautelari, io credo che in queste situazioni debbano piuttosto essere valorizzate le capacità della difesa.
Controlli periodici d'ufficio rischierebbero di risolversi in un rito ripetitivo e poco utile.

ANNA CANEPA, Vicepresidente dell'Associazione nazionale magistrati (ANM). Se permettete, vorrei aggiungere una chiosa per rispondere all'onorevole Bernardini sull'esigenza di un ripensamento generale del sistema.
Quelle di cui abbiamo parlato oggi sono esigenze che sentiamo tutti e, al di là del


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dettaglio, siamo quasi tutti d'accordo. Sarà un problema generazionale, ma io e il presidente siamo entrati in magistratura con il nuovo codice di procedura penale e abbiamo studiato sempre su quello. Ricordo che le parole d'ordine erano celerità, concentrazione e immediatezza tra la commissione del fatto e l'accertamento della responsabilità. Questo è il nodo del problema.
Il problema della celerità del processo è legato alla sostanza. Se non incideremo, continueremo a occuparci di problemi settoriali. Il problema è il sistema. Ogni anno ricordo l'entrata in vigore il 23 ottobre del nuovo codice. Era qualcosa di diverso e di questo bisogna farsi carico.
Questo è il problema del processo penale italiano.

PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14.

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