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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
2.
Martedì 15 marzo 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Nirenstein Fiamma, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SU DIRITTI UMANI E DEMOCRAZIA

Audizione di Tareq Heggy, attivista per la democrazia in Egitto e nei Paesi arabi:

Nirenstein Fiamma, Presidente ... 2 5 8
Heggy Tareq, Attivista per la democrazia in Egitto e nei Paesi arabi ... 2 5 6 7 8
Pianetta Enrico (PdL) ... 6
Sbai Souad (PdL) ... 6
Tempestini Francesco (PD) ... 5 8
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sui diritti umani

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta pomeridiana di martedì 15 marzo 2011


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FIAMMA NIRENSTEIN

La seduta comincia alle 14,30.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione in diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Tareq Heggy, attivista per la democrazia in Egitto e nei Paesi arabi.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su diritti umani e democrazia, l'audizione di Tareq Heggy, che ha dedicato la sua vita alla promozione della democrazia in Egitto e nei Paesi arabi.
La sua audizione è di straordinaria attualità per la comprensione dei processi in corso dall'altra parte del Mediterraneo. Ringrazio in modo particolare il professor Tareq Heggy di essere qui con noi oggi. Purtroppo, come sovente accade con queste nostre audizioni, nonostante l'importanza del relatore, abbiamo pochissimo tempo a disposizione - mezz'ora in tutto - perché quando comincia l'Aula dobbiamo interrompere i lavori delle Commissioni. Di conseguenza, la pregherei, professore, di contenere la sua relazione in quindici minuti, in maniera che poi ci sia la possibilità di avere qualche domanda da parte dei colleghi parlamentari.
Voi sapete tutti chi è il professor Heggy, forse il più prominente ed importante di tutti i dissidenti egiziani. Nel corso di tutti questi anni, ha scritto una quantità di libri ed articoli, che chiunque abbia seguito l'argomento conosce. Di certo possiamo classificarlo come un liberale ed un laico, che ha riflettuto in molti libri sul pensiero arabo, sui suoi problemi e sulla storia dello sviluppo delle dittature, che proprio in queste settimane sono in profonda discussione, a causa dei sommovimenti libertari di varia natura di cui il professore adesso avrà la cortesia di parlarci, per poi appunto darci la possibilità di azzardare qualche previsione sul futuro di quello che è forse il più importante fra tutti i Paesi del mondo arabo, ovvero il suo Egitto.
Do, dunque, la parola al professor Heggy.

TAREQ HEGGY, Attivista per la democrazia in Egitto e nei Paesi arabi. Sono davvero onorato di essere qui, per potervi parlare di alcuni specifici sviluppi che si stanno verificando nel Medio Oriente. Le società arabofone, che in sostanza sono dormienti da più di mille anni, si stanno svegliando.
La mente araba - queste sono parole che ritornano nei titoli di sei dei miei libri - si è arresa al clero completamente, più di mille anni fa. Come conseguenza, queste società sono state occupate. Hanno poi acquisito la loro indipendenza circa cinquant'anni fa, ma sono state trattate dai figli delle loro società, dopo l'indipendenza, in modo ben peggiore, rispetto al periodo dell'occupazione. I Paesi arabi oggi sono suddivisi in due gruppi: le monarchie medievali, che sono arretratissime,


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e le repubbliche, che vengono governate da dittatori, che usano i propri familiari per dettare legge e per risucchiare l'intera ricchezza delle loro nazioni.
Ciò che è avvenuto in Siria, con la famiglia Al-Asad e in Iraq con Saddam Hussein, si è verificato anche in Egitto, nello Yemen, in Libia e in Algeria.
Grazie alla tecnologia - la parola chiave è proprio questa - e in modo particolare alla tecnologia dell'informazione, ora i giovani sanno che non è più possibile andare avanti così, che non possono più accettare le cose, così come sono esistite fino ad oggi. I giovani tunisini e egiziani conoscevano il significato di cittadinanza ed erano consapevoli di come avrebbero dovuto essere i loro governi.
Gli avvenimenti più significativi si sono verificati in Egitto, in considerazione dell'impatto dell'Egitto sugli altri Paesi arabi. L'Egitto era un po' come il resto del mondo arabo, finché nel 1805 non è arrivato Mohammed Ali, che ha trasmesso agli egiziani una forte attrazione per l'Europa nord occidentale. Tutto il mondo arabo ha seguito l'Egitto, e quando Nasser ha lanciato gli slogan di panarabismo e socialismo, questi si sono diffusi in tutto il mondo. Sadat affermò, invece, che piuttosto che combattere contro i cosiddetti «nemici», bisognava parlare con essi. Quindi, l'Egitto ha avuto un ruolo di guida in tutte queste iniziative. Ecco perché ciò che è accaduto in Tunisia è molto importante, ma quello che è avvenuto in Egitto è di importanza cruciale.
Se oggi mi chiedete se sono ottimista, posso dirvi di sì, perché almeno ho il diritto o la possibilità di sperare in un futuro migliore.
Durante la dittatura di Mubarak, aspettavamo che l'arcangelo della morte visitasse Mubarak, per consegnare la presidenza al figlio. Così le generazioni dei miei figli e dei miei nipoti avrebbero potuto vivere, come ho vissuto sempre io, sotto un presidente. Quanto meno, oggi gli egiziani parlano di una nuova costituzione, della Sharia, dell'Islam e di forme di governo. Quindi, sebbene io non abbia alcuna garanzia che le cose andranno meglio, almeno abbiamo la possibilità storica di sperare e di impegnarci per trasformare questa speranza in realtà.
Ad esempio, io ora mi sto occupando - veramente ho già fatto quasi tutto il lavoro - di creare un nuovo partito, proprio per garantire i diritti delle minoranze, che siano esse cristiane o di altro tipo, i diritti delle donne, e per sostenere che i partiti politici non devono necessariamente essere ideologici.
Il nostro statuto dice che i problemi egiziani hanno bisogno di soluzioni scientifiche, basate sulla gestione moderna di uno Stato. Dunque, vogliamo sostenere i diritti umani, sia delle donne, sia dei cristiani in Egitto. Sei mesi fa, questa sarebbe stata un'idea folle. Naturalmente, però, ci sono dei pericoli, e uno è rappresentato dal fatto che l'Egitto potrebbe rimanere nelle mani del Consiglio militare supremo. Questo è un rischio che potrebbe verificarsi, così come l'Egitto potrebbe essere anche «sequestrato» dagli islamisti. Quando nel 1952 la giunta militare ha preso il controllo dell'Egitto, ha annunciato di voler realizzare le riforme e restituire il potere al Parlamento, ma ciò non è stato fatto per ben 59 anni.
Personalmente, nutro la speranza che l'era post re Farouk stia per terminare. L'epoca della giunta militare sta volgendo alla fine. Credo anche che i fratelli musulmani in Egitto non siano tanto numerosi come sosteneva sempre Mubarak. Credo, piuttosto, che essi ci siano, ma che con un duro impegno saremo in grado di far sì che siano solo il 10-15 per cento dell'elettorato. Non possiamo negare la loro esistenza, però una volta che i fratelli musulmani verranno fatti emergere dalla clandestinità, avremmo modo di attivarci per ridurre la loro popolarità. Essi erano popolari perché rappresentavano gli oppositori della dittatura. Io conoscevo addirittura dei cristiani che votavano per il candidato dei fratelli musulmani nell'Alto Egitto, perché non era il candidato di Mubarak.
Parlando di dittature, Gheddafi dice di combattere contro Al-Qaeda, ma non è vero, è un bugiardo, perché sta lottando


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contro la sua stessa gente. Questo è il tema principale di tutti i dittatori arabi, i quali affermano: «io e i miei figli, oppure i fratelli musulmani».
Ebbene, è arrivato il momento di dire che i fratelli musulmani hanno goduto di popolarità proprio per causa loro. Se non fossero lì come autocrati, come famiglie corrotte che mangiano tutta la ricchezza della nazione, allora i fratelli musulmani potrebbero scomparire. Non posso dare alcuna garanzia che l'Egitto sarà così «bello» come auspicato da tutti da questa parte del Mediterraneo. Tuttavia, adesso quanto meno abbiamo la possibilità storica di sognare un Paese democratico, almeno potremo avere una nuova Costituzione.
Il 19 di marzo ci sarà un referendum su alcune modifiche alla Costituzione. Il presidente potrà essere in carica per due mandati di quattro anni, e quindi avremo modo di parlare di un ex presidente, cosa che non è mai esistita in Egitto, né negli altri Paesi. Non c'è mai stato il concetto dall'ex presidente, poiché il presidente veniva destituito oppure moriva. Ora, invece, abbiamo la possibilità di avere un'alternanza e anche se non riusciremo a far bene nel 2011, ci impegneremo a fondo per il 2015.
Se la gente mi chiede se ci proverò quest'anno, rispondo ancora di no, perché non ho le basi. Dovrò impegnarmi per quattro anni. Una volta che avremo eletto un presidente, prima della fine dell'anno comincerà la corsa per il nuovo presidente, che però non arriverà tra dieci, sei o otto anni, ma solo dopo quattro anni.
Oggi, la più grande sfida è quella di non rimanere nelle mani dell'esercito per sempre e di non cadere nelle mani degli islamisti. Personalmente, credo che l'Egitto abbia una buona possibilità di essere salvato da questo percorso oscuro.
Qualche giorno fa, ho parlato nella Cattedrale d'Egitto e ho detto che la popolazione dei copti è stimata in 12-15 milioni di egiziani, su una popolazione totale di 85 milioni. Quindi, abbiamo 12-15 milioni di cristiani in Egitto e mezzo milione di Baha'i. Inoltre, delle 45 milioni di donne egiziane, almeno 5 milioni sono progressiste e vorranno quindi combattere per avere diritti moderni. Se a questo numero aggiungiamo gli uomini progressisti, almeno 3-4 milioni, raggiungiamo una cifra davvero significativa, tra 20 e 25 milioni, e il mio partito si batterà quantomeno per sbarrare la strada agli islamisti, che saranno forse 5 milioni, ma sono ben organizzati. Ebbene, questi 5 milioni il giorno del referendum andranno a votare tutti; soltanto i gravemente malati non ci andranno. Questa è la vera sfida con gli islamisti. Loro sono molto organizzati, eppure noi dobbiamo realizzare questo progetto.
Io parlo due volte alla settimana in chiesa e nelle università e dico ai cristiani d'Egitto che oltre a pregare - lo fanno da sempre: ogni volta che hanno un problema pregano - devono anche fare qualcosa di concreto. Dico loro di andare a votare, perché facendo questo possono bloccare il percorso degli islamisti. Il vero potere degli islamisti è che sono molto organizzati, perché sono sempre stati un movimento clandestino, con dei leader in prigione e le loro famiglie fuori dalle prigioni: in quelle condizioni si sono dovuti organizzare per forza.
Ieri, per esempio, alla Fondazione Magna Charta ho parlato della Spagna alla fine dell'era del generale Franco. Tutti dicevano che non appena il generale fosse morto, sarebbero arrivati i comunisti, ma non è successo, ed è esattamente la situazione che abbiamo con gli egiziani.
I comunisti erano popolari perché rappresentavano l'opposto del dittatore, e questo vale anche per i fratelli musulmani in Egitto. Si dice che rappresentano il 30-40 per cento - potrebbero essere anche più del 40 per cento contro Mubarak -, ma contro di noi, partiti civili, certamente andranno al di sotto del 20 per cento e dopo il primo turno forse anche al di sotto del 10 per cento.
In ogni caso, questa per noi è una sfida e perlomeno abbiamo il privilegio di avere una sfida da raccogliere, che prima non avevamo.


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Di nuovo, sono molto lieto di essere qui e sono pronto a rispondere alle vostre domande.

PRESIDENTE. Grazie per la sua esposizione chiarissima e appassionata. Do subito la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre domande o formulare osservazioni.

FRANCESCO TEMPESTINI. Professor Heggy, lei pensa che esista una dialettica positiva nella fratellanza musulmana, oppure no? Pensa, inoltre, che questa dialettica possa favorire una processo di laicizzazione della fratellanza musulmana?
In secondo luogo, vorrei sapere se lei pensa che i sommovimenti che si sono determinati, e i cambiamenti conseguenti, in un Paese come l'Egitto potranno favorire o meno uno sviluppo dei processi di pace israelo-palestinesi e in quale direzione.
Infine, lei come giudica il fatto che l'ultimo nasseriano, Amr Moussa, possa essere considerato il più forte candidato alla Presidenza della Repubblica?

TAREQ HEGGY, Attivista per la democrazia in Egitto e nei Paesi arabi. La sua prima domanda è molto importante. Essendo stati i fratelli musulmani un movimento clandestino sin dal 1948, quindi da prima del 1952, ciò li ha portati a non impegnarsi in una crescita dialettica. Essi si sono attenuti alla loro letteratura principale, che proviene dal Pakistan, addirittura dal «padre» del Pakistan Abu l-Àla Maududi. La sua teoria delle forme di governo sostiene che queste dovrebbero essere divine e, quindi, non possiamo avere forme di governo umane, perché esse sono incomplete per definizione. Sembra un concetto bellissimo, però si riduce al fatto che a parlarci delle forme di governo sarà il clero. Quindi, secondo questa teoria, in definitiva siamo nelle mani del clero.
Questo non si è verificato, però sono sicuro che una volta che emergeranno dalla clandestinità, si passerà dal livello macro al livello micro e si affronteranno insieme questioni pratiche - non se l'Islam sia la vera soluzione -, ma piuttosto la crescita economica, la modernizzazione, l'istruzione, i diritti della donna, la ricerca scientifica, le nicchie per lo sviluppo economico. Comincerà il processo a cui lei si riferiva, ma non prima di allora. Tale processo dovrebbe portare a qualcosa di simile ai partiti democratico-cristiani in Europa, che prendono dalla religione i valori, ma non tutti i dettagli.
Per quanto riguarda la sua domanda su Israele, devo essere molto sincero. All'inizio, probabilmente la democrazia porterà i regimi arabi a distanziarsi ulteriormente da Israele. So che non è questo che si vuole sentire, però il mio dovere non è dire quello che volete sentire, ma quello che penso succederà.
Dal momento che gli accordi di pace erano dei prodotti dei dittatori, le persone cercheranno dei difetti in essi. Ad esempio, sulla questione del gas egiziano fornito a Israele, le persone diranno che ciò veniva fatto in modo che Mubarak potesse prendere una ricca percentuale. Ma questo avverrà solo all'inizio.
Generalmente, come voi sapete, le democrazie non si combattono: sono le autocrazie a farsi le guerre, mentre le democrazie no. Nel Novecento le guerre non sono state causate da regimi democratici, ma autocratici. Ebbene, all'inizio le persone penseranno all'attuale relazione tra Israele ed Egitto come il prodotto di Mubarak, ma poi si ascolterà la voce della saggezza.
Il Ministro della difesa egiziano oggi ha detto a un pubblico di giovani: «Volete che ci siano rapporti che portino alla guerra tra un Paese non nuclearizzato e uno nuclearizzato? Se è questo che volete, sappiate che noi non abbiamo le armi nucleari e loro sì». Quindi, la formula di Sadat è l'unica praticabile: dobbiamo parlare con loro. Credo che questa posizione prevarrà.
La questione di Amr Moussa è per me una cattiva notizia. Sto scrivendo su di lui su Facebook sulla pagina del partito, dicendo che è stata la persona scelta da Mubarak per rappresentare, come Ministro,


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l'Egitto presso le Nazioni Unite, scelto come Ministro degli Esteri e per la Lega Araba. Qualcuno ha detto che egli è nasseriano. Ebbene, lo è al cento per cento, anche a causa di rapporti di parentela, dal momento che la sua unica figlia è sposata con il nipote di Nasser. Tuttavia, non c'è bisogno di arrivare a queste vicende, perché il fatto che sia nasseriano è evidente anche dalla sua gestualità. Si tratta di una persona magniloquente, parla dell'orgoglio dell'Egitto nei confronti di Israele. C'è chi parla di carisma. Ma non abbiamo bisogno di una persona così. L'ultima cosa che serve all'Egitto in questo momento è il carisma, perché questo Paese ha bisogno di competenze e di efficienza, ovvero di persone che siano in grado di affrontare i problemi quotidiani. L'era del carisma è costata moltissimo ai Paesi arabi. Saddam Hussein era molto carismatico, soprattutto per le persone di lingua araba, però non ha portato a nulla. Allo stesso modo, il re Hassan del Marocco era uno dei migliori oratori del mondo, ma non era quello che serviva ai marocchini, che volevano un buon leader, non un bravo oratore.
Ciò significa che oggi abbiamo pochi nomi tra cui scegliere, però le elezioni successive ci saranno solo tra quattro anni. Tuttavia, adesso la dinamica sociale ha iniziato a funzionare, mentre prima non esisteva. Questo è un Paese che ha dato all'Australia, al Canada e agli Stati Uniti un milione di persone che hanno dei dottorati di ricerca, che sono andate in questi Paesi liberi per la stessa ragione per cui qui arrivano persone dal nord Africa. Tutti i barconi della morte vengono in questa direzione, e non ce n'è uno che parta verso la direzione opposta, perché tutti vanno verso la speranza. Quando anche l'Egitto avrà spazio per la speranza, gli egiziani torneranno e contribuiranno. Anche se questa volta avremo un pessimo presidente, non mi preoccupo troppo, perché l'importante è avere qualcuno che fra quattro anni andrà via. Se risulterà essere un pessimo presidente, fra quattro anni faremo quello che gli americani faranno forse con Obama.

SOUAD SBAI. Vorrei sapere come vede il ritorno di Qaradawi in Egitto, e in particolare in piazza Tahrir, dove non hanno fatto salire i veri rivoluzionari giovani.

TAREQ HEGGY, Attivista per la democrazia in Egitto e nei Paesi arabi. Avere Ghannouchi in Tunisia e Qaradawi in Egitto è un dato negativo, ma saremmo degli utopisti se pensassimo che non ci saranno tentativi di dirottare la rivoluzione.
Queste persone non hanno fatto parte della rivoluzione fin dall'inizio e non l'hanno neppure sostenuta. Sono semplicemente arrivati e hanno trovato delle persone in piazza. Comparivano soprattutto di venerdì, per poter «dirigere» la preghiera. Credo che proveranno a ottenere risultati, ma rappresentano solo una minoranza, non la maggioranza.
Quest'anno sono stato molte volte in Tunisia. La Tunisia e il nord Africa sono molto vicini ai miei pensieri. Penso che i tunisini siano andati al di là dell'effetto Ghannouchi. Qaradawi fa bene solo ai fratelli musulmani, ma il suo impatto sui giovani egiziani è praticamente nullo. La bellezza della rivoluzione in Egitto sta nel fatto che mentre tutti si aspettavano che provenisse dai poverissimi abitanti delle bidonville o dagli islamisti, essa è invece arrivata dal ceto medio, ovvero dai figli e dalle figlie del ceto medio, che utilizzano i computer, che vanno su Internet e Facebook per scoprire il mondo. L'unica differenza con la mia generazione è che loro conoscono il mondo meglio di noi. Noi conoscevamo il mondo in modo teorico, mentre loro lo conoscono in modo pratico, attraverso Facebook.
Io vivevo in Egitto negli anni Sessanta quando occorrevano due settimane per spedire una lettera in Canada, mentre invece queste persone sono in contatto diretto con il mondo grazie alla tecnologia.

ENRICO PIANETTA. Vorrei sapere come vede l'evoluzione dell'esercito. Lei ha detto che ci sono gli islamisti da una parte e il Consiglio militare superiore, dall'altra.


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Ebbene, vorrei sapere quale potrà essere, secondo lei, l'evoluzione dell'esercito, che ha sempre svolto una funzione importante.

TAREQ HEGGY, Attivista per la democrazia in Egitto e nei Paesi arabi. Nei paesi arabofoni c'è stato solo un generale che ha detto «resterò per un anno e poi andrò a casa». Si tratta di Swar al-Dahab in Sudan. Preparò elezioni libere e la transizione verso un governo democratico alla fine degli anni Ottanta. Tradizionalmente, nel mondo arabo, quando un governo militare prende il potere, non lo lascia. Oggi, però, il contesto e l'atmosfera sono diversi. I militari hanno dichiarato più volte che intendono restare sei mesi e non governare l'Egitto per sempre. La pressione dei leader della rivoluzione non consentirà all'esercito di rimanere a lungo perché il popolo non lo accetterebbe. Ho detto i leader, perché la rivoluzione non ha un solo leader. C'è chi ritiene che ciò sia negativo, ma io non sono d'accordo. Credo sia un grande vantaggio. L'esercito fa anche degli errori. L'esercito egiziano non è stato addestrato per dirigere il traffico nelle strade, però adesso lo fa. Non sono addestrati a formare comitati per riscrivere la Costituzione e quindi commettono errori. Ad esempio, il comitato che ha elaborato gli emendamenti costituzionali, che verranno sottoposti a referendum il 19 marzo, era diretto da qualcuno che viene considerato vicino ai fratelli musulmani.
Queste cose succedono e succederanno. Ma fanno parte della sfida. Prima ho detto che partecipo a incontri pubblici due o tre volte a settimana, durante i quali dico alle persone di non essere negative e di partecipare alle elezioni, perché tanto maggiore è la partecipazione, quanto meglio si potrà affrontare l'eventualità negativa che l'esercito resti.
Teoricamente è possibile che l'esercito rimanga. Potrebbe piacere loro la possibilità di governare e potrebbero anche annunciare un candidato per la presidenza. Però hanno dichiarato che non hanno l'intenzione di farlo. Dipende da noi: la domanda principale è se saremo attivi come popolo egiziano o meno. Personalmente sono molto ottimista. L'Egitto che ho visto in piazza Tahrir per dodici giorni - le dimostrazioni sono durate diciotto giorni - non era l'Egitto che io conoscevo. Non avrei mai pensato che potessero esserci due milioni di egiziani in una piazza, senza che i ragazzi importunassero alle ragazze. Invece, non c'è stato un solo caso di problemi di questo genere.
È come se la rivoluzione avesse rinnovato le persone internamente, rendendole più responsabili. Mi sono recato una volta in piazza Tahrir e mi sono ritrovato in fila con altre persone per entrare. Siamo stati in fila per 45 minuti e ho fatto notare agli altri che stavamo facendo la fila, che non è una cosa che si fa in Egitto, dove le persone di solito cercano di passare avanti. Invece, quella volta eravamo in fila, senza che nessuno ci avesse chiesto di farlo.
Se è vero che in piazza Tahrir c'erano due milioni di persone, è anche vero che c'erano 11 milioni e mezzo di egiziani in varie piazze dell'Egitto, e questo numero è maggiore di quello delle persone che hanno abbattuto il comunismo dell'Europa dell'est. Anche i numeri in Tunisia erano molto elevati in relazione alla popolazione.
Dunque, la sua domanda è molto importante e dobbiamo stare con gli occhi aperti. Dobbiamo anche parlare apertamente. L'articolo 2 della Costituzione dice che l'Islam o la Sharia sono il riferimento principale per tutto l'ordinamento giuridico. Ci sono molti cristiani che adesso si chiedono perché devono accettare questo e che dicono che è giunta l'ora di cambiare la situazione. Di questo non avevamo mai parlato prima: avevamo dato per scontato che quell'articolo fosse immutabile. Adesso, invece, i cristiani sostengono che se non lo facciamo adesso, non lo faremo più. Dovremmo dire che l'Islam è solo una delle fonti della legislazione, ma non la fonte principale, come invece è attualmente. Spero di aver risposto alla sua domanda.


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FRANCESCO TEMPESTINI. C'è una considerazione che si fa a proposito dell'Iran, ovvero che da un lato ci sono la città e i ceti evoluti e dall'altro milioni e milioni di cittadini iraniani che invece stanno dalla parte della conservazione, perché sono in condizioni sociali molto arretrate. Si può pensare ad un rischio di questo tipo anche in Egitto? In altre parole, esiste questa differenza tra il Cairo e le grandi città, dove ci sono questi giovani molto evoluti, e poi le campagne dove invece c'è ancora la possibilità che si resti fermi alla conservazione?

TAREQ HEGGY, Attivista per la democrazia in Egitto e nei Paesi arabi. Senza dubbio questo rischio esiste. Come ricorderà, prima ho detto che pensavamo che la rivoluzione dovesse venire dai poveri o dalle moschee. In realtà, anche questo rischio esiste, ovvero una rivoluzione potrebbe ancora venire dalle bidonville o dalle moschee. Se non lavoriamo per creare dei posti di lavoro e per risolvere i problemi, entrambi questi pericoli potrebbero manifestarsi.
Tuttavia, nonostante le moschee e la povertà ci siano ancora, la situazione non può essere confrontata con l'Iran. L'Islam dell'Iran è completamente diverso dall'Islam in Egitto. L'Islam sciita rende quasi sacro l'imam e le persone pensano che sia senza peccato. Le persone credono che Khamenei non commetta dei peccati, il che è una barzelletta, ma lo si crede vero. Egiziani e marocchini non pensano a queste persone come divine, però c'è ancora il rischio, se non esiste un governo efficiente.
Io sogno un governo egiziano che non pensi più di voler essere una super-potenza nella regione. Fin dai tempi di Mohammed Ali gli egiziani volevano essere una super-potenza, per questo hanno avuto due pesantissime sconfitte: nel 1839 sono stati sconfitti dall'Impero ottomano e nel 1967 sono stati schiacciati da Israele, perché volevano essere la grande potenza della regione. Si arriverà a questo solo se si faranno bene le cose a livello interno.
Molti amici israeliani mi dicono che l'assurdità è che gli egiziani dicono di aver paura che Israele possa inglobarli culturalmente. Invece, il pericolo è il contrario: se l'Egitto è in buona salute, dovrebbe essere Israele ad avere paura della tradizione egiziana. Tuttavia, questo ruolo non si può svolgere se c'è la fame o se le persone muoiono di povertà.
Io sogno un governo che dica basta con gli affari esteri, e mi dispiace dirlo proprio davanti a questa Commissione affari esteri. E penso a Amr Moussa. Vogliamo che il nostro Governo si concentri sulle questioni interne e vogliamo creare posti di lavoro. Se solo riuscissimo a far tornare gli egiziani dall'Australia e dal Canada avremo agito bene. L'unico che siamo riusciti a portare finora è El Baradei, che non è il migliore di questo gruppo.

PRESIDENTE. Usciamo di qui tutti con molta più cognizione della situazione egiziana di quanta ne avessimo prima. Ringrazio il nostro ospite per quello che ci ha spiegato e gli porgo tanti auguri per il suo nuovo partito e per le elezioni prossime venture.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,10.

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