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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissioni Riunite
(II e X)
8.
Martedì 2 marzo 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Palomba Federico, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA IN RELAZIONE ALL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 3 INIZIATIVA POPOLARE, C. 503 SILIQUINI, C. 1553 VIETTI, C. 1590 VITALI, C. 1934 FRONER, C. 2077 FORMISANO E C. 2239 MANTINI, IN MATERIA DI RIFORMA DELLE PROFESSIONI

Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, del l'Associazione enti previdenziali privati e del relatore della direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa riconoscimento delle qualifiche professionali, Stefano Zappalà:

Palomba Federico, Presidente ... 3 8 9 13 14
De Tilla Maurizio, Presidente dell'Associazione degli enti previdenziali privati ... 4
Guanetti Claudio, Consigliere di Inarcassa ... 8
Regenzi Cesare, Vicepresidente della Commissione II del CNEL ... 9 13
Siliquini Maria Grazia (PdL) ... 9 13 14
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.

COMMISSIONI RIUNITE
II (GIUSTIZIA) E X (ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO)

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 2 marzo 2010


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
DELLA II COMMISSIONE
FEDERICO PALOMBA

La seduta comincia alle 11,45.

(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, dell'Associazione enti previdenziali privati e del relatore della direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa riconoscimento delle qualifiche professionali, Stefano Zappalà.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame delle proposte di legge C. 3 Iniziativa popolare, C. 503 Siliquini, C. 1553 Vietti, C. 1590 Vitali, C. 1934 Froner, C. 2077 Formisano e C. 2239 Mantini, in materia di riforma delle professioni, l'audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, dell'Associazione enti previdenziali privati e del relatore della direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa riconoscimento delle qualifiche professionali, Stefano Zappalà.
Ricordo che inizialmente l'indagine conoscitiva si sarebbe dovuta concludere entro il mese di dicembre 2009, ma che, a causa dei concomitanti impegni delle Commissioni riunite, tra i quali ricordo, in primo luogo, l'esame dei documenti di bilancio, non si è potuto portarla a conclusione nei termini stabiliti.
È stata, pertanto, richiesta al Presidente della Camera una proroga del termine finale dell'indagine conoscitiva, in base alla quale quella odierna è l'ultima data utile per effettuare audizioni. Tengo a precisare che le Commissioni sono riuscite a rispettare il programma di audizioni prefissato.
Oggi, accanto all'audizione di rappresentanti dell'ADEPP e del CNEL, era prevista anche quella del relatore della direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, onorevole Stefano Zappalà. Purtroppo, non sarà possibile procedere a questa audizione per un impedimento personale dell'onorevole Zappalà, il quale ha comunque inviato un documento in cui è riportata la sua posizione in merito al provvedimento in esame.
Do il benvenuto ai rappresentanti dell'ADEPP. Abbiamo con noi l'avvocato Maurizio De Tilla, il dottor Giampiero


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Spirito, il dottor Giancarlo Giorgi, il dottor Luigi Marchione, l'ingegner Claudio Guanetti e il dottor Fabio Faretra.
Do la parola al presidente De Tilla per lo svolgimento della sua relazione.

MAURIZIO DE TILLA, Presidente dell'associazione degli enti previdenziali privati. Signor presidente, la ringrazio dell'invito. Abbiamo lasciato un breve documento, un articolato che potrebbe ispirare alcuni principi della riforma, dato che questo è un progetto di legge quadro sui princìpi.
Vorrei dividere in due parti il mio intervento. Anche i colleghi delle altre casse intendono intervenire. Sicuramente interverrà il rappresentante dell'INARCASSA, l'ingegner Guanetti, ma anche gli altri colleghi sono liberi di farlo a sostegno della linea che le rappresenterò.
La prima parte dell'intervento che intendo svolgere è di carattere generale, sulle professioni. È evidente che le casse professionali traggono alimento dagli ordini professionali. Chi è iscritto all'ordine è iscritto alla cassa, quindi la tenuta, il mantenimento e l'identità degli ordini per noi è fondamentale, perché alimenta le iscrizioni alla cassa. Siamo, quindi, profondamente interessati - lo debbo precisare in premessa - a come verrà recepita la direttiva servizi del Parlamento europeo. Ho avuto modo di leggere un resoconto della riunione della Commissione e - non perché è presente, anzi non mi deve sentire - ho molto apprezzato l'intervento dell'onorevole Siliquini, che ha centrato molto bene l'argomento che ha determinato, nella scorsa legislatura, addirittura un decreto legislativo in contrasto con la direttiva qualifiche.
Ricordo che abbiamo la direttiva qualifiche e la direttiva servizi. La prima è impostata sulle professioni intellettuali e su quelle regolamentate, ossia quelle che fanno riferimento agli ordini professionali. Da questi poi si trae alimento per le casse professionali.
Si poneva il problema per cui alcuni Paesi dell'Europa, del mondo anglosassone, che non avevano ordini professionali, sarebbero rimasti fuori da questa direttiva. Il Parlamento ha allora pensato di equiparare le professioni anglosassoni con quelle degli ordini di tutto il resto dell'Europa. A tal fine, ha predisposto un Allegato 1, dove non figurano gli ordini, ma società di computer perché non hanno gli ordini professionali, ma istituzioni di natura diversa. Era giusto che ciò si facesse, perché il sistema duale non è quello dell'Europa, in cui esiste la common law e la civil law. Come è stato equivocato? È stato emanato un decreto per istituire professioni non regolamentate, che andrebbero istituite per legge e mai per decreto legislativo, sull'equivoco che il principio generale dell'Europa fosse quello di introdurre il sistema duale in ogni Paese: Italia, Francia, Germania. Non è vero, però, non è così.
Ho letto un intervento molto puntuale e obiettivo, oltretutto, anche perché, nella mia esperienza europea abbiamo dibattuto il problema e gli stessi consulenti giuridici dell'Europa ci hanno confermato l'individuazione molto corretta di un intervento di una precisione eccezionale. Ciò sta a significare che, se in quella sede si va avanti, noi vogliamo essere ascoltati. Siamo per la previdenza autonoma, che trae alimento dagli ordini professionali; è vero che la legge n. 103 apre un po' lo scenario, ma per noi il sistema ordinistico è fondamentale.
Nella direttiva servizi che bisogna recepire è detto esplicitamente che le norme della liberalizzazione cedono alla direttiva Zappalà. Se quest'ultima dispone diversamente, prevale. Addirittura, i notai sono fuori dalla direttiva servizi; le due direttive che riguardano gli avvocati prevalgono sulla direttiva servizi, ma poi il testo dispone che le professioni regolamentate attraverso gli ordinamenti dei singoli Paesi e quelli deontologici possano stabilire regole più rigorose in relazione al decoro della professione e alla propria identità. È stabilito, cioè, nella direttiva servizi uno dei princìpi ispiratori del Trattato di Lisbona. Esso parte dalla premessa che bisogna rispettare l'identità nazionale; anzi, la legislazione europea in alcune


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materie (lavoro, previdenza e professioni) non è invasiva: indica alcuni criteri di massima, ma dà la possibilità a ogni Paese di far valere la propria identità nazionale, perché il nostro è un Paese in cui le professioni storicamente hanno veramente un radicamento. Specialmente in Italia, tutte le professioni hanno un fortissimo radicamento sul territorio nazionale e si sono consolidati anche comportamenti deontologici, identità, protezione. Dovrebbero essere applicati ancor più profondamente il livello deontologico e la libertà delle professioni nel nostro Paese.
Tale direttiva è importante, perché potrebbe scompaginare gli ordini e anche le casse. L'ADEPP, quindi, presenta un'istanza esplicita per essere sentita in quella sede.
Vediamo la previdenza. Nel dibattito che c'è stato sulle professioni, che è cominciato fortemente tre legislature fa, si dava per scontato che, quando si procedeva alla riforma delle professioni attraverso una legge-quadro, la fissazione dei princìpi, un ordinamento ancora più specifico, si dovesse tener presente la previdenza. Con la privatizzazione, le casse sono diventate il motore delle professioni e queste ultime, senza la parte previdenziale, non funzionano più, anche perché gli albi si sono talmente incrementati che gli iscritti, specialmente le categorie più deboli, come i giovani e le donne, sfavoriti nella vita professionale, ricevono dalle casse di previdenza, ciascuno nei propri compiti, un forte supporto.
Col testo che abbiamo consegnato, avevamo suggerito che questo mondo privato, autonomo, tale per cui l'autonomia non andava lesa, che aveva al fondo il principio di responsabilità e alla base il sistema delle professioni, venisse consacrato definitivamente, perché abbiamo avuto nella nostra storia attacchi alla natura privata e all'autonomia delle casse. Esiste un fatto culturale: non si è appreso che le casse professionali agivano in termini di libertà, di autonomia e di autofinanziamento e che lo Stato non faceva più da copertura. La legge di privatizzazione dispone che non vi sia alcun finanziamento, diretto o indiretto, da parte dello Stato.
Poiché ci siamo responsabilizzati, abbiamo aumentato i contributi e tutte le casse hanno varato le riforme, volevamo che nella legge delle professioni si consacrasse definitivamente l'autonomia di questo mondo e i suoi scopi e finalità, che non sono solo previdenziali. La grande crisi di questi tempi ha dimostrato che le casse possono svolgere un ruolo forte di ammortizzatori sociali. Abbiamo categorie allo stremo, molti soggetti che non hanno un rapporto di impiego e di lavoro, che si trovano a svolgere un'attività dove il reddito è stato notevolmente falcidiato. Di qui l'intervento delle casse.
Questo mondo privato che fa previdenza e ha finalità sociali ha, però, una tassazione uguale a quella degli enti di lucro. Non abbiamo nemmeno la tassazione prevista per le ONLUS, né della previdenza integrativa, ma ne abbiamo una come se fossimo società speculative: quando aumentano le imposte per le grandi società multinazionali, le stesse aumentano anche per noi, con la sola differenza che noi non abbiamo nemmeno una lira di evasione fiscale, siamo trasparenti totalmente e paghiamo tutte le imposte, mentre magari, in altre sedi, si trovano anche le ragioni per evadere gli aumenti di imposta.
Abbiamo chiesto di sopprimere la doppia tassazione e di avere una riduzione dell'imposizione fiscale anche per andare ad alimentare i fondi delle casse destinati all'assistenza - intesa in senso ampio - e agli ammortizzatori sociali. Tale richiesta è stata formulata più volte.
Abbiamo anche una caratteristica, che è stata ricordata poco fa da un collega: siamo l'unica categoria delle professioni che fa una politica per i giovani, peraltro fortissima. Abbiamo diminuito l'imposizione per loro, addirittura in molte casse i praticanti possono avere la copertura previdenziale, quasi tutte hanno l'assistenza sanitaria, quindi a protezione, nonché agevolazioni, che andiamo sempre più a incrementare; si tratta del cosiddetto


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ritorno al welfare professionale, che è molto importante. Se cade la professione, cade l'iscrizione e il reddito si azzera o si annulla, le casse dovrebbero svolgere, e già lo svolgono in parte, un compito che va incentivato.
Nei princìpi che regolano le professioni è importante, dunque, sottolineare la natura privata, l'autonomia, il ruolo profondamente sociale e di integrazione che possono svolgere le casse di previdenza. Non esiste, infatti, una professione e questo mondo, separato. Esso è, invece, fortemente integrato.
La CASAGIT, il nostro gioiello, si occupa esclusivamente dell'assistenza sanitaria per i giornalisti. La migliore assistenza sanitaria di questo Paese è prestata da una professione che si è creata un'organizzazione che fa l'assistenza sanitaria, in parte sostenuta dai contributi dei datori di lavoro, in parte fortemente anche da quelli degli stessi lavoratori. Non viene regalata, ovviamente.
Questo è, dunque, a nostro giudizio un momento importante. Preghiamo i colleghi parlamentari della Commissione e lei, presidente, di tenere in considerazione tra i punti non secondari, ma fondamentali della riforma delle professioni la funzione che svolgono le casse di previdenza, funzione che va protetta e forse anche meglio definita.
Certo, c'è la parte fiscale, quella previdenziale, ma anche quella strutturale. Chiediamo un intervento strutturale molto serio e incisivo e riteniamo di avere ragione a imporlo.
Vorrei chiudere con un'ultima osservazione, che vale anche per gli avvocati, i quali hanno avviato una riforma, che però, in base alla lettura dei resoconti stenografici di tutte le audizioni, è in linea totale con i princìpi che le diverse organizzazioni rappresentative si sono dati: si parla infatti di professione intellettuale e di princìpi molto rigorosi di una professione altrettanto rigorosa.
Certo, bisogna rafforzare il collegamento tra il mondo universitario con quello del lavoro professionale. La vera crisi di inflazione o di asimmetria tra le professioni e il mondo delle università è data dal fatto che non esiste un collegamento. Abbiamo tre tipologie di università: quelle che non hanno iscritti e hanno sbocchi lavorativi certi, quindi non arrivano alle università i soggetti che il mercato del lavoro vorrebbe assorbire; quelle che hanno messo il numero programmato e il numero chiuso, perché avevano richieste di lavoro molto contenute; e, per esempio, la professione degli avvocati, dei quali, come in Francia, l'università non programma il numero in uscita, generandone un numero enorme, che non corrisponde al fabbisogno reale.
Secondo il mio punto di vista, se vogliamo agire concretamente - e io so che la relatrice Siliquini è stata sottosegretario di Stato alla pubblica istruzione e che anche il Parlamento e il Governo hanno compiuto alcuni interventi - bisogna mettere tra i princìpi cardine della riforma il collegamento tra mondo universitario e professionale. Esiste un'asimmetria: probabilmente il mondo universitario forma laureati destinati a professioni che ormai sono inflazionate.
Ho un'ultima considerazione che vorrei svolgere. Mi fa piacere che abbiate accelerato i tempi - conosco l'opinione del Ministro della giustizia sulla riforma degli avvocati: ha affermato che bisogna farla, il testo è stato già stato approvato in commissione e bisogna portarlo in Aula al Senato; abbiamo fatto anche una protesta giusta, ma non contraria alla proposta, affinché questa riforma venga varata - perché abbiamo tempi stretti. Questo mondo intanto è forte e supporta il Paese, in quanto ha regole. È un mondo in cui le regole hanno una funzione importante, a differenza di quello che è stato detto nella scorsa legislatura, in cui è stata emanata una legge di deregulation che, a mio avviso, va completamente modificata, credo per tutte le professioni. Questa è la mia opinione: ogni professione non sceglie se appoggiarsi sulle regole o fare la deregulation. Non so se nel corso delle precedenti audizioni sia stata fatta una considerazione di questo tipo, ma sono dell'opinione che i princìpi generali debbano contenere


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le regole, senza eccezioni. Per esempio, non si può avere una professione mercantile. Tutte le professioni sono intellettuali, se si ha una professione mercantile, allora si apre un'impresa, ci si rivolge alla Confindustria, ma non ci si inserisce nel comparto delle professioni.
Le regole devono valere per tutti, tranne per alcune specificità che ci possono essere e che ci sono. Abbiamo, però, bisogno di tempi urgenti. Non conosco la posizione del Ministro Alfano e mi farebbe assai piacere che questa Commissione lo ascoltasse su questi temi, perché è molto importante. Quasi tutte le professioni fanno capo al dipartimento delle professioni del Ministero della giustizia, alcune invece al welfare e altre alla sanità; ci sono diversi comparti. La maggior parte, però, è guidata dal Ministero della giustizia, tant'è vero che esiste addirittura un sottosegretario, oppure il ministro si è riservato la delega, sulle professioni.
È urgente fissare queste regole: ne hanno bisogno il Paese e le professioni, in base anche alle osservazioni di chi mi ha preceduto, perché ciò dà ordine a un comparto che si sente più fortemente responsabilizzato; il Paese può contare su professioni che hanno regole precise, che sono deontologiche, ma anche di status. Non so che cosa dirà il mio amico e collega dell'INARCASSA.
Sostanzialmente, quasi tutte le professioni sono libere professioni, che ricavano il proprio sostentamento unicamente dall'attività professionale. Per gli avvocati ciò vale in modo totale. Esiste poi un elenco speciale di avvocati che esercitano la professione solamente per gli enti presso i quali lavorano, ma si tratta di mille o 2 mila avvocati su un totale di 230 mila in tutto il Paese.
La previdenza ha una forte funzione. Abbiamo le eccezioni, i giornalisti, che solitamente hanno un rapporto di lavoro, ma è una scelta. Quella è una previdenza cosiddetta sostitutiva, che è molto importante: l'intera categoria ha chiesto e ottenuto che il privato potesse regolare la propria previdenza. È un'intera categoria. Altre categorie hanno dipendenti e liberi professionisti; secondo me, senza togliere niente a nessuno, anche chi ha un rapporto di pubblico dipendente dovrebbe avere tra i requisiti l'iscrizione all'albo o a un elenco speciale per dare maggiore garanzia della competenza delle proprie attività.
Infine, per quanto riguarda le professioni non regolamentate, secondo me il cosiddetto decreto Bonino farà pasticci enormi, perché non prevede la definizione dei requisiti. Occorre un esame di Stato anche per questa tipologia di professioni. Ho letto una considerazione molto intelligente, che devo riferire: un soggetto cancellato, espulso dall'albo delle associazioni, continua a fare il professionista. Chi è espulso dall'albo degli ingegneri ha l'inibitoria e non può continuare ad esercitare. Si chiama esercizio abusivo della professione. Una persona radiata dall'albo non può lavorare. Se si creano queste associazioni e poi se ne esce perché si è indegni ma si continua comunque a svolgere la stessa attività, o un'attività parallela, fuori è veramente ridicolo. Da una parte vogliamo regolare, stringere su questo mondo, ed è bene che lo si faccia anche con regole severe; dall'altra, prevediamo un'area di «libero pascolo» che non ha i requisiti previsti per il comparto delle professioni regolamentate.
Nel sistema anglosassone pur avendo la common law e le società, per accedere a tali società c'è un fortissimo rigore: è difficilissimo. Ci sono esami da sostenere ed è difficile essere ammessi a tali professioni. È un sistema profondamente selettivo.
Invece, nel nostro Paese si determinerebbe - già gli albi devono essere maggiormente selettivi; non chiusi, ma selettivi - che le associazioni che fanno riferimento a quelle inglesi, che sono severe, in cui l'accesso è difficile, avrebbero un accesso indiscriminato e addirittura si applicherebbe tale logica su presupposti completamente diversi. C'è stata e c'è la volontà di portare i professionisti nei negozi sulla strada e dentro i supermercati, di portare le attività professionali addirittura sul mercato dei prodotti, come se


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fossero prodotti da vendere, proprio perché c'è una visione ideologica e politica che noi contrastiamo fortemente. Sarebbe gravissimo far uscire dalla porta queste regole che non si possono applicare e poi «rientrare dalla finestra» con il riconoscimento di associazioni, che magari hanno pure il diritto di ottenere il riconoscimento, ma dovrebbero seguire la stessa procedura rigorosa che hanno seguito gli ordini per il loro riconoscimento.
Ci sono ordini, anche di recente istituzione - non sono tutti antichi - che hanno seguito regole rigorose. L'auspicio che esprimiamo è che per la previdenza e per le professioni ci debbano essere regole rigorose. Un conto è la liberalizzazione, un altro la liberalizzazione selvaggia, per cui poi il fenomeno della disoccupazione potrebbe svilupparsi verso una professione che non richiede regole precarie. occorre comunque tutelare i diritti del cittadino, del cliente. Le regole non devono essere precarie. Non è un'attività che si può svolgere un mese all'anno o per un anno solo.
L'attività professionale deve avere regole precise, una sua stabilità, una sua protezione sociale e anche una produzione normativa e regolamentare, per la quale preghiamo chi si sta interessando di questi problemi, questa Commissione, di licenziare al più presto un testo che possa anche recepire alcune delle indicazioni che abbiamo dato e che l'ADEPP ha fornito in questo senso.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente De Tilla e chiedo se ci sono altre brevi integrazioni.

CLAUDIO GUANETTI, Consigliere di Inarcassa. Sono delegato del presidente di Inarcassa, la cassa degli ingegneri e architetti, Paolo Muratore, che non può essere presente.
Riguardo alle considerazioni del Presidente De Tilla, a me premeva solo fare un breve cenno sulla peculiarità della professione di ingegnere e architetto, perché, a differenza di quanto nella professione degli avvocati non ha ragione di esistere, nella nostra il rapporto tra sistema ordinistico e quello delle casse previdenziali è effettivamente soggetto a discrasie che andrebbero tenute nella giusta considerazione.
Mi riferisco, per esempio, all'ordine degli ingegneri, nel quale sono presenti solo il 30 per cento degli iscritti a INARCASSA come liberi professionisti, mentre invece il rapporto è ribaltato per gli architetti. Si corre, quindi, il rischio, in alcune occasioni, come questa molto importante della riforma delle professioni, che al tavolo della concertazione vengano a essere presenti più lavoratori dipendenti che non liberi professionisti. Accolgo e sostengo con forza l'intervento del presidente perché ci sia la possibilità per l'AdEPP di intervenire sul versante della riforma delle professioni, che, per quanto riguarda quelle di ingegneri e architetti, riguarda un numero inferiore di professionisti rispetto ai dipendenti.
La professione di ingegnere e architetto, quindi, ha un riflesso che deve essere visto nella sua connotazione importante dal punto di vista della tutela della fede pubblica. In questo senso, la seconda e ultima considerazione che vorrei svolgere si riferisce a paventate fughe in avanti rappresentate dalle professioni che sono molto vicine e assimilabili alla nostra e che cercano di ridurre il loro apporto - mi riferisco a quelle che vogliono inquadrare le lauree triennali in un ordine unico dei tecnici - e invita a tener presente una possibile distinzione che riguarda la sostanziale presenza degli ingegneri e degli architetti nel mercato dell'attività professionale e tecnica. Credo che, rispetto alle regole del mercato, occorra prima di tutto occorra tenere nella giusta considerazione il nostro obiettivo di lungo termine, per cui l'aspetto demografico, degli iscritti agli albi professionali che svolgono attività di libera professione, debba assumere una posizione preminente nelle regole che devono governare le professioni nel nostro Paese.

PRESIDENTE. Prima di passare all'audizione dei rappresentanti del CNEL, do la


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parola alla relatrice, onorevole Siliquini, che deve dare lettura di una lettera pervenuta alle Commissioni.

MARIA GRAZIA SILIQUINI. Colleghi, do lettura di questo documento per non correre il rischio di interpretarlo in modo non corretto.
Avevamo in animo di sentire il CNEL, in particolar modo ovviamente i rappresentanti delle professioni intellettuali, che ogni Governo nomina. Avevamo chiamato in prima persona il presidente Marzano, che, non potendo venire, ha inviato oggi il presidente della Commissione lavoro, il quale però non c'è, perché ammalato; in sostanza, sarà presente un consigliere insieme ad alcuni funzionari.
Al riguardo è pervenuta una lettera, che credo vi sia stata già trasmessa. I consiglieri, in rappresentanza delle professioni nominati dal Governo presso il CNEL, ufficialmente scrivono e precisano che il CNEL, come noto, prevede il settore dei lavoratori autonomi, artigiani, coltivatori diretti, cooperative e liberi professionisti. Loro rappresentano le professioni intellettuali. Con la presente rappresentano anche «a codeste illustrissime Commissioni che il tema della riforma delle professioni, attualmente oggetto di queste audizioni, non è stato trattato all'interno del CNEL, nonostante le reiterate richieste dei sottoscritti, finalizzate a porre il problema all'attenzione degli altri consiglieri di diversa estrazione, proprio perché ci sono diversi settori, con l'obiettivo di discuterlo e trattarlo nell'ambito della Commissione II del CNEL medesimo. Ciò avrebbe permesso di poter far conoscere a tutti i membri delle Commissioni i temi e le problematiche relativi alle professioni intellettuali». Scrivono ancora: «è circolata la notizia che, nell'ambito delle audizioni sulla riforma delle professioni, il CNEL verrà audito nella persona del consigliere Regenzi, accompagnato dai funzionari dottor Dau e dottor Boni, che non hanno mai trattato il tema della riforma delle professioni intellettuali, proprio perché tale questione non è stata mai trattata all'interno della Commissione. Viceversa, non si è ritenuto di audire i sottoscritti esperti, delegati per il settore delle professioni intellettuali. Tale collega consigliere, che proviene dal settore degli edili CISL, attualmente coordina i lavori della Commissione II per le politiche del lavoro e dei settori produttivi in sostituzione del Presidente, purtroppo ammalato. A riguardo si evidenzia che gli scriventi consiglieri Orlandi, Catalano e Sardi, che, come ricordato, rappresentano presso il CNEL il settore delle professioni intellettuali ordinistiche, sono gli unici a possedere le giuste competenze e le approfondite conoscenze sul tema oggetto dell'audizione, che riteniamo di sicura utilità per le illustrissime Commissioni, anche al fine di integrare le osservazioni che eventualmente esprimerà il collega Regenzi.
Pertanto, con la presente, i sottoscritti chiedono formalmente ai presidenti delle commissioni giustizia e attività produttive di essere auditi per offrire alle commissioni le necessarie integrazioni che, a parer nostro, risultano indispensabili per una completa visione dei problemi legati al settore professionale che, in caso contrario, rimarrebbe parziale e non esaustiva».

PRESIDENTE. Credo che non sia necessario aprire ora un dibattito, trattandosi di una questione che potrà essere affrontata e risolta nell'ambito dell'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi.
Passiamo ora all'audizione dei rappresentanti del CNEL cui diamo il nostro benvenuto.
Do quindi la parola al consigliere Regenzi per lo svolgimento della sua relazione.

CESARE REGENZI, Vicepresidente della Commissione II del CNEL. Prima di tutto, vi porto i saluti del presidente Marzano, che purtroppo non può essere presente questa mattina ed è molto dispiaciuto. Da quando ha assunto anche la carica di presidente dell'AICESIS, l'organizzazione internazionale dei Consigli, è molto impegnato: questa mattina ha dovuto scegliere il congresso della UIL e, quindi, purtroppo non è presente.


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Credo che sia importante ricordare alle commissioni giustizia e attività produttive l'operato del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro negli anni scorsi sulla vicenda delle professioni. Riteniamo sia anche opportuno mettervi a conoscenza di quanto stiamo facendo sul tema delle professioni proprio in questi mesi, in questi giorni.
Come credo voi tutti sappiate, il CNEL normalmente si esprime all'unanimità per dovere istituzionale. Purtroppo, sulla vicenda delle professioni, tale unanimità è difficile da raggiungere. Abbiamo una minoranza costituita, esigua dal punto di vista numerico, però ben definita: i rappresentanti degli ordini, tre su 120, assumono sistematicamente posizioni inconciliabili con quelle della maggioranza del Consiglio.
Per evitare incidenti di percorso ed essere certo di interpretare fedelmente il parere delle delibere del nostro organismo, ho ritenuto opportuno preparare un appunto scritto, che vi leggerò e vi lascerò, insieme anche ad altra documentazione, in modo che rimanga chiaramente agli atti. Il documento è articolato in due punti. Il primo riguarda le posizioni pregresse del Consiglio, il secondo le opinioni di oggi.
Il Consiglio ha avviato fin dal 1992 un filone di attività riferito alle professioni intellettuali, sia quelle regolamentate, sia quelle non regolamentate. Alla base di tali iniziative c'era la convinzione, condivisa da tutte le forze sociali rappresentate al CNEL, che la spinta alla globalizzazione dei mercati e il processo di progressiva integrazione europea portasse inevitabilmente a introdurre regole di maggiore concorrenza e competitività nel mercato dei servizi professionali e delle nuove professioni.
Risultava a noi evidente fin dagli anni Ottanta che la regolamentazione delle professioni sarebbe stata un'esigenza del legislatore - siamo qui a sollecitare affinché proceda - e che si sarebbe dovuta orientare secondo i princìpi stabiliti in sede europea. In un documento di osservazioni e proposte dell'inizio del 2000, il CNEL aveva preso atto della situazione che si stava definendo e che rendeva necessario che sui servizi professionali si agisse in modo deciso e tale da garantire la possibilità di avere sbocchi anche per i giovani che si affacciavano al mondo del lavoro. L'attenzione del CNEL si è soffermata, conformemente alle prerogative costituzionali, a predisporre e costituire elementi di analisi qualitativi e quantitativi utili a conoscere meglio il fenomeno delle professioni intellettuali e a consentire al legislatore di intervenire in modo efficace.
Tale iniziativa, naturalmente, è sempre stata sviluppata al fine di accrescere l'attenzione sull'intero mondo delle professioni, senza per questo sminuire la rilevanza del patrimonio costituito dal mondo delle professioni ordinistiche presenti da anni nel nostro ordinamento, i cui ultimi dati evidenziano, peraltro, anche nell'anno scorso un trend di crescita. Secondo il CENSIS, nel 2009 gli iscritti agli ordini e ai collegi professionali risultano essere oltre 2 milioni, con un incremento di circa il 2 per cento sul 2008. Sempre secondo il CENSIS, negli ultimi cinque anni la crescita complessiva degli ordini è stata pari al 16 per cento.
L'interesse al mondo delle professioni non regolamentate negli anni passati si è tradotto nella predisposizione da parte nostra, del CNEL, di quattro rapporti di monitoraggio pubblicati fra il 1994 e il 2000. In particolare, nel quinto si evidenziava come risulta confermata la leadership delle categorie servizi all'impresa, seguita da quelle delle medicine non convenzionali. Da sole, queste due categorie rappresentano quasi il 50 per cento del totale.
Con riferimento alle dimensioni delle associazioni, il segmento occupato dalle associazioni con numero di iscritti fra 101 e 500 è risultato prevalente, denotando che i professionisti non regolamentati operano in settori in cui, a prescindere dal titolo di studio, è spesso richiesta una forte specializzazione.
Anche se solo pratica, si tratta, in alcuni casi, di associazioni di nicchia - i gemmologi, per esempio - e in altri, invece, di associazioni che rappresentano


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un numero ampio e in crescita di professionisti, come, per esempio, gli esperti di informatica. Inoltre, se oltre i due terzi delle associazioni richiede per l'iscrizione il possesso di un preciso titolo di studio, meno della metà sottopone gli aspiranti a un esame di ammissione. Ciò in parte rileva ancora un forte legame con il sistema codificato dei saperi, più che il diffondersi di sistemi autonomi di riferimento legati a conoscenze e capacità specifiche.
Inoltre, fino al 2004, presso il CNEL è stata attivata e aggiornata una banca dati sulle associazioni non regolamentate, che ha consentito di portare alla luce l'esistenza di 196 associazioni suddivise nelle categorie di arti, scienze e tecniche (25), comunicazioni di impresa (18), servizi alle imprese (52), medicine non convenzionali (42), sanitarie (19), cura psichiatrica (16) e altre di dimensioni numeriche minori per un totale di 24.
Un altro risultato della scorsa consiliatura del CNEL fu la predisposizione di una proposta di legge avente a oggetto le professioni non regolamentate. La proposta del CNEL era incentrata su due punti. Il primo era la costituzione del sistema delle professioni su un doppio binario, o sistema duale, espressione che va di moda su questa vicenda, che vedesse affiancate nei rispettivi ambiti le professioni regolamentate e quelle non regolamentate. Il secondo polo di attenzione, relativo alle professioni non regolamentate, consisteva nell'opportunità di istituire un registro che servisse a elevare la quantità e la qualità dell'azione e a orientare e tutelare il cliente.
L'esigenza alla base della proposta, pertanto, non era quella di creare un'anticamera delle associazioni in attesa di diventare professioni di tipo ordinistico; al contrario, il dispositivo intendeva proporsi di fornire garanzie sufficienti agli operatori e all'utenza per esercitare la professione. Il progetto di legge - non devo spiegarvelo - presentato dal Governo alla Camera nella scorsa legislatura (C. 2160), è stato assegnato alle Commissioni giustizia ed attività produttive ma il suo iter non si è concluso.
Nell'attuale consiliatura, l'azione del CNEL in tema di professioni è stata indirizzata sia alla continuazione dello studio del fenomeno delle professioni, sia a una maggiore collaborazione con altre istituzioni in vista della riforma delle professioni. A tal fine, è stata avviata da parte del CNEL una collaborazione con l'ISTAT e con l'ISFOL, volta alla definizione di un repertorio delle professioni che sia finalizzato non all'individuazione delle associazioni più rappresentative e alla loro regolamentazione, ma alla definizione dei contenuti degli ambiti professionali intellettuali nelle loro diverse articolazioni.
Per quanto riguarda il profilo istituzionale, il CNEL è stato coinvolto nei successivi percorsi di riforma avviati dalle Camere nelle diverse legislature. In particolare, la Commissione per le politiche del lavoro e dei settori produttivi del CNEL, nella riunione deliberante del 6 febbraio 2007, si pronunciò a maggioranza sul disegno di legge delega del Governo sul riordino delle professioni.
In quella sede, il CNEL individuò alcuni princìpi secondo cui si sarebbe dovuta orientare una riforma del settore, che vi riassumo: tendenzialmente, la riduzione del numero degli ordini, albi e collegi previsti dalla legislazione vigente; la possibilità di esercitare la professione anche in forma societaria; la possibilità di produrre pubblicità a carattere informativo; la previsione che il corrispettivo delle prestazioni sia consensualmente determinato dalle parti; l'obbligo dell'assicurazione per la responsabilità civile del professionista a maggior tutela dell'utente.
Aggiungo a braccio, perché non è un'idea del CNEL, ma l'occasione mi pare buona per ricordarlo, che esiste un problema che riguarda i cosiddetti tirocinanti, per i quali probabilmente - forse parla il mio animo di ex sindacalista - esiste una regolamentazione che codifichi il loro trattamento economico normativo. Perfino nelle botteghe del Rinascimento, ai ragazzi di bottega si garantiva vitto e alloggio; credo che un minimo vada regolamentato


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per evitare di tarpare le ali ai giovani che si apprestano a intraprendere una professione.
Questi princìpi, escluso l'ultimo, furono illustrati dal presidente del CNEL in un'audizione della Camera l'8 marzo del 2007. Nella seconda metà della consiliatura - e siamo ai giorni nostri - il CNEL, e in particolare la II Commissione che io rappresento, ha concentrato la sua azione sull'attuazione, per quanto di propria competenza, dell'articolo 26 del decreto legislativo n. 206 del 2007, che assegna al Consiglio il compito di fornire una valutazione, su richiesta del Ministero della giustizia, sulle associazioni di professioni non regolamentate che hanno richiesto di essere considerate nel novero dei soggetti sentiti dalle autorità competenti nel caso di elaborazione di piattaforme comuni europee.
In data 28 febbraio 2010, il CNEL ha ricevuto dal Ministero della giustizia 58 richieste di associazioni. Di queste, 11 sono già state esaminate con una valutazione favorevole, 4 con una valutazione sfavorevole. Tutte le altre sono in fase di valutazione istruttoria. Credo che entro marzo si potrà ragionevolmente prevedere che esprimeremo il parere su altre 15 associazioni.
Il CNEL ha programmato i suoi lavori per fornire al Ministero della giustizia una valutazione su tutte le richieste inviate entro il termine della consiliatura, cioè entro il luglio del 2010. Il percorso intrapreso dal CNEL sta, dunque, producendo diversi effetti: da un lato, fa emergere caratteristiche ed elementi di qualità delle associazioni non regolamentate, dall'altro, attraverso l'attuazione del decreto legislativo n. 206 del 2007 da parte degli altri soggetti istituzionali, consente di riflesso anche l'aggiornamento e un maggiore dinamismo degli ordini professionali.
Come il CNEL ha registrato al proprio interno, grazie anche al contributo delle diverse categorie che vi sono rappresentate, è ormai in atto una tendenza costante, registrata nell'ultimo decennio, relativa alle professioni artistiche. Come si evidenziava già allora nel quarto rapporto di monitoraggio sulle associazioni rappresentative delle professioni non regolamentate, l'apertura degli ordini a logiche di modifica di implementazione dell'attuale sistema è una tendenza di segno chiaro, anche se è vero che molti ordini hanno continuato ad alimentare la giurisprudenza con richieste di difesa delle esclusive. È anche vero, però, che molti altri hanno lavorato e lavorano in funzione di una riforma che ne cambierebbe profondamente il ruolo socioeconomico.
L'obiettivo del CNEL, dunque, lungi dall'essere quello di ipotizzare una concorrenza tra professioni ordinistiche e non regolamentate, vuole essere quello di favorire un generale ammodernamento del sistema professionale nel nostro Paese, che sia in grado di fronteggiare le continue richieste di elevazione degli standard qualitativi dei professionisti, di adeguata tutela dell'utenza, di rinnovata capacità di concorrere con i professionisti degli altri Paesi membri dell'Unione europea.
Alla luce delle precedenti considerazioni, il CNEL ritiene che la normativa vigente nel nostro Paese, seppure orientata agli obiettivi sopra indicati, non sia ancora sufficiente alla loro realizzazione, auspicando, pertanto, un intervento sistematico di riordino e riforma che prefiguri un quadro normativo organico e unitario.
Al riguardo - e con questo chiudo - va, inoltre, sottolineata l'esigenza di ricercare l'intesa con gli altri soggetti istituzionali, quali le regioni, che sono ormai costituzionalmente competenti in via concorrente con lo Stato anche in tema di professioni. Da questo punto di vista, la Conferenza unificata Stato-regioni, come già evidenziato nella nostra pronuncia resa nel 2007, appare lo strumento migliore per ricercare l'intesa e predisporre una legislazione attuativa che non sia successivamente esposta al rischio di conflittualità con le regioni per questioni attinenti il rispetto delle reciproche competenze. Questo


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è il documento che abbiamo predisposto e che lasciamo agli atti. Siamo a vostra disposizione.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MARIA GRAZIA SILIQUINI. Il CNEL è chiamato, come ha citato, a dare parere al Ministero della giustizia in ordine all'idoneità delle associazioni che presentano domanda per essere iscritte, qualora ottengano il parere positivo, nel registro che ha come obiettivo la partecipazione alle piattaforme ex articolo 26 del decreto Bonino-Scotti del Governo Prodi.
Tali piattaforme hanno come scopo quello di stabilire, se ho capito bene, come colmare le differenze nella quantità e nei contenuti della formazione professionale nei diversi Paesi, per esempio, per capire la differenza di formazione e quindi come armonizzare tra uno psicologo italiano e uno lituano, per citare un caso estremo, o tra l'avvocato italiano e quello spagnolo, per presentare un caso molto più comune. Questa premessa è corretta?

CESARE REGENZI, Vicepresidente della Commissione II del CNEL. È corretta, anche se purtroppo il compito assegnato al CNEL è molto più modesto.

MARIA GRAZIA SILIQUINI. È in questo filone, però; è questa la strada.
Ciò premesso, vorrei sapere da lei se voi, come Commissione, avete stabilito requisiti minimi in termini di contenuti e di quantità della formazione ai fini della partecipazione alle piattaforme? Mi riferisco a durata, contenuti della formazione, titolo di studio. Avete stabilito i requisiti minimi per la partecipazione di professioni facenti parte di associazioni ovviamente non regolamentate e non riconosciute? Mi preme capire questo aspetto.

CESARE REGENZI, Vicepresidente della Commissione II del CNEL. La domanda è chiarissima, anche se non so se la risposta sarà esauriente. Noi ci muoviamo lungo binari nei quali siamo costretti a operare dai contenuti dell'articolo 26, il quale cita i criteri con i quali ci si deve muovere per esprimere la nostra valutazione istruttoria, che poi viene trasmessa al Ministero della giustizia. Tra questi criteri figurano la quantità di formazione minima, la necessità della formazione continua permanente, quella di avere un regolamento deontologico per le professioni, una storia delle associazioni, che non possono essere nate come funghi...

MARIA GRAZIA SILIQUINI. Come titolo di studio?

CESARE REGENZI, Vicepresidente della Commissione II del CNEL. Il titolo di studio, a seconda delle caratteristiche e delle professioni, è comunque previsto.

MARIA GRAZIA SILIQUINI. Qual è il livello minimo previsto? La laurea?

CESARE REGENZI, Vicepresidente della Commissione II del CNEL. No. Ci sono alcune professioni che oggettivamente prevedono la laurea e altre per le quali possono essere sufficienti il diploma di media superiore e la formazione specifica continua, nonché alcuni esami di idoneità svolti dalle associazioni.
Comunque, noi ci muoviamo - non ci siamo inventati i criteri - dentro i binari previsti. Abbiamo cercato anche di dare alcune interpretazioni, però il binario è definito dalla legge.

MARIA GRAZIA SILIQUINI. Mi esprimo correttamente nell'affermare che voi dovete verificare che dichiarino questi requisiti? Non andate a verificare che ci siano?

CESARE REGENZI, Vicepresidente della Commissione II del CNEL. Noi esprimiamo un giudizio sui pezzi di carta che ci vengono messi a disposizione dal


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ministero. Verifichiamo che nella documentazione che riceviamo ci sia lo Statuto, che esso abbia caratteristiche democratiche, che l'organizzazione abbia un quid di storia, indicativamente quattro anni, e che sia presente su tutto il territorio nazionale.
Ci muoviamo nell'ambito di quanto previsto dalla legge. Abbiamo poi dato alcune interpretazioni di massima, che servono per avere un orientamento.

MARIA GRAZIA SILIQUINI. Grazie.

PRESIDENTE. Ringraziamo i nostri ospiti.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 12,45.

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