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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
2.
Giovedì 24 maggio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Narducci Franco, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI OBIETTIVI DELLA POLITICA MEDITERRANEA DELL'ITALIA NEI NUOVI EQUILIBRI REGIONALI

Audizione del Direttore del Center for Muslim-Christian Understanding presso la Georgetown University, John L. Esposito:

Narducci Franco, Presidente ... 3 8 10
Esposito John L., Direttore del Center for Muslim-Christian Understanding presso la Georgetown University ... 3 8
Frattini Franco (PdL) ... 8
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 24 maggio 2012


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FRANCO NARDUCCI

La seduta comincia alle 9.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Direttore del Center for Muslim-Christian Understanding presso la Georgetown University, John L. Esposito.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli obiettivi della politica mediterranea dell'Italia nei nuovi equilibri regionali, l'audizione del Direttore del Center for Muslim-Christian Understanding presso la Georgetown University, John L. Esposito.
Do la parola al nostro ospite per lo svolgimento della sua relazione.

JOHN L. ESPOSITO, Direttore del Center for Muslim-Christian Understanding presso la Georgetown University. Grazie dell'invito. Al termine del mio intervento sarò lieto di rispondere alle vostre domande.
Oggi parleremo di un argomento che nessuno aveva previsto. I governanti di Tunisia, Egitto e Libia rovesciati così rapidamente, le sommosse in Siria, Bahrain e Yemen, niente di tutto questo era stato previsto né dai governi né dagli esperti né dai popoli coinvolti. Nemmeno gli attivisti, che conosco e con i quali ho svolto progetti in Tunisia o Egitto, si attendevano che le dimostrazioni avrebbero attirato le masse popolari e sarebbero sfociate nella caduta dei regimi.
Un altro elemento di sorpresa è che i movimenti non erano guidati da attivisti islamici o islamisti, ma avevano una base ampia, spesso formata da giovani che vivono o meno la religione nella loro sfera privata. Il collante per la gente erano questioni politiche ed economiche, come la situazione economica, il lavoro, la corruzione e il regime autoritario.
Tuttavia, molti osservatori sono rimasti sbalorditi quando alle elezioni hanno vinto gli islamisti. Per esempio, gli exit poll delle elezioni presidenziali di ieri in Egitto mostrano che Amr Moussa è fuori dalla corsa, perché avrebbe raccolto solo l'11 per cento dei voti. I candidati attualmente in testa, stando alle percentuali, sono Mohammed Morsi dei Fratelli Musulmani e Abdel Moneim Abul Foutouh, ex membro dei Fratelli Musulmani, che ha alle spalle ciò che potremmo definire come una coalizione liberale, ma che proviene da un retroterra islamista, e Ahmed Shafik, una reminiscenza del passato militarista e autoritario. È il candidato per la legge e l'ordine. I due candidati nelle prime posizioni hanno entrambi un background più o meno islamista.
Io penso che questo successo non dovrebbe sorprenderci. Negli anni Novanta e all'inizio del Ventunesimo secolo, ogni qual volta ci sono state elezioni nei Paesi arabi, i partiti islamici hanno avuto buoni risultati. Il fatto che tali elezioni si siano


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tenute sotto regimi autoritari è ancor più significativo. Infatti, nonostante quei governi controllassero la dinamica elettorale, l'accesso ai media e l'attività dei partiti politici, i partiti islamici dagli anni Novanta in poi hanno sempre ottenuto buoni risultati elettorali.
I governi occidentali, soprattutto degli Stati Uniti e di molti Paesi europei, sono rimasti stupiti perché sostenevano i regimi autoritari e credevano a ciò che questi regimi affermavano circa il fatto che gli islamisti al potere sarebbero stati un pericolo e che in ogni caso rappresentavano piccole percentuali di popolazione e alle elezioni non avrebbero avuto successo.
Per questo motivo le elezioni in Algeria nel 1990 sbalordirono non soltanto i Paesi della regione, ma anche gli Stati Uniti e l'Unione europea. In occasione della seconda tornata elettorale di nuovo il Fronte islamico (FIS) è andato bene e di nuovo è sembrato inspiegabile. Avevamo rimosso tutto questo. Avevamo anche dimenticato che in Turchia, il governo di matrice laica ha dovuto fare i conti con il Partito del benessere, di ispirazione islamica, che ha tentato di emarginare, ma alla fine tale Partito ha saputo ridefinirsi politicamente come Partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP) e ottenere continui successi elettorali.
Questo è il contesto in cui dobbiamo esaminare questi fenomeni. Tuttavia, c'è un altro fattore fondamentale ancora attuale da tenere in considerazione. Da decenni si afferma che l'Islam e la cultura araba sono incompatibili con la democrazia. Anche se ci occupiamo spesso della questione, simili opinioni sopravvivono. Oggi però siamo chiamati non soltanto a ripensare i nostri orientamenti politici rispetto ai Paesi emergenti, ma anche a rivisitare molti di questi temi. Abbiamo bisogno di una nuova narrativa, di un nuovo modello, di un nuovo paradigma, di un nuovo modo di vedere le cose.
Per analogia, dobbiamo avere un approccio totalmente nuovo al conflitto israelo-palestinese. Se manterremo l'impostazione tradizionale, se israeliani, palestinesi e governi occidentali continueranno con le politiche degli ultimi trenta o quarant'anni che non hanno funzionato, i problemi rimarranno irrisolti.
Cosa dire di questa nuova narrativa? Le sommosse hanno sconfessato le opinioni tradizionali e hanno lanciato una sfida ai decisori politici. Dobbiamo però renderci conto che elaborare questa nuova narrativa non è un esercizio teorico o accademico. Disponiamo di dati molto concreti, di sondaggi importanti, che in passato mancavano. Tuttavia, negli ultimi cinque, dieci anni, abbiamo iniziato ad avere accesso al sondaggio mondiale dell'organizzazione Gallup, uscito per la prima volta nel 2007 con cadenza annuale. Questi dati concreti, che rappresentano le voci di milioni di musulmani dall'Africa del Nord al Sud-est asiatico, ci dicono che la maggioranza delle persone in questi Paesi vuole le elezioni, un governo responsabile, lo Stato di diritto, la trasparenza. Le maggioranze vogliono ciò che i loro governi non hanno garantito.
Non ci deve sorprendere che nel corso della «primavera araba» le maggioranze nei diversi Paesi, laiche, di sinistra o islamiste che fossero, condividessero l'ambizione di rovesciare i governi autoritari e sostituirli con governi più rappresentativi delle loro aspirazioni. Volevano la possibilità di eleggere un governo e poi chiamarlo a rendere conto del proprio operato.
Dobbiamo guardare in altro modo ai movimenti islamici. Nella storia recente ci sono state due scuole di pensiero. Secondo la prima, tutti questi movimenti sono una minaccia e sono pericolosi. Da un lato abbiamo i movimenti islamici che ricorrono alla violenza e dall'altro vi sono i movimenti come la Fratellanza musulmana, che partecipano alla politica usando tattiche diverse, ma sono visti come lupi mascherati da agnelli. Sembrano moderati e ben inseriti nella società, ma suscitano comunque dubbi e timori.
Io appartengo all'altra scuola di pensiero secondo la quale dobbiamo distinguere tra movimenti violenti e movimenti inseriti nella società. Non possiamo raggrupparli indistintamente. Lo stiamo constatando.


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Quando la gente può votare, questi movimenti vengono considerati come rappresentativi. Questo porta a chiedersi perché tanti governanti dei Paesi del Golfo, e non solo la Siria, abbiano paura. Perché il Bahrain? Perché l'Arabia Saudita? Perché alcuni Paesi più aperti e guidati da monarchie più progressiste, come Qatar ed Emirati Arabi Uniti, sono così impauriti?
Non dipende dalla natura dei movimenti islamisti, ma dal fatto che i movimenti in Egitto e in Tunisia avevano un'ampia base. Questi regimi li vedono come un potenziale tsunami e non vogliono che questa onda li travolga. Questo è importante perché si riallaccia a quanto dirò al termine della mia presentazione, ossia che, di conseguenza, i Paesi del Golfo si sono irrigiditi e danno più peso alla sicurezza perché vogliono mantenere il potere. Le famiglie reali non vogliono la monarchia costituzionale, vogliono mantenere il potere assoluto. Analogamente, Paesi come la Giordania e il Marocco tendono a mostrare una facciata democratica impeccabile. La Giordania sa come riuscirci, ma la situazione interna sta diventando più tesa.
Per capire perché gli islamisti abbiano avuto tanto successo dobbiamo recuperare gli insegnamenti del passato. L'Algeria è forse l'esempio migliore, ma vi sono altri casi. L'Algeria era un Paese monopartitico con un forte apparato militare e poliziesco. L'unica alternativa era votare per il Fronte islamico di salvezza nazionale (FIS). Il FIS non ha ottenuto consensi soltanto dai propri seguaci. Tutti coloro che volevano votare contro il governo hanno votato per il FIS.
Alle ultime elezioni in Egitto o in Tunisia il sistema dei partiti era molto debole. L'unica organizzazione forte in Egitto era la Fratellanza musulmana, che ha grande seguito, sa come gestire le elezioni ed è ben organizzata. Gli altri partiti erano piccoli e, cosa più importante, ne sono nati tanti di nuovi, spesso molto piccoli e tutti candidati contro la macchina ben organizzata della Fratellanza musulmana.
In Tunisia la situazione era ancora più caotica. Ennahda era un movimento clandestino, con membri esiliati in Francia e nel Regno Unito. Inizialmente non era forte, ma poi si è rafforzata grazie alla lealtà dei vecchi membri. Molti tunisini ricordavano Ennahda come un'alternativa a Ben Ali, come un gruppo disposto a soffrire e a lottare per i propri ideali. Allo stesso tempo c'era una cinquantina di nuovi partiti, ma la maggior parte era molto debole.
Tra i tre partiti laici principali, quello che si pensava fosse il più forte contro Ennahda in realtà è stato il partito più debole e ha raccolto pochissimi voti. Un governo guidato da Ennahda rappresentava agli occhi della popolazione tunisina la migliore alternativa. La piattaforma elettorale prometteva uno Stato non laico e non islamico, ma civile, fondato sulle istituzioni, su una forte società civile, sulla pari cittadinanza, sull'uguaglianza di genere, sul pluralismo, con una serie di impegni molto specifici. Ennahda ha avuto un ottimo risultato e la dinamica politica è stata meno problematica e traumatica rispetto all'Egitto, dove ci sono stati casi di violenza e di intervento dei militari. Tutto ciò in Tunisia non è avvenuto.
È importante renderci conto che questi partiti sono stati eletti. Per il futuro della nuova narrativa è rilevante che tutti questi leader - ho avuto l'opportunità di parlare con esponenti di Ennahda, dei Fratelli mussulmani, dei Salafiti - considerano come priorità numero uno l'economia. Sanno che i loro Paesi per decollare hanno bisogno di sviluppo economico, di lavoro, di istruzione. A livello politico sanno che questa è la prima priorità. A prescindere dalla loro natura e dai loro seguaci, se fallissero non sarebbero rieletti. Chi è al potere, vista la situazione sociale, deve produrre determinati risultati. Anche per il partito egiziano Libertà e giustizia le questioni sociali ed economiche sono prioritarie.
Tornando alla nostra narrativa, una prima conclusione è che quanto maggiore è il successo di questi movimenti e quanto migliori i risultati economici per il Paese,


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tanto maggiori saranno le possibilità di essere rieletti. Questo aumenterà la competizione politica. Se si sviluppa un quadro politico pluralista, aumenteranno le possibilità di scegliere.
Venticinque anni fa mi recai in Tunisia per intervistare Rashid Ghannouchi. Entrai nel Paese mentre lui fuggiva e parlai con il numero due. In quel colloquio mi disse che il governo non si era comportato in maniera molto intelligente. Se fosse stato consentito un sistema pluralista, avrebbero dovuto faticare di più per ottenere voti perché ci sarebbero state delle alternative. Quindi questo è uno dei fattori che consentono lo sviluppo.
I governi occidentali dovrebbero quindi riflettere sull'importanza di accettare il dato di realtà anziché ricadere nei vecchi paradigmi che hanno causato ingerenze nella politica interna. Sarebbe l'abbraccio della morte per chi è al potere adesso in questi Paesi. Oltre a ciò, i governi occidentali dovrebbero considerare lo sviluppo di una forte società civile come un elemento molto positivo. I governi saranno rieletti se produrranno buoni risultati. Se è forte anche la società civile, questo garantirà una dinamica democratica vitale, e questo sarà il fattore principale sul lungo termine.
Parte della vecchia narrativa si è rivelata un fallimento, una cosa stupida sotto molti aspetti. Mia moglie dice sempre che «stupido» non vuol dire nulla. Tuttavia, la mia nonna italiana in inglese sapeva dire solo «stupido». La vecchia narrativa, soprattutto dei Paesi occidentali, era stupida a dire che questi Paesi non sono pronti per la democrazia. La prima cosa da fare è costruire una società civile forte, ma quale governo autoritario vuole una società civile forte? Quale governo autoritario del mondo arabo-musulmano avrebbe favorito la nascita di una società civile?
In Giordania, in Tunisia e in Egitto c'era solo una parvenza di democrazia. Per esempio, in Egitto, il governo in realtà disciplinava anche le organizzazioni non governative. Quindi un'organizzazione della società civile necessitava del permesso del governo per operare. Se le elezioni non andavano come voleva il governo, venivano cambiate le leggi. In Giordania si parlava di «ONG reali».
Dobbiamo renderci conto che i movimenti islamici ora al potere sono diversi gli uni dagli altri, così come sono diversi i Paesi. Ci sono ancora degli americani che parlano dell'Europa come se fosse un blocco omogeneo o che pensano che gli europei hanno sempre una posizione unica. Se consideriamo il passato o quanto succede oggi con l'Unione europea e l'euro-zona, ci accorgiamo invece che l'Europa non è compatta. Si pensa spesso all'America come a un blocco compatto, ma nella politica degli ultimi dieci anni c'è, invece, molta diversità.
Questo vale anche per il mondo arabo. Il fatto che i Paesi arabi parlino la stessa lingua non vuol dire che siano tutti d'accordo. A volte anzi i diversi dialetti arabi non si comprendono gli uni con gli altri. Un saudita ha difficoltà a capire un marocchino. Anche le culture sono diverse. In Turchia, ad esempio, l'AKP non è più considerato un movimento islamista. Verrebbero definiti mussulmano-democratici, come una volta c'erano i cristiano-democratici. In Tunisia e in Egitto la situazione è ancora diversa. Vorrei commentare la grande differenza tra Egitto e Tunisia.
È forse un paradosso un po' ironico, ma il movimento tunisino con l'esilio si è rafforzato dal punto di vista ideologico ed è diventato più cosmopolita. Ghannouchi e altri, ad esempio, vivevano in Inghilterra, altri ancora in Francia. Hanno confrontato la propria visione del mondo con quella delle democrazie occidentali e hanno raffinato la loro posizione nei confronti della laicità, della democrazia, del pluralismo e di una leale opposizione. Da lì è nato il concetto di Stato civile e si può parlare di laicità in un modo che invece è impossibile in Egitto.
In molti Paesi arabi l'idea della laicità era tabù perché veniva interpretata come qualcosa di antireligioso e non come la separazione tra lo Stato e la religione. La Turchia laica era vista come un Paese che aveva represso e oppresso la religione.


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Il movimento islamico egiziano è sempre stato vivace e non ha vissuto l'esilio, tuttavia è sempre stato mosso dall'interno. I Fratelli musulmani non hanno mai lasciato l'Egitto e se lo hanno fatto, è stato solo per incontrare, ad esempio, i Fratelli musulmani della Giordania. Dal punto di vista ideologico e politico la Fratellanza musulmana non si è evoluta perché è stata sempre sotto assedio e si è preoccupata solo della sua sopravvivenza, anziché elaborare un'ideologia e una piattaforma che potesse sostenere un governo portatore di valori religiosi. Sotto il regime di Mubarak l'unica preoccupazione dei fratelli musulmani era sopravvivere e partecipare alle elezioni senza stravincere per non essere vittime della repressione ed essere arrestati.
I Fratelli musulmani erano i leader del movimento islamico già negli anni Quaranta, mentre gruppi come Ennahda si sono sviluppati anche all'estero. Oggi in realtà molti egiziani guardano a Ennahda per cercare di sviluppare un'ideologia moderna per uno Stato moderno che tenga anche conto dei valori arabi e musulmani, contro il tradizionale conservatorismo. Come ripeto, la differenza tra i Fratelli musulmani ed Ennahda è che, se il problema è la sopravvivenza, diventano prioritarie la sicurezza e la disciplina. Serve una struttura gerarchica e autoritaria, quasi ecclesiastica, in quanto qualsiasi differenza è fattore di divisione, e si crea quindi un'organizzazione che governa dall'alto verso il basso.
Dopo la «primavera araba» sono sorte delle divisioni tra i vari leader egiziani. Abdel Moneim Abul Foutouh, uno tra i più liberali, ad esempio, pur appartenendo alla Fratellanza musulmana, ha voluto presentarsi con un movimento diverso. Molti giovani lo hanno seguito e sono stati tutti espulsi dalla Fratellanza, a dimostrazione del fatto che non vi è alcuna forma di pluralismo nell'organizzazione. Il partito Libertà e giustizia è sostenuto, sin dalla sua istituzione, in gran parte dalle giovani generazioni. Il problema è se i vecchi leader della Fratellanza islamica lo lasceranno in pace una volta ottenuti i successi elettorali, senza ricoprire il ruolo del padrino che da dietro le quinte lo controlla. C'è stato un ulteriore motivo di tensione per la scelta dei candidati alle elezioni presidenziali, si è ricaduti nei vecchi schemi: nessun volto giovane e nuovo che potesse attrarre una fascia più ampia della popolazione.
Negli Stati Uniti e in Europa, a mio parere, è necessario cambiare visione. Stati Uniti e Unione europea dovrebbero fare qualcosa di sconvolgente: fare ciò che dichiarano. Se crediamo nella democrazia, nell'autodeterminazione, nel pluralismo, nello Stato di diritto, dobbiamo comportarci di conseguenza e non ricadere nel vecchio paradigma secondo cui i regimi autoritari sono più sicuri o si possono manipolare le elezioni, come hanno cercato di fare i francesi in Tunisia facendo votare un certo partito socialista.
In primo luogo non si riesce a farlo e in secondo luogo si crea un forte risentimento. Il 63 per cento degli egiziani sostiene di volere rapporti bilaterali con altri Paesi, ma ritiene che i Paesi occidentali non li lasceranno liberi di seguire il proprio percorso. Affermazioni analoghe vengono fatte dagli europei in merito ai nuovi movimenti. Ad esempio, molti di essi affermano che Tariq Ramadan dica una cosa e ne pensi un'altra. Gli egiziani pensano lo stesso dell'Occidente: guardano al passato e credono che ci sia una doppia morale. Da un lato l'Occidente parla di democrazia, di autodeterminazione e di diritti umani; dall'altro, sostiene governi autoritari.
Cerchiamo di essere più realisti. Il massimo realismo è guardare agli interessi strategici comuni dal punto di vista militare, politico ed economico. Ci sono vantaggi potenziali per quanto riguarda l'interscambio e ci sono questioni di sicurezza che ci preoccupano. Ma i dati mostrano che anche i Paesi del mondo arabo-musulmano hanno come priorità la sicurezza economica e la sicurezza fisica. È la loro realtà quotidiana; la maggior parte delle vittime del terrorismo sono nel mondo arabo. Dobbiamo perseguire i nostri interessi strategici comuni.


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Per il futuro, nonostante i problemi economici che affliggono l'Occidente, Stati Uniti e Unione europea dovranno dare prova di creatività per offrire il sostegno economico, tecnologico ed educativo di cui hanno bisogno quei governi. Occorrerà essere creativi perché ci sono pochi fondi. La Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale dovrebbero attivarsi.
I Paesi del Golfo produttori di petrolio sarebbero i partner più logici. Il problema è che i Paesi del Golfo hanno paura e sono contrari a ciò che sta succedendo. Alcuni hanno fatto delle promesse di finanziamento che poi non hanno mantenuto. In realtà si preoccupano sempre più della sicurezza, aumentano il controllo sui media e cercano di trincerarsi, limitandosi a trattare direttamente con l'Unione europea e gli Stati Uniti soltanto per le grandi questioni comuni come l'Iran. Non vogliono sostenere gli sviluppi dei Paesi emergenti.
Il principale problema e convincere Paesi come il Qatar, che all'inizio ha dato prova di un atteggiamento cooperativo in Libia, per esempio, a investire nello sviluppo economico di quelle aree. Il presidente tunisino ed Ennahda non si aspettano un ingente afflusso di denaro, ma vorrebbero che i governi incoraggiassero gli investimenti privati provenienti dai Paesi del Golfo.
Su questo chiudo e attendo le vostre domande.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Esposito e do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

FRANCO FRATTINI. La ringrazio per quanto ci ha detto e per le sue proposte a Stati Uniti ed Europa. Vorrei rivolgerle alcune domande nel poco tempo a nostra disposizione.
In primo luogo, a suo avviso è molto importante che gli Stati Uniti e l'Unione europea si attivino sul fronte dello sviluppo economico, degli investimenti e della cooperazione culturale. Cosa pensa dell'approccio tradizionale dell'Unione europea alle clausole di condizionalità? L'Europa in passato ha utilizzato tale approccio nei confronti di questi Paesi, inserendo negli accordi di cooperazione alcune condizionalità relative ai diritti umani e alla posizione della donna.
Ora c'è un'evoluzione in questa posizione dell'Unione europea. L'idea è quella di una condizionalità «intelligente», che tenga conto di progressi successivi sul fronte di un ammodernamento e rafforzamento della società e dei diritti umani. I Paesi che vogliono questa titolarità, accetterebbero tale impostazione europea?
Per quanto riguarda invece la Turchia, Lei sa meglio di me che, quando il Primo Ministro Erdogan è andato al Cairo e ha parlato alla Fratellanza islamica del modello dell'AKP e dello Stato laico turco, la reazione della Fratellanza è stata molto negativa. È stato criticato per avere proposto un modello che nega la purezza dell'Islam.
La Turchia ha cercato di fare avvicinare questi Paesi al modello laico turco piuttosto che a quello iraniano. Sono pronti a seguire questa strada oppure sceglieranno un proprio percorso, diverso da quello turco, verso uno Stato civile?

PRESIDENTE. Do la parola al professor Esposito per la replica.

JOHN L. ESPOSITO, Direttore del Center for Muslim-Christian Understanding presso la Georgetown University. Le sue sono ottime domande e credo di avere delle risposte.
Penso che l'idea della condizionalità o delle pre-condizioni faccia parte della narrativa del passato, della vecchia narrativa. Supponiamo di stringere relazioni con la Tunisia: come risponderebbe l'Italia se i tunisini ponessero delle condizioni per quanto riguarda, ad esempio, Israele e la Palestina o i diritti umani prima di sedersi a parlare? The more for more è un atteggiamento migliore.
Rashid Ghannouchi mi ha raccontato di essere stato ricevuto molto bene dai rappresentanti dei due partiti statunitensi. Durante il colloquio hanno parlato del


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futuro ma, anche senza usare le parola, i suoi interlocutori hanno espresso delle pre-condizioni. Ghannouchi ha chiesto di poterne parlare alla pari, come dei partner, e non seguendo il modello usato da George W. Bush e Tony Blair in Iraq. Una volta l'ambasciatore Bremer disse addirittura che in Iraq la legge non era legge finché non lo diceva lui.
È molto importante parlare dei diritti umani perché si scopre che la maggior parte dei Paesi è aperta su questo argomento. Chiunque è ora al potere sa che, dopo la «primavera araba», la maggioranza delle persone si aspetta il riconoscimento dei diritti umani, è ovvio. Chi direbbe di essere contento di Mubarak perché non ci si deve preoccupare dei diritti umani? Gli amici egiziani dicono anche che con Mubarak era più semplice perché il risultato delle elezioni si conosceva in partenza, non c'era bisogno di seguirne gli esiti in televisione, addirittura né di andare a votare.
Alle Nazioni Unite mi sono occupato dei rapporti tra l'Unione europea e i Paesi musulmani e della questione legata all'Organizzazione della cooperazione islamica (OCI). In questa fase si può parlare dei diritti umani e della società civile, ma non della parità di genere, che è un argomento molto difficile da trattare anche nella nostra società. Non si può dire a un Paese che sulle questioni di genere è indietro e deve cambiare rapidamente. Come abbiamo visto negli Stati Uniti o nell'Unione europea, in particolare in Francia, ci vogliono anni per ottenere dei progressi.
Per quanto riguarda la Turchia, l'esempio che ha fatto l'onorevole Frattini è interessante. Il giorno dopo quel episodio, ho cenato a Istanbul con il Ministro degli esteri turco, Ahmet Davut, con Rashid Ghannouchi, con Fahmy Howeidy, famoso giornalista egiziano e islamista, e molti altri leader. Ne abbiamo parlato in modo serio, ma anche scherzoso. Nel passato non c'era un termine per indicare la laicità; era considerata l'opposto della religione e, come molti musulmani ritenevano che il nazionalismo degli occidentali fosse sostenuto e imposto per dividerli, allo stesso modo pensavano che gli occidentali imponessero un atteggiamento laico per attaccare la loro religione. A cena si diceva che Erdogan in Egitto era stato accolto come un eroe, ma che la Fratellanza musulmana aveva subito reagito sulla laicità perché pensava alla reazione degli elettori e dei propri membri.
Erdogan non si è reso conto che l'idea turca della laicità non è stata ancora capita dagli egiziani ed è proprio questo che diceva anche Ghannouchi. La Fratellanza musulmana parla di uno Stato civile, in particolar modo Foutouh, ma su alcuni punti i Fratelli musulmani più conservatori smettono di avere una visione integrata. Credo che Erdogan non si sia accorto di questa difficoltà.
È una sfida. È forse una condizione antimoderna o una dimostrazione del fatto che l'Islam non è compatibile con la democrazia? Guardando agli Stati Uniti, si potrebbe pensare che anche il cattolicesimo e il protestantesimo siano incompatibili con la democrazia. Il 46 per cento degli americani cristiani pensa che la legge dovrebbe basarsi sulla Bibbia e più del 50 per cento pensa che i leader religiosi dovrebbero avere un ruolo nella formazione delle leggi. Sapete anche voi quanto conti la destra religiosa, non solo protestante ma anche cattolica, negli Stati Uniti.
Quando ero ragazzo, cattolici e protestanti erano molto divisi, tant'è che alla Corte Suprema non c'erano giudici cattolici. Ora le cose sono cambiate talmente tanto che i cattolici sono in maggioranza. Peggio ancora, sono tutti conservatori senza eccezioni. Quello che mi stupisce, come italo-americano che ha ricevuto una formazione cattolica, è che quando ero un boy scout era difficile anche solo frequentare un posto vicino a una chiesa protestante o entrare in una chiesa protestante, mentre recentemente sono stati nominati due cattolici italo-americani giudici della Corte suprema e i protestanti, la destra e il Congresso sono entusiasti. Fino a qualche decennio fa i protestanti dicevano che non ci si poteva fidare di un cattolico.


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Far comprendere ai turchi o agli egiziani cosa intendiamo per laicità non è facile. Noi abbiamo un'idea positiva della laicità e pensiamo che la separazione tra lo Stato e la Chiesa non sia contraria alla religione. Anche in Turchia, prima che l'AKP arrivasse al governo, promuovere la laicità era considerato un atteggiamento antireligioso. Negli Stati Uniti laicità significa dare spazio sia a chi ha credenze religiose, sia a chi non ne ha, ma è un concetto che ha ancora bisogno di essere elaborato.

PRESIDENTE. Ringrazio gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 9,50.

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