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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
1.
Mercoledì 18 aprile 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Nirenstein Fiamma, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI OBIETTIVI DELLA POLITICA MEDITERRANEA DELL'ITALIA NEI NUOVI EQUILIBRI REGIONALI

Audizione dell'Inviato speciale del Ministro degli affari esteri per i Paesi del Mediterraneo e le primavere arabe, ministro plenipotenziario Maurizio Massari:

Nirenstein Fiamma, Presidente ... 3 11 17 20
Barbi Mario (PD) ... 17
Frattini Franco (PdL) ... 12
Malgieri Gennaro (PdL) ... 15
Massari Maurizio, Inviato speciale del Ministro degli affari esteri per i Paesi del Mediterraneo e le primavere arabe ... 3 18
Mecacci Matteo (PD) ... 13
Pianetta Enrico (PdL) ... 14
Pistelli Lapo (PD) ... 11
Tempestini Francesco (PD) ... 16
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 18 aprile 2012


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FIAMMA NIRENSTEIN

La seduta comincia alle 14,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione dell'Inviato speciale del Ministro degli affari esteri per i Paesi del Mediterraneo e le primavere arabe, ministro plenipotenziario Maurizio Massari.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli obiettivi della politica mediterranea dell'Italia nei nuovi equilibri regionali, l'audizione dell'inviato speciale del Ministro degli affari esteri per i Paesi del Mediterraneo le primavere arabe, il ministro plenipotenziario Maurizio Massari.
La Commissione si è data la priorità di approfondire il ruolo dell'Italia nel quadro politico della regione mediterranea nel suo complesso ed ha già svolto quest'anno alcune importanti missioni, come tutti voi sapete, in particolare in Israele, nei Territori palestinesi, in Egitto e in Croazia. Altre missioni sono già state programmate per la Tunisia e la Turchia.
È del tutto evidente - non c'è bisogno che lo sottolinei, lo faccio solo come segno di benvenuto alla relazione del ministro - che il Mediterraneo costituisce un'area di nostra specifica attenzione e di priorità strategica, sotto ogni punto di vista, a partire dalla questione della pace e della sicurezza.
Il nostro Paese ha assunto un atteggiamento positivo nei confronti delle primavere arabe, riconoscendo in esse una forte reazione di quei popoli all'imposizione, per decenni, di un tallone antidemocratico, quindi in ogni caso la loro esplosione ha costituito per noi un punto di partenza positivo per ulteriori passi, per un'ulteriore comprensione e per il superamento dei regimi autoritari - così almeno speriamo - nella direzione di standard di democrazia reale.
Naturalmente non possiamo evitare di notare che in quelle aree si sono presentati notevolissimi problemi e pesanti preoccupazioni circa la presenza di forze integraliste islamiche che in taluni casi, come in Egitto, hanno conseguito la maggioranza parlamentare e quindi propongono stili di governo problematici, per il nostro modo di considerare l'Europa e il destino del mondo. È tuttavia con apertura di mente e di cuore che affrontiamo questi prossimi anni, che ci diranno la verità su questi regimi.
Siamo particolarmente interessati, di conseguenza, ad ascoltare la relazione del ministro Massari - cui diamo il nostro benvenuto - avendo già avuto modo, nello svolgimento del suo mandato, di recarsi ripetutamente nelle capitali dei Paesi della sponda meridionale del Mediterraneo.
Do quindi la parola al ministro plenipotenziario Maurizio Massari.

MAURIZIO MASSARI, Inviato speciale del Ministro degli affari esteri per i Paesi del Mediterraneo e le primavere arabe. Grazie, onorevole presidente.


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Onorevoli deputati, vorrei innanzitutto ringraziarvi per l'opportunità offertami di relazionare in questa sede sulla mia attività. Ho assunto questo incarico di inviato speciale per l'area del Nordafrica e del Medio Oriente a partire dal 25 gennaio scorso, su decisione del Ministro Terzi, il quale sin dall'inizio del suo mandato ha posto quest'area geografica al centro della sua azione di politica estera, nella consapevolezza che in essa, più che in qualsiasi altra regione, più direttamente si concentrano e sono in gioco gli interessi politici di sicurezza ed economici del nostro Paese. Ciò soprattutto in una fase in cui le primavere arabe e i conflitti irrisolti hanno creato un quadro di particolare fluidità. Di qui, di fronte all'eccezionalità della fase che stiamo vivendo nel grande Medio Oriente, la necessità, per la nostra diplomazia, di rafforzare i propri strumenti di azione, inclusa la nomina di un inviato speciale per la regione. Una decisione, questa - vorrei anticiparvi - che come ho potuto personalmente constatare nei numerosi contatti che ho finora avuto, è stata fortemente apprezzata dai Paesi dell'area e percepita quale importante ed atteso gesto di attenzione da parte dell'Italia.
Nel ringraziare il Ministro Terzi per la fiducia accordatami, cercherò di riassumere l'attività che ho finora svolto, le principali criticità del quadro regionale e le possibili linee di strategia per l'Italia, a difesa del proprio ruolo e dei propri interessi nell'area.
Parto dal mio mandato. Ho assunto queste funzioni di inviato speciale con una triplice finalità. La prima è quella di assicurare una continuità di presenza dell'Italia nei Paesi dell'area; è forte, in tutti questi Paesi, la domanda di Italia, e il nostro Paese gode di una credibilità e di un potenziale di azione che ritengo sia ancora non pienamente sfruttato. La seconda è di consolidare i rapporti con le nuove formazioni politiche emerse nei Paesi delle primavere arabe e con le società civili. La terza finalità del mio mandato riguarda la necessità di dare impulso ulteriore alla nostra azione bilaterale e multilaterale con ciascuno di questi Paesi e raccogliere elementi per la predisposizione di una strategia nazionale, di cui l'Italia, potenza mediterranea, ha necessità di dotarsi per dare coerenza e sistematicità alla propria azione.
Ho effettuato quindi missioni nella maggior parte dei Paesi del Nordafrica, in Israele, Territori palestinesi, Libano, Giordania e anche in diversi Paesi del Golfo. Mi recherò prossimamente anche nei restanti Paesi, in particolare in Iraq, Kuwait, Yemen e Oman. Oltre a queste missioni nei Paesi dell'area, ho tenuto un costante raccordo, anche effettuando missioni specifiche, con i partner europei e internazionali, tra cui soprattutto gli Stati Uniti, la Russia e la Turchia. In questi Paesi ho avuto numerosi incontri con i vertici della diplomazia ed istituzionali, ma anche con formazioni politiche della società civile e con i rappresentanti dei media, per avere un quadro il più possibile completo.
Il quadro della regione è oggi caratterizzato da quattro principali fattori di criticità: le transizioni irrisolte nei Paesi delle primavere arabe, le difficoltà sul fronte del negoziato israelo-palestinese, la crisi siriana e la questione iraniana. Un quadro di una complessità senza precedenti, se si pensa che eravamo tradizionalmente abituati a confrontarci nella regione con la sola questione palestinese o al massimo con due problematiche allo stesso tempo: la questione palestinese e l'Iran.
Le quattro criticità attuali sono inoltre tra loro evidentemente collegate. Le primavere arabe, ad esempio, hanno ulteriormente acuito la sensibilità dei governi eletti e delle popolazioni della regione nei confronti della questione palestinese. D'altra parte, è evidente che Israele guarda oggi al processo di pace nell'ottica più ampia di un quadro regionale, divenuto sempre più articolato e rispetto al quale cerca legittime rassicurazioni per la propria sicurezza, a partire dalla questione iraniana. A sua volta, la crisi siriana ha un impatto diretto sulla questione iraniana, dati gli stretti rapporti del regime di


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Damasco con Teheran. In questi termini è vista e percepita dai molti attori della regione.
Per quanto riguarda l'Iran, infine, è evidente che il problema va ben al di là della questione nucleare e riguarda il suo stare nella regione e il suo ruolo complessivo in rapporto con i Paesi vicini. Il collegamento tra queste quattro criticità, come dirò dopo, ha ovviamente chiare implicazioni per l'Italia e per la sua strategia d'area.
Dividerò la mia presentazione in tre parti, riguardanti la situazione dei Paesi delle primavere arabe, la problematica relativa al processo di pace e la crisi siriana, con i suoi addentellati iraniani.
Parto dalle primavere arabe. Le transizioni avviate nei Paesi arabi sono un fenomeno indiscutibilmente positivo ma oggettivamente complesso. Come mi diceva un autorevole esponente politico libanese, non esiste un modello arabo di democrazia in vigore a cui ispirarsi, a differenza dei Paesi dell'est Europa, che avevano quello occidentale. Il consolidamento delle nuove democrazie richiederà tempo. Siamo soltanto all'inizio di un processo che, in ciascun Paese, tenendo conto delle sue specificità, sta avendo e continuerà ad avere alti e bassi. Nei Paesi delle rivoluzioni arabe, democrazia elettorale e costruzione delle istituzioni stanno avvenendo contemporaneamente. Mentre si vota, si stanno scrivendo le nuove Costituzioni e si stanno definendo i nuovi assetti istituzionali. Ciò vale, ad esempio ma non solo, per la Tunisia, l'Egitto e la Libia.
Il Mediterraneo e il Medio Oriente, fino al Golfo, sono entrati in una grande fase costituente. Ciò vale anche per Paesi come la Giordania o anche il Bahrain, che hanno scelto un cammino evolutivo più graduale. Tutto ciò avviene in contesti particolarmente difficili, dal punto di vista sociale ed economico, dove la crisi economica europea e globale prima, e l'anno delle rivoluzioni poi, hanno pesato sui tassi di crescita e sull'occupazione. In Tunisia e Marocco la transizione democratica è nell'insieme ben avviata. Non bisogna tuttavia sottovalutare, anche in questi Paesi, le criticità, soprattutto di carattere socio-economico. In Tunisia la success story della transizione politica è stata accompagnata da una contrazione del prodotto interno lordo e da un forte aumento della disoccupazione, fino a 800.000 unità.
Il nuovo Governo deve confrontarsi con le aspettative di miglioramento concreto ed immediato delle condizioni di vita che la rivoluzione dei gelsomini ha suscitato nella gente e con l'impazienza della piazza. C'è anche l'esigenza di uno sviluppo geograficamente più equilibrato, che coinvolga le regioni interne del Paese, non soltanto quelle costiere.
In Marocco abbiamo assistito invece ad una evoluzione, anziché a una rivoluzione, che ha avuto il suo momento centrale nella riforma della Costituzione, promossa dal re Maometto VI, e nelle successive elezioni legislative del 25 novembre scorso, che hanno visto l'affermazione del partito islamico moderato, il Partito per la giustizia e lo sviluppo, che ha formato un esecutivo insieme ai partiti laici, dando finora prova di pragmatismo. Sono stati avviati cantieri di riforma in tutti i settori più delicati del programma di governo, dalla pubblica istruzione alla sanità, alla giustizia, alla lotta alla corruzione.
Anche in Marocco le previsioni di crescita per quest'anno saranno inferiori a quelle attese, oltre che a causa dell'aumento del prezzo del greggio, a causa del calo dei settori agricolo e turistico. Sono importanti, a mio avviso, anche i primi segnali dati da questi due Paesi, Marocco e Tunisia, in politica estera. Uno dei primi atti del nuovo Governo marocchino è stata la ripresa del dialogo con l'Algeria: un segnale importante di distinzione, propedeutico anche alla ripresa del processo di integrazione regionale, che ha avuto un momento importante nella riunione dei Ministri degli esteri dei Paesi dell'Unione arabo-magrebina, svoltasi a Rabat il 17 e il 18 febbraio scorsi.
Anche la Tunisia, come il Marocco, ha in questi mesi positivamente contribuito al


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tentativo di rilancio dell'Unione arabo-magrebina, soprattutto attraverso l'azione del suo Capo dello Stato, Marzuki.
Più complessi i casi di Egitto e Libia. In Egitto il consolidamento della transizione ruota intorno a due sfide principali: il superamento dell'emergenza economica, senza pregiudizio per la stabilità sociale, da un lato, e la definizione di un assetto politico rappresentativo della complessità della società egiziana, dall'altro.
La crisi economica non è ancora superata. Il ritmo dell'espansione del prodotto interno lordo rimane debole. Pesano la crisi di settori chiave quali il turismo e il declino degli investimenti esteri. Le riserve valutarie, a fine febbraio, erano pari a circa 15 miliardi, sufficienti a coprire tre mesi di importazioni. Per evitare il deprezzamento della lira egiziana è quindi necessario che venga finalizzato l'accordo con il Fondo monetario internazionale.
La stabilità sociale è inevitabilmente legata, in Egitto, almeno nel breve periodo, anche alla politica di spesa e al parziale mantenimento del sistema dei sussidi, che nel tempo dovranno tuttavia essere riformati per stabilizzare il quadro macroeconomico, per modernizzare l'economia e renderla competitiva. Il rilancio dell'economia è a sua volta legato al consolidamento del quadro politico di sicurezza interno, che potrà meglio definirsi dopo le elezioni presidenziali di fine maggio, dove assistiamo ad un processo travagliato, e dopo la redazione ed approvazione della Costituzione, che ha avuto anch'essa un avvio complesso.
Queste criticità sono frutto della speciale complessità e articolazione della società egiziana e non vanno drammatizzate, pur nella consapevolezza che, per l'importanza che l'Egitto riveste nel mondo arabo, il successo della sua transizione politica è assolutamente chiave per la stabilità dell'intera regione.
In Libia è la costruzione di un'infrastruttura politica nella fase post-conflittuale, più che l'economia, a rappresentare la principale criticità della transizione. La produzione di gas e petrolio è tornata su livelli pre-conflitto e gli istituti di credito, grazie al «delisting» della Banca centrale, possono contare su una rinnovata liquidità. La vita nelle principali città è ripresa. Nel complesso riteniamo che il Paese sia sulla strada giusta.
I tradizionali meccanismi della rappresentanza politica democratica non sono tuttavia ancora consolidati. Restano, tra i nuovi leader, le tensioni latenti tra continuità e discontinuità rispetto al passato e restano da definire i rapporti tra le varie realtà territoriali all'interno di una nuova Costituzione. Le numerose formazioni politiche che ho potuto incontrare sono ancora in una fase costituente e manca per ora una legislazione sui partiti politici.
Le priorità dei prossimi mesi sono essenzialmente due. Anzitutto lo svolgimento delle elezioni - auspicabilmente entro fine giugno - per il Congresso nazionale, dal quale dovrà poi scaturire una commissione incaricata della redazione del nuovo testo costituzionale. Questa è una priorità importante, perché soltanto un Governo legittimato dal voto popolare potrà efficacemente ripristinare le condizioni di sicurezza e rilanciare la ricostruzione.
A ciò si aggiunge, come seconda priorità, il consolidamento della cornice complessiva di sicurezza del Paese, il problema della restituzione allo Stato del monopolio della forza, incluso il problema della sicurezza delle frontiere, soprattutto quelle meridionali, per contenere i flussi illegali di armi, merci e persone, reso acuto dalla fluidità della situazione di alcuni Paesi africani, dalla Somalia al Sudan, al Mali.
Tra gli altri Paesi nordafricani, l'Algeria è l'unico a non essere stato direttamente toccato dalle primavere arabe. Vi sono però stati alcuni significativi segnali di apertura, anche verso l'Europa. Si svolgeranno elezioni parlamentari il 10 maggio, che saranno monitorate anche dall'Unione europea. Elezioni che si annunciano più trasparenti e alle quali dovrà seguire una riforma della Costituzione che possa conferire maggiori poteri al Parlamento.
Le situazioni delle primavere arabe, come ho brevemente descritto, sono molto


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diverse e vanno trattate caso per caso. Esistono però alcuni elementi e sfide comuni - tre, in particolare - che vanno richiamati e su cui vorrei brevemente soffermarmi.
La prima è la sfida della governance. Tutte queste nuove leadership si trovano a dover fronteggiare, accanto a un'emergenza economica, un problema di governance. Il deficit di governance è stato in fondo il principale fattore causale delle rivoluzioni. Corruzione, inadeguata rappresentanza politica, insufficienti garanzie dello Stato di diritto ed eccessive sperequazioni nella distribuzione del reddito: tutti fattori che hanno caratterizzato i precedenti regimi autoritari e il cui superamento rappresenta oggi il test principale per i nuovi governi.
La seconda sfida riguarda la definizione del rapporto tra Islam e politica. L'Islam è parte centrale delle identità delle nuove democrazie arabe. Non è realistico, per queste ultime, immaginare un'opzione puramente secolare. «Religione, democrazia e globalizzazione sono i tre nostri principi guida»: questa è una citazione di quanto mi diceva un alto esponente del Partito per la giustizia e lo sviluppo marocchino.
Nel mentre, se i processi di definizione di questo rapporto sono ancora in corso, abbiamo tuttavia alcuni segnali positivi. In Tunisia, ad esempio, il partito islamico Enhhada ha sostenuto l'inopportunità di una modifica dell'articolo primo della Costituzione che aprisse la strada all'indicazione della sharia come fonte principale del diritto. In Egitto, alti esponenti dei Fratelli musulmani ci hanno rassicurato che lo Stato islamico, inteso come Stato che riconosce l'Islam quale sua religione e la sharia come sua fonte fondamentale del diritto, è tuttavia uno stato civile, espressione questa preferita a «laico», che in arabo richiama il concetto di «senza Dio». Uno Stato civile in nessun modo trasformabile in Stato teocratico.
Analoghe rassicurazioni ho ottenuto dai partiti islamici in Libia, che condividono un'interpretazione moderata dell'Islam. È ovvio che per la definizione di un rapporto sano tra Islam e politica, dovremo tuttavia attendere, in alcuni Paesi, le nuove Costituzioni, e verificare in generale la capacità dei nuovi governi di contenere alcune pulsioni fondamentaliste ancora esistenti all'interno delle società. Va da sé che queste nuove Costituzioni, per definire assetti stabili, dovranno essere Costituzioni di tutti. Non potranno appartenere soltanto alle maggioranze parlamentari.
La terza sfida comune su cui vorrei dire qualche parola riguarda la giustizia transitoria, un problema che concerne tutti i Paesi usciti dalle dittature, cioè la conciliazione tra la responsabilità per gli atti compiuti nel passato regime e l'esigenza della riconciliazione nazionale: una sfida di grande importanza per la stabilità interna di questi Paesi perché, come ha detto il Presidente tunisino Marzuki, le ferite del passato vanno curate e vanno guarite. Una sfida che sarà ancora più dura per i Paesi dove le dittature sono state rimosse con l'azione violenta, come nel caso della Libia. Il consolidamento delle democrazie arabe è comunque un interesse vitale dell'Italia, in termini sia di sicurezza, sia di opportunità economiche per il nostro sistema Paese.
Quale può essere quindi, per questo consolidamento, la nostra strategia nazionale? Ho indirizzato alcune linee di riflessione - quattro, in particolare - al Ministro Terzi, che vorrei condividere con voi.
C'è innanzitutto la necessità di rispondere bilateralmente alla forte domanda di Italia proveniente da questi Paesi, attraverso una definizione e/o riattivazione e attualizzazione di partenariati strategici bilaterali con questi Paesi: con Egitto e Libia, appena il quale interno si sarà assestato, e sin dai prossimi mesi con Tunisia e Marocco.
Con la Tunisia abbiamo già posto basi importanti. Il Ministro Terzi, come sapete, vi si è recato in gennaio e il Primo Ministro tunisino Jebali è venuto in visita a Roma nel marzo scorso.
Con l'Algeria si è concordato, a seguito della recente visita del Ministro Terzi, di


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riattivare e ampliare il partenariato strategico con un vertice nel prossimo autunno. Questi partenariati strategici intergovernativi andranno però necessariamente integrati con un'intensificazione e regolarizzazione degli scambi interparlamentari, con dei fori di dialogo tra società civili e rapporti tra i media.
Sul piano economico, l'Italia può giocare un ruolo importante con la sua presenza, ancor più che con la sua assistenza, dove la nostra capacità di incidere è oggettivamente limitata. Nei settori dai quali maggiormente dipendono le opportunità di ripresa economica e occupazionale dei Paesi della primavera - cioè l'agricoltura, le piccole e medie imprese e il turismo - l'esperienza italiana è vista con un interesse speciale e forti sono le potenzialità di cooperazione.
All'interno di questi partenariati, la dimensione migratoria assume poi, agli occhi dei nuovi governi, una valenza politica particolarmente importante, che mi è stata da più parti sottolineata. Sarà importante perseguire con questi Paesi accordi quadro complessivi, che contemplino e concilino mobilità, opportunità e formazione, insieme alla dimensione strettamente securitaria.
Il secondo pilastro di questa nostra strategia implica il raccordo e il monitoraggio costante delle transizioni, insieme ai nostri principali partner. È stata accolta la nostra proposta di creare un gruppo di lavoro euro-atlantico sulle primavere arabe, a livello di alti funzionari, che si riunirà regolarmente. Ne ospiterò a Roma la prima riunione, il 7 maggio prossimo. Tra i partner ha un ruolo cruciale la Turchia, con la quale abbiamo stabilito un dialogo privilegiato sul tema delle primavere arabe. Il Ministro Terzi ha un contatto costante con il Ministro degli esteri turco Davutoglu, ed è previsto un vertice bilaterale con la Turchia l'8 maggio prossimo.
Terzo elemento della strategia è continuare a sollecitare l'Unione europea ad investire maggiormente, non soltanto in termini di risorse finanziarie, ma anche in termini di impegno e di visione politica, sul futuro dei rapporti euromediterranei. La risposta dell'Europa è stata percepita come debole nei Paesi delle primavere. Dovremmo farci carico, a mio avviso, della creazione di un gruppo degli amici del nuovo Mediterraneo, che possa stimolare la definizione di una visione complessiva più ambiziosa dei rapporti euromediterranei, da poter fare gradualmente avanzare con i nostri partner in sede di Unione europea.
Infine, occorre puntare con convinzione sulla cooperazione regionale. Il formato del cinque più cinque ha ricevuto un nuovo impulso dopo la riunione ministeriale presieduta dal Ministro Terzi a Roma il 20 febbraio. Dobbiamo continuare a lavorare intensamente per contribuire al successo del vertice del cinque più cinque che si svolgerà in ottobre a Malta, e collegare più strettamente questo formato alla strategia europea di sicurezza.
Aggiungo anche il Foromed, che riunisce i Paesi del 5 5 insieme a Turchia, Egitto e Grecia, che è stato rilanciato a Roma dal Ministro Terzi il 20 febbraio scorso e ha, a mio avviso, la potenzialità di crescere come momento di incontro e raccordo informale tra un numero più ampio dei Paesi della regione.
Vengo brevemente al processo di pace. In tutti i Paesi arabi nei quali mi sono recato, dal Nordafrica al Golfo, ho potuto riscontrare direttamente quanto la questione palestinese tocchi profondamente le corde e le sensibilità dei governi e delle società. Mi è stato dappertutto ripetuto che, senza la soluzione di questa questione, non potrà mai esservi una stabilità duratura nell'area mediorientale e mediterranea, così come non potrà mai esservi un rapporto di profonda fiducia e collaborazione del mondo arabo con l'Europa e con l'Occidente.
Siamo a mio avviso di fronte a una spirale di percezioni negative da ambo le parti, che occorre aiutare a superare con un impegno comune, per costruire un'agenda positiva. Vi è, ad esempio, una percezione diffusa, anche tra i Paesi moderati arabi, che Israele non abbia colto l'opportunità offerta dalla primavera


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araba per rilanciare il negoziato e migliorare la propria immagine presso il mondo arabo. A ciò si aggiunge una percezione di disincanto verso il negoziato, che ho potuto registrare tra i palestinesi, soprattutto in alcuni settori, accompagnata dalla convinzione che la primavera araba e le crisi iraniana e siriana avrebbero fatto dimenticare o comunque porre in secondo piano il processo di pace.
La percezione israeliana è, d'altra parte, che la dirigenza palestinese non sia oggi genuinamente pronta a riconoscere Israele come Stato ebraico, e su questa base ad impegnarsi in un negoziato senza precondizioni. Le divisioni interne al campo palestinese, che gli accordi di Doha non hanno risolto, non aiutano certamente a correggere tale percezione. La complessità della questione e il numero degli attori internazionali da anni coinvolti vanno ovviamente ben al di là delle potenzialità del mio mandato.
Ho però potuto riscontrare da più parti l'auspicio e l'aspettativa che l'Italia, anche in virtù del suo rapporto di forte amicizia con entrambe le parti, israeliani e palestinesi, possa mantenere un ruolo ed un impegno profilato, per favorire il clima di fiducia tra le parti e il ritorno al negoziato. L'impegno italiano è stato del resto ribadito al più alto livello dal Presidente Monti nella sua recente visita nella regione e dal Ministro Terzi ad ogni occasione bilaterale, nell'ambito dell'Unione europea e nei fori internazionali.
Nei miei contatti con i Paesi dell'area ho regolarmente rassicurato i miei interlocutori sulla centralità che per l'Italia continua a rivestire il processo di pace e la nostra volontà di attivarci in tutti gli ambiti per far sì che l'orizzonte negoziale, nell'ottica dei due Stati, resti vivo e compia passi in avanti, nella convinzione che solo il negoziato fra le parti può condurre ad una soluzione.
Ho stabilito un raccordo diretto con gli inviati per il processo di pace degli Stati Uniti e dell'Unione europea, ai quali ho ribadito la piena disponibilità italiana a qualsiasi sostegno che possa aiutare l'azione del quartetto. Va incoraggiato il ruolo di facilitatore anche della Giordania, nostro partner, Paese moderato e costruttivo e, per ovvi motivi, particolarmente sensibile alla tematica del processo di pace.
Occorre evitare una certa diffusa percezione che, in attesa della scadenza elettorale negli Stati Uniti, l'anno in corso sia destinato ad essere un anno perso, dal punto di vista del negoziato, così come occorre continuare ad incoraggiare azioni che possono aiutare a compiere progressi concreti sul terreno per quanto riguarda le condizioni materiali di vita nei territori, l'ownership palestinese ed il miglioramento del clima di fiducia. È un punto sottolineatomi, in particolare, dal Primo Ministro dell'Autorità palestinese Fayyad, in occasione del nostro incontro dell'8 marzo scorso.
Venendo alla crisi siriana, questa prima fase del mio mandato è coincisa con l'acutizzarsi della crisi siriana, che è stata regolarmente al centro dei miei colloqui nell'area. Non ho bisogno qui di ripetere le posizioni e iniziative del Governo italiano, che sono ben note e sono state autorevolmente ribadite in più occasioni dal Ministro Terzi.
In collegamento con il resto della struttura della Farnesina, in questi mesi ho tenuto un raccordo regolare con i principali attori, in particolare Stati Uniti, Unione europea, Turchia, Russia e Paesi del Golfo. Ho mantenuto contatti anche con esponenti dell'opposizione siriana, nel tentativo di promuovere il compattamento tra le sue diverse componenti intorno alla piattaforma del Syrian National Council, che buona parte della comunità internazionale considera legittimo interlocutore.
A seguito dei miei colloqui nell'area vorrei sottolineare soltanto due aspetti, a questo proposito. Il primo concerne la forte sensibilità dei Paesi arabi e delle opinioni pubbliche arabe di fronte ai massacri della popolazione civile perpetrati dal regime di Assad, che ha perso qualsiasi fiducia da parte dei governi dei Paesi arabi e legittimità di fronte alle opinioni pubbliche arabe. Il secondo aspetto riguarda i riflessi regionali della crisi e il pericolo di


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un grave spillover regionale, che più di ogni altra cosa differenzia il caso della Siria dal precedente della Libia.
Questa dimensione regionale va considerata con particolare attenzione e milita in favore di una soluzione gestita e politica della crisi. Fra i Paesi confinanti, Giordania e Libano, dove mi sono recato, sono particolarmente esposti all'escalation della crisi e vanno perciò sostenuti economicamente e politicamente. Insieme con la Giordania, l'Italia ha proposto la creazione, in seno al gruppo degli amici della Siria, di un gruppo di lavoro ad hoc, per monitorare gli effetti regionali della crisi e coordinare le azioni in campo umanitario sotto l'egida delle Nazioni Unite.
La recente approvazione all'unanimità della risoluzione del Consiglio di sicurezza n. 2024, per l'invio di osservatori dell'ONU, rappresenta un progresso importante. Il ruolo della Russia, con cui manteniamo un raccordo regolare, continuerà ad essere cruciale per indurre il regime siriano a rispettare il cessate il fuoco e a favorire il processo politico. Dovranno allo stesso tempo continuare gli sforzi per aiutare l'opposizione siriana a continuare il processo di unificazione, inclusivo di tutte le componenti della società siriana, che è stato avviato recentemente a Istanbul.
L'ultimo punto dei quattro della nostra visione riguarda l'Iran. Come vi ho detto, la questione siriana, nella percezione dei Paesi dell'area, e in particolare dei Paesi del Golfo, dove sono stato la settimana scorsa, è strettamente collegata alla questione iraniana. Questi Paesi vedono nell'attuale regime di Damasco la longa manus di Teheran, di cui temono le ambizioni espansionistiche su scala regionale, dal Libano allo Yemen, al Bahrain.
«Non possiamo avere un altro Hezbollah sulla porta di casa», mi riferiva un autorevole interlocutore del Golfo. Un sentimento espressomi anche da esponenti sciiti in Bahrain. Il problema iraniano, insomma, va al di là della questione nucleare e riguarda il ruolo complessivo dell'Iran nel grande Medio Oriente, oggi percepito dai più - e ciò in sintonia con le percezioni di Israele - come interferente e destabilizzante.
I Paesi arabi del Golfo temono lo scenario di un'Iran nucleare, ma ritengono che una soluzione militare per prevenirlo sarebbe gravida di effetti destabilizzanti per la regione e sarebbe con ogni probabilità inconcludente. La soluzione ideale e preferita per i Paesi arabi è quella di un Medio Oriente libero dalle armi nucleari. È del resto un dato di fatto che i Paesi del Golfo sarebbero tra i più direttamente esposti, in caso di un conflitto militare legato alla questione nucleare. Da qui la nostra convinzione - ribadita nelle mie missioni nell'area, su indicazione del Ministro Terzi - che, nel quadro della politica del doppio binario e nell'auspicio che la ripresa negoziale di questi giorni rappresenti l'inizio di un processo virtuoso, si possa promuovere un coinvolgimento più attivo dei Paesi arabi nelle decisioni relative all'Iran.
Ho a riguardo proposto, nei miei contatti con i Paesi del Golfo, incontrando un riscontro favorevole, di avviare un raccordo più stretto tra i Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo e i Paesi dell'Unione europea. Ho inoltre proposto un rafforzamento delle nostre partnership bilaterali con i Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo in campo politico e nel campo della sicurezza, riattivando riunioni regolari, a livello politico e di alti funzionari, e attraverso la creazione di gruppi interagenzie sui principali temi della sicurezza.
Concludo con tre brevissime considerazioni.
Innanzitutto la complessità del Mediterraneo allargato e del Medio Oriente post primavere arabe obbliga l'Italia a sviluppare un approccio globale della regione, dal Nordafrica al Golfo. Non possiamo più trincerarci in una visione tradizionale circoscritta del Mediterraneo come cortile di casa, tanto più che anche nella nostra area di influenza tradizionale del Mediterraneo, cioè il Nordafrica, sono in atto processi di globalizzazione e si sono affermati nuovi attori regionali. Occorre


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tener conto dei nuovi attori dell'area, nazionali e regionali, dalla Lega araba al Consiglio di cooperazione del Golfo, con i quali è assolutamente cruciale approfondire i nostri rapporti, anche sul piano politico e strategico, se aspiriamo a mantenere e ad accrescere il nostro profilo complessivo.
La seconda conclusione è che le primavere arabe rappresentato un'opportunità per il nostro Paese e per il sistema Italia nel suo complesso. L'Italia, come ho detto, gode di un forte capitale di credibilità e simpatia in tutti questi Paesi, anche presso le nuove forze politiche e la società civile. Il Mediterraneo democratizzato può consentirci di approfondire, allargare e articolare ulteriormente i nostri rapporti con questi Paesi amici, cruciali per la nostra sicurezza.
Ovviamente il futuro delle democrazie arabe è innanzitutto nelle mani di questi popoli e di questi Paesi, che si sono emancipati e chiedono giustamente, nel rapporto con noi e con l'Europa, il pieno riconoscimento della loro dignità e sovranità. Rispetto della ownership non può però significare, da parte nostra, abbassare la guardia per quanto riguarda i principi o, meglio, le «linee rosse» per noi invalicabili, il rispetto dei diritti dell'individuo e delle minoranze, in particolare quelle religiose. Sul rispetto di questi principi dovremo continuare a vigilare e a far sentire la nostra voce. Insisto tuttavia sulla positività del processo complessivo delle primavere arabe, perché non si cada in nostalgie anacronistiche verso un passato di falsa stabilità dell'area.
Venendo all'ultima conclusione della mia presentazione, possiamo cogliere le suddette opportunità soltanto se ci attrezziamo adeguatamente e se il Mediterraneo allargato diventa per l'Italia, nei fatti concreti, una missione nazionale, con un coinvolgimento non episodico ma continuativo e sistematico di tutti gli attori del sistema Paese.
Da tutti gli interlocutori dell'area ho sentito l'auspicio di una maggiore e più regolare presenza dell'Italia, in tutte le articolazioni: istituzionali, economiche e a livello di società civile. Si tratta quindi, a mio avviso, nei prossimi mesi ed anni, di dedicare a questa missione nazionale le necessarie energie politiche, risorse economiche, umane e diplomatiche, nonché di ulteriormente sistematizzare e programmare i nostri sforzi, per essere in grado di comprendere in profondità le complesse dinamiche interne di questi Paesi della regione, che in passato interessavano forse meno, per poter costruire con questi Paesi delle partnership forti e democratiche, e mantenere l'atteso ruolo di protagonisti. Vi ringrazio.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro plenipotenziario Maurizio Massari di questa esposizione così vasta, accurata e interessante.
Apro ora le iscrizioni a parlare, avvertendo che abbiamo tempo fino alle 15,20. Se ci saranno molte richieste di intervento potremo eventualmente prevedere un'ulteriore seduta in cui proseguire nella discussione.
Do la parola ai deputati che intendano porre domande o formulare osservazioni.

LAPO PISTELLI. Non svolgo alcuna considerazione di analisi, perché il tempo è poco e quindi mi limito a fare tre domande, sperando di non avere perso le risposte ad esse, nella prima parte della presentazione di Massari, cui non ero presente.
La prima domanda è relativa al novero degli strumenti economici che il nostro Paese è in grado di, o intende, mettere in campo, da qui ai prossimi mesi, soprattutto per i Paesi più vicini a noi. Condivido l'opinione secondo cui la tesi del giardino di casa è molto limitativa ma, non potendo disporre di grandi mezzi per l'insieme delle tre aree - Maghreb, Mashrek e Golfo - e dovendoci dunque limitare a un'area più prossima a noi, mi chiedo quali siano le intenzioni del Governo, da questo punto di vista, considerando che la stagione delle primavere arabe si muove alimentata da due diverse principali motivazioni, quella della ricerca di spazi di libertà, di dignità, di democrazia eccetera, ma anche quella di riforme, legate alla crisi economica.


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Sappiamo che tale crisi ha configurato, tra la fine del 2010 e l'inizio del 2011, una sorta di tempesta perfetta, cioè crescita economica, ma anche crescita demografica e, dunque, riduzione del PIL pro capite, enorme disoccupazione, economie prevalentemente legate, per oltre l'80 per cento, all'import-export con l'Unione europea, che dunque hanno patito la crisi dell'Unione europea.
Come si agisce dunque affinché, oltre all'incoraggiamento politico, ci possano essere degli strumenti che agevolano l'uscita dalla crisi economica? I dati di fine 2011, almeno per quanto riguarda Tunisia ed Egitto - non parlo della Libia, che ovviamente ha conosciuto una situazione diversa - evidenziano una contrazione del PIL molto pesante.
In secondo luogo, vorrei avere una valutazione dal ministro di Massari sul tema dell'immigrazione, che nel nostro dibattito pubblico ha subito degli alti e bassi, ma anche in questo caso siamo ovviamente davanti a un fenomeno di lungo periodo, che potenzialmente riversa una pressione valutabile in milioni di persone non soltanto sull'Italia, ma sull'Europa. È altrettanto evidente che, più tardi arrivano risposte di una riforma economica, oltre che politica, da quelle parti, e più forte diventa, nonostante le nostre condizioni di crisi, la spinta a muoverci. Questo è un tema strutturale del prossimo decennio almeno. Vorrei avere una sua valutazione.
Da ultimo, anche se la domanda può forse sembrare bizzarra, io considero che i due Paesi che potrebbero svolgere un ruolo - oltre che nei formati multilaterali, anche in quelli bilaterali - più incisivo e più attivo, per un complesso di circostanze e per una serie di ragioni che non ho il tempo di argomentare, sono l'Italia e la Turchia. Vorrei capire dalla valutazione di Massari fino a che punto sia possibile giocare questa partita insieme alla Turchia e quali siano invece gli elementi in cui, per certi aspetti, questa collaborazione può diventare una competizione fra noi, rispetto agli scenari coinvolti oggi da questo mutamento.

FRANCO FRATTINI. Ho apprezzato molto la relazione del ministro Massari e quindi mi limito a dei punti specifici, che sottopongo alla sua valutazione e alla sua riflessione.
Anzitutto, lei ha giustamente parlato molto, e assai opportunamente, del ruolo dell'Italia. Dovremmo sempre più chiederci dov'è l'Europa in tutto questo, perché qui il vero assente è una politica coesa dell'Unione europea per il Mediterraneo. È inutile che ci diciamo tra noi quanto deludenti siano state le varie esperienze, dal processo di Barcellona all'Unione per il Mediterraneo. Il punto è che l'Europa ha formulato e proposto una linea di azione che si sintetizza con quel more for more, per cui si incoraggiano i Paesi a fare di più, prospettando di dare loro di più.
Vorrei sapere come questa strategia, che non mi sembra inserita in una più ampia prospettiva politica, sia accolta e recepita in questi Paesi. È vista come il segno di un engagement europeo vero o è percepita come la trasformazione in altre parole dei tentativi interferenziali o condizionanti che abbiamo sempre detto dovrebbero essere rimessi ad un passato a cui non dobbiamo tornare?
Venendo al secondo punto, vi è o no la consapevolezza forte (oppure non dichiarata, come può essere, nei colloqui avuti dal ministro Massari) almeno qui tra noi e da parte del Governo e del Ministero degli esteri italiani, del ruolo politico che, a differenza di quanto stiamo facendo noi europei - lo dico ancora con una certa tristezza - hanno iniziato a svolgere, nelle ultime settimane in modo ormai dichiarato, alcuni Paesi del Golfo che hanno una visione molto chiara? La loro visione li porta a impiegare strumenti e a spendere denaro per azioni di consolidamento di gruppi e di partiti politici perché diventino attori e promotori di incontri.
Oggi, mentre noi ci parliamo, si svolge a Doha il summit della Lega araba, ancora una volta dedicato alla Siria; e di vertici di Doha ce ne sono stati tanti, nelle scorse settimane. Vi è una consapevolezza che questo sta accadendo, che ci piaccia o no? Nel momento in cui queste presenze saranno


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radicate nell'institution building - penso alla Libia ma anche all'Egitto - noi avremo perso una battuta essenziale.
In terzo luogo vorrei sapere quale sia la valutazione di questi Paesi - se se n'è parlato e se vi sia un'intenzione di andare avanti - sui tre grandi temi che, dalla politica estera italiana, erano stati indicati all'Europa almeno due anni fa come strumento, ancor prima di queste rivoluzioni arabe, e che oggi più che mai mi sembrano necessari.
Il primo di questi temi è una nuova politica relativa alla circolazione delle persone - io stesso parlai, in altra veste, di un Erasmus euromediterraneo - un tema che comincia ad avere timide risposte a Bruxelles, anche con qualche piccolo finanziamento. Qual è lo stato dell'arte? Si riparla o no di un cambiamento della politica dei visti, per incoraggiare alcune categorie che escono come protagoniste da queste fasi rivoluzionarie, ma continuano a non avere risposte? Penso agli studenti, ai ricercatori e ai giovani imprenditori di quei Paesi. C'è una risposta, in termini di politiche dei visti? Mi auguro che su questo l'Italia continui a spingere in Europa.
Il secondo tema è se in questo vi sia un'azione volta a incoraggiare la riduzione delle barriere doganali e commerciali nell'area mediterranea. Tutti sappiamo che l'altra grande spinta al rilancio delle economie, di cui ha parlato ora Lapo Pistelli, potrebbe essere proprio l'abbassamento del livello del protezionismo che ancora esiste e la promozione di una circolazione dei beni, oltre che delle persone.
Il terzo tema, in questo contesto, riguarda le riflessioni, molte volte avanzate dall'Italia, sull'idea di una conferenza euromediterranea per la sicurezza e la cooperazione: che ne è stato? Noi ricordiamo sempre come esperienza di successo la CSCE di molti e molti anni fa, che permise l'inizio di un dialogo forte, malgrado la cortina di ferro.
Oggi che la cortina di ferro non c'è più, neanche nel Mediterraneo, non è il caso di reintrodurre il tema della stabilità condivisa, non per imporre la nostra ricetta, ma per farlo insieme a loro? Questi sono tre aspetti relativi a quella che potremmo chiamare una vera e propria comunità euromediterranea.

MATTEO MECACCI. Anch'io ringrazio il ministro Massari per la sua relazione. Molte delle questioni sono già state sollevate sia da Pistelli sia da Frattini, quindi mi limiterò a una considerazione che riguarda il futuro di questa regione.
Tutti sappiamo che c'è un'assenza politica dell'Europa, come conferma ogni intervento fatto in questa sede su ormai molti dossier di politica internazionale. La questione da porsi è forse quale sia il costo politico di questa assenza, in particolare in una regione come quella del Nordafrica, che sta attraversando questo periodo di transizione verso la democrazia, ma che ha dei rischi molto elevati per il futuro.
Noi abbiamo avuto l'esperienza dell'est Europa, dove - pur tra molte difficoltà che si riscontrano tuttora, ad esempio, nella regione dei Balcani - ciò che ha consentito di evitare che vi fosse un'involuzione autoritaria e ipernazionalista di quella regione, è stato l'ancoraggio alla dimensione economica, sociale e politica europea, che in qualche modo ha spinto, costretto, incentivato le classi dirigenti di quei Paesi a seguire alcuni standard, relativamente alla lotta alla corruzione, alla democrazia e ai diritti umani.
Ora noi ci muoviamo in questo periodo di transizione, come diceva il ministro Massari - un periodo sostanzialmente costituente per tutta la regione - in cui non esiste questo addentellato politico, economico e sociale, perché la politica di vicinato dell'Unione europea non prevede niente di strutturalmente adeguato ad accompagnare questi processi politici.
C'è allora questo vuoto politico e ci sono quindi delle preoccupazioni - lo sottolineava anche la collega Nirenstein - rispetto all'involuzione autoritaria, fondamentalista e nazionalista di quelle classi dirigenti. Se continuerà così, avremo un'evoluzione scontata, perché vediamo risorgere dei nazionalismi anche in Europa,


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dall'Ungheria ad altre zone, proprio per l'assenza politica di questo tipo. Credo quindi che questo debba essere motivo di grande preoccupazione e che vada incoraggiato il tentativo del Governo italiano, con questa iniziativa e speriamo anche con altre, per rimettere al centro dei rapporti con questa regione anche la dimensione politica e istituzionale.
Abbiamo avuto ieri la notizia che dieci dei ventitré candidati alle presidenziali in Egitto sono stati esclusi da una commissione, che ha deciso interpretando le regole sulle candidature, in una situazione in cui non si riesce neanche a proporre appello.
In Libia c'è, va detto, una presenza delle Nazioni Unite, con una missione anche sul terreno, ma sappiamo che anche lì ci sono problemi di tipo analogo.
La Tunisia ci sembra l'esperienza di maggior successo perché, da un certo punto di vista, sono riusciti a mettere insieme un Governo di unità nazionale e in qualche modo costituente, anche se vediamo tutti i giorni che anche lì ci sono riflessi e reazioni di questo tipo. È chiaro allora, sulla base dell'esperienza che abbiamo fatto, che l'ipotesi di una conferenza come quella di Helsinki che metta insieme i Paesi delle due sponde del Mediterraneo sui principi di sicurezza, diritti umani e cooperazione economica, in un formato anche più leggero rispetto a quello del processo di adesione all'Unione europea - che sappiamo dovrebbe mettere in discussione anche molti altri aspetti - è probabilmente la cosa più adeguata, sapendo che si tratta di un investimento di lungo termine. Come il ministro Massari sa - visto che le ha guidate per molti anni - in Serbia e nei Balcani sono ancora presenti le missioni OSCE dall'inizio degli anni Novanta. Si parla di vent'anni di presenza, quindi la prospettiva deve essere di questo tipo.
Da parte nostra ci sono sicuramente queste mancanze e queste assenze, ma dall'altra parte vi è una disponibilità? C'è modo di ottenere da queste classi dirigenti, ad esempio, che i processi politici e costituzionali possano avvenire con un monitoraggio effettivo da parte delle istituzioni internazionali, che ci sia cioè una possibilità di intervento anche con la leva degli aiuti e della pressione economica, quando si discute delle nuove Costituzioni, della separazione dei poteri giudiziari? È vero che facciamo poco, però per questi Paesi anche il nostro poco è importante, dal punto di vista economico.
Proprio in questo momento di transizione, riuscire ad affermare la prospettiva - in Egitto, in Tunisia e anche in Libia - che la collaborazione delle istituzioni internazionali non può essere in bianco, ma che sulle questioni di fondo occorre ci sia un'intesa, naturalmente con tutte le clausole diplomatiche del caso, è forse qualcosa che si può provare a perseguire, nella speranza appunto che ci sia però anche la nascita di una classe dirigente che abbia nella prospettiva dell'integrazione europea e dell'adeguarsi a questo tipo di standard democratici un obiettivo che li riguarda.

ENRICO PIANETTA. Come il ministro sa, questa è la prima audizione di questa indagine conoscitiva, il cui obiettivo è proprio raccogliere tutta una serie di informazioni e di valutazioni finalizzate al fatto che il Parlamento, e in particolare questa Commissione, possa dare poi delle indicazioni.
Mi piace la sua definizione conclusiva, ministro: attrezzarsi per una missione nazionale. È proprio questo l'obiettivo del nostro ascoltare e del nostro proporre, anche perché - non farò una serie di analisi, voglio soltanto toccare un punto - tutto il processo della cosiddetta «primavera araba» mette in atto una coesistenza di modalità: da una parte, i tentativi di democrazia elettorale, come lei ha suggerito, ma anche, al tempo stesso, l'impostazione di qualcosa di duraturo, finalizzato a tutto ciò che può essere considerato come impostazione costituzionale.
L'obiettivo è raccogliere informazioni per fare in modo che l'Italia possa svolgere un ruolo di natura tale - e anche qui riprendo le sue considerazioni, perché le condivido - da lasciare la prerogativa della ownership ma, al tempo stesso, la


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nostra azione e la nostra capacità potrà essere quella di svolgere iniziative finalizzate a quello che può essere il nostro tornaconto di esistenza all'interno di un'area che ci ha sempre visto interessati e soprattutto partecipi e attori. Noi dobbiamo potenziare questo nostro ruolo.
Indubbiamente per fare questo saranno necessarie risorse economiche, la capacità di coinvolgere la nostra politica e le nostre aziende, il nostro sapere, le università e quant'altro rappresenta la richiesta di Italia, come lei ha detto.
Vorrei chiederle soltanto - su un tema che mi pare sia stato toccato anche dal collega Frattini - qual è il rapporto che noi intendiamo svolgere o che lei intende svolgere con alcuni soggetti del Golfo? Per esempio, è chiaro che vediamo l'attenzione e il dinamismo del Qatar. Ritiene di fare delle valutazioni o delle considerazioni in quella dimensione, in quel rapporto? Penso anche all'Arabia Saudita.
Le chiedo poi due parole sull'impostazione di un'eventuale apporto della Lega araba, che si sta dando da fare e sta innescando un dinamismo indubbiamente molto attivo, e per il quale forse noi dovremo fare delle valutazioni, positive o negative, in ordine all'impostazione che vorremo dare e suggerire all'esecutivo.

GENNARO MALGERI. Intanto, signor ministro, mi permetta di scusarmi con lei e con la presidenza per essere arrivato in ritardo. Dalle ultime parole che lei ha detto ho colto una sincera e più che ragguardevole attenzione al mondo mediterraneo, che non sempre ha avuto l'attenzione che meritava. Parlo di tanti anni fa, quando, anche per nostra responsabilità, fallì il processo di Barcellona che avrebbe potuto dare impulso alla creazione di quella comunità euromediterranea alla quale si è fatto qui riferimento.
In questo senso io accolgo con entusiasmo l'idea manifestata - non da oggi, ma da quando ricopriva l'incarico di Ministro degli esteri - dall'onorevole Frattini, di dare luogo al più presto a una conferenza euromediterranea, purché non sia, come lo stesso onorevole Frattini più volte ha tenuto a dire negli anni passati, una delle tante occasioni per fare - come diremmo a Napoli - della «ammuina», cioè a dire salvarci in qualche maniera la coscienza per aver fatto qualche cosa senza però portare a casa nulla.
In questo senso, ministro, mi corre l'obbligo - anche perché, facendo parte di quella che una volta si chiamava Assemblea parlamentare euromediterranea e oggi si chiama Assemblea parlamentare dell'Unione per il Mediterraneo, fin dalla sua fondazione nel 2003 - di domandare come mai l'Unione per il Mediterraneo registri non una battuta d'arresto, ma addirittura un altro fallimento, mentre invece avrebbe dovuto rinvigorire il processo di Barcellona.
Con tanto entusiasmo noi appoggiammo l'iniziativa del Presidente Sarkozy, da poco eletto, dell'Unione per il Mediterraneo; ci fu una leggera disponibilità, da parte di tutti, a prendere per buono quello che veniva prospettato dai parlamenti nazionali della sponda nord, ma anche della sponda sud, del Mediterraneo. Venivano prospettate le cose che sono state elencate dagli onorevoli Mecacci e Pianetta qualche istante fa, insieme con molte altre come, per esempio, la creazione di una banca di investimenti per il Mediterraneo, le autostrade del mare, il disinquinamento del Mediterraneo: tutti progetti che nel corso di questi anni noi abbiamo condiviso con gli amici della sponda sud, ma di cui poi, in realtà, non si ha più traccia né nelle agende della politica internazionale, né tanto meno nei dossier che vengono predisposti quando vi sono incontri multilaterali o bilaterali.
Le domando quindi come mai l'Unione per il Mediterraneo sia sparita dalla politica internazionale dell'Italia, e non soltanto dell'Italia, posto che dalla sponda sud molto ancora si attendono. Ho partecipato all'ultima Assemblea parlamentare di Rabat e, soprattutto da parte del mondo arabo, con grande insistenza, ci viene chiesto di fare passi in avanti, mentre in realtà noi stiamo facendo molti passi indietro. Poco importa dell'Unione per il Mediterraneo agli altri Paesi europei che


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non siano la Spagna, la Grecia, la Francia, l'Italia e il Portogallo. Mi domando in che senso noi possiamo cogliere l'opportunità, che lei vede, come mi è sembrato di capire dalle sue ultime parole, nella cosiddetta «primavera araba» (gli arabi ci tengono molto che non si usi questa espressione, che loro non accettano assolutamente). Quali sarebbero in realtà queste opportunità, da parte nostra, posto che, chi ha visitato quei Paesi prima delle cosiddette «primavere arabe», li ha trovati, certo, molto stabili, molto autoritari, con poca libertà, ma oggi noi siamo di fronte a dei Paesi dominati letteralmente dal caos, su cui si sovrappone, come motivo di possibile stabilità, un fondamentalismo - lo dico al mio amico Mecacci - da non confondere con il nazionalismo, che era quello di Nasser e di Sadat, mentre oggi il fondamentalismo è quello dei salafiti, dei Fratelli musulmani e via dicendo.
L'idea di fondo di un certo mondo arabo è la creazione di un grande califfato mediterraneo, che parta magari addirittura dalla Somalia per poi arrivare fino alle nostre sponde. Questo finì però con Abdul Hamid II, penultimo imperatore ottomano, che aveva questa idea e che non mi pare il caso di riprendere neanche come ipotesi di lavoro.
Vorrei sapere da lei che cosa intendono fare il Ministero degli esteri e il Governo italiano per cercare di comprendere quali sono le ragioni effettive che muovono i popoli che hanno dato vita alla cosiddetta «primavera araba», naturalmente senza chiedere all'Occidente, all'Europa, alla sponda nord del Mediterraneo, di avallare in qualche modo quello che sta accadendo, ma di essere anche molto critici nei confronti di Paesi come l'Egitto, la Tunisia e anche come la Libia.
Ahimè, abbiamo sopportato le mene bonapartiste di un signore che personalmente ritengo stia per sparire dalla scena politica francese, ringraziando i francesi; ce ne siamo fatti carico per come abbiamo potuto.
Vorrei quindi sapere da lei, signor ministro, in che modo l'Italia possa cogliere questa opportunità e se lei non ritenga di far presente in sede ministeriale, in qualche modo, che l'Unione per il Mediterraneo può essere un'occasione per riprendere il dialogo volto alla costruzione di una comunità mediterranea anziché posare la pietra tombale su questa grande idea nata nel 1995, che ha avuto delle enormi traversie e che oggi registra un'impasse piuttosto considerevole.

FRANCESCO TEMPESTINI. Intervengo per sottolineare l'intervento dell'onorevole Mecacci, che io credo meriti una ripresa. L'Unione europea è la vera assente e il vero punto debole di qualunque ragionamento. Noi siamo una potenza in declino e sempre meno attrattiva, quindi ci dobbiamo certamente inventare anche modi e forme di essere nel Mediterraneo. Se si parla con questi Paesi, con le loro nuove élite dirigenti, queste ci pongono i problemi di sempre ma con maggiore dignità, con maggiore richiesta di parità di rapporto e quindi con conseguente maggiore carico, per noi, di fare un po' diversamente da come abbiamo fatto molte volte nel passato. Non voglio toccare questa parte del ragionamento, ma nei confronti di alcuni Paesi noi dovremmo cambiare approccio e mentalità.
Faccio un esempio solo: noi dobbiamo deciderci ad affrontare i problemi dell'immigrazione in modo completamente diverso da come abbiamo fatto in questo ventennio, per farlo veramente con spirito equitativo. Questo è forse il punto principale di snodo dei rapporti con le nuove realtà. Il punto è che c'è una difficoltà - che mi pare quasi insormontabile - da parte dell'Europa, a interessarsi seriamente al Mediterraneo. Questo dipende da tante cose, come mi pare dicesse il collega Mecacci, se ho capito bene: gli incentivi che hanno reso possibile la svolta est europea dell'Unione europea sono oggi difficilmente riproponibili sulla sponda sud del Mediterraneo, perché la stagione è cambiata. In Europa c'è stato il grande inconveniente, il grande disastro della chiusura alla Turchia. L'Europa stessa è meno attrattiva, per certi versi, ma in generale c'è anche la conferma che la


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vocazione del Paese leader europeo non vada nella direzione del Mediterraneo.
Che cosa possono fare, in termini di lavoro politico, i Paesi della sponda nord, con azioni comuni che vadano al di là di ciò che è stato fatto sinora? Penso ai rapporti che su questo tema dovremmo intessere in modo nuovo. Qui davvero sono d'accordo con il collega Malgeri: il cambio in Francia può essere forse, se accadrà, una cosa positiva, anche da questo punto di vista. La politica sarkozysta nel Mediterraneo si è trasformata in un disastro campale. Basterebbe quello per non votare più Sarkozy, perché hanno concepito l'operazione libica per confermare un'egemonia sui Paesi a sud della Libia e i risultati li abbiamo sotto gli occhi.
Quale strategia hanno questi Paesi dell'Unione europea della sponda nord del Mediterraneo per costruire insieme - meglio di quanto hanno fatto sinora - per almeno mettere in campo la possibilità di un'interlocuzione europea più realistica?

MARIO BARBI. Ho deciso di intervenire sentendo i vari interventi che mi hanno preceduto, ma sarò telegrafico.
Si evoca l'Unione europea, ma la sua assoluta impossibilità di intervenire nella misura minimamente necessaria è ricordata dal suo bilancio, che è pari all'1 per cento del PIL europeo; e la quota destinata alle relazioni esterne è l'8 per cento dell'1 per cento. Togliamo quindi di mezzo questa questione.
L'altra questione è invece di ordine generale: non mi pare che si possa paragonare la primavera araba e quello che succede nel Nordafrica con quanto è successo dopo il 1989, quando ci fu una riunificazione dell'Europa, su una base di radici culturali e di storia che consentivano di aprire un processo in quella direzione. Tra nord e sud del Mediterraneo c'è una linea di frattura storica che, la si giri come si vuole, non è superabile, se non attraverso processi storici, e che è ancora più profonda di quella che c'era tra i blocchi est e ovest nel 1975, quando si fece la Conferenza per la sicurezza e la cooperazione. Certamente bisognerebbe partire da qualcosa del genere, ma con questa consapevolezza.

PRESIDENTE. Prendo anch'io la parola per un intervento telegrafico. Anch'io voglio ringraziare il ministro Massari, la cui esposizione è stata molto importante e molto chiara.
In questa famiglia io svolgo però sempre il ruolo di pessimista e non ci posso rinunciare neanche questa volta, quindi dirò quello che penso, sia pure in maniera sincopata.
La politica che noi cerchiamo di impostare ha un tratto evidentissimo. In cambio di incentivi, vogliamo democratizzazione, sicurezza e una situazione pacificata nel Mediterraneo. Il problema è doppio, quando si parla di incentivi. Il primo problema è quanto diceva l'onorevole Barbi: circa l'8 per cento dell'1 per cento. Abbiamo pochissimo spazio per poterlo attuare, quindi c'è una difficoltà pratica che io penso si dovrebbe prendere veramente molto in considerazione. Il secondo elemento è questo: quando si andava a Helsinki, questa politica di incentivi era sostanzialmente in cambio di diritti umani, perché essi sono la base della democrazia e garantiscano quell'elemento fondamentale, quell'assioma, per cui un Paese democratico non dichiara guerra a un altro Paese democratico; in buona sostanza questo è quanto ci aspettiamo possa accadere nel Mediterraneo, se ci riuscisse questa operazione.
Parlando più da analista delle questioni islamiche che da vicepresidente della Commissione esteri, chi sa che cos'è l'Islam e ne conosce la storia, sa anche che è molto difficile, in questo caso, pensare che si possano ottenere diritti umani in cambio di incentivi. La Russia sovietica non aveva infatti nulla, in linea di principio, contro gli omosessuali, o meglio non in base a un principio religioso; non aveva nulla contro i diritti paritari delle donne, da un punto di vista teorico-religioso; non aveva nulla sul piano teorico neanche contro gli ebrei, anche se li aveva deportati in Siberia e ne avrebbe deportati molti di più, se nel 1953 Stalin non fosse morto.


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Era dunque molto più plausibile, in quel caso - come mi pare dicesse poco fa il collega Barbi - avere un terreno di costruzione comune. Chi ha studiato un po' la storia dell'Islam sa benissimo che esso, prima di convenire su un principio propostogli dall'Occidente, deve superare non una ma mille barriere.
Chiedo allora di nuovo, ministro: che si fa con la nostra condizionalità? Noi abbiamo la possibilità di fare questi accordi che ci garantiscano un minimo non dico di sicurezza, ma di quiete. Se non riusciamo a imporre delle cose come il no alla guerra con Israele, alla limitazione dei diritti delle donne, della libertà di espressione, dei diritti sessuali, allora non abbiamo fatto niente. Ci ritroviamo la sunna formata dalla nuova Lega araba; questo voleva dire il collega: se prima c'era il panarabismo, ora si sta formando un'internazionale sunnita che senz'altro lo sostituirà. Questo è il grande trend che si sta presentando adesso. Lascio da parte tutta la questione sciita perché implica la faccenda iraniana, che ci porta da tutt'altra parte.
Finisco dicendo quanto segue. Stamattina avrebbe dovuto esserci una riunione fra Netanyahu e Fayyad, che era stata fissata da molto tempo, in pompa magna. Prima era previsto un incontro con Abu Mazen, che ha però poi pensato che farsi fotografare con Netanyahu non avrebbe giovato ai suoi rapporti né con Hamas né con tutte le forze insorgenti nel mondo della primavera araba. Oggi neanche Fayyad si è presentato all'incontro previsto, perché anch'egli non ha voluto mettersi in una posizione in cui, rispetto ad Abu Mazen, sarebbe stato quello che è andato a parlare con gli israeliani. Questa è la situazione legata alla primavera araba che si presenta oggi nel conflitto israelo-palestinese. Fayyad non c'è andato, benché fosse supposto che lo facesse, dato che tutto era già stato concordato. Anche fonti palestinesi che sento per telefono mi dicono che lui, di fronte ad Abu Mazen che fa l'accordo con Hamas, non avrebbe potuto fare questa figura. Questa è la situazione. Mi sembra che questa fotografia rappresenti molto bene lo stato di questo conflitto, a fronte della primavera araba.
Do ora la parola al ministro Massari per la replica.

MAURIZIO MASSARI, Inviato speciale del Ministro degli affari esteri per i Paesi del Mediterraneo e le primavere arabe. Ringrazio tutti per le osservazioni e le domande che mi sono state rivolte, che ho trovato di estremo interesse. C'è stato anche un overlapping di argomenti tra diverse domande, quindi cercherò di raggruppare le risposte su quattro punti.
Riferendomi alle domande dell'onorevole Pistelli, risponderò sugli strumenti economici che l'Italia può, o pensa di, mettere in campo e sulla questione dell'immigrazione. La seconda risposta concerne il ruolo dell'Europa, sollevato dall'onorevole Frattini e da altri commissari, con questa dimensione politico-istituzionale che sembra un po' mancante. C'è poi il tema dei Paesi del Golfo e, infine, la questione delle opportunità per l'Italia.
Parto dal primo punto, gli strumenti economici. Con i Paesi vicini l'Italia ha già messo in campo degli strumenti economici importanti, ovviamente nei limiti delle proprie possibilità. Posso fare degli esempi e anche delle cifre. Penso ai 200 milioni di euro in crediti di aiuto, con alta concessionalità per la Tunisia, o all'accordo sulla ristrutturazione del debito con l'Egitto - arrivato alla terza tranche di 100 milioni - che, proprio in questi giorni, dovrebbe essere firmato. Questi fondi verranno utilizzati per progetti di sviluppo socio-economici. Anche con la Libia abbiamo un impegno economico per cifre rilevanti. Ovviamente tutto questo avviene sul piano bilaterale, anche dal punto di vista finanziario.
Come ho detto nella mia esposizione io credo che, viste le risorse oggettivamente limitate dell'Italia, sarà la nostra presenza, ancor più che la nostra assistenza, a poter avere un ruolo importante dal punto di vista economico. Mi riferisco all'assistenza tecnica, al know how e ai contatti umani per favorire lo sviluppo di piccole e medie imprese. Tutto questo è molto richiesto dai


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Paesi dell'area, dove l'Italia può dare un importante contributo senza arrivare a cifre esorbitanti di assistenza economica.
Naturalmente tutto ciò si associa con la dimensione europea, con il miliardo e 200 milioni aggiuntivi che sono stati stanziati dall'Unione europea per le primavere arabe e con gli strumenti multilaterali nell'ambito della partnership di Deauville. C'è da aggiungere a tutto questo che, a causa anche delle strutture istituzionali ancora non consolidate in questi Paesi, c'è anche una capacità limitata di assorbimento di questi aiuti, che quindi non bisogna inflazionare, in questa fase.
Anche sulla questione dell'immigrazione vedo senz'altro la possibilità di una cooperazione con la Turchia, con cui avremo appunto un vertice l'8 maggio. Sull'immigrazione l'Italia si sta impegnando fortemente, anche qui sul piano bilaterale dell'assistenza tecnica. Lo vediamo nel caso della Libia, dove c'è stata una recente e importante visita del Ministro dell'interno Cancellieri, che ha dato vita alla firma di un memorandum congiunto di impegni, molto importante anche per l'Italia, che prevede un training per le forze di polizia del Ministero dell'interno libico, la fornitura di motovedette e l'assistenza per la creazione di centri di accoglienza.
Ovviamente è un'assistenza di short term, molto importante, sulla quale l'Italia sta facendo la propria parte. Bisogna però affrontare le cause strutturali; questo è un problema assolutamente fondamentale. Pensiamo soprattutto alle frontiere meridionali della Libia, dove naturalmente, se non si risolve a monte il problema della stabilità dei Paesi dell'Africa subsahariana, con la creazione di condizioni socio-economiche che possano evitare questo flusso migratorio, il problema non verrà mai risolto.
Di qui l'importanza dell'Unione europea. Nelle istituzioni multilaterali l'Unione europea ha una strategia per il Sahel, alla cui redazione l'Italia ha contribuito attivamente. Benché queste strategie abbiano il limite di essere di medio-lungo termine, da qui a tre anni, perché naturalmente toccano tutta una serie di settori, c'è una strategia dell'Unione europea per risolvere strutturalmente questi problemi.
Il ruolo dell'Europa credo sia veramente il grande punto di riflessione, perché è evidente che, fino a questo momento, la percezione del ruolo dell'Europa è stata debole, malgrado le risorse aggiuntive e malgrado la riforma della politica di vicinato.
Ho perciò proposto che l'Italia si faccia sponsor della creazione di un gruppo di amici del Mediterraneo, con i principali partner dell'Unione europea, proprio per aiutare quest'ultima a partorire una visione più ambiziosa, che non può che essere di integrazione, anche politico-istituzionale, di un'area oggettivamente sotto-istituzionalizzata.
I modelli possono essere molti, ma credo che bisognerà poi adottarli con una certa flessibilità. Ci può essere il modello dell'OSCE, quello del patto di stabilità (che in qualche modo ha avuto anche dei suoi pregi, sebbene anche molti difetti). I modelli aggregativi regionali ed euromediterranei vanno però studiati, perché io credo che, fino a questo momento - e questo è stato anche l'approccio della politica estera di vicinato (PEV) - l'approccio anything but institutions non è più valido e non è più sufficiente, dopo la primavera araba. Ci vogliono anche le istituzioni, però naturalmente non può trattarsi di allargamento, come nel caso dei Paesi dell'est Europa, ma bisogna pensare a delle vie intermedie tra l'attuale situazione e l'allargamento.
Siamo molto consapevoli dell'importanza dei Paesi del Golfo, tant'è vero che nella mia missione dei giorni scorsi ho proposto la firma di accordi di consultazione regolare tra i ministri degli esteri con questi Paesi, la creazione di gruppi interagenzia per il dialogo nei settori politico e della sicurezza e, come ho detto - altro elemento di engagement con questi Paesi - il raccordo tra l'Unione europea e il Consiglio di cooperazione del Golfo, soprattutto sulla questione iraniana. I Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo devono assolutamente - a mio e


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nostro avviso: queste sono indicazioni del Ministro Terzi che, tra l'altro, ha rilevato un'idea già precedente, del Ministro Frattini - avere delle consultazioni regolari con l'Unione europea.
Circa le opportunità per l'Italia in quest'area, naturalmente bisogna pensare, poiché siamo ancora in una fase di consolidamento, in termini temporali non immediati, quindi di medio-lungo termine; queste opportunità vanno viste, secondo me, nel riuscire a integrare il più possibile le due sponde del Mediterraneo, creando un mercato unico di 800 milioni di persone, attraverso una sorta di unione economica euromediterranea sul modello che l'Unione europea ha Paesi come Norvegia, Islanda e Liechtenstein. Dovrebbe essere questo il grande incentivo, anche per questi Paesi, a portare poi avanti le riforme economiche che introducano una legislazione economica il più possibile compatibile con quella europea. Questo grosso mercato potrebbe effettivamente aprirci molte opportunità. Parliamo chiaramente di tempi lunghi, anche se l'importante è impostare il discorso.
Chiudo sull'Unione per il Mediterraneo e sul perché si è fermata. Bisogna essere realistici: essa è nata nel 2007 e da allora ci sono però state le primavere arabe, quindi nella regione è cambiato tutto. L'idea di depoliticizzare il discorso euromediterraneo attraverso l'unione dei progetti non è più attuale, dal momento che il quadro politico della regione è cambiato e siamo di fronte a Paesi in forte transizione politica. L'Unione per il Mediterraneo era stata sottoscritta dai vecchi leader che oggi non sono più al potere. Questa prospettiva va naturalmente adattata alla realtà attuale. In secondo luogo, i progetti hanno bisogno di risorse che, come sappiamo, non sono state adeguatamente reperite, limitando l'utilità dell'esercizio.
Credo comunque che l'Unione per il Mediterraneo, attraverso un rilancio dell'intero discorso di integrazione euromediterranea, possa ancora avere un suo spazio. Noi crediamo che lo stesso cinque più cinque possa essere un nucleo duro per il rilancio dell'Unione per il Mediterraneo, però occorre naturalmente questa visione politica, senza la quale, secondo me, il solo discorso dei progetti non tiene.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro Massari per il suo contributo ai nostri lavori, auspicando che possa tornare ad aggiornarci in futuro.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,35.

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