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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione II
2.
Giovedì 27 settembre 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giulia Bongiorno, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 255 BERNARDINI, C. 1846 COTA, C. 4616 BERNARDINI, C. 5295 PAPA E C. 5399 FERRANTI, RECANTI DISPOSIZIONI IN MATERIA DI MISURE CAUTELARI PERSONALI

Audizione del Primo Presidente della Corte di Cassazione, Ernesto Lupo, del professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università Bicocca di Milano, Oliviero Mazza, del professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino, Paolo Ferrua, del professore ordinario di diritto processuale penale e diritto penitenziario presso l'Università degli studi di Perugia, Carlo Fiorio e del professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Pisa, Enrico Marzaduri:

Giulia Bongiorno, Presidente ... 2 7 9 11 14 16
Ferrua Paolo, Professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino ... 9
Fiorio Carlo, Professore ordinario di diritto processuale penale e diritto penitenziario presso l'Università degli studi di Perugia ... 11
Lupo Ernesto, Primo Presidente della Corte di Cassazione ... 2
Marzaduri Enrico, Professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Pisa ... 14
Mazza Oliviero, Professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università Bicocca di Milano ... 7
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONE II
GIUSTIZIA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 27 settembre 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIULIA BONGIORNO

La seduta comincia alle 13,35.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, ai sensi dell'articolo 65, comma 2, del Regolamento, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

Audizione del Primo Presidente della Corte di Cassazione, Ernesto Lupo, del professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università Bicocca di Milano, Oliviero Mazza, del professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino, Paolo Ferrua, del professore ordinario di diritto processuale penale e diritto penitenziario presso l'Università degli studi di Perugia, Carlo Fiorio, e del professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Pisa, Enrico Marzaduri.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva avviata nell'ambito dell'esame delle proposte di legge C. 255 Bernardini, C. 1846 Cota, C. 4616 Bernardini, C. 5295 Papa e C. 5399 Ferranti, recanti disposizioni in materia di misure cautelari personali, l'audizione del Primo Presidente della Corte di Cassazione, Ernesto Lupo, del professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università Bicocca di Milano, Oliviero Mazza, del professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino, Paolo Ferrua, del professore ordinario di diritto processuale penale e diritto penitenziario presso l'Università degli studi di Perugia, Carlo Fiorio e del professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Pisa, Enrico Marzaduri.
Ringrazio il Presidente Lupo - che è accompagnato dal Segretario generale dottor Francesco Ippolito - per essere intervenuto così tempestivamente a fornirci il suo contributo. Ringrazio anche tutti gli altri auditi, ricordando che qualora volessero lasciarci contributi scritti farebbero cosa gradita.
Do, quindi, subito la parola al Presidente Lupo.

ERNESTO LUPO, Primo Presidente della Corte di Cassazione. Ringrazio il presidente per questa audizione e per questa precedenza, tenuto conto che debbo inaugurare un convegno di processualisti penali in Cassazione e ho dei doveri di ospite che impongono puntualità.
Le cinque proposte di legge sulle quali è stata disposta l'odierna audizione si muovono, salvo la proposta C. 1846, nel dichiarato intento di ridurre il ricorso alla custodia cautelare in carcere sia per una rinnovata sensibilità al principio di presunzione di non colpevolezza sino a che non intervenga una decisione definitiva di condanna, sia per il superamento dell'attuale inaccettabile condizione di grave sovraffollamento carcerario su cui, come è noto, ha richiamato autorevolmente l'attenzione anche il Capo dello Stato.
Sento di poter dire che queste direttrici corrispondono alle posizioni espresse in


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varie occasioni di dibattito culturale da esponenti della magistratura italiana e, inoltre, sono state da me tracciate, da ultimo, nella relazione sulla missione della giustizia del gennaio di quest'anno, nella quale, come ha già ricordato nella relazione introduttiva il presidente Bongiorno, in particolare esprimevo l'auspicio che la misura carceraria fosse ricondotta normativamente alla sua natura di extrema ratio, applicabile quindi solo in presenza di reati di particolare allarme sociale, e soprattutto che essa fosse inibita quando la condotta criminosa presa in considerazione fosse risalente nel tempo e non accompagnata da manifestazioni concrete di attuale pericolosità sociale.
Aggiungevo in tale occasione che - oltre a comprimere nel grado più alto, spesso senza reale necessità, la libertà personale degli inquisiti in presenza di pericula libertatis che possono essere soddisfatti con altre meno radicali misure - un eccessivo ricorso alla misura carceraria contribuisce grandemente all'affollamento dei nostri istituti di custodia, sottolineando anche che in questa prospettiva occorreva perseguire, in alternativa al ricorso a misure coercitive, un potenziamento di strumenti di tipo interdittivo attualmente penalizzati nella loro funzione cautelare dalla durata massima eccessivamente breve di due mesi.
Peraltro, nell'accennata occasione avvertivo l'esigenza di precisare che alla data del 31 dicembre 2011 non più del 20 per cento circa della popolazione carceraria era propriamente in attesa di giudizio. Infatti, un restante 20 per cento circa si trovava in stato di custodia cautelare in quanto già raggiunto da sentenza di condanna in primo o anche in secondo grado. Questa rilevazione appare ancora attuale alla luce dei dati recentemente forniti dal capo del Dipartimento della sezione penitenziaria e aggiornati al 20 settembre di quest'anno. Come emerge dal rapporto, più della metà dei detenuti è in attesa della condanna di primo grado, mentre gli altri sono già stati condannati in primo grado.
Questo a mio avviso è un punto di estrema importanza perché accomuna due situazioni nettamente diverse. Non è perciò vero, come spesso si afferma, che circa il 40 per cento dei detenuti è in attesa di giudizio. Il dato rappresenta solo la percentuale di coloro per i quali non si è definitivamente formato il giudicato.
Questa constatazione rende non comparabile la situazione italiana con quella di molti altri ordinamenti, dove di custodia cautelare può propriamente parlarsi solo nella fase processuale che precede la sentenza di condanna di primo grado e dove quasi mai il processo penale è articolato, pressoché indefettibilmente come da noi, in tre gradi di giudizio - quattro se si comprende la fase dell'udienza preliminare - senza alcun filtro volto ad arginare impugnazioni spesso pretestuose e meramente dilatorie. Queste, peraltro, sono oggettivamente favorite sia dall'abnorme numero degli avvocati italiani - ben 212.000 secondo l'ultimo rapporto della Commissione europea per l'efficacia della giustizia (Rapporto CEPEJ), con una proporzione avvocati/cittadini che è quasi il quintuplo di quella della Francia, quasi il doppio di quella della Germania e quasi un terzo in più rispetto a quella della Spagna - sia dalla previsione che accorda all'imputato di persona la legittimazione a proporre impugnazione, previsione che produce per lo più l'effetto di aumentare il numero dei ricorsi destinati a essere dichiarati inammissibili.
A me sembra molto importante per il dibattito tenere presente che la custodia cautelare in Italia ha un significato particolare, ampio, conforme alla Costituzione d'altro canto, comprendente due categorie che devono essere nettamente distinte.
Fatte queste doverose precisazioni, resta la considerazione iniziale: non sempre lo strumento carcerario corrisponde a effettive esigenze di tutela delle esigenze processuali o della collettività e comunque, qualunque sia il grado di queste esigenze, il soddisfacimento di esse non può non armonizzarsi con il rispetto di condizioni minime che assicurino la dignità del soggetto detenuto. L'intervento sul versante


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processuale deve, quindi, necessariamente accompagnarsi a quello sul terreno del diritto sostanziale.
Non posso che ripetere ciò che avevo sottolineato nella ricordata relazione inaugurale, ove veniva rappresentata al legislatore l'opportunità di attuare non solo una radicale opera di depenalizzazione, che mi sembra solo molto timidamente delineata nel disegno di legge governativo che è al vostro esame, ma anche un ampliamento dei casi di procedibilità a querela dei reati - tema questo non ripreso dalle iniziative legislative, ma già perseguito con la legge n. 689 del 1981, a cui ebbi modo di collaborare quando lavoravo al Ministero della giustizia - con l'effetto di incidere anche sulla situazione carceraria, posto che per alcune tipologie di condotte criminose, a parte l'applicabilità di misure cautelari custodiali, si rende possibile, pur in assenza di un'istanza di punizione del soggetto leso dal reato, l'arresto in flagranza, che contribuisce in misura non irrilevante all'accennato problema dell'affollamento degli istituti di custodia.
A prescindere dalla perseguibilità a querela, può avere un'immediata ricaduta sull'applicabilità delle misure carcerarie l'abbattimento dei livelli di pena edittale massima. Tale scelta, però, è di pertinenza esclusiva del legislatore. Mi limito a osservare che efficace per ridurre i casi di custodia cautelare è senz'altro la scelta, contenuta nell'articolo 9 della proposta di legge C. 5399, di mitigazione della pena massima per le ipotesi per le ipotesi dell'articolo 73, comma 5 del Testo unico sugli stupefacenti. Essa di fatto impedirebbe non solo l'arresto in flagranza, ma anche l'adozione di misure carcerarie per il piccolo spaccio di sostanze stupefacenti, spesso concernente le cosiddette droghe leggere. Come ripeto, la decisione su tale proposta è di natura strettamente politica.
In una prospettiva che affianca innovazioni sul settore processuale a quelle sulle norme sostanziali, si colloca del resto il già menzionato disegno di legge governativo C. 5019 che state esaminando, il quale percorre linee di intervento su diversi piani che potrebbero produrre effetti di rilievo sul carico della giustizia penale e quindi, come ho detto, anche sulla dimensione carceraria.
Più in generale vorrei osservare che per ridurre, se non per risolvere, l'attuale stato di grave crisi del processo penale, di cui costituisce un non irrilevante aspetto il problema cautelare, occorre un radicale mutamento di rotta. Ciò implica l'adozione di scelte coraggiose perché toccano sensibilità profonde e incidono su radicate aspettative dei consociati sulla risposta giudiziaria ai fenomeni criminali.
Se si vuole mantenere l'attuale livello di garanzia nello svolgimento del processo di cognizione, che sento di poter dire vede il nostro Paese in una posizione di avanguardia nel panorama europeo, occorre necessariamente agire con decisione sulla dimensione cautelare, in ispecie di tipo carcerario, che non implica solo problemi di sovraffollamento, ma favorisce anche una proliferazione di procedure incidentali, con tutto ciò che ne consegue in termini di carico dell'apparato giudiziario e, di riflesso, di eccessiva durata dei procedimenti, aspetto che tocca in particolar modo il nostro Paese e che ha determinato una serie di condanne da parte della Corte di Strasburgo, ponendoci in una triste condizione di primato negativo nello scenario europeo.
Una seconda parte della mia relazione considera le singole proposte di legge. Come ho già notato all'inizio, la proposta di legge C. 1846 esprime una filosofia antitetica a quella delle altre quattro. Mi limito qui a osservare che il nuovo proposto regime dell'articolo 275, comma 3 del codice di rito si pone in contrasto con le note sentenze della Corte costituzionale in materia di illegittimità, salvo che per l'articolo 416-bis del codice penale, della previsione di presunzione assoluta di adeguatezza della misura carcerale per alcuni reati.
Agendo poi in senso restrittivo sui limiti di ammissibilità e di ammissione ai benefici penitenziari, dà rilievo decisivo al fatto che il soggetto condannato abbia riportato precedenti condanne per alcuni


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specifici delitti, con ciò obliterandosi, a me pare illogicamente, la valutazione positiva di una condotta di collaborazione con la giustizia e determinandosi così una notevole incidenza in aumento della popolazione carcerale.
Questa proposta è unica. Le altre seguono, invece, indirizzi opposti. La proposta C. 255 introduce un radicale abbattimento dei termini massimi di custodia cautelare. Tutti i termini, sia di fase, sia complessivi, sia finale - il cosiddetto massimo dei massimi - risultano dimezzati. Questa nuova disciplina potrebbe essere presa in considerazione, a mio avviso, solo a patto di una riconsiderazione globale del sistema processuale e di quello penale.
La previsione dell'aumento a due mesi per semestre dello scomputo di pena a titolo di liberazione anticipata, attualmente pari a quarantacinque giorni, è senz'altro idonea, a mio avviso, a produrre nel medio-lungo termine apprezzabili effetti in tema di sfoltimento dalla popolazione carceraria. Secondo stime approssimative effettuate dal Dipartimento di amministrazione penitenziaria, da me sentito prima di stendere questa relazione, circa 3.000 detenuti potrebbero uscire anticipatamente ogni anno rispetto alla situazione attuale, se fosse approvata una norma come quella contenuta nella proposta di legge considerata.
Si tratta di scelta di natura eminentemente politica che richiederebbe di essere correlata a un rafforzamento della garanzia di un nuovo patto di responsabilità tra detenuto e amministrazione, ossia a una più intensa partecipazione attiva, costruttiva e propositiva del detenuto, che nel contempo, attraverso una gestione più razionale delle risorse dell'amministrazione, potrebbe essere accompagnata da una migliore individualizzazione del trattamento.
La proposta C. 4616 introduce il requisito dell'attualità, accanto a quello della concretezza, ai fini dell'applicazione delle misure coercitive ove sussista il pericolo di reiterazione dei reati. Inoltre, sussistendo tale specifico pericolo, consente l'applicabilità della misura carceraria solo nei confronti dei delinquenti abituali, professionali o per tendenza. Sono due previsioni su cui esprimo giudizi opposti.
La prima previsione appare condivisibile, essendo del resto in linea con le indicazioni contenute nell'accennata relazione da me resa in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario. La seconda mi sembra eccessivamente restrittiva e comunque attestata su dati formali non del tutto appaganti. Se sussiste il concreto e attuale pericolo di reiterazione del reato, potrebbe apparire incongruo subordinare la misura carceraria al dato formale della pregressa dichiarazione di delinquenza abituale, professionale o per tendenza.
Come ho già anticipato, merita consenso l'ultima previsione, che estende a sei mesi dagli attuali due il termine di durata massima delle misure interdittive, attualmente poco utilizzate proprio per questa eccessiva ristrettezza temporale.
La proposta C. 5295, con l'intervento sull'articolo 275, comma 3 del codice di procedura penale, ha un dichiarato intento riduttivo del ricorso alla misura carceraria, ma in realtà riproduce per alcuni delitti - al di là di quelli mafiosi - l'inderogabilità di tale misura, senza tenere conto delle già richiamate sentenze della Corte costituzionale.
L'intervento sull'articolo 303 del codice di procedura penale è ancora più drastico di quello contenuto nella proposta di legge C. 255 poiché riduce la durata complessiva della custodia cautelare al termine massimo di sei mesi. A parte ciò, sostituendosi con tale secca previsione l'intero articolo 303, si perde ogni distinzione di fasi e di gravità di delitti, a cui raccordare termini distinti. Non posso che definire irrealistica, a ordinamento dato, una simile prospettiva.
La modifica al comma 6 dell'articolo 294 del codice di rito, a mio avviso, confonde pericolosamente il ruolo investigativo del pubblico ministero con quello di garanzia del giudice, così da produrre un effetto perverso, antitetico a quello che si vorrebbe perseguire, con l'obliterazione, tra l'altro, dell'attuale previsione secondo


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cui l'interrogatorio del pubblico ministero non può precedere quello del giudice.
La modifica dell'articolo 310 del codice di procedura penale appare tecnicamente incomprensibile. Si evoca un inesistente appello contro le decisioni del Tribunale del riesame, che sono invece, come è noto, ricorribili soltanto per Cassazione.
Di difficile individuazione è poi la ratio della modifica del comma 1-bis dell'articolo 453 del codice di procedura penale, non tanto per la non del tutto chiara scelta della riduzione del termine per la richiesta di giudizio immediato per un soggetto in custodia cautelare, portato da centottanta a trenta giorni, ma soprattutto per l'imposizione al pubblico ministero di chiedere in tale occasione la liberazione dell'indagato, così venendosi a determinare un automatico trattamento di favore in termini cautelari solo per questa ipotesi, a differenza della generalità dei casi in cui il processo non passa attraverso il giudizio immediato. Ciò naturalmente comporta il rischio che il pubblico ministero si guarderà bene dal fare richiesta di giudizio immediato.
Vengo da ultimo alla proposta C. 5399, di cui ho già preso in considerazione l'articolo 9. Sulla previsione secondo cui il pericolo di fuga deve essere, oltre che concreto, anche attuale, rimando a quanto già osservato favorevolmente sulla simile previsione della proposta C. 4616. Qui si aggiunge un'analoga utile precisazione anche per il pericolo di reiterazione di reati. L'inserimento di un comma 1-bis all'articolo 274 può ritenersi opportuno, anche se è difficile valutare la concreta incidenza della relativa disciplina.
L'estensione dell'efficacia preclusiva, derivante dalla prognosi di sospensione condizionale della pena, alla misura degli arresti domiciliari, di cui all'articolo 4 della proposta, mi pare del tutto condivisibile. Anche l'intervento sul primo periodo del comma 3 dell'articolo 275 del codice di procedura penale, che ha l'intento di estendere la relativa previsione alla custodia domiciliare, è condivisibile, anche se potrebbe già oggi ritenersi implicito nel principio di adeguatezza espresso nel comma 1 dello stesso articolo 275.
Più particolare è l'intervento sull'articolo 275, comma 3. Anche se appare parzialmente utile dopo le note sentenze della Corte costituzionale più volte richiamate, ha il difetto di mantenere il principio della presunzione assoluta di adeguatezza della misura carceraria per i reati aggravati dall'articolo 7 del decreto legge 152 del 1991 della finalità di terrorismo, su cui le Sezioni unite recentemente hanno sollevato questioni di costituzionalità con due ordinanze che allego alla presente relazione.
L'intervento sull'articolo 299 si muove giustamente sull'opposto versante di ridurre l'ingolfamento derivante da indiscriminate reiterazioni di iniziative difensive in tema di revoca o sostituzione delle misure cautelari. Merita infine consenso l'estensione del termine di durata delle misure interdittive, come ho già detto per altre proposte di legge.
Concludo sottolineando la necessità di uno sforzo congiunto per affrontare il problema della custodia cautelare con razionalità e competenza, contrastando umori diffusi ed emozioni altalenanti amplificati dai mass media, che finiscono con il contagiare l'ambito giudiziario determinando guasti sulla cultura del processo e delle garanzie.
È certo comprensibile che l'eccessiva distanza temporale tra l'inizio del procedimento penale ed l'esecuzione della condanna spinga a volte le vittime dei reati o i loro familiari o le comunità ove i fatti illeciti siano stati commessi a invocare la mano dura. Talvolta tale spinta coinvolge gli stessi magistrati, determinandoli ad anticipare, in corso di processo o di indagini, il ricorso al carcere al fine di neutralizzare una pericolosità anche se soltanto ipotizzata, così da offrire una risposta alla percezione collettiva di insicurezza sociale.
A tali spinte bisogna a mio avviso resistere. Nella relazione sulla missione della giustizia, all'auspicio che il legislatore prenda sul serio la giurisprudenza costituzionale


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sulla extrema ratio avevo fatto seguire una sollecitazione ai giudici a essere e a sentirsi innanzitutto garanti della libertà e della dignità delle persone.
Avevo formulato un altrettanto fermo appello all'opinione pubblica, soprattutto a chi ha responsabilità di informarla, formarla e orientarla: non si può a giorni alterni, sotto la spinta di diverse e comprensibili emozioni, invocare la presunzione di innocenza contro i provvedimenti di cautela processuale per taluni indagati e indignarsi, come ci mostra la cronaca in questi giorni a proposito dell'uxoricidio da parte di un medico, per la mancata adozione o il mancato mantenimento di misure carcerarie per altri indagati, anche in assenza dei presupposti di legge. La necessità di una visione più costante di esigenze che sono purtroppo contrapposte - ed è questa la difficoltà del tema - va sottolineata.
Ringrazio la Commissione per l'attenzione con cui ha ascoltato questa mia relazione, forse un po' troppo diffusa.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Lupo per il suo contributo e lo saluto perché, come anticipato, non può trattenersi.
Faccio presente che l'errore nella proposta di legge dell'onorevole Papa rilevato dal presidente Lupo ci è stato segnalato solo ieri.
Proseguiamo, dunque, i nostri lavori e do la parola al professor Mazza.

OLIVIERO MAZZA, Professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università Bicocca di Milano. Ringrazio il presidente. Sarò telegrafico, anche per andare subito al cuore della questione che vorrei sottoporre alla vostra attenzione. Rinvio, pertanto, gli ulteriori approfondimenti a un testo scritto che mi riservo di farvi avere in tempi brevissimi.
L'aspetto che mi preme sottolineare riguarda le presunzioni cautelari ai sensi dell'articolo 275, comma 3, secondo periodo. Le proposte di legge hanno preso atto della riduzione, operata dalla Corte costituzionale, dell'ambito dei reati ai quali fare riferimento. Rimangono i reati di associazione di tipo mafioso, associazione sovversiva e associazione con finalità di terrorismo, nonché l'aggravante dell'articolo 7 del decreto-legge n. 152 del 1991 nelle due forme del metodo mafioso ovvero dell'aver favorito l'associazione mafiosa.
Segnalo che le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 275, comma 3 con riferimento all'articolo 7 del decreto-legge n. 152 del 1991. Si tratta di un'ordinanza depositata il 10 settembre 2012. Riterrei opportuno valutare con attenzione il mantenimento del riferimento a tale aggravante. Semplificando al massimo il discorso, attraverso l'aggravante qualunque reato comune finisce per avere l'etichetta della criminalità organizzata e per confluire nel doppio binario cautelare. Ciò mi sembra francamente eccessivo, come del resto sostiene anche la Corte di cassazione a Sezioni unite.
Io ho però un'idea personale sulla presunzione cautelare. Infatti, ritengo che questa sia comunque illegittima dal punto di vista costituzionale. So benissimo che la Corte costituzionale l'ha salvata a partire dalla famosa ordinanza n. 450/1995, che anche il Presidente Lupo ha citato nella sua relazione introduttiva. So benissimo che la Corte costituzionale, ogni qual volta è intervenuta per espungere un reato, dalla violenza sessuale all'omicidio volontario, dal novero delle fattispecie presupposto di questo automatismo cautelare, ha ribadito la razionalità della previsione con riferimento alla criminalità organizzata. Ritengo, però, che anche quel riferimento non abbia ragion d'essere o meglio non abbia una piena legittimità costituzionale.
Il motivo principale è che si viola palesemente la presunzione di non colpevolezza. Detto molto banalmente, è il mandato di cattura obbligatorio che abbiamo combattuto per decenni e che abbiamo finalmente espunto attraverso la riforma del codice di procedura penale del 1988-1989. È riemerso sotto mentite spoglie sull'onda emergenziale, come spesso accade nel nostro Paese, del contrasto alla criminalità organizzata, ma rimane un


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istituto illegittimo. Come ripeto, la Corte costituzionale lo ha salvato, ma con la sentenza n. 265 del 2010, ad esempio, la stessa Corte afferma in principio che le misure cautelari non possono assolvere alle finalità tipiche della pena. È inutile soffermarsi su questo aspetto. Come tutti sapete, una delle finalità tipiche della pena è la prevenzione speciale, cioè la neutralizzazione della pericolosità sociale dell'individuo, ma non possiamo anticipare tale finalità sotto forma di misura cautelare.
Questo discorso portato alle estreme conseguenze dovrebbe far riflettere sulla legittimità dell'intera lettera c) dell'articolo 274. Se, tuttavia, per una sorta di Real Politik giudiziaria vogliamo mantenere la difesa sociale tra le esigenze cautelari, dovremmo almeno evitare gli automatismi e le presunzioni come quelle contenute nell'attuale formulazione dell'articolo 275, comma 3, che mi pare venga riproposta così com'è, sia pure limitatamente ai reati associativi, da quasi tutte le proposte di legge.
Al di là di quanto ho detto finora, credo ci sia un altro aspetto sul quale la Corte costituzionale non si è ancora pronunciata - e non so se mai si pronuncerà. Si tratta di un profilo di illegittimità latente in questa disciplina che vorrei sottoporre alla vostra attenzione e che riguarda l'effettivo rispetto dell'articolo 13, comma 2 della nostra Costituzione, che impone al giudice di decidere in tema di libertà personale con atto motivato.
La riserva costituzionale di giurisdizione è una garanzia rafforzata dalla decisione motivata del giudice, ma l'obbligo di motivazione, a mio avviso, presuppone la libertà di decidere. Il giudice deve dar conto del perché adotti quel provvedimento restrittivo. Alla luce dell'attuale disciplina dell'articolo 275, comma 3 il giudice prende atto semplicemente che ricorrono i presupposti di legge. Non c'è motivazione, nel senso che il giudice non è chiamato a valutare la sussistenza delle esigenze cautelari, che sono presunte fino a prova contraria secondo una presunzione iuris tantum, né è tenuto a motivare l'adeguatezza della misura custodiale, che è presunta in modo assoluto secondo una presunzione iuris et de iure.
Se, quindi, la motivazione significa che il giudice deve valutare gli elementi che ha a disposizione, dando conto dei risultati acquisiti e dei criteri adottati nella valutazione, la mera presa d'atto di presunzioni legislative, a mio modestissimo avviso, non integra lo schema dell'atto motivato, uno schema costituzionalmente imposto dall'articolo 13, comma secondo della Costituzione e, a ben guardare, anche dall'articolo 111, comma sesto, che prevede la motivazione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale.
C'è poi un altro aspetto costituzionalmente rilevante, che mi rendo conto è molto più delicato perché investe direttamente i rapporti tra poteri dello Stato, in particolar modo tra potere legislativo e potere giudiziario. Nella mia ricostruzione l'articolo 275, comma 3 finisce per confliggere con il principio democratico della separazione dei poteri statuali. È un'affermazione molto forte, che cercherò di argomentare meglio, sia pure con la brevità che mi sono imposto.
Come sappiamo, il giudice è soggetto soltanto alla legge in base all'articolo 101, comma secondo della Costituzione. La legge può, anzi deve stabilire come il giudice debba decidere indicandogli le regole di giudizio. Può, inoltre, stabilire come il giudice debba valutare le prove fornendogli le regole di valutazione. Quello che la legge non può fare, secondo me, è dire esattamente quale sarà il segno della decisione del giudice, cioè sostituirsi al giudice nella decisione.
Il legislatore deve dare al giudice i criteri per decidere, come ad esempio la regola per cui la colpevolezza può essere affermata solo quando le prove sono convincenti al di là di ogni ragionevole dubbio o le regole di valutazione della prova contenute all'articolo 192, gli indizi, le chiamate in correità e così via, ma non può predeterminare il contenuto della decisione. Sulla base di queste osservazioni che, come ripeto, sono personali, non mi risulta abbiano riscontro dottrinale e sicuramente


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non hanno ancora avuto un vaglio giurisprudenziale, credo che l'articolo 275, comma 3 rappresenti un'usurpazione del potere del giudice di decidere.
Da ultimo, non dobbiamo avere paura di dare ai nostri giudici il potere di applicare la custodia cautelare in carcere per i reati di criminalità organizzata. Se cancelliamo la presunzione del comma 3 dell'articolo 275 non significa che tutti gli imputati di mafia avranno il beneficio degli arresti domiciliari o non verranno addirittura raggiunti da cautele. Saranno i giudici a decidere caso per caso. Secondo me questo è doveroso e imposto dalla presunzione di non colpevolezza.
Sarà il giudice, caso per caso, a stabilire se la custodia cautelare vada applicata anche a questi imputati e per queste imputazioni.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Mazza, anche per essere stato contenuto nei tempi, e do la parola al professor Paolo Ferrua.

PAOLO FERRUA, Professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino. Concordo con la filosofia che anima la maggior parte delle proposte di legge e cioè con il fatto che esista un eccesso di custodia cautelare, che si manifesta tanto sotto il profilo dell'applicazione quanto sotto il profilo della durata irragionevole della custodia.
Bisogna però distinguere tra questi due profili. Mentre, infatti, il problema dell'eccesso della custodia nell'applicazione deriva non dalla legge, che a mio avviso in sé è sufficientemente restrittiva, ma da prassi non virtuose, da abusi e da un uso disinvolto da parte dei giudici - che hanno trasformato la custodia cautelare, che dovrebbe avere finalità di tipo esclusivamente negativo di neutralizzazione di pericoli, in uno strumento che opera in positivo allo scopo di ricercare la prova o di indurre l'imputato alla collaborazione - il problema della durata eccessiva è, invece, un vizio che deriva dalle strutture del codice e dalla legge.
Da questo punto di vista, ho apprezzato particolarmente la proposta di legge C. 5399 Ferranti, Orlando, Rossomando per il tentativo di arginare questo uso «positivo» della custodia cautelare attraverso l'attualità del pericolo e il fatto che il pericolo di commissione di nuovi reati non possa essere dedotto dalle modalità del fatto, ma dall'indagine sulla personalità dell'imputato.
Occorre tuttavia dire che un uso parsimonioso della custodia cautelare si avrebbe già soltanto se i giudici interpretassero correttamente le formule della legge. Un pericolo sensatamente interpretato non può che essere attuale e concreto. Siamo di fronte a formule che esercitano un effetto drogante. È un tira e molla fra prassi poco virtuose e il legislatore, che invano tenta di arginare gli abusi rincarando la dose sul piano delle formule. Se vivessimo in un Paese perfettamente civile, basterebbe dire che la custodia cautelare è disposta solo quando c'è pericolo di fuga, di commissione di gravi delitti e di inquinamento delle prove. Ogni altra parola sarebbe, quindi, superflua.
Dubito purtroppo che questa proposta di legge, pur assai apprezzabile nel fine, possa portare grandi risultati. Siccome queste formule sono a loro volta interpretabili dai giudici, io temo che l'abuso possa riaffiorare da altri punti di vista. So di essere pessimista, ma ritengo che siano più utili sistemi di educazione o corsi professionali che instillino nei magistrati il senso della custodia cautelare come rimedio estremo che non la moltiplicazione degli aggettivi nelle formule legislative, che a mio avviso alla fine lasciano il tempo che trovano.
Dieci e lode all'estensione delle misure interdittive, che in certi casi possono utilmente sostituire la custodia cautelare con minor danno per la persona dell'imputato. A mo' di provocazione mi chiedo se non sia utile prevedere la cauzione. Capisco tutte le controindicazioni che ci possono essere in termini di discriminazione dell'imputato povero, ma non dobbiamo dimenticarci che in sé la cauzione non toglierebbe nulla al povero, ma darebbe qualche possibilità in più ad altri imputati. In ogni caso potrebbe essere utilmente


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prevista come sostitutivo non del carcere, così da evitare effetti classisti, ma della misura interdittiva. Quest'ultima, infatti, spesso è applicata a imputati che hanno una certa disponibilità.
Quanto alla riduzione dei termini di durata massima, dovrebbe essere non una riforma-presupposto, ma una riforma-conseguenza della velocizzazione dei processi. È dissennato ridurre la custodia cautelare a non più di sei mesi, pur essendo ottimo dal punto di vista teorico. Senza riforme adeguate che velocizzino i processi sarebbe come imporre ai treni l'alta velocità su binari dissestati: è evidente che il treno deraglierebbe.
Per concludere passo ad alcuni rilievi sulle singole proposte di legge. Dato che in tutte si parla di presunzione di innocenza, mi è giocoforza ricordare, anche se pochi sono sensibili a questo discorso, che nel nostro ordinamento bisogna distinguere tra primo grado e gradi successivi. Nel primo grado vale la presunzione di innocenza, la quale è imposta dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che è applicabile. Nei gradi successivi, anche se tutti sproloquiano a questo riguardo, in realtà la presunzione di innocenza non c'è, come non c'è la presunzione di non colpevolezza, che corrisponde esattamente alla presunzione di innocenza. Il non colpevole è l'innocente: non vedo possibilità di equivoci.
Nella nostra Costituzione è invece prevista una non presunzione di colpevolezza. Siamo agli antipodi. La nostra Costituzione - che è applicabile ai gradi successivi di giudizio perché la Convenzione europea si ferma al primo grado - non impone di presumere, al contrario lo vieta. Afferma che l'imputato non è considerato colpevole e quindi non può essere trattato come se lo fosse. Non impone però di presumerlo innocente. Questa è una libera interpretazione dell'articolo 27 della Costituzione. Nel primo grado, come ripeto, la presunzione di innocenza è invece sacrosanta perché imposta dalla Convenzione.
Tutto questo dovrebbe avere, secondo me, dei riflessi anche sui termini di durata e sul controllo delle misure. Un conto è l'imputato che non è mai stato condannato, un conto è quello che ha avuto una condanna in primo grado. Il secondo è semplicemente non considerato colpevole, ma nessuno impone di considerarlo innocente.
Non mi soffermo sul lapsus relativo alla richiesta di appello al riesame. Evidentemente il giudice del riesame è un giudice di secondo grado esattamente come quello dell'appello. Nella proposta di legge C. 5295 a prima firma dell'onorevole Papa mi pare che l'articolo 5, che prevede il giudizio immediato, sia eccessivo. In questa norma si dispone che il pubblico ministero è tenuto a chiedere il giudizio immediato a meno che non contrasti con esigenze di celerità processuale. Con la richiesta di giudizio immediato, il pubblico ministero chiede la rimessione in libertà dell'indagato. Mi sembra dissennato obbligare a chiedere l'immediato in stato di custodia cautelare e disporre subito la liberazione. Tra l'altro, non è chiaro se il giudice sia vincolato da questa proposta.
Fa sorridere anche l'obbligo del pubblico ministero di interrogare l'indagato in stato di custodia cautelare solo alla presenza del giudice. Il difensore non basta più, ci vuole il giudice. Se mi si passa la battuta, io consiglierei un collegio perché il giudice potrebbe sempre accordarsi con il pubblico ministero!
Ottimo nella proposta dell'onorevole Ferranti è il rilievo di estendere anche agli arresti domiciliari il divieto di disporre la custodia quando si ritiene che possa essere applicata la sospensione condizionale della pena. Nella proposta dell'onorevole Papa mi sembra invece condivisibile in astratto il fatto di mantenere separati i detenuti in stato di espiazione della pena da quelli in stato di custodia cautelare.
Nella proposta di legge C. 4616 dell'onorevole Bernardini si dice che, quando c'è pericolo di commissione di delitti della stessa specie, la custodia cautelare dovrebbe essere limitata ai delinquenti abituali o professionali. Mi sembra un automatismo discutibile. Per converso, mi pare eccessivo il divieto di comunicare per chi


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è agli arresti domiciliari con qualsiasi persona diversa da quelle che coabitano o convivono, salvo che il giudice disponga diversamente. Mi sembra più ragionevole il sistema attuale. Deve essere semmai il giudice a porre delle limitazioni alla possibilità di comunicare. Si giungerebbe al paradosso di non poter nemmeno ricevere la posta e parlare con il postino.
Quanto alla proposta C. 255 mi sembra che ci sia un certo automatismo indulgenziale, che finisce per allargare a dismisura il divario fra tre aspetti che dovrebbero essere invece coordinati: la pena minacciata, la pena applicata e la pena scontata. Capisco l'esigenza di ridurre la pena di fronte a un comportamento meritevole dell'imputato. Capisco meno il fatto che si inverta il discorso e cioè che la pena sia automaticamente ridotta attraverso meccanismi per cui dopo un certo periodo di espiazione della pena vengono condonati alcuni giorni de plano, a meno che non si dimostri che il detenuto si è comportato male.
Visto che siamo in tema, suggerirei, soprattutto per quanto riguarda la proposta di legge dell'onorevole Ferranti, che interviene sui presupposti della custodia cautelare, di eliminare gli assurdi richiami alle nullità presenti negli articoli 274 e 292. È semplicemente folle stabilire che una custodia cautelare disposta senza i presupposti di legge sia nulla. Si confondono due entità completamente distinte: l'invalidità e la giustizia delle decisioni.
Una custodia cautelare che sia disposta senza i presupposti di legge è un provvedimento viziato nella motivazione che dovrà essere riformato dal giudice del riesame. È però assurdo decidere che sia nulla. Sarebbe come dichiarare nulla una sentenza che condanni ingiustamente l'imputato. Nessuno lo farebbe. La nullità deve riguardare esclusivamente vizi formali, quali la mancanza della sottoscrizione o della data, ma non problemi di giustizia, che si risolvono attraverso la tecnica del riesame.
Credo di non avere altro da aggiungere.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Ferrua e do la parola al professor Carlo Fiorio.

CARLO FIORIO, Professore ordinario di diritto processuale penale e diritto penitenziario presso l'Università degli studi di Perugia. Ringrazio il presidente. Parto anch'io dall'articolo 275, che costituisce il nucleo di ogni proposta in materia cautelare.
Sul piano del metodo, credo che l'esame delle misure cautelari e l'esame di alcune norme esecutive dovrebbe essere svolto congiuntamente. La corsa alla sicurezza degli anni 2000-2012 e oggi l'esigenza opposta di supplire a un inumano sovraffollamento e, quindi, alla vergogna delle carceri italiane impongono di analizzare insieme all'articolo 275 le norme di ordinamento penitenziario degli articoli 4-bis e anche 41-bis, che pure è applicabile alle persone in custodia cautelare. Storicamente, infatti, tutte le interpolazioni che sono state fatte all'articolo 275 hanno avuto come pendant modificazioni di segno analogo nell'articolo 4-bis.
La stratificazione normativa che caratterizza il vigente testo dell'articolo 275 evidenzia questo delicato terreno di confluenza tra garanzie individuali e politiche securitarie. Nel corso di questo primo ventennio applicativo, l'articolo 275 ha evidenziato un andamento sinusoidale, che è transitato dall'assetto del periodo 1989-1992, in cui prevalevano le esigenze di tutela del singolo, al sistema del periodo 1992-1995, in cui la recrudescenza della criminalità organizzata ed eversiva, ma anche i fatti di Tangentopoli hanno fatto riemergere, come il professor Mazza evidenziava con riferimento alla cattura obbligatoria, ataviche e mai sopite presunzioni di pericolosità sociale. Tra il 1995 e il 2000 ha fatto seguito una sostanziale pax cautelare, a cui nel 2000-2009 si sono contrapposti i plurimi pacchetti sicurezza bipartisan, espressione di esigenze eterogenee.
La progressiva trasformazione dell'articolo 275, comma 3 evidenzia, a mio parere, il transito da un modello cautelare


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fondato sulla discrezionalità guidata del giudice a un sistema articolato su questa doppia presunzione, avente a oggetto sia l'an della cautela sia il tipo di misura da adottare. È evidente e preoccupante, alla luce della presunzione di non colpevolezza, l'assonanza con quanto avviene in executivis in tema di misure alternative alla detenzione.
L'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario, che è basato sugli stessi nomina delicti presenti nell'articolo 275, subordina la restituzione delle opportunità rieducative a scelte collaborative del condannato. Non va dimenticato, però, che in quel settore la persona è condannata con sentenza divenuta irrevocabile, mentre l'articolo 275, comma 3 esplica i suoi effetti nei confronti di persone assistite, seppur con i distinguo che il professor Ferrua poneva poc'anzi, dalla presunzione costituzionale di non colpevolezza, almeno per quanto riguarda il primo grado.
Inoltre, l'imputazione o cripto-imputazione cautelare rischia non solo di essere clamorosamente smentita all'esito dell'accertamento giurisdizionale, ma corrisponde né più né meno a un'ipotesi di lavoro del pubblico ministero, che è parte del processo e non è il giudice.
Io ho tentato di fare una sinossi molto breve di tutte le norme analizzate dai cinque progetti di legge, partendo da una considerazione che, secondo me, dovrebbe essere condivisa e cioè che i paletti alla discrezionalità del giudice spesso conferiscono maggiori poteri alle procure della Repubblica.
Si è spesso gridato all'appiattimento del giudice per le indagini preliminari sulle scelte del pubblico ministero. La valutazione politica spetta a voi, ma sul piano tecnico più paletti si pongono alla discrezionalità più poteri si danno al nomen iuris fissato dal pubblico ministero. Se il pubblico ministero opta per la misura prevista dall'articolo 74 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 e, quindi, per la cattura obbligatoria, anche se dopo un anno o due l'imputato sarà assolto, intanto subisce la cattura obbligatoria. Il giudice per le indagini preliminari sotto certi aspetti si può trincerare dietro a un nomen iuris. Meno paletti e meno legacci ci sono per il giudice più la discrezionalità potrebbe apparire giusta.
Per quanto riguarda l'articolo 274, lettere b) e c), le proposte C. 5399 Ferranti e C. 4616 Bernardini concordano nell'operare un riferimento all'attualità. In ordine alla lettera b) convengo pienamente su questa precisazione, anche se, come mi pare abbia detto il professor Ferrua, il concreto pericolo di fuga reca in sé l'attualità del pericolo. È vero che la Cassazione, come opportunamente ricordato nella relazione illustrativa, ha escluso il criterio dell'attualità, ma il darsi alla fuga secondo me metabolizza anche un'attualità che non dovrebbe essere in discussione.
Più delicato è il profilo relativo alla lettera c). Statisticamente, come si legge nella relazione al progetto Bernardini, che tra l'altro si basa su uno studio del professor Luca Marafioti, quasi l'80 per cento delle ordinanze cautelari fa riferimento a quella esigenza cautelare. Da questo punto di vista, l'attualità del pericolo di recidiva, per quanto di difficile dimostrazione, potrebbe concretizzare un onere motivazionale maggiore.
Per quanto riguarda il comma 1-bis dell'articolo 274, la proposta di legge Ferranti stabilisce che la situazione di pericolo non può essere desunta esclusivamente dalla gravità nei casi di cui alla lettera b) ed esclusivamente dalla modalità del fatto nei casi di cui alla lettera c). Indubbiamente questo è condivisibile perché accoglie approdi giurisprudenziali, ma forse concretizzerà un eccessivo onere motivazionale per il giudice.
Con riferimento all'articolo 275, comma 2-bis, la proposta Ferranti dice che non può essere applicata la misura cautelare o quella degli arresti domiciliari. Anche questa è una specificazione condivisibile. Tuttavia, posto che gli arresti domiciliari, dal punto di vista della fungibilità, sono equiparati alla carcerazione preventiva, ciò avrebbe dovuto portare alle medesime conseguenze.


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Direi che all'articolo 275, comma 2-bis, più che fare riferimento alla sospensione condizionale della pena, si potrebbe operare l'inserimento della frase «irrogata una pena inferiore a tre anni». Ciò consentirebbe un raccordo sistematico con quanto oggi l'articolo 656, comma 5 del codice di procedura penale prevede per la sospensione dell'ordine di carcerazione. Posto che i tre anni rappresentano l'asticella al di sotto della quale non è consentita l'emissione di un ordine di carcerazione, questo a maggior ragione dovrebbe valere per la custodia cautelare.
Si occupano dell'articolo 275, comma 3 le proposte Ferranti, Papa e Cota. Mi soffermerei sulla proposta Ferranti, che anche cronologicamente è la più vicina alle sentenze della Corte costituzionale. Trovo importante, come guida per il giudice, il richiamo alle misure interdittive, anche in ipotesi di cumulo. Rincorrere la Corte costituzionale e mantenere il riferimento agli articoli 270, 270-bis e 416-bis crea, però, quel cortocircuito di cui parlava prima il professor Mazza perché il giudice non sarebbe comunque libero di valutare, lungo una scala di afflittività graduata delle misure, quale sia la misura che soddisfa le esigenze cautelari del caso concreto.
Il ritorno all'originaria formulazione dell'articolo 275, comma 3 sarebbe più opportuno. In alternativa, dopo «salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari», si potrebbe aggiungere «o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con altre misure», lasciando comunque al giudice un'apertura per esercitare la propria discrezionalità sulla scorta del dispositivo della Corte.
La proposta Papa fa ancora riferimento all'articolo 575 del codice penale che la Corte costituzionale ha superato, mentre la proposta Cota si distingue per una sorta di recidiva, tale per cui la custodia cautelare si applicherebbe - se ho ben compreso - qualora nei precedenti cinque anni si stata scontata una pena detentiva per un delitto della stessa specie.
La proposta Bernardini interviene sull'articolo 275, comma 3-bis. Oltre che condividere le critiche mosse dal professor Ferrua, penso che da un punto di vista sistematico starebbe meglio sub articolo 274, lettera c) come in origine. Per quanto riguarda, invece, la modifica all'articolo 284, comma 2, credo che il tentativo sia quello di sponsorizzare al massimo gli arresti domiciliari. Il divieto di comunicare con persone diverse da quelle che coabitano darebbe agli arresti domiciliari una presunzione di affidabilità che oggi non hanno.
Sotto certi aspetti non si è lavorato molto negli ultimi anni sugli arresti domiciliari. Anche la cosiddetta legge «porte girevoli» o quella sulle detenute madri, per logiche compositive tipiche dell'esperienza parlamentare, hanno privilegiato le esigenze securitarie in case protette o altro rispetto all'arresto domiciliare vero e proprio.
Le proposte sulla durata massima della custodia sono indubbiamente encomiabili, ma impraticabili sia per la durata attuale delle indagini sia per la logica a fasi. Quanto alle proposte di norme extra codicem, è sicuramente condivisibile quella dell'articolo 73, comma 5 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 che mitiga le pene per la lieve quantità. Per un verso io proporrei anche una corrispondente riduzione al comma 1. Il 42 per cento dei detenuti esecutivi e cautelari è in carcere per fatti concernenti il citato decreto e sicuramente possiamo aggiungere un 10 per cento per reati commessi contro il patrimonio per favorire la dipendenza. Metà della popolazione carceraria è, quindi, dentro per droga.
Sulla separazione dei detenuti proposta all'articolo 6 del disegno di legge Papa, penso che sia inutile un regolamento perché abbiamo già regole penitenziarie europee, una legge penitenziaria e un regolamento di esecuzione che purtroppo non sono applicati. È molto importante, invece, la proposta Bernardini sull'articolo 54 relativamente alla liberazione anticipata. Come tutte le misure alternative alla detenzione, andrebbe vista in termini di


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applicazione ex officio per supplire alle ipotesi di minorata difesa, che con un 30 per cento di stranieri aumentano sempre più, e per evitare, per quanto possibile, che le persone scontino più pena del dovuto.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Fiorio e do la parola al professor Enrico Marzaduri per l'ultimo intervento.

ENRICO MARZADURI, Professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Pisa. Ringrazio per questa occasione e, in modo particolare, per il fatto che queste proposte di legge riportano all'attenzione del Parlamento un tema, quello della custodia cautelare, che troppo spesso è stato considerato in maniera episodica e residuale. L'ultimo intervento organico risale, infatti, al 1995 e i suoi effetti positivi non si sono visti.
Sul piano dell'attenzione culturale che il Parlamento deve rivolgere a certi temi, questi disegni di legge hanno un significato profondo, indipendentemente da alcuni profili contenutistici che purtroppo ritengo non meritino la nostra adesione, nemmeno sul piano dell'elaborazione formale.
Tema centrale di tutte le proposte è il rapporto con le presunzioni cautelari. Io non posso che essere d'accordo con quanto ha detto il professor Oliviero Mazza. Un esame corretto del rapporto tra custodia cautelare e Costituzione non può che condurre a escludere spazi di legittimità per una presunzione iuris et de iure. Si parte dall'articolo 13, comma 1 della Costituzione. Parliamo di un bene caratterizzato sul piano della inviolabilità. Inviolabilità vuol dire non impossibilità di comprimere il bene, ma vuol dire che in un rapporto di bilanciamento con altri interessi quel bene tende a prevalere e, soprattutto, significa che chi ha lo strumento per comprimerlo deve essere messo in condizione di valutare in concreto la prevalenza di altri interessi. È evidente però che la tecnica presuntiva collide con questa logica e rende vano il significato dell'inviolabilità della libertà personale.
Questa inviolabilità, riprendendo ancora quanto diceva prima il professor Mazza - e fortunatamente qualche altro nostro collega si è espresso negli stessi termini -, si traduce sul piano della motivazione. Una motivazione che possa essere considerata tale non può non prendere in considerazione tutti gli elementi rilevanti all'interno di una fattispecie cautelare. In una situazione quale quella descritta dall'articolo 275, comma 3, si neutralizza un aspetto delle esigenze cautelari che dovrebbero differenziare queste misure rispetto ad altri momenti di privazione della libertà personale, in primis quella afflittiva derivante dall'applicazione della sanzione penale. Mi rendo conto che forse queste nostre uscite potrebbero essere tacciate di eccesso teorico, ma l'attenzione alla Costituzione non è un eccesso teorico e ci impone quantomeno di affrontare questa problematica nei termini che molto sinteticamente mi sono permesso di sottoporre alla vostra attenzione.
Del resto, le stesse sentenze della Corte costituzionale che, con riguardo ai delitti di cui all'articolo 416-bis, hanno salvato la legittimità della presunzione iuris et de iure, individuano come puntello logico di tale presunzione una situazione in forza della quale nella stragrande maggioranza dei casi queste esigenze si profilano. La presunzione sarebbe cioè giustificata perché l'interprete non è in grado di ipotizzare una situazione che contrasti con questa lettura della vicenda cautelare.
Se è così, nel 99,99 per cento dei casi queste esigenze emergeranno con chiarezza e quella presunzione assoluta non favorirà un maggior ricorso alla custodia in carcere, ma semplicemente esonererà il giudice, creando vizi di legittimità costituzionale, dagli onori motivazionali, con una perdita sul piano della civiltà giuridica anziché un vantaggio sul piano di quella funzione sociale - un altro tema sul quale mi soffermerò sia pure molto rapidamente - che è stata attribuita alla custodia cautelare.
L'amico e collega Giulio Illuminati, nel parlare della prevenzione speciale, ha avuto occasione di dire che eravamo tutti


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contrari finché la Corte costituzionale con la sentenza n. 1/1980 non ha cambiato tutto. Prima autori come il compianto Vittorio Grevi riconoscevano che quella finalizzazione della custodia cautelare era una contaminazione tra una misura di sicurezza e una misura processuale. Se vogliamo giustificare la custodia cautelare per esigenze di prevenzione speciale, dobbiamo cercare, come fanno i vari progetti di legge e in particolare quello dell'onorevole Ferranti, di circoscrivere il più possibile questo spazio, in modo da avvicinarlo, da un punto di vista prasseologico, a una vera e propria misura di sicurezza in vista della possibile commissione di un reato grave.
Per arrivare a questo, non chiedo la presenza di gravi indizi di colpevolezza rispetto a un altro reato, il che giustificherebbe l'apertura di un altro procedimento penale, ma chiedo qualcosa di più di quelle pigre motivazioni che nella stragrande maggioranza delle ipotesi di custodia cautelare accompagnano, quasi come clausole di stile, il ricorso alla misura restrittiva.
Altro tema è quello del rapporto tra durata dei processi e durata della custodia. Si ipotizza una sovrapposizione tra la pena e la custodia cautelare perché una custodia cautelare - e voglio essere trasgressivo nel dire questo - estremamente breve, anche se giustificata soltanto sul piano della gravità indiziaria, come ammette la Corte di Strasburgo, non crea nei fatti una situazione di fungibilità con la pena. In linea di principio un teorico potrebbe dire che anche in quel caso, in presenza di gravi indizi, sarebbe un'anticipata valutazione di colpevolezza a giustificare la limitazione della libertà personale.
C'è fungibilità quando la custodia cautelare può protrarsi nel tempo e raggiungere livelli assimilabili a quelli della pena. Come sapete, il nostro ordinamento arriva a legittimare una pena che può raggiungere i due terzi del massimo della pena grazie all'interpretazione del principio di proporzionalità fornita anche dalle Sezioni unite. Questa diventa un flatus vocis e nulla aggiunge a ciò che già si ricava dalla normativa, che sul piano garantistico poco dice. È vero che il problema non si risolve ipotizzando un termine massimo di sei mesi o dimezzando i termini, come nella proposta Bernardini. Certo è che non si può lasciare ferma una disciplina che consenta nei fatti questa fungibilità sul piano della durata tra custodia cautelare e sanzione penale.
Per quanto riguarda i singoli disegni di legge, come diceva il Presidente Lupo, la proposta C. 1846 si discosta dalle altre perché segna un rafforzamento dei momenti securitari. Spero che non sia un errore di coloro che hanno esteso la proposta di legge, ma che invece sia frutto di questa consapevolezza. Una lettura attenta del nuovo articolo 275, comma 3 ci consente di dire che questa disposizione è clamorosamente garantista. Recita, infatti, che la custodia cautelare in carcere è sempre disposta in presenza delle esigenze cautelari di cui all'articolo 274. È l'unica lettura logica che si possa dare a una previsione che richieda in positivo tale compresenza.
In presenza significa che deve sussistere un'esigenza cautelare di cui però non occorre apprezzare il grado o l'entità. Si esclude, invece, il ricorso alla misura carceraria solo avendo escluso del tutto le esigenze cautelari. In pratica questa disposizione consente una neutralizzazione dell'entità delle esigenze cautelari, ma chiede la presenza delle esigenze cautelari benché, come ripeto, nella relazione sembri dirsi l'opposto.
Non ritengo, per altro, che ci si debba muovere nella direzione che la motivazione della proposta di legge individua. Troppo spesso il nostro legislatore, nei confronti della disciplina della custodia cautelare, più che aver seguito i desideri dell'opinione pubblica, l'ha guidata in modo che nutrisse certi desideri. Non credo che sia un percorso virtuoso.
Altro invece è il ragionamento da fare rispetto a quei tentativi di delimitazione degli spazi applicativi della presunzione di pericolosità, a cui ho fatto rapidamente cenno. Ho già detto come la penso ma,


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cercando di avvicinarmi alle soluzioni legislative più praticabili, non posso che concordare con chi, come i proponenti della proposta di legge C. 5399, si è preoccupato di inserire i riferimenti all'attualità. Con riguardo al pericolo di fuga ai sensi della lettera b), pur non parlando espressamente di attualità, si dice che non può essere desunta la gravità del reato imputato. Ci si rende conto, quindi, che l'esigenza di cautela finale può essere collegata non soltanto a una fuga in atto, ma anche a gravi indizi di fuga. Il riferimento vale altrettanto per la lettera c), laddove la giurisprudenza valorizza in modo innaturale precedenti lontani nel tempo e privi di significatività per la prognosi di pericolosità.
Concludo con un accenno all'articolo 299 come riformato nella proposta di legge dell'onorevole Ferranti. Nella relazione della proposta si allude a un controllo ex officio, ma non mi pare che nell'articolo 7 questo riferimento compaia, tant'è vero che tale articolo interviene solo sull'articolo 299 e non su un 299-bis, di cui si ipotizza l'introduzione nella relazione introduttiva stessa. In linea di massima sono d'accordo con tutte le modifiche. Nella dizione originale del 299 si allude alla possibilità di una revisione del giudizio sull'applicazione della misura cautelare non solo per fatti sopravvenuti, ma anche sulla base di una semplice rilettura dei dati in base ai quali è stata emessa la misura.
Nell'articolo non si sostituisce il riferimento al fatto ipotizzando necessariamente un fatto sopravvenuto, ma si parla di ragioni sopravvenute, cioè di nuove argomentazioni. Mi pare una forma equilibrata che valorizza non un giudicato interno vero e proprio, ma una valutazione estesa a determinate argomentazioni giuridiche, rendendo necessaria come punto di riferimento una nova. Il riferimento ai fatti sopravvenuti giustifica invece il rapporto dialogico imposto nell'articolo 299, comma 3-ter quando l'imputato chiede di essere interrogato.
Sono altrettanto favorevole alla modifica ipotizzata dell'articolo 808 sulla durata delle misure interdittive. Come sappiamo, la scarsa attenzione nei confronti di queste misure nella prassi è spesso provocata da quel riferimento ai due mesi e alla sostanziale inutilità delle misure stesse, il che rende quindi necessario sostituire il possibile apporto della misura interdittiva con il ricorso a una misura restrittiva della libertà personale.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Marzaduri per il suo intervento e tutti gli auditi per le relazioni che ci hanno consegnato.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,55.

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