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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissioni Riunite
(II e X)
9.
Giovedì 18 marzo 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Bongiorno Giulia, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA IN RELAZIONE ALL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 3 INIZIATIVA POPOLARE, C. 503 SILIQUINI, C. 1553 VIETTI, C. 1590 VITALI, C. 1934 FRONER, C. 2077 FORMISANO E C. 2239 MANTINI, IN MATERIA DI RIFORMA DELLE PROFESSIONI

Audizione del relatore della direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, Stefano Zappalà:

Bongiorno Giulia, Presidente ... 2 3 5 6 7 8
Siliquini Maria Grazia ... 5 7
Zappalà Stefano, Relatore della direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali ... 2 3 6 7
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.

COMMISSIONI RIUNITE
II (GIUSTIZIA) E X (ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO)

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 18 marzo 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA II COMMISSIONE GIULIA BONGIORNO

La seduta comincia alle 9,40.

(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del relatore della direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, Stefano Zappalà.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame delle proposte di legge C. 3 Iniziativa popolare, C. 503 Siliquini, C. 1553 Vietti C. 1590 Vitali, C. 1934 Froner, C. 2077 Formisano e C. 2239 Mantini, in materia di riforma delle professioni, l'audizione del relatore della direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, Stefano Zappalà.
Ringrazio per la presenza il vicepresidente della X Commissione.
Faccio presente che, per quanto concerne questa seduta, oltre all'attivissima nostra relatrice, l'onorevole Siliquini, sono presenti diversi colleghi che sono normalmente quelli che approfondiscono maggiormente la materia, l'onorevole Contento per il PdL e l'onorevole Lulli per il PD. In ogni caso, la pubblicità dei lavori della seduta odierna, sarà assicurata dal resoconto stenografico.
La consueta organizzazione dei nostri lavori prevede una relazione iniziale da parte del soggetto audito. Successivamente, i commissari potranno formulare osservazioni e richieste di chiarimento. Se saranno depositati dei documenti, ovviamente saranno oggetto degli opportuni approfondimenti.
Do la parola all'onorevole Stefano Zappalà, che ringrazio per la sua presenza.

STEFANO ZAPPALÀ, Relatore della direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali. Signor presidente, sono io che la ringrazio. Ho avuto modo di interessarmi di professioni, grosso modo, fin dal 2000. Finalmente, nel 2005 a Bruxelles abbiamo completato l'iter procedurale con l'entrata in vigore della direttiva n. 36 del 2005, che certamente tutti i commissari conoscono.
Si tratta di un tema vasto e noto, di cui purtroppo tanti parlano, ma pochi lo fanno conoscendolo, in quanto è una materia complessa: lo è all'interno dei singoli Stati membri dell'Unione europea e nell'insieme dell'Unione stessa, poiché quando approvammo questa direttiva l'Unione era composta da 15 Stati, mentre oggi gli Stati sono 27.
Credo che sia opportuno - sarò molto sintetico, poiché abbiamo tempi limitati - fornire un'inquadratura generale su questa direttiva. Peraltro, è a disposizione dei commissari una relazione molto sintetica.


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PRESIDENTE. Avverto che la relazione consegnata dall'onorevole Zappalà e già in distribuzione.

STEFANO ZAPPALÀ, Relatore della direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali. La ringrazio. L'Unione europea, fin da subito, è nata con l'obiettivo di creare un sistema di libero scambio all'interno del suo territorio, per quanto riguarda le merci e la libera circolazione delle persone, ossia il mercato interno.
Ogni cittadino di uno Stato membro ha il diritto di poter scegliere il domicilio o la residenza dove preferisce e, nello Stato ospitante, ha gli stessi diritti e doveri dei cittadini originari di quello Stato. Egli, dunque, deve poter esercitare la propria attività lavorativa dovunque decida di esercitarla all'interno dell'Unione europea.
In questo discorso si inquadra il problema delle professioni. Un professionista che è legittimato ad esercitare un'attività professionale in uno degli Stati membri deve poterla esercitare anche altrove. Il problema è nato subito, perché ogni Stato ha un suo sistema sia di formazione culturale sia di accesso alle professioni. Quello che si chiama in Europa il processo di armonizzazione è complesso, ma oggi - naturalmente nei secoli si arriverà anche all'uniformità - è solo un problema di armonizzazione.
Fin da subito, come dicevo, è nato il problema dell'esercizio della professione in Stati diversi da quelli di origine. All'inizio, dunque, sono nate diverse direttive di settore, professione per professione: circa 40, poi ridotte a 15. Successivamente, sulla base dell'esperienza maturata in quasi un cinquantennio, è nata l'esigenza di unificare questa normativa, ed ecco che è stata emanata la direttiva n. 36 del 2005. In sostanza, con questa direttiva - come è scritto peraltro negli ultimi articoli - sono state abrogate tutte le altre, dunque non esistono altre direttive oltre a questa.
Per la verità, poiché nella direttiva 2005/36 non rientrano gli avvocati, tranne che per il sistema generale, sono rimaste in vigore due direttive, che ho citato nella mia relazione sintetica. Gli avvocati hanno caratteristiche particolari, in quanto essi devono conoscere la lingua dello Stato in maniera perfetta, devono conoscere la legge, la giurisprudenza eccetera. Pertanto, in generale, quand'anche sia un grande scienziato, un avvocato che si trasferisce deve comunque fare tre anni di praticantato presso un avvocato del posto, per poter dimostrare di avere alcuni requisiti, quindi entrare nel sistema professionale dello Stato ospitante.
Per tutte le altre professioni, con la direttiva 2005/36 fondamentalmente abbiamo distinto la prestazione professionale temporanea, provvisoria, dalla prestazione professionale permanente (ad esempio, l'avvocato si trasferisce in un altro Stato e deve entrare definitivamente nel sistema).
Un altro aspetto fondamentale riguarda come si esercita l'attività professionale altrove. Anche qui si deve fare un distinguo, perché alcune professioni hanno particolare rilevanza rispetto ad altre. Poiché le professioni che hanno attinenza con la salute e quelle che hanno attinenza con la sicurezza avevano ormai dei sistemi consolidati, per esse esiste il sistema di riconoscimento automatico. Per tutte le altre questo sistema non esiste.
Tuttavia, anche sul sistema del riconoscimento automatico bisogna operare un distinguo. Quelli previsti all'interno della direttiva n. 36 sono i requisiti minimi con i quali si può esercitare altrove la propria professione. Lo Stato ospitante ha il diritto e il dovere di verificare la formazione ed il possesso del titolo autorizzativo del migrante in funzione delle sue leggi interne.
Come dicevo, per le professioni attinenti alla salute e alla sicurezza ci sono ormai dei requisiti minimi consolidati, previsti da alcuni articoli all'interno della direttiva. Se il migrante è in possesso dei requisiti minimi, ai sensi della direttiva entro 90 giorni deve essere inserito nel sistema professionale dello Stato ospitante. Diversamente, egli entra nel sistema generale di riconoscimento, del quale vi illustro il funzionamento. In linea di principio, un


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professionista va in un altro Stato, chiede l'autorizzazione ad esercitare la professione e fornisce una serie di documenti, che vengono verificati dalle autorità competenti del posto (vi dirò adesso quali sono). Entro 60 giorni, verrà comunicato il verdetto, in base al quale il professionista potrà esercitare l'attività in maniera provvisoria oppure entrare nel sistema in modo definitivo.
In generale, se i requisiti minimi culturali o di formazione o di esperienza non corrispondono a quelli dello Stato ospitante, al migrante si può chiedere un'integrazione, che può essere di tipo culturale, di tipo formativo o di esperienza. Con questo sistema, è dunque possibile esercitare la propria attività professionale in un altro Stato.
Verrà presentata sabato, per la prima volta in Europa, la tessera dei professionisti, prevista in uno dei «considerando» della direttiva. Tale tessera, finanziata dalla Commissione europea, è stata realizzata dai francesi. L'Ordine dei medici e degli odontoiatri di Latina, per la prima volta in assoluto, l'ha messa in piedi, anche se naturalmente è una tessera di prova. All'interno della tessera sono contenuti tutti i provvedimenti in tempo reale, anche di natura disciplinare o altro, assunti nei confronti dei professionisti, insomma le informazioni complete.
L'onorevole Siliquini, peraltro mia amica, è stata invitata, ma ha comunicato che non potrà partecipare. Comunque, se ne avrà la possibilità, presenteremo insieme queste due tessere a Latina: una è per il presidente dell'Ordine dei medici, l'altra per il presidente dell'Ordine degli odontoiatri.
Credo che sia opportuno fare qualche precisazione. In questi otto anni abbiamo partecipato a convegni, congressi, dibattiti con i rappresentanti di tutte le professioni europee e nazionali. Devo ribadire che la direttiva nasce per un problema di libera circolazione delle professioni, quindi non ha nessun interesse, nessun obbligo e nessun diritto di entrare nel merito dell'organizzazione interna dei singoli Stati membri.
Gli Stati membri devono rispettare la direttiva per quanto concerne l'autorizzazione ai professionisti migranti, ossia quelli che arrivano da altri Stati. La direttiva non si propone, quindi, di interferire nel sistema nazionale dei singoli Stati.
Tuttavia, se le norme legislative di uno Stato membro non sono conformi a quello che prevede la direttiva, certamente a coloro che vengono in Italia - nel caso nostro - bisogna riconoscere tutti i diritti che derivano dalla norma europea, mentre i nostri corrono il rischio di trovarsi con sistemi nazionali che non possono essere riconosciuti altrove.
Nello specifico, la direttiva si riferisce alle professioni regolamentate e non alle professioni non regolamentate. Quando si parla di autorità competenti, nel sistema italiano si parla di ordini e collegi, in altri Stati si parla di ordini e collegi là dove esistono (Francia, Spagna, Germania e via elencando). Quando si parla di associazioni dell'allegato 1, non sono le associazioni di tipo nazionale, italiane, ma quelle del Regno Unito e dell'Irlanda. Peraltro, tali associazioni sono citate nell'allegato 1 della direttiva, poiché il corrispondente dei nostri ordini e collegi, nel Regno Unito e in Irlanda, sono proprio quelle associazioni.
Il decreto n. 206 del novembre 2007, di recepimento della direttiva, ha un contenuto identico alla direttiva stessa, con qualche eccezione che riguarda, in particolare, l'articolo 4 e l'articolo 26 del decreto. L'articolo 4, ampliando il concetto di autorità competente, sancisce che esistono anche altre situazioni nazionali, come albi, registri e così via tenuti anche da enti e uffici pubblici.
L'articolo 26, in attuazione dell'articolo 15 della direttiva, per quanto attiene alle piattaforme comuni amplia il gruppo delle categorie che possono presentare documentazione alla Commissione europea, proprio per l'attuazione delle piattaforme comuni.
Cerchiamo innanzitutto di capire cosa sono le piattaforme comuni. L'articolo 15 della direttiva prevede un sistema in base al quale se altre professioni - penso agli


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ingegneri, categoria alla quale appartengo, o ai periti - riescono a fare uno studio su base europea, dimostrando che ci sono elementi minimi di analogia fra almeno i due terzi degli Stati membri per quella specifica professione, e si danno una regola, allora o gli Stati membri o le categorie rappresentative di quella certa professione, su base nazionale ed europea (non in alternativa, ma nazionale ed europea) presentano un'ipotesi di piattaforma comune e quelle professioni vengono inserite, con un altro provvedimento legislativo, all'interno della direttiva n. 36, insieme a veterinari, farmacisti, medici, architetti eccetera. In questo modo, queste professioni possono passare dal sistema del riconoscimento generale al sistema del riconoscimento automatico.
La direttiva, però, riguarda le professioni regolamentate, quindi la richiesta di piattaforma comune può essere presentata dagli Stati o dalle categorie rappresentative soltanto per quanto attiene alle professioni regolamentare, e non per le professioni non regolamentate. Per chiarire, la direttiva n. 36 può essere applicata esclusivamente se si parla di professioni regolamentate; viceversa, se si parla di professioni non regolamentate la direttiva n. 36 non è applicabile.
Qualcuno pensa di liberalizzare ciò che può essere liberalizzabile. Per carità, siamo nel terzo millennio e l'idea non è malvagia, ma la direttiva Servizi, ossia la direttiva n. 123 del 2006 - la direttiva sulle liberalizzazioni, che qualcuno in quel periodo utilizzò, anche in sede legislativa nazionale - per quanto attiene le professioni regolamentate non è applicabile. Infatti, l'articolo 3 della direttiva n. 123 (l'ho fatto scrivere io, perché eravamo tutti d'accordo nel Parlamento europeo e in Commissione) specifica che le disposizioni della stessa non si applicano per tutto ciò che riguarda la direttiva n. 36; quindi le liberalizzazioni per le professioni regolamentate non esistono in Europa.
Lo ribadisco, la direttiva n. 36 non entra nel merito della normativa nazionale, ma riguarda il rispetto del principio sancito in sede europea di libera circolazione.
Tuttavia, uno Stato può fare come ritiene opportuno, ed è legittimo che questo avvenga, ma se vuole utilizzare la direttiva n. 36 per far diventare regolamentate le professioni che non lo sono, deve emanare una legge apposita; non può limitarsi a emanare un decreto legislativo applicativo della direttiva n. 36, inserendovi una serie di disposizioni. Faccio presente che il CNEL, per quello che so, sta creando un mare di confusione, proprio in applicazione dell'articolo 26 del decreto legislativo n. 206.

PRESIDENTE. La ringrazio anche per la chiarezza e l'efficacia espositiva. Tra l'altro, nel documento che lei ha consegnato, la materia è esposta in modo esauriente. La ringrazio anche per aver anticipato la presentazione di queste tessere alla nostra Commissione.
Non essendovi colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, do la parola al relatore, onorevole Siliquini.

MARIA GRAZIA SILIQUINI. Vorrei fare qualche approfondimento mirato, con riferimento all'articolato della direttiva, in particolare Titolo I, articoli 2 e 3, che riguardano in maniera più specifica il tema che è stato trattato.
Lei ha già ricordato che nel «considerando» n. 11, che rappresenta in qualche modo la via maestra della direttiva, è scritto che il «regime generale di riconoscimento non impedisce che uno Stato membro imponga, a chiunque eserciti una professione nel suo territorio, requisiti specifici motivati dall'applicazione delle norme professionali giustificate dall'interesse pubblico generale».
Sintetizzando, si dice che l'Europa del 2006, 2007, 2008 e 2010 ha in pratica dato un riconoscimento superiore a quello che avveniva per il passato all'identità nazionale e a quelle norme previste da uno Stato a tutela della collettività.
Fatta questa premessa importante, le chiedo una precisazione sull'articolo 3. In


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particolare, al primo comma, lettera a), si chiarisce che le professioni regolamentate, che costituiscono l'oggetto della direttiva, sono quelle «l'accesso alle quali e il cui esercizio, o una delle cui modalità di esercizio, sono subordinati direttamente o indirettamente, in forza di norme legislative, regolamentari o amministrative, al possesso di determinate qualifiche professionali (...)» e si aggiunge «Quando non si applica la prima frase - quella relativa alle autorizzazioni normative e legislative - è assimilata ad una professione regolamentata una professione di cui al paragrafo 2». Al paragrafo 2 si precisa che l'assimilazione tra professioni regolamentate e non regolamentate può avvenire solo per l'elenco di cui all'allegato 1.
Dato che questo è un punto nodale di tutta la storia degli ultimi tre o quattro anni in Italia, le chiedo, se è possibile, una spiegazione precisa con il seguente corollario: in Europa, nei Paesi del civil law (Germania, Francia, Spagna), e in Inghilterra e Irlanda, quindi nei Paesi del common law, al di là della differenziazione dei termini - professioni regolamentate e associazioni - questa assimilazione ha un'identità precisa? E in cosa consiste? Perché avete inserito l'elenco di cui all'allegato 1?

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Siliquini. Come ha visto, onorevole Zappalà, le è stato posto un quesito abbastanza ampio.

STEFANO ZAPPALÀ, Relatore della direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali. Approfitto della domanda dell'onorevole Siliquini innanzitutto per chiarire un aspetto. Tanti sostengono che i professionisti sono come gli imprenditori, ma sono due discorsi diversi.
Poiché prima vi era questa confusione obiettiva, fino a quando a Bruxelles non abbiamo cominciato a parlare di professioni, il «considerando» n. 43 della direttiva n. 36 definisce le professioni liberali come «quelle praticate sulla base di pertinenti qualifiche professionali in modo personale, responsabile e professionalmente indipendente da parte di coloro che forniscono servizi intellettuali e di concetto nell'interesse dei clienti e del pubblico».
Tra l'altro, la direttiva n. 36, in chiave europea, non parla mai dell'interesse dei professionisti, ma degli interessi dei clienti, dei cittadini e del pubblico. Questo comporta che una professione regolamentata, definita peraltro nel comma 1, lettera a) dell'articolo 3, va esercitata perché lo Stato ne autorizza l'esercizio nell'interesse dei cittadini, dopo aver verificato l'esistenza di un minimo di cultura, di esperienza, di capacità. Non si può scoprire - è un esempio che cito ormai da otto anni - che un chirurgo è bravo o meno a seconda che il paziente esca vivo o morto dalla sala operatoria, o che un avvocato è bravo o meno a seconda che il cliente prenda l'ergastolo o venga assolto. Questo è lo spirito europeo.
Approfitto, facendo riferimento sempre all'articolo 3, per chiarire il concetto di formazione regolamentata, ossia quell'attività propedeutica che lo Stato chiede per accedere alla professione. Per gli avvocati, ad esempio, non basta la laurea, ma si richiedono due anni di esperienza e il superamento dell'esame di Stato. Per noi ingegneri, che siamo un po' più bravi, basta l'esame di Stato, mentre non si richiede l'esperienza pratica. Per i geometri, i periti industriali e le altre professioni assimilabili servono due anni di esperienza prima di poter sostenere l'esame di Stato. Questo è il quadro della formazione regolamentata.
In linea di principio, il sistema generale attualmente vigente per l'Europa è quello relativo al sistema ordinistico, con un'unica fondamentale eccezione. Lasciamo da parte i 12 nuovi Stati membri che, pur essendo entrati in Europa (tutti quelli dell'area dell'ex Unione Sovietica), per una serie di circostanze sono in ritardo rispetto all'adesione per diverse materie. Anche rispetto a questa direttiva sono in ritardo, ma è legittimo perché faceva parte del trattato di adesione.


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Nei 15 Stati membri, in linea di principio, come dicevo, il sistema è quello ordinistico, con l'esclusione del Regno Unito e dell'Irlanda. Non mi permetto di commentare, non essendo un giurista, ma mi sembra che nel Regno Unito non ci sia la Costituzione, ma la regina. Ebbene, nel Regno Unito e in Irlanda se non si appartiene a una delle associazioni indicate (25 nel Regno Unito e 5 in Irlanda) - si chiamano associazioni, ma non devono essere paragonate a ciò che chiamiamo «associazione» in Italia - non si può esercitare alcuna professione. Questa è l'unica conditio sine qua non; non c'è una legge dello Stato che stabilisce cosa fare, ma ci si deve iscrivere a queste associazioni. In pratica, chi afferma che in Inghilterra sono più democratici che in Italia si sbaglia perché, da questo punto di vista, la situazione è peggiore che in Italia. Noi, infatti, abbiamo ordini e collegi che usano il simbolo dello Stato e fanno quello che il Governo ha delegato loro di fare, ossia la verifica dei titoli culturali, della formazione, dell'attività professionale, l'applicazione del codice deontologico e così via. Lo fanno, però, per conto dello Stato. In Inghilterra, invece, si tratta di «associazioni» autonome e indipendenti: o si è iscritti o non si può esercitare una professione.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Zappalà.
Onorevole Siliquini, se ha qualche altra domanda da rivolgere è bene che lo faccia adesso, così che il nostro ospite le possa rispondere brevemente.

MARIA GRAZIA SILIQUINI. Alla luce di quanto ci ha spiegato, onorevole Zappalà, qual è la posizione dell'Italia, a seguito del decreto di recepimento della direttiva, in rapporto a tutti gli altri Paesi dell'Europa? In altre parole, l'Italia è in armonia con l'Europa o si trova in una situazione anomala? E quali possono essere le conseguenze?

STEFANO ZAPPALÀ, Relatore della direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali. Esiste una circolare preparata dalla Commissione europea, che in base alla direttiva n. 36 deve attuare una serie di disposizioni, che definisce l'iter burocratico per arrivare alla presentazione delle piattaforme comuni. Quando, al punto 2, a proposito di piattaforme comuni parla di contesto giuridico, ribadisce che solo le professioni regolamentate possono accedere o presentare documentazione per accedere alle piattaforme comuni.
Naturalmente ogni Stato - ribadisco il punto di vista europeo - al suo interno decide quello che vuole. Se il decreto legislativo n. 206 voleva stabilire che, al proprio interno, l'Italia possa fare quello che ritiene, nulla quaestio. Tuttavia, è sbagliata la scelta di ricorrere, a tal fine, al recepimento della direttiva n. 36, che riguarda le professioni regolamentate e non consente, se non agli Stati, alle professioni regolamentate e agli organismi rappresentativi di queste professioni, in chiave nazionale e contemporaneamente in chiave europea, di accedere a tale possibilità.
Pertanto, l'aver inserito questo principio nell'articolo 4 e nell'articolo 26 del decreto di recepimento della direttiva ha comportato l'alterazione del recepimento stesso. Mi stupisco che ancora non ci sia un ordine, un collegio che sollevi la questione.
È stato fatto ricorso al TAR contro il decreto legislativo del 28 aprile 2008, e il TAR l'ha bocciato, ma ancora nessuno ha fatto ricorso alla Corte europea, probabilmente perché ancora si spera che intervenga il legislatore nazionale. Se, però, il legislatore nazionale non interviene, ho suggerito e continuo a suggerire a tutti gli organi, i collegi e ai rappresentanti delle professioni regolamentate di fare ricorso alla Corte europea per far cassare queste parti del decreto legislativo che non hanno nulla a che vedere con la direttiva n. 36.
Ribadisco, però, che ogni Stato può fare quello che vuole al suo interno, ma non può esportarlo all'esterno. Questo è un fatto certamente anomalo nel contesto


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europeo. Non si può utilizzare per fatti interni una norma stabilita in un certo modo. Come sapete, recepimento a parte, le direttive europee vanno rispettate e, comunque, sono legge. Se vengono recepite tanto meglio.
Per il resto, esiste il rischio delle sanzioni economiche e, in alcune circostanze, dell'isolamento. In definitiva, esiste il rischio di andare contro un sistema Europa che, invece, funziona molto bene.

PRESIDENTE. Ringrazio l'audito per la chiarezza espositiva e anche per il documento che ha consegnato, che mi sembra assolutamente esaustivo.
Noi cerchiamo di mantenere una certa omogeneità di durata tra tutte le audizioni e di solito cerchiamo di contenerle entro i trenta minuti. Per questa ragione, onorevole Zappalà, ho dovuto contenere il suo intervento, sebbene estremamente interessante.
Vorrei fare presente a tutti i commissari che con l'odierna audizione si conclude l'indagine conoscitiva in tema di riforma delle professioni avviata dalle Commissioni riunite II e X il 13 ottobre 2009. L'indagine ha consentito di approfondire le questioni più rilevanti della riforma. Come sapete, abbiamo svolto un ciclo di audizioni particolarmente impegnativo e ampio. Adesso, conclusa l'indagine conoscitiva, le Commissioni ovviamente saranno convocate in sede referente per proseguire l'iter legislativo.
Ringrazio il nostro ospite e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 10,10.

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