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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
20.
Martedì 24 luglio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Colombo Furio, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SU DIRITTI UMANI E DEMOCRAZIA

Audizione di Demba Traoré, Segretario generale del Partito radicale nonviolento, transnazionale e transpartito, sulla situazione in Mali:

Colombo Furio, Presidente ... 3 8 11 14
Barbi Mario (PD) ... 8
Farina Renato (PdL) ... 10 14
Mecacci Matteo (PD) ... 11
Nirenstein Fiamma (PdL) ... 14
Stango Antonio, Rappresentante del Partito radicale nonviolento, transnazionale e transpartito ... 8
Traoré Demba, Segretario generale del Partito radicale nonviolento, transnazionale e transpartito ... 3 11
Touadi Jean Leonard (PD) ... 9
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sui diritti umani

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 24 luglio 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FURIO COLOMBO

La seduta comincia alle 13,35.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di Demba Traoré, Segretario generale del Partito radicale nonviolento, transnazionale e transpartito, sulla situazione in Mali.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui diritti umani e la democrazia, dell'onorevole Demba Traoré, Segretario generale del Partito radicale nonviolento, transnazionale e transpartito.
L'onorevole Traoré è stato anche presidente della Commissione parlamentare del Mali su leggi costituzionali, legislazione, istituzioni della Repubblica e giustizia. È accompagnato dal dottor Antonio Stango e riferisce al Comitato sulla situazione in Mali alla luce dei recenti eventi che ne hanno sconvolto la scena politica.
Do la parola all'onorevole Traoré, che ringrazio per essere con noi.

DEMBA TRAORÉ, Segretario generale del Partito radicale nonviolento, transnazionale e transpartito. Grazie, presidente. Attraverso lei ringrazio tutti i membri della Commissione per aver accettato di ascoltarmi riguardo la situazione in Mali.
Come sapete, il Mali è un Paese che si trova in Africa occidentale. Il 22 marzo scorso si è verificato un colpo di Stato, prima del quale c'è sempre stata una ribellione nel Nord del Paese. Tale ribellione era stata animata dal movimento Tuareg.
I Tuareg fanno parte delle popolazioni della minoranza nel Nord del Mali, zona che occupa una grande parte di tutto il Paese: la superficie del Mali copre 1.241.000 chilometri quadrati, 800.000 dei quali è occupata dal Nord abitato dai Tuareg.
La ribellione era, quindi, animata da un gruppo di Tuareg, ma non da tutti i Tuareg del Mali, e il suo obiettivo, secondo le informazioni che abbiamo ricevuto, era quello di liberare gli ostaggi europei detenuti nel Nord del Paese.
Per questo motivo la Francia ha effettivamente sostenuto questo gruppo di Tuareg ribelli, in quanto l'obiettivo dichiarato in un primo tempo era proprio la liberazione di questi ostaggi nel Nord del Mali. Il Governo che è stato destituito a marzo non voleva, invece, intervenire per il loro rilascio.
I Tuareg conoscono molto bene la geografia del Nord del Paese e, quindi, hanno ricevuto sostegno dalla Francia, ma, nel momento in cui sono arrivati sul campo, invece di lavorare per liberare gli ostaggi e combattere i terroristi, hanno trasformato la loro lotta in un movimento indipendentista. Adesso la loro richiesta è quella dell'indipendenza del Nord del Mali, che hanno definito la Repubblica dell'Azawad.


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Tali soggetti hanno avviato una lotta armata contro le posizioni dell'esercito maliano e all'inizio ci sono stati dei tentativi di negoziato. Il vecchio Governo ha inviato alcuni emissari in Algeria per cercare di stabilire una piattaforma negoziale con i movimenti ribelli. Purtroppo, però, questi tentativi tra Bamako e Algeri non hanno avuto successo e i gruppi ribelli hanno avuto la fortuna, oserei affermare, di essere appoggiati da combattenti Tuareg che erano arruolati nell'esercito libico.
Dopo lo sfaldamento della Libia, infatti, si è verificato un ritorno massiccio di questi militari Tuareg, che, come accennavo, erano arruolati nell'esercito lealista libico. Essi sono, quindi, rientrati in patria, dotati di un grosso arsenale e di molte armi.
Questo gruppo ribelle, che all'inizio era sostenuto dalla Francia e che è stato chiamato Movimento nazionale per la liberazione dell'Azawad, è stato integrato, dunque, da militari che rientravano dalla Libia, ma, ed è una questione ancora più importante, nello stesso tempo è stato creato un altro movimento, Ansar Dine, che è affiliato ad Al Qaeda ed è, quindi, dotato di moltissimi mezzi.
Come ben sapete, ogni volta che si prendono ostaggi la loro liberazione è sempre condizionata dal pagamento di riscatti e questo denaro viene utilizzato per acquistare nuove armi. Il gruppo di liberazione dell'Azawad è stato, dunque, appoggiato non solo, come ricordavo, dai militari rientrati dalla Libia, ma anche da Ansar Dine, questo movimento affiliato ad Al Qaeda.
Essi sono così riusciti a sbaragliare numerose posizioni militari maliane e hanno anche catturato 150 soldati nella zona di Adjelhoc, nel gennaio e febbraio scorso. Questi militari, che non avevano più munizioni, sono stati sgozzati o sventrati dai ribelli.
Sono anche arrivati ulteriori rinforzi che hanno sostenuto questo macabro intervento contro l'esercito del Mali, tra cui movimenti terroristici come il Boko Haram, che è attivo in Nigeria. Anche questo gruppo, che terrorizza le popolazioni civili e militari in Nigeria, si è infiltrato nel Mali, sempre grazie all'aiuto di Al Qaeda. C'è anche il movimento jihadista Mujao, che è stato creato dopo lo scioglimento del movimento FIS in Algeria. In questo momento è proprio questo movimento a occupare la regione di Gao, nel Nord del Mali.
In seguito ai combattimenti che hanno sbaragliato l'esercito maliano nelle vicinanze di Bamako, soprattutto a Kati, alcuni militari hanno ritenuto che il Governo non facesse abbastanza per armare il proprio esercito e metterlo in condizioni di difendere il territorio nazionale. È emerso, dunque, un malcontento, il ministro della difesa è stato contestato e si è deciso di attaccare il palazzo presidenziale nella notte tra il 21 e il 22 marzo del 2012, a circa un mese dall'elezione presidenziale. L'elezione presidenziale era prevista, infatti, per il 29 aprile.
Circa un mese prima di questa data i militari, guidati da Sanogo, hanno deciso di porre fine al regime del presidente democraticamente eletto, Amadou Toumani Touré, che pure era alla fine del suo mandato.
Sono stati avviati immediatamente negoziati sotto l'egida dell'Ecowas, cioè la Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale - come vi ho riferito, il Mali è al centro dell'Africa occidentale - che comprende quindici Paesi, e si è cercato di lavorare insieme alle forze politiche e alla società civile del Mali perché ci fosse un ritorno all'ordine costituzionale. Vi ricordo che nella nostra Costituzione il colpo di Stato è considerato un crimine imprescrittibile e che questa forma di assunzione del potere è stata sempre vietata dai legislatori maliani sin dall'avvento della democrazia, nel 1991.
I ribelli che avevano occupato alcune zone del Nord hanno approfittato dei disordini che si erano creati a livello del potere centrale a Bamako per dirigersi verso le tre principali città del Nord e hanno preso la regione del Kidal già il 30 marzo. Il giorno successivo hanno occupato Gao.


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Poi c'è stata l'ulteriore occupazione di Timbouctou, città molto celebre perché ha un ruolo importante nella storia mondiale, essendo dotata di un patrimonio culturale e religioso protetto dall'UNESCO come patrimonio universale dell'umanità. È una città turistica, che attira molti turisti ogni anno.
Le tre principali città del Nord del Paese sono, dunque, cadute in mano ai ribelli dopo questi disordini a Bamako e i combattimenti che ci sono stati per cercare di recuperare tali città sono stati rivolti contro il Movimento nazionale di liberazione dell'Azawad, in seguito appoggiato da Ansar Dine, Mujao e da altri movimenti.
Dopo queste date non ci sono state ulteriori azioni militari da parte del Mali, in quanto, come sapete, il Paese è oggi reso fragile da questo colpo di Stato. Naturalmente con il colpo di Stato c'è stata anche l'interruzione di tutta la cooperazione internazionale. Gli aiuti allo sviluppo sono stati bloccati e tutti i progetti in corso che ricevevano l'appoggio degli Stati Uniti e dell'Unione europea o della Comunità internazionale nel suo insieme sono stati interrotti.
Oggi il Mali funziona come uno Stato diviso, perché il Nord è occupato da banditi armati. La zona Nord è la meno popolata, ma è anche la più ampia; come vi accennavo, si tratta di 800.000 chilometri quadrati su 1.241.000 di superficie totale del Paese.
I negoziati avviati dall'Ecowas in un primo tempo hanno consentito un ritorno dell'ordine costituzionale e il presidente dell'Assemblea nazionale è subentrato. Nella nostra Costituzione, in caso di impedimento definitivo del presidente della Repubblica, il presidente dell'Assemblea nazionale assume le redini del Paese. Sempre secondo la Costituzione, spetta a lui organizzare le elezioni presidenziali entro quaranta giorni, per poi passare il potere al presidente democraticamente eletto.
Come vi accennavo, il Mali era in una situazione di divisione e, quindi, era ben difficile per il presidente ad interim Dioncounda Traoré organizzare elezioni presidenziali entro i quaranta giorni previsti dalla Costituzione. Quando è stato effettuato il colpo di Stato una parte della classe politica ha sostenuto i golpisti, il che è comprensibile, perché tale classe politica non era favorevole al potere e, quindi, era un'occasione per essa e per una parte della società civile di far sentire la propria voce.
Tali soggetti hanno operato, quindi, in favore dei militari che hanno effettuato il colpo di Stato, per evitare il ritorno all'ordine costituzionale e soprattutto per opporsi al presidente dell'Assemblea nazionale, che consideravano un alleato del presidente deposto.
Tutta la Comunità internazionale nel suo insieme ha, invece, condannato il colpo di Stato e ha reagito per favorire l'ordine costituzionale. Il presidente ad interim non è riuscito a organizzare queste elezioni entro quaranta giorni, ragion per cui, secondo alcuni, avrebbe dovuto lasciare il suo posto e affidare i poteri nella fase della transizione ai golpisti fino a nuove elezioni.
A un giorno dallo scadere dei quaranta giorni i partiti politici e alcune associazioni favorevoli al colpo di Stato hanno organizzato una grande marcia a Bamako, a seguito della quale hanno percorso circa dieci chilometri per recarsi dal presidente della Repubblica. L'hanno preso e l'hanno picchiato violentemente con alcuni martelli. Del resto, le immagini purtroppo si possono vedere ancora su Internet.
È stata un'azione talmente violenta da non poter essere mai immaginata. Non si era mai visto nulla di simile neanche al cinema: un presidente della Repubblica in esercizio è stato preso durante il giorno, non di notte, superando tutti i punti di controllo, sotto gli occhi dei militari che erano presenti e che non hanno reagito. I colpevoli sono entrati nel palazzo, hanno picchiato violentemente il presidente della Repubblica e sono tranquillamente tornati a casa, come se non fosse successo nulla.
Come militante dei diritti umani io sono veramente stato colpito. Si tratta di un'azione che ho vivamente condannato e deplorato. Mi sono detto che si può non


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apprezzare una persona, ma Traoré ha prestato giuramento davanti alla Corte suprema come presidente del Mali. A quel punto non si ha più il diritto di colpirlo. Non si ha naturalmente il diritto di colpire neanche un cittadino normale, ma tanto meno il presidente della Repubblica.
Coloro che hanno organizzato questa marcia si sono spaventati per le dimensioni che aveva assunto la questione e hanno essi stessi condannato, almeno a parole, quest'azione così violenta.
Il presidente è stato salvato dal primo ministro designato a gestire la transizione, che è attualmente il primo ministro e che è stato designato dopo un accordo tra l'Ecowas e i golpisti.
È stato proprio il primo ministro che si è recato nel palazzo presidenziale, ha aiutato il presidente, che sembrava morto, l'ha portato in ospedale e poi a casa sua e ha fatto in modo che fosse trasferito in Francia per essere curato. Il Presidente Traoré si trova tuttora in Francia dal 21 maggio e ora si sta tentando di farlo rientrare nel Paese per dirigerlo, ma naturalmente sotto la protezione delle forze dell'Ecowas e del Mali stesso.
Questa è la situazione al momento. La Comunità internazionale, con l'appoggio di gran parte della classe politica e della società civile maliana, ha compreso che è necessario avere un Governo solido a Bamako per poter risolvere la situazione.
Vi ricordo che il Governo che si è insediato dopo il colpo di Stato non era apprezzato non soltanto dalla Comunità internazionale, ma neanche da gran parte degli abitanti del Mali. L'accordo prevedeva, infatti, la costituzione di un Governo di apertura e di unità nazionale, nel quale i partiti politici e la società civile potessero riconoscersi. Purtroppo, ciò non è avvenuto e, quindi, oggi si ha l'impressione di girare in tondo e che non ci siano progressi.
In una mia precedente visita al Parlamento italiano - colgo l'occasione per ringraziare ancora una volta il Presidente Fini, che mi ha usato l'onore di ricevermi all'inizio di marzo - avevo attirato l'attenzione della Comunità internazionale sul fatto che, se non si assumono azioni rapide, si rischia sicuramente la divisione del Mali. Una divisione creerebbe un'instabilità molto pericolosa per tutta l'Africa occidentale e avrebbe conseguenze anche sull'Europa e sul mondo intero, in un momento in cui la crisi economica sta già mettendo in seria difficoltà tutti i Governi nel mondo.
Se una nuova crisi umanitaria e politica catastrofica venisse ad aggiungersi alla crisi economica già in corso, la situazione, secondo me, sarebbe sicuramente molto pericolosa. Questo è il vero rischio che stiamo correndo, perché i terroristi che occupano oggi il Nord del Mali non intendono mollare. Un intervento militare, che è richiesto da gran parte degli abitanti del Mali per liberare il Nord, è stato definito da molti esperti come pericoloso.
Esiste già l'esempio dell'Afghanistan. In realtà, le procedure sono le stesse, sono le stesse vicende che sono avvenute in Afghanistan e che oggi riviviamo in Mali. Pensiamo da quanti anni la NATO è in Afghanistan senza riuscire a risolvere il problema. Alcuni Paesi dell'Europa hanno già annunciato il ritiro dei soldati entro il 2013 da questa zona, che è ancora in pieno disordine. Pensiamo, analogamente, all'Iraq, in cui continuano eventi inaccettabili. Ci sono ancora attentati, che ancora ieri hanno causato la morte di tantissime persone. Gli esperti ci indicano che un intervento militare in Mali trasformerebbe il Paese in un nuovo Afghanistan, in un Afghanistan africano.
Il Mali occupa una posizione centrale in Africa occidentale. Abbiamo vicino l'Algeria, la quale, però, non vuole battersi al di là delle proprie frontiere per cercare di limitare il fenomeno terroristico. Anche l'Algeria ha alcuni ostaggi sul proprio territorio, praticamente tutti i Paesi influenti dell'Europa hanno ostaggi presenti in questa zona del mondo. Pochi giorni fa finalmente la volontaria italiana è stata rilasciata, dopo essere rimasta ostaggio nella zona del Sahara per nove mesi.
Ci troviamo oggi di fronte a un dilemma: dobbiamo continuare a negoziare con i terroristi? C'è un dettaglio importante


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che ho dimenticato di comunicarvi, ossia che il movimento indipendentista che ha avviato questa «idiozia» - mi scuso per aver utilizzato questo termine - è stato scacciato dal Nord da coloro stessi che l'avevano aiutato, cioè Mujao, Ansar Dine e AQMI, Al Qaeda del Maghreb. La stessa Al Qaeda che aveva aiutato i Tuareg contro l'esercito del Mali oggi si oppone a questo movimento e l'ha allontanato. I principali responsabili di questo movimento sono oggi nel Burkina Faso, il Paese che è stato incaricato dall'Ecowas della mediazione.
Oggi si sta cercando di fare in modo che il Movimento di liberazione - MNLA - rinunci alla richiesta di indipendenza. Del resto, come accennavo, ormai tale movimento non ha più il controllo sulla zona Nord e, quindi, non può certo chiedere la creazione di una Repubblica indipendente dalla quale è già stato espulso.
Questa è la situazione paradossale di oggi. Oggi nel Nord hanno preso il potere, invece, i movimenti terroristici di cui vi ho parlato.
Ho colto l'occasione per potervi spiegare sinteticamente qual è la situazione nel mio Paese e spero di avere da voi alcuni suggerimenti. Chiedo anche a voi parlamentari, che avete contatti importanti anche a livello europeo, tenuto conto anche del ruolo storico dell'Italia, di denunciare il fatto che la situazione dei diritti umani in Mali è oggi fortemente minacciata.
Nel momento stesso in cui vi parlo queste tre regioni del Nord sono sotto occupazione. Le donne non possono uscire a testa scoperta, ma devono essere coperte da un velo, altrimenti vengono frustate pubblicamente. Si viene fermati dai terroristi con le armi in mano e si è sottoposti a questa punizione delle frustate. È vietato fumare, o si incorre nella stessa punizione. Non si può più giocare a pallone, non si può più guardare la televisione. Immaginate nel ventunesimo secolo, nel momento in cui possiamo beneficiare dei progressi scientifici e tecnici, se la gente non può giocare a palla, non può fumare, non può guardare la televisione.
Questo, però, non è l'Islam, non è la religione. Io sono musulmano, sono credente e praticante, adesso sto osservando il Ramadan, ma vi posso assicurare che l'Islam non ha mai affermato nulla di simile, perché è una religione di tolleranza, di pace e di solidarietà. Nel periodo del Ramadan c'è il dovere di aiutare coloro che hanno meno di noi. C'è, quindi, una forte componente di solidarietà. Questi combattimenti non avvengono in nome dell'Islam, perché l'Islam condanna la violenza.
A Timbouctou addirittura sono state distrutte moschee del quattordicesimo secolo che facevano parte del patrimonio dell'umanità. Sono siti storico-religiosi che sono stati distrutti da questi banditi. Questo è puro e semplice terrorismo.
In particolare, sono le donne a soffrirne. Sono state violentate. Io mi sono recato al Nord e ho parlato con alcune donne che mi hanno riferito di essere state violentate davanti agli occhi dei loro mariti, i quali non hanno potuto fare nulla per difenderle. Vi immaginate le conseguenze di una situazione così tragica?
Ci sono bambini che vengono arruolati come bambini soldato e per questo motivo il nostro partito aveva dichiarato che la Corte penale internazionale dovrebbe interessarsi alla situazione del Mali, perché vengono compiuti crimini contro l'umanità ormai dal mese di gennaio.
L'amministrazione maliana non è più presente in queste zone del Nord, le popolazioni sono abbandonate e alcune persone sono fuggite in Niger, per esempio, dove ora c'è un'epidemia di colera che sta uccidendo molte persone nei campi profughi.
Le strutture sanitarie sono completamente assenti nel Nord e, quindi, la situazione è veramente incredibile e tragica. Ci stiamo dirigendo lentamente verso la scomparsa della vita stessa e della vita civile in questa zona e lo Stato è completamente impotente.
Le potenze europee, a iniziare dalla Francia, che sono intervenute, ma non militarmente, auspicano un intervento sotto l'egida dell'ONU, come richiesto anche


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dall'Ecowas. Il Consiglio di sicurezza, però, tarda ad affidare questo mandato di intervento e, quindi, non ci sono progressi e, nel frattempo, decine e decine di persone vengono uccise. Ciò ci porterà a una situazione insostenibile, che sarà peggiore di quella dell'Afghanistan.
Vi assicuro che la situazione è grave, posso affermarlo con cognizione di causa, in quanto abitante del Mali e responsabile pubblico del mio Paese - sono ancora nel Consiglio comunale di Bamako e sono anche un avvocato, un difensore dei diritti umani, favorevole alla non violenza e al rispetto della democrazia e fervente difensore dello stato di diritto.
Comprendete la mia indignazione. Anche se si fosse trattato di un altro Paese avrei reagito nella stessa maniera, perché ormai viviamo in un villaggio globale e, quindi, i problemi del Mali avranno poi conseguenze in Italia, mentre i problemi dell'Italia possono essere discussi anche in Senegal. Questa è la mia visione.
Spero di poter avere da voi, onorevoli deputati, possibili soluzioni e suggerimenti che consentano a tutta la Comunità internazionale attualmente in movimento di fronte a questa situazione di aiutarci.
Sono stato sorpreso di osservare che in Italia la stampa non si interessa quasi per nulla alla situazione in Mali, rispetto, invece, alla stampa francese, per esempio. Attiro la vostra attenzione su questo punto. Voi avete il potere di fornire le informazioni. In quanto rappresentanti del popolo italiano, vi esorto a fare in modo che gli italiani siano informati su quanto sta avvenendo in Mali. Non si può, infatti, parlare di una situazione, se poi non c'è interesse nei confronti della stessa e non si può parlarne se non si hanno dati di fatto e informazioni.
A febbraio ne avevo già parlato, ma purtroppo siamo tuttora in una situazione estremamente difficile. Vi assicuro che, se nei prossimi mesi non saranno assunte iniziative, a breve non ci sarà più uno stato del Mali.
Mi fermo e sono pronto a rispondere a qualsiasi domanda. Vi ringrazio.

PRESIDENTE. Ringrazio il segretario generale del Partito radicale nonviolento, transnazionale e transpartito.
Vorrei sapere dal dottor Stango se intende aggiungere elementi.

ANTONIO STANGO, Rappresentante del Partito radicale nonviolento, transnazionale e transpartito. La ringrazio, presidente. Credo che Demba Traoré abbia spiegato bene, avendo vissuto dall'interno la realtà del Mali, la situazione.
L'unica questione che voglio riprendere è il fatto, da lui anticipato, che crediamo sia importante l'intervento della Corte penale internazionale su questo tema. È successo in alcuni casi per Stati anche non membri della Corte, come con la Libia, e, sia come Partito radicale nonviolento, transnazionale e transpartito, sia attraverso la testimonianza che spero Demba Traoré sia in grado di portare a L'Aja prossimamente, cercheremo di chiedere agli organi della Corte di occuparsi del caso del Mali.

PRESIDENTE. Grazie, dottor Stango.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MARIO BARBI. Volevo cogliere l'occasione per porre alcune domande puntuali.
Mi è capitato di recarmi a Bamako due anni fa per visitare progetti di cooperazione allo sviluppo della Banca mondiale. Sono rimasto per alcuni giorni, facendo visita anche ad alcune località fuori da Bamako, in un raggio limitato, a circa trecento chilometri dalla capitale.
Avevamo allora, negli incontri con alcuni parlamentari, con il presidente del Parlamento e con alcuni ministri, avuta l'eco che ci fosse una situazione non ben controllata nel Nord del Paese, ma nessuna percezione che la situazione fosse così critica. Poi ci sono stati gli sviluppi in Libia che sono stati evocati, come anche in Nigeria.
Vorrei chiederle di spiegarci meglio qual è la causa di questo conflitto e se è un conflitto tra il Sud e il Nord, per


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cercare di capire anche quale soluzione interna possa trovare tale conflitto. Domando ciò senza nulla togliere alla dimensione di violazione dei diritti, di crudeltà e di atti di violenza che vengono compiuti, né alla minaccia che gli sviluppi in corso rappresentano per l'intera regione.
Quanto all'evocazione dell'Afghanistan, è un'affermazione forte quella per cui il Mali per l'Africa può diventare un focolaio della stessa gravità dell'Afghanistan. Ciò evoca anche una responsabilità internazionale, un intervento, ma di quale tipo? Vorrei chiederle di riferirci ulteriori notizie su questo punto.
Per quanto riguarda l'Unione africana, qualcuno sostiene che abbia svolto un ruolo importante e utile, più importante di quello della Comunità degli Stati dell'Africa occidentale francofona.
Come seconda questione, lei ha fatto riferimento all'interruzione degli aiuti e dei progetti di cooperazione. Non so se ho capito bene, però ha fatto riferimento a questa dimensione.
Secondo i dati in mio possesso il Mali è fortemente dipendente dal flusso degli aiuti, per oltre il 30, se non il 35 per cento del proprio PIL nazionale. Se fosse vero, ciò avrebbe effetti devastanti e disastrosi sul funzionamento dell'economia almeno del Sud del Paese, di Bamako e della regione circostante. È proprio così? Questa è la seconda domanda che le volevo porre.

JEAN LEONARD TOUADI. Ringrazio l'avvocato Demba Traoré, segretario del Partito radicale nonviolento, transazionale e transpartito, per la sua audizione, che ha acceso una luce importante, secondo me, su una crisi che, come lui sosteneva prima, la stampa italiana ha gettato nell'oblio, ma che presenta risvolti geopolitici, oltre che umanitari, dal punto di vista dei diritti umani, importanti.
Vorrei anch'io esprimere una sorpresa, perché a chiunque abbia studiato in questi anni i cosiddetti processi di democratizzazione dell'Africa subsahariana dopo la caduta del muro di Berlino e il vertice di La Baule la transizione maliana è stata presentata sempre come una success story. La maturità della classe politica maliana e il carattere pacifico della sua popolazione, il fatto di aver avuto uomini che dentro la transizione hanno giocato fino in fondo la chiave della democrazia ne hanno fatto una transizione cui abbiamo tutti guardato con grande interesse e il Mali nel suo insieme è considerato come un'isola di stabilità politica.
Vorrei porre anch'io la domanda che poneva il collega Barbi, chiedendo però se il fatto che l'MNLA si sia finalmente dissociato da chi l'ha aiutato a occupare militarmente il Nord del Paese potrebbe offrire alcune chance per il vostro Paese di ritornare a quella saggezza maliana e, quindi, di riprendere le fila di un dialogo intramaliano che, al di là dell'intervento militare che ci sarà, ma non sappiamo in che forma, sarebbe auspicabile. Io penso che non potrete sfuggire a un confronto politico per rimettere sui binari giusti le Istituzioni del vostro Paese e la pratica democratica.
Ho poi altre domande più puntuali. Lei evocava la Francia, che si muove molto. Non so se lei è d'accordo con l'idea che forse è il Consiglio di sicurezza nel suo insieme che dovrebbe impadronirsi del dossier, per evitare che sia l'ex potenza coloniale, ossia la Francia, con pratiche che alcuni ritengono di neocolonialismo e che continuano le procedure della France-Afrique, a dominare la questione e inserire, invece, la crisi all'interno di un quadro internazionale in cui altri player, che non siano solo l'ex potenza coloniale, possano giocare un ruolo.
Il conflitto sta diventando transnazionale, nel senso che i gruppi impegnati nel Mali provengono da diverse estrazioni. Non sono solo i maliani a combattere, ma c'è l'interesse anche di gruppi algerini, nigeriani, di Boko Haram, e persino di gruppi che vengono dalla Somalia. C'è una drammatica internazionalizzazione del conflitto nel Nord del Mali, con tutti gli ingredienti usuali, come il traffico della droga.
Sappiamo che tutta la zona dell'Africa occidentale è diventata la piattaforma più


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importante di transito della droga dall'America del Sud. Traffico di droga e di armi, nonché ostaggi, sono uno dei business di questi signori e vi sono integralismo e fondamentalismo nell'applicazione dell'Islam, integralismo che ha un aspetto di distruzione culturale molto importante, perché sta uccidendo una pratica multisecolare di un Islam africano che non aveva le caratteristiche di questo Islam wahabita integralista che sta arrivando.
Volevo sapere, secondo lei, chi è interessato a destabilizzare il Mali e a utilizzarlo come una piattaforma di penetrazione.
Passo a un'altra domanda ancora. Che peso ha avuto la crisi libica negli eventi del Mali? Alcuni dei combattenti hanno combattuto anche in Libia, l'equipaggiamento militare in dotazione ad alcuni gruppi è un equipaggiamento militare che è stato già utilizzato in Libia e tutti noi non abbiamo considerato abbastanza gli sconvolgimenti che la guerra in Libia avrebbe avuto su tutta l'area a ridosso del deserto del Sahara.
Oggi, finita la fase più acuta del conflitto libico, la situazione è quella descritta in un proverbio, per cui, quando due elefanti combattono, a farne le spese è l'erba sotto di loro. Questi Paesi stanno subendo le conseguenze non sufficientemente calcolate della destabilizzazione della Libia.
Infine, dal momento che sono membro del Comitato permanente sui diritti umani, riprendo il tema dei crimini contro l'umanità che lei evocava e anche quello dei crimini contro il patrimonio culturale. Con riferimento al Tribunale penale internazionale, volevo chiedere se, al di là delle osservazioni empiriche o di alcune segnalazioni, sia stato redatto a oggi un rapporto più corposo, anche solo provvisorio, su fatti, circostanze ed elementi che hanno compiuto questi crimini, in grado di costituire un embrione di ossatura di un dossier da presentare al Tribunale penale internazionale.

RENATO FARINA. Saluto e ringrazio anch'io l'onorevole Traoré. Mi ha molto colpito l'evocazione dell'Afghanistan, che non mi pare del tutto fantasiosa. Mi colpisce il fatto che dal racconto che lei ci ha reso tutto questo sommovimento sia stato causato dalla spinta e dal finanziamento francese ai gruppi Tuareg perché liberassero gli ostaggi. Mi ricorda molto i goffi interventi dell'intelligence americana in Afghanistan nei primi tempi dell'invasione sovietica di quella terra. Non si controllano più i fattori in gioco, convinti che basti che il nemico del proprio nemico sia proprio amico. Questo fatto è impressionante. C'è una sorta di eterogenesi dei fini.
Si pone anche la questione degli ostaggi, con riferimento alla liberazione della nostra Rossella Urru, che è avvenuto il 18 luglio, se non sbaglio. Era in mano al Movimento per l'unità e il jihad dell'Africa occidentale, molto legato ad Ansar Dine.
Lei ci ha riferito praticamente che noi, liberando gli ostaggi con riscatto, stiamo finanziando l'armamento di Al Qaeda e, quindi, altre atrocità? Lei ha sostenuto ciò molto esplicitamente sul finanziamento delle armi pesanti.
Inoltre, per arrivare alla liberazione di ostaggi c'è il lavoro dell'intelligence dei rispettivi Paesi. Credendo che l'intelligence italiana non esista sul luogo, perché non esiste più, che tipo di presenze straniere ci sono sul territorio e che tipo di rapporto è possibile con chi voglia sinceramente il ritorno a quel percorso di democrazia e di pacifica convivenza che era stato segnato e che lei rappresenta?
Io ho avuto occasione di parlare con il governatore del Stato di Plateau, in Nigeria, quando è venuto con l'arcivescovo Kaigama a Roma. Lui vedeva come inutile, anche dinanzi a Boko Haram nel Nord della Nigeria, l'intervento di forze armate di qualsiasi genere, chiedendo piuttosto un aiuto reale di intelligence per bloccare i finanziamenti e il traffico di armi sui confini. Questa pare essere la causa più grave per il procedere del terrorismo e di questa presa del potere da parte di forze terroristiche.
Tali personaggi aggiungevano anche, da nigeriani, che esisteva un fenomeno: attestavano, loro cristiani, la presenza di un


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Islam assolutamente sereno in Africa, quello che lei prima ci ha riferito, finché molti giovani sono stati, attraverso borse di studio, fatti studiare in Arabia o anche in Libia, al tempo di Gheddafi e poi, reintrodotti nel tessuto civile dei Paesi africani, sono diventati catalizzatori di fondamentalismo.
Io vorrei un suo giudizio sulle questioni che ho illustrato. Che cosa ritiene che possiamo fare, come forze occidentali, al di là del far presente all'opinione pubblica, che è sorda in materia, che cosa sta accadendo in quei Paesi? Verso che cosa dobbiamo spingere?
Questa è la domanda che pongo a una persona come lei, che è anche dottrinariamente non violento, il che non significa, però, essere imbelle o inerme.

MATTEO MECACCI. Volevo chiedere alcune informazioni relative a quanto ci ha già comunicato finora Demba Traoré. In particolare, vorrei sapere se, in merito alla situazione umanitaria ci può fornire informazioni, per esempio, sul numero di rifugiati che dal Nord si sono spostati dopo l'inizio del conflitto e che in queste ore, secondo notizie che sono state riportate, purtroppo, solo dalla stampa internazionale e non da quella italiana, vedono continuare un esodo causato proprio da violenze che stanno colpendo le donne e le persone che non si sottomettono a un'interpretazione estrema dell'Islam.
L'altro elemento è, invece, sullo stato della situazione politica a Bamako. Quale può essere un intervento politico internazionale per avere nella capitale un Governo che sia in grado di essere anche un interlocutore credibile per un eventuale dispiegamento di forze da parte dell'Ecowas o delle Nazioni Unite?
Immagino che una questione da affrontare sia esattamente questa, cioè il fatto che, per potere intervenire nel Nord, occorre avere anche a Bamako un'interlocuzione credibile. Mi chiedo se non ci sia ancora, in realtà, qualcuno a Bamako che voglia protrarre questa situazione per alimentare la destabilizzazione e arrivare non so dove. Ci può dare informazioni su questo fronte?

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Mecacci.
Do la parola al nostro ospite, Demba Traoré, per la replica.

DEMBA TRAORÉ, Segretario generale del Partito Radicale nonviolento, transnazionale e transpartito. Grazie, presidente. Sono lieto dell'interesse che i presenti hanno dimostrato per la situazione in Mali. Lo avverto dalle ottime domande che mi sono state poste.
Per quanto riguarda l'origine di questo conflitto, prima ho accennato brevemente che il movimento questa volta era iniziato con un'azione da parte di un gruppo di ribelli appoggiato dalla Francia al fine di liberare alcuni ostaggi.
Il problema Tuareg esiste, però, fin dall'indipendenza. Ogni volta che ci sono stati movimenti Tuareg, secondo gli istigatori di questi movimenti, l'obiettivo era di avere un maggiore sviluppo del Nord. Essi desideravano che fosse attribuito maggior valore al Nord, che, secondo loro, era trascurato rispetto ad altre parti del Paese.
Di fatto non c'è mai stata una crisi di Nord contro Sud, ma alcuni gruppi di Tuareg ribelli sono sempre stati all'origine di queste sommosse. Sono sempre, però, stati raggiunti accordi tra il potere democraticamente eletto e i Tuareg. Anche grazie all'aiuto dei partner tecnici e finanziari lo Stato ha sempre prodigato molta attenzione al tema e sono stati lanciati molti progetti di sviluppo, anche finanziati dall'Italia attraverso l'Unione europea, proprio nelle regioni del Nord, in particolare per lo sviluppo dell'agricoltura, dell'allevamento e della pesca.
Si tratta, infatti, di zone a vocazione silvo-agricolo-pastorale ma, data la specificità della regione del Nord, affinché i progetti di sviluppo siano più visibili, c'è bisogno di grossi finanziamenti. È una zona molto desertica, con una forte componente di sabbia e, quindi, per poter


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assicurare il successo di questi progetti di sviluppo in modo tale che diventino effettivamente visibili in queste località rese più povere dalla natura, sono necessari sforzi finanziari importanti.
Come è stato ricordato, il Mali dipende molto dagli aiuti internazionali e per questo motivo la possibilità offerta ai dirigenti del Paese di consentire sforzi finanziari da destinare proprio alle regioni del Nord oggi è minima, proprio perché mancano i mezzi finanziari.
È importante ricordare che ogni volta che ci sono stati movimenti di ribellione si sono stipulati accordi con il Governo centrale. Gli ultimi risalgono al 2006, quando io ero parlamentare ed ero presidente della Commissione sulle leggi costituzionali. C'è stato un accordo che ha consentito l'integrazione di numerosi ribelli nelle forze armate di sicurezza del Mali.
Anche questo era uno dei punti in discussione: i Tuareg ritenevano di non essere sufficientemente presenti nell'amministrazione maliana e, quindi, alcuni di essi sono stati arruolati nell'esercito, alcuni nella polizia, alcuni nelle dogane.
Questa è la genesi ciclica di questi movimenti di ribellione, ma il precursore, in questo caso, è stato il fatto che questo gruppo sotto l'MNLA ha cercato di sostituirsi allo Stato per trovare una soluzione per gli ostaggi di cui ho parlato.
Juppè, all'epoca Ministro degli affari esteri francese, aveva affermato che il Governo di Bamako non combatteva i terroristi, a differenza di quelli della Mauritania e del Niger e, quindi, in maniera velata, aveva fatto capire che erano costretti a ricorrere ad altri mezzi.
Il Mali ha sempre affermato la propria impotenza di fronte a questo flagello e, quindi, è stato costituito un gruppo tra i diversi paesi coinvolti, con un'unione tra Mauritania, Algeria e Niger. È stato creato, cioè, un nocciolo duro per mettere uno Stato maggiore in comune e per riflettere su come risolvere il problema. Ogni volta che c'era un movimento in Mali il Paese avrebbe dovuto contare sull'aiuto di questi altri Paesi per poterlo combattere, ma di fatto ciò non è mai avvenuto, perché l'Algeria si è sempre rifiutata di combattere al di là delle proprie frontiere. Si trattava, dunque, di un movimento, di un gruppo di aiuto che esisteva soltanto teoricamente e che non ha mai funzionato, mentre avrebbe potuto contribuire alla soluzione del problema. Se i gruppi terroristici fossero combattuti da tutti i Paesi effettivamente coinvolti, il fenomeno avrebbe potuto essere gestito in maniera radicale. Oggi bisognerebbe cercare nuove iniziative per poter combattere contro questo flagello.
Io ho parlato del Mali come di un possibile nuovo Afghanistan, in particolare per quanto avviene a Timbouctou e a Gao. Vi ricorderete che in Afghanistan sono stati i simboli religiosi a essere distrutti per primi dai movimenti armati. È esattamente quanto è successo oggi a Timbouctou. È lo stesso scenario, è proprio l'elemento precursore di quello che è avvenuto in Afghanistan. In Mali sono già stati distrutti mausolei, moschee, il patrimonio culturale. I ribelli iniziano a far applicare la sharia esattamente come è successo in Afghanistan.
L'unica differenza è che per il momento nel Paese non ci sono kamikaze o attentati dinamitardi. Questa è, al momento, l'unica differenza con l'Afghanistan. Gli islamisti sostengono, però, che sono pronti a tutto per far applicare la sharia e più il tempo passa, più riescono a radicarsi.
Oltretutto oggi sono sostenuti anche dal Qatar, perché assistiamo ad un intervento nella zona da parte del Qatar, paese che riveste un ruolo importantissimo nella Comunità internazionale. Abbiamo visto arrivare aerei del Qatar e la Mezzaluna Rossa del Qatar. Come spiegare un intervento di questo tipo? Essi sostengono che vogliono farsi carico del carburante per garantire l'acqua potabile e l'elettricità a Gao, che vogliono dare cibo alla popolazione, ma perché compiono questo intervento sotto la supervisione del movimento terrorista? Come si può spiegare questo intervento?
Per questo motivo vi riferisco che, se non prestiamo attenzione, il Mali rischia


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di diventare un nuovo Afghanistan. Ne esistono tutti gli elementi. Naturalmente non è ciò che io auspico, ma per onestà intellettuale devo avvisarvi. L'abbiamo già vissuto in Afghanistan.
Quanto al ruolo dell'Unione africana, subito dopo il colpo di Stato i Capi di Stato dell'Unione africana si sono riuniti per condannare il colpo di Stato stesso. Ricordo che prima del colpo di Stato l'Unione africana aveva creato una Commissione che collaborava con il potere centrale di Bamako per cercare una soluzione ai movimenti ribelli del Nord. Poi c'è stato il colpo di Stato, proprio mentre alcuni esperti dell'Unione africana erano a Bamako e sono rimasti bloccati sul posto, perché non c'erano più aerei e le frontiere erano chiuse.
L'Unione africana aveva iniziato, anche se in ritardo, a intervenire per poter trovare una soluzione. Il presidente deposto aveva sempre dichiarato che il Mali non era in grado da solo di far fronte al problema. L'ha sempre sostenuto e mi ricordo che in uno dei suoi discorsi, quando ha inaugurato i lavori di una strada all'interno del Paese, aveva segnalato che i rapporti di forza erano cambiati, perché erano rientrati i militari che avevano combattuto in Libia.
Ciò avveniva tra i mesi di novembre 2011 e di gennaio 2012 e, quindi, l'allerta era stata già lanciata, ma si sperava nell'intervento dell'Algeria con questo movimento che era stato creato. Come vi ho riferito, però, l'Algeria si è poi rifiutata di intervenire.
Vi ricordo che il Mali non confina con la Libia. Evidentemente, quindi, le armi che sono entrate in Mali non sono passate direttamente da una frontiera con la Libia, ma attraverso un altro Paese. Lo spazio algerino è stato quindi utilizzato da questi terroristi per entrare nel Mali con le armi. Il Mali ha sempre ammesso di non essere in grado di controllare tutto questo deserto, queste enormi frontiere con l'Algeria.
Dopo il colpo di Stato l'Unione africana ha lavorato con l'Ecowas. I presidenti in esercizio delle due organizzazioni si sono incontrati e hanno inviato una delegazione di cinque Capi di Stato a Bamako dopo il colpo di Stato. Coloro che erano in favore del golpe, però, hanno invaso la pista dell'aeroporto e, quindi, l'aereo di questi Capi di Stato non ha potuto atterrare ed essi sono tornati indietro.
Ciò ha naturalmente rafforzato i disordini a Bamako. La situazione era assolutamente ingestibile. È stato bloccato l'aeroporto e, quindi, i Capi di Stato non sono arrivati. Era chiaro che c'era una divisione tra la classe politica e la società civile. Molti speravano di poter prendere il potere proprio attraverso questo colpo di Stato. In realtà, ognuno pensava al proprio interesse. Se si esprimevano argomentazioni anche molto obiettive, si veniva prontamente classificati come in favore o contro i golpisti, compresi noi difensori dei diritti umani.
L'Unione africana e l'Ecowas hanno continuato a fare quanto possibile. L'Ecowas ha chiesto al Consiglio di sicurezza di intervenire, ma il Consiglio di sicurezza non ha ancora dato mandato per l'intervento delle forze internazionali perché il dossier non è chiaro. C'erano ancora punti d'ombra che andavano chiariti per capire in quale quadro intervenire. Si è ritenuto che è l'Ecowas non avesse fornito sufficienti informazioni al Consiglio di sicurezza perché si potesse dare un mandato.
A proposito dei progetti che sono stati sospesi, tutti i progetti di sviluppo sono sospesi e gli aiuti internazionali sono congelati, perché la Comunità internazionale ritiene che non ci siano interlocutori credibili a Bamako. Personalmente, non posso che dare loro ragione. Non si può erogare denaro a chi vuole utilizzarlo contro la popolazione civile e non per aiutare la società civile. I disordini non aiutano i finanziamenti. Adesso bisogna ristabilire l'ordine ed è per questo motivo che tutti coloro che si sono interessati al Mali hanno compreso che è necessario avere un interlocutore affidabile a Bamako.
La soluzione che è stata trovata è quella di creare prontamente un Governo


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di unità nazionale. Dieci giorni fa l'Ecowas e l'Unione africana hanno chiesto di creare un Governo di unità nazionale entro il 31 luglio, nonché una forza di protezione degli organi di transizione, essendo questo un periodo di transizione, forze che dovranno proteggere anche il presidente della Repubblica, che è ancora in Francia.
Ho letto che il presidente intende rientrare nel Paese entro la fine di questa settimana per continuare con i negoziati e creare questo Governo di unità nazionale. Vi chiedo, pertanto, di sostenere la creazione di un Governo di questo tipo, perché, se tutti gli abitanti del Mali possono riconoscersi in un Governo, ciò faciliterà il lavoro e il ritorno degli investitori e dei partner tecnici e finanziari. La prima operazione da compiere è, dunque, far sì che nel Sud ci sia un Governo di unità nazionale.
Per quanto riguarda la dissociazione tra l'MNLA e l'AQMI, può essere positiva? Sì, certo, ma non avrà conseguenze reali sul campo, perché l'MNLA non occupa più la zona Nord, essendo stato allontanato dall'AQMI.
Vi ringrazio per le ottime domande che mi sono state poste. Purtroppo, il tempo non mi consente di entrare nei dettagli, ma sono sempre disponibile a proseguire la discussione con voi, in questa o in un'altra sede, e a rispondere a tutte le vostre domande.
In ogni caso per me è necessario farvi capire che oggi il Mali da solo non ce la può fare a combattere questo flagello. Se capiremo ciò, lavoreremo tutti insieme affinché il Consiglio di sicurezza possa svolgere il suo ruolo, così come la Corte penale internazionale, per procedere contro i criminali. Il Governo del Mali ha comunque chiesto ufficialmente alla Corte penale internazionale di interessarsi alla questione.
Oggi abbiamo bisogno di voi. Abbiamo bisogno dell'Italia, di tutti i Paesi democratici e di tutti i difensori dei diritti umani per risolvere il nostro problema.
Grazie, presidente. Grazie a tutti.

RENATO FARINA. Intervengo, presidente, sull'ordine dei lavori, per dire che vorrei fosse posta sotto osservazione la situazione in Romania, dove è in corso una crisi istituzionale con violazioni della Costituzione. Per molto meno, a mio giudizio, ci siamo occupati dell'Ungheria.

FIAMMA NIRENSTEIN. Ieri hanno profanato tutti i cimiteri ebraici in Ungheria!

PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,50.

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