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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione II
7.
Martedì 15 febbraio 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Follegot Fulvio, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA ATTUAZIONE DEL PRINCIPIO DELLA RAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO

Audizione del presidente della corte d'appello di L'Aquila, Giovanni Canzio, del presidente della corte d'appello di Venezia, Manuela Romei Pasetti, e del procuratore aggiunto della DDA di Reggio Calabria, Nicola Gratteri:

Follegot Fulvio, Presidente ... 3 15 17 23
Bernardini Rita (PD) ... 15
Canzio Giovanni, Presidente della corte d'appello di L'Aquila ... 8 17
Capano Cinzia (PD) ... 15
Ferranti Donatella (PD) ... 16
Gratteri Nicola, Procuratore aggiunto della DDA di Reggio Calabria ... 13 17 22
Napoli Angela (FLI) ... 17
Romei Pasetti Manuela, Presidente della corte d'appello di Venezia ... 3 20
Samperi Marilena (PD) ... 17
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONE II
GIUSTIZIA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 15 febbraio 2011


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
FULVIO FOLLEGOT

La seduta comincia alle 11,40.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).

Audizione del presidente della corte d'appello di L'Aquila, Giovanni Canzio, del presidente della corte d'appello di Venezia, Manuela Romei Pasetti, e del procuratore aggiunto della DDA di Reggio Calabria, Nicola Gratteri.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame della proposta di legge C. 3137, recante misure contro la durata indeterminata dei processi, l'audizione del presidente della corte d'appello di L'Aquila, Giovanni Canzio, del presidente della corte d'appello di Venezia, Manuela Romei Pasetti, e del procuratore aggiunto della DDA di Reggio Calabria, Nicola Gratteri.
Do la parola alla dottoressa Manuela Romei Pasetti, presidente della corte d'appello di Venezia.

MANUELA ROMEI PASETTI, Presidente della corte d'appello di Venezia. Ringrazio il presidente e gli onorevoli membri della Commissione e mi scuso se un lavoro che, se programmato per tempo, avrebbe potuto essere più preciso da parte mia, è stato ridotto ai minimi termini, in modo da delineare quello che potrà essere l'effetto di questo provvedimento.
Sono partita dal concetto che al fine di valutare l'impatto legislativo di una norma o comunque di un assetto legislativo sia necessario sapere quali effetti produrrà. Non so se esista un ufficio legislativo come in altri Stati che prima della proposta valuti l'impatto legislativo, perché sarebbe infatti necessario capire quali saranno gli effetti prodotti.
Se c'è la possibilità di avere una fotografia di quanto avverrà nei vari distretti, già è un passo avanti, anche se ovviamente gli strumenti che noi abbiamo a disposizione per le rilevazioni ministeriali non sono raffinati e i nostri metodi di analisi non sono fatti da tecnici, giacché ci improvvisiamo a fare praticamente tutto.
Sono partita dal concetto delle corti d'appello e mi sono interessata alle problematiche della Corte con riferimento al primo grado, perché le corti d'appello costituiscono il collo di bottiglia della giurisdizione e dei tempi del processo.
È necessario affrontare i profili organizzativi e prima di tutto le problematiche che attengono alla revisione della geografia giudiziaria, perché nell'andamento che conduce alla celebrazione di cause civili dopo almeno cinque anni di appello e alla prescrizione di un grande numero di processi penali non giova il fatto che la geografia giudiziaria non sia mai stata


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analizzata e non sia mai stata paragonata al territorio, non solo al numero degli abitanti ma anche a quanto si produce, al numero delle imprese e al flusso civile e penale degli affari.
Per quanto riguarda il distretto e la corte d'appello di Venezia, abbiamo un distretto assolutamente sottodimensionato quanto a organici perché abbiamo flussi di lavoro enormi cui fanno fronte pochissimi magistrati. La corte d'appello di Venezia ha 1 magistrato ogni 95.000 abitanti, Milano 1 ogni 48.000 abitanti pur avendo il nostro stesso tessuto produttivo, Bologna 1 ogni 70.000. Peggio di noi è solo la corte d'appello di Brescia, mentre la corte d'appello di Trento ha 1 consigliere ogni 31.000 abitanti.
Gli organici del personale amministrativo, che sono fondamentali in questa normativa, sono altrettanto esigui: Napoli ha 271 unità, Torino 177, Venezia 112. Tra questi 112 ci sono scoperture terribili. Il distretto ha una scopertura di personale amministrativo del 12 per cento, la corte d'appello di Venezia del 33 per cento.
Alla corte d'appello di Venezia ogni anno per quanto riguarda il penale arrivano in media 3.800 impugnazioni, sebbene quest'ultimo anno ne siano arrivate 5.100. Di queste 3.800 impugnazioni riusciamo a celebrare 2.000 processi all'anno oltre alle pronunce di prescrizione, il cui numero dipende dagli anni perché adesso abbiamo fatto una grossa revisione del nostro pacchetto di giacenza, ma che può comunque oscillare tra 1.700 e 2.000.
I procedimenti effettivi sono 2.000, di cui 500 in media quelli per i detenuti. Ogni anno quindi sui 3.800 che arrivano celebriamo 500 processi per detenuti, 1.500 ordinari oltre queste prescrizioni. Questo significa che 1.800 procedimenti sono destinati all'ammasso cioè al grosso cumulo grigio, che ora ha creato per Venezia una pendenza di 10.752 procedimenti.
Questa massa di procedimenti è garantita da 13 consiglieri sulla carta (abbiamo scoperture enormi) e 3 presidenti di sezione, che hanno una produttività altissima perché, a fronte di 84-85 processi a testa come a Milano, ne facciamo 220-223 a testa. Non abbiamo quindi la possibilità di spingere ulteriormente sulla produttività dell'organico.
Eliminati i procedimenti a carico di detenuti, che vanno trattati con tempestività per evitare la decorrenza dei termini di custodia cautelare, facciamo ricorso ai criteri di priorità, alle segnalazioni da parte delle procure dei procedimenti la cui trattazione è più urgente, che tengono presente come parametro il tipo di reato commesso, l'impatto sociale, le ragioni delle parti lese.
Il giudizio di appello si presenta quindi perennemente come ostacolo alla spedita trattazione dei procedimenti quand'anche i procedimenti appellati arrivassero tempestivamente in secondo grado. Lo chiamiamo tutti «collo di bottiglia» anche perché quando viene pronunciata una sentenza di primo grado, il procedimento non arriva meccanicamente in Corte d'appello. Presso i nostri uffici ci sono mediamente 272 o 273 giorni prima che il procedimento dal primo grado arrivi in appello, il che significa quasi un anno.
Vi consegnerò tabelle precise, ma mi pare che più del 12 per cento dei procedimenti arrivi ad oltre un anno dalla pronuncia della sentenza di primo grado, che è la data di riferimento per calcolare il periodo in cui il processo dovrebbe esaurirsi in Corte d'appello, quindi praticamente ci mangiamo un anno (272-273 giorni) in questo modo. Del resto, arrivano più tardi i procedimenti più gravi, che hanno bisogno di notifiche particolari e che non si riescono a svolgere in termini veloci.
Se poi consideriamo la pendenza dell'ultimo biennio, ci sono stati 241 procedimenti in cui la sentenza di primo grado è stata pronunciata nel 2010, 2.500 nel 2009, 2.761 più indietro. A fronte di una capacità di produttività lavorativa di 2.000 procedimenti, negli ultimi due anni potremo fare al massimo 1.500 procedimenti più 500 per i detenuti.
Se entra in vigore la legge per la quale non c'è norma transitoria per il processo di appello, il resto dovrebbe


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essere dichiarato processualmente prescritto, ma intanto marcia la prescrizione sostanziale. Verranno inoltre affrontati i processi più facili, perché si presenteranno al giudizio di appello più velocemente, ma mi chiedo cosa farò quando avrò formato i ruoli e arriverà un grosso processo: dovrò forse revocare il decreto di citazione per il processo già fissato. Questi sono comunque dettagli, anche se incidono sulla gravità dei processi da trattarsi in appello.
Abbiamo 10.752 procedimenti, situazione disperata per cui è importante che siano stabiliti tempi e organizzazione, che sia rivisto il processo in una generale rivisitazione della situazione ordinamentale e normativa. Quando facciamo i ruoli secondo i criteri di priorità abbiamo una parte destinata ai procedimenti con i detenuti, una parte destinata ai processi importanti arrivati da poco e almeno un terzo di processi del passato.
Ovviamente questo non potremmo farlo più, quindi 10.752 procedimenti più almeno 1.800 procedimenti all'anno saranno destinati alla prescrizione sostanziale.
Per quanto riguarda il giudizio di appello ho espresso considerazioni precise perché far sì che non ci sia possibilità neppure di estrapolare quei procedimenti che hanno una gravità all'interno del sistema e che vengono visti dalla collettività come necessariamente da sottoporre al giudizio del magistrato mi sembra una scelta estremamente seria e grave.
La conseguenza sull'arretrato sarà la prescrizione sostanziale di tutti i procedimenti risalenti già pendenti, e ci sarà una specie di affannosa ricerca di trattazione dei nuovi procedimenti entro il termine biennale.
L'affannosa trattazione deve fare i conti con il primo grado. Cerchiamo di capire l'impatto legislativo con riferimento agli altri gradi del giudizio. Se analizziamo i procedimenti penali iscritti presso i tribunali e le sezioni distaccate, attualmente il numero è diminuito leggermente, ma ci sono pendenti a fine periodo 83.000 processi nel distretto Veneto.
È anche diminuita leggermente la definizione perché abbiamo avuto moltissime scoperture e abbiamo questo gap. La definizione dei tribunali del distretto è individuata a decorrere dalla data di registrazione in tribunale. Attualmente le statistiche non individuano la data che viene presa come punto di riferimento per la pronuncia di prescrizione processuale, che è la formulazione dell'imputazione da parte dei PM, e il nostro sistema di analisi del tempo inizia dalla registrazione in tribunale.
Nel nostro distretto buona parte dei processi si conclude entro tre anni. Per quanto concerne quelli con rito monocratico, il 62 per cento si definisce oltre i sei mesi, tra sei mesi e un anno il 16 per cento, tra un anno e due anni il 14, oltre i due anni il 6 per cento. Poi ci sono i GIP e il tempo impiegato presso le Procure per arrivare dal momento della formulazione dell'imputazione all'udienza GIP.
Se quindi sommiamo il tempo di tre anni - facciamo che tutti vengano fatti nei tre anni -, il tempo presso il GIP e il tempo presso il PM, praticamente in primo grado si riusciranno a fare soltanto i procedimenti che si concludono entro un anno, forse un anno e mezzo.
Esistono anche i riflessi che conducono alla mutazione genetica del processo, del giudice e dell'avvocato, perché ritengo che in primo grado, di fronte alla richiesta di un'analisi probatoria più approfondita, avremo da una parte il giudice che deve pronunciare la sentenza entro un certo periodo e dall'altra l'avvocato che invece ha tutto l'interesse a dilatare i tempi. Si creerà quindi un ulteriore momento, non voglio dire di scontro, ma di contrasto nella logica del processo, mentre questo dovrebbe essere logicamente indirizzato a creare un'unitarietà di intenti.
Abbiamo molto lavorato con l'Avvocatura in questo senso e mi meraviglia capire dai giornali come l'Avvocatura non abbia una precisa cognizione di quello che sarà l'atteggiamento conflittuale all'interno del processo. Questa è una cosa estremamente grave.


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Desidero citarvi un dato molto serio. Nel distretto Veneto oggi sull'indotto annuale di giustizia si prescrive il 12 per cento presso il GIP e GUP, il 5 per cento presso il tribunale e il 38 per cento in appello. Nel segmento processuale che va dalla celebrazione dibattimentale alla conclusione del processo di secondo grado su 16 procedimenti iniziali già scremati si prescrivono 2.900 procedimenti, il 18 per cento.
Questo significa che già ora vanifichiamo un quinto del lavoro delle forze di polizia, dei magistrati, del personale amministrativo che opera nel distretto, e ovviamente la spesa di denaro pubblico segue questo discorso, ma molto inquietante è il fatto che non si renda giustizia nel 20 per cento dei casi.
Se questo 20 per cento diventerà un 80 per cento perché ovviamente in appello il collo si chiude, faremo solo 2.000 dei procedimenti che arrivano in secondo grado, che attualmente sono 3.800, per cui il problema sarà ancora più grave e non avremo la possibilità del ripescaggio di quei reati e di quelle situazioni che sono gravemente all'attenzione dell'opinione pubblica oltre che nella nostra individuale coscienza.
La questione della prescrizione già in atto ha prodotto una mutazione del sistema e una sua irrazionalità perché negli anni il numero dei procedimenti impugnati in Corte d'appello è molto aumentato, perché nel momento in cui si sa che la Corte d'appello notoriamente farà fronte a quel numero di pronunce, tutti sperano nella prescrizione e hanno ragione di sperare perché ne prescriviamo moltissimi.
Per fare un ragionamento grossolano, perché eventualmente a noi poi sarà demandato il giudizio e non voglio confrontarmi con problemi costituzionali e di integrazione del sistema, credo che non si possa continuare a pensare che l'erogazione della sanzione penale sia un magico deterrente che trattiene dal delinquere. I reati vengono commessi ugualmente e bisogna non delegare più al giudice penale la valutazione di comportamenti che dovrebbe essere attribuita in modo efficace e tempestivo ad altri organismi istituzionali. Non penso alla sanzione amministrativa, perché questa si converte in un aggravio del civile, perché poi in sede di opposizione c'è il ritorno negativo sul civile.
Bisogna trovare una soluzione normativa di fondo, perché un numero così elevato di prescrizioni non è una situazione ottimale e deve essere cercata la soluzione di questo problema, che però non è la decapitazione dei processi.
Credo che tutto questo ragionamento, che sono contenta abbiate finalmente deciso di conoscere, non faccia credito alla istituzionalità della magistratura e all'istituzione Stato. Bisognerebbe cominciare a riflettere sull'intervento penale riservato a lesioni di beni sociali primari, considerando che tutti i Paesi europei hanno un diverso atteggiamento nei confronti della miscellanea, di quelli che noi chiamiamo reati da poco.
Passando al civile la situazione è ancora più drammatica. Al civile la contropartita è l'equa riparazione e lo Stato deve sborsare. Dal giornale ho appreso che siamo già arrivati a 82 milioni di euro nel globale dello scorso anno.
In corte d'appello di Venezia la media dei procedimenti civili che si iscrive è oltre 4.000 processi. Quest'anno, per la prima volta nella storia della Corte, a seguito di una grossa riorganizzazione, siamo riusciti a farne più della sopravvenienza, però abbiamo una pendenza, cioè i processi che si stanno facendo, di oltre 15.000 procedimenti, escluso il settore lavoro.
Queste cause civili si esauriscono in tempi veramente biblici. La difficoltà della resa di giustizia nelle corti d'appello è macroscopica. Nel 2009 abbiamo definito 748 procedimenti iscritti nel 2004, 216 nel 2003, solo 20 riferibili al 2009 e 102 al 2008. La nostra media in previsione è di quattro anni e mezzo o cinque, mentre sull'effettivo è tre anni e otto mesi, perché quando si fa il calcolo in prospettiva abbiamo cause già iscritte al 2016, nonostante


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siamo rientrati dal 2017 che tre anni fa rappresentava la data di rinvio dei procedimenti.
Questo miglioramento non condurrà comunque alla pronuncia della sentenza entro due anni. Se poi parliamo di lavoro, la percentuale di procedimenti che si trattano in tempi superiori ai due anni è l'84 per cento. Se quindi consideriamo che l'equa riparazione definisce il tempo trascorso tra la data di iscrizione e la data di deposito del provvedimento che superi quel periodo così limitato, già sappiamo di sottoporre lo Stato a una spesa enorme. Una norma stabilisce che il Ministero dell'economia e delle finanze possa valutare le conseguenze di questi esborsi.
In primo grado quest'anno la pendenza finale si è aggravata e i tempi di definizione nei tribunali presentano una sofferenza riferibile ai procedimenti monocratici, perché solo 666 si definiscono nello stesso anno, mentre quest'anno oltre 3.000 hanno riguardato procedimenti iscritti nel 2007, nel 2006 e nel 2005. Ci stiamo dunque cimentando con procedimenti che in primo grado già durano ben oltre i due anni previsti.
Nella carrellata di dati che ho raccolto bisognerebbe introdurre tempi del processo certi, cercando però di muoversi a priori. Non è possibile andare avanti con quella che definisco «panpenalizzazione cieca», senza alcuna distinzione della qualità di sanzione per ogni comportamento contrastante con un divieto.
Lo strumento del giudice di pace dovrebbe essere diversamente regolato: dovrebbe essere previsto un giudizio di equità senza strettoie processuali e le parti potrebbero presentarsi davanti al giudice di pace con l'assistenza del difensore. Se quindi affidassimo i procedimenti di ridotto valore a un sistema processuale che non producesse ingorgo nei gradi successivi, potremmo già avere fatto un passo importante.
In Italia sono pendenti da 850.000 a 2 milioni di controversie condominiali a seconda del metodo di stima, ma mi chiedo se possiamo permetterci tre gradi di giudizio per questo tipo di controversie.
Un profilo rilevante riguarda la motivazione della sentenza, che è frutto di analisi in un altro progetto di legge. Dal punto di vista dell'operatività di un veloce giudizio, bisogna lavorare molto su questo, e dovrebbero lavorarci il Consiglio Superiore e la Cassazione in particolare, che normalmente interviene con annullamenti che ci costringono successivamente a motivazioni smisurate.
È prevista anche l'assunzione di giudici onorari aggregati (GOA). Hanno dato un pessimo risultato: le cause si sono prolungate di cinque anni in media, come ho potuto constatare personalmente prendendo le date, dal momento di affidamento ai giudici a stralcio delle cause civili.
Sotto il profilo organizzativo, se le risorse umane non vengono riequilibrate sul territorio, se i giudici e il personale amministrativo vengono ancora assegnati, come in questo momento, secondo logiche ottocentesche, non arriveremo a niente.
Ritengo anche che i metodi informatici debbano essere diffusi sul territorio, leggibili in termini generali e moderni. Forse, con una riforma alla base non saremmo qui a occuparci di prescrizioni perché, ammesso che possano esistere una prescrizione sostanziale e una prescrizione processuale, la prescrizione rappresenta lo Stato che abdica alla sua funzione di rendere giustizia.
Il problema risiede in questa sorta di schizofrenia per cui da un lato si afferma che procedimenti modesti devono avere la sanzione penale, dall'altro, dopo avere ingolfato cancellerie, personale amministrativo - una prescrizione costa tutto il lavoro fino al momento in cui si prescrive e poi il lavoro per la prescrizione che significa personale amministrativo e notifiche - si dichiara che questo intervento non potrà essere attuato.
È veramente una disperazione lavorare in una corte d'appello, perché non solo abbiamo le responsabilità del nostro ufficio, sorta di mattone che per il civile


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elimina la possibilità di avere una causa in tempi ragionevoli e per il penale di essere giudicati come lo Stato dice si dovrebbe, ma abbiamo anche la grande responsabilità nei confronti del distretto in termini di organizzazione.
Questo causa scoramento e poco entusiasmo e rischia di mutare geneticamente il giudice, che diventa burocrate di quanto gli viene assegnato: non può avere una mentalità organizzativa e appropriarsi di sistemi in grado di accrescere l'efficienza del sistema.

GIOVANNI CANZIO, Presidente della corte d'appello di L'Aquila. Ringrazio molto la Commissione per aver voluto inaugurare questo ciclo di audizioni e per aver accettato questo confronto dialettico con quelli che lavorano quotidianamente sul campo. È infatti il lavoro dei giudici ascoltare le ragioni degli uni e degli altri.
Credo che qualsiasi itinerario di riforma debba essere misurato sotto il profilo della razionalità empirica, pragmatica, ovvero che ne vadano valutati l'impatto sui modi e sui tempi di funzionamento dell'intero sistema, i costi, gli effetti sotto i profili dell'organizzazione della giurisdizione penale, provvedendo eventualmente anche a un'analisi economica degli obiettivi e dei prevedibili risultati.
Sottoporrò quindi alla vostra attenzione alcune riflessioni che nascono dalla mia esperienza ormai quarantennale e oggi di presidente della corte d'appello dell'Aquila, con riguardo alle disposizioni normative che disciplinano a regime il meccanismo della prescrizione processuale. Credo che sulla disposizione transitoria, come sempre è avvenuto, il legislatore operi scelte di politica fortemente discrezionali, che poi eventualmente possono essere sottoposte alla Corte Costituzionale solo sotto il profilo dell'arbitrarietà e della ragionevolezza. È però la regolamentazione a regime, cioè l'articolo 5 dell'attuale articolato, che oggi deve imporci una serie di attente riflessioni.
Dal 2006 al 2008 ho fatto parte della Commissione per la riforma del codice di procedura penale, presieduta dal professor Riccio e composta dai professori Caprioli, Ruggeri, Giostra, Zappalà, Spangher, da numerosi magistrati e avvocati, i cui lavori sono stati ispirati a quello che abbiamo definito il principio del «garantismo efficientista». Una bozza di delega per la riforma del codice penale con criteri e princìpi direttivi è stata sottoposta al Governo nel dicembre 2007 e recepita nel marzo 2008.
In quel lavoro di sistema a trecentosessanta gradi si prendeva atto della crisi di autorevolezza del processo penale, del collasso dell'organizzazione del processo penale e anche della sua irragionevole durata, si sottolineavano le cause e le responsabilità di ciò che era successo a partire dall'entrata in vigore di quello che chiamiamo ancora il «nuovo codice» di procedura penale, sebbene risalga al 1988. Si regolamentò inoltre l'istituto della prescrizione processuale con la direttiva 1.6 di quella bozza che vi leggerò: «Divieto di dichiarare nel corso del processo la prescrizione del reato, salvo che prima dell'esercizio dell'azione penale non sia già decorso il tempo necessario; previsione di termini di durata massima delle fasi e dei gradi del processo tenuto conto della particolare complessità; casi tassativi di sospensione dei termini; prescrizione del processo per violazione dei termini; prevalenza del proscioglimento nel merito sulla prescrizione del processo».
Dopo lunghissime discussioni e un dibattito approfondito, all'interno della Commissione si era tutti consapevoli che la prescrizione processuale, se vista nella sua eccezionalità e straordinarietà, può funzionare come agente terapeutico, perché può sollecitare efficienza e rigore organizzativo. Tutti sottolineammo però che la prescrizione processuale è un agente patogeno, non terapeutico per il processo, se non è vista come un esito assolutamente raro e straordinario.
Essa induce infatti le difese a premialità di fatto, scoraggia quindi le premialità trasparenti e legali dei riti alternativi, che sono l'alter ego del processo di stampo accusatorio, laddove l'accusatorio può funzionare in quanto funzionano gli alternativi,


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ma, se non funzionano gli alternativi, non funzionerà neppure questa scelta di fondo del rito accusatorio.
Essa incentiva inoltre tecniche dilatorie, implementa oltre ogni misura le impugnazioni in vista di quell'esito proscioglitivo. La Commissione, nel redigere la bozza di legge delega, si preoccupò quindi di predisporre una serie di opportuni e indispensabili contrappesi a questo che venne considerato come un agente potenzialmente patogeno.
Tali contrappesi consistevano innanzitutto nello sterilizzare la prescrizione del reato dopo l'esercizio dell'azione penale, perché già la nostra prescrizione di tipo sostanziale del reato non ha uguali in nessuna altra parte del mondo. Nel resto del mondo lo Stato che decide di esercitare l'azione penale attraverso i suoi organi non si vede prescritto il reato per il quale procede, perché ha mostrato la volontà di voler procedere in ordine a quello.
È necessario quindi sterilizzare la prescrizione del reato dopo l'esercizio dell'azione penale; irrobustire fortemente le premialità negoziali con misure larghe e trasparenti all'interno dei riti alternativi; prevedere rigorose preclusioni endoprocessuali in tema di competenza e di invalidità degli atti; semplificare avvisi, comunicazioni e notificazioni a parti e difensori; eliminare radicalmente, come pretende anche la Corte europea dei diritti dell'uomo, il giudizio contumaciale a favore dell'istituto dell'assenza consapevole e informata dell'imputato; prevedere casi di inammissibilità de plano delle impugnazioni manifestamente infondate o aspecifiche; ridurre le impugnazioni incidentali.
È necessario, inoltre, relativizzare i termini di fase e di grado sulla base non della gravità del reato, ma della particolare complessità della ricostruzione probatoria del fatto o della pluralità degli imputati e delle imputazioni, come ci dice la giurisprudenza della Corte europea; rafforzare i poteri della persona offesa come vittima del reato dentro il processo; enunciare il dovere di lealtà processuale delle parti nel processo; prevedere fattispecie tassative di sospensione dei termini di fase in ogni caso oggettivo e non imputabile al resto delle attività processuali.
Si tratta quindi di undici warning, avvisi al navigante, che dovrebbero caratterizzare una riforma a trecentosessanta gradi del sistema processuale penale.
Nel fare una valutazione empirica e pragmatica dell'articolo 5 della proposta di legge C. 3137, che novella l'articolo 532-bis del codice di procedura penale, non ho avvertito il largo respiro della visione d'insieme del sistema, perché non viene menzionato nemmeno uno degli undici necessari contrappesi di cui occorre farsi carico.
In difetto dei contrappesi, la prescrizione funziona solo come agente patogeno e può comportare il rischio del collasso e della perdita di autorevolezza della giurisdizione penale, programmando una fine scontata, quindi non più straordinaria e eccezionale ma ordinaria e tipica, del processo penale per il mero decorso del tempo.
Quella che, se razionalmente organizzata, dovrebbe essere una conclusione straordinaria ed eccezionale, perché fallisce la funzione primaria della funzione cognitiva dell'accertamento e della ricostruzione probatoria dei fatti, perché c'è la sconfitta dell'attesa di verità delle vittime del reato e di giustizia della collettività, della comunità di riferimento, viene invece disciplinata come uno dei tipici e ordinari esiti proscioglitivi, e l'imputato avrà ben diritto di tendere a questo esito nel momento in cui lo si pone nello sfondo.
Non ho nulla da dire nei confronti di questa ansia contrapposta dell'avvocato della difesa o dell'imputato: sarà suo diritto tendere all'esito proscioglitivo, sia pure anomalo.
Aumenta ulteriormente la distanza della nostra disciplina rispetto all'apparato di tutela riconosciuto dalle fonti convenzionali e sovranazionali alla vittima del reato, alla persona fisica che ha subìto il pregiudizio da quelle violazioni del diritto penale riconosciuto da uno Stato membro.


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Faccio riferimento alla decisione quadro n. 220 del 15 marzo 2001 del Consiglio dell'Unione europea, relativa alla posizione della vittima del procedimento penale, per la cui attuazione anzi la legge comunitaria 2009 ha previsto criteri e princìpi direttivi di attuazione con decreti legislativi. Lo stesso Trattato di Lisbona menziona espressamente, per la cooperazione giudiziaria in materia penale, i diritti delle vittime della criminalità nel processo.
Mi soffermo anche su alcune anomalie, in parte già opportunamente sottolineate dalla collega Romei Pasetti, che riguardano i termini di cui all'articolo 5 per quanto riguarda le fasi impugnatorie, l'appello e la Cassazione. Per il primo grado già vi è stato detto che occorre tener conto dei termini di avvio del procedimento dalla procura al giudice, dei termini dell'udienza preliminare; ma vorrei sottolineare come la scansione dei termini delle fasi impugnatorie sia irrealistica, contrastante con la realtà vissuta quotidianamente da chi celebra i processi nelle fasi di impugnazione.
Questi termini di due anni e di un anno e mezzo per appello e Cassazione, decorrono dalla pronuncia della sentenza di primo grado, da quella di appello. Questi termini non sono congrui perché pretermettono completamente i tempi tecnici necessari per l'avvio del processo di appello. Si tratta innanzitutto dei termini del deposito e della pubblicazione della motivazione della sentenza, perché pronunciare una sentenza significa leggere il dispositivo, dopodiché decorrono dei termini per il giudice scanditi diversamente dalla norma, che possono arrivare anche a oltre 90 giorni, previa autorizzazione per la pubblicazione della motivazione del provvedimento.
Devono essere inoltre considerati i termini degli avvisi alle parti che la sentenza è stata depositata e pubblicata, i termini concessi alle parti per depositare l'atto impugnatorio principale o incidentale, i termini perché il fascicolo venga trasmesso dal giudice a quo al giudice ad quem, i termini per il caricamento dei dati nei Re.Ca, i registri della corte d'appello dell'ufficio di pervenienza, sistema di registrazione informatica assolutamente obsoleto, vetusto, per cui molti dati vengono caricati manualmente.
A questi si aggiungono: il termine per i magistrati addetti allo spoglio dei fascicoli per valutarne portata, termini e carcerazione, i termini per il presidente della sezione per fissare l'udienza, i termini per la Cancelleria per citare le parti. Da uno screening effettuato nei pochi giorni che ho avuto a disposizione - lascerò alcune note in cui questi dati vengono riassunti - questi termini si possono complessivamente riassumere in 8-10 mesi, a volte anche un anno, per cui i due anni del giudizio di appello in realtà non sono due anni reali.
Tutto questo andrà a caricarsi sul giudizio di Cassazione, perché in quell'anno e sei mesi bisognerà considerare tutti i termini per la trasmissione del fascicolo dal giudizio di appello al giudizio di Cassazione. La cancelleria della corte d'appello dell'Aquila impiega 8-10 mesi prima di trasmettere il fascicolo alla Corte di cassazione. Occorrerà quindi detrarre tra un terzo e la metà dei termini assegnati dall'articolo 5.
Consegno sul punto sia le relazioni che ho tenuto per l'inaugurazione dell'anno giudiziario nel 2010 e nel 2011, in cui mi sono permesso di esprimere un giudizio pacato ma fermamente critico sulla portata del testo del provvedimento come uscito dal Senato il 20 gennaio 2010, sia la nota dei direttori amministrativi della cancelleria penale della corte d'appello.
Ciò che colpisce nell'articolato che oggi si presenta alla nostra lettura è che la novella legislativa ignora completamente quello che ormai delineano tutti gli studiosi del processo penale, dai giuristi agli studiosi di analisi economica del diritto e agli studiosi governativi, (perché faccio riferimento alla Commissione tecnica presso il Ministero dell'economia e della finanza, agli studi della Ragioneria Generale dello Stato, agli studi della Banca d'Italia, a tutti i discorsi inaugurali degli


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ultimi anni dei Presidenti della Corte Suprema di Cassazione e dei Presidenti delle corti d'appello).
Come vi è stato già opportunamente evidenziato dalla presidente Romei Pasetti, questi delineano la priorità delle priorità e cioè i temi dell'organizzazione della macchina giudiziaria. La prescrizione processuale di per sé non produce effetti miracolistici sulla durata del processo.
Abbiamo già rilevato come questa sia un agente patogeno senza i contrappesi. Ma anche a voler considerare tutti gli undici contrappesi indicati, occorre incidere profondamente sui deficit, sui gap strutturali del funzionamento della macchina processuale secondo i criteri che ci sono stati insegnati dalla scienza dell'organizzazione applicata, con riguardo all'irrazionale distribuzione delle risorse umane e materiali e quindi alla sperequata gestione dei carichi di lavoro, alla revisione della geografia giudiziaria, alla dimensione ottimale degli uffici.
La Francia ha provveduto in meno di un anno, tra il 2008 e il 2009, a una profonda revisione della geografia giudiziaria per oltre il 50 per cento dei suoi uffici giudiziari.
È necessario incidere inoltre sull'insufficienza drammatica del personale amministrativo dal punto di vista qualitativo e quantitativo, perché il personale amministrativo di cancelleria della giustizia oggi è a esaurimento, perché negli ultimi quindici anni non sono stati banditi concorsi ed è stata diminuita di oltre un terzo la forza lavoro negli uffici giudiziari, che risultano per giunta sprovvisti delle più moderne specializzazioni.
È necessario inoltre considerare l'esigenza di semplificazione e informatizzazione di tutti i servizi di comunicazione e notificazione, il sovraccarico della domanda di giustizia penale, il sovradimensionamento della classe forense, con un numero di avvocati assolutamente spropositato rispetto al numero degli abitanti di questo Paese, anche se comparati con qualunque altro Paese europeo.
Il potenziamento delle risorse sia umane che materiali per fronteggiare sfide quali quella della priorità di trattazione dei processi penali in termini prefissati, sfida che noi accettiamo, è doveroso anche perché lo vuole l'Europa. Il 17 novembre 2010 il Comitato dei Ministri e quindi anche il nostro Ministro al Consiglio d'Europa ha approvato la raccomandazione Raccomandazione CM/Rec(2010)12, su indipendenza, efficacia e responsabilità dei giudici.
Essa raccomanda ai Governi degli Stati membri di fornire ai giudici mezzi per svolgere le loro funzioni in conformità a queste disposizioni, che devo elencare perché sono il frutto di un lungo lavoro del Comitato dei Ministri e dello staff che ha lavorato insieme ad esso.
«L'efficacia dei giudici e dei sistemi giudiziari è una condizione necessaria per la tutela dei diritti di ogni persona. L'efficacia sta nell'emettere decisioni di qualità entro un termine ragionevole e sulla base di un apprezzamento equo delle circostanze. Spetta alle autorità responsabili per l'organizzazione e il funzionamento del sistema giudiziario creare le condizioni che consentano ai giudici di svolgere la loro missione e raggiungere l'efficacia.
Ogni Stato deve assegnare ai tribunali risorse, strutture e attrezzature adeguate, che consentano loro di operare in conformità delle esigenze di cui all'articolo 6 della convenzione e per consentire ai giudici di lavorare in modo efficace. Ai tribunali deve essere assegnato un numero sufficiente di giudici e di personale di supporto adeguatamente qualificato».
Questo viene raccomandato non da noi ma dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, ma noi lo chiediamo da anni insistentemente.
Ci chiediamo quali siano i paradossi dell'attuale meccanismo riformatore. Il primo è che i progetti organizzatori e acceleratori messi in campo dagli uffici giudiziari più attenti, più consapevoli, più responsabili - avete sentito la corte d'appello di Venezia e vi posso assicurare che anche quella dell'Aquila si muove sul terreno delle buone prassi - con particolare attenzione alla fissazione trasparente di


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criteri di priorità nella trattazione dei processi, alle prassi virtuose, ai protocolli di udienza di procedure insieme con gli avvocati, sono destinati a essere mortificati, vanificati e azzerati.
Vengono premiati invece proprio le prassi più caotiche, più confuse, scandite solo dalla data di iscrizione del processo, dalle istanze acceleratorie delle parti, gli uffici giudiziari che meno si sono impegnati sul terreno della buona organizzazione.
Che cosa ne facciamo dei nostri documenti organizzativi generali, dei nostri progetti tabellari, dei criteri di priorità, della calendarizzazione dei processi, dell'agenda del giudice, dei protocolli di udienza, di tutto ciò per cui ci siamo battuti e per cui abbiamo disposizioni da osservare sia di legge, sia subnormative, sia paranormative, sia del Consiglio superiore della magistratura?
Particolarmente deleteria, oltre che secondo me inefficace è la previsione dell'articolo 1 della proposta, che in relazione alla legge Pinto sull'equa riparazione prescrive un'istanza di sollecita definizione del cosiddetto «giudizio presupposto» per chi vorrà poi attivare l'equa riparazione come condizione di ammissibilità per la domanda di indennizzo anche nei giudizi pendenti.
È evidente che nessun avvocato, nessuna parte (sono almeno due in ogni processo) rinuncerà a presentare questa istanza. Con la verosimile, massiccia diffusione di siffatta istanza in ogni processo da ogni parte processuale, in base alla proposta di legge dovrebbero correre tutti insieme simultaneamente i termini acceleratori, sconvolgendo ogni strategia organizzativa, altro che calendario delle udienze, agenda del giudice o protocolli di udienza!
L'unico effetto certo, data l'impossibilità materiale - ad impossibilia nemo tenetur - di fronteggiare questa massa di istanze anticipatorie, non sarà l'accelerazione bensì il lievitare degli indennizzi a carico dello Stato, che già oggi raggiungono i 100 milioni di euro.
Voglio essere chiaro su questo punto: i giudici sono soggetti alla legge e si impegneranno oltre ogni limite per evitare la sconfitta della prescrizione del processo. Intendiamo continuare a dare garanzie agli innocenti, tutelare i diritti delle vittime, non azzerare la credibilità e l'autorevolezza dell'istituzione giudiziaria, che è il luogo in cui la ragione dello Stato intende accertare i reati e verificare la fondatezza dell'accusa.
Adotteremo quindi tutte le più efficaci misure di organizzazione, riscriveremo i nostri documenti organizzativi e i nostri progetti tabellari, ma misureremo attentamente le risorse a disposizione.
Interverremo sui flussi, saremo costretti a selezionare reati e priorità e - devo dirlo con molta chiarezza perché ho sentito anche altri Presidenti di corte d'appello e di tribunali - per ottemperare nei confronti della collettività al dovere di fare processi penali dovremo far ricorso a un ampio dislocamento nel settore penale delle già scarse risorse impiegate negli altri settori della giurisdizione.
In particolare giudici, cancellieri, hardware e software dovranno essere necessariamente dislocati dal settore civile (lavoro e previdenza) al settore penale, e non varranno istanze acceleratorie, non varranno le grida manzoniane sull'esigenza di accelerare quei processi, perché la coperta è corta e con questa l'Europa ci impone di garantire gli innocenti e tutelare le vittime del reato.
Da una prima stima approssimativa il settore penale richiederà almeno due terzi delle risorse oggi disponibili, perché occorrerà incrementare il numero delle udienze, dei processi, degli adempimenti di Cancelleria, dei giudici che dovranno celebrare questi processi.
L'effetto paradossale di questa operazione riorganizzatoria, che dovrà fronteggiare oltre agli effetti perversi della prescrizione sostanziale contro cui ci batteremo, anche quelli della prescrizione processuale, sarà costituito dal regredire dei programmi di smaltimento dell'arretrato civile, dal lievitare degli indennizzi della legge Pinto, i cui importi, se mi è consentito


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dare un suggerimento, sarebbero meglio destinati al miglioramento della situazione strutturale degli uffici giudiziari.
Nei giorni scorsi si è svolto a Lecce uno splendido convegno cui hanno partecipato avvocati, magistrati, giuristi sul tema dell'efficienza e delle garanzie del processo penale. Il principio di efficienza e di giusta durata del processo deve essere contemperato con gli altri valori costituzionalmente protetti, che sono quelli del giusto processo, del diritto di difesa dell'imputato, della tutela delle vittime del reato specie se vulnerabili, della funzione cognitiva di ricerca della verità del processo penale, dell'obbligo di motivazione delle decisioni dei giudici.
Occorre fare i conti con quella che la citata raccomandazione del novembre 2010 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa chiama «esigenza di qualità e serietà della giurisdizione penale». Sembra quindi verosimile prevedere che l'attuale articolato normativo, così come è strutturato, non supererebbe indenne lo scoglio dello scrutinio di costituzionalità, né quello di coerenza con i princìpi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
La proposta di legge nel suo attuale articolato non si fa carico neanche del forte stress che a regime si produce sulla tenuta del sistema processuale, ma anche sull'identità e sul ruolo dei protagonisti del processo; non si fa carico degli effetti negativi che si determinerebbero intorno alla credibilità non solo dell'istituzione giustizia, ma anche dello Stato italiano in termini internazionali.
In conclusione, ci chiediamo cosa possa proporre un vecchio magistrato come me, che ha visto tante riforme processuali e che più volte ha provato a sollecitare ciò che in altri Paesi è stato fatto. Anche quando entrò in vigore nel 1988 il nuovo codice di procedura penale alcuni di noi segnalarono questa opportunità.
In Germania, di fronte alla radicale riforma del sistema processuale civile negli anni '70, il cosiddetto «modello di Stoccarda», per una razionale valutazione di impatto si ritenne necessario avviare un congruo periodo di sperimentazione e simulazione per almeno 8-12 mesi.
La corte d'appello dell'Aquila, il tribunale di Pescara, altri uffici e altre Corti offrono la più ampia disponibilità a sperimentare sul campo il funzionamento e gli effetti delle disposizioni, che sono destinate a regolamentare a regime il nuovo istituto di estinzione del processo per prescrizione. Non ci tiriamo indietro e intendiamo confrontarci non solo con queste poche riflessioni che offro alla vostra attenzione - vi ringrazio molto di questo - ma anche con un impegno che proseguirà nel futuro.
Lascio a vostra disposizione alcuni appunti, che sia pure con una certa celerità ho steso in questi ultimi giorni, e alcune note delle cancellerie.

NICOLA GRATTERI, Procuratore aggiunto della DDA di Reggio Calabria. Buongiorno, grazie dell'invito. Per non ripetere malamente ciò che hanno brillantemente detto i colleghi che mi hanno preceduto, mi permetto di dare dei suggerimenti di modifiche normative, in particolare del codice di procedura penale, per abbreviare i tempi del processo penale.
Penso, ad esempio, al quasi inutile avviso fine indagini in particolare per i processi con detenuti, che ha costi altissimi e allunga i tempi del processo in media di tre mesi per ogni procedimento.
Sia per il rischio di omessa notifica da parte degli ufficiali giudiziari sia per il pericolo di decorrenza dei termini, facciamo fare le notifiche nei processi agli ufficiali di polizia giudiziaria, che anziché fare indagini vanno in giro per l'Italia a fare i messi notificatori con spese per milioni di euro. I Carabinieri hanno un ufficio apposito in ogni comando provinciale e hanno quantificato le spese annue in milioni di euro.
Sarebbe sufficiente modificare il codice nella parte che riguarda le notifiche, disponendo che le stesse debbano essere effettuate mediante posta elettronica certificata non solo per gli avvocati, ma anche per le società, per le imprese, per i detenuti


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attraverso l'ufficio matricola delle varie carceri; modifica normativa che a un operatore medio del diritto comporterebbe un lavoro di poche ore, ma nel tempo medio la posta elettronica certificata dovrebbe divenire obbligatoria, automatica come il codice fiscale.
Si otterrebbero tre risultati positivi: si abbatterebbero i tempi di mesi per ogni fase del processo, si abbatterebbero i costi per milioni di euro ogni anno, diminuirebbe il potere discrezionale del pubblico impiegato, poiché un'automatizzazione e un'informatizzazione massiccia abbatterebbero il potere discrezionale del funzionario pubblico, quindi l'abuso.
Altro rimedio che concorrerebbe a dare risposte e credibilità al sistema giustizia sarebbe la depenalizzazione per i reati minori, detti «bagatellari», trasformando la sanzione penale in amministrativa.
La mancata rinnovazione degli atti dell'istruttoria dibattimentale quando cambia un componente del collegio penale dei processi non DDA accade molto spesso nei tribunali di periferia, da cui i giudici scappano appena possibile, e quindi ogni volta a metà o alla fine dell'istruttoria dibattimentale spesso bisogna ricominciare da capo.
Si tratta di piccole modifiche non di articoli, ma di commi di articoli del codice di procedura penale, quindi di lavori che richiedono mezzo pomeriggio purché vi sia la volontà.
Ci sono oltre 150 magistrati fuori ruolo, che ritengo siano troppi rispetto alle funzioni, ai compiti cui vengono assegnati. Ritengo, ad esempio, che non sia necessaria la presenza di un consigliere di Cassazione per decidere l'invio di cinque scrivanie di truciolato a Reggio Calabria o a Trento, né che ministeri, regioni, comuni debbano avere come consigliere giuridico un magistrato. Tanti bravi avvocati o ricercatori, che costano meno e hanno attualmente stipendi da fame, potrebbero farlo benissimo, se necessario.
Ultimo rimedio - oggi soprattutto al nord impossibile da praticare - sarebbe la chiusura di decine di tribunali, la rivisitazione delle piante organiche di tutti gli uffici giudiziari, l'accorpamento di tutte le sezioni distaccate dei tribunali.
Di recente, per scrivere un libro che uscirà tra pochi giorni, abbiamo realizzato uno studio sugli uffici giudiziari di tutta Italia. Esistono decine di tribunali distanti tra loro meno di quaranta minuti di autostrada o di strada a scorrimento veloce, con procure composte da 1 procuratore e 2-3 sostituti, tribunali in cui vi è difficoltà a comporre i collegi a causa dell'incompatibilità GIP/GUP.
Chiudere subito 20 tribunali significherebbe recuperare 20 presidenti di tribunale, che accorpati al tribunale più vicino potrebbero fare i presidenti di sezione, i giudici e quindi scrivere sentenze. Conseguentemente, i 20 procuratori potrebbero fare gli aggiunti o i sostituti, quindi effettuare indagini.
Avremmo così un aumento della produttività, la riduzione dei tempi dei processi e un abbattimento dei costi di luce, riscaldamento, il risparmio di 40 auto blu con relativi autisti che potrebbero essere convertiti nelle cancellerie dei tribunali o nelle procure, dato che queste ultime sono piene di componenti delle forze dell'ordine trasformati in cancellieri, segretari o commessi, altrimenti gli uffici si bloccherebbero.
Potremmo parlare anche dell'inutilità del rito abbreviato per deflazionare i tribunali. Il rito abbreviato è un regalo alle mafie, per cui sarebbe opportuno avere il coraggio, la volontà, la possibilità di fare uno spartiacque tra i reati comuni e i reati di criminalità organizzata.
Il reato di criminalità organizzata per sua natura vede il coinvolgimento di più persone che in concorso commettono il reato, quindi gli avvocati si mettono in fila indiana davanti al giudice per chiedere che il loro assistito venga giudicato con rito abbreviato. Basta però che un solo imputato chieda di non essere giudicato con rito abbreviato per dover andare in dibattimento dopo aver utilizzato un giudice, un cancelliere, un segretario delle udienze, e dover ripercorrere per un solo imputato la posizione processuale degli altri imputati


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già giudicati con rito abbreviato, per dimostrare che l'imputato risponde in concorso con gli altri già giudicati.
Dovremmo quindi portare in dibattimento cinquanta, settanta, cento testimoni e ufficiali di polizia giudiziaria per giudicare un solo imputato. La storia giudiziaria ci ha insegnato che il rito abbreviato è solo un regalo alle mafie.
Per quanto riguarda il processo civile, immagino un'informatizzazione massiccia, la creazione del fascicolo elettronico su file, su CD, l'uso della posta elettronica certificata per l'iscrizione della causa al ruolo, del deposito degli atti. Immagino il risparmio di tempo e soldi da parte del ricorrente, il tempo risparmiato dall'avvocato, il minor traffico e inquinamento per le strade. Immaginate la videoconferenza per le udienze civili o in alcuni casi anche di quella penale, naturalmente sempre a spese del difensore, che in questo modo potrebbe gestire più clienti e più cause in Italia.
Immaginate cosa significherebbe svincolare i procedimenti civili in materia economica, societaria dal principio del giudice naturale precostituito per legge, quindi creare megasezioni specializzate e centralizzate all'interno delle quali ai magistrati venga assegnato il procedimento con un criterio automatico e non discrezionale da parte del dirigente dell'ufficio.
Si avrebbe una migliore distribuzione dei carichi di lavoro, un abbattimento dei costi e dei tempi, dato che solo negli uffici di grandi e certe volte di medie dimensioni la materia civile, societaria, economica è trattata per materia da sezioni costituite appositamente.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

CINZIA CAPANO. Vorrei porre una domanda sull'istanza di anticipazione perché la materia del civile è quella più tralasciata nella discussione sul processo breve e invece, come è stato giustamente messo in luce dagli auditi, gli effetti più perversi si producono sul civile.
Questo provvedimento provoca infatti un grado di inefficienza e di ulteriore burocratizzazione nel civile, che ha già bisogno di ulteriore organizzazione e di risorse. Gli effetti che provoca direttamente sul campo penale al fine di essere limitati producono inoltre un'attrazione di risorse umane ed economiche dal civile al penale.
All'interno di questi effetti è stata citata l'istanza di anticipazione, che oltre a produrre effetti devastanti sul lavoro dei giudici, che sono avvisati del deposito di un'istanza, producono un aggravio sul personale amministrativo in termini di organizzazione.
Se c'è un obbligo di trattazione anticipata, prioritaria prodotto dal solo fatto che sia stata depositata un'istanza e il giudice di questo deposito deve essere avvisato, dovremo creare un cronologico nuovo per ogni sezione che tenga conto di tutte le istanze di anticipazione depositate.
Se sono veri i dati forniti dal Ministro sul pendente del civile, considerando un minimo di due parti per ogni causa ed essendo 5 milioni le cause indicate dal Ministro come pendenti, si avrà un deposito quasi simultaneo nell'ambito di sei mesi di ben 10 milioni di istanze.
Questi peraltro non esauriscono lì la loro funzione, ma mettono in moto almeno 10 milioni di successivi provvedimenti del cancelliere che avvisa il giudice dal deposito dell'istanza, e un nuovo registro cronologico in cui vengono inserite queste istanze di anticipazione anche al fine di verificare il rispetto dei tempi.
Vorrei quindi conoscere gli effetti di tutti questi adempimenti in generale nei tribunali ma in particolare nelle corti d'appello, che come sappiamo sono un imbuto soprattutto nel civile in quanto grado in cui si affollano i giudizi proprio per il risarcimento della legge Pinto.

RITA BERNARDINI. Considero ragionevoli molte delle cose dette questa mattina dagli auditi in merito alla contrarietà al progetto di legge sul processo breve che ci è stato consegnato dal Senato.


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Mi permetto però di sottoporre anche altre questioni che pure andrebbero esaminate nel momento in cui ci poniamo tutti il problema della ragionevole durata dei processi. Qui sono state indicate alcune proposte anche immediate che ritengo molto ragionevoli e da applicare con la massima sollecitudine, come l'utilizzo della posta certificata per le notifiche. C'è da chiedersi perché ancora stiamo discutendo di queste cose e perché ancora non si siano fatti passi avanti significativi.
Credo che ci sia un problema serio che non può essere certo sottovalutato. In Italia vige il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale. Sappiamo però che questo è un principio teorico, che nella realtà dei fatti non esiste, come credo ci dimostrino le numerose prescrizioni calcolate in base ai dati del Ministero della giustizia, che già oggi senza processo breve si verificano: negli ultimi dieci anni circa 10 milioni di prescrizioni.
Credo che questo significhi denegata giustizia, perché è necessario chiedersi come avvengano queste prescrizioni e soprattutto quali criteri portino a far andare avanti determinati processi e non altri. Si tratta di aspetti molto seri, che purtroppo non sono stati mai affrontati ma dovrebbero esserlo.
Abbiamo sentito affermare dagli auditi che saranno costretti a selezionare reati e priorità con il processo penale, ma questo avviene già oggi e considero grave che avvenga per opera di chi non ha responsabilità politiche di fronte i cittadini.
Ritengo che quella delle prescrizioni possa essere considerata come un'amnistia di massa - ci scandalizziamo tanto quando i Radicali parlano di amnistia, ma fondamentalmente c'è - con una caratteristica: non viene fatta da un organo politico che si assume questa responsabilità anche di fronte all'opinione pubblica, ma avviene evidentemente anche qui per scelte.
Vorrei capire come questo problema venga sentito, posto e analizzato dagli auditi.

DONATELLA FERRANTI. Le relazioni sono state molto esaurienti, ma vorrei porre due domande. Una riguarda più da vicino la proposta di legge per cui sono state fatte le audizioni ovvero la questione della prescrizione processuale.
Ho colto i vari rilievi fatti, riguardanti il funzionamento a monte del sistema giustizia e quindi l'impossibilità di garantire determinati tempi in queste condizioni, ma vorrei capire come vengano calcolate le fasi, soprattutto il primo grado, che mi pare faccia riferimento alla richiesta di rinvio a giudizio.
I tempi sono adesso mediamente calcolabili nei vostri distretti per il primo grado e per l'appello. Avete fatto riferimento a un anno perché la sentenza arrivi in appello, per cui un anno è già mangiato da una fase. Vorrei capire da cosa dipenda questo, quali siano le cause di questo passaggio di un anno, e se sia opportuno sul primo grado questo computo del termine dalla richiesta di rinvio a giudizio, quindi senza contare la fase dell'udienza preliminare, che in alcuni processi di particolare complessità è molto lunga.
Vorrei quindi che venissero evidenziate le cause per cui queste fasi sono lunghe, se per negligenza dei giudici o per questioni organizzative che incidono su questo.
Vorrei sapere se l'inciso del dottor Gratteri sul rito abbreviato fosse riferito a una situazione che riguarda il suo distretto e i reati di criminalità organizzata. Trattandosi di un tema introdotto da uno degli auditi, vorrei conoscere su questo punto anche l'esperienza dei Presidenti Romei Pasetti e Canzio.
Il dottor Gratteri ha inoltre evidenziato la necessità di ricominciare da capo tutti i dibattimenti qualora uno degli imputati scelga di non avvalersi del abbreviato. L'effetto che ricordavo positivo dell'abbreviato per i processi di criminalità organizzata riguarda in particolare l'efficacia di giudicato che si forma sulla prova della sentenza. L'articolo 238-bis fa riferimento all'efficacia di prova per i fatti accertati nella sentenza che si è prodotta nell'abbreviato, quindi nei confronti anche dei coimputati.


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MARILENA SAMPERI. Le relazioni sono state molto puntuali e ricche di spunti e di questo ringraziamo i relatori. Poiché è stato individuato il vulnus al processo nella macchina organizzativa, vorrei chiedervi se riteniate utile per la Commissione audire anche gli amministrativi, gli uffici per verificare da dove nascano le disfunzioni e quali siano i reali intoppi che incidono sul processo e sui tempi del processo.

ANGELA NAPOLI. Vorrei chiedervi di esprimerci la vostra opinione sulla norma transitoria inserita nel provvedimento giunto dal Senato.

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

NICOLA GRATTERI, Procuratore aggiunto della DDA di Reggio Calabria. Quando il rito abbreviato è stato istituito lo spirito della norma era quello di deflazionare il carico dei processi e far sì che in quella fase si definissero più processi possibile.
Di fatto vediamo celebrare due volte lo stesso processo per criminalità organizzata, basta che un solo imputato non voglia. Per dimostrare che il soggetto è un associato e risponde in base all'articolo 416-bis, devo ripercorrere la sua posizione con gli altri imputati già giudicati. Se la sentenza non è definitiva quando si celebrerà il dibattimento per uno solo degli imputati, la sentenza fatta dal giudice con rito abbreviato può essere esibita e acquisita nel fascicolo di dibattimento come documento, ma non come prova, che è cosa diversa ai fini della valutazione.
Quelli per i quali esiste la prova chiedono il rito abbreviato e hanno un regalo pari a un terzo della pena, quelli per cui la prova traballa rischieranno con il rito ordinario.
Per quanto riguarda la scelta delle prescrizioni, solitamente lo spartiacque sono i processi con detenuti e i processi senza detenuti, e in questo ovviamente c'è anche un potere discrezionale del giudice. Capisco il rilievo dell'onorevole, ma oggi è necessario soprattutto comprendere che l'informatizzazione è la chiave per abbattere costi e tempi del processo.
Qualcuno diceva che la posta certificata già esiste, ma c'è sulla carta, mentre serve una norma, un articolo del codice che stabilisca non il potere discrezionale, ma l'obbligo che la notifica sia fatta con la posta certificata. Se esiste questo obbligo e tutti devono essere collegati in rete, un avvocato per essere iscritto all'Albo degli avvocati di Roma dovrà avere la posta certificata.
Qui sarà la rivoluzione, qui avremo l'obbligo di notifica e saremo tutti collegati in rete, perché è ormai inaccettabile che per depositare un'istanza si debbano fare duecento chilometri, andare in cancelleria, aspettare il deposito e il protocollo mentre si può inviare la posta certificata al computer del magistrato. Il PM la manderà al GIP con parere e il GIP risponderà dal suo computer all'avvocato e al pubblico ministero: questo significa abbattere i costi, i tempi e il potere discrezionale. Ispettori e capi ufficio avranno la possibilità di stabilire se quel magistrato è in ufficio, se lavora e quanto lavora.

GIOVANNI CANZIO, Presidente della corte d'appello di L'Aquila. Per quanto riguarda gli effetti sul processo civile, l'articolo 1 della proposta di legge, al comma 3-quinquies, prevede che ciascuna parte debba presentare un'espressa richiesta al giudice procedente di sollecita definizione del giudizio entro i predetti termini, pena l'inammissibilità della domanda di indennizzo per equa riparazione prevista dalla legge Pinto.
Come ho detto in precedenza, è verosimile, è atteso, è stato già annunciato dal consiglio nazionale forense, dalle organizzazioni dell'Avvocatura che tutti gli avvocati rappresentanti di ciascuna delle parti (quindi penso anche più di 10 milioni se calcoliamo che in ogni processo civile ci sono almeno due parti) presenteranno, per non essere depauperati di questa possibilità di indennizzo, la loro istanza di sollecita definizione del giudizio.


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Come sempre avviene in questi casi, la massiccia presentazione di queste istanze renderà impraticabile l'osservanza della norma. Conosciamo l'effetto conclusivo, per cui l'obiettivo non si raggiunge e il risultato è negativo, ma nel frattempo dobbiamo applicare la legge, per cui l'istanza deve essere depositata in cancelleria e caricata nel fascicolo sia civile che penale a decorrere dalla data del deposito.
Un criterio di priorità, che in genere è un criterio di selezione, data la massiccia generalizzazione delle istanze diventa un criterio generalizzato, quindi tutto dovrà essere accelerato. Ci chiediamo come, con quali mezzi, da parte di quali giudici, con quali strumenti.
Intanto però il capo dell'ufficio deve avviare comunque la pratica grazie anche alla cancelleria. Trattare prioritariamente significa fare udienze sollecite, a distanza di massimo quindici giorni l'una dall'altra, e nei processi penali si applicano le regole per gli imputati in custodia cautelare.
La cancelleria avrà il pesante onere di incamerare queste istanze, di portarle al capo dell'ufficio e a lui imporne l'esame perché vi è un potere di vigilanza sull'osservanza di queste norme, ma noi sappiamo che sarà inattuabile perché non è più un criterio di priorità ma diventa generalizzato, con un inutile carico di lavoro per le cancellerie.
Il danno riguarda soprattutto gli uffici, le corti e i tribunali che in questi anni si sono impegnati sul terreno delle buone prassi. All'Aquila dopo il terremoto di aprile 2009, il 16 settembre 2009 sono stati riaperti tutti gli uffici e riavviate tutte le attività giudiziarie, abbiamo fatto un programma di smaltimento dell'arretrato, sono rimasti ormai solo 2.000-3.000 processi del vecchio rito civile e oggi fissiamo alla fine del 2012, pur avendo cadenze abbastanza pesanti di procedimenti sopravvenuti.
Questa calendarizzazione dovrà necessariamente saltare se si accavalleranno milioni in Italia ma migliaia di istanze di sollecitazione per l'Aquila. Vorremmo che gli uffici che più hanno lavorato sul terreno delle buone prassi e degli accordi con gli avvocati per i protocolli di udienza venissero premiati, non azzerati nelle loro esperienze, che sono esperienze forti che divulghiamo in Europa e che il Consiglio superiore ci chiede di diffondere agli altri distretti.
Venezia sta facendo la stessa cosa sia pure con grande difficoltà: essere passati dal 2017 al 2016 in tre anni è un miracolo, perché in genere i tempi aumentano, non diminuiscono. Noi siamo scesi dal 2014 al 2012. Immaginate invece cosa succederà quando dovremo dislocare risorse sul terreno dei servizi penali.
Vorrei rispondere prima ad altre domande e poi da ultimo a quella dell'onorevole Bernardini, che ritengo una domanda di grande rilievo.
Credo di aver risposto anche all'onorevole Samperi, facendo capire come tutti questi dati siano frutto di un esame congiunto effettuato con la cancelleria e credo che come la mia corte anche quella di Venezia e quella di Milano siano prive di dirigenti di cancelleria, per cui noi siamo anche dirigenti di cancelleria e lavoriamo gomito a gomito con i cancellieri. Una delle note che lascerò è infatti firmata dai due dirigenti di settore della cancelleria penale della corte d'appello.
Approfitto della presenza del sottosegretario Caliendo per ricordare che siamo in attesa del bando straordinario che L'Aquila merita per tutto quello che ha fatto e sta facendo, perché il depauperamento della cancelleria a causa del sisma è spaventoso.
Sulla norma transitoria non ho detto quasi nulla, perché come ci insegna la Corte costituzionale la più intangibile è la volontà del legislatore di fare norme transitorie: una norma transitoria deve assumere connotati di palese irragionevolezza per essere travolta. Questa praticamente sancisce l'estinzione ex lege di un processo senza che vi sia stato alcun contributo da parte di nessuno (una sorta di amnistia).
La scelta del legislatore di bruciare nel falò di questa amnistia il 10, il 15, il 20 o il 25 per cento dei processi non


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è una scelta da noi sindacabile. Posso solo dire che sicuramente sul terreno della norma transitoria si tratterà di una quota che potrà aggirarsi tra il 10 e il 20 per cento.
Non mi spiego però, giacché parliamo del processo di primo grado, perché due e non i tre anni fissati nella norma a regime. Di questa volontà di chiudere sui due rispetto ai tre a regime non ho trovato spiegazioni,neppure nella relazione dei proponenti né del relatore della proposta di legge.
Vorrei esprimere un'ultima considerazione che vale sia per la norma transitoria che per la norma a regime, ma in particolare per la transitoria. Pensate veramente che il danneggiato dal reato sia felice di sentirsi rinviare al processo civile sia pure con termini accelerati, di ricominciare da capo da un altro giudice?
L'articolo 578 del codice di procedura penale nei giudizi di impugnazione fa salvi gli effetti delle statuizioni civili risarcitorie laddove vi sia stata una sentenza di primo grado di condanna dell'imputato, qualora ovviamente non vi sia l'assoluzione del merito e subentri la prescrizione. Io non ho trovato né nella transitoria né a regime una salvezza dei diritti del danneggiato, se non semplicemente un rinvio a cominciare nonostante sia magari arrivato in Cassazione, perché il processo si prescrive anche in Cassazione.
Nei termini del primo grado credo che sarebbe corretto considerare un autonomo computo dei termini riguardanti la fase preliminare. Non è la stessa cosa fare un giudizio monocratico a citazione diretta e fare un giudizio monocratico collegiale preceduto dall'udienza preliminare, perché oggi, contrariamente alle intenzioni dei padri che hanno istituito un nuovo codice di procedura penale, l'udienza preliminare è un vero e proprio grado, un quarto grado di giudizio, che si fa per i processi di maggiore rilievo, per quelli in cui vi sono intercettazioni da trascrivere, per quelli con pluralità di imputazione.
All'Aquila tutti i processi del terremoto che sono per reati apparentemente minori (omicidio colposo, lesioni colpose) ma coinvolgono centinaia di parti civili e decine gli imputati e quindi sono processi di grande complessità si muovono sul terreno sia delle indagini preliminari, sia delle udienze preliminari con consulenze tecniche e perizie di grande rilievo, di largo spessore e di notevole durata, che sono tuttora in corso e che richiedono a volte almeno un anno per la trattazione del processo di udienza preliminare.
Sarebbe quindi più coerente prevedere all'interno dei termini di primo grado appositi termini laddove c'è l'udienza preliminare.
L'analisi sia pure urgente fatta dal presidente del tribunale di Pescara, che è il più importante tribunale del distretto, insieme con i suoi Presidenti di sezione e dirigenti di cancelleria ci segnala nel primo grado fra norma a regime e norma transitoria un azzeramento di almeno il 30-35 per cento dei processi pendenti. Di tale studio realizzato insieme con le cancellerie ho lasciato una nota con i dati forniti dal presidente del tribunale.
Per quanto riguarda il rito abbreviato, è una scelta politica del legislatore. Posso riferire quello che si era pensato di fare con la Commissione Ricci. Credo che ai cittadini - anche a me per la verità - non faccia piacere che un ergastolo o trenta anni di reclusione siano inflitti da un giudice monocratico che talvolta pronuncia il dispositivo in jeans e camicia. Vorrei tanto che indossasse la toga e che trenta anni venissero dati da tre giudici piuttosto che da un giudice solo.
Per i reati di maggiore gravità pensare a una valutazione più ponderata di tipo collegiale ma distrettuale, perché non tutti i circondari potrebbero supportarlo va bene, rispolverare la corte d'assise e precludere l'ergastolo è una scelta puramente politica.
Credo che abbiamo recuperato qualche risorsa in questi anni proprio perché le corti d'assise si sono fermate, questi processi si fanno con udienza preliminare davanti al GUP e le corti di assise non esistono quasi più nei nostri uffici. Tirarle


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di nuovo fuori significa ancora una volta aggravare l'organizzazione degli uffici.
Proverò ora a rispondere alla domanda di grande rilievo rivolta dall'onorevole Bernardini e lo farò nelle vesti del giudice.
L'obbligatorietà dell'azione penale oggi è disciplinata, per quanto riguarda il giudice e l'avvio del processo, da apposite regole legali, che sono racchiuse nell'articolo 125 di attuazione e nell'articolo 425 del codice di procedura penale per quanto riguarda il giudice delle indagini preliminari.
Perché si eserciti l'azione penale occorre un lasciapassare del giudice, che ritenga che gli elementi raccolti siano idonei a sostenere l'accusa in giudizio, quindi l'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale subisce oggi dei temperamenti di tipo legale.
Come giustamente lei ha sottolineato, la vera discrezionalità è invece nella selezione dei tempi, dei modi, dei tipi di processi che sono nelle indagini preliminari e che non sono sicuramente prevedibili da parte del giudice quando riceve il processo, ma dipendono anche dal sovraccarico della domanda di giustizia. Le procure della Repubblica devono necessariamente fare qualcosa di fronte al sovraccarico della domanda e farlo in modo trasparente, adottando protocolli, rendendoli pubblici e mettendoli sui loro siti web.
Ho parlato di selezione dei flussi e dei processi nel momento in cui ci sarà questo sovraccarico per quanto riguarda tutte le corti e tutti i tribunali legati ai termini di fase e di grado della prescrizione processuale, ma sia chiaro che la selezione spetta al legislatore: non vogliamo farla.
Noi abbiamo già oggi trasparenti criteri di priorità che sono visibili sui nostri siti web, che ci vengono dettati dalle norme di attuazione, dalle nostre tabelle chiare, trasparenti e talora concordate anche con l'Avvocatura. Questi criteri di priorità salteranno con il progetto riformatore, perché non potremo più mantenerli e avremo bisogno di nuovi criteri che non vogliamo scegliere.
Attendiamo che sia il legislatore a dirci di fronte a questi flussi e di fronte ai tempi quali criteri di priorità dobbiamo adottare, se far morire o far vivere i processi e con quali forze. Ho detto un'altra cosa: che l'alternativa alla selezione a monte che spetta al legislatore è quella di dislocare risorse dal settore civile al settore penale, e se sarà necessario lo faremo perché la sconfitta dell'istituzione giustizia e dello Stato nel fare giustizia per le vittime del reato e per gli imputati innocenti è una sconfitta cocente che non intendiamo subire in modo inerte.
Credo di aver risposto alle domande, ma eventualmente, signor presidente, se così non fosse, le chiedo di farmelo rilevare.

MANUELA ROMEI PASETTI, Presidente della corte d'appello di Venezia. Credo che molto sia già stato anticipato dal presidente Canzio. Vorrei fare alcune notazioni di contorno a proposito dell'istanza di anticipazione, perché la domanda mi sembrava rivolta a capire quanto assorbissero le energie di un ufficio.
Con questo rispondo anche all'onorevole Samperi. In questo momento sono il dirigente amministrativo di tutta la nostra Corte, perché molti uffici non hanno un dirigente e purtroppo per legge dobbiamo occuparcene noi. Devo dire purtroppo perché noi non siamo stati formati per questo tipo di funzione, quindi ovviamente lavoriamo sempre tutti insieme, ma sentendo me lei sente il dirigente amministrativo che altrimenti non potrebbe convocare perché non c'è. Non solo non ho il dirigente amministrativo: non ho neanche il dirigente del settore penale, se non uno in part time che viene ogni tanto per tre mesi e poi sparisce.
Questi dati, che possiamo precisare ulteriormente, sono stati raccolti con grande attenzione nei riguardi della disfunzione amministrativa. Per quanto riguarda l'istanza di anticipazione, anziché parlare di 5 milioni parlerei di quello che ho, ovvero di 15.000 procedimenti civili e di oltre 10.000 procedimenti penali. Devo pensare a un sistema informatico di registrazione, a un sistema di graduazione del momento della presentazione, al fatto


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che bisognerebbe immediatamente dare delle prescrizioni perché il numero dei procedimenti è talmente grande e posticipato nella sua trattazione che imporrà dei provvedimenti per respingere di mutare la data di fissazione del processo, perché noi siamo già al limite.
Nel 2008 rinviavamo al 2017 e ora che sono passati tre anni rinviamo al 2016, ma non abbiamo più risorse per potere anticipare quei processi, il numero delle udienze è completo. Occorrono cinque minuti a registrare e dieci minuti a portarla nella stanza di chi deve decidere, che deve poi organizzare un sistema secondo me non di accoglimento ma di reiezione delle domande, perché noi non siamo assolutamente in grado di far fronte a un'anticipazione dei processi.
Il collega Gratteri ha citato le scrivanie, ma per un computer o per qualsiasi tavolo lavorano cinque persone, perché come cancelleria dobbiamo verificarne la necessità, istruire la pratica, inviarla al Ministero che ci dice di ricorrere a Consip e poi ci autorizza a ricorrere e infine finalmente si ottiene quanto chiesto. Sono state coinvolte almeno cinque persone.
Ritengo quindi che queste istanze di anticipazione condurranno a una necessaria analisi e reiezione. Il problema è quindi che porteranno a poco, ma il dispendio di energie sarà molto grande, perché ad esempio io non saprei a chi farle registrare in questo momento.
Negli ultimi tre anni gli organici degli amministrativi sono diminuiti di un terzo con i vari DM, però non sono diminuite le carenze perché abbiamo più del 12 per cento di scopertura. Manca personale formato e in questo momento sopravviviamo grazie ai comandi. Per la situazione disastrosa in cui versiamo (la corte d'appello ha il 33 per cento di scopertura, 37 con il part time) abbiamo avuto la possibilità di segnalare al Ministero persone da comandare provenienti da enti pubblici, che non hanno formazione, che rimangono per due anni e vanno via quando hanno imparato il mestiere.
Ovviamente ho 8 comandi al posto di 17 e 75 persone al posto di 112 su un organico già ridotto del 30 per cento, per cui è quasi impossibile funzionare. Più di questo non credo si possa dire, se non fare una lunga litania elencando tutte le cose che non possono fare.
Per quanto riguarda le prescrizioni, il legislatore quando ha messo mano alla legge sui criteri di priorità non ha operato bene perché tutto è prioritario. Se infatti applicate quella legge, vengono esclusi pochissimi reati perché ha operato con riferimento alla pena e quindi questo praticamente copre quasi tutti i reati.
Dopo riunioni, consigli giudiziari nell'ambito dell'organizzazione che poi viene controllata dal Consiglio superiore della magistratura, abbiamo individuato criteri di priorità delle priorità. Ovviamente non ci piace fare questo, però, se il legislatore non lo fa e la massa di processi è enorme, in qualche modo bisogna far funzionare il processo. Riteniamo che al giudizio dei casi più gravi non debba essere sottratto il cittadino che è imputato o parte lesa, per cui i nostri criteri di priorità bene o male - sta a voi il giudizio perché potete leggerli - si basano sull'analisi del bene protetto e delle ragioni della collettività.
Saremmo molto felici se lo facesse il legislatore perché potremmo limitarci ad applicarlo senza assumerci responsabilità. È stato già accennato al fatto che lavoriamo in genere con protocolli. In questo momento, per questi criteri di priorità delle priorità abbiamo in corso protocolli con gli avvocati del distretto.
Questa ulteriore priorità delle priorità dovrebbe funzionare in questo modo: quando un pubblico ministero in primo grado tratta un procedimento che ritiene di particolare rilevanza lo comunica alla procura generale, che opera una selezione di questi casi, lo comunica a noi, che avendo su questi procedimenti la possibilità di interloquire con il primo grado, con i tribunali, chiediamo che il procedimento venga inviato presto, prima di quell'anno che è un tempo morto per la trattazione.
Sono meccanismi molto complessi, che vedono l'Avvocatura contraria per tutta


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quella enorme fascia di avvocati che tratta i procedimenti piccoli, i bagatellari, che non saranno mai prioritari.
Questi criteri che possono essere applicati da oggi in poi (abbiamo già avuto alcune segnalazioni) dovrebbero consentire la revisione di tutto l'arretrato. Ovviamente gli avvocati si ribellano all'eventualità che questi criteri diventino il perno attorno al quale stabilire la fissazione dei ruoli e la celebrazione dei processi.
Non solo non è divertente, ma è un tipo di atteggiamento a cui noi siamo dovuti arrivare proprio per far funzionare l'ufficio e non denegare giustizia nei casi più gravi. Siamo felicissimi che sia una prerogativa del legislatore, purché il legislatore non faccia una normativa come quella dei criteri di priorità che non indica le priorità.
Per quanto riguarda i tempi per il passaggio di fasi sono ancora più gravemente perplessa, perché dall'analisi che ho fatto dal primo grado alla conclusione del processo in primo grado, la fase che dovrebbe essere autonomamente considerata non riguarda soltanto il GI, perché i tempi di un anno o due anni che si aggiungono presso le procure della Repubblica non sono una neutralità. Non sono moltissime le richieste che intervengono entro l'anno o entro sei mesi e, se si aggiungono sei mesi o un anno ai due anni dell'indagine preliminare e ai tre anni del dibattimento, si arriva a cinque o sei anni.
I tempi per il passaggio di fase non possono essere ignorati, senza contare poi i tempi morti del passaggio di fase, che sono due cose completamente differenti ma che vanno detratti comunque dal tempo necessario per concludere il processo.
Sul rito abbreviato mi sento di dire una sola cosa: i riti alternativi da noi stanno cominciando a funzionare e quanto più funzionano i riti alternativi tanto più i processi si snelliscono. Quando si forma la prova ha riflesso anche sul resto del processo, quindi è negativo il fatto che si debba spendere un altro collegio (negli uffici piccoli questa possibilità non c'è), ma è fondamentale che si proceda in questa strada. Sarei anche favorevole al ripristino dell'ex articolo 599 per i processi d'appello, perché questo sveltiva molti casi in cui c'era l'appello solo sulla pena, si poteva ragionare in termini di pena erogata e creava la possibilità di non pronunciare prescrizioni, laddove è meglio una pena certa erogata dal giudice piuttosto che una prescrizione che interviene come evidenziato dall'onorevole Bernardini senza un controllo da parte del legislatore.
Sono quindi assolutamente favorevole ai riti alternativi e addirittura ripristinerei quanto è stato tolto, cioè la possibilità del cosiddetto «patteggiamento» in appello.
La norma transitoria è una specie di mistero che risponde a esigenze storiche di quel momento. Mi chiedo cosa possiamo dire noi su questo, se non che gran parte dei procedimenti pendenti in corte d'appello - tra l'altro la norma transitoria non si applica all'appello - comincia nel 2001 e va a finire nel 2011 e nel primo grado moltissimi sono anteriori al 2006.
Distinguere la pena in relazione alla pena edittale non so quanto giovi alla possibilità di avere una trasparente organizzazione del lavoro. Dovrebbero essere i tre anni che abbiamo previsto a regime, ma ritengo che siano tutti ragionamenti non trasparenti, nel senso che noi non sappiamo perché quella norma sia stata così costruita e possiamo dire poco sulle ragioni che hanno indotto a proporne l'adozione.
Da una mia analisi sommaria è emerso che la durata media dei procedimenti in materia di equa riparazione attualmente supera i 450 giorni da noi.

NICOLA GRATTERI, Procuratore aggiunto della DDA di Reggio Calabria. Vorrei sommessamente dissentire dalla collega relativamente al cosiddetto «patteggiamento» in appello, che ritengo sia stata una cosa molto importante realizzata da questo Governo nel primo decreto sicurezza.


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Consideravo uno scandalo il cosiddetto «patteggiamento» in appello perché più volte con pene edittali in primo grado a 24-25 anni in appello si mercanteggiava sino a raggiungere i 6 anni. Questo si verificava sistematicamente almeno due o tre volte al mese.
Bisogna informatizzare il processo penale se si vuole snellire la procedura ma non fare questi sconti da Standa.

PRESIDENTE. Nel ringraziare la dottoressa Romei Passetti, il dottor Canzio e il dottor Gratteri, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13,45.

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