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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissioni Riunite
(II e X)
7.
Martedì 19 gennaio 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Bongiorno Giulia, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA IN RELAZIONE ALL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 3 INIZIATIVA POPOLARE, C. 503 SILIQUINI, C. 1553 VIETTI, C. 1590 VITALI, C. 1934 FRONER, C. 2077 FORMISANO E C. 2239 MANTINI, IN MATERIA DI RIFORMA DELLE PROFESSIONI

Audizione di rappresentanti della Confederazione italiana di unione delle professioni intellettuali (CIU), del Conseil Européen des professions libérales e dei rappresentanti della Confprofessioni:

Bongiorno Giulia, Presidente ... 3 14
Matera Ottavia, Segretario nazionale della Agenzia dei professionisti ... 5
Rossitto Corrado, Presidente nazionale della Confederazione italiana di unione delle professioni intellettuali ... 3
Sardi Pierangelo, Presidente del Conseil Européen des professions libérales ... 5
Stella Gaetano, Presidente della Confprofessioni ... 9
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONI RIUNITE
II (GIUSTIZIA) E X (ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO)

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 19 gennaio 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA II COMMISSIONE GIULIA BONGIORNO

La seduta comincia alle 11,45.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti della Confederazione italiana di unione delle professioni intellettuali (CIU), del Conseil Européen des professions libérales e dei rappresentanti della Confprofessioni.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame delle proposte di legge C. 3 Iniziativa popolare, C. 503 Siliquini, C. 1553 Vietti, C. 1590 Vitali, C. 1934 Froner, C. 2077 Formisano e C. 2239 Mantini, in materia di riforma delle professioni, l'audizione di rappresentanti della Confederazione italiana di unione delle professioni intellettuali (CIU), del Conseil Européen des professions libérales e dei rappresentanti della Confprofessioni.
Buongiorno a tutti. Come sapete, stiamo procedendo ad una serie di audizioni su una materia che riteniamo di grande interesse. Troverete in quest'aula una rappresentanza molto limitata di commissari, il che non è ascrivibile a scarso interesse per l'argomento. I soggetti che vedete sono, dunque, normalmente quelli deputati a riferire ad altri.
Per un'esigenza di maggiore approfondimento della materia, la mia scelta è stata quella di ascoltare un po' tutti e di non selezionare un singolo soggetto.
Chi lo desidera, può lasciare anche della documentazione scritta e avrà la certezza che su questa ci saranno poi una lettura e un approfondimento successivi. La preghiera è sempre quella di esporre, anche in maniera sintetica e chiara, e poi di eventualmente sottoporvi ad alcune richieste di chiarimento.
Ricordo inoltre che delle sedute di audizione svolte nell'ambito di una indagine conoscitiva viene redatto anche il resoconto stenografico, il che significa che ciò che dite resterà agli atti dei lavori della Camera. Pertanto, tenete conto di questo nell'ambito delle vostre descrizioni ed esplicazioni. tenete conto che conserveremo una documentazione di tutte le vostre osservazioni.
Do la parola ai nostri ospiti per lo svolgimento della relazione, ringraziandoli della loro presenza.

CORRADO ROSSITTO, Presidente nazionale della Confederazione italiana di unione delle professioni intellettuali. Signor presidente, ringraziamo per averci convocato per questa audizione innanzi alle Commissioni II e X riunite.
Abbiamo predisposto alcune cartelle con una nota e alcuni nostri contributi. Se il presidente lo ritiene, possiamo anche distribuirle.
La CIU è la Confederazione italiana di unione delle professioni intellettuali, è membro del CNEL e fa parte del gruppo


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di studio riguardante la riforma delle professioni. Ha partecipato a tutti i gruppi di studio, a cominciare dalla Commissione Vietti nel 2002, e a tutte le audizioni che si sono svolte in questi anni, fornendo alcuni contributi e adattandoli alle situazioni concrete che si sono succedute complessivamente in quello che noi definiamo il mercato europeo delle professioni intellettuali.
Siamo membri del Comitato economico e sociale europeo e facciamo parte della categoria - questo è il termine utilizzato in ambito comunitario - delle professioni e delle piccole imprese. Abbiamo sviluppato una rete anche in ambito comunitario con i professionisti italiani che operano all'estero. Nell'ultimo anno e mezzo abbiamo costituito 13 delegazioni in Paesi comunitari per creare una rete con i professionisti italiani all'estero, che purtroppo - apro una parentesi - non fanno parte abitualmente dei comitati di rappresentanza, i COMITES, ma sono per lo più isolati. Abbiamo avviato questa iniziativa di concerto con il Ministero degli affari esteri e con il Ministro Frattini in particolare.
Vorremmo porre l'accento sull'opportunità, anche in base alla valutazione della Commissione, di inserire la riforma nell'ambito dell'economia e della conoscenza della strategia di Lisbona, che, dopo due anni di sostanziale fermo, ha preso l'avvio dall'1o dicembre 2009, in uno scenario in cui uno dei quattro punti fondamentali di tale strategia è proprio la mobilità delle persone in due mercati distinti, così come il Comitato economico e sociale ha sottolineato nei suoi diversi pareri, ossia il mercato delle elevate professionalità, per il quale viene specificato nei documenti il riferimento alle libere professioni, e quello di altre figure professionali.
Fornisco ora alcune cifre, basate su una prospettiva stimata dal Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale (CEDEFOP), in cui la previsione, tra il 2010 e il 2020, è che la forza lavoro, intesa come lavoro indipendente e dipendente, sarà costituita tra il 32 e il 40 per cento da alte professionalità: manager, liberi professionisti, tecnici, nuove professioni di alto contenuto specialistico.
In questo tipo di scenario si aprono, quindi, prospettive estremamente interessanti e importanti per le libere professioni italiane, perché esiste la mobilità scelta per ragioni di esperienza, di trattamento economico, di acquisizione di aree di clientela e di mercato, che è quella dei liberi professionisti e di altre professionalità, e la mobilità necessitata dal fatto di ricollocarsi a seguito della perdita del posto di lavoro. Questa è la distinzione operata dall'Unione europea.
Proprio per le ragioni che ho enunciato, dunque, riteniamo che la riforma delle professioni debba traguardare i confini nazionali per rivolgersi al mercato europeo. Il rischio, infatti, tante volte citato, è che altre strutture professionali di altri Paesi comunitari, soprattutto quelle che sono su base multiprofessionale e talvolta societaria, possano entrare - del resto, la direttiva 2005/36/CE lo consente - nel mercato italiano e acquisire anche la clientela più ricca, ossia quella delle imprese.
Su questo tipo di scenari abbiamo individuati cinque punti. Ne illustro qualcuno rapidamente e poi ne descriverà una parte l'avvocato Matera, la responsabile dell'Agenzia - la chiamiamo così e non federazione - delle libere professioni.
Noi riteniamo che si debba innanzitutto pensare a una forma diversa, da un punto di vista organizzativo, dell'esercizio della professione, cioè alla forma societaria e multiprofessionale, per consentire in questo modo di far fronte alle esigenze delle piccole imprese, che hanno bisogno di crescere e di un'assistenza per andare sui mercati lontani (penso all'Asia e via elencando), e spesso anche degli enti locali e indubbiamente dei privati.
La scelta che riteniamo più idonea è quella delle cooperative, che abbiamo chiamato «Cooperative del sapere», cooperative tra professionisti. Si tratta di una formula in cui professionisti di diversa esperienza possono unirsi in forma societaria,


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con una posizione in cui debba essere prevalente la prestazione professionale rispetto al capitale.
Diciamo chiaramente che non siamo d'accordo con la formula della società per azioni, in cui il professionista rischia di essere «impiegatizzato», il che è da evitare, anche per la tradizione delle libere professioni italiane. Noi siamo quasi tutti iscritti a ordini professionali e parliamo da questo tipo di ottica. La scelta della cooperativa è mutualistica, fra uguali, non gerarchizzata e la riteniamo prevalente.
Naturalmente, la seconda esigenza è quella di accelerare, oltre che la realizzazione della parte restante della direttiva 2005/36/CE, l'adeguamento italiano al quadro europeo delle qualifiche, senza il quale non si può fare mobilità, si subisce la concorrenza, come spiegato nei documenti del Comitato economico e sociale europeo. C'è una parte che riguarda i liberi professionisti e i dipendenti, argomenti che abbiamo visto ripresi in molti dei disegni di legge presentati.
Da ultimo, vorrei accennare alla sussidiarietà orizzontale tra pubbliche amministrazioni e cooperative del sapere. Il professor Prandstaller ha avanzato recentemente, in dicembre, una proposta in questo senso, che noi riteniamo valida, laddove, in settori che toccano maggiormente la sensibilità del cittadino - pensiamo alla giustizia, in merito alla quale è quasi superfluo che facciamo riferimento ai grossi ritardi - determinati compiti possono essere trasferiti a società professionali, con una responsabilità collettiva e non individuale.
Noi guardiamo come sindacato al mercato del lavoro. Questa è la distinzione fra noi e gli ordini professionali. Questi ultimi sono enti pubblici, non possono svolgere attività sindacale e hanno il compito di far osservare determinate attribuzioni, deontologia e via elencando. Noi guardiamo alla tutela dei professionisti italiani: questo è il nostro compito.

OTTAVIA MATERA, Segretario nazionale della Agenzia dei professionisti. Solo un'annotazione molto veloce. Relativamente ai professionisti dipendenti. Prendo atto con soddisfazione che la figura del professionista dipendente è stata presa in considerazione all'articolo 6 della proposta di legge Vietti C. 1553. Rilevo tuttavia che, coerentemente con la cosiddetta direttiva Zappalà, si è incorsi certamente in un errore materiale laddove, all'ultimo comma del citato articolo 6, si dispone che al professionista dipendente si applica il «capo IV del titolo III del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni» che è intitolato «Status degli amministratori locali». Evidentemente tale richiamo è incoerente rispetto al tema; probabilmente ci si intendeva riferire al capo III del titolo IV, che si occupa dei dipendenti degli enti locali. Si evidenzia, altresì, che non è ancora stato sciolto il nodo di come si raccordi lo status di professionista dipendente con la normativa di settore e segnatamente con quella contrattualistica collettiva, posto che in alcun modo detta normativa, ad oggi, prevede norme di tutela o «dedicate» a tale categoria, che consentano ai soggetti ad essa ascrivibili un loro specifico aggiornamento, una tutela assicurativa, una loro specifica autonomia e, insomma, tutte quelle peculiarità che si riconoscono indispensabili per i liberi professionisti, anche per tutelare i destinatari delle prestazioni professionali. È paradossale che si vogliano tutelare i consumatori «privati» e non un «consumatore» così di spicco come la pubblica amministrazione, tanto più in quanto tutta la politica del Governo sembra voler elevare la qualità delle prestazioni rese dalla PA. Tale tema è oggi di particolare attualità, se solo si tiene conto che sempre più amministrazioni si stanno motivando a concentrare attività squisitamente professionali presso propri uffici, anche per contenere i costi; da qui la costituzione di uffici legali, uffici di progettazione ed altro.

PIERANGELO SARDI, Presidente del Conseil Européen des professions libérales. Sono stato designato in Europa per i due


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ordini ed essendo stato eletto Presidente del CEPLIS all'unanimità rappresento anche tutte le forme associative e di organizzazione professionale.
Il CEPLIS è l'unica organizzazione che raggruppa sia le federazioni monoprofessionali europee di almeno cinque Paesi, tra cui la mia, la Federazione europea degli psicologi, che mi ha designato a sua volta, sia quelle pluriprofessionali nazionali, come il CUP, Confprofessioni, che verrà audita successivamente, e Assoprofessioni, che credo sia già stata audita dalle commissioni. Non raggruppa, invece, per esempio, il COLAP, perché non è stato considerato rappresentante di vere professioni, dato che alcune di esse non rispettano i criteri etici minimali dettati dal CEPLIS.
Sono presenti molti altri tipi di federazioni. A sua volta, il CEPLIS aderisce al World council of liberal professions in rappresentanza dell'Europa presso l'ONU e le istituzioni internazionali. Sono costretto, purtroppo, a prestare attenzione anche alle poche organizzazioni europee che ancora non aderiscono e non mi è permesso, quindi, ignorare alcun tipo di organizzazione professionale.
La struttura tipica di ogni sistema professionale nazionale appare chiara dalla direttiva 2005/36/CE sul riconoscimento delle qualifiche, che va sotto il nome del suo relatore al Parlamento, l'onorevole Stefano Zappalà. In Europa le professioni intellettuali sono regolamentate, appunto, dalla «direttiva Zappalà», che ha avuto il grandissimo merito di unire tutte le libere professioni in un principio unico - prima esisteva una trentina di diverse direttive - valido per tutta l'Europa, stabilendo che l'esercizio delle professioni nei diversi Stati può essere oggetto di limiti legali sulla base della legislazione nazionale e delle disposizioni degli organismi professionali rappresentativi.
È stata così riconosciuta, con questa direttiva, la peculiarità delle attività professionali nei confronti delle attività di servizi, ovvero delle imprese. Di conseguenza, la «direttiva Zappalà», di cui depositerò una nota illustrativa, per giungere a un riconoscimento reciproco delle qualifiche professionali tra i Paesi comunitari, ha previsto la costituzione di piattaforme comuni a cui devono partecipare, da un lato, gli ordini e i collegi e, dall'altro, nei Paesi dove esistono, anche le associazioni.
È da notare che l'Inghilterra, diversamente da quanto si crede, partecipa essenzialmente attraverso gli ordini, pur avendo associazioni riconosciute di tutte le professioni, compresa la mia, per esempio, con la British Psychological Society nell'allegato 1, nonché con l'ordine degli psicologi presso il National Health Council.
Analogamente, gli ingegneri hanno una ventina di associazioni riconosciute, ma anche il regulatory body, cioè l'ordine degli ingegneri. L'ordine stabilisce i requisiti minimi, le associazioni stabiliscono l'eccellenza, ossia i requisiti superiori ai minimi o più specifici di quelli generali richiesti per esercitare la professione. La direttiva si rivolge, dunque, a tutte le forme giuridiche esistenti.
Bisogna precisare come sono nati i riconoscimenti delle associazioni in Inghilterra e in Irlanda, Paesi di common law che avevano un ordinamento peculiare, ovvero con il riconoscimento delle associazioni private indicate nell'allegato 1 della «direttiva Zappalà», proprio perché, come dice espressamente la direttiva, valorizzano gli standard più alti. Sottolineo questo aggettivo perché in Italia, invece, si crede sostanzialmente che si possano valorizzare anche standard inferiori a quelli che gli ordini richiedono per l'accesso.
Per definizione, l'ordine stabilisce i requisiti minimi al di sotto dei quali nessun Paese europeo, tanto meno l'Inghilterra, che non ha avuto la rivoluzione francese e quindi rispetta le élite e i privilegi, si sognerebbe assolutamente mai di riconoscere un'associazione di aspiranti professionisti che non abbiano superato l'esame di Stato con i requisiti minimi.
La situazione italiana purtroppo è questa. Il decreto legislativo n. 206 del 9 novembre 2007 - su questo in Europa ho ironizzato molto, perché gli americani leggono al rovescio il giorno e il mese, e


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quindi corrisponderebbe a nine eleven, ossia all'11 settembre - è stato per noi un vero disastro. Il cosiddetto decreto Bonino-Scotti del Governo Prodi, recependo l'ottima direttiva 2005/36/CE Zappalà, ne ha stravolto completamente il contenuto, tradendone sia lo spirito che le intenzioni.
Con questo recepimento, infatti, mentre in Europa la distinzione tra ordini e associazioni era intesa tra civil law e common law nel senso verticale che ho specificato, in cui l'ordine stabilisce i requisiti minimi e le associazioni indicano con maggior discrezionalità le competenze specifiche superiori a quelle minime obbligatorie, in Italia è stato fatto l'esatto opposto e il principio è stato letteralmente invertito: per professioni, come quella dei commercialisti, per le quali esiste un esame di Stato, chi non lo supera è stato considerato non tanto appartenente a professione regolamentata, come dice espressamente la direttiva europea originaria, ma appartenente ad una nuova professione, come se chi non riesce ad avere i livelli minimi dissodasse un terreno incolto, una giungla, e fosse quindi meritevole di riconoscimento. È l'esatto opposto di quanto accade in Inghilterra ed è decisamente diverso da quanto avviene nel resto d'Europa.
Vi chiederei la fatica che, incredibilmente, in questi due anni pochi hanno compiuto. In realtà, i rappresentanti delle associazioni sanno bene che la direttiva europea definisce la professione regolamentata in modo diverso da come la definisce l'articolo 4 del decreto n. 206. Vi chiederei, quindi, questa fatica intellettuale, che consente di capire dove sta l'errore.
La definizione di professione regolamentata è la seguente: un'attività o un insieme di attività professionali, l'accesso alle quali e il cui esercizio o - qui sta il problema - una delle cui modalità di esercizio, e non una parte, siano subordinati, direttamente o indirettamente, in forza di norme legislative, regolamentari o amministrative, al possesso di determinate qualifiche professionali. In particolare, precisa la direttiva - è addirittura ridondante, perché non era chiaro il significato e avevamo chiesto noi a Zappalà di precisarlo - costituisce una modalità di esercizio di tutto questo insieme l'impiego di un titolo professionale riservato da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative a chi possiede una specifica qualifica professionale. In pratica, significa che l'intera professione di commercialista è da considerarsi professione regolamentata, anche se solo la modalità difficile di esercizio, che prevede il superamento dell'esame di Stato, è adottata da alcuni. Gli altri sono anch'essi regolamentati e, quindi, non possono essere considerati una nuova professione, non possono essere considerati «sregolati» e non possono richiedere un riconoscimento della loro incompetenza.
È proprio una contraddizione in termini: si riconosce la competenza superiore a quella minima, qui in Italia riconosciamo la competenza insufficiente. È un'eresia assolutamente inutile. Nessun altro Paese si è mai sognato di far nulla del genere. In nessuno Stato europeo è avvenuto quanto si è verificato in Italia. In questo vuoto italiano si è inserito il concetto per cui chi non raggiunge i livelli minimi chiede un secondo canale di sconto, al ribasso, al di sotto del limite.
Dal mio osservatorio europeo posso confermare con certezza quanto già affermato fin dallo scorso anno dai dottori commercialisti per bocca del loro presidente, Claudio Siciliotti, e confermato poi in queste audizioni dal CUP, dalla presidente Marina Calderone, da tutti i membri intervenuti e, successivamente, dal presidente dell'OUA Maurizio De Tilla.
Basterei io. Scrivo queste osservazioni e nessuno mi smentisce. In nessun Paese europeo esiste un secondo canale o alcunché di simile a un siffatto secondo canale di accesso, che faccia concorrenza al ribasso a professionisti già regolamentati a un livello più alto.
Esistevano alcune professioni per le quali c'era solo il riconoscimento dei livelli alti. Coloro che non riuscivano a entrare a tali livelli, avendo però la laurea e i requisiti minimi, si sono lamentati e


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hanno ottenuto dallo Stato inglese gli ordini. Esso ha concesso questo unico ribasso - non quello al di sotto degli ordini - che viene già considerato una concessione. Da noi, invece, viene considerato un balzello, una corvée eccessiva doversi sottoporre all'esame di Stato.
Sono molto preoccupato per la concorrenza che si scatenerà in Italia sia dalla circolazione dei professionisti, introdotta dalla direttiva Zappalà, sia, adesso, soprattutto fra due giorni, dopodomani, giovedì, quando inizierà l'esame della c.d. «direttiva servizi», che utilizza internet. Diventerà veramente dura. Tra due sistemi professionali, uno dei quali valorizza gli incompetenti e tutti gli altri i competenti, non c'è partita. Sono molto preoccupato per il sistema italiano e per il fatto che ancora adesso si discuta in Parlamento se riconoscere gli incompetenti.
Che cosa succede all'estero, in realtà? Perché questo errore è clamoroso? Nessuno ci crede e si pensa che non sia possibile che per vent'anni in Italia si insista su questo secondo canale, se non c'è un motivo.
Un motivo c'è: in Italia mancano due elementi, uno parzialmente e uno, purtroppo, totalmente. Manca parzialmente il riconoscimento delle qualifiche artigianali, perché le Camere di commercio hanno cominciato a creare alcuni albi, alcuni registri, alcune liste. Da noi vogliamo essere tutti dottori e ci prendono molto in giro all'estero per questo. Non accettiamo il concetto di professione artigianale, che suona quasi come offensivo. In realtà, moltissime leggi estere prevedono professioni tanto intellettuali quanto artigianali.
Se voi avete la pazienza di aprire la direttiva Zappalà agli allegati 2, 3 e 4 - gli allegati 1 e 5 sono relativi alle professioni intellettuali - vedrete che sono interamente dedicati alle professioni artigianali, che sono circa settecento. Ieri avevo detto che erano alcune centinaia. Le ho contate e sono settecento qualifiche, che corrispondono, grossomodo, alle formazioni che in Italia sono competenza delle regioni. I soldi del Fondo sociale europeo arrivano al Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, che li eroga alle regioni, e queste li danno agli istituti, spesso gestiti anche dai sindacati.
Dico sovente anche al CNEL e ai colleghi dei sindacati che formano un elevato numero di persone e non si preoccupano poi di difendere i titoli professionali a livello europeo. Ho contato quattro qualifiche italiane su queste settecento, difese negli allegati 2, 3 e 4. Non è giusto, è un vuoto. Ovviamente, le professioni intellettuali ordinistiche non sono gelose delle professioni camerali; questo è il secondo canale, se proprio lo volete chiamare così, che è lacunoso in Italia.
Ciò che poi manca in Italia è il riconoscimento delle associazioni privatistiche fra professionisti ordinati o anche fra le qualifiche camerali. Per esempio, mi viene in mente l'elettrotecnico, proposto, come ho visto ieri sera, ovviamente da tedeschi, inglesi, olandesi, da tutti meno che dagli italiani; però c'è l'elettrotecnico navale, quello aereo, quello dei diversi settori. Non ha alcun senso che noi né difendiamo la qualifica di elettrotecnico in Europa, né le ulteriori specificazioni e competenze.
Queste due lacune giustificano la querelle italiana, la richiesta italiana del secondo canale, che credo abbia tormentato anche questo Parlamento, a partire dal CNEL, da una ventina di anni.
È opportuno, quindi, che la riforma parlamentare introduca anche in Italia, come è avvenuto in tutta l'Europa, l'esatto opposto del secondo canale, ovvero il riconoscimento delle associazioni privatistiche accreditanti fra i professionisti regolamentati quelli che hanno eventuali competenze superiori specifiche, che io chiamerei il secondo gradino. Ciò è opportuno e anche urgente, perché il riconoscimento dallo Stato al privato, introdotto secoli or sono dalla Corona inglese per mantenere la supremazia britannica nel Commonwealth, ora viene imitato da molti altri Stati europei. Non solo, quindi, stanno riempiendo gli allegati 2, 3 e 4 delle qualifiche artigianali, ma diversi Stati stanno riconoscendo anche le competenze specialistiche. Lo fanno per recuperare


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competitività contro la concorrenza vittoriosa delle organizzazioni professionali inizialmente inglesi e olandesi.
Questo fortissimo vantaggio non consiste affatto in un secondo canale, come penso di aver spiegato, ma in un secondo gradino, che valorizza la competenza professionale di soggetti già abilitati, che lo Stato riconosce e potenzia dopo aver regolamentato un canale sempre unico di accesso e di permanenza.
Porto un esempio, ma ne potrei fare dozzine: gli architetti inglesi devono tutti iscriversi al rispettivo ordine professionale, però, successivamente, cercano di essere accolti nel RIBA, il Royal Institute of British Architects, che è un asset formidabile per vincere non solo i concorsi inglesi, ma anche quelli italiani. Sui giornali italiani esce spesso l'allarme secondo cui i concorsi migliori per una stazione della metropolitana, per i centri commerciali, per l'urbanistica, per grosse commesse vengono vinti dagli architetti inglesi. Ciò avviene perché in un concorso, se c'è una comunità di colleghi riconosciuta e potenziata dal massimo livello dello Stato - Royal vuol dire che la Regina benedice, anche proprio come capo della Chiesa, dando il massimo sostegno possibile all'associazione che valorizza i migliori professionisti - è chiaro che ciò significa vincere concorsi anche all'estero, tanto è vero che molti architetti italiani hanno cominciato a iscriversi al RIBA, che ha sezioni per il Commonwealth e comincia ad averne anche per l'Europa.
Bisogna ricordare, comunque, che tutte le professioni hanno il loro regulatory body e che non sono associazioni al ribasso. Su questo aspetto, comunque, presenterò ulteriori memorie, anche in vista della discussione relativa alla «direttiva servizi», il cui esame comincerà a partire da giovedì da parte delle medesime commissioni Giustizia e Attività produttive. Io credo che costituisca, da un lato, un terribile rischio, perché utilizza internet e crea lo sportello unico, in cui si fanno due liste, quella anodina, che i clienti non consultano in ordine alfabetico, degli ordini, e l'altra, come dice espressamente la direttiva, di organismi diversi dalle autorità competenti, che aiutano i clienti nella scelta del professionista. Se non ci attrezziamo per affrontare questo passaggio in modo adeguato, rischiamo davvero che la concorrenza fra le diverse professioni sia perdente per il nostro Paese.

GAETANO STELLA, Presidente della Confprofessioni. Cortese presidente e onorevoli commissari, ringrazio innanzitutto per l'odierna convocazione presso questa Commissione, che abbiamo richiesto e ottenuto nella piena consapevolezza di poter e dover fornire un contributo non convenzionale alla riforma in discussione, nell'interesse supremo del Paese e a tutela dei liberi professionisti, che ci pregiamo di rappresentare in forza del ruolo di parte sociale attribuito dal Governo a Confprofessioni ancora nel 2001.
A Confprofessioni aderiscono 15 associazioni sindacali di quattro aree professionali. Per l'area di lavoro ed economia sono qui presenti il coordinatore delle quattro aree, ragioniere Leonardo Pascazio, consulente del lavoro, dottori commercialisti, esperti contabili, revisori dei conti e consulenti del lavoro; per l'area diritti e giustizia, avvocati e notai, qui rappresentati dall'avvocato Ennio Bucci, coordinatore dell'area diritto e giustizia; per l'area sanità e salute, medici di medicina generale, dentisti, veterinari e psicologi, qui rappresentati dal Presidente dell'ANDI dottor Roberto Callioni; per l'area ambiente e territorio, architetti, ingegneri, geologi e dottori agronomi, qui rappresentati dall'architetto Giovanni Vencato, che peraltro è il Presidente della Commissione riforma delle professioni. Sono tutti liberi professionisti iscritti nei rispettivi ordini professionali.
Va sottolineato, inoltre, come la Confederazione sindacale delle libere professioni agisca pressoché su tutto il territorio nazionale attraverso le sue delegazioni regionali.
Ricordo, infine, che Confprofessioni sottoscrive l'unico contratto collettivo dei dipendenti degli studi professionali e negli ultimi anni ha dato vita a quattro organismi


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bilaterali con le organizzazioni sindacali dei lavoratori dipendenti, che avrò il piacere di illustrarvi personalmente in altra sede.
Entrando nel vivo, il progetto di riforma del sistema delle professioni è sempre stato sostenuto strenuamente da Confprofessioni, che nelle scorse legislature è intervenuta fattivamente con proprie proposte e suggerimenti.
Nell'attuale circostanza, è stato predisposto un quadro sinottico di confronto tra i diversi testi e le diverse proposte di legge finora presentati in Parlamento, al fine di fornire agli onorevoli commissari una lettura d'insieme del lavoro fin qui svolto dal legislatore. Se può interessare, abbiamo effettuato un confronto tra le sette proposte; eventualmente possiamo depositarlo solo a uso interno.
In questa sede non abbiamo preso in considerazione temi sui quali vi è una sostanziale convergenza con quanto riportato dai rappresentanti degli ordini nelle precedenti audizioni. Abbiamo, piuttosto, preferito mettere in evidenza i punti che, a nostro avviso, non possono prescindere da una riforma delle professioni compiuta e condivisa.
Per questa ragione, Confprofessioni non ha ritenuto di presentare un nuovo testo, l'ennesima nuova proposta, ma un documento di sintesi, che è stato inviato a tutti i componenti delle Commissioni. Tale documento sottolinea le priorità della riforma, che per Confprofessioni non deve limitarsi al non più emendabile riordino del sistema ordinistico, cioè alla gestione dell'esercizio della professione, ma dovrebbe soprattutto avere la lungimiranza di garantire ai liberi professionisti, che - è il caso di ribadirlo - rappresentano la forza economica centrale per lo sviluppo del Paese, gli strumenti normativi e operativi che consentano loro di competere sul mercato dei servizi professionali.
A nostro avviso, la riforma delle professioni rappresenta una straordinaria occasione per giungere a un effettivo riconoscimento del comparto libero professionale quale punto di partenza di un complesso produttivo integrato nel sistema Paese a supporto della persona, che sia cittadino utente e consumatore, delle aziende, dell'amministrazione. Tuttavia, per favorire lo sviluppo degli studi professionali in termini di efficienza e competitività sul mercato domestico e internazionale, si rende necessario progettare un nuovo assetto, un nuovo modello di riferimento, un perimetro più ampio degli studi medesimi.
Attraverso la crisi globale che ha investito l'economia italiana, toccando duramente anche il comparto professionale, è scaturita l'opportunità di ripensare i fattori competitivi offerti dalle strutture produttive del Paese per uscire dalle congiunture negative. Tuttavia, l'incremento della competitività si fonda anche sulla capacità di innovazione in ogni campo. In questo contesto, i liberi professionisti italiani rappresentano il denominatore comune dell'innovazione quotidiana, che si declina, in prima analisi, nella competitività del sistema Paese e, quindi, nella ripresa economica. Noi ne siamo convinti.
Con la loro distribuzione capillare in ciascuno degli 8 mila comuni italiani e con il loro radicamento e attaccamento al territorio, i liberi professionisti traducono tutti i giorni in prassi le nuove leggi e norme e, al tempo stesso, si fanno interpreti della conoscenza, trasformando, attraverso la loro azione intellettuale, innovazioni tecnologiche e metodologiche in saper fare.
Non possiamo dimenticare, infine, come la crescente e progressiva complessità dei fenomeni sociali imponga, con sempre maggiore frequenza, il ricorso al supporto di mediatori culturali e traduttori scientifici per le ordinarie attività lavorative a ogni livello. Si tratta di un fenomeno socioeconomico impalpabile e inarrestabile, che sfugge a una lettura sommaria del sistema professionale e rifugge da qualsiasi disegno unitario calato dall'alto.
In questo ambito, Confprofessioni costruisce uno dei pochi momenti di coscienza e di sintesi di queste intelligenze disarticolate nel substrato sociale ed economico del Paese. Gli organi di governo


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centrale e territoriale, salvo rare ed encomiabili eccezioni, non sono riusciti a cogliere l'opportunità di progettare un modello di governance che consenta di coinvolgere in modo strutturale nella formazione della ricchezza nazionale il contributo, già disponibile a costo zero, delle professionalità italiane.
Stiamo parlando non solo di economia, ma di cittadinanza e di diritti a essa connessi: salute psicofisica, libertà e tutela, lavoro e proprietà, territorio, paesaggio e ambiente. Questi sono i campi per cui e in cui applichiamo i nostri saperi. La riforma in discussione può ridurre tale deplorevole ritardo.
Va sottolineato, altresì, come dalla società complessa pervenga una domanda evoluta di soluzione a problemi complessi. Enti, aziende e famiglie si rivolgono al mondo dei servizi di consulenza avanzati per essere continuamente supportati nelle loro più svariate attività. Una lettura di tale processo irreversibile è stata appalesata all'autorità Antitrust, che ha interpretato il fenomeno soltanto attraverso l'angolazione della concorrenza, limitandosi cioè ad annotare la prestazione professionale come un puro costo a carico del settore manifatturiero o degli enti pubblici.
Un'analisi più puntuale e meno parziale inquadra, invece, l'esternalizzazione dei servizi in una dinamica moderna della competizione di mercato, in relazione alla capacità di aggiornamento, ai livelli di specializzazione e di competenza, all'assunzione di responsabilità individuali e alla flessibilità di costi e prestazioni, che sono la matrice del settore delle libere professioni.
Vi sono altre considerazioni al riguardo, non meno importanti: la suddivisione delle tradizionali figure professionali in profili specialistici e la comparsa di professioni nuove, se, come detto, segnala la complessità e l'articolazione della domanda in soluzioni e servizi, costituisce, altresì, un non invertibile processo di segmentazione e frammentazione delle professioni finora note.
Tale processo ha indotto anche, in alcuni settori in particolare, la necessità di individuare opportunità che consentano ai giovani di accedere al mondo del lavoro e ai senior di sviluppare le posizioni raggiunte.
Per far ciò è necessario e indispensabile innanzitutto ridefinire le regole del gioco: poche, chiare, severe, erga omnes. È a tutti noi noto come esista uno sfasamento e una profonda dicotomia tra il sapere e il saper fare. Necessitano di un veicolo, di un mediatore, che chiameremo culturale, e di una figura che individuiamo inavvertitamente nel libero professionista, che assolve al ruolo di trasmissione della conoscenza, come già anticipato in apertura.
Per esperienza diretta e quotidiana, ricordiamo che non vi è azienda che non si appoggi continuativamente ad almeno sei profili professionali esterni, anche quando esistono uffici interni all'uopo dedicati: l'avvocato per i contratti e il recupero crediti, il commercialista per la consulenza fiscale e tributaria, il consulente del lavoro per i rapporti di lavoro e le relazioni sindacali, l'esperto informatico per la gestione di reti e archivi aziendali, il responsabile della sicurezza sui posti di lavoro, senza considerare l'apporto meno continuativo di tecnici della progettazione ambientale, nel caso frequente di ristrutturazione e ampliamenti, e del notaio nel caso di acquisizione, fusioni e compravendite.
Questa rete di consulenti è un network insostituibile, competente, responsabile e flessibile, ma spesso inconsapevole di sé, del proprio peso determinante, della qualità del proprio apporto nel sistema produttivo e sociale del Paese. Lo conferma il fatto che, al fianco di associazioni di categoria e confederazioni storiche come Confprofessioni, presieduta da chi vi parla, stanno sorgendo iniziative che provengono dal mondo associativo di altri settori, le quali hanno saputo leggere e interpretare il progressivo trasferimento del baricentro dell'economia dalla centralità storica dell'industria verso il più dinamico comparto dei servizi.


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La cosiddetta terziarizzazione dell'economia è un processo tutt'altro che compiuto anche in Italia e forse in maggiore ritardo rispetto ad altri Paesi comunitari. Tuttavia, proprio per questo motivo, il nostro Parlamento ha la possibilità di produrre una legge non emergenziale, non ex post, ma una vera legge che interpreti lo scenario che si sta definendo, una legge per le professioni.
Ci troviamo, dunque, a chiedere una legge che possa avere una visione di lungo respiro, ma anche essere adattabile alle continue trasformazioni che si colgono in un settore che si è profondamente ringiovanito, una legge che tenga conto del fatto che non basta una riforma degli ordini per aver compiuto la riforma delle professioni, delle diverse peculiarità delle aree professionali - settore salute, legale, economico-amministrativo, lavoro e territorio - sulla base delle quali la legge dovrà poi trovare declinazioni opportune e convenienti, del fatto che il canale della libera professione diviene via d'accesso preferenziale al lavoro anche come modello di vita, della continua gemmazione e nascita di nuovi problemi e con essi di nuove specializzazioni e professioni, del fatto che, se è vero che proliferano le segmentazioni e le specializzazioni con la segmentazione del sapere in saperi e che si moltiplicano le occasioni professionali, dobbiamo anche saper conservare e salvaguardare, anzi valorizzare la tradizionale impostazione culturale italiana di stampo classico, umanistico, che fornisca i coordinatori e i registi a capo di ogni cordata di professionisti specialisti, una specificità italiana di eccellenza.
Dobbiamo, inoltre, tener conto che la giurisprudenza ha, di fatto, modificato la natura dell'obbligazione professionale, mentre è il legislatore che può e deve stabilire in quali casi la prestazione è obbligatoria di risultato e, viceversa, in quali casi individuabili, costituisce obbligazione di mezzi.
Si dovrà rivalutare il ruolo del lavoro, della proprietà intellettuale, perché per esempio, onorevoli commissari, non è noto il nome del progettista del Ponte di Messina, con ciò contravvenendo anche alla norma del Codice civile, del testo unico sull'edilizia e della legge-quadro sui lavori pubblici. Questo fatto eclatante, che può facilmente essere verificato sul sito internet della Società dello Stretto e su quello dell'ANAS, testimonia la progressiva mancanza di autonomia a cui va incontro un libero professionista, anche a fronte della messa in gioco di pesanti responsabilità individuali di natura civile, penale e contrattuale.
Si dovrà poter valutare, con la collaborazione di soggetti che costituiscono il sistema delle professioni, quale elenco di prestazioni tipiche o esclusive definisca skill o profilo di competenze professionali, poiché non vi potrà essere una nuova professione se non a seguito della semplice definizione del chi fa che cosa, né ci si potrà arroccare come professionisti proponendosi come demiurghi o tuttologi, quando, come è già successo nella chirurgia o nell'ingegneria, il livello di conoscenza richiesto e la responsabilità nei confronti del cliente assistito o del committente sono tanto elevati da superare le tradizionali definizioni delle professioni a noi note.
Si dovrà affrontare il tema dell'equo compenso per il lavoro professionale, uscendo serenamente sia dalle spinte giacobine della cronaca giornalistica, sia dagli arroccamenti tradizionalisti tuttora presenti nei nostri organismi direttivi interni, tanto più che, non solo per la grande crisi globale, il problema reale per i professionisti è rappresentato dalla rapidità del flusso di cassa, dal rapporto con il credito e dalla relativa incertezza dell'incasso dell'onorario.
Non possiamo permettere, infine, che l'intuizione unitaria accolta a Lisbona nel 2000 in favore di una società della conoscenza cada vittima di una contingenza miope o, peggio, di parte.
In estrema sintesi - e concludo - la ragione e l'essenza della riforma delle professioni dovrebbero essere rintracciate nel definitivo riconoscimento del ruolo e del contributo delle professioni come comparto economico alla formazione della


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ricchezza e del benessere nazionali; nella definizione di modelli per liberare le energie intellettuali ed economiche dei liberi professionisti a supporto e servizio della persona, della famiglia, delle aziende e degli enti; nel coinvolgimento delle rappresentanze di categoria con pari dignità nei momenti condivisi decisionali di politica economica e delle strategie per il superamento della crisi e lo sviluppo.
Mi consenta ora, presidente, di svolgere un breve cenno al documento di sintesi che ho presentato ai componenti della Commissione. Si tratta dei temi per la riforma, della forma della riforma. Sono 5-6 punti principali rispetto ai 16 che abbiamo presentato nel documento, sui quali vorrei porre l'attenzione.
Il primo è l'individuazione della forma nella legge delega di princìpi generali, per ragioni di urgenza e snellezza dell'iter legislativo; poi al Governo, sentite le parti, nelle quali ci auguriamo di essere anche noi come Confprofessioni, sarà affidato il compito di ritagliarne i contenuti in articoli coerenti col documento generale con declinazione per le diverse macroaree. Riteniamo dovrebbero essere di competenza delle aree la forma societaria, i soci di capitali, il percorso formativo con accessi al tirocinio, le competenze tipiche o esclusive e la pubblicità.
Abbiamo, inoltre, l'opportunità di regolamentazione delle nuove professioni. In considerazione di tali premesse, è urgente regolamentare le cosiddette nuove professioni, in primo luogo perché è interesse e necessità dei cittadini, delle imprese e degli enti acquisire dal mercato con la massima chiarezza e trasparenza servizi intellettuali sulla base di regole precise, chiare e proporzionate. In secondo luogo, è interesse urgente dei liberi professionisti eliminare la concorrenza sleale con prestatori di servizi consulenziali che operano senza i vincoli imposti dalle professioni ordinistiche per formazione, accessi e deontologia. In terzo luogo, è interesse dell'economia nazionale che nuove competenze si affaccino sul mercato per offrire nuovi servizi avanzati e competitivi, spesso integrativi di quelli ordinistici entro un quadro di regole preciso.
Inoltre, è di assoluta importanza, ai fini della riforma, dare una nuova definizione di professione intellettuale, in primo luogo per la comunicazione verso il cliente, assistito, paziente e committente, in secondo luogo per il riconoscimento delle effettive nuove professioni, distinte dal lavoro autonomo.
In merito alle competenze, una riforma senza elencazione e attribuzione delle attività tipiche ed eventualmente riservate a un determinato profilo professionale è vuota e inefficace. Diversamente, proseguirà la sovrapposizione di competenze e la confusione del mercato dei servizi aziendali avanzati.
Veniamo alle competenze e ai requisiti di ogni nuova professione. Ogni nuova professione può chiedere il riconoscimento soltanto se risponde ai seguenti requisiti: deve corrispondere a un profilo professionale connotato da formazione e competenze specifiche e deve esplicarsi in prestazioni tipiche, di prevalente contenuto intellettuale, in precedenza non formalizzate; non può rappresentare un segmento, uno split di una professione già regolamentata, né un percorso semplificato per l'accesso a prestazioni tipiche o riservate ad alto profilo professionale già normato; deve, infine, rispondere a un interesse diffuso sovraregionale.
Su questo punto, abbiamo pensato che sarebbe utile la costituzione di registri delle nuove professioni per la salvaguardia, la trasparenza e la concorrenza, nel rispetto delle norme dell'Unione europea e dei superiori interessi generali. Prevediamo, appunto, un'obbligatoria iscrizione al registro per ogni nuovo profilo professionale, previo esame di ammissione, che certifichi il possesso dei requisiti previsti dalla legge, il pagamento di una quota di iscrizione, il permanere delle condizioni per l'accesso, una formazione permanente e norme comportamentali.
Le attività saranno attribuite a organismi di autogoverno, liberamente eletti dagli


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iscritti ai registri, e ci dovrà essere una sorveglianza del Ministero per le attività produttive.
Infine la riforma dovrà definire modalità e forme di regolamentazione della «formazione permanente» sulla base del principio di pluralismo senza esclusive; evitando conflitto di interessi tra le fasi della progettazione, validazione, erogazione e verifica dei percorsi formativi.
La riforma dovrà inoltre distinguere la rappresentanza istituzionale della «professione» quale presidio a tutela dell'interesse generale prevalente sotteso al corretto esercizio delle attività professionali dalla rappresentanza sociale, economica e politica dei professionisti esercitata dalle libere associazioni di categoria.
Infine dovrà anche definire i modi e le forme di regolamentazione di studi multidisciplinari e modelli societari, ammettendo, ove opportuno, soci di capitale, a garanzia dei principi di concorrenza e interesse generale, nel rispetto dell'autonomia di ogni specifica area professionale.

PRESIDENTE. Ringrazio i nostri auditi per la disponibilità manifestata e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 12,40.

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