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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissioni Riunite
(II e X)
3.
Martedì 23 febbraio 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Raffaello Vignali, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA IN RELAZIONE ALL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE C. 1741 RECANTE DISPOSIZIONI SUL RIORDINO DELLA LEGISLAZIONE IN MATERIA DI GESTIONE DELLE CRISI AZIENDALI

Audizione di rappresentanti della Confederazione italiana della piccola e media industria privata (Confapi) e del Consiglio nazionale forense:

Raffaello Vignali, Presidente ... 3 4 5 7 10 11
Abrignani Ignazio (PdL) ... 4 7
Alpa Piero Guido, Presidente del Consiglio nazionale forense ... 5 10
Contento Manlio (PdL) ... 8
Rossomando Anna (PD) ... 9
Russo Ugo, Direttore attività istituzionali della Confederazione italiana della piccola e media industria privata ... 3
Vaccaro Giovanni, Consigliere nazionale del Consiglio nazionale forense ... 6
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.

COMMISSIONI RIUNITE
II (GIUSTIZIA) E X (ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO)

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 23 febbraio 2010


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DELLA X COMMISSIONE RAFFAELLO VIGNALI

La seduta comincia alle 10,40.

(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti della Confederazione italiana della piccola e media industria privata (Confapi) e del Consiglio nazionale forense.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame del disegno di legge C. 1741, in materia di gestione delle crisi aziendali, l'audizione di rappresentanti della Confederazione italiana della piccola e media industria privata (Confapi) e del Consiglio nazionale forense.
Vorrei rassicurare i nostri ospiti relativamente al fatto che non vi è una numerosa presenza di onorevoli deputati: essendo martedì mattina, può capitare, ma dell'audizione verrà redatto il resoconto stenografico, per cui resterà agli atti dei nostri lavori e sarà messo a disposizione di tutti i colleghi delle Commissioni II e X.
Per Confapi sono presenti il dottor Ugo Russo, direttore delle attività istituzionali, e l'avvocato Angelo Favaron, dell'ufficio relazioni industriali.
Do la parola al dottor Russo per lo svolgimento della relazione.

UGO RUSSO, Direttore attività istituzionali della Confederazione italiana della piccola e media industria privata. Desidero innanzitutto ringraziare per l'invito ricevuto e portare i saluti del nostro presidente Paolo Galassi.
Il tema oggi in discussione assume per noi un'importanza strategica sotto diversi profili. In particolare, la prima parte del provvedimento è quella che, dal nostro punto di vista, si presta maggiormente alle conseguenze, in termini di ricaduta economica e occupazionale, sul tessuto delle piccole e medie imprese.
Faccio intanto una breve premessa, per chiarire la nostra posizione. La Confederazione italiana della piccola e media industria privata è la confederazione datoriale che associa 120 mila imprese - di cui 60-70 mila appartengono esclusivamente al settore manifatturiero - con oltre 2 milioni di lavoratori. È evidente come questa connotazione in gran parte manifatturiera ci rende particolarmente sensibili al tema della grande impresa in crisi. Ci rende sensibili perché, se è vero che la procedura di cui si sta parlando coinvolge soggetti assolutamente strutturati e sicuramente, perlomeno dal punto di vista dimensionale, rappresentati in minima parte dalla nostra associazione, è altrettanto vero che in termini di ricaduta la crisi della grande impresa colpisce l'intero indotto.
Vi porto un esempio, uno su tutti, di cui ci stiamo occupando in questi giorni. La crisi della Merloni coinvolge un indotto con oltre 500 aziende e oltre 1500 lavoratori.


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Pertanto, quando si parla di tutela dell'occupazione, a nostro avviso, si deve prestare particolare attenzione a intenderla non solo nel senso della tutela dell'occupazione della grande impresa o del gruppo di imprese coinvolto, ma anche e soprattutto con riguardo alla tutela delle piccole, medie e anche micro imprese, in particolar modo di natura manifatturiera, che sono coinvolte nel percorso produttivo.
Queste sono le ragioni per le quali abbiamo esaminato con particolare attenzione il provvedimento, soprattutto nella prima parte. Troviamo condivisibile l'input di razionalizzazione normativa e, per quel che ci riguarda, anche l'impostazione di gestione amministrativa della crisi dell'amministrazione straordinaria della grande impresa. Come punto critico, però, manca il coinvolgimento del tessuto produttivo direttamente collegato al circuito produttivo della grande impresa. Sarebbe opportuno, dunque, tutelare quelli che sono, in definitiva, i primi creditori della grande impresa, vale a dire i soggetti appartenenti alla filiera oppure i fornitori o subfornitori. Da questo punto di vista, il disegno di legge delega appare, per quanto riguarda la parte relativa alla tutela dei creditori, forse un po' generico. Ad esempio, la lettera l) non specifica in maniera adeguata i connotati della tutela dei creditori. Può essere opportuno coinvolgere le parti sociali, dal punto di vista consultivo indubbiamente, ma anche nelle scelte che vengono compiute dall'amministrazione, perché - la motivazione è evidente - qualsiasi scelta che riguardi una grande impresa in crisi non può che coinvolgere, direttamente o indirettamente, l'indotto.
Torno nuovamente sul caso Merloni, il primo che mi viene in mente, ma ne abbiamo fin troppi in questo periodo. Abbiamo soggetti in crisi e piccole imprese di filiera, che sono in gran parte anche monocommittenza, che si trovano di punto in bianco ad avere un drastico taglio delle commesse - questa è l'ipotesi migliore - o ad avere un ritardo o un'interruzione dei pagamenti. Ecco perché il tema per noi risulta di particolare importanza. A nostro avviso, è opportuno che questo elemento, sempre nell'ottica della salvaguardia dell'occupazione e del circuito produttivo, venga tenuto nell'adeguata considerazione e venga specificato.
Per quanto riguarda la seconda parte del provvedimento - depositiamo agli atti delle Commissioni il nostro documento - ne condividiamo le linee generali, ma è chiaro che la nostra impostazione era più attenta all'articolo 1 del disegno di legge delega.
Quello che vogliamo portare in questa sede è proprio la richiesta di una forte attenzione da parte di tutto il tessuto produttivo della filiera, della fornitura e della subfornitura. Allo stato, questa attenzione e questa sensibilità non emergono dal disegno di legge. È vero che tale elemento può essere concretizzato in qualsiasi momento, ma se fosse meglio specificato in sede di legge delega, saremmo tutti un po' più tranquilli. Inoltre, per quanto riguarda la tutela dei creditori, bisogna rilevare che le nostre imprese sono quelle più svantaggiate proprio perché non hanno titoli di prelazione, dunque sono quei soggetti che, in assoluto, in una procedura di questo genere vengono messi in coda. Soprattutto in un momento come questo, sarebbe un segnale molto forte e di particolare sensibilità avere un'attenzione alle PMI, soprattutto a quelle del settore manifatturiero.

PRESIDENTE. Grazie. Credo che le preoccupazioni espresse siano, per quanto mi riguarda, assolutamente condivisibili. Peraltro, anche nella discussione generale la preoccupazione espressa, soprattutto in ordine all'articolo 1, è stata quella di prevedere meccanismi di salvaguardia dell'indotto delle grandi aziende. Al riguardo, è già emerso un orientamento in discussione generale.

IGNAZIO ABRIGNANI. Questa è una novità che ci è stata richiesta obiettivamente da quasi tutte le categorie. Ci sono stati casi abbastanza significativi nei quali l'impresa principale ha usufruito dei benefici della normativa vigente, che comunque andrà modificata, mentre i fornitori


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dell'impresa principale non hanno goduto di alcun tipo di beneficio.
Si sta valutando, dal punto di vista fiscale ovvero da quello del privilegio rispetto agli altri creditori, la possibilità che si rientri sotto questo profilo laddove ci sia la dimostrazione non dico del monocliente, ma almeno di un fatturato che superi percentuali importanti.
È una discussione che, tra l'altro, stiamo sviluppando soprattutto con il Ministero dell'economia e delle finanze.

PRESIDENTE. Do la parola al presidente del Consiglio nazionale forense, professore Piero Guido Alpa, e al consigliere nazionale Giovanni Vaccaro.

PIERO GUIDO ALPA, Presidente del Consiglio nazionale forense. Ringrazio, a nome del Consiglio nazionale forense, dell'invito a partecipare a questa audizione.
Abbiamo preparato un testo che riguarda le osservazioni sull'articolo 1. L'avvocato Vaccaro riassumerà poi i contenuti relativi all'articolo 2 e consegnerà, nei prossimi giorni, il testo - posso consegnarvene una copia - che deve essere ancora approvato dalla Commissione, anche se i contenuti sostanzialmente sono quelli che esporrà.
La prima osservazione è di carattere metodologico. Il Consiglio auspicherebbe che, in questa occasione oppure in una prossima in cui si dovesse ripensare organicamente tutta la disciplina delle crisi aziendali, si potesse costituire una sorta di tessuto normativo complessivo organico, che riguardi tutte le imprese che sono assoggettate a queste procedure in caso di insolvenza, piuttosto che interventi di carattere sporadico, come quelli che hanno contrassegnato la nostra legislazione.
Ci associamo, inoltre, a quanto testé riferito dai rappresentanti della Confapi. Si tende, nella disciplina, a considerare l'impresa in crisi come una monade isolata dal contesto economico e sociale di riferimento, mentre sarebbe opportuno tener conto del contesto nel quale l'impresa opera e, quindi, dell'indotto, con i riflessi che questa crisi può comportare dal punto di vista occupazionale e produttivo. In questo senso, nel testo ci sono già indicazioni utili. Forse varrebbe la pena di entrare più nel dettaglio, con il principio che riguarda il coinvolgimento di tutte le imprese correlate a quella in crisi, in modo che gli indici di valutazione possano apprezzare la più ampia rete produttiva.
Un punto sul quale vorremmo richiamare l'attenzione della Commissione è l'insolvenza di gruppo. Purtroppo, di «gruppo» nella nostra legislazione si danno molte definizioni. Abbiamo una definizione di gruppo di impresa che da nozione economica è diventata nozione giuridica. Tuttavia, la sua definizione diverge a seconda delle finalità che la normativa vuole realizzare. Mi riferisco alla riforma societaria e poi agli interventi della legislazione speciale. Al riguardo, forse si potrebbe pensare all'estensione dell'insolvenza automatica, anziché considerare specificamente le singole società che fanno parte del gruppo. Questa è un'altra valutazione di carattere metodologico, che dovrebbe essere utile anche dal punto di vista economico.
Vi è un altro punto sul quale abbiamo visto che le istituzioni che sono state sentite prima di noi hanno manifestato perplessità, che il Consiglio nazionale non condivide. Mi riferisco, in particolare, al decreto di ammissione da parte del Ministro dello sviluppo economico. Se, infatti, l'indirizzo della riforma e, quindi, del ripensamento della disciplina della crisi aziendale procede nel senso che si debba privilegiare il salvataggio delle imprese in crisi, lo sviluppo economico potenziale che la situazione presenta, evidentemente devono essere enfatizzati gli aspetti gestionali piuttosto che l'intervento giurisdizionale, che implica sempre un intervento di carattere autoritativo e imputa al giudice funzioni di carattere gestionale che, in realtà, sarebbero incompatibili con questo nuovo «ripensamento» della crisi di impresa.
Abbiamo visto che sono state sollevate perplessità sul ruolo e la tutela dei creditori. Su questo, forse varrebbe la pena di introdurre nel testo maggiori precisazioni. Nel provvedimento, infatti, si parla - con


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una formula un po' ampia, forse anche generica - di «adeguate forme di tutela giurisdizionale dei creditori e dei terzi interessati, compatibili con le esigenze di celerità della procedura». In fin dei conti, qui si tratta di tutela dei diritti, quindi una migliore precisazione degli scopi che il legislatore vuole realizzare potrebbe essere utile. Siamo ovviamente favorevoli a un testo, che ci appare meritorio, che prevede non soltanto un piano di risanamento, ma anche alternative di cessione e affitto del patrimonio aziendale.
Forse c'è una lacuna che riguarda la disciplina del concordato. L'articolo 4-bis della «legge Marzano» ha introdotto una peculiare forma di concordato che ha previsto la suddivisione dei creditori in classi e la possibilità di prevedere trattamenti differenziati tra i creditori appartenenti a classi diverse. Forse si potrebbe pensare a una soluzione analoga e quantomeno verificare se quella disciplina del concordato possa essere utilizzata anche in questo contesto.
Abbiamo visto, inoltre, che soprattutto nella nota dell'API si insiste sulla disciplina delle azioni revocatorie. Questa disciplina implica la tutela degli interessi dei creditori, la preferenzialità di certe categorie di imprenditori rispetto ad altre. Forse sarebbe preferibile un coordinamento, nel senso di limitare l'esperimento delle azioni revocatorie al caso in cui le finalità risanatore delle imprese siano perseguite con successo. Ciò implicherebbe un disfavore nei confronti dell'impresa e un favore nei confronti dei creditori che potrebbe costituire - al di là del bilanciamento - forse il fallimento dello scopo, che è quello del salvataggio dell'impresa piuttosto che quello della tutela diretta ed esclusiva o immediata dei creditori. Questo certamente è un punto sul quale vale la pena di riflettere, perché i creditori, da un lato, hanno diritti soggettivi e hanno subito un sacrificio, dall'altro, però, se si vuole che l'impresa sopravviva e possa avere un futuro produttivo, questo sacrificio deve essere contemperato con le tutele di esigibilità del credito.

GIOVANNI VACCARO, Consigliere nazionale del Consiglio nazionale forense. Quale penalista componente del Consiglio nazionale forense, anche io sottoporrò al vostro vaglio qualche osservazione, soprattutto sull'articolo 2 e, quindi, sulla parte penalistica. Se ci sono i componenti della Commissione giustizia, possiamo comprenderci meglio.
Già Alfredo Rocco nel 1917 sosteneva che la disciplina giuridica del fallimento presenta una serie di singolarità tali da rendere il capitolo della scienza del diritto penale tra i più difficili ed oscuri. Più di recente, Conti diceva che lo sviluppo delle attività commerciali, provocando l'intensificarsi dei reati di bancarotta, rende sempre più impellente l'esigenza di un inquadramento sistematico dei medesimi.
Sappiamo tutti che nel 2002 è stata introdotta, relativamente al decreto legislativo del 1961, una modifica parziale dei reati fallimentari che sono disciplinati dagli articoli 216 e seguenti della legge fallimentare. In particolare, è stata modificata in maniera radicale la disciplina del diritto penale societario. Soprattutto, l'articolo 223, comma 2, numero 1, ha previsto rispetto al passato l'applicazione delle sanzioni correlate al dissesto della società.
Salutiamo con sostanziale favore questo disegno di legge, perché si comincia ad attuare una disciplina più articolata e più puntuale. All'articolo 1 si prevede l'amministrazione straordinaria, mentre l'articolo 2 è concentrato sulla disciplina penale, che riceve un consenso particolarmente favorevole da parte del Consiglio nazionale, che tuttavia si riserva di inviare un documento su qualche aspetto tecnico precipuo. È stato apprezzato soprattutto il mantenimento della concezione unitaria del reato, il mantenimento del ruolo centrale del provvedimento del giudice, correlato anche al luogo e al tempo del commesso reato, l'oggettività giuridica di natura patrimoniale e, soprattutto, il fatto che la riforma sia imperniata in vista dell'interesse dei creditori, che è l'aspetto che effettivamente può riguardare maggiormente il cittadino.


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Abbiamo apprezzato anche le attenuanti in caso di elisione delle conseguenze dannose del reato. Questo sistema, che consente ai creditori di ottenere il ristoro dei danni, piuttosto che, ad esempio, la sanzione di carattere pecuniario - che in genere non viene mai riscossa dallo Stato, perché il soggetto condannato magari è insolvente - può sicuramente essere considerato con favore, sia dagli avvocati sia soprattutto dai cittadini.
Sul piano oggettivo, è stata individuata un'ipotesi di concreto pericolo di insolvenza. Al di là della dichiarazione effettiva di insolvenza con lo stato di fallimento, si è considerato anche il concreto pericolo che, in effetti, può esserci e, quindi, può giustificare la repressione penale. Così come per l'elemento soggettivo la responsabilità si è spostata sulla causazione intenzionale del dissesto, quindi su un dolo particolarmente intenso. Abbiamo notato che è stata eliminata la bancarotta impropria, quindi l'articolo 223, così come modificato dalla novella del 2002.
In effetti, abbiamo notato che c'è un principio di carattere funzionale e non nominalistico a proposito dei soggetti da sottoporre a processo. A prescindere da chi formalmente sia l'amministratore o il gestore della società, si guarda l'aspetto funzionale, quindi l'amministrazione di fatto piuttosto che di diritto. Questo si coordina con la disciplina generale societaria.
Abbiamo notato l'eliminazione degli articoli dal 228 al 231 e, soprattutto, che è prevista una doppia forbice di minimi e massimi, per quanto riguarda le sanzioni, che può consentire al magistrato di applicare al caso singolo la legge penale.
Salutiamo con favore il fatto che, come già accennato, non siano più previste pene pecuniarie - che in genere non vengono pagate -, e che invece sia prevista la possibilità di un'attenuante significativa in caso di ristoro del danno. Vi è nel testo una migliore articolazione, con una distinzione sia delle condotte che delle sanzioni, anch'essa da apprezzare. Dal punto di vista tecnico, ci permetteremo di suggerire qualche piccola modifica. Al riguardo, il 24 si riunirà la Commissione penale, ed eventualmente vi faremo avere un documento più articolato.
Noi avvocati ci siamo chiesti - per questo vorremmo dialogare con la Commissione giustizia - se andiamo verso un nuovo codice penale. Il nostro sogno sarebbe quello di portare in udienza un solo codice e credo che questo sia anche il sogno dei magistrati. Vediamo, invece, che le riforme riguardano soltanto alcune materie, e non per evoluzione, ma per emergenza: la normativa sui reati societari e fallimentari la stiamo esaminando ora; la normativa a proposito di abusi sessuali viene continuamente modificata; per non parlare, poi, dell'ambiente, laddove al «decreto Ronchi» è seguita la legge n. 81 del 2008. Insomma, portiamo in udienza chissà quanti provvedimenti e commenti. Magari sfruttando i lavori svolti dalle Commissioni precedenti, il nostro sogno sarebbe quello di arrivare a un nuovo codice penale. Su questo siamo pronti a interloquire, dal nostro punto di vista, per arrivare al più presto a una disciplina unica di tutte le fattispecie penalmente rilevanti, anche per una perequazione di condotte e sanzioni. Invece, poiché queste sono disciplinate in maniera separata, e con varie materie, notiamo nell'esperienza quotidiana che ci sono conseguenze diverse rispetto a condotte che magari sono più o meno gravi, così come percepite pure dal cittadino e dalla parte offesa.
Riservandoci di produrre un documento più tecnico, questo è il nostro parere allo stato attuale. Vi ringraziamo per l'attenzione.

PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

IGNAZIO ABRIGNANI. Ringrazio anche il Consiglio nazionale forense per l'intervento assolutamente costruttivo. Vorrei rassicurare il professor Alpa che proprio sulla parte dell'indotto ci sono già delle bozze di emendamenti, che le Commissioni dovranno valutare. Pertanto, sotto questo profilo, c'è sicuramente l'intenzione di approfondire la materia.


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Per quanto riguarda l'articolo 2, da colloqui avuti in Comitato e soprattutto con i presidenti delle Commissioni attività produttive e giustizia, l'idea è quella di restringere la delega. Obiettivamente, l'articolo 2 tratta della riforma dei reati della legge fallimentare. In questa sede, stiamo parlando dell'amministrazione straordinaria, dunque, per un discorso di coerenza e di collegamento, riterremmo più opportuno trattare dei reati propri dell'amministrazione straordinaria.
Quello che avviene oggi sotto il profilo dell'amministrazione straordinaria - che ha una logica molto diversa da quella della liquidazione fallimentare, laddove si liquida e poi si risana - è che purtroppo si mutuano i comportamenti dei soggetti imprenditori o commissari sulla base della legge fallimentare. Per evitare di penalizzare eccessivamente non solo gli imprenditori che fanno di tutto per portare le società in amministrazione straordinaria, ma soprattutto i comportamenti dei commissari, che molte volte sono «costretti» a commettere non dico dei reati, ma degli atti sanzionabili sotto il profilo fallimentare, l'idea è quella di entrare nel merito di questi reati.
Probabilmente la delega, sotto questo profilo, ha enucleato tutti quelli che sono i reati fallimentari. L'idea sarà forse quella di limitare la portata delle disposizioni a tutte le azioni penali conseguenti alle attività relative all'amministrazione straordinaria.

MANLIO CONTENTO. Vorrei cogliere l'occasione per porre a tutti gli auditi una domanda. Questo richiamo all'indotto è estremamente suggestivo. In effetti, la considerazione economica dell'impresa e, quindi, dei rapporti, vale anche per il gruppo, oggi ha una rilevanza maggiore rispetto all'effimera considerazione di tipo giuridico. Tuttavia, vi illustro la questione che mi piacerebbe sottoporre all'attenzione dei nostri ospiti. L'interesse della grande impresa è di avere un terreno privilegiato, perché gli interessi coinvolti sono rilevanti. Lo sono sotto il profilo occupazionale e, molto spesso, sotto il profilo dei beni coinvolti e degli interessi.
Citiamo un esempio banale, che di recente ha messo a dura prova le norme vigenti: il caso Alitalia. Credo che chiunque abbia adesso più chiaro un aspetto abbastanza semplice, ossia che se non si fosse operato rapidamente e anche molto spesso «forzando» le procedure, oggi non avremmo un vettore che, pur con tutti i limiti che gli possono essere addebitati, ha avuto la possibilità di avvalersi dei beni esistenti e, quindi, di un compendio di esperienze professionali che sono state poste in essere e che, dunque, sono state utilizzate per rilanciare questo soggetto, pur nella diversa configurazione giuridica che esso ha assunto.
La questione che mi interessa porre è la seguente: come immaginereste voi che potrebbe avvenire questa interrelazione tra l'impresa che è soggetta sostanzialmente alla legge speciale e le altre imprese fornitrici e subfornitrici che rispondono a logiche diverse? Ad esempio, alcune potrebbero addirittura - è un caso soltanto scolastico - essere non soggette a procedure fallimentari, se il loro apporto è al di sotto dei limiti previsti; altre potrebbero essere attratte nella logica fallimentare ed evidentemente rispondono a criteri diversi, perché spesso i creditori di quelle società potrebbero non avere nulla a che fare con l'impresa che è soggetta alla legge speciale.
Quello che mi interessa capire è se avete un'idea di come potrebbe svilupparsi questo rapporto. Se dobbiamo attrarre anche le cosiddette «imprese satelliti» nell'ambito della procedura principale, questo rischia di provocare delle difficoltà alle piccole imprese, che magari potrebbero essere risanate in maniera più rapida e contemporaneamente può mettere in discussione anche l'impianto che è correlato all'interesse relativo all'impresa.
La seconda questione che mi trova perfettamente d'accordo - anche se devo dire che i giuristi che si sono succeduti in Commissione giustizia hanno espresso punti di vista diametralmente opposti, secondo quella che ormai è l'usuale consuetudine che registriamo - è l'aspetto «giudice sì, giudice no», che non significa


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emarginare i magistrati, sia ben chiaro, ma vedere qual è l'interesse prevalente da tutelare. Se - come io credo - è quello che il professor Alpa oggi ha descritto, ed io sono un sostenitore che sia l'aspetto economico, forse si conciliano meglio anche queste esigenze. Se, diversamente, l'interesse prevalente è quello di un punto di vista diverso, ossia prettamente giuridico, che affida alla magistratura il ruolo principale, questo può complicare il quadro.
Mi piacerebbe sapere se sono state fatte riflessioni su come si potrebbe immaginare - vale anche per la disciplina dei gruppi, professor Alpa - questa idea e su come dovrebbe funzionare. Francamente considero questa operazione estremamente complessa, tranne che mi si dica che nel preciso istante in cui scatta la procedura prevista dalla legge speciale che stiamo trattando, automaticamente, nel caso in cui ci siano fallimenti e situazioni che coinvolgono anche società che hanno rapporti diretti, vi possa essere un tavolo specifico che vede sedere di fronte al Ministero delle attività produttive sia gli organi speciali delle procedure speciali sia i curatori fallimentari, per vedere se esiste un pacchetto di misure che possono essere messe a disposizione per un intervento complessivo.
Questa - attenzione - è cosa diversa dall'intersecare le procedure relative ad aspetti diversi. Credo che questa strada sia estremamente complessa e rischiosa, mentre mi sento di condividere quella di far sedere a un tavolo di «concertazione» degli interessi economici coinvolti e con interventi che possono servire all'intera filiera dei soggetti interessati.
Mi interessa capire qual è la posizione dei nostri interlocutori su tali profili.

ANNA ROSSOMANDO. Signor presidente, faccio una premessa stimolata anche dalle ultime considerazioni del collega Contento. Personalmente non imposterei il discorso tanto su una questione di prevalenza dell'interesse economico o di un interesse giuridico, perché qui interviene l'ormai annosa discussione sul punto fino al quale deve spingersi il controllo giurisdizionale nei vari campi della società.
Un conto è dire che non si può giurisdizionalizzare tutto; peraltro, da questo punto di vista, i principali responsabili siamo noi, perché continuiamo a produrre norme. Diversamente, se la contrapposizione è tra una prevalenza di interesse, sicuramente non saremmo tutti d'accordo, altrimenti dovremmo dire che l'interesse economico, in quanto interesse prevalente quando si tratta di grandi imprese e di grandi movimentazioni economiche, soccombe a un controllo giurisdizionale. E non credo che questa sia l'impostazione che veniva prospettata. Non è tanto un piano di interesse, quanto di materia. Si tratta, da un lato, di garantire una serie di procedure che indubbiamente sono di natura giuridica, dall'altro - i fatti di cronaca che riguardano la crisi di medie e grandi imprese lo testimoniano ampiamente - di verificare se non vi siano condotte che costituiscono reato e che, in quanto gravemente fraudolente (penso a fatti di cronaca recenti, ad esempio alle denunce sul caso Eutelia, che parla per tutti) danneggiano i creditori e, in particolare, quei creditori che sono i lavoratori dipendenti. Credo che la questione del controllo giurisdizionale e non la gestione diretta da parte dell'Esecutivo è sempre da salvaguardare, come controllo di procedura.
L'altra questione che vorrei richiamare è che gli operatori della giustizia hanno evidenziato una serie di criticità che riguardano le differenziazioni sulle ipotesi di bancarotta. Vorrei sapere se anche voi vi siete posti questo problema e se lo ritenete ininfluente. La scelta, ad esempio, di far scattare la soglia della contemporaneità dello stato di insolvenza, a differenza della strada finora perseguita, potrebbe far sì che una serie di comportamenti macroscopicamente rilevanti, solo perché non vengono evidenziati, non incorrano in alcun tipo di sanzione, mentre magari comportamenti anche meno rilevanti finiscano per essere sanzionati. Dico questo anche per quanto riguarda la questione della cosiddetta bancarotta documentale, laddove si richiede anche il fine di voler occultare, dissipare e via elencando.


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Nel testo del disegno di legge delega si legge che con questa normativa si rischia di tenere fuori quell'imprenditore che abbia dissipato l'intero patrimonio dell'impresa fallita e, nel contempo, distrutto l'intera contabilità o che non l'abbia tenuta intenzionalmente, purché nei tre anni precedenti l'apertura della procedura regolarizzi la contabilità, dando minuziosamente conto anche di gravissime distrazioni o di distruzione di documenti contabili. In questo caso, quell'imprenditore potrebbe essere non perseguibile. Vi sono, insomma, una serie di criticità e di incongruenze. Poiché non ne avete parlato, vorrei sapere se voi non le ravvisate, se ritenete che queste contraddizioni non vi siano o se, invece, pensate che lo spirito della legge meriti di superarle.
Infine, giustamente avete richiamato la questione di un unico codice penale, che magari ci eviterebbe di incorrere in grosse contraddizioni. Tuttavia, sappiamo tutti che sul terreno della giustizia si consumano spesso altri tipi di dibattiti politici. Una riforma di questo tipo richiederebbe una certa serietà e un impiego notevole di tempo, che viene impiegato prevalentemente in altre questioni.
Sono innumerevoli le Commissioni, come sappiamo noi avvocati, che hanno elaborato pregevoli testi. Ho chiesto di avere tutti i documenti finali degli ultimi quindici anni, perché voglio dilettarmi e fare un sunto per capire a che punto siamo arrivati.

PRESIDENTE. Do la parola al professor Alpa per la replica.

PIERO GUIDO ALPA, Presidente del Consiglio nazionale forense. Distinguerei diversi profili. Innanzitutto, per quanto riguarda l'insolvenza di gruppo, credo che ci siano studi approfonditi di colleghi che si occupano di diritto fallimentare, ed eventualmente questo potrebbe essere un profilo che potremmo approfondire in questo documento, oltre agli aspetti di carattere penale.
Potrebbero esserci profili di carattere propositivo, ma certamente esiste una Commissione che si sta occupando di questo, quindi non vogliamo invaderne i compiti.
C'è un punto sul quale forse vale la pena di riflettere, vale a dire che ha senso parlare di insolvenze di gruppo, se si supera la regola che prevede che le singole imprese del gruppo debbano essere ammesse all'amministrazione straordinaria sulla base di uno specifico accertamento della loro rispettiva insolvenza. Se si parla di insolvenza di gruppo, bisognerebbe individuare una procedura che consenta l'accertamento dell'insolvenza e, quindi, l'ammissione a questa procedura particolare di tutte le imprese, senza prevedere procedure separate per ciascuna. Questa mi sembrerebbe una soluzione che opera nel senso della semplificazione amministrativa e che obbedisce a una concezione complessiva di tutta la vicenda.
L'indotto - passo al secondo tema - innanzitutto potrebbe essere utilizzato dal punto di vista informativo e degli elementi di carattere economico-occupazionale che riguardano l'intero contesto. Si dovrebbero utilizzare questi elementi anche per valutare se la grande impresa abbia i titoli per essere ammessa a questa procedura oppure no, quindi includere anche queste valutazioni di carattere puramente informativo, che tuttavia possono introdursi in una valutazione complessiva di chi deve decidere se concedere o meno l'ammissione alla procedura. C'è di più, però, perché molto spesso accade che la crisi della grande impresa provochi il fallimento delle piccole imprese. Occorre allora un coordinamento, perché non ha senso assoggettare a fallimento la piccola impresa, quindi soffocarla, se si vuole avviare una procedura per cercare di salvare l'attività produttiva. Sarebbe, quindi, un discrimine tra la grande impresa e la piccola impresa. Semplicemente la piccola impresa non può essere presa in considerazione per un eventuale salvataggio, quindi è la prima a soccombere rispetto alle grandi imprese. Questo è un punto sul quale bisogna riflettere e la disciplina del fallimento delle piccole imprese dovrebbe essere coordinata con questo.


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Vengo a un punto che mi sembra paradossale, anche se non so se questa è l'occasione per introdurre regole particolari. Cito l'esempio del caso Cirio: le imprese che continuano a rifornire la nuova Cirio sono assoggettate ad azione revocatoria perché fanno credito. La nuova Cirio funziona semplicemente perché le imprese che producono pelati riescono a farla sopravvivere. Assoggettare queste imprese ad azione revocatoria significa sia contraddire completamente il senso della vicenda della nuova Cirio - parlo della sopravvivenza di questa grande impresa - sia attribuire a coloro che, con il loro sforzo, il loro lavoro, il loro sacrificio e il loro prodotto, potrebbero contribuire al salvataggio, una situazione non disagevole come quella che viene implicata dall'esercizio delle azioni revocatorie. Questo è un punto delicatissimo al quale credo che il legislatore potrebbe offrire una soluzione.
Rimane, forse, il profilo del rapporto fra il modello giurisdizionale e il modello amministrativo. Essendo giurista di formazione, ho introitato il modello giurisdizionale di controllo di queste vicende economiche. Mi chiedo, però, se quando si parla di queste procedure che riguardano il salvataggio delle grandi imprese in crisi si debbano adottare gli stessi modelli che noi per natura desumiamo dalla disciplina fallimentare. Allora, in modo quasi automatico e naturale, mi viene da dire che un conto è il controllo giurisdizionale di carattere penale - se ci sono stati dei reati, questi devono essere perseguiti - altro conto è la gestione. Da questo punto di vista, mi pare che la stessa riforma della disciplina fallimentare abbia dato un significativo apporto nella scelta dei modelli, perché ha circoscritto i poteri del giudice delegato, ha aumentato quelli del curatore e rafforzato il comitato dei creditori. Pertanto, ripensare al modello potrebbe essere utile.
Mi rendo conto che occorre tempo e che è necessario adottare una prospettiva diversa. Tuttavia - segnalo un altro profilo che non riguarda questo tema - in altre audizioni abbiamo sottolineato come un'espansione (qui sarebbe la riduzione) del modello giurisdizionale possa portare a conseguenze abnormi.
In sede di Commissioni riunite, abbiamo discusso della disciplina di attuazione della direttiva sui ricorsi in materie di appalti. Non intendo adesso ripetere questo discorso, che avrete già sentito. Tuttavia, la direttiva è molto generica sul punto, la legge delega è un po' più specifica e lo schema che ne è emerso e che dovrebbe essere approvato prevede che, in caso di annullamento della gara, sia il giudice amministrativo a stabilire quello che deve fare l'amministrazione, sostituendosi all'amministrazione stessa, ossia se proseguire il contratto d'appalto con l'originario assegnatario, se attribuirlo a quello che ha presentato ricorso, eccetera.
Questa è una valutazione di carattere economico ed è l'amministrazione a doversi assumere la responsabilità politica, amministrativa, istituzionale ed economica di compiere le proprie scelte. Inoltre, chi giudica il giudice che sbaglia? In questo caso, il giudice amministrativo, se dovesse sbagliare, risponderebbe ai sensi della disciplina della responsabilità del giudice. È evidente che il giudice deve essere tutelato, ma queste sono valutazioni di carattere economico e francamente affidarle ad un giudice, ancorché amministrativo, ci sembra una soluzione non condivisibile.

PRESIDENTE. Ringrazio e saluto i nostri ospiti, il professor Alpa e il dottor Vaccaro del Consiglio nazionale forense e i rappresentanti della Confederazione italiana della piccola e media industria privata.
Faremo tesoro dei tanti spunti preziosi che sono emersi in questo incontro.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 11,30.

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