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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione II
4.
Martedì 20 novembre 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Follegot Fulvio, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE C. 5019 GOVERNO, RECANTE LA DELEGA AL GOVERNO IN MATERIA DI DEPENALIZZAZIONE, PENE DETENTIVE NON CARCERARIE, SOSPENSIONE DEL PROCEDIMENTO PER MESSA ALLA PROVA E NEI CONFRONTI DEGLI IRREPERIBILI, E DEGLI ABBINATI PROGETTI DI LEGGE C. 879 PECORELLA, C. 4824 FERRANTI, C. 92 STUCCHI, C. 2641 BERNARDINI, C. 3291-TER GOVERNO E C. 2798 BERNARDINI

Audizione del professore di diritto penale presso l'Università degli studi del Salento, Vittorio Manes, del professore di diritto penale presso l'Università degli studi di Torino, Carlo Federico Grosso, e del professore di diritto penale presso l'Università degli studi di Macerata, Carlo Piergallini:

Follegot Fulvio, Presidente ... 3 6 9 11 14
Bernardini Rita (PD) ... 9 10
Cavallaro Mario (PD) ... 11
Ferranti Donatella (PD) ... 10
Manes Vittorio, Professore di diritto penale presso l'Università degli studi del Salento ... 6 10 11
Piergallini Carlo, Professore di diritto penale presso l'Università degli studi di Macerata ... 3 13
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Autonomia Sud - Lega Sud Ausonia - Popoli Sovrani d'Europa: Misto-ASud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONE II
GIUSTIZIA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 20 novembre 2012


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FULVIO FOLLEGOT

La seduta comincia alle 14,20.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del professore di diritto penale presso l'Università degli studi del Salento, Vittorio Manes, del professore di diritto penale presso l'Università degli studi di Torino, Carlo Federico Grosso, e del professore di diritto penale presso l'Università degli studi di Macerata, Carlo Piergallini.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva avviata nell'ambito dell'esame del disegno di legge C. 5019 Governo, recante la delega al Governo in materia di depenalizzazione, pene detentive non carcerarie, sospensione del procedimento per messa alla prova e nei confronti degli irreperibili, e degli abbinati progetti di legge C. 879 Pecorella, C. 4824 Ferranti, C. 92 Stucchi, C. 2641 Bernardini, C. 3291-ter Governo e C. 2798 Bernardini, l'audizione del professore di diritto penale presso l'Università degli studi del Salento, Vittorio Manes, del professore di diritto penale presso l'Università degli studi di Torino, Carlo Federico Grosso, e del professore di diritto penale presso l'Università degli studi di Macerata, Carlo Piergallini.
Ricordo che l'Assemblea ha deliberato lo stralcio dell'articolo 2 del disegno di legge C. 5019, in materia di depenalizzazione. Oggi pertanto si procederà ad audizioni che avranno per oggetto la materia della depenalizzazione e quindi in particolare i progetti di legge C. 92 Stucchi, C.2641 Bernardini e C. 5019-ter Governo.
Do la parola al professor Piergallini.

CARLO PIERGALLINI, Professore di diritto penale presso l'Università degli studi di Macerata. Ringrazio il presidente per l'invito.
Ho esaminato con attenzione il disegno di legge di iniziativa governativa e gli abbinati nel contesto dell'iter di depenalizzazione in oggetto. Anticipo subito che, nella storia del nostro Paese, la depenalizzazione rappresenta un work in progress: tra i precedenti più significativi, si ricordano le depenalizzazioni del 1967, del 1975 e del 1981 (più importante per la codifica dei princìpi sull'illecito amministrativo che non per l'impatto deflattivo che ha avuto sul sistema penale) oltre a due leggi particolarmente importanti, quella del 1994 nella materia del lavoro e l'ultima, la legge n. 507 del 1999, che in seguito spiegherò perché si stacca in modo particolare dalle altre.
Devo dire che il bilancio di tali interventi non è stato esaltante. La maggior parte di essi non ha inciso significativamente sulle dimensioni del sistema penale, a volte perché si è trattato di provvedimenti improntati a scelte casuali - a macchia di leopardo - altre perché essi si sono risolti in interventi «cosmetici», con i quali si sono riesumate leggi cadute


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nell'oblio soltanto per certificarne il decesso, benché esse già avessero, nelle aule di giustizia, un impatto pressoché virtuale.
Se dovessimo esaminare il fenomeno di ciò che entra nel sistema penale (l'«input») e ciò che ne esce (l'«output»), l'asimmetria è ancora rilevante: ciò che entra è molto maggiore di ciò che esce. Ciò, tuttavia, non deve suonare come una nota di demerito: è difficile svolgere un'attività di selezione, per l'ovvia ragione che vi si scontrano anche idee diverse e i valori in gioco sono particolari e più o meno sentiti. L'attività di ritaglio non è mai semplice.
Per quel che concerne il disegno di legge del Governo, esso replica le fattezze di quelli precedenti perché continua a ispirarsi al criterio formale sostanzialmente ispirato al nomen juris, cioè alla tipologia di sanzione: laddove si ha una pena pecuniaria, si sancisce la depenalizzazione di tutti i reati che prevedono la stessa. Si tratta di un criterio che, tecnicamente, ha il pregio di essere agevole e semplice ma ha anche il demerito di essere «cieco» rispetto ai beni giuridici che vengono toccati. In più, temo che si tratti di un criterio di scarso impatto: perché è già stato utilizzato in precedenza, potrà incidere solo su quanto c'è di residuo, da questo punto di vista. Oltretutto, considerato il modo in cui è congegnato, bisognerà anche valutarne l'impatto su qualche fattispecie codicistica.
Vi è, poi, un criterio di selezione materiale in cui vengono richiamati dieci settori della legislazione accessoria e cinque contravvenzioni codicistiche. Ovviamente, non entro nel merito delle singole scelte, ma si tratta di leggi che, francamente, non ricordavo più, con riferimento a quell'operazione cosmetica con la quale si tirano fuori leggi cadute nell'oblio semplicemente per certificarne la definitiva dequotazione o degradazione a illeciti amministrativi. Tali leggi vengono richiamate e sottoposte al paradigma consueto della cosiddetta «fiscalizzazione», cioè vengono degradate a illeciti amministrativi, per i quali si prevede la sanzione pecuniaria.
Voglio segnalare un punto, forse dovuto a una sfasatura tra il momento in cui i disegni di legge sono stati presentati e lo stato attuale. Se non erro, si richiama l'articolo 16, comma 9, della legge n. 108 del 1996 in materia di usura; da un'attenta ricerca che ho svolto - ma potrei aver sbagliato, nel qual caso mi scuso - la legge n. 3 del 2012, che riguarda la composizione delle crisi da indebitamento, ha elevato la contravvenzione (perché tale era) a delitto, punito con la pena da due a quattro anni di reclusione (tra l'altro, poiché mi pare si tratti di una condotta non priva di disvalore, andrebbe estromessa; a ogni modo, mi limito semplicemente a fare un rilievo).
Analogamente, potrebbe esservi una sfasatura sistematica là dove, nella legge sulle pari opportunità, si prevede di depenalizzare tutte le condotte che violano l'ordine del giudice di eliminare le condotte discriminatorie (tra l'altro, strutturato anche con la forma francese dell'astreinte, con una sanzione pecuniaria per ogni giorno di ritardo nell'adozione del provvedimento). Non entro nel merito della scelta ma, poiché il nostro ordinamento prevede altre ipotesi simili, si potrebbero anche verificare effetti di asistematicità; ciò è frutto proprio di questo tipo di interventi, che vengono applicati con la logica che chiamo «casuale» (senza volerla disprezzare, e me ne guardo bene).
Per quanto riguarda gli abbinati, cioè la proposta normativa che si occupa della depenalizzazione del consumo personale legato alla coltivazione di stupefacenti, dico subito che si tratta di una scelta politica sulla quale non posso interferire. Ricordo solo che alcune pronunce recenti della Corte di cassazione (ne ho una della IV sezione del 2011) sembrano aprire uno spiraglio - anche rispetto alle sezioni unite del 2008 - incentrato sul principio di offensività: laddove la coltivazione abbia a oggetto piantine munite di uno scarso principio attivo, viene evocato il suddetto principio di offensività per mandare esente da pena l'autore del reato. In ogni


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caso, la scelta è intrinsecamente politica e non spetta a me, in questa sede, dare un apprezzamento.
Altrettanto vale anche rispetto all'altro disegno di legge abbinato in materia di disciplina della caccia, che prevede una depenalizzazione molto ampia; anche in questo caso, si tratta di una scelta politica nel cui merito non ritengo opportuno entrare.
Traggo rapidamente un bilancio. Ho l'impressione che la depenalizzazione come tecnica legislativa in generale abbia il fiato corto, perché l'esperienza ci insegna che non è mai stata in grado di dare un grande impatto sul sistema. A tale riguardo, citerò l'esempio di due parziali deviazioni - proprio per tecnica - ovvero i provvedimenti adottati nella materia del lavoro nel 1994 e la depenalizzazione del 1999.
La depenalizzazione del 1999 fu eseguita per campi di materie, e i due settori investiti per eccellenza furono la disciplina degli assegni - che ha avuto un impatto significativo sul sistema penale - e quella alimentare. Questo modo di procedere ha il vantaggio, tra l'altro, di presupporre un'attenta analisi e conoscenza della legislazione accessoria: poiché questa è spesso smisurata, prima di pensare di ritagliarla occorrerebbe conoscerla e censirla.
Forse tali interventi possono avere uno scopo più ridotto ma sono anche in grado di andare più a fondo; pertanto, occorrerebbe privilegiare i settori che possono davvero avere un impatto sul sistema della giustizia penale, ossia quelli che non si risolvono in quell'operazione che prima ho definito «cosmetica».
Certo, la deflazione penalistica non si può esaurire con la depenalizzazione. Credo, infatti, che occorra una sinergia con altri strumenti di selezione e di sfoltimento endoprocessuale, dove per «strumento di selezione» mi riferisco, ad esempio, alla irrilevanza e alla particolare tenuità del fatto, di cui so che il Parlamento si sta occupando. Ho letto il testo e, tecnicamente, preferisco la versione contenuta nella legge sul giudice di pace; in quel contesto, infatti, mi pare inequivoco che la particolare tenuità debba riguardare la condotta, l'evento e la colpevolezza, oltre che l'occasionalità dell'autore, che deve essere un autore bagatellare.
Aggiungo, inoltre - per evitare certe applicazioni spesso disinvolte da parte della magistratura - che riterrei opportuno circoscrivere ciò ai reati che non sono puniti con una pena superiore nel massimo a quattro anni: non credo che i reati che stanno sopra non possano rivelarsi bagatellari, ma temo il rischio di qualche applicazione disinvolta della magistratura che possa provocare anche l'effetto contrario, ossia quello di cancellare tutto (perché magari l'opinione pubblica si allarma.
Si tratta di uno strumento che non bisogna ingigantire. Ho qualche dato, peraltro non aggiornato, sull'impatto che esso ha avuto, ad esempio, in Germania (dove, tra l'altro, l'istituto ha una conformazione completamente diversa): l'impatto non è trascendentale - com'è giusto che sia, a mio avviso - perché le sottofattispecie bagatellari devono necessariamente assumere una dimensione ridotta.
Oltretutto, con riferimento alla scelta che sta compiendo il Parlamento, l'istituto andrebbe anche nominato, cioè qualificato, come causa di non punibilità. Se non erro, nel progetto in discussione non ha nome, mentre, nella legge sui giudici di pace, è una causa di improcedibilità. L'istituto in oggetto può essere tale oppure una causa di non punibilità.
Quanto agli strumenti di sfoltimento endoprocessuale, credo che potrebbe adoperarsi un po' di coraggio per rivedere l'istituto dell'oblazione - l'articolo 162-bis - e prevederne l'estensione anche ai delitti, magari subordinandolo all'eliminazione delle conseguenze del reato, come è oggi. In ogni caso, credo si tratti di un topos in cui è possibile intervenire e fare qualcosa di più.
Analogamente, mi sforzerei di rivalutare l'idea della giustizia riparativa. Mi riferisco, in particolare, a una norma già presente nel sistema del giudice di pace - l'articolo 35 - ossia l'estinzione del reato in seguito a condotte riparatorie. Con


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molta prudenza e attenzione, credo che essa possa essere portata al di là del sistema del giudice di pace, ad esempio per comporre i conflitti sociali con uno spessore patrimoniale laddove non vi sia l'estremo della violenza che caratterizza le condotte. Potrebbe trattarsi di uno strumento davvero utile, che ha un doppio beneficio: ha un effetto deflattivo e riporta la vittima, troppo spesso dimenticata, al centro dell'attenzione.
Infine, non mi dispiacerebbe valutare l'impatto che potrebbe avere l'estensione del meccanismo estintivo concernente la materia del lavoro, ovvero l'adempimento delle prescrizioni per capire se è possibile estrapolarlo in settori con una cornice per certi versi «tabuistica». Ciò compare anche nel disegno di legge del Governo con riferimento alle materie estromesse dalla depenalizzazione, e devo dire che ho trovate (e continuo a trovare) alcune esclusioni tabuistiche.
Per esempio, nella materia dell'edilizia o dell'ambiente, l'adempimento delle prescrizioni potrebbe trovare uno spazio di operatività, cioè ripristinare il bene giuridico leso in tempi certi e vicini alla commissione del fatto. Tale possibilità andrebbe saggiata. Oltretutto, nella materia dell'edilizia è previsto un reato, di cui all'articolo 44, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, ex articolo 17, lettera a), ed ex articolo 20, lettera a), della legge n. 47/1985, che punisce le condotte di costruzione in parziale difformità. In quel caso (metto sul campo la mia vecchia esperienza di magistrato), si emanava un decreto penale che veniva opposto con la conseguenza che poi, regolarmente, il processo finiva in prescrizione.
Domando se non sarebbe più utile una sanzione amministrativa che abbia carattere di prontezza e di effettività. Come ho già precisato, non mi riferisco alle condotte di costruzione in totale difformità, per questo parlo di tabù; so bene che si tratta di materie che politicamente hanno un loro spessore, tuttavia, ciò non esclude che, al loro interno, con un atteggiamento laico, potremmo trovare degli aspetti meritevoli di degradazione.
Vorrei concludere osservando che la depenalizzazione contiene ancora alcune suggestioni ideologiche: tra queste, la prima può riportarci all'idea del diritto penale minimo, che continuo a ritenere un'idea metastorica. Il diritto penale minimo non è mai esistito né credo che mai esisterà, soprattutto oggi dove l'input penalistico, anche di derivazione comunitaria, è molto forte. Occorre adottare un atteggiamento più realistico e ricorrere a interventi sinergici, piuttosto che coltivare l'idea di andare incontro e di perseguire isole che non ci sono.
Vi ringrazio per l'attenzione.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Piergallini, cedo ora la parola al professor Antonio Manes, professore di diritto penale presso l'Università degli studi di Torino.
Il professor Carlo Federico Grosso, invece, professore di diritto penale presso l'Università degli studi di Torino, ha avuto un contrattempo, pertanto la sua audizione sarà rinviata.

VITTORIO MANES, Professore di diritto penale presso l'Università degli studi del Salento. Presidente, desidero ringraziarla per l'invito.
Molte questioni sono già state affrontate dal professor Piergallini, con il quale condivido, pur essendo di generazioni diverse, una stessa appartenenza culturale. Infatti, siamo cresciuti in un'epoca in cui il diritto penale manifestava, in tutte le direzioni, una forte ipertrofia - l'epoca o età della «panpenalizzazione» che si è acutizzata negli anni Settanta e Ottanta ma che perdura tuttora - e abbiamo sempre avuto di fronte agli occhi, forse tra utopia e, poi, progressivo disincanto, l'idea e il progetto di una forte deflazione o riduzione dell'ambito di rilievo penale.
La depenalizzazione è stata il topos su cui tutti gli studiosi, negli ultimi trent'anni, si sono impegnati a più riprese, e quella che è oggetto dell'odierna discussione rappresenta


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solo un ulteriore esempio a livello progettuale. Le proposte normative di cui stiamo parlando, seppur con differenze piuttosto peculiari, riflettono il paradigma della depenalizzazione, che può trovare diverse forme; una di queste è quella accolta nel progetto governativo, cioè il paradigma non della depenalizzazione tout court - ovvero di una dequotazione dell'illecito penale fino a riportarla a un ambito di non rilievo tout court - bensì della decriminalizzazione. Questa è l'idea forte che sorregge il disegno di legge governativo, cioè la dequotazione dell'illecito penale a illecito amministrativo.
A questa idea corrisponde un'istanza ben precisa, quella per cui un disegno di depenalizzazione può avere un progresso effettivo solo se esso affida il progetto di protezione dei beni giuridici in gioco a strumenti di tutela diversi dall'illecito penale. In tal caso, la scelta ricade sull'illecito amministrativo e, così facendo, si vuole da un lato deflazionare il carico penale e il lavoro delle giurisdizioni penali (è un'idea deflattiva forte, quella che ispira il disegno di legge governativo) e, dall'altro, riparare alle ineffettività della pena pecuniaria.
Non va dimenticato che, nel nostro Paese, la pena pecuniaria, cioè la sanzione penale di carattere pecuniario (multa o ammenda che sia), che assume un ruolo di grande protagonismo in altre esperienze ordinamentali, anche a noi vicine - penso alla Spagna e alla Germania - ha un ruolo ormai del tutto ancillare (se non periferico) oltre a una conclamata ineffettività sia a livello di applicazione, visto che i giudici la utilizzano poco, sia a livello di esecuzione, perché, stando al bilancio di ingresso e di perdita dello Stato italiano dell'ultimo anno nella riscossione delle pene pecuniarie comminate, vi sono 600 milioni di pene pecuniarie inevase.
Si registra una profonda ineffettività dello strumento, che il disegno di legge governativo (mi riferisco anzitutto a questo) vuole sostanzialmente consegnare all'armadio dei ricordi. Infatti, il primo criterio attorno al quale è polarizzato il disegno di legge governativo consiste nel trasformare in illeciti amministrativi sanzionati con sanzione amministrativa pecuniaria tutti i reati, delitti o contravvenzioni attualmente sanzionati con una pena pecuniaria.
In tal modo, si prevede la scomparsa della pena pecuniaria e la sua trasformazione in illecito amministrativo pecuniario, che vorrebbe dire maggior garanzia di effettività; infatti, la sanzione amministrativa pecuniaria non è, per esempio, suscettibile di sospensione condizionale, può colpire ed essere pagata anche dalla persona giuridica, e, soprattutto, ha termini di prescrizione diversi dalla pena pecuniaria.
Le valutazioni appena svolte sono ancora di carattere positivo perché, effettivamente, il disegno di legge governativo riflette un'istanza di extrema ratio e di sussidiarietà della sanzione, cioè di intervento penalistico puntiforme, più ragionevole, più razionale e più coerente. A mio modo di vedere, però, vorrei segnalare anche alcuni aspetti di carattere critico nell'impostazione generale del disegno di legge, sia sul piano del metodo sia del merito.
Sul piano del metodo, i due criteri attorno ai quali è costruito il disegno di legge - come ha già detto egregiamente il collega Carlo Piergallini - sono un criterio generale, che guarda al nomen juris, cioè alla sanzione, disponendo che «tutti i reati attualmente accompagnati da multe e ammende sono trasformati in illeciti amministrativi» e un secondo criterio, quello della lettera b) del disegno di legge, che seleziona singolarmente le contravvenzioni che verranno dequotate a illeciti amministrativi.
Il primo criterio, a mio modo di vedere, suscita diverse perplessità. Si tratta di un criterio che ho già definito «cieco» perché, essendo generale e automatico, non opera la giusta e corretta differenziazione per singole fattispecie o, perlomeno, per gruppi omogenei di fattispecie. Le valutazioni di meritevolezza e bisogno di pena, così come le valutazioni in termini di inefficienze processuali che un certo reato innesca o fomenta, devono essere condotte singolarmente, non per settori generali;


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questo vale tanto per le scelte di carattere inclusivo quanto per le scelte di carattere di esclusione, perché, alla lettera a), si dice che «vengono trasformati tutti i reati attualmente accompagnati da pena pecuniaria in illecito amministrativo salvo una serie di settori».
Inoltre, si segnala anche una difficoltà di ordine costituzionale, perché le esclusioni fanno riferimento a concetti di categoria estremamente generici: penso, per esempio, al concetto di «sicurezza pubblica», che - come sostenuto già dai penalisti del secolo scorso - è una sorta di stanza-ripostiglio in cui potrebbe entrare qualunque cosa, ma penso anche al concetto di «ambiente e territorio», in cui, probabilmente, rientra anche la disciplina penale in materia venatoria. Infatti, se questa si sovrappone in parte alla seconda proposta di legge, non è chiaro se vi rientrino anche gli illeciti penali in materia di beni culturali.
Vi è una grande genericità nel criterio utilizzato, che è quello dell'oggetto giuridico generico, per usare il lessico del padre del nostro codice penale, Arturo Rocco. Peraltro, tale genericità si riflette in un difetto della legge delega nel prisma della riserva di legge, secondo l'articolo 25, comma 2, della Costituzione, perché in sostanza rimette al legislatore delegato una selezione delle singole materie da ricomprendere o meno nel disegno di depenalizzazione, violando così la prerogativa parlamentare che dovrebbe tradursi in criteri specifici, puntuali e chiari nella legge delega.
Quanto ho appena illustrato concerne il profilo del metodo; in aggiunta, vi sono anche alcune riserve sotto il profilo del merito, perché restano fuori alcuni ambiti - come quello dell'immigrazione - che forse meriterebbero un ripensamento in più e più forte. Per esempio, con riferimento alla sanzione penale pecuniaria nel campo dell'immigrazione, è vero che nel testo unico sono pochi gli illeciti penali sanzionati solo con pena pecuniaria, ma è altrettanto vero che, proprio in un ambito dove la pena pecuniaria sconta già in partenza un tasso di ineffettività totale, perché si rivolge a soggetti in chiare condizioni di indigenza, essa non potrà mai essere eseguita. Pertanto, forse non è lo strumento da utilizzare in quel contesto.
Anche nelle scelte di inclusione, il criterio utilizzato dal legislatore è quello di escludere gli ambiti concernenti i beni giuridici della vita dei cittadini; in realtà, si tratta di un criterio molto generico e sul quale si potrebbe discutere molto. Alla luce dello stesso, infatti, le scelte di depenalizzazione contenute alla lettera b), non sempre rispondono al primo criterio: per esempio (lo segnalo perché, a mio modo di vedere, si tratta di un punto delicato), si propone la depenalizzazione del reato di minaccia, articolo 612, attualmente sanzionato con la sola multa, che tuttavia - come insegna l'esperienza dello stalking - spesso è una fattispecie prodromica a escalation di violenza molto forte. Di conseguenza, la depenalizzazione, cioè la trasformazione in illecito amministrativo, significa sostanzialmente sottrarre la vicenda dall'attenzione di un pubblico ministero, e non so quanto questo convenga.
Allo stesso modo, sempre rispetto alla difformità con il criterio iniziale, si propone la depenalizzazione del reato di disturbo alla quiete pubblica quando, probabilmente, una maggior attenzione alla tutela della vita dei cittadini e della pubblica tranquillità potrebbe suggerire un'altra strada. Con questo non intendo suggerire di mantenere tout court la risposta penale ma, per esempio, subordinarla a una procedibilità privilegiata a una querela di parte; ciò vorrebbe dire restituire il reato - che può pur avere un significato - a una conflittualità interprivatistica rimettendola alla disponibilità dei privati attraverso lo strumento della querela.
Vorrei segnalare altri due rilievi in punto di princìpi e criteri direttivi nell'utilizzo e nell'impiego delle sanzioni amministrative. Giustamente, il disegno di legge governativo si preoccupa non solo di introdurre delle sanzioni amministrative pecuniarie al posto dell'illecito penale depenalizzato ma anche delle sanzioni amministrative accessorie; a mio avviso, si tratta


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di una scelta corretta, perché oggi è soprattutto alle inabilitazioni, incapacitazioni e interdizioni amministrative che può essere affidata una seria risposta in termini di deterrenza e di prevenzione speciale. Poiché, tuttavia, il disegno non le definisce, emerge un problema, dovuto, a mio modo di vedere, alle ragioni di cui ho parlato prima, ovvero a un possibile difetto della legge delega nella mancata specificazione di quali sanzioni interdittive introdurre.
Svolgo questa osservazione perché la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, che non guarda alle etichette ma ai contenuti, da anni ormai dispone che, sebbene la sanzione sia etichettata come amministrativa - quindi anche come sanzione interdittiva di carattere amministrativo - se essa ha un contenuto di afflittività, è riconducibile alla materia penale e deve essere accompagnata dalle stesse garanzie. Di conseguenza, il legislatore già delegante dovrebbe preoccuparsi di definirne contenuto, struttura, presupposti e limiti.
Anche relativamente alla necessità di introdurre un regime transitorio in un disegno di legge di depenalizzazione - una questione che lo stesso relatore al disegno di legge governativo, l'onorevole Ferranti, ha sottolineato nella sua relazione - non si dovrebbe dimenticare che si tratta di sanzioni sì amministrative e interdittive, ma spesso caratterizzate da un livello di afflittività che le equipara alle sanzioni penali. Pertanto, dovrebbe essere comunque garantita l'irretroattività delle sanzioni neointrodotte, perché a volte esse possono essere più gravi di una multa o di un'ammenda sostituita con la sanzione accessoria.
Infine, il punto più delicato e problematico del disegno di depenalizzazione riguarda la coltivazione domestica degli stupefacenti. Siamo di fronte a un disegno di depenalizzazione che ha una finalità, perlomeno dichiarata, di decarcerizzazione, ma che non tocca assolutamente, considerata l'impostazione che è stata seguita, tale profilo; poiché i reati di cui stiamo parlando non conoscono il carcere, da questo disegno non possono derivare effetti di decarcerizzazione. Possono esservi effetti di depenalizzazione ma non di decarcerizzazione, senza incidere sui livelli di criminalizzazione secondaria.
L'unico aspetto che può incidere davvero è quello di cui stiamo parlando adesso, vale a dire la coltivazione domestica di stupefacenti. Capisco l'esigenza di reagire rispetto a una giurisprudenza molto rigoristica, che addirittura la Cassazione in sezioni unite di due anni fa ha ritenuto sempre penalmente rilevante, anche in caso di numero esiguo di piantine. Ciò ha un'incidenza molto forte, perché il 70 per cento dei clienti del nostro pianeta carcere - dove stiamo assistendo a un'emergenza umanitaria che non ha pari nei contesti occidentali - viene proprio dal pianeta droga e dal pianeta immigrazione.
Probabilmente, occorrerebbe ripensare alle tecniche di intervento penalistico, anche se credo che l'attuale proposta di legge possa produrre incoerenze ancora maggiori perché, nel modo in cui è formulata, altera un modello e un disegno legislativo che, pur essendo già affetto da gravi contraddizioni, ha comunque una sua sistematica. Intervenire solo in modo puntiforme sulla coltivazione potrebbe produrre esiti di ulteriori incoerenza.

PRESIDENTE. Faccio presente ai nostri auditi che potranno integrare i loro interventi anche mediante documentazione scritta, che, se lo ritengono, potranno inviare anche successivamente.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

RITA BERNARDINI. Voglio entrare subito nel merito della proposta di legge, di cui sono prima firmataria, con riguardo alla depenalizzazione della coltivazione per uso personale delle sostanze stupefacenti. Le argomentazioni del professor Manes non mi hanno convinta molto, perché il professore sostiene che intervenire solamente su questo punto può incidere su un sistema che si è ormai consolidato nel tempo.


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VITTORIO MANES, Professore di diritto penale presso l'Università degli studi del Salento. Con la formulazione proposta...

RITA BERNARDINI. Si può sempre correggere. A proposito di incoerenza, è da sottolineare quanto tale sia l'attuale regime, che prevede la depenalizzazione per la detenzione per uso personale e la penalizzazione - quindi la pena - per chi detiene e coltiva una pianta per uso personale. Credo si tratti di una incoerenza macroscopica.
Quanto al fatto che non vi siano persone in carcere per coltivazione per uso personale, giro molto per le carceri e devo dire di averne incontrate parecchie.

VITTORIO MANES, Professore di diritto penale presso l'Università degli studi del Salento. Ho detto il contrario....

RITA BERNARDINI. Allora ho capito male. Le pagine dei giornali sono piene di notizie relative al fenomeno; visto che la finalità del disegno di legge del Governo era quella di deflazionare la mole dei procedimenti penali che si stanno accumulando, credo che questa potrebbe essere l'unica, tra le depenalizzazioni previste, ad avere un'incidenza significativa. Per il resto, lo stesso Governo ci ha detto che le depenalizzazioni previste avrebbero inciso in modo limitato sull'ingolfamento della giustizia penale.
Vorrei chiedere al professor Manes di segnalarci, anche soltanto con qualche accenno, quali difficoltà tecniche individua; siamo qui per apprendere.

DONATELLA FERRANTI. Vorrei ringraziare i professori per l'importante contributo che hanno offerto a questa istruttoria dei provvedimenti abbinati.
Non ho richieste precise da rivolgere se non quella di un ulteriore sviluppo del loro pensiero sotto il profilo di una traccia utile per il sistema processuale e penale di deflazione. Il disegno di legge che stiamo discutendo faceva parte di un più ampio disegno del Governo, poi stralciato perché, all'avviso dell'intera Commissione, richiedeva maggiore approfondimento proprio per gli impatti - di non particolare importanza anche dal punto di vista numerico - delle entità dei processi o, comunque, del carico penale (che si sarebbe alleggerito anche se avessimo approvato una delega di questo genere, nonostante avesse, ed ha tuttora, gli stessi momenti di indeterminatezza che sono stati sottolineati qui).
Le legislature finiscono ma i problemi rimangono e vanno affrontati; poiché, purtroppo, non li si è potuti affrontare in maniera sistematica, vorrei che fosse data ai i professori, nel tempo delle risposte, una possibilità ulteriore di indicare se la linea della depenalizzazione non porti a grandi risultati - come credo sia l'indirizzo di entrambi - o se, magari, non si possa perseguire questa linea in determinati settori, cioè laddove vi sono particolari beni giuridici da tutelare che possono essere adeguatamente tutelati con le sanzioni amministrative.
In caso contrario, mentre abbiamo tutti rappresentato criticamente una linea di eccessiva criminalizzazione, nel momento in cui (cerco di spiegare in maniera semplice un pensiero che ho dentro di me) dobbiamo depenalizzare, facciamo come la montagna che partorì il topolino.
Ho compreso e sono d'accordo sull'idea di perseguire più linee sinergiche; dal punto di vista della risposta penale, vorrei chiedere ai nostri ospiti cosa si può eliminare dall'ambito penale per riservarlo ai fatti che hanno quel disvalore sociale adeguato. Parlo, ovviamente, delle categorie dei beni giuridici oppure delle fattispecie che nella vostra esperienza, anche di dottrina, sono state individuate.
Con riferimento al problema degli stupefacenti, credo - come abbiamo anche rappresentato in una proposta di legge che, da parte nostra, ha riguardato e riguarda le misure cautelari - che il problema della risposta al piccolo spaccio e alla coltivazione per uso personale di piantine con esiguo valore tossicologico imponga di rivedere la legge Fini-Giovanardi. Se ho capito bene, la risposta sulla coltivazione di entità minime non risolve i


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problemi che ha anche la questione del piccolo spaccio con la legge Fini-Giovanardi; anche in quel caso, basta intervenire sull'entità della pena oppure è necessario prevedere pene diverse?

MARIO CAVALLARO. La mia suggestione è quasi analoga a quella dell'onorevole Ferranti; se non ho capito male, entrambi gli illustri relatori ci hanno descritto uno scenario nel quale la classica cosiddetta «depenalizzazione» - indipendentemente dallo strumento normativo in sé - nella sua accezione è palesemente inadeguata per le riflessioni teoriche e pratiche che, compendiando i due interventi, abbiamo compreso. Infatti, se da un lato è illusorio perseguire il diritto penale minimo e poi costruire fattispecie penali in modo pressoché sistematico, dall'altro, l'utilizzo di strumenti diversi non garantisce un'efficienza comportamentale degna di questo nome.
Vorrei chiedere se possiamo ipotizzare di mettere in piedi (non nel chiuso confine di una legislatura ma in un'impostazione teorica che abbia un rapido e pratico assetto normativo) un pacchetto e una quantità convergente di misure - che sono tutti gli istituti che sono stati nominati, dalla messa alla prova all'estinzione, all'oblazione e anche alla depenalizzazione, come si è ricordato - per materie e per fattispecie, piuttosto che per sanzioni.
Vorrei sapere, inoltre, se tutto questo può avere anche un effetto su un altro tema (che non è esattamente convergente), quello dell'assoluta necessità di una decarcerizzazione pressoché immediata. Il nostro Paese sta scivolando in altri contesti rispetto all'Europa e, ormai, il nostro sistema penitenziario ospita un'umanità dolente che non ha quasi nulla a che vedere con il criminale vero, salvo per qualche eccezione. Vorrei chiedere come e se si può mettere a fuoco la questione e se ciò può avere una sua dignità di compendio unitario intervenendo sul codice penale attraverso misure di carattere generale.
Inoltre, vorrei chiedere se è necessario anche apprestare misure di carattere processuale, perché occorre stabilire chi e come si inverano e si attuano tali eventuali misure.
Un altro interrogativo che vorrei sottoporre ai nostri ospiti concerne la natura del sistema alternativo. Dobbiamo domandarci perché - come mi è parso di capire - astrattamente si ipotizza una maggiore efficienza del sistema depenalizzando rispetto a quello penalizzato, laddove è prevista solo la sanzione pecuniaria. Purtroppo, ritengo ciò un po' ottimistico perché, in realtà, nel nostro Paese tanto la sanzione pecuniaria penale quanto quella amministrativa è una grida, e non ha alcuna efficacia esecutiva.
Quali altri tipi di rimedi si possono prevedere, visto che le sanzioni che prescrivono delle condotte sono state e sono tuttora particolarmente difficili, per esempio con riferimento a quelle che abbiamo introdotto per lo stalking, che, di fatto, non hanno impedito il verificarsi di simili fenomeni?
Sugli stupefacenti, continuo a domandarmi perché le mie proposte non potessero stare insieme a queste; apprezzo che vi siano state allegate quelle della collega Bernardini ma penso che bisognerebbe riflettere su una modifica generale di tali disposizioni, non per gelosia dell'iniziativa quanto perché credo che le fattispecie minori non bastino a sistemare la decarcerizzazione.

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

VITTORIO MANES, Professore di diritto penale presso l'Università degli studi del Salento. Svolgerò subito un primo chiarimento perché - evidentemente per mia colpa - non sono stato esplicito sulla questione della coltivazione domestica di stupefacenti. Sono profondamente convinto della bontà dell'istanza che si propone di portare avanti con la proposta di legge dell'onorevole Bernardini, come credo anche di aver scritto più volte sulle riviste giuridiche.
Il problema consiste nel modo in cui si intende portare avanti tale istanza. La


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legge Fini-Giovanardi (credo fosse questa la sua intestazione) dovrebbe essere ripensata per intero perché, purtroppo, il modello di «proibizionismo temperato» italiano fa acqua da tutte le parti e ha prodotto, a mio sommesso avviso, risultati non positivi soprattutto a fronte di un contesto come quello del mercato della droga, in cui gli autori sono sempre più autori/vittime e il consumatore è al tempo stesso pusher, perché si autofinanzia.
I referenti criminologici con cui abbiamo a che fare sono profondamente cambiati nel tempo e, probabilmente, oggi avrebbe più senso (si tratta, chiaramente, di un'opinione del tutto personale) rispondere in modo forte ai contesti criminali organizzati lasciando ad altre risposte gli utilizzatori singoli. Ben venga anche la decriminalizzazione di tutte le condotte che afferiscono alla sfera personale, ivi compresa la coltivazione, ma, come ho già detto, ciò va fatto con un disegno di riforma di un sistema.
Per entrare nel merito dei possibili rilievi tecnici che a mio sommesso avviso si potrebbero apportare, una prima difficoltà nella formulazione della proposta si presenta quando, all'articolo 1, si introduce la prima novità al comma 1, «1-bis. Nel divieto di cui al comma 1 non è compresa l'attività di coltivazione priva di caratteristiche tecnico-agrarie»: si vuole sottrarre l'attività da un divieto ma, al tempo stesso, essa non è più vietata ma è amministrativamente punita; pertanto, vi è già una prima contraddizione di fondo. La norma potrebbe essere espunta conservando solo la seconda, ovvero il comma 1-bis dell'articolo 2.
Quanto al mio secondo rilievo, che è il più determinante, è davvero possibile e percorribile una distinzione tra coltivazioni a fini personali e una coltivazione tecnico-agrario imprenditoriale? Probabilmente, andrebbe svolta un'analisi tecnica e di impatto sulla normativa per verificare, dal punto di vista empirico, quanti e quali sono oggi i laboratori che hanno una produzione limitata ma, tutto sommato, non destinata a un consumo personale.
Vi è una serie di valutazioni ulteriori che, secondo me, andrebbero svolte nel contesto di una revisione del sistema a partire dall'equiparazione tra droghe pesanti e droghe leggere, che tante riviste mediche, anche di recente, mettono in seria discussione. Si tratta di una rivisitazione più complessiva. Condivido la proposta in sé, così come la sua istanza ma, probabilmente, apporterei qualche aggiustamento di carattere tecnico per una coerenza del sistema.
Quanto al secondo e al terzo intervento - quelli degli onorevoli Ferranti e Cavallari - forse il professor Piergallini dirà qualcosa di più; ad ogni modo, è difficile fornire una risposta di sintesi a una domanda su quali possano essere gli strumenti diversi, ulteriori o analoghi ai meccanismi di depenalizzazione in grado di risolvere il macro problema con cui abbiamo a che fare. Sicuramente, la risposta non è solo o non può essere solo sul piano del diritto sostanziale e non può affidarsi solo a disegni di depenalizzazione o di decriminalizzazione; tuttavia, è necessaria una risposta sinergica plurifattoriale sul piano sostanziale, processuale, delle competenze e magari della valorizzazione maggiore dei giudici non togati e via dicendo.
Per quel che concerne il reale impiego del diritto penale - per cosa dovrebbe essere o non essere utilizzato - probabilmente la risposta varia troppo in ragione delle singole concezioni che ogni singolo professore o studioso ha al riguardo. A mio personale convincimento, la sanzione penale per eccellenza, cioè il carcere, dovrebbe essere utilizzata solo in chiave di neutralizzazione di una pericolosità sociale dell'autore, soprattutto in relazione ad aggressioni individuali, nella convinzione che, per altre ipotesi, altri strumenti di tutela possono essere parimenti e, forse, ancora più efficaci.
A tale proposito, vorrei offrire due esempi: il primo è rappresentato dalla criminalità di impresa, che ha visto, nella storia recente del nostro Paese (come il professor Piergallini può spiegare meglio di me), l'introduzione di una riforma sulla


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responsabilità amministrativa delle persone giuridiche che ha effettivamente cambiato qualcosa, con un impatto magari ancora puntiforme e lento ad affermarsi, ma pur sempre rilevante sulla cultura d'impresa. Il secondo esempio riguarda i reati dei colletti bianchi: l'autore del reato di corruzione teme l'incapacitazione o le conseguenze sul piano disciplinare e lavorativo che la vicenda illecita causa molto più di una pena patteggiata, che non conoscerà il carcere perché resta al di sotto dei limiti di sospensione condizionale (ed è questa, infatti, la prima cosa che chiede all'avvocato).
È auspicabile pensare a un sistema di sanzioni interdittive accessorie, ma queste devono essere applicate in via principale senza che siano suscettibili di sospensioni condizionali, perché hanno una carica deterrente e di efficacia di prevenzione generale molto più forte delle altre.

CARLO PIERGALLINI, Professore di diritto penale presso l'Università degli studi di Macerata. Vorrei rispondere rapidamente alle questioni poste dagli onorevoli Ferranti e Cavallaro.
Sicuramente ho fatto trasparire un limite del mio carattere per cui mi riesce difficile sostenere qualcosa che non penso nonché un certo scetticismo sulle politiche di depenalizzazione. Non mi piace parlare delle mie esperienze, ma ciò deriva proprio dalle mie esperienze passate: per quattro anni, dal 1996 al 2001, ho lavorato alla Direzione generale degli affari penali del Ministero della giustizia e ho partecipato alla Commissione che elaborò il decreto legislativo n. 507 del 1999, e ricordo ancora i lavori della legge delega in cui ci si interrogava sulle vere difficoltà di una depenalizzazione.
Si tratta di un problema squisitamente politico, perché, scorrendo l'elenco - come ho già detto, un po' tabuistico - delle materie escluse, ciascuno di noi sa che spesso è lì la cifra che incide sui sistemi penali (anche se, per ragioni ideologiche e di opportunità, non si ha il coraggio di metterci mano).
Ricordo, ancora, che tale legge delega rischiò di arenarsi più volte - non me ne voglia l'onorevole Bernardini - sul problema degli stupefacenti, che a un certo momento si bloccò perché è una scelta autenticamente politica, rispetto alla quale posso solo dire quello che penso. Non mi piacciono le attuali discipline degli stupefacenti e dell'immigrazione; si tratta di un diritto penale che talvolta è placativo (quando sa bene che non funziona), altre muscolare, che se la prende con soggetti deboli e ne riempie il carcere. Tuttavia, come ho già detto, il problema è politico, non tecnico.
Se proprio vogliamo proseguire su questa strada, forse il sistema migliore è quello di studiare la legislazione complementare. Per citare un altro esempio (se qui fosse presente qualcuno del Ministero dell'interno mi picchierebbe), la disciplina delle armi è anch'essa intoccabile, quasi per partito preso, benché talvolta contenga sanzioni di una gravità assurda; se muore una persona, l'erede non sa come fare, se andare dai Carabinieri, e intanto arrivano sanzioni micidiali.
Questo è il motivo per il quale penso che bisognerebbe capire se vi è una volontà politica coesa di lavorare per campi di materie, anche se questo da solo non basta e occorrono anche altri strumenti. Non esistono sistemi penali leggeri, togliamoci questa idea dalla mente; possono, ad esempio, esistere sistemi processuali complicati, che non agevolano il governo di una realtà complessa come quella della giustizia penale, ma bisogna anche lavorare nell'ottica non del diritto e del processo penale ma in quella della giustizia penale, operando su entrambi i fronti.
Per questo, da povero penalista, quando prima ho citato l'oblazione ho detto che occorre avere più coraggio: se l'effetto estintivo dell'oblazione in seguito all'adempimento di prescrizioni è previsto nella materia del lavoro, perché non sperimentarlo o provare a sperimentarlo anche nel settore dell'edilizia e dell'ambiente? Non sono intoccabili. Spesso il ripristino immediato del bene giuridico vale più di una sanzione, magari sospesa;


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l'irrilevanza del fatto - senza attribuire anche a quella un'efficacia risolutiva - rappresenta un altro strumento che, insieme ad altri, può contribuire.
Sul discorso della decarcerizzazione, forse la mia idea è un po' in controtendenza. Sappiamo bene del sovraffollamento delle carceri e dell'uso eccessivo della pena detentiva, però vorrei lanciare un segnale di attenzione: con la polverizzazione del sistema sanzionatorio - ossia prevedendo le pene in un'ottica economica, che potremmo equiparare all'offerta di pene che fa lo Stato - quanto più l'offerta è smisurata, tanto più lanciamo all'opinione pubblica un messaggio «slabbrato».
L'efficacia general-preventiva del sistema rischia di uscire frantumata; personalmente auspico sì alternative e pene diverse, ma che siano poche e chiare, sapendo che costano. Il carcere ha sicuramente il costo maggiore ma anche la detenzione domiciliare costa, non è gratuita. Dobbiamo compiere uno sforzo di onestà per capire se abbiamo le risorse per implementare tali risposte; la materia della pena è molto delicata, per questo ribadisco che serve un diverso arsenale sanzionatorio, che sia misurabile e controllabile.
Concludo la mia replica con la pena pecuniaria. Questa non funziona perché - tra l'altro - è difficile riscuoterla; in ogni caso, per come essa è congegnata, è vecchia, è la pena a somma complessiva. La pena pecuniaria deve andare verso il sistema per quote, come stabilito nel decreto legislativo n. 231 del 2001 per le imprese: non si può prescindere da una pena pecuniaria che sia commisurata per un versante alla gravità del fatto ma, per l'altro, alle condizioni economiche del reo. Una pena di 2.000 euro per una persona facoltosa non ha alcuna effettività, mentre può avere una iper effettività per chi si trovi in condizioni economiche particolarmente precarie.
Disegnare le linee di un futuro sistema penale è complicato, ed è chiaro che la politica è il soggetto chiamato a compiere le scelte più importanti.

PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,20.

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