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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
3.
Giovedì 31 maggio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Nirenstein Fiamma, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI OBIETTIVI DELLA POLITICA MEDITERRANEA DELL'ITALIA NEI NUOVI EQUILIBRI REGIONALI

Audizione del direttore della rivista italiana di geopolitica Limes, Lucio Caracciolo, e del consigliere scientifico dell'Istituto Affari Internazionali (IAI), Roberto Aliboni:

Nirenstein Fiamma, Presidente ... 3 8 11 14
Aliboni Roberto, Consigliere scientifico dell'Istituto Affari Internazionali (IAI) ... 3 11
Farina Renato (PdL) ... 10
Pianetta Enrico (PdL) ... 10
Pistelli Lapo (PD) ... 8
Tempestini Francesco (PD) ... 8
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 31 maggio 2012


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FIAMMA NIRENSTEIN

La seduta comincia alle 9,10.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del direttore della rivista italiana di geopolitica Limes, Lucio Caracciolo, e del consigliere scientifico dell'Istituto Affari Internazionali (IAI), Roberto Aliboni.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli obiettivi della politica mediterranea dell'Italia nei nuovi equilibri regionali, l'audizione del direttore della rivista italiana di geopolitica Limes, Lucio Caracciolo, e del consigliere scientifico dell'Istituto Affari Internazionali (IAI), Roberto Aliboni.
L'audizione del direttore Lucio Caracciolo, che purtroppo non è potuto intervenire nella seduta odierna, verrà svolta in un'altra occasione. Saluto quindi e ringrazio per la sua presenza il professor Aliboni, pregandolo di svolgere la sua relazione.

ROBERTO ALIBONI, Consigliere scientifico dell'Istituto Affari Internazionali (IAI). Grazie, presidente. Ringrazio la Commissione per avermi invitato a svolgere queste considerazioni e osservazioni.
Concentrerò il mio intervento sull'impatto degli eventi che noi chiamiamo «primavera araba», e dei loro sviluppi, sul nostro Paese, innanzitutto, e sull'Unione europea. Ho pensato di fare poi qualche osservazione anche sull'influenza di questi eventi su due Paesi molto importanti per la nostra politica estera come la Turchia e la Russia. Non c'è una stretta logica a legare questi quattro elementi, che sono però stati scelti perché hanno un'importanza generale per la nostra politica estera.
Per quanto riguarda il nostro Paese, i cambiamenti che stanno avvenendo - e che, secondo me, continueranno ancora per lungo tempo - nel Nordafrica e nel Levante hanno avuto e hanno un'influenza molteplice.
Menziono innanzitutto l'aspetto più ovvio. In un momento economicamente così difficile per il nostro Paese, considerato che il Mediterraneo, nell'ambito del nostro commercio, è un'area di dinamiche e importanza rilevanti, e che i Paesi del bacino sono fra i nostri partner più importanti, la recessione in cui questi sono più o meno tutti caduti, sta avendo un impatto abbastanza importante sul nostro commercio e sugli investimenti. Penso che su questo sarebbe utile sentire il presidente della Camera di commercio italo-araba, Sergio Marini.
Va rilevato che questa tendenza alla diminuzione dei flussi commerciali e degli investimenti sarà probabilmente abbastanza duratura, anche perché è reciproca; credo quindi che questo sia un punto che deve preoccupare il nostro Governo. Penso che l'idea di nominare un inviato speciale


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per il Mediterraneo e il Medio Oriente sia dettata anche dalla preoccupazione di proteggere gli interessi del nostro Paese, anche in prospettiva futura. Tale preoccupazione è ben evidente nelle politiche bilaterali di tutti i Paesi principali europei: della Francia, del Regno Unito, della Spagna e via dicendo.
L'impatto di questi eventi è importante anche per l'immigrazione, sia legale, sia illegale, non tanto in riferimento a quella proveniente dai Paesi mediterranei, quanto a quella che li attraversa. Quando ci sono state le rivolte, c'è stato un grave problema di contenimento e di controllo dell'immigrazione che veniva da questi Paesi, in particolare dalla Tunisia. Nella misura in cui la situazione di alcuni Paesi continuerà ad essere piuttosto caotica, come in Libia, possiamo immaginare che continueranno ad esserci problemi, specialmente per quanto riguarda l'immigrazione proveniente dal sud dei Paesi mediterranei meridionali.
L'impatto di questa dinamica è destinato ad avere conseguenze rilevanti anche sulla sicurezza interna. È evidente che occorre rispondere preventivamente, con una rafforzamento dell'organizzazione di sicurezza. A ben vedere, questo problema di disordine riguarda soprattutto la prospettiva della Libia e, assai meno, quella della Tunisia, sulla quale interviene la cooperazione internazionale e quella bilaterale coi Paesi europei e con l'Unione europea.
Riguardo alla Libia è tutto molto più problematico, però la questione riguarda, in generale, tutta la fascia litoranea dei Paesi mediterranei perché, come sappiamo, una delle conseguenze dei disordini che la primavera araba ha portato è l'aumento dell'instabilità nella fascia del Sahel, cioè nella fascia dei Paesi a sud di quelli che si affacciano sulla sponda meridionale del bacino mediterraneo. Basta pensare al fatto che, come conseguenza della guerra civile in Libia, la parte settentrionale del Mali è oggi eretta in un nuovo Stato, che si manifesta come uno Stato islamico radicale, fondamentalista. Non è possibile dire se si tratti di una realtà stabile, ma è un indice abbastanza significativo della situazione.
Nell'area, benché l'Algeria resti un Paese molto stabile, evidentemente c'è un problema - non gravissimo, ma certamente pervasivo - di sicurezza energetica, che va ad aggiungersi agli altri appena menzionati.
Continua inoltre ad esistere un problema israelo-palestinese, che oggi sembra confinato nel limbo, e che quasi sembra non esistere più, ma che secondo me tornerà ad emergere non appena in questi Paesi ci sarà una prima stabilizzazione. Questo vale specialmente per l'Egitto, ma si può riferire a tutti i nuovi governi emergenti, in particolare, nei Paesi del Nordafrica: essi torneranno a occuparsi del problema israelo-palestinese, e lo faranno probabilmente con maggiore puntiglio, con una maggiore intransigenza o comunque con delle esigenze e delle richieste più precise di quelle alle quali siamo stati abituati con i regimi che sono caduti.
Infine, l'Italia partecipa del problema che pone il mutamento degli equilibri regionali, con la caduta dei vecchi regimi e con l'emergere dei nuovi, dominati dall'islamismo o dove comunque l'islamismo ha un ruolo più importante che in passato. In buona sostanza, si deve dire che la primavera araba ha messo fine a un lungo ciclo di eventi, cominciato con gli Accordi di Camp David e basato sull'alleanza fra l'Occidente e un numero rilevante di Paesi «moderati» del Mediterraneo e del Medi Oriente. Questa alleanza doveva dare una soluzione al problema israelo-palestinese e invece non l'ha data.
Inoltre, gli Stati Uniti si sono fortemente indeboliti a causa delle guerre condotte durante i due mandati di Bush.
Ciò ha portato a un generale indebolimento della presenza degli Stati Uniti e dell'Occidente e alla sostituzione dei regimi che appoggiavano gli interessi dell'Occidente con regimi che ad esso non saranno necessariamente avversi, ma di cui non appoggeranno gli interessi nello stesso modo. Con la primavera araba


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siamo quindi di fronte a un rivolgimento strategico, di cui oggi stiamo vedendo le prime manifestazioni, e in cui l'Italia verrà giocoforza coinvolta. Non è un problema bilaterale, dato che l'Italia verrà coinvolta insieme agli altri Paesi dell'Occidente e dell'Europa. Occorre però che il Paese si posizioni per tempo di fronte a un rivolgimento che è destinato a cambiare nel profondo le relazioni con il mondo arabo.
Vorrei ora dire qualche cosa sull'impatto di questi rivolgimenti sull'Europa. Com'è attrezzata l'Europa? Credo che anche qui ci sia una discontinuità notevole con il panorama che ci siamo abituati a conoscere negli ultimi vent'anni. In questo contesto, che noi conosciamo come euro-mediterraneo, siamo abituati a vedere i rapporti interregionali o regionali dell'area regolati da una serie di accordi e di intese molto strutturate, che facevano capo specialmente al Partenariato Euro-Mediterraneo. Questa organizzazione dei rapporti euro-mediterranei ha cominciato a indebolirsi già verso la metà degli anni Duemila. C'è stato un tentativo di sostituire all'organizzazione multilaterale dell'area, che il Partenariato Euro-Mediterraneo provvedeva, una Unione per il Mediterraneo a carattere intergovernativo, la quale però, come sappiamo, non è mai decollata.
Ciò è accaduto per diversi i motivi e l'intervento israeliano a Gaza del 2007-2008 è solo uno di essi: ce ne sono di più importanti. Sta di fatto che oggi i rapporti fra l'Europa e la zona del Mediterraneo non hanno più una sponda multilaterale. La Politica Europea di Vicinato non è una politica multilaterale: essa è una politica bilaterale dell'Unione europea, che ha una propria politica con ciascuno dei Paesi del Mediterraneo, laddove essi siano d'accordo ad avere questo rapporto con l'Europa. È una politica di differenziazione, e quindi una politica che, se andiamo a vedere, riguarda oggi pochi Paesi del Mediterraneo a fronte di altri che non l'accettano o non se ne curano.
Abbiamo quindi un'organizzazione dei rapporti euro-mediterranei praticamente solo bilaterale sia dal punto di vista dell'UE sia dal punto di vista dei suoi membri. Mentre sulla politica estera dell'Unione europea prevale assolutamente la politica dei Paesi membri, molte politiche comunitarie hanno subìto un processo di rinazionalizzazione, cioè di riappropriazione da parte degli Stati nazionali membri.
In quest'area c'è, insomma, una prevalenza di relazioni bilaterali rispetto all'organizzazione multilaterale sia perché la dimensione multilaterale è naufragata, sia perché prevale la politica estera dei singoli membri dell'Unione europea. È male o è bene? Esiste una prospettiva di ripresa dei rapporti multilaterali? È difficile dirlo. Questo punto è stato discusso lunedì scorso in un convegno organizzato, sotto il patrocinio del Ministero degli Esteri, dall'Istituto per le relazioni internazionali tra l'Italia e i Paesi dell'Africa, America Latina, Medio e Estremo Oriente (IPALMO) e dallo IAI.
L'idea del Ministro Terzi, come voi sapete - perché ne ha parlato direttamente in Parlamento - è che una ripresa di un rapporto multilaterale fra l'Europa e gli Stati del Mediterraneo possa avere luogo nell'ambito dell'OSCE, l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. Questa ipotesi appare debole a molti e personalmente devo dire che l'esperienza passata suggerisce che i Paesi del sud del Mediterraneo, già quando non erano dei Paesi con un nuovo profilo ideologico e politico emergente - quando erano cioè i Paesi di Mubarak, di Ben Alì eccetera - erano un po' restii ad accettare una collaborazione nell'ambito dell'Unione europea. La collaborazione era praticamente organizzata come un'ospitalità benigna nell'ambito dell'organizzazione UE, ma essi avrebbero preferito un'organizzazione fra pari, che garantisse la loro legittimità e il loro status. Una delle ragioni per cui l'Unione per il Mediterraneo è sorta era questa, ma essa per altre ragioni non ha funzionato. Immagino che i nuovi regimi siano ancora meno disponibili a collaborare con l'Europa per il tramite di un'organizzazione europea; e


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probabilmente, se ci sarà un'organizzazione multilaterale, essa sarà di carattere intergovernativo.
La situazione attuale è comunque tale che le prospettive di un'organizzazione, quale che sia, di cooperazione multilaterale nell'ambito Mediterraneo, sono nel limbo. C'è invece una cooperazione bilaterale che si sta rafforzando, perché la primavera araba sta frammentando il mondo arabo e perché le singole nazioni dell'Unione europea sono soprattutto preoccupate di conservare e conquistare posizioni rispetto a una situazione che sta complessivamente cambiando.
Ci si può naturalmente chiedere se questa organizzazione bilaterale, questo rafforzamento del bilateralismo nei rapporti euro-mediterranei possa portare a una soluzione strategica complessiva. Personalmente credo che nessuno dei principali Paesi europei che oggi sono molto attivi nello sviluppare la loro politica bilaterale nei confronti di questi Paesi - come il nostro: noi abbiamo nominato addirittura un ambasciatore che specificamente si occupa di questa materia - sia in grado di fornire una soluzione complessiva, ma che solo a livello europeo ci possa essere una dimensione tale da offrire una prospettiva strategica, adatta ad attrarre l'interesse e l'attenzione di questi Paesi, oggi, ieri e nel futuro.
Ritengo quindi che preoccupazione del nostro Governo dovrebbe essere, sì, quella di rafforzare la politica bilaterale, perché questo è legittimo ed è importante, specialmente nel breve e medio termine, ma che nel lungo termine sia necessario tornare a occuparsi della politica euro-mediterranea europea. Solo una risposta europea, in sintonia con una risposta degli Stati Uniti e atlantica, può fornire una prospettiva adeguata, altrimenti l'Europa creerà una dinamica di frammentazione dell'Europa stessa.
Credo quindi che la priorità della politica italiana, in questo momento, dovrebbe essere rivolta a una riflessione e a una proposta sia in vista della possibile rivitalizzazione dell'Unione per il Mediterraneo, sia in vista della possibilità di organizzare i rapporti tra organismi multilaterali regionali del nord e del sud.
Nell'ultimo anno ci sono stati dei rapporti inediti fra la Lega araba e l'Unione europea e c'è stato un emergere dell'Unione africana, in questi rapporti. Secondo me questo è un punto sul quale occorrerebbe riflettere.
In questo contesto, molti nuovi attori si stanno affacciando sul Mediterraneo. La Turchia e la Russia sono due attori con i quali l'Italia ha comunque relazioni importanti.
Dal punto di vista italiano, è rilevante la posizione della Turchia, perché si tratta di un importante partner nostro e dell'Unione europea, anche se l'identità della Turchia, rispetto alla UE, si è evoluta e si sta evolvendo rispetto a quattro o cinque anni fa.
Prima della primavera araba, si diceva che la Turchia aveva in Medio Oriente molte più opzioni dell'Europa e questo argomento veniva usato per dire che la Turchia doveva utilmente entrare nell'Unione europea. Secondo me, iniziata la primavera araba, si è visto che questo non era più tanto vero. La Turchia, in fin dei conti, aveva sviluppato un suo discorso di avvicinamento con gli stessi regimi con i quali l'avevano sviluppato i Paesi europei. Quando questi regimi sono entrati in crisi con la primavera araba, in effetti si è visto che il Governo turco ha dovuto fare dei passi indietro e oggi vediamo che, di fronte alla crisi più grave, quella siriana, non sa più bene cosa fare.
Credo che questo imbarazzo sia però interessante, dal punto di vista europeo, perché è certamente un motivo di riavvicinamento fra la Turchia e l'Unione europea. Ci sono le premesse almeno per riavvicinarsi a quell'idea di un partenariato strategico che cinque anni fa la Turchia avversava, rispetto all'opzione di un'entrata diretta nell'Unione europea. Credo che oggi potrebbe essere uno spunto più interessante. Si vedono dei segni, anche nelle diplomazie dei vari Paesi europei, di politiche che vanno incontro a questa ipotesi.


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Non c'è dubbio che la primavera araba ha indebolito e complicato la politica regionale turca e soprattutto che ha esposto con maggiore evidenza una tendenziale competizione fra la Turchia e l'Iran. La Turchia si trova quindi impigliata nella politica della regione, senza avere più un'ipotesi strategica come era l'opzione «zero problemi con i vicini» dell'attuale Ministro degli esteri. Questo la espone a contraddizioni e complica e indebolisce la sua politica.
Nondimeno, secondo me, occorre non dimenticare che la Turchia conserva un forte significato per l'evoluzione politica dell'islamismo nella regione. La Turchia come modello o, meglio, il partito di Erdogan come modello, è un discorso molto serio, specialmente nei Paesi del Nord Africa. Certamente questo modello tende ad essere accettato più dai liberali e dalle tendenze liberali dell'islamismo che non da quelle più conservatrici.
L'evoluzione dipenderà quindi da come andranno le cose, soprattutto in Egitto. Certo, se in Egitto dovesse prevalere una leadership conservatrice dei Fratelli musulmani, il modello turco non sarà molto apprezzato e diventerà più una bandiera dell'opposizione che non un motivo riformatore dello Stato.
Detto tutto questo circa l'impatto della primavera araba sulla Turchia, che come abbiamo visto è un impatto contraddittorio, ma nel cui ambito il ruolo della Turchia resta sempre molto importante, è secondo me della massima importanza, per l'Europa e per l'Italia, avere uno stretto rapporto con la Turchia, mentre questi eventi vanno avanti. C'è un punto che oggi crea problemi, nella vicinanza fra la Turchia e i Paesi europei, in particolare il nostro: la posizione della Turchia nei confronti di Israele.
Io ho sentito il nostro Ministro degli esteri, pochi giorni dopo la sua nomina, fare un discorso a Istanbul, all'annuale Forum italo-turco, in cui Terzi ci tenne a sottolineare con molta forza che questo può essere un elemento di disaccordo e di attrito fra l'Italia - e io suppongo anche i Paesi europei - e la Turchia. Questo punto è rimasto a caratterizzare la politica estera dell'attuale governo. Se la primavera araba andrà avanti, occorrerà chiarire i dettagli.
Spendo poche parole, per concludere, circa l'impatto sulla Russia, che già da tempo ha una tendenza a ritornare nel Mediterraneo. Durante la lunga crisi successiva alla caduta del comunismo, questa tendenza della Russia a interessarsi del Mediterraneo era rimasta sullo sfondo, ma dopo la stabilizzazione, è ovviamente tornata e la Russia ha sempre considerato di avere un diritto di presenza e legittimi interessi culturali e politici nel Mediterraneo, com'è in parte vero, salvo a vedere la sua capacità di promuoverli.
Oggi questa tendenza si concentra nella posizione della Russia sulla Siria. Su questo punto ho visto l'opinione di vari colleghi analisti russi, tra cui, in particolare, Sergey Karaganov. La posizione di questi analisti è di incomprensione e di sorpresa rispetto alla contrarietà occidentale al regime degli Assad. Essi dicono che ciò va contro gli interessi dell'Occidente, perché il regime di Assad, anche molto più del regime di Gheddafi - che pure era considerato tale da molti Paesi occidentali, incluso il nostro - non è un semplice baluardo contro l'islamismo, ma è un baluardo ben istituzionalizzato, con una base laica e secolare molto importante. In particolare, questi nostri colleghi russi fanno notare che la rivolta siriana contro il regime di Assad è una rivolta essenzialmente wahabita, sostenuta non a caso dall'Arabia Saudita e dal Qatar, due Paesi a base chiaramente wahabita, dal punto di vista religioso. Essi li ritengono quindi particolarmente pericolosi. Appoggiare l'ascesa degli islamisti wahabiti in Siria è per loro veramente un grande errore.
Secondo me è chiaro che questi analisti russi risentono molto della loro esperienza cecena, caratterizzata da un'influenza wahabita, o che almeno essi chiamano così. Generalmente noi usiamo la parola «fondamentalista», che per loro è una specie di sinonimo della parola «wahabita». Considerano che occorre contenere l'eventuale caduta di un Paese come la


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Siria nelle mani dei wahabiti, perché questo sarebbe la fine di qualsiasi evoluzione secolare in tutto il Medioriente, e sconvolgerebbe gli equilibri della regione.
Secondo me questa è solo una parte del discorso, che per altro verso è collegato alla posizione di riaffaccio sul Mediterraneo, come dimensione del neo-nazionalismo del governo russo, competitiva con gli interessi occidentali. Questi due elementi, spiegano la posizione russa, che mi sembra destinata a conciliarsi difficilmente con le varie posizioni occidentali.
Sia la Turchia sia la Russia pongono difficoltà all'elaborazione di una posizione occidentale coerente e forte - più la Russia che non la Turchia a dire il vero. Un avvicinamento fra questi paesi e l'Europa nei confronti dei problemi che pone la primavera araba, sarebbe opportuno. Il nostro Paese, che con questi due governi ha ottimi rapporti bilaterali, potrebbe operare per questo avvicinamento. Con questo ho concluso, grazie.

PRESIDENTE. Ringrazio il consigliere scientifico dell'Istituto affari internazionali, Roberto Aliboni.
Do la parola ai deputati che intendano porre domande o formulare osservazioni.

FRANCESCO TEMPESTINI. Volevo innanzitutto ringraziare sentitamente il professor Aliboni, perché la sua relazione, di taglio classico, è stata ineccepibile. È iniziata ponendo in evidenza un tema del quale si parla poco, solo marginalmente e solo in ambiti specializzati, e che invece è assolutamente importante. Dalle poche osservazioni fatte sulla tendenza alla riduzione dei rapporti commerciali e degli investimenti e sulla conseguente previsione che le questioni dell'immigrazione di transito, per i Paesi sulla sponda sud, in particolare la Libia, si ricava infatti, evidentemente, la cifra di una problematica molto importante, che andrebbe maggiormente approfondita; credo che sarà compito nostro farlo.
Se il professore vorrà spendere qualche parola in più in merito nella replica, sarà gradita, perché naturalmente, se le turbolenze della sponda sud (ma anche, purtroppo, dell'area mediterranea dell'Unione europea) non trovano nel Mediterraneo un'occasione, ma trovano al contrario un mare che non conduce a una crescita - per essere molto, molto semplificatori - ne consegue un grande problema di natura strutturale.
Il nostro ospite ha dato poi una serie di pennellate su tanti argomenti, che occorrerà veramente approfondire. Ce n'è uno che lui ha solamente toccato, ma rispetto al quale vorrei conoscere il suo giudizio. Mi riferisco all'evoluzione del Paese leader, cioè dell'Egitto. Lei è in grado, professore, di dirci qualcosa di più in merito? Come può svilupparsi, e verso dove, la politica egiziana? Quanto pesano gli ancoraggi passati e quali sono la situazione attuale e la previsione, per un Paese che ha di fronte a sé sfide di natura economica particolarmente complicate e difficili? Che giudizio dà, fondato nella storia che se ne può ricostruire, del movimento dei Fratelli mussulmani?
L'altro tema che forse il professore non ha affrontato, sul quale invece lo sollecito è questo: si sta aprendo una faglia tra sunniti e sciiti? Quanto questa pesa e quanto può influenzare gli equilibri e gli assetti che si potranno costruire?
Infine, penso che effettivamente, senza un rilancio del multilaterale e comunque senza un rilancio del ruolo dell'Unione europea, i Paesi arabi non avranno interlocutori all'altezza, in grado di vedere soddisfatte le loro esigenze. Noi contribuiremmo quindi a fenomeni di frantumazione. Oggi le politiche occidentali sono ahimè tutte portate sul bilaterale. Mi pare d'aver capito che lei, professore, pensa ad un rilancio dell'Unione per il Mediterraneo. Volevo sentire da lei qualcosa di più in questa direzione. Mi fermo qua, sebbene le domande e le curiosità che lei ha suscitato siano tante.

LAPO PISTELLI. Torno soltanto sull'ultima questione che ha toccato Francesco Tempestini, cioè il tema del rapporto multilaterale/bilaterale tra Europa e Paesi del Mediterraneo, per porre una sola sostanziale


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domanda, un po' argomentata, che è la seguente. Nella revisione degli strumenti di rapporto fra Europa e Paesi del Mediterraneo, in questi mesi, si è riletta molto criticamente anche la lunga esperienza del processo di Barcellona, considerata per certi aspetti troppo ambiziosa, perché destinata a legare assieme questioni economiche, politiche e istituzionali. Essa è poi inciampata sul tema irrisolto del processo di pace israelo-palestinese.
Ci sono stati molto annunci e poca sostanza, sull'Unione per il Mediterraneo che, dal mio punto di vista - questo è un giudizio - è morta bambina. Condivido poi con lei l'idea secondo cui i rapporti che l'Europa ha stabilito con i Paesi del Mediterraneo sono stati, in ultima analisi, nell'ultimo periodo, multilaterali in uscita e bilaterali in entrata, nel senso che l'Europa nel suo complesso aveva rapporti tailored, su misura, per ciascuno di questi Paesi, il che è però stato visto da molti analisti come un fatto positivo, perché teneva conto della specificità di ogni singolo Paese.
Era difficile, non essendo il Mediterraneo la stessa cosa dell'Est europeo, e quindi non avendo bisogno di ricongiungersi all'Europa in un processo di riunificazione, di farne parte, di risvegliare una memoria sopita di istituzioni comuni e di cultura comune, poter offrire la stessa «merce» a Paesi così diversi fra di loro.
Io condivido abbastanza questo tipo di impianto, perché credo che, al di là della grande e giusta fascinazione politica e mediatica che la primavera araba ha avuto in questo anno e mezzo, è ovvio che, andando a grattare la superficie, si trovano storie e specificità nazionali molto peculiari, e quindi difficilmente quei Paesi possono essere destinatari dello stesso tipo di offerta.
In più, aggiungo - e chiudo su questa premessa - che l'Unione europea, con l'espressione «Everything but institutions», nella penultima versione della politica di vicinato, aveva subito messo in chiaro che non vi era e non vi sarebbe stato, neanche nella più lontana delle ipotesi, un approdo al club europeo: tutti gli accordi di associazione possibile, tutte le partnership possibili, ma non le istituzioni. Ecco, nell'ultima riformulazione, quella in corso, l'Europa si è specializzata in acronimi gradevoli all'udito - il programma SPRING, il more for more e via dicendo, siamo insomma bravissimi a inventarci queste formule - ma una delle obiezioni che peraltro l'istituto di cui lei è consigliere ha più volte sottolineato, è stato che il principio del more for more ha una sorta di contraddizione in sé stessa, perché in fondo chiede o propone il «di più», in cambio del «di più», proprio ai Paesi che in realtà si sono messi in movimento da sé, verso la riforma interna.
Abbiamo così sollecitato, da parte loro, l'obiezione secondo cui abbiamo proposto degli aiuti condizionati o dei rapporti condizionati oggi, quando non lo abbiamo fatto in passato, in presenza di autocrazie, mentre non siamo stati in grado di applicare il more for more con Paesi che non hanno avuto alcun processo di riforma interna, sostanzialmente perché non abbiamo né bastoni, né carote da potere mettere sul tavolo del negoziato. Un'obiezione che trovo molto, molto fondata.
Ho chiuso così tutte le premesse e formulo ora la mia domanda. Se noi oggi, non solo non siamo in grado, ma nemmeno vogliamo, perché non ha senso logico, offrire un processo di adesione istituzionale all'Unione europea, un club che ha già enormi difficoltà, e se negli ultimi due anni abbiamo anzi capito - positivamente, secondo me - che i Paesi del Mediterraneo, pur facendo parte della medesima area geopolitica, hanno ciascuno la propria specificità, quale dovrebbe essere il senso ultimo di un rapporto fra multilaterale in entrata e multilaterale in uscita? Cosa abbiamo cioè da offrire, al di là di un generico e anche importante dialogo politico, a questi Paesi, che stanno vivendo fasi così diverse della loro transizione?
Io concordo, da questo punto di vista, lei ne ha fatto un cenno, sul fatto che potrebbe essere occasione di rivitalizzazione della Lega araba, che veniva da


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stagioni di difficoltà pazzesca. Non riesco invece a capire per quale ragione e su quale traccia potremmo noi oggi rivitalizzare un organismo che di fatto non è mai nato qual è l'Unione per il Mediterraneo. In quale formato potrebbe essere allora più utile, e soprattutto per proporre che cosa, in termini multilaterali in entrata e in uscita?

ENRICO PIANETTA. Sarò brevissimo, perché già i colleghi hanno fatto delle considerazioni e delle domande a carattere strategico, per quanto riguarda noi, Italia e Europa, e tutto questo mondo così frastagliato e in grande evoluzione.
È chiaro che tutta la dimensione strategica è quanto mai complessa, in attesa di fatti e di modalità che possano dare un'evoluzione concreta a quell'area, appunto così frastagliata e caratterizzata da Paesi ciascuno con una grande specificità rispetto all'altro. Mi pare che questo sia un passaggio quanto mai complicato per noi, Italia e Europa: non c'è dubbio.
Volevo però a questo punto, in questo mosaico così complesso, affrontare innanzitutto il tema della nuova posizione strategica della Turchia che, indubbiamente, rispetto a quello che poteva essere un neo-ottomanismo - anche se i turchi si offendono quando se ne parla, in ogni caso questa dimensione, questa volontà e questa impostazione di potenza regionale c'erano - mi pare di capire che adesso questa realtà stia cambiando e abbia caratteristiche e modalità diverse. C'è quindi un appeal diverso dell'Europa che forse, fino a uno o due anni fa, era caduto. L'Europa aveva posto tutta una serie di problemi e, a quel punto, la Turchia aveva assunto una sua posizione autonoma, in una prospettiva regionale.
La domanda che le volevo fare è però la seguente. Siccome lei ha parlato della Libia e ha fatto un accenno alla preoccupazione che oggi quel Paese genera, in relazione a una situazione quanto mai frastagliata e difficile, volevo che lei approfondisse un po' di più questa questione, perché credo che, nell'ambito di questo mosaico così complesso, la realtà libica sia un'ulteriore complicazione, un'ulteriore indeterminazione. Gradirei quindi un suo approfondimento in merito.

RENATO FARINA. Intervengo per dare un contributo di notizia. Avevo presentato un'interrogazione alla Presidenza del Consiglio, in particolare, riguardo alla visita del Presidente Monti in Egitto. La risposta che mi è giunta pochi giorni fa dal sottosegretario Staffan De Mistura contiene un dato interessante, che si riferisce proprio all'esposizione che abbiamo ascoltato.
Vi si legge infatti che «nel corso della tappa egiziana, il Presidente del Consiglio si è trattenuto in un colloquio con il Presidente del partito Libertà e Giustizia, nonché candidato tra i più accreditati, Mohamed Morsi. Il Presidente Monti ha rappresentato l'attenzione con cui il Governo italiano guarda alla tutela delle libertà fondamentali, compresa la libertà di religione, esprimendo l'auspicio che nel nuovo Egitto trovino adeguato riconoscimento i diritti fondamentali dell'individuo. Il leader di Giustizia e libertà ha innanzitutto espresso un convinto riconoscimento per l'amicizia dimostrata dal nostro Paese all'Egitto. Morsi ha poi proseguito affermando come le difficoltà economiche, l'instabilità politica, le gravi tensioni sociali e il peggioramento delle condizioni di sicurezza siano inevitabili conseguenze della rivoluzione, destinate a risolversi con la fine del processo di transizione.
Passando poi a considerazioni sullo spazio delle libertà fondamentali ed il ruolo dell'islam politico nel nuovo Egitto, egli ha spiegato come, pur riconoscendo che i Fratelli musulmani fondano la propria dottrina politica sul ruolo chiave dell'islam e sul riconoscimento della sharia come fonte primaria del diritto, alla stregua di quanto già peraltro prevede la vigente Costituzione egiziana, la visione della fratellanza guarda ad uno stato civile, che per nessuna ragione mai si potrà tramutare in uno Stato teocratico. Nelle parole di Morsi, l'obiettivo è quello di portare in Egitto un sistema simile a quello turco, che preveda la netta separazione dei poteri esecutivo, legislativo e


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giudiziario, e un Governo che sia l'espressione del partito di maggioranza in Parlamento».
Questa è un'affermazione fatta solennemente al nostro Presidente del Consiglio, che esprime una visione «turca» dell'ordinamento dello Stato. Che poi questo corrisponda a un progetto reale e non al gioco diplomatico delle parti, ce lo dirà il futuro.

PRESIDENTE. Do ora la parola al professor Aliboni per la replica.

ROBERTO ALIBONI, Consigliere scientifico dell'Istituto affari internazionali (IAI). Mi pare che ci siano stati due accenni all'Unione per il Mediterraneo e, più in generale, a quale tipo di organizzazione si possa immaginare per il futuro dei rapporti fra l'Europa e i Paesi mediterranei.
L'onorevole Pistelli ha messo in rilievo il fatto - giustamente, secondo me - che l'organizzazione alla fine prevalsa in questi rapporti, cioè la politica europea di vicinato, è in fondo un'organizzazione funzionale, di tipo hub and spoke. Io sono abbastanza d'accordo con lui. Secondo me non c'è una via d'uscita e tutta l'esperienza che abbiamo fatto, indipendentemente da vecchi e nuovi regimi, suggerisce che un rapporto multilaterale con questi Paesi non riesce ad affermarsi, specialmente dal punto di vista della cooperazione politica e della cooperazione nel campo della sicurezza. Questo perché, sin dal momento in cui il partenariato euro-mediterraneo fu fondato, fu chiaro che c'era una forte contraddizione fra la visione dell'Unione europea, che guardava al partenariato euro-mediterraneo principalmente come a un presidio della propria sicurezza e il desiderio dei partner che avrebbero invece voluto che fosse un presidio anche per la loro sicurezza.
Le riforme che il partenariato euro-mediterraneo intendeva promuovere erano, innanzitutto, un modo per stabilizzare e democratizzare i Paesi dall'altra sponda e renderli - così si pensava - dei partner e, come prevedeva poi la strategia di Solana del 2003, un cerchio di Paesi ben governati che sarebbero stati dei nostri amici per un'organizzazione stabile della sicurezza europea. Il partenariato euro-mediterraneo che l'Europa ha proposto per i rapporti euro-mediterranei è un'organizzazione che nasceva quasi esclusivamente in funzione di una politica di sicurezza dell'Europa.
A questo i Paesi arabi hanno sempre obiettato che, se tale partenariato tendeva in questo modo ad assicurare la sicurezza europea o, comunque, a preoccuparsi di essa, non si preoccupava invece minimamente dei problemi di sicurezza e delle percezioni di sicurezza dei Paesi arabi, perché sostanzialmente non si occupava del conflitto arabo-israeliano. Tali Paesi dicevano che l'Europa pensava alla propria sicurezza, ma non alle loro priorità di sicurezza e che il loro interesse a partecipare a questa impresa, pur per molti aspetti rilevante, non poteva portare a una vera e propria cooperazione politica.
Il problema di un rapporto - come dice l'onorevole Pistelli - in cui entrata e uscita siano multilaterali, resta da definire, perché non è mai stato affrontato compiutamente. A mio modo di vedere, questo problema dei rapporti multilaterali si pone in principio, ma bisogna ancora dargli una risposta e oggi dobbiamo riflettere in merito. Io credo che il principale interesse dell'Unione europea ad avere un rapporto multilaterale, non risieda tanto e solo nel fatto di organizzare in un modo efficace e produttivo i rapporti con quei Paesi. Se l'Unione europea non riesce a dare un profilo multilaterale all'organizzazione dei rapporti con i Paesi del Mediterraneo, questo si rifletterà negativamente sulla sua stessa identità politica. Ciò farà sì che, invece di nascere ed essere incentivata una politica comune e di sicurezza europea, almeno in questa regione, siano favoriti i rapporti bilaterali dei suoi membri, il che, in fondo, è quello che sta già accadendo.
In questo senso il problema è importante.
Attualmente non c'è la percezione che un rapporto multilaterale con questi Paesi, o almeno l'idea di esso, sia così lontano. Tutti quanti sono convinti che le cose


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continuino ad andare avanti nel modo in cui sono andate avanti nel passato, ma non è vero: oggi ci sono solo dei rapporti bilaterali. Ripeto, specialmente dal punto di vista pratico, i rapporti bilaterali non sono un male, ma sono la cosa giusta da fare, oltre ad essere anche la cosa che questi Paesi vogliono. Dal punto di vista europeo, è però importante avere dei rapporti multilaterali. Nella prospettiva attuale, io credo che il problema, per gli europei, si ponga soprattutto da un punto di vista molto generale, nel capire se ci sia divergenza, fra i vari Paesi dell'area, e nel trovare, possibilmente, un'area di convergenza. In questo senso, io credo che la possibilità di iniziare una conferenza diplomatica, in qualche modo vicina alla Conferenza sulla sicurezza e sulla cooperazione in Europa (CSCE), sia la soluzione giusta. Non deve essere cioè un'organizzazione che inizi con un'agenda prestabilita, ma una conferenza con il compito di capire dove stiano le convergenze, se ci siano, e dove stiano le divergenze.
È chiaro, però, che questa iniziativa deve essere molto aperta. Credo che l'era euro-mediterranea, strettamente parlando, sia finita e che, per riprendere un certo discorso, occorra tenere presente delle realtà, fra cui il fatto che non è possibile avere dei rapporti speciali solo con i Paesi mediterranei, perché ciò non ha molto significato, specialmente dal punto di vista strategico. Bisogna avere rapporti con i Paesi mediterranei, ma anche con i Paesi del Golfo, senza dimenticare che esiste l'Iraq, e cercare di arrivare a qualcosa di magari meno formale e strutturato dei policy framework del passato, ma che rifletta la realtà della situazione.
In questo contesto, l'Unione per il Mediterraneo ha un senso se si pensa semplicemente ai principi astratti. È vero cioè che i Paesi del sud del Mediterraneo non ne sono mai stati contenti e che i nuovi regimi difficilmente accetterebbero di essere ospiti in una casa europea. Semmai si dovrà trattare di una casa comune, ma è vero anche che il loro interesse a questa casa comune, secondo me, è piuttosto relativo. Il principale motivo per cui l'Unione per il Mediterraneo non riprende il suo cammino è che, a parte due o tre Paesi - tra cui il Marocco e, forse, la Tunisia - gli altri non sono assolutamente interessati. Non bisogna neppure dimenticare che, sia pure da un punto di vista simbolico, l'Unione per il Mediterraneo, avendo avuto per co-presidente Mubarak, è per questi Paesi qualcosa che fa parte dell'ancien régime, e pertanto non è molto amata. Esiste poi tutta una serie di altri motivi sui quali, se la Commissione riterrà di fare un'audizione sull'Unione per il Mediterraneo, si potrà allora entrare nei dettagli.
Nell'Unione per il Mediterraneo c'è un'idea di cooperazione economica abbastanza interessante, ossia quella dei grandi progetti, sulla quale è però necessario fare una riflessione, soprattutto in termini di coordinamento. Ormai l'area del Mediterraneo è coperta dal processo di Deauville, abbastanza articolato, che è un normale processo di cooperazione internazionale.
Nel corso degli ultimi vent'anni, l'Unione europea ha cercato in tutti i modi di evitare che le grandi organizzazioni internazionali prendessero praticamente il posto della Commissione europea nella cooperazione. A questo punto si può dire che essa non c'è riuscita. A cominciare dal processo di Deauville.
Come si colloca una Unione per il Mediterraneo per grandi progetti, che non ha soldi, che non ha dietro di sé una coesione politica, rispetto non solo al processo di Deauville, ma anche al fatto che la Banca europea degli investimenti si interessa adesso molto profondamente del Mediterraneo e che la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo è entrata nel Mediterraneo?
La cooperazione economica è molto importante; oggi forse è la più importante, perché è chiaro che, se queste transizioni democratiche continuano ad avvitarsi nella crisi sociale ed economica, non ci sarà nessuna democrazia. Questa Unione per il Mediterraneo, anche nella parte in cui resta positiva (il segretariato che sta a Barcellona), ha oggi però molti concorrenti. Allora, o c'è una volontà specifica di


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trovarle uno spazio e dei finanziamenti, oppure non ha modo di sopravvivere.
Verso quali Paesi, chiedeva l'onorevole Tempestini, dovrebbe orientarsi l'Italia, nella sua politica bilaterale? Io credo che il problema principale dell'Italia, veramente difficile, sia quello di assicurare il suo rapporto con la Libia. Questo Paese è un tipico caso nel quale la cooperazione internazionale avrebbe dovuto assicurare, con o senza successo, un processo di nation building, ma invece è stato il primo caso in cui, a livello internazionale, si è rinunciato a tale processo. Forse è una soluzione saggia, perché i processi di nation building non hanno avuto un grande successo, se non parzialmente nel Kosovo, ma certo non in Afghanistan eccetera.
È però vero anche che, se in Libia non esistono, forse a ragione, una cooperazione internazionale e un nation building, vi si stanno manifestando tutti i semi della frammentazione, a cominciare da un conflitto a cui nessuno pensava prima della crisi, cioè quello fra berberi e arabi, un conflitto grave, perché in Libia i berberi sono risultati militarmente ben organizzati.
Verso la Libia noi abbiamo degli interessi, come sappiamo, molto importanti, e credo che la nostra diplomazia bilaterale, in qualche modo, debba concentrarsi su questo Paese. Penso che sia importante anche l'interesse dell'Italia verso l'Egitto, l'Algeria e la Tunisia. Anche negli altri Paesi - adesso non parlo di Israele, che considero fuori dalla primavera araba - ci sono degli interessi, come ho detto, perché il Mediterraneo è un'area di rilevante interesse per l'Italia, ma credo che questi tre o quattro siano i punti di concentrazione obbligati della nostra diplomazia.
Continuando sulla Libia, mi è stato chiesto quale sia la situazione oggi. Francamente io ho difficoltà ad azzardare qualche pronostico su questo Paese. È possibile che, fra tutte le varie tendenze che si sono manifestate - territoriali, tribali, etniche - ci sia alla fine un compromesso, che io non credo sia del tutto improbabile, ma che evidentemente sarà molto debole e credo troverà difficoltà ad essere sostenuto anche dagli altri Paesi arabi, perché la Libia è stata e rimane un Paese marginale e non molto amato, nel mondo arabo.
Durante la crisi c'è stato un interesse da parte del Qatar e dell'Arabia Saudita, ma sappiamo che è un interesse - scusate il pasticcio - interessato. L'Arabia Saudita e il Qatar hanno appoggiato e continuano ad appoggiare i movimenti di rivolta, infatti, non per una transizione alla democrazia, ma per un predominio delle correnti islamiste e, possibilmente, di quelle più in sintonia con loro (non i Fratelli musulmani, forse i salafiti un po' di più). Io credo quindi che questo Paese sia oggi veramente un enigma. Occorre stare vicino, tessere il maggior numero di rapporti possibile. Oggi noi abbiamo una visione del Paese più aperta, mentre in precedenza gli unici rapporti con la Libia facevano capo al solo Gheddafi, addirittura a Gheddafi personalmente. La Libia è però molto più grande.
Vorrei aggiungere, per concludere, che io non credo che la tendenza tribale libica debba essere considerata come una vera e propria divisione del Paese in tribù. Queste ci sono, però nel Paese c'è stata una forte evoluzione sociale e molti membri delle tribù vivono in territori completamente diversi da quelli dove ha sede la loro tribù e sono delle persone molto spesso urbanizzate. Credo quindi che ci sia un potere tribale solo fino a un certo punto, sebbene ci siano un'influenza tribale e chi cerca di avvalersi strumentalmente delle tribù per acquisire potere. Detto questo, comunque, è chiaro che la Libia è un Paese sul quale bisognerebbe esercitare una sorveglianza, non solo da parte dei singoli Paesi, ma anche comune, per sapere prevedere oggi, un po' meglio di quanto è successo nel passato, eventuali nuove crisi, che potrebbero facilmente esserci.
Per quanto riguarda l'Egitto, io non farei, né sono in grado di fare, un discorso sulle varie correnti dei Fratelli musulmani. Mi limito ad osservare che, fino a un certo punto, nella complessa e tortuosa transizione in corso in Egitto, sembrava che i


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Fratelli musulmani fossero consapevoli, un po' come lo è stato Ennahda in Tunisia, di dover limitare il loro ruolo, per rendersi più credibili e anche per avere degli alleati di fronte a un compito di governo che si manifesta come molto complicato. Non mi pare che lo abbiano fatto.
Quando saranno al governo, i Fratelli musulmani non avranno un compito di facile successo, ma anzi molto difficile. Perciò, come ha fatto giustamente Ennahda in Tunisia sembravano essersi ragionevolmente avviati verso una posizione bilanciata. In particolare, avevano preso la maggioranza nel Parlamento, ma non volevano prendere la Presidenza, che in Egitto è fortemente esecutiva.
Su questa base, l'esponente dei Fratelli musulmani el-Foutouh, certamente moderato e liberale, era stato addirittura espulso dalla Fratellanza musulmana perché si era voluto candidare. A un certo punto questa cosa è però cambiata. Credo sia avvenuto quando le ali liberali hanno voluto assicurare il loro impatto nella composizione della Commissione costituzionale. Per accordo abbastanza diffuso, essa doveva essere composta da elementi provenienti dalla società civile. I liberali hanno avuto paura che questo principio portasse a una commissione con una rappresentanza dei Fratelli musulmani più forte di quella da loro desiderata e hanno portato davanti alla giustizia una serie di provvedimenti che stabilivano come la Commissione costituzionale dovesse essere composta, chiedendo che fossero dichiarati illegittimi. Una corte amministrativa ha dato loro ragione e il risultato è stato che la costituzione di una nuova Commissione costituzionale è stata praticamente rinviata alle calende greche, e tutt'oggi non è in funzione. In realtà, era importante che la Commissione costituzionale finisse il suo lavoro prima delle elezioni presidenziali, in modo da stabilire quali fossero i poteri del Presidente, ma non l'ha potuto fare.
Oggi ci si trova con un candidato dei Fratelli Mussulmani alla Presidenza, Morsi, che rappresenta la tendenza più convenzionale dei Fratelli, e che, se la costituzione non cambia, avrà tutti i poteri che aveva Mubarak. Resta da vedere quali altre giravolte avrà la caotica transizione egiziana e quale sarà il ruolo dei militari del Consiglio supremo.
Detto questo, forse i timori riguardo la Fratellanza Mussulmana sono esagerati. Mi è molto piaciuto il giudizio che ha espresso il Presidente Monti quando, andandosene via dall'Egitto, dopo avere parlato con loro, ha detto che questi Fratelli musulmani sono una normale espressione di interessi e obiettivi conservatori. Non so se fosse un understatement, però potrebbe essere. Se così fosse, allora forse anche Morsi andrebbe bene. Non c'è però solo il problema di Morsi, c'è anche quello dei militari e del ritorno a un regime simile nella sostanza a quello del passato.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Aliboni, anche a nome della Commissione, per l'interessante e articolata relazione; mi sembra che la discussione sia stata molto proficua.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 10,30.

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