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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
5.
Mercoledì 18 maggio 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Colombo Furio, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUI DIRITTI UMANI E DEMOCRAZIA

Audizione di rappresentanti di Human Rights Watch:

Colombo Furio, Presidente ... 3 8 9 10 11
Corsini Paolo (PD) ... 8 10
Sunderland Judith, Rappresentante di Human Rights Watch ... 3 10
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sui diritti umani

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 18 maggio 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FURIO COLOMBO

La seduta comincia alle 15,15.
(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente)

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di Human Rights Watch.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su diritti umani e democrazia, l'audizione di rappresentanti di Human Rights Watch.
Do il benvenuto alla dottoressa Judith Sunderland, rappresentante di Human Rights Watch, che ringrazio per essere con noi.
La nostra ospite è senior researcher per l'Europa occidentale di Human Rights Watch ed è l'autrice del rapporto pubblicato lo scorso marzo da questa organizzazione sulla violenza razzista e xenofoba in Italia. Sono certo che l'autorevole contributo della dottoressa Sunderland, anche tramite un'illustrazione dei contenuti di tale rapporto, soprattutto in relazione agli obblighi internazionali in materia di diritti umani che l'Italia è tenuta a rispettare, potrà essere di notevole utilità per i lavori del nostro Comitato.
Svolgerei ora una considerazione che previene l'osservazione che ci potrebbe essere mossa, ossia perché ci occupiamo di diritti umani in Italia quando tipicamente il compito di questo Comitato viene indicato come quello di un centro di monitoraggio sull'osservanza o sulla violazione dei diritti umani nel mondo.
Credo che sia facile in questo senso rispondere con una frase del Presidente della Repubblica, il quale, esprimendosi su problemi di questo genere, come fa frequentemente, ha fatto osservare che non esiste una linea di confine nel rispetto o nella violazione dei diritti, ma che esistono i diritti nella loro integrità e complessità ed esiste la violazione dei diritti che, dovunque venga commessa, ci riguarda tutti.
Allo stesso modo per cui ci occupiamo, ma anche ci appassioniamo, ci opponiamo e ci indigniamo per le violazioni dei diritti umani che avvengono in altri Paesi del mondo, siano essi lontani, vicini, amici o estranei al modello di vita nel quale riteniamo di avere modulato l'attività e la cultura del nostro Paese, resta il fatto che anche il nostro rispetto e la nostra considerazione dei diritti degli altri ci riguarda profondamente, perché definisce, da un lato, il nostro Paese nella sua vita interna e, dall'altro, l'immagine del nostro Paese e, dunque, la nostra immagine internazionale all'esterno, con tutte le conseguenze che ne derivano, incluse persino le conseguenze economiche.
Credo, quindi, che siamo perfettamente sul terreno dei compiti assegnati a questa Comitato. Do la parola alla dottoressa Sunderland per la sua relazione.

JUDITH SUNDERLAND, Rappresentante di Human Rights Watch. Ringrazio il presidente Colombo e tutti voi. È un onore


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e un piacere per me essere qui oggi. So che la maniera migliore per tenere un discorso è memorizzare tutto e non leggere gli appunti, ma temo che non potrò fare a meno di guardarli. Spero di non annoiarvi troppo.
Volevo spendere due parole su Human Rights Watch. Si tratta di un'organizzazione internazionale indipendente con sede negli Stati Uniti, a New York, ma con uffici in tutto il mondo. In Europa abbiamo uffici a Londra, Parigi, Berlino, Ginevra e Bruxelles.
Contiamo più o meno 300 dipendenti e lavoriamo in più di 70 Paesi al mondo, svolgendo indagini approfondite su situazioni di violazioni ai diritti umani, pubblicando rapporti e comunicazioni tempestive sulla situazione e facendo opera di lobby con tutti gli attori rilevanti, siano essi governi o istituzioni regionali e internazionali, per cercare un rimedio alla situazione delle violazioni.
Lavoriamo in situazioni di guerra, in situazioni di pace, in Paesi democratici e in Paesi con dittature, in Paesi chiusi e in Paesi aperti.
In Europa abbiamo uno staff molto ristretto, ma cerchiamo, nel nostro piccolo, di lavorare su diversi temi, quali gli abusi ai diritti umani nella lotta contro il terrorismo internazionale, un tema su cui io ho lavorato molto negli ultimi anni, la discriminazione, il razzismo, l'immigrazione e il diritto all'asilo.
Il nostro lavoro in Europa si basa su due constatazioni fondamentali. Seguo il discorso che lei ha svolto all'inizio, presidente, sul perché parlare di violazioni dei diritti umani in Italia in questa sede.
La prima constatazione, forse piuttosto ovvia, è che anche nei Paesi democratici si violano i diritti umani ed esistono problemi seri che vanno indagati e affrontati.
La seconda constatazione è che la credibilità di ogni singolo Paese e dell'Unione europea come agenti per la promozione e la protezione dei diritti umani nel resto del mondo dipende molto dal bilancio del rispetto dei diritti umani in casa propria.
È estremamente importante per un Paese come l'Italia - che è un Paese fondatore dell'Unione, membro attivo delle Nazioni Unite, del Consiglio d'Europa, dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa e, tra poco, membro del Consiglio dei diritti umani dell'ONU - che vi si rispettino tutti i diritti umani e che vi sia il rispetto pieno per tutti gli obblighi che l'Italia ha assunto secondo il diritto internazionale dei diritti umani e secondo tutti i trattati che l'Italia stessa ha ratificato.
È, dunque, in questo spirito che vi ringrazio per l'opportunità di presentarvi le conclusioni e le raccomandazioni derivanti dalla nostra indagine sulla violenza razzista e xenofoba in Italia.
Come il presidente ha riferito, abbiamo pubblicato un rapporto, L'intolleranza quotidiana. La violenza razzista e xenofoba in Italia, il 21 marzo scorso in occasione della Giornata mondiale contro la discriminazione razziale.
Si tratta di un rapporto basato su una ricerca approfondita, effettuata più o meno tra il dicembre del 2009 e il dicembre del 2010, in diverse città d'Italia. Abbiamo intervistato 29 persone vittime o testimoni di violenza imputabile in parte o in tutto a sentimenti di odio razziale, 36 esperti fra docenti universitari, attivisti, giornalisti e avvocati, nonché 19 rappresentanti del Governo in diversi ministeri e istituzioni.
Prima di entrare nel dettaglio dello studio volevo solo spendere due parole sulle motivazioni di questa ricerca e della scelta di svolgerla in Italia. Siamo ben consapevoli che la violenza razzista e l'intolleranza, purtroppo, costituiscono un problema in diversi Paesi europei. Siamo molto preoccupati dalla crescente intolleranza che si percepisce in molti Paesi europei in questi giorni e in questi anni verso gli immigrati e i richiedenti asilo. Come non menzionare la situazione drammatica, sicuramente non nuova, dei Rom, tanto nell'Oriente che nell'Occidente dell'Europa?
L'Italia è un Paese fondatore, come ho ricordato, ed è un protagonista importante dell'Unione europea, ma, a nostro avviso, non sta dimostrando la leadership che gli


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spetta. Uno dei fattori più importanti che distingue l'Italia, infatti, è una tendenza molto marcata a minimizzare il problema del razzismo, addirittura a negare in termini assoluti che il razzismo esista in Italia. Tornerò a parlare di questo tema fra poco.
Bisogna anche ricordare che il razzismo e la discriminazione in Italia hanno attirato la costernazione delle organizzazioni internazionali. Già nel 2007 il relatore speciale dell'ONU sulle forme contemporanee di razzismo aveva osservato che l'Italia era diretta su una preoccupante tendenza alla xenofobia e allo sviluppo di manifestazioni di razzismo.
Il Comitato delle Nazioni Unite sull'eliminazione della discriminazione razziale, che monitora il rispetto della Convenzione in materia, ha espresso nel 2008 le sue preoccupazioni per l'odio, manifestato anche dai politici, verso stranieri e Rom in Italia e ha invitato le autorità italiane a intraprendere azioni risolute per contrastare la tendenza a stigmatizzare le persone con stereotipi o con la loro profilazione sulla base di razza, colore, discendenza e origine nazionale ed etnica e a utilizzare la propaganda razzista a fini politici.
L'Alto commissario per i diritti umani dell'ONU Navi Pillay, durante una visita in Italia nel marzo dell'anno scorso, ha espresso la sua grande preoccupazione per la politica attuata dalle autorità nel trattare questioni relative a immigrati e Rom principalmente come un problema di sicurezza piuttosto che come una questione di integrazione sociale e il suo allarme per il ritratto spesso assai negativo degli immigrati e dei Rom fornito da alcuni rappresentanti dei media e della politica.
Infine, non meno di 28 Paesi hanno espresso preoccupazioni in questo senso durante la prima revisione periodica universale dell'Italia in sede del Consiglio dei diritti umani dell'ONU nel febbraio 2010. Anche istituzioni europee hanno espresso simili preoccupazioni, tra cui il Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, l'OSCE e anche l'ECRI, la Commissione europea contro il razzismo e l'intolleranza. La nostra ricerca conferma queste preoccupazioni e sottolinea il bisogno di una più efficace risposta dello Stato italiano al fenomeno del razzismo, dell'intolleranza e, più particolarmente, della violenza razzista, che, come abbiamo constatato, è un problema serio in Italia.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a diversi agghiaccianti attacchi e aggressioni contro singoli, quali l'uccisione a sprangate di un giovane italiano originario del Burkina Faso a Milano nel settembre del 2008, dopo un piccolissimo furto di biscotti in un bar, il brutale pestaggio di un uomo cinese mentre aspettava un autobus a Roma nell'ottobre del 2008 e nel febbraio del 2009 l'attacco subìto a Nettuno da un cittadino indiano, che fu cosparso di benzina e dato alle fiamme. Questi sono solo alcuni esempi.
Abbiamo anche visto violenze di massa contro insediamenti Rom, negozi di proprietà straniera e, come tutti ben sappiamo, lavoratori stagionali. Ricordate ciò che è successo a Rosarno, in Calabria, a gennaio dell'anno scorso.
Human Rights Watch è preoccupata che la risposta dello Stato italiano al fenomeno della violenza razzista non sia pienamente conforme agli obblighi internazionali. Alla luce dei trattati internazionali ratificati dall'Italia, quali il Patto internazionale sui diritti civili e politici, la Convenzione internazionale sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale e la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, lo Stato italiano ha obblighi ben precisi, tra cui adottare misure efficaci per prevenire la violenza razzista e indagare energicamente e perseguire i colpevoli, portando un rimedio effettivo al problema.
Aggiungerei anche l'obbligo di condannare pubblicamente e inequivocabilmente tale violenza. Ci vuole una condanna sempre coerente e forte. È importante segnalare che la Corte europea dei diritti dell'uomo a Strasburgo ha stabilito molto chiaramente nella sua giurisprudenza che gli Stati hanno il dovere di adottare tutte le misure ragionevoli per smascherare qualsiasi motivo razzista e stabilire se


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l'odio etnico o di pregiudizio possa aver contribuito agli eventi, parlando ovviamente di indagini penali su fatti di violenza.
La Corte ha anche affermato che, quando un attacco violento è motivato dal pregiudizio razziale, è particolarmente importante che l'inchiesta venga portata avanti con vigore e imparzialità, vista la necessità di riaffermare continuamente la condanna sociale del razzismo e di mantenere la fiducia delle minoranze nella capacità delle autorità di proteggerle dalla minaccia della violenza razzista.
Vorrei ora illustrarvi quattro problemi legati fra di loro che abbiamo individuato nella risposta dello Stato italiano al fenomeno della violenza razzista e xenofoba.
In primis vi è la tendenza, cui ho accennato prima, a minimizzare la portata del fenomeno. Il Ministro dell'interno ha più volte affermato negli ultimi anni che l'Italia non è un Paese razzista e ha descritto atti di violenza contro minoranze come episodi marginali o rari. Diversi miei interlocutori, avendo svolto io stessa la ricerca, hanno usato le medesime parole: l'Italia non è un Paese razzista, gli italiani non sono per natura razzisti e la violenza razzista non è un problema statisticamente significativo.
Vorrei ribadire che non è una risposta adeguata, dal momento che non è neanche la domanda giusta da porre. Non ci si deve mai chiedere se un Paese sia razzista. Non ha senso parlare in questi termini e nel nostro rapporto non abbiamo alcuna intenzione di tacciare l'Italia di essere un Paese razzista in sé. Vogliamo, invece, segnalare un fenomeno che esiste dentro la società italiana e che va affrontato, il che è ben diverso dall'affermare che l'Italia sia un Paese razzista o che tutti gli italiani siano razzisti. L'atteggiamento di negare l'esistenza del razzismo in Italia presenta conseguenze molto concrete, che vi illustrerò.
Passando agli altri tre problemi, vi sono l'insufficiente formazione specializzata e sistematica del personale delle forze dell'ordine e della magistratura, un'inadeguata raccolta di statistiche su notizie di reato e azioni penali e, infine, un'inadeguata applicazione della legge che prevede una sanzione maggiore per reati aggravati da motivazioni razziali. Parlerò di ciascun tema brevemente.
In quanto alla formazione, abbiamo constatato che non esiste alcuna formazione specifica specializzata e obbligatoria né per i membri della Polizia di Stato, né per i Carabinieri. Ci sono corsi sui temi legati ai diritti umani, il che è molto positivo, però non esiste una formazione specifica per aiutare tutti gli agenti chiamati a rispondere e ad indagare su reati con possibili motivazioni di odio sulle tecniche, su che tipo di domande porre, su come raccogliere meglio le prove, su che cosa tenere in mente.
Esistono corsi avanzati di questo tipo, offerti, per esempio, dall'OSCE, che con il suo Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani ha compiuto un grande lavoro in questo senso e offre questo tipo di formazione specializzata, sempre con la convinzione che, preparando gli agenti delle forze dell'ordine a far fronte a questo fenomeno, si possa, in primo luogo, non lasciarsi sfuggire possibili motivazioni razziali di un reato, e, in secondo luogo, assicurare un efficace perseguimento penale dei presunti responsabili.
Lo stesso vale per i magistrati e mi soffermo più in particolare sui pubblici ministeri. Voi sapete che il Consiglio superiore della magistratura organizza ogni anno un ciclo di formazione per la magistratura. Sono corsi non obbligatori, che toccano centinaia di temi ogni anno. Noi abbiamo esaminato i corsi offerti nel 2008, nel 2009 e nel 2010 e, benché ci fossero corsi su temi legati ai diritti umani, un solo corso aveva una sessione di 75 minuti che ha affrontato il tema della violenza razziale, tra altri temi.
Noi consideriamo che questa non sia l'attenzione giusta al fenomeno, avendo anche constatato alcune mancanze quanto alla conoscenza tra i pubblici ministeri dell'aggravante per motivazioni razziali prevista dalla legge Mancino e una riluttanza, anche da parte di chi conosce bene la legge, a contestare tale aggravante anche


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in casi in cui sembrava molto ovvia la presenza di una motivazione razziale. Il problema è reso ancora più grave per la giurisprudenza in materia.
La raccolta dei dati sulla violenza razzista è fondamentale per analizzare le tendenze e garantire una risposta adeguata, ma il sistema statistico utilizzato dal Ministero dell'interno non è né sufficiente, né trasparente. Come voi sapete, non si pubblicano i dati e la politica adottata è quella di fornire i dati sotto richiesta. Noi abbiamo chiesto più volte dati disaggregati, che non abbiamo mai ricevuto dal ministero.
Tutti i rapporti della Polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri vengono inseriti in una banca dati centralizzata, ma usando un modulo standard che non permette di segnalare chiaramente il fatto che il reato possa avere motivazioni razziali. Tale elemento viene scritto solo nella parte narrativa, il che non rende possibile estrapolare facilmente dati su questo tipo di reato.
I dati, anche quando sono pubblicati, non vengono disaggregati per tipologia di reato. Spesso sono organizzati semplicemente come reato in violazione della legge Mancino. Tale legge comprende, però, diversi reati, ed è quindi molto difficile capire dai dati globali di quale di essi si stia parlando.
Inoltre, essi vengono classificati in tre grandi categorie, razzismo, xenofobia e antisemitismo, il che non permette di analizzare le tendenze riguardo a categorie particolari, per esempio Rom o immigrati, secondo nazionalità, etnia, religione, status di residente o di immigrato irregolare. Tutti questi dettagli sarebbero molto importanti per analizzare le tendenze e arrivare alle risposte.
Lo stesso vale per i dati del Ministero della giustizia. La situazione è ancora più complicata, perché i dati sono molto parziali. Il ministero raccoglie i dati da tutti i tribunali e dai pubblici ministeri in tutto il territorio, ma non sempre riceve tutti i dati utili. Anche in quel caso essi non vengono disaggregati per tipologia di reato. Con riferimento alla legge Mancino, i dati vengono raccolti sempre senza specificare di che cosa si stia parlando esattamente.
Questo è uno dei motivi per cui i dati non sono eclatanti. Nel 2009 i dati del Ministero dell'interno parlavano di 142 reati definiti crimini di odio. Le autorità usano questi numeri bassi per sostenere che la violenza razzista è rara, ma questo argomento ignora il fatto che esiste una grande riluttanza tra le vittime di questo tipo di reato a denunciare, specialmente i migranti irregolari, per ovvie ragioni. Inoltre, si segnalano delle mancanze da parte delle autorità nell'identificare correttamente i reati come motivati in parte o in tutto dall'odio razziale.
Volevo parlarvi ora della legge Mancino, adottata nel 1993, che all'epoca era una legge all'avanguardia. Era veramente innovativa e l'Italia ha dimostrato una grande leadership in Europa nell'adottare questa legge, che prevede, tra altre disposizioni, un aumento fino alla metà della pena per reati aggravati dalla motivazione razzista.
Ho parlato di motivazione razzista, ma in realtà la legge, il che rappresenta un problema fondamentale, non parla di motivazione, ma di finalità razzista, e questo ha dato luogo a un'interpretazione da parte dei tribunali molto restrittiva di questo strumento, per cui spesso si contestano le circostanze aggravanti solo per reati motivati unicamente dall'odio razziale.
Infatti, la legge non afferma esplicitamente che ci possano essere motivazioni multiple, come prevedono strumenti simili in altri Paesi europei. La violenza razzista non è solo quella del fondamentalista razzista che cerca di aggredire una persona di colore in quanto tale, ma si manifesta in tanti diversi modi e il sentimento di odio o di intolleranza può essere un fattore nel determinare l'uso della violenza in una situazione in cui coesistono anche altri fattori e può anche determinare la brutalità della forza usata contro una persona.
Per essere più chiara, può esserci una situazione in cui esistono altri motivi di litigio fra due persone, di soldi, di vicinato,


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per il rumore in casa, però è l'odio da parte di uno che può determinare il ricorso alla violenza o il tipo di violenza usata.
Oggi, all'indomani della Giornata mondiale contro l'omofobia, rilevo che la legge Mancino non contempla i crimini motivati dall'odio verso l'orientamento sessuale e l'identità di genere; prossimamente la Camera sarà chiamata a discutere l'introduzione di un'aggravante in questo senso.
Abbiamo visto nella giurisprudenza degli ultimi anni che l'aggravante non viene contestata neanche in casi piuttosto chiari, come, per esempio, l'uccisione di Abdul Guibre a Milano nel 2008. Due baristi, padre e figlio, hanno inseguito lui e altri ragazzi dopo un piccolissimo furto nel loro bar - loro sostengono che pensavano di essere stati derubati di soldi - e hanno urlato frasi razziste, ammazzando poi questo giovane di 19 anni a sprangate. Il pubblico ministero non ha ritenuto necessario contestare l'aggravante.
In merito vorrei osservare che non si tratta di voler vedere la gente in carcere per periodi più lunghi. Non è in questo spirito che parliamo del problema, ma è una questione simbolica per le vittime, per le famiglie delle vittime che venga riconosciuto il fatto che l'odio abbia avuto un ruolo negli eventi e un riconoscimento, tornando alle parole della Corte di Strasburgo, da parte dello Stato di quanto sia seria la violenza razzista e di quanto debba essere affrontata in modo severo.
Per concludere con le nostre raccomandazioni, riteniamo che si debba sempre condannare fino al più alto livello di Governo la violenza razzista e xenofoba con coerenza, continuità e forza. Bisogna riformare il diritto penale per assicurare che la circostanza aggravante possa essere contestata anche in presenza di motivazioni multiple e miste e che si debba espandere l'elenco delle caratteristiche protette ai fini di includere come minimo l'orientamento sessuale e l'identità di genere.
Noi pensiamo che bisognerebbe rendere obbligatoria la formazione del personale delle forze dell'ordine e dei magistrati su questo tema e rafforzare il lavoro importante dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali sulla violenza razzista, che in realtà è partito solo alla fine dell'anno scorso.

PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Sunderland. Credo che risulti chiaro, e resterà agli atti di questa audizione, il continuo interfaccia di ciascuno degli argomenti con le relazioni internazionali di cui questo Comitato è il punto di riferimento. Per ognuna delle situazioni che sono state illustrate dalla dottoressa Sunderland si chiama in causa la presenza di persone e di gruppi che appartengono ad altri Paesi e sono ospiti, con un titolo o con un altro, della Repubblica italiana e, quindi, il loro trattamento definisce l'immagine e il profilo del nostro Paese nei confronti dei loro Paesi d'origine e da ciò dipendono anche enormi interessi.
Se avremo tempo, chiederò alla dottoressa Sunderland di darci indicazioni su come ambientare le osservazioni rivolte all'Italia nell'ambito europeo, in relazione agli altri Paesi. Non pretendo di tentare una classifica, ma di fornirci un punto di riferimento per capire dove sono collocate le sue osservazioni rispetto a quelle che si potrebbero muovere ad altri Paesi europei comparabili con l'Italia, se non altro perché parte dell'Unione europea.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

PAOLO CORSINI. Innanzitutto voglio associarmi al ringraziamento del presidente del Comitato per questa preziosa presentazione. È una disamina che ho trovato estremamente puntuale, rigorosa e soprattutto veritiera, dalla quale traggo alcuni guadagni preziosi per il grado delle mie consapevolezze.
Mi ha colpito l'approfondimento che lei ha condotto sui limiti della legge Mancino. Giustamente lei ha ricordato che per l'epoca in cui essa è stata promulgata era un testo d'avanguardia, ma che oggi, anche in relazione alle trasformazioni della società italiana ed europea, appalesa la propria


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data d'origine. È una legge datata, sia per i suoi limiti intrinseci - lei ha utilizzato la distinzione della categoria di motivazione rispetto alla categoria di finalità - sia, il che è estremamente preoccupante dal mio punto di vista, per l'utilizzazione e la gestione limitativa che ne viene fatta a diversi livelli istituzionali.
Il secondo guadagno è dato dall'ampiezza della nozione di violenza razziale e xenofoba cui lei fa riferimento, la quale contrasta con l'interpretazione riduttiva da parte dell'opinione pubblica, dei mass media, degli organi parlamentari e soprattutto di Governo di questo Paese.
Basterebbe sfogliare - io lo leggerò con una meticolosità degna della serietà del testo - il capitolo del vostro rapporto dedicato alla risposta dello Stato italiano e leggere anche la denominazione dei singoli paragrafi per maturare un giudizio estremamente severo e critico nei confronti delle politiche del Governo italiano in merito al problema che oggi esaminiamo: la minimizzazione del problema; la retorica anti-immigrati e anti-Rom; l'inadeguatezza della raccolta dei dati dell'analisi; la mancata assicurazione alla giustizia dei responsabili degli attacchi; le mancanze nella repressione e nell'indagine degli attacchi aggravati dall'odio razziale; le mancanze nell'indagare adeguatamente le accuse di maltrattamento a carico delle forze dell'ordine. In realtà specificherei di taluni esponenti delle forze dell'ordine, perché non mi sentirei di imputare un'accusa generalizzata alle forze dell'ordine italiane.
Questo è, dunque, il duplice guadagno che io traggo da questa sua preziosa esposizione: i limiti della legge Mancino per quanto riguarda proprio il testo, il suo impianto culturale e giuridico, e l'ampiezza della nozione di violenza razziale e di xenofobia.
Peraltro, mi spiace informarla che, per quanto riguarda l'UNAR, l'Ufficio nazionale antidiscriminazione razziale, siamo arrivati al punto che un esponente di maggioranza al Senato ha presentato un emendamento in un disegno di legge per la sua abolizione. Ciò serve a testimoniare il limite che si tocca e il punto cui si arriva.
Purtroppo debbo informarla, in base a notizie ho ricevuto esattamente un'ora fa, che il testo unificato delle norme contro l'omofobia è stato respinto dalla Commissione di merito e che, quindi, si dovrà protrarre il tempo che ci darà la soddisfazione di adeguare la normativa del nostro Stato alla normativa dei Paesi più avanzati e civili sotto questo profilo.
L'ultima osservazione - a me dispiace che non siano presenti esponenti di maggioranza con i quali sarebbe stata utile una dialettica serrata - è che credo che da parte del Governo italiano non ci sia semplicemente un debito culturale o una mancanza di sensibilità, ma che quanto viene denunciato sia frutto di un disegno e di una disposizione politica. Quali siano poi le ragioni di questa disposizione politica e dove esse affondino è una discussione del tutto aperta.
A me piace in questa sede richiamare e denunciare che non si tratta di un comportamento deviato, come può essere in altri Paesi governati da altre maggioranze, ma di una linea politica del tutto coerente con i presupposti culturali delle forze di Governo. È una scelta che per sommi capi ho segnalato, richiamando i titoli dei paragrafi di questo report, che, peraltro - lo vedo e me ne compiaccio - è stato documentato e scritto da Judith Sunderland. Il valore di questo testo è, dunque, interamente merito suo.
Credo che il presidente Colombo possa essere d'accordo con me sul fatto che quanto è avvenuto sia il frutto di una linea politica del tutto consapevole e non il risultato di una deviazione da una linea corretta.

PRESIDENTE. Rimpiango che lo stiamo affermando senza poter avere il contraddittorio con i nostri colleghi di maggioranza, il che effettivamente toglie valore e peso a questo nostro evento, probabilmente non per caso.
Abbiamo tra noi alcuni colleghi, anche di maggioranza, particolarmente sensibili a questi problemi, che oggi però sono


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assenti e che probabilmente - mi permetterò un'insinuazione - sono stati consigliati di essere assenti, in modo da non dover svolgere considerazioni che probabilmente sarebbero state molto vicine ad alcune di quelle che abbiamo svolto noi. Esistono trasversalità anche culturali e umane che l'assenza completa dei nostri colleghi di opposizione ha reso impossibile verificare oggi.

PAOLO CORSINI. Ho dimenticato un piccolo particolare. Vedo che statisticamente - è un caso, è dovuto al destino e alla fatalità o è frutto di determinate condizioni? - nella schedatura presentata la maggior parte dei casi si verifica a Roma. Questo aspetto è estremamente preoccupante, essendo Roma al centro della ribalta internazionale ed essendo la capitale storica di questo Paese. Il fatto che capitino a Roma è un interrogativo che resta per me aperto, per essere molto benevolo.

PRESIDENTE. Potrebbe essere dovuto alla mancanza di denunce e di segnalazioni di tutto ciò che avviene fuori Roma.

PAOLO CORSINI. È esattamente il contrario. Il fatto che tali episodi avvengano a Roma e che il rapporto del 2011 evochi eventi che si sono verificati grossomodo negli ultimi due o tre anni indica che a Roma il livello di guardia nei confronti della prevenzione di questi fenomeni è, perlomeno, molto allentato.

PRESIDENTE. Per i minuti che ci restano, dottoressa Sunderland, i due punti su cui vorrei un suo rapido orientamento per noi sono il rapporto fra quanto lei ci ha comunicato dell'Italia e gli altri Paesi europei dell'Unione e l'esistenza di pendenti ratifiche di trattati che hanno a che fare con i problemi che abbiamo discusso e che lei ci ha presentato e che sono stati finora omesse o posticipate.
Do la parola alla dottoressa Sunderland per la replica.

JUDITH SUNDERLAND, Rappresentante di Human Rights Watch. Ringrazio l'onorevole Corsini...

PAOLO CORSINI. Mi devo complimentare per il suo italiano. Lei parla un italiano migliore di quello di moltissimi italiani.

JUDITH SUNDERLAND, Rappresentante di Human Rights Watch. Grazie. Oltre a rispondere alle domande, volevo svolgere due piccole osservazioni. Nel rapporto parliamo anche della nostra preoccupazione sul fatto che la retorica molto generalizzata che collega migranti e Rom con la criminalità abbia contribuito a creare il clima di intolleranza che si percepisce in Italia già da un po' di anni.
È un tema da discutere quanto la retorica politica e anche le politiche stesse, le leggi, ad esempio l'introduzione del cosiddetto reato di clandestinità, contribuiscano a fomentare l'intolleranza verso gli altri, che possono essere anche cittadini italiani, siano essi Rom o figli di immigrati che sono adesso cittadini.
Perché tanti casi a Roma? Io ho indagato su casi in tutta Italia e tuttavia tornavo spesso a Roma durante la mia indagine. A volte le indagini dipendono anche dal caso, dall'avvocato che sono riuscita a conoscere e che aveva più casi, dall'associazione sul territorio che è particolarmente motivata e conosce molti casi, però è preoccupante che negli ultimi anni ci siano stati tanti episodi terrificanti a Roma.
In quanto ai trattati pendenti, l'unico che citerei in relazione con questo tema è la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie, una Convenzione che l'Italia, come tutti i Paesi dell'Unione europea, si rifiuta di ratificare. È proprio una politica dell'Unione europea quella di non ratificare questa Convenzione, la quale cerca di proteggere meglio o di riaffermare i diritti di tutti i migranti, a prescindere dal loro status legale. Esiste un problema, un blocco a livello dell'Unione europea, che difficilmente si sbloccherà.
Consideriamo che sarebbe un passo molto importante che i singoli Paesi dell'Unione, come l'Italia, manifestassero un


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interesse e un'intenzione a ratificare questa Convenzione, che, peraltro, è stata, e non a caso, ratificata più dai Paesi che mandano i migranti che non dai Paesi che li ricevono, quando veramente si tratta più che altro di riconoscere e di proteggere i diritti di chi vive fuori dal proprio Paese per tutti i motivi per cui la gente viaggia e si sposta.
Per quanto riguarda il confronto tra l'Italia e altri Paesi europei su questo tema, io non ho svolto una ricerca altrettanto approfondita in nessun altro Paese europeo, ragion per cui non potrei esprimermi con piena autorità. È comunque un problema crescente in diversi Paesi.
Penso alla Grecia, che ha vissuto anche molto recentemente, la settimana scorsa, episodi di violenza indiscriminata contro migranti ad Atene, in seguito all'uccisione di un greco da parte, si dice, di alcuni nordafricani, che ha scatenato l'ira di esponenti di estrema destra molto organizzati. Vi è stata una caccia all'uomo nelle stradine del centro di Atene e questo è solo l'ultimo di numerosi attacchi negli ultimi mesi in Grecia, un Paese che ha seri problemi economici che vanno forse a intensificare le preoccupazioni degli abitanti confrontati con un'immigrazione sempre più importante nel loro Paese e con un sistema di asilo che non funziona.
Preferisco non compilare alcuna classifica. Cerchiamo sempre di evitare di farlo, perché alla fine c'è sempre il Paese che ne esce meglio e quello che ne esce peggio, quando in realtà esistono problemi in tutti i Paesi e bisogna confrontare il bilancio del singolo Paese con i suoi obblighi internazionali.
Siamo molto attenti, però, a quello che succede negli altri Paesi europei e probabilmente, saremo chiamati a svolgere questo tipo di indagini anche altrove in Europa.

PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Sunderland. Credo che abbiamo svolto un lavoro utile, restando entro i tempi. Non
possiamo che esprimerle la nostra gratitudine e conservare il suo documento come un punto di riferimento importante per il nostro lavoro.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,05.

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