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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione II
5.
Mercoledì 15 settembre 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Bongiorno Giulia, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA ATTUAZIONE DEL PRINCIPIO DELLA RAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO

Audizione di rappresentanti dell'Associazione magistrati della Corte dei conti, dell'Unione delle Camere penali italiane, dell'Associazione nazionale forense e dell'Associazione dirigenti giustizia:

Bongiorno Giulia, Presidente ... 3 12 14 16 18
Balsamo Palma, Componente del direttivo dell'Associazione nazionale forense ... 9 16
Buscema Angelo, Presidente dell'Associazione magistrati della Corte dei conti ... 4
Capano Cinzia (PD) ... 12
Ferranti Donatella (PD) ... 13
Miele Tommaso, Vice presidente dell'Associazione magistrati della Corte dei conti ... 6 7 17
Palomba Federico (IdV) ... 13
Perifano Ester, Segretario generale dell'Associazione nazionale forense ... 7 15
Romano Renato, Rappresentante dell'Associazione dirigenti giustizia ... 10 14
Scandurra Donatella, Componente della giunta esecutiva dell'Associazione magistrati della Corte dei conti ... 7
Schlitzer Eugenio Francesco, Segretario generale dell'Associazione magistrati della Corte dei conti ... 5 17
Scialla Mario, Componente del direttivo dell'Associazione nazionale forense ... 8
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l’Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia-Partito Liberale Italiano: Misto-Noi Sud LA-PLI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Repubblicani, Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONE II
GIUSTIZIA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 15 settembre 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIULIA BONGIORNO

La seduta comincia alle 14,10.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'Associazione magistrati della Corte dei conti, dell'Unione delle Camere penali italiane, dell'Associazione nazionale forense e dell'Associazione dirigenti giustizia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla attuazione del principio della ragionevole durata del processo, l'audizione di rappresentanti dell'Associazione magistrati della Corte dei conti, dell'Unione delle Camere penali italiane, dell'Associazione nazionale forense e dell'Associazione dirigenti giustizia.
Avverto che il rappresentante dell'Unione delle Camere penali italiane, il quale non potrà oggi presenziare all'audizione, ha fatto pervenire della documentazione che sarà posta a disposizione dei commissari.
Faccio presente innanzitutto che sono stati già auditi i rappresentanti dell'Organismo unitario dell'avvocatura, dell'Associazione italiana giovani avvocati e dell'Associazione nazionale magistrati. Domani - lo dico per i nostri commissari - saranno auditi il professor Vladimiro Zagrebelsky, giudice emerito della Corte europea dei diritti dell'uomo, dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, il professor Gaetano Azzariti, professore ordinario di diritto costituzionale presso l'università La Sapienza di Roma, e il professor Gilberto Lozzi, professore emerito di procedura penale presso l'università La Sapienza di Roma nonché rappresentante del Consiglio nazionale forense.
Come ricorderete, sono tutte audizioni che sono state sollecitate dai commissari.
Ringrazio quindi i rappresentanti dell'Associazione magistrati della Corte dei conti, ringrazio il presidente, consigliere Angelo Buscema, il vicepresidente, consigliere Tommaso Miele, il segretario generale, consigliere Eugenio Schlitzer, e la dottoressa Scandurra, componente della giunta esecutiva.
Sono presenti anche i rappresentanti dell'Associazione nazionale forense e quindi ringrazio l'avvocato Ester Perifano, segretario generale, l'avvocato Palma Balsamo, componente del direttivo, l'avvocato Mario Scialla, componente del direttivo, e ancora l'Associazione dirigenti giustizia con il dottor Renato Romano, dirigente della corte d'appello di Trieste, il dottor Vincenzo Di Carlo, dirigente della Direzione nazionale antimafia, il dottor Massimo Orzella, dirigente del tribunale di Perugia.
Sono presenti il capogruppo del PdL, onorevole Costa, il capogruppo del PD, onorevole Ferranti, il capogruppo della Lega, onorevole Molteni, il vicepresidente della Commissione e rappresentate del


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gruppo dell'l'Italia dei Valori, onorevole Palomba, il capogruppo di FLI, onorevole Angela Napoli, e per l'UdC è presente l'onorevole Ria.
Per quanto riguarda l'organizzazione dei nostri lavori, è prevista un'esposizione introduttiva che dovrebbe comunque circoscriversi nel limite dei dodici minuti circa, in modo da dare successivamente la possibilità ai commissari di svolgere osservazioni ovvero porre dei quesiti.
Do la parola ai nostri ospiti, partendo dal presidente dell'Associazione magistrati della Corte dei conti, il consigliere Angelo Buscema.

ANGELO BUSCEMA, Presidente dell'Associazione magistrati della Corte dei conti. Come presidente dell'Associazione magistrati della Corte dei conti faccio seguito anche alle precedenti audizioni già avvenute da parte dell'Associazione nazionale magistrati ordinari, con la quale abbiamo condiviso sul disegno di legge sul processo breve una posizione espressa nel Comitato intermagistrature.
Le osservazioni che vengono proposte in questa sede riguardano i riflessi sulle disposizioni poste all'esame parlamentare sul processo contabile: fanno cioè riferimento espressamente agli articoli 3 e 4 del disegno di legge attualmente all'esame parlamentare.
Con riferimento a questi articoli, l'Associazione magistrati condivide esattamente l'esigenza di un'accelerazione del giudizio di responsabilità contabile, soprattutto per contrastare la durata indeterminata dei processi e accelerarne la conclusione in attuazione dell'articolo 111 della Costituzione e dell'articolo 6 della Convenzione europea sulla salvaguardia dei diritti dell'uomo.
Va detto però che per quanto riguarda i processi innanzi alla Corte dei conti di primo e secondo grado, essi sono di durata già abbastanza contenuta, non soffrono cioè del problema riguardante l'impatto di queste norme, sopratutto per quanto riguarda il giudizio di primo grado. Deve tuttavia essere fatta salva qualche precisazione su alcune disposizioni che invece in modo, a nostro avviso, disorganico e disarticolato potrebbero alterare invece lo svolgimento del processo contabile.
Per quanto riguarda un primo aspetto sarà poi compito dei colleghi che interverranno dopo di me dare una indicazione specifica - si tratta del procuratore generale della regione Lombardia e della componente della sezione giurisdizionale di responsabilità - e far presente che abbiamo innanzitutto un primo problema per quanto riguarda la sospensione obbligatoria: la sospensione obbligatoria del termine del processo nell'ipotesi di giudizi incidentali per questioni di stima costituzionale ovvero per regolamento di giurisdizione o revisione di questioni di massima alle sezioni riunite. Attualmente queste previsioni non sono contenute e l'eventuale attivazione di questa sospensione potrebbe, a nostro avviso, ove non prevista, pregiudicare la conclusione dei giudizi.
Relativamente all'esigenza di una ragionevole durata, esistono problemi specifici per quanto riguarda la durata dell'appello sui giudizi, per cui effettivamente il dies a quo del calcolo dell'effettivo inizio del giudizio deve essere, a nostro avviso, fatto decorrere da quando inizia il procedimento dell'appello, ovvero quando c'è la notificazione dell'appello e non dal deposito della sentenza di primo grado perché questo non è nella sfera giudice d'appello e potrebbe pregiudicare in qualche modo il rispetto dei termini.
Siamo, inoltre, contrari alla indicazione dell'importo di 300.000 euro come parametro dell'entità del danno perché, a nostro avviso, questa disposizione prescinde da una valutazione riguardante la gravità. Non è soltanto infatti sull'importo che possono essere calcolate la gravità e la complessità di un giudizio.
A nostro avviso il processo di riforma della giustizia non può che partire da alcune problematiche di carattere generale che riguardano anche la Corte, come gli organici dei magistrati, il personale amministrativo, la modernizzazione, la informatizzazione degli uffici giudiziari, lo


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snellimento delle procedure. Quest'ultimo risale al 1933, quindi esiste una effettiva esigenza di un adeguamento.
In ultimo, lasciando poi la parola ai colleghi, vorrei dire che la nostra proposta è quella della espunzione dell'articolo 4 che riguarda l'appello avverso alle deliberazioni di controllo sulla gestione perché non ha nulla a che vedere con la materia del processo contabile, dal momento che si tratta di un appello previsto nei confronti di deliberazioni conclusive di controllo su gestioni - ci troviamo quindi nella materia dei controlli, al di fuori di questo tema riguardante il processo contabile - e avverso un atto di accertamento di un giudizio complesso svolto dalle sezioni regionali di controllo, sia perché temiamo che questo allungherebbe la conclusione dei tempi del procedimento, la tempistica del controllo sulla gestione, sia perché finirebbe per centralizzare tutto il compito nell'ambito delle sezioni riunite in sede centrale a detrimento, invece, di una posizione di indipendenza e autonomia delle sezioni regionali di controllo.
Detto questo, lascerei la parola ai colleghi.

EUGENIO FRANCESCO SCHLITZER, Segretario generale dell'Associazione magistrati della Corte dei conti. Lascerei agli atti uno stralcio di alcune considerazioni elaborate in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2010 in cui in due pagine affronto questi temi con delle considerazioni critiche.
Il collega Buscema ha già enunciato i punti dolenti: innanzitutto dobbiamo domandarci a monte se esiste o meno un problema di costituzionalità della norma in quanto fa una differenza tra il risarcimento che spetta all'erario, quindi risarcimento di danaro pubblico, e il risarcimento che spetta al debitore privato. Imponendo dei tempi per ottenere il risarcimento a me procuratore contabile e non all'avvocato che agisce per conto di un privato creditore si crea una disparità di trattamento, a mio avviso. Questa disparità viene ulteriormente sottolineata dal fatto che i tempi per arrivare a sentenza potrebbero variare in relazione all'ammontare del risarcimento richiesto. Questo indurrebbe il procuratore regionale a fare delle richieste risarcitorie il più possibile ampie per evitare di incorrere in una limitazione dei tempi.
Debbo dire, peraltro, che nel primo grado il problema di una ragionevole durata del processo contabile si pone relativamente, si pone e anzi direi che a crearlo è proprio la norma nel momento in cui non considera momenti di sospensione del tempo: se, ad esempio, viene rimessa la causa alla Corte costituzionale, come si fa a dire che quel tempo viene computato all'interno della durata del processo? È la norma che sarebbe destinata a essere travolta per manifesta irragionevolezza da parte della Corte costituzionale, e così le altre. Come si può infatti addossare all'attore la responsabilità del decorso del tempo per fatti che non dipendono da lui stesso, come la richiesta di un rinvio del dibattimento da parte del convenuto? Questo va a danno dell'attore. Questo è quel che riguarda il primo grado.
Quanto al secondo grado, c'è, se mi consentite, nella norma un assurdo plateale: far decorrere il periodo di ragionevole durata del processo non dal momento in cui il processo di secondo grado viene introdotto, ossia dal momento in cui è proposto l'appello, ma dal momento in cui è stata depositata la sentenza, anche questo mi pare che non stia al mondo. Solo dopo che si è proposto l'appello è giusto parlare di un termine entro il quale giudizio si deve concludere; ma se io ancora non so se un appello sarà proposto, come posso procedere? Anche questa mi sembra una norma talmente illogica che non credo che la Corte costituzionale la lascerebbe in piedi.
Quanto al terzo aspetto, io non so se i componenti della Commissione sanno che cosa c'è dietro questa proposta di norma. Il collega ha già detto che è completamente fuori dal contenuto del processo, non c'entra nulla con esso, anzi, se volete, è una norma che allunga il processo, non giurisdizionale ma del controllo, perché introduce un ulteriore momento che rallenta


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l'efficacia delle deliberazioni assunte dalle sezioni di controllo. Non c'entra, quindi, nulla con la brevità del processo, non c'entra nulla col processo, perché stiamo parlando di attività di controllo e non di attività giurisdizionale, e cerca maldestramente di raggiungere un fine che si deve raggiungere diversamente.
Qual è il problema? Si vuole evitare che le delibere del controllo possano - io lo dico banalmente, non voglio offendere nessuno - essere messe in «non cale» dal primo giudice amministrativo al quale vengano eventualmente ricorse. Il problema esiste probabilmente, ma si risolve diversamente, dando una diversa qualificazione alle deliberazioni delle sezioni di controllo, così come a suo tempo fu fatto per il controllo preventivo di legittimità quando il diniego di visto o la concessione del visto, che pure erano emessi da organi di controllo, quindi avevano natura di atto amministrativo, essendo espressione di una potestà costituzionalmente intestata non potevano essere oggetto di ricorso al TAR.
Questo si potrebbe fare anche per le delibere delle sezioni di controllo; ma arrivare a questo effetto, del tipo «me lo faccio in casa mia», stravolgendo ogni sistema, è innaturale, crea un ibrido e crea un effetto ulteriore: mortifica l'autonomia delle sezioni regionali di controllo e porta al centro ogni possibilità di rivedere queste pronunce con la scusa di dover risentire i profili prospettati dall'amministrazione.
Vi ringrazio e resto, insieme agli altri colleghi, a disposizione per domande specifiche. È chiaro che le nostre proposte sarebbero la espunzione di norme che a noi francamente non servono, anche perché i tempi del processo contabile sono comunque tempi brevi.

TOMMASO MIELE, Vice presidente dell'Associazione magistrati della Corte dei Conti. Io svolgo funzioni giurisdizionali giudicanti, quindi è proprio questo l'apporto che voglio dare anche per l'esperienza professionale.
Riprendo proprio da dove ha lasciato il consigliere Schlitzer. I tempi di svolgimento del giudizio contabile sia in primo sia in secondo grado sono già ragionevolmente brevi o comunque non di lunga durata. Cionondimeno, l'Associazione condivide pienamente l'esigenza di un'accelerazione dei giudizi di responsabilità contabile o quanto meno quella di prevedere dei tempi di durata certa, proprio in conformità e in attuazione all'articolo 111 della Costituzione, in previsione proprio della ragionevole durata del processo.
Anche i termini attualmente previsti nell'articolo 4 del disegno di legge all'esame sono tutto sommato condivisibili con riferimento sia al primo grado sia all'appello. Tuttavia, vanno fatte delle precisazioni perché altrimenti diventano irragionevoli: al comma 3 c'è la differenziazione e la puntualizzazione tra richieste risarcitorie inferiori ai 300.000 euro e superiori e non se ne vede la ragione; oltretutto, la norma si presta o a un frazionamento della domanda o comunque a una possibile tendenza dell'attore, del pubblico ministero contabile ad ampliare e superare la soglia dei 300.000 euro per differenziare il termine.
Noi saremmo per evitare questa differenziazione - su questo, se si vuole, si tornerà - ma soprattutto, come hanno già detto i colleghi che mi hanno preceduto insieme ai quali non facciamo altro che cercare di dare un contributo, le norme palesemente irragionevoli alla luce di questa formulazione sono soprattutto nella previsione di cui all'articolo 4, comma 1, lettera b) per ciò che riguarda l'appello; come diceva anche il collega Schlitzer, non si può far decorrere il termine di durata, quindi la durata ragionevole del processo d'appello, da un momento che addirittura è al di fuori del processo. Deve necessariamente decorrere il termine dei due anni dal momento di proposizione dell'appello, non già al momento di deposito della sentenza di primo grado, anche perché poi il decorso del termine sarebbe nella disponibilità di un soggetto terzo che avrebbe proprio interesse contrario ad allungare i termini. Questo sarebbe quindi palesemente irragionevole!


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Noi ravvisiamo, quindi, la necessità - lo dicevano anche il collega Schlitzer e il presidente Buscema - di prevedere comunque che nel computo della ragionevole durata del processo non vengano compresi i giudizi incidentali, quindi occorre prevedere una sospensione obbligatoria laddove vengano rimesse questioni di legittimità costituzionale alla Corte costituzionale oppure venga sollevato un regolamento preventivo di giurisdizione oppure rimessa una questione alle sezioni riunite.
Mi permetto di aggiungere, fermo restando che siamo d'accordo anche sulla durata attualmente prevista con queste precisazioni, che è necessario prevedere una norma transitoria per una questione di certezza di regole, di certezza del diritto, per evitare sostanzialmente che si impongano delle regole a partita iniziata. Ho già evidenziato la necessità dell'appello, come sottolineo l'esigenza di prevedere la soppressione della differenziazione tra richieste risarcitorie al di sotto dei 300.000 euro è quelle al di sopra.
Vorrà forse aggiungere qualcosa la collega Scandurra con riferimento all'appello sulle deliberazioni del controllo.

DONATELLA SCANDURRA, Componente della giunta esecutiva dell'Associazione magistrati della Corte dei conti. Sono primo referendario, con funzioni sia giurisdizionali giudicanti sia di controllo.
Vorrei aggiungere qualche parola a quello che hanno già detto i colleghi riguardo alla disposizione dell'articolo 4, comma 4, ossia il cosiddetto appello in materia di controllo. È una disposizione totalmente nuova nel nostro ordinamento, che non esiste e che rischia di essere incisiva nel nostro ordinamento contabile dei controlli in maniera, oserei dire, disorganica e disomogenea.
Innanzitutto, si tratta di una possibilità che gli stessi soggetti controllati, cioè gli organi politici - si legge nella comma 4 - gli organi che sono stati controllati dalla Corte dei conti «di vertice delle amministrazioni che vi abbiano interesse possono proporre una sorta di ricorso» - così viene definito - «avverso una deliberazione conclusiva di controllo su gestioni di particolare rilevanza».
Ora, qui c'è una commistione anche di linguaggio da un punto di vista tecnico perché si parla di un ricorso in appello contro deliberazioni di controllo decise dalle sezioni riunite con sentenza definitiva di accertamento. Si viene, quindi, a creare una commistione tra le due anime della Corte, tra controllo e giurisdizione: è una novità assoluta, che viene contrastata con decisione e fermezza dall'Associazione magistrati e viene contrastata anche, posso anticipare, dalla Corte istituzione. Abbiamo cioè avuto assicurazioni dai nostri vertici della Corte «istituto», quindi non della Corte «comunità» di cui noi siamo rappresentanti, che questa norma non piace a nessuno, né alla Corte «comunità» né alla Corte «istituzione».
Innanzitutto, dunque, il problema è la legittimazione ad agire da parte del soggetto controllato contro il controllore, per cui viene meno l'alterità del controllo, e si viene inoltre a equiparare la decisione che le nostre sezioni regionali e le nostre sezioni centrali di controllo emettono a una sorta di atto amministrativo, un'equiparazione che è sempre stata negata anche dalla Corte costituzionale e rispetto alla quale, appunto, esprimiamo la nostra contrarietà.

TOMMASO MIELE, Vice presidente dell'Associazione magistrati della Corte dei conti. Qual è il senso di sottoporre a questa possibilità di ricorso solo le deliberazioni conclusive di controlli su gestioni di particolare rilevanza? Perché solo quelle di particolare rilevanza e chi lo dice che lo sono? Anche questa mi sembra una irrazionalità.

ESTER PERIFANO, Segretario generale dell'Associazione nazionale forense. Porgo un saluto a tutti i componenti della Commissione e soprattutto un ringraziamento all'onorevole presidente perché ha avuto la sensibilità di convocare in audizione anche l'avvocatura, non solo l'avvocatura istituzionale, ma anche l'avvocatura nelle sue forme associative in modo da avere una


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visione ampia e completa del punto di vista degli avvocati che, come tutti sapete, per essere lei una tecnica, e anche in questo c'è una sensibilità particolare, sono 240.000 e sono forse tutti uno diverso dall'altro.
Mi limiterò a poche sintetiche riflessioni. La nostra associazione ha preparato un documento, che lasciamo agli atti, in modo da lasciare la nostra opinione ampiamente argomentata e da poter essere utilizzata e letta anche dai componenti della Commissione che oggi non sono presenti. Mi limiterò a fare semplicemente delle riflessioni generali e poi lascerò la parola alla collega Palma Balsamo e al collega Mario Scialla, che tratteranno gli aspetti particolari relativi al processo civile e al processo penale.
È evidente che tutti noi concordiamo non sull'opportunità ma sulla necessità che il processo venga celebrato celermente. Tutti noi, però, concordiamo sulla circostanza che questa legge non è sicuramente la legge più giusta per ottenere questo risultato. Sicuramente non lo è per quanto riguarda il processo civile perché in questa legge nulla è detto a proposito del processo civile, è solamente toccata e innovata la legge n. 89 del 2001, meglio nota come legge Pinto, semplicemente rendendo più difficoltoso il ricorso del cittadino che intende ottenere un indennizzo per un processo lungo.
Iniziamo, quindi, subito a sgombrare il campo da false credenze: questa legge non serve al processo civile, serve semplicemente a danneggiare - bisogna chiamare le cose con il loro nome - il cittadino, al quale vengono richieste tante attività per poter accedere a un indennizzo al quale oggi accede molto più facilmente attraverso l'assistenza del proprio avvocato.
Per quanto riguarda il penale, la questione è ancora più delicata perché nel penale, per come è prospettata la soluzione, noi non abbiamo proprio più i processi, ossia non arriviamo proprio alla fine di questi stessi; si tratta quindi sostanzialmente di ammazzare il procedimento quasi non appena è nato. Cedo la parola ai colleghi che sicuramente vorranno dire qualche cosa in più, in particolare all'avvocato Scialla.

MARIO SCIALLA, Componente del direttivo dell'Associazione nazionale forense. Sarò telegrafico anche per lasciare più spazio alla collega Balsamo sugli aspetti che non riguardano specificamente il processo penale e dei quali si è dibattuto poco, ma che sono ugualmente molto importanti.
Noi riteniamo che con il disegno di legge in questione in realtà non si vada a contrastare la durata eccessiva e non ragionevole del processo penale, ma semplicemente a fissare una durata predeterminata. Si ipotizza una soluzione al problema senza però indagare sulle cause e senza incidere su queste. Venendo a sancire dei limiti per legge, senza però prima di riorganizzare la macchina giustizia nel suo complesso, come è assolutamente indispensabile, si rischia di certificare una vera e propria rinuncia all'esercizio della giustizia.
Già qualche studioso, qualche giurista, a proposito dell'articolo 24 della Costituzione, parla non più di una possibilità di adire ma della possibilità astratta di arrivare a far valere i propri diritti. Se si operasse in tal senso l'operare in concreto i diritti resterebbe addirittura una pura chimera...
Inoltre, questo modo di procedere attraverso una predeterminazione rigida dei termini per ciascuna fase, alla cui violazione addirittura conseguirebbe l'estinzione dello stesso processo, verrebbe a stroncare inesorabilmente la tutela dei diritti delle persone offese, che rischiano quindi di vedere negato il diritto all'accertamento della responsabilità del colpevole.
Un altro rischio si profila all'orizzonte, ed è anche concreto per la verità: la fissazione di questi termini così rigidi, così meccanici, in assenza - lo ribadisco - di quelle risorse materiali indispensabili per rispettare questi termini, probabilmente si tradurrebbe in una riduzione degli spazi difensivi degli imputati, e quindi delle


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garanzie indispensabili. Si potrebbe, quindi, essere d'accordo in astratto con il fine che sostiene il disegno di legge, ma senza intervenire preventivamente e pesantemente sul sistema giustizia si rischia forse di ottenere un sistema decisamente peggiore del male.

PALMA BALSAMO, Componente del direttivo dell'Associazione nazionale forense. Vorrei soffermarmi sulle modifiche contenute nel disegno di legge rispetto alla cosiddetta legge Pinto perché a noi sembra che l'obiettivo dichiarato nella relazione illustrativa e che si vorrebbe perseguire con questa legge, e cioè quello di rendere più certi i presupposti, le procedure e la quantificazione dell'equo indennizzo, non possano essere raggiunte con questo testo, appunto, raggiungendosi invece l'obiettivo di rendere estremamente più difficile l'esercizio dell'azione risarcitoria.
Mi limiterò a segnalare i punti più importanti, quelli che a noi sembrano più critici, rimandando per un'analisi più approfondita al documento consegnato, e quelli che a noi sembrano più critici a partire proprio dalla norma che subordina a una specifica istanza di sollecitazione che la parte deve presentare nel processo entro sei mesi dalla scadenza dei nuovi termini finalizzati a definire la non irragionevole durata del processo, dopodiché il processo dovrebbe proseguire secondo un corso più celere non in base a norme nuove ma in base a disposizioni acceleratorie che già esistono nei nostri codici di procedura sotto la vigilanza del capo dell'ufficio.
Ora, a parte la sgradevolezza del dover mettere in mora il magistrato che deve trattare e decidere la causa, a noi sembra un non senso che si debba sollecitare l'applicazione di disposizioni acceleratorie che esistono già nel codice di procedura civile e sollecitare la vigilanza del dirigente dell'ufficio che, già a prescindere dall'entrata in vigore di questa norma, dovrebbe avere come compito di vigilare sul rispetto delle norme dei codici di procedura da parte dei magistrati addetti al proprio ufficio.
Del resto, non ci sembra che, in mancanza appunto di quelle misure organizzative e normative idonee a definire e a limitare il contenzioso, la previsione di sollecitazione o di vigilanza da parte del dirigente possa in qualche modo con una bacchetta magica moltiplicare miracolosamente il tempo a disposizione dei magistrati, soprattutto in quegli uffici giudiziari in cui più alto è il rapporto tra magistrato e numero di cause pendenti sul ruolo.
Altre disposizioni che ci sembrano particolarmente criticabili sono quelle che impongono al giudice, nell'effettuare il risarcimento, di valutare il valore della controversia, che per costante giurisprudenza anche della Corte di cassazione va valutato solo in rapporto alle condizioni economiche del danneggiato, o la norma che consente di ridurre il risarcimento fino a un quarto nel caso di soccombenza, proprio perché quello che si vuole risarcire con la con la legge Pinto non è certo chi vince la causa ma il patema d'animo che il soggetto sostiene per aver dovuto attendere oltre ogni ragionevolezza una decisione.
Ci sembra ancora molto criticabile la eliminazione della gratuità del processo, che evidentemente rende più difficile la proposizione dell'azione risarcitoria, a tutto svantaggio delle parti economicamente meno abbienti.
Infine, ci sembra demagogica e potenzialmente dannosa la norma che elimina il patrocinio obbligatorio di un avvocato potendo la parte interessata proporre personalmente la domanda di risarcimento. Ci sembra demagogica perché la parte che si ritiene danneggiata dovrebbe essere in grado da sola di redigere un ricorso, individuare la corte d'appello competente, indicare tutti gli elementi voluti dalla legge, allegare tutti i documenti necessari e poi naturalmente dovrebbe essere anche in grado di prevenire eventuali errori del magistrato sulle condizioni di ammissibilità o sull'esistenza di condizioni che legittimano la proroga dei termini fino a un terzo, o per esempio sulla consapevolezza


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o meno delle infondatezza della domanda proposta nel giudizio di cui si assume la irragionevole durata.
Si fa, quindi, credere al cittadino di potere ottenere giustizia da solo, prospettando come semplice una richiesta che tale non è e con gravi ripercussioni poi sull'ammissibilità della domanda di risarcimento, e quindi sulla stessa possibilità di conseguire un ristoro.
In conclusione e brevemente, a noi sembra che questo disegno di legge complessivamente rappresenti un doppio pericolo: con la previsione di termini predeterminati, e quindi non con un giudizio di ragionevolezza a posteriori, tenendo conto della complessità del caso e delle vicende processuali, ma con termini rigidi, perentori e ancorati, peraltro, nel penale alla pena edittale, quindi a una categoria ancora più generale, si introduca un criterio che ragionevole non è affatto; peraltro, questo criterio pone sì il pericolo che non si arrivi alla decisione di merito e che quindi si rinunci all'esercizio della giustizia, ma noi ci poniamo un altro problema da avvocati, ossia che a volte applicando i termini previsti da questa norma si arriva a durata abnorme anche per processi della terza fascia, quelli che rientrano nei termini di prescrizione più lunghi e se sommati tra di loro possono arrivare facilmente a una dozzina danni, e se con un rinvio della Cassazione o l'aumento del terzo per particolari reati quasi a una ventina d'anni.
La previsione di questi termini in qualche modo legittimerebbe addirittura che si superi un termine ragionevole senza che si violino i termini previsti in questa legge. Tuttavia, ci preoccupa soprattutto che la giustizia possa essere sì più rapida ma assai più superficiale, quindi a tutto danno della garanzia effettiva di tutela dei diritti dei cittadini laddove per processo giusto si intenderebbe un processo che va innanzitutto celebrato, che si concluda con una decisione di merito e sia anche concluso in termini ragionevoli ma certamente con un giudizio di ragionevolezza che non può essere rigido, perentorio e predeterminato.

RENATO ROMANO, Rappresentante dell'Associazione dirigenti giustizia. Per l'Associazione dirigenti presenterò io soltanto una breve sintesi delle nostre osservazioni. Restiamo comunque a disposizione, il collega Massimo Orzella, il collega Enzo Di Carlo e io per eventuali chiarimenti.
Noi muoviamo intanto da un apprezzamento sul fatto che anche a partire dalla discussione su questa proposta di legge si sia focalizzata l'attenzione, recuperata la centralità sulla questione dei tempi del processo. Questo è infatti un tema rispetto al quale riteniamo che non soltanto il decisore politico, ma tutto il mondo delle professioni e degli operatori che gravitano intorno al mondo della giustizia, marchino una colpevolezza, quella di essere stati disattenti. Lo siamo stati un po' tutti, ma in realtà è sfuggito ai più che, nello stabilire attenzione verso agli aspetti qualitativi del fenomeno giurisdizionale, si è persa la percezione che anche la durata influisce sull'effettività della tutela dei diritti individuali, e anche la durata ragionevole dei processi è una delle condizioni che concorre allo sviluppo di un territorio del Paese laddove attraverso tempi ragionevolmente ristretti si riesca a stabilire un controllo di legalità e una composizione delle controversie.
Quello che registriamo con una sorta di rassegnata amarezza è che ancora una volta la discussione su questo punto ha trasceso, in coerenza con quello che è accaduto in questo Paese ormai da diversi anni, in uno scontro che non giudichiamo negativamente di per sé - lo scontro è il sale della discussione, è il sale della democrazia - ma per il suo essere stato spesso disarticolato dal merito.
Noi abbiamo invece cercato di proporre pochi argomenti, ma indossando il camice bianco dell'analista, ovvero, scevri da pregiudizi di qualunque tipo, abbiamo provato a simulare, sulla base dei dati di cui disponiamo, gli effetti, le ricadute e la


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sostenibilità per il sistema che l'eventuale introduzione di questo articolato comporterebbe.
Muovendo da questo, intanto voglio dire che la nostra è una valutazione di profonda delusione: non abbiamo trovato all'interno di questo articolato misure in grado di rendere più rapido il processo; in particolare, abbiamo provato a incrociare i dati di cui disponiamo con gli effetti presumibili e riteniamo che in particolare il collo di bottiglia più forte per la nostra organizzazione si addensi intorno al processo di appello. Disponiamo di dati più aggiornati, ma per dare una panoramica omogenea vogliamo proporre i dati del 2009: nel 2009, avendo come punto di riferimento il penale, le corti d'appello di questo Paese hanno introitato circa 106.000 processi, ne hanno definiti 76.000. Negli anni precedenti qualche volta ne hanno definiti 70.000, qualche altra 78.000: questa è la capacità di smaltimento delle corti d'appello penali italiane.
Al momento, a fine dello scorso anno l'arretrato delle corti d'appello penale era di circa 200.000 processi. Credo che oggi siamo sui 215.000-220.000. Questo significa che già adesso tre anni sono un tempo di smaltimento medio di una corte d'appello.
La difficoltà sul penale è poi offerta da un altro dato: scomponendolo ancora a livello distrettuale, vediamo che considerando 29 unità - le 29 corti d'appello, comprese le sezioni distaccate di Sassari, Taranto e Bolzano - 25 di queste hanno definito molti meno processi penali di quanti ne sono sopravvenuti, con una difficoltà, in alcune Corti anche di grande tradizione, che ci fa ritenere la situazione completamente fuori controllo. Penso ad esempio a Bologna, dove lo scorso anno sono entrati 8.124 processi e ne sono stati esauriti 4.482, una situazione, lo ribadisco, completamente fuori controllo.
Va oltretutto aggiunta un'altra modalità di lettura a questo dato che già di per sé suscita forti inquietudini: cioè i tempi - veniva detto poco fa - vedono la valutazione dei due anni ordinariamente previsti perché non si arrivi all'estinzione del processo in corte d'appello non dal momento della iscrizione del fascicolo in grado d'appello e neanche dal momento dell'interposizione dell'appello, ma dal momento della pronuncia del deposito della sentenza di primo grado.
Abbiamo, allora, avviato un monitoraggio informale, che propongo in una sintesi - le nostre poche osservazioni che lascerò in copia qui per i deputati - che fotografa una situazione preoccupante: i tempi medi impiegati dalla nostra organizzazione giudiziaria a far prendere in carico i fascicoli alle corti d'appello dal momento in cui è stata pronunciata la sentenza penale di primo grado sono considerevoli. Abbiamo 8-9 mesi a Torino, 6-7 mesi a Trieste, in alcuni casi - a Perugia sono molto variabili da tribunale a tribunale - si arriva perfino a due anni, 4-5 mesi nell'efficientissima Bolzano, 6 mesi a Genova, 6-7 mesi a Cagliari, 6 mesi a Bologna, 8 mesi a Potenza, 9-10 mesi a Napoli e mi fermo qui.
La cosa ancora più preoccupante, preoccupazione tra le preoccupazioni, è che le corti in maggiore difficoltà sono proprio quelle che vedono una tradizione di minore percentuale di ricorso in appello dato 100 la massa del giudicato di primo grado: ad esempio, Bologna ha una tradizione di pochissime interposizioni di appello penale, 15-20 per cento, Reggio Calabria ha il 48 per cento. Questo significa che, ed è questa la nostra grande preoccupazione, se questa normativa che non prevede misure per rendere più rapidi i processi ma semplicemente sanziona - ahimè con un prezzo che si riversa tutta la comunità - con l'estinzione del processo l'eccessiva lunghezza, il rischio è che si modifichi il comportamento processuale delle parti.
Se a Bologna abbiamo questa situazione con il 20 per cento di interposizione di appello rispetto al giudicato penale di primo grado, il rischio è che la certezza che si possa puntare quanto meno all'estinzione del processo possa portare quel 25 all'80-85 per cento o perlomeno a un'impugnazione verso tutte le condanne.


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Questo ci orienta a dare una valutazione fortemente preoccupata di queste conseguenze.
Credo che esista la possibilità di trovare una sintesi che quanto meno scongiuri gli effetti più forti, più pesanti nei confronti dell'organizzazione giudiziaria; oppure, quanto meno, si potrebbe porre mano - se n'è parlato anche recentemente - a misure di rafforzamento dell'organizzazione, che potrebbero mettere la nostra struttura in grado di fronteggiare questa massa d'urto.
Per misure sul versante dell'organizzazione io non intendo, come da nostra tradizione, crescita delle risorse disponibili. Forse siamo gli unici, ma siamo contrari alla crescita delle risorse a disposizione della giustizia. Noi vogliamo una razionalizzazione delle risorse disponibili, attraverso - non mi dilungo - una sostenibile revisione della geografia giudiziaria, soprattutto tramite una prevedibilità dell'allocazione delle risorse disponibili.
Se si perdono dieci o undici mesi soltanto per consentire alle cancellerie di portare il fascicolo dal primo al secondo grado, è difficile poter limare temporalmente qualcosa a partire da un'organizzazione che, come la nostra, ormai da molte stagioni, ha dismesso qualunque politica di reclutamento di nuove intelligenze e di nuove professionalità. Per il momento, mi fermerei qui. Grazie.

PRESIDENTE. Faccio presente che abbiamo anche un documento dell'Associazione dirigenti giustizia, che sarà messo a disposizione di tutti i commissari.
Sottolineo, sebbene non l'abbia citato all'inizio, che il relatore del provvedimento, l'onorevole Paniz, è presente sin dall'inizio della seduta.
A questo punto, do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni. La preghiera che vi faccio è di formulare esclusivamente domande agli ospiti di oggi., mentre gli interventi li faremo in altra seduta.

CINZIA CAPANO. Rivolgo il mio quesito ai dirigenti, ma anche all'Associazione nazionale forense, peraltro riprendendolo dalla loro relazione, dal momento che esso attiene al processo civile.
Il testo di legge costruisce una procedura per ottenere una velocizzazione del giudizio. Procedura che, peraltro, nel provvedimento costituisce anche prova dell'interesse ad agire ai fini del risarcimento per la legge Pinto.
Ebbene, questa procedura funziona in questo modo: si deposita un'istanza, che assicurerebbe al giudizio una trattazione privilegiata ai sensi degli articoli 81-83 delle disposizioni di attuazione del codice civile.
In una situazione in cui il ministro parla di 5 milioni di cause civili arretrate, questo meccanismo che cosa produce? Se l'istanza è, nello stesso tempo, condizione per accelerare il processo civile e presupposto per l'azione di risarcimento del danno prevista dalla legge Pinto, io immagino - e su questo chiedo all'Associazione nazionale forense - che per scrupolo difensivo ogni avvocato depositi tale istanza. Che impatto si produce con il deposito delle istanze, non sul sistema penale (che ci hanno ben rappresentato) ma sul sistema civile?
Inoltre, chiedo se questo ulteriore blocco - vedo un effetto ancora più devastante sul processo civile - non produca l'aumento del fenomeno a cui assistiamo ormai da molti anni, per cui la lunghezza della definizione del giudizio civile produce un panpenalismo, cioè determina il ricorso al giudice penale. Infatti, ad esempio nel caso della responsabilità medica, una persona non intraprende l'azione civile perché, andando dal giudice penale, ha quanto meno la percezione che ci sia una risposta immediata.
Collegando gli effetti sul civile - il civile è l'eterno ignorato dagli interventi e dall'attenzione mediatica - a quelli prodotti autonomamente dal penale e a quelli di secondo grado - diciamo così - ossia prodotti da questa valanga di istanze, quali sono le conseguenze che si producono?
Intendo porre la seconda questione sempre ai dirigenti amministrativi, i quali


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ragionavano sul fatto che per affrontare il problema della brevità del processo (cioè della riduzione del tempo, quindi non dell'interruzione del processo, ma del suo esaurirsi in un tempo ragionevole) non occorrono risorse, ma piuttosto si pongono esigenze di razionalizzazione e nuove professionalità. Chiedo ai dirigenti se nuove professionalità sono, per esempio, quelle relative ad alcune proposte di legge, già depositate, come per esempio l'ufficio del processo, che prevedono di istituire nuove figure che siano in grado di supportare le attività del magistrato, senza però sostituirsi alla funzione squisitamente giurisdizionale.

FEDERICO PALOMBA. Intanto vorrei esprimere, anche a nome del mio gruppo, un ringraziamento sentito alle persone che sono venute a raccontarci la loro esperienza. Gli auditi hanno usato termini molto severi, che il mio gruppo, l'Italia dei Valori, condivide pienamente, avendo fatto le stesse valutazioni.
I processi si possono concludere a condizione che si mettano a disposizione risorse, ovvero a condizione che ci sia una vera riforma della giustizia, che la metta in condizione di funzionare; non servono, invece, decisioni che in maniera assolutamente apodittica, ingiustificata e rigida determinano preventivamente la durata dei processi.
Condividiamo, dunque, tutte le perplessità, anzi le contestazioni espresse. Sono stato particolarmente colpito dall'intervento dei magistrati della Corte dei conti, ai quali vorrei chiedere di conoscere la loro valutazione circa la capacità della giurisdizione contabile di definire i processi nei termini molto rigorosi (di tre e due anni) previsti da questa normativa. Vorrei sapere come funziona complessivamente l'esercizio della giurisdizione contabile, tenuto conto anche della norma più restrittiva sull'esercizio dell'azione di responsabilità contabile.
Vorrei capire, più in generale, qual è lo stato di salute della magistratura contabile e come questa previsione dell'articolo 4 ne aggraverebbe eventualmente le condizioni.

DONATELLA FERRANTI. Rivolgo agli auditi un ringraziamento particolare, anche da parte del Partito democratico.
Abbiamo ascoltato rappresentanti del settore di diversa provenienza (magistrati contabili, avvocatura, dirigenti giudiziari) e da parte nostra consideriamo pienamente condivisibile quello che è stato detto.
Vorrei sollecitare una riflessione, soprattutto all'avvocatura e ai dirigenti, su alcune ulteriori discrasie che mi è parso di poter rilevare nel testo. Quando si va a modificare la legge Pinto, nel comma 3-ter - su questo punto chiedo conforto, sono anche per noi le prime letture più approfondite del provvedimento in esame - non si considerano irragionevoli, nel computo relativo a quello che prevede il comma 3, i periodi che hanno una durata diversa rispetto a quelli che si prevedono, invece, per la durata dei processi di primo, secondo e terzo grado. Per il primo grado sono rimasti i due anni, mentre per il giudizio ordinario penale, nel testo approvato dal Senato, il termine del primo grado sembra essere, per determinati reati, di tre anni.
Un'ulteriore discrasia si riscontra nel fatto che quando si va a parlare invece della norma transitoria, quest'ultima non tiene conto del termine che ha fissato il legislatore. Addirittura, mentre per la Corte dei conti - mi correggeranno se sbaglio - mi pare che si raddoppi il termine della transitoria per l'estinzione dei processi, per i processi ordinari penali la transitoria (nella nostra battaglia lo diciamo pubblicamente, la norma transitoria ha una finalità ad personam specifica) si riduce rispetto all'ordinario, perché si parla di decorsi di due anni dal provvedimento con cui il pubblico ministero ha esercitato l'azione penale.
Per quanto riguarda l'avvocatura, vorrei capire anche le loro posizioni su alcuni profili. In tutta la legislazione che sta portando avanti questa maggioranza c'è un'evidenziazione speciale riferita al cosiddetto «doppio binario». Sempre di più si sta creando una giustizia a due velocità, improntata - così sembrerebbe - a due diverse modalità anche processuali. Come


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vedete, per i reati cosiddetti «ordinari», che non rientrino cioè nell'articolo 51, comma 3-ter ed altri, si mettono dei limiti preclusivi e non modificabili, mentre per quei reati che rientrano nell'articolo 51 comma 3-bis e 3-quater (quindi quel cosiddetto «doppio binario») si lascia un'amplissima discrezionalità al giudice, cioè si lascia il giudice arbitro di valutare anche sui tempi. Quindi, mi chiedo quale possa essere il punto vista dell'avvocatura a riguardo, perché sostanzialmente non ci sono parametri di riferimento, se non vaghe affermazioni di complessità dell'accertamento.

PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica.

RENATO ROMANO, Rappresentante dell'Associazione dirigenti giustizia. Per quanto concerne la legge n. 89 del 2001, la legge Pinto, cui ha fatto riferimento l'onorevole Cinzia Capano, sicuramente l'impatto è notevole sulle corti d'appello. Come sapete, c'è un sistema di competenza incrociata. La linea di sofferenza si attesta soprattutto intorno ad alcuni capoluoghi di distretto, che hanno la sfortuna di essere competenti su distretti molto ponderosi. Io, ad esempio, lavoro a Trieste e lì abbiamo la «fortuna» di essere competenti su Trento, dove i ritmi sono piuttosto celeri, e ciononostante il carico di lavoro indotto dalla legge Pinto è arrivato a toccare il 20-25 per cento dell'insieme del carico civile, sommando contenzioso ordinario, contenzioso del lavoro e volontaria giurisdizione.
Per quanto riguarda, ad esempio, la situazione di Perugia, presso i cui uffici giudiziari lavora il collega Massimo Orzella, lì la competenza è su Roma e si arriva quasi al 50 per cento. Pertanto, il termine di 4 mesi previsto dalla legge Pinto è difficilmente osservabile. Soprattutto in alcuni contesti, questo è uno dei più forti fattori disfunzionali delle corti d'appello civili. Quindi, è difficile prevedere quale sarà la ricaduta.
Sulle misure organizzative e le politiche del personale, quando chiediamo interventi di razionalizzazione ci riferiamo soprattutto, in continuità con quanto la nostra organizzazione ha già fatto in passato, alla possibilità di un ripensamento - non difficile ma praticabile - della geografia giudiziaria, con particolare riferimento al numero degli uffici.
Noi siamo un'organizzazione che, poco più di dieci anni fa, è passata da 2.300 a 1.500 uffici, attraverso la riforma che ha istituito il giudice unico di primo grado. Siamo un'organizzazione che si è autoriformata in termini molto coraggiosi. Secondo me, non sarebbe difficile, a partire dalla dimensione molto ridotta del carico di almeno un 25-30 per cento degli 840 uffici del giudice di pace, recuperare qualche risorsa. Parlo di risorse dirette, attraverso una rimessa a disposizione del personale gravante su quegli uffici, ma anche di un costo indiretto, perché uffici molto piccoli non consentono economie di scala; un ufficio con 5 persone non costa l'1 per cento di un ufficio con 500 persone, ma costerà il 7-8 per cento.
So bene che si stabiliscono delle resistenze neo corporative molto forti però, sulla linea della possibile soppressione di 250-300 uffici del giudice di pace, secondo me ci sarebbe la possibilità di ottenere il consenso di tutti. Noi garantiamo il consenso perfino delle persone che ci lavorano. Certo, non c'è nessuno di noi, perché noi 219 dirigenti in servizio siamo negli uffici maggiori, ma perfino il personale di quegli uffici è largamente disponibile ad andare a lavorare in una condizione meno infelice. C'è il consenso di buona parte dei fori che insistono, perché è più complessa l'attività dell'avvocato. Del resto, questo è un Paese in cui ormai si fanno frequentemente trenta chilometri per andare a comprare un paio di scarpe, cento chilometri per andare da IKEA a comprare una cucina, ma tutti vogliamo il giudice dietro il portone.
Tra l'altro, in un convegno di fine giugno, ho riscontrato con piacere che perfino l'Associazione nazionale dei giudici di pace è favorevole alla soppressione di alcuni uffici. Questo per quanto riguarda le sedi.


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Dal punto di vista del personale, noi siamo adesso poco più di 40.000 addetti. Registro che siamo 219, ma dovremmo essere 360. La corte d'appello di Milano è senza dirigente, così come il tribunale di Milano. Questa è la dimensione delle nostre «scoperture», ma non voglio parlare di noi.
Non credo che ci siano compatibilità economiche tali da consentire di arrivare da 40.000 a 42, 43 o 44.000, ma questo non significa dover abdicare a qualunque prospettiva di reclutamento. Ci sono state grosse organizzazioni private in crisi, per le quali il Paese ha contribuito generosamente (penso ad Alitalia), che dopo aver ristrutturato hanno riassunto. Proprio Alitalia, infatti, recentemente ha assunto 100 hostess.
Allora, la mia preoccupazione è che la nostra organizzazione, se lasciata priva di una politica di reclutamento, finirà per invecchiare. L'età media dei dipendenti della giustizia dieci anni fa era 40 anni, adesso è 50, il che significa che abbiamo chiuso la porta in faccia a dieci generazioni. Quando ho cominciato a lavorare, il mio capo aveva 50 anni ed era il più anziano del mio ufficio; adesso io sono il capo della struttura amministrativa della corte d'appello, ho 50 anni e sono il più giovane. Questo è il paradosso: un'organizzazione di questo tipo non riesce a gestire l'innovazione, quindi vanifica anche una parte degli investimenti che fanno leva sull'uso massiccio delle nuove tecnologie. I fenomeni devono essere incrociati.
Io penso che sia realistico puntare ad una modesta revisione delle circoscrizioni giudiziarie. Nessuno pensa di abolire decine di tribunali - probabilmente non ci sono le condizioni politiche per farlo - ma si può recuperare qualche risorsa dai giudici di pace e mettere mano ad una politica di nuovo reclutamento che, senza far salire i numeri complessivi del personale a disposizione, ci metta in comunicazione con le nuove intelligenze di questo Paese. Diversamente non andremo lontano.

ESTER PERIFANO, Segretario generale dell'Associazione nazionale forense. Effettivamente, la questione della legge Pinto, così come viene posta in questa norma, è davvero singolare. La legge Pinto è pensata per fare in modo che il cittadino ottenga un indennizzo per la lungaggine dei processi. Innanzitutto, occorre far presente che questa legge non ha la medesima applicazione in tutte le corti d'appello d'Italia, nel senso che ve ne sono alcune molto oberate ed altre nelle quali, invece, alla legge Pinto non si fa ricorso.
Le modifiche proposte in questa legge, a nostro avviso, potrebbero addirittura provocare un effetto boomerang. Oggi, il cittadino che è parte in un processo di durata non ragionevole, viene a conoscenza della possibilità di richiedere un indennizzo attraverso il suo avvocato. Se dovesse entrare in vigore questa legge, l'avvocato avrebbe comunque una responsabilità professionale, nel senso che, a scanso di equivoci e di ogni ulteriore pressione futura, si sentirebbe in dovere di proporre l'istanza per la velocizzazione del processo.
Il punto è che una volta proposta l'istanza non automaticamente il processo diventa più veloce; anzi, molto probabilmente, poiché la proposizione dell'istanza sarà generalizzata, i processi continueranno la loro vita normale, così come sarebbe accaduto normalmente in precedenza.
Si direbbe che allora questa legge è inutile, che l'istanza è inutile, perché non riesce a produrre l'effetto di velocizzare il processo. Io dico di più: non solo essa è inutile, ma addirittura provoca un danno. Infatti, dopo la proposizione di una, due, tre o quattro istanze - la legge sembra prevedere una proposizione scansionata - man mano che va scadendo il termine di ragionevole durata, alla fine sarà automatico per il cittadino richiedere l'indennizzo previsto dalla legge Pinto, cosa che invece in questo momento non accade.
Come il dottor Romano ha chiaramente evidenziato, se i problemi sono più di uno, il più importante è sicuramente la mancanza delle risorse; se non si


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riesce a mettere a disposizione del servizio giustizia tutte le risorse necessarie e sufficienti per celebrare i processi, questi ultimi dureranno sempre un tempo infinito.
In secondo luogo, altrettanto importante è la revisione delle circoscrizioni giudiziarie. Il dottore è stato garbato nell'indicare alcune ipotesi. Occorre considerare che abbiamo in Italia 164 o 165 tribunali circondariali, i quali drenano un'enorme quantità di risorse umane, sia dal punto di vista del personale di cancelleria, sia dal punto di vista del personale giudiziario, perché ogni tribunale ha un presidente e un procuratore capo della Repubblica, che potrebbero essere utilizzati in maniera più ragionevole ed efficace, se ridistribuiti diversamente sul territorio nazionale. Lo stesso discorso vale per il personale di cancelleria.
Tenete conto, ad esempio, che in Piemonte - l'avvocato Rossomando lo conferma - ci sono in un unico distretto di corte d'appello ben diciassette tribunali, di cui alcuni (ovviamente noi siamo avvocati, quindi siamo abituati a calcolare i numeri sui nostri numeri) contano ordini degli avvocati che hanno 70-80 iscritti. Se considerate che a Roma ci sono 22.000 iscritti, potete avere un'idea di quello che significa la distribuzione delle risorse.
Quindi, abbiamo delle risorse assegnate al tribunale piemontese che conta 70 iscritti e praticamente non le stesse risorse, ma quasi le stesse in percentuale assegnate al tribunale di Roma. Abbiamo comunque un presidente del tribunale piemontese e un presidente del tribunale di Roma, un procuratore della Repubblica piemontese e un procuratore della Repubblica di Roma.
La revisione delle circoscrizioni giudiziarie sarebbe fondamentale e potrebbe rappresentare un sistema per recuperare risorse vere - non finte - che in tempi grami come questi non si sa dove andare a recuperare.
Addirittura il dottor Romano ha appena confermato che i giudici di pace e i loro dipendenti sarebbero favorevoli a una ridistribuzione delle risorse.

PALMA BALSAMO, Componente del direttivo dell'Associazione nazionale forense. Presidente, vorremmo rispondere anche agli altri quesiti. Era stata evidenziata una discrasia nei termini di durata indicati dagli articoli 1 e 5. Entrambi sono definiti termini di durata ragionevole, quindi probabilmente da questo deriva l'equivoco, però nell'articolo 1 si tratta dei termini oltre i quali è possibile ottenere un risarcimento del danno ai sensi della legge Pinto, mentre nell'articolo 5 si tratta di termini più ampi, ma si comprende perché dalla loro violazione deriva addirittura una conseguenza tranchant come l'estinzione del processo penale. Naturalmente, si creano delle confusioni all'interno dello stesso provvedimento normativo, laddove si definiscono termini di durata ragionevole entrambi, mentre ovviamente sono termini diversi.
Quanto alla giustizia a doppio binario, cioè il fatto che per i reati meno gravi si abbiano dei termini rigidi, perentori e prefissati, mentre per i reati più gravi è data una discrezionalità al magistrato di prorogarli entro un certo limite, noi non contestiamo il fatto che il giudice possa aumentarli nel caso di complessità processuale della vicenda. Contestiamo invece, in primo luogo, il fatto che si possano avere dei termini predeterminati, i quali, quando portano a un processo che può durare oltre dieci anni, legittimano in qualche modo un processo che è tutto fuorché ragionevole.
In secondo luogo, ci preoccupa il fatto che il magistrato, proprio per arrivare alla conclusione entro il termine prefissato, quindi non rinunciare alla propria potestà cognitiva, effettui un diniego, rigetti le istanze istruttorie delle parti, pregiudicando in questo modo l'attività di difesa, a tutto scapito dell'approfondimento sulla responsabilità e sul fatto.

PRESIDENTE. Concluderanno i rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati della Corte dei conti, ai quali


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era stato rivolto, in particolare, un quesito da parte dell'onorevole Palomba.

TOMMASO MIELE, Vice presidente dell'Associazione magistrati della Corte dei Conti. Rispondo brevemente, perché ci rendiamo conto di aver forse abusato della vostra pazienza. Ci si chiede qual è la nostra valutazione circa la possibilità per la Corte di definire i processi entro i termini previsti dalle disposizioni contenute attualmente nel disegno di legge, e qual è lo stato di salute della giurisdizione contabile.
Sicuramente noi condividiamo l'esigenza di accelerare il processo, però nell'attuale previsione non sono contemplate misure per assicurare la ragionevole durata dei processi, se non - come diceva appunto il rappresentante dei dirigenti - la sanzione dell'estinzione.
La Corte ha già affrontato in passato una riforma della giurisdizione contabile, addirittura con il decentramento della giurisdizione contabile a organico invariato. Oggi la nostra grave preoccupazione - attualmente c'è una «scopertura» di organici del 25 per cento per i magistrati, ma entro il 30 novembre, a seguito della manovra, magari ci saranno molti colleghi che andranno in pensione - è che questa autodisciplina per contenere entro i termini sicuramente ragionevoli i processi in corso non sia sufficiente. Certamente, la Corte ci mette tutto l'impegno, però riuscirci non sarà facile se non si interviene con misure che consentano di agevolare il rispetto di questi termini.
Ribadisco che condividiamo e riteniamo ragionevoli i termini previsti, ma occorre prevedere quelle misure di cui parlavamo prima, cioè prevedere sicuramente che, nel computo della durata del termine, non vengano previste le cause obbligatorie di sospensione per i giudizi incidentali (quelli di costituzionalità o per il regolamento preventivo di giurisdizione), perché ciò significherebbe davvero decapitare i processi. Inoltre, soprattutto sollecitiamo la modifica della norma sulla durata dell'appello, sulla individuazione del dies a quo per la durata del processo di appello, perché ciò significherebbe davvero decapitare la nostra giurisdizione.
Come veniva prima ampiamente detto, addirittura in quel caso si fa decorrere il termine da un momento che è addirittura «esoprocedimentale», al di fuori del processo di appello, il che sembra veramente irragionevole.

EUGENIO FRANCESCO SCHLITZER, Segretario generale dell'Associazione magistrati della Corte dei conti. Resta il discorso della norma transitoria. Bisogna ringraziare l'onorevole Ferranti per la domanda, perché ci permette anche di evidenziare - l'aveva già fatto il collega Miele, nel suo intervento iniziale - che la norma transitoria è monca. In altre parole, c'è una norma transitoria per il primo grado che è di cinque anni, ossia il giudizio si deve concludere entro cinque anni nel primo grado, altrimenti si estingue. Bene, se si è concluso il primo grado nei cinque anni, e quindi non c'è la sanzione, in appello qual è la norma transitoria?
Noi non abbiamo una norma transitoria che salvaguardi i processi in appello: questo è gravissimo, perché sia le carenze dell'organico attuale sia il probabile esodo, cui faceva riferimento il collega all'inizio, dei magistrati attualmente in servizio renderebbero molto probabile che quei due anni per i processi pendenti non bastino.
Su questo richiamo l'attenzione della Commissione, anche perché questa normativa si inserisce in un precedente contesto della legge Brunetta, che ha enormemente aggravato, soprattutto sotto il profilo della procura, la possibilità di esperire rapidamente l'azione di responsabilità. Questo comporterà per i magistrati che verranno in servizio ulteriore lavoro. Le energie sono veramente esigue rispetto alle esigenze.
La presenza di una norma transitoria anche per l'appello è essenziale.


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PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi. Abbiamo svolto un'audizione assolutamente esaustiva anche perché - e di questo li ringrazio - tutti gli auditi hanno consegnato un documento scritto. Le audizioni, come sapete, proseguiranno domani. Anche domani ascolteremo interlocutori autorevoli, quindi prego i gruppi di essere presenti, come oggi, in maniera significativa. I documenti che sono stati oggi depositati sono in distribuzione e quanto detto risulterà nel resoconto stenografico della seduta odierna.
Nel ringraziare ancora i nostri ospiti, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,30.

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