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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
8.
Mercoledì 14 novembre 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Narducci Franco, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI OBIETTIVI DELLA POLITICA MEDITERRANEA DELL'ITALIA NEI NUOVI EQUILIBRI REGIONALI

Audizione del segretario generale della Camera di commercio Italo-Araba, Sergio Marini:

Narducci Franco, Presidente ... 3 7 8 10 11
Barbi Mario (PD) ... 7
Corsini Paolo (PD) ... 8
Marini Sergio, Segretario generale della Camera di commercio italo-araba ... 3 9 10
Mecacci Matteo (PD) ... 7
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Autonomia Sud - Lega Sud Ausonia - Popoli Sovrani d'Europa: Misto-ASud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 14 novembre 2012


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FRANCO NARDUCCI

La seduta comincia alle 14,10.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del segretario generale della Camera di commercio Italo-Araba, Sergio Marini.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli obiettivi della politica mediterranea dell'Italia nei nuovi equilibri regionali, l'audizione del segretario generale della Camera di commercio italo-araba, Sergio Marini.
Ringrazio il dottor Marini per la cortese disponibilità a intervenire ai nostri lavori, sottolineando che ricorre quest'anno il quarantesimo anniversario dell'istituzione della Camera di commercio italo-araba. Con l'audizione del dottor Marini la nostra indagine conoscitiva inizia l'approfondimento delle relazioni economiche nella regione mediterranea.
Do quindi la parola al dottor Marini per lo svolgimento della relazione.

SERGIO MARINI, Segretario generale della Camera di commercio italo-araba. Ringrazio il presidente e i membri della Commissione per questo invito.
L'Europa è stata colta di sorpresa dalle rivoluzioni in Nord Africa, che presso di noi vanno comunemente sotto il nome di «primavera araba». La crescita costante e abbastanza sostenuta del prodotto interno lordo dei partner mediterranei, l'apertura agli scambi, l'attrazione crescente di investimenti diretti esteri, non disgiunti dalla volontà di credere nei risultati della politica euro-mediterranea, avevano fatto sottovalutare una serie di cause sociali ed economiche che a posteriori è più facile riconoscere.
Tali cause occorre che siano considerate con attenzione, insieme agli aspetti culturali e politici che la Commissione ha già approfondito, per orientare gli obiettivi di politica mediterranea dell'Italia, obiettivi inevitabilmente subordinati alla politica regionale dell'Unione europea, che fino a oggi non ha purtroppo visto un'azione concordata e congiunta dei Paesi dell'arco mediterraneo che valesse a modificarla, ma prevalentemente iniziative isolate, in un caso troppo ambiziose per essere effettivamente condivise e adeguatamente sostenute dall'intera Europa e in un altro pericolosamente estemporanee (quanto meno questo è il giudizio di molti rispetto all'iniziativa Sarkozy).
Certo, non è facile dopo cinquant'anni di successivi e più o meno gravi insuccessi (politica mediterranea, nuova politica mediterranea, politica mediterranea rinnovata, processo di Barcellona, politica di vicinato, Unione per il Mediterraneo) proporre un nuovo modello credibile per i partner mediterranei profondamente delusi dai precedenti esercizi - questa delusione


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è palpabile nei rapporti che ho con i diversi esponenti di questi Paesi -, per di più in una situazione di transizione dei Paesi della riva sud e di debolezza delle economie dei Paesi della riva settentrionale del Mediterraneo.
Tra le ragioni economiche che hanno portato alle sollevazioni in Tunisia e in Egitto, una prima causa è connessa all'instabilità derivante dall'inserimento in un'economia globalizzata e risiede nell'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari di base che, per quanto in parte sovvenzionati, sono cresciuti del 15 per cento in tre mesi, quando oltre un quinto della popolazione ha un reddito inferiore a 2,4 dollari al giorno.
Una seconda causa riguarda l'esclusione di una gran parte dei giovani, soprattutto dei più istruiti, dal lavoro e dalla partecipazione civile, esclusione che coinvolge anche il genere femminile, non a caso fortemente attivo nella rivolta.
Una terza ragione è relativa alla grave disparità territoriale, poiché allo sviluppo delle città e della fascia costiera ha corrisposto un impoverimento delle zone interne e della campagna. Un'altra causa, infine, percepita come un'ingiustizia anche dai ceti medi, riguarda il funzionamento del mercato, del mercato del lavoro, delle banche e - in breve - la corruzione e la connivenza tra gruppi di imprenditori e potere politico, che ha determinato un'enorme e progressiva sperequazione.
La crescita delle disuguaglianze, dell'esclusione e della corruzione economica hanno progressivamente eroso ogni possibilità di consenso. Parallelamente, le rivendicazioni di libertà, dignità e uguaglianza diffuse attraverso i social network sono state alla base delle rivolte in Tunisia come in Egitto. La diffusione di Internet è cresciuta moltissimo in questi Paesi e tocca oggi circa il 30 per cento della popolazione.
Il quadro macroeconomico di entrambi i Paesi è relativamente favorevole: il deficit di bilancio è moderato; le riserve valutarie corrispondono a cinque mesi di importazioni; il rapporto fra debito e prodotto interno lordo è inferiore alla metà della media europea; l'inflazione è a una cifra; il tasso di disoccupazione è intorno all'11 per cento. Forse è un poco sottostimato, ma questi sono i dati forniti dalle diverse organizzazioni.
Vi sono però tutte le difficoltà di una transizione da un modello autoritario a un modello democratico, con i costi a breve termine che la transizione produce: l'abbassamento della produzione e dell'occupazione, l'aumento dell'inflazione e del deficit di bilancio, la contrazione del turismo, la diminuzione degli investimenti diretti esteri e dei relativi progetti nonché la fuga dei capitali, fenomeni questi che abbiamo osservato, ad esempio, per tutti i Paesi dell'Europa centrale e orientale.
Il rallentamento della crescita a breve termine dei Paesi toccati dalle sollevazioni e la situazione della Libia e della Siria influiscono parzialmente anche sugli altri Paesi dell'area, per i quali le stime prevedono un tasso di sviluppo sensibilmente inferiore a quello che ha preceduto la crisi finanziaria internazionale del 2008.
I Paesi arabi del Mediterraneo hanno conosciuto un ventennio di crescita sostenuta, con tassi aumentati nel decennio 2000-2010 rispetto a quelli del decennio precedente. Solo l'Algeria in questo secondo decennio ha avuto un tasso medio di sviluppo di poco inferiore al 4 per cento, mentre Tunisia, Marocco e Libano si sono collocati intorno al 5 per cento e tutti gli altri sopra questa soglia. Non sono stati però risolti i punti deboli dell'economia dei partner mediterranei, in primis quello della partecipazione al lavoro.
La popolazione degli otto Paesi arabi del Mediterraneo è aumentata del 18 per cento nel periodo, da 166 a 196 milioni; la forza lavoro è aumentata del 26 per cento e il rapporto tra forza lavoro e popolazione è marginalmente cresciuto dal 30,8 al 32,9 per cento, ma il tasso di disoccupazione è diminuito soltanto in alcuni dei Paesi considerati, rimanendo compreso tra l'8 e il 14 per cento, malgrado la presenza di flussi migratori. Gran parte dei lavoratori è sotto impiegata. Il tasso di partecipazione delle donne è bassissimo e non è aumentato. La disoccupazione ha inoltre


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colpito in misura crescente le giovani generazioni e in particolare la fascia più scolarizzata.
Negli ultimi anni la crescita economica dei Paesi arabi del Mediterraneo è stata rallentata prima dalla crisi del petrolio, che peraltro è rientrata abbastanza rapidamente, poi da quella finanziaria, che ha ridotto sensibilmente la domanda dei Paesi industrializzati, verso i quali si rivolge prevalentemente l'export dei Paesi arabi del Mediterraneo, nonché la loro disponibilità a investire e fare viaggi all'estero, comprimendo quindi il turismo.
Un altro punto critico è stato il prezzo internazionale elevato della maggior parte delle materie prime e dei prodotti alimentari. Il mix ha colpito in misura diversa i vari Paesi, ma per tutti ha comportato un calo della crescita, che è rimasta a buoni livelli solo in Algeria, mentre in Libia e Siria si è aggiunta la guerra ad aggravare una congiuntura economica sfavorevole.
Nel 2010 la crescita è scesa al 2,3 per cento in Giordania, al 3 per cento in Tunisia, al 3,7 per cento in Libia e in Marocco; in tutti i casi molto al di sotto della media del decennio precedente. La situazione si è aggravata nel 2011 con la crisi libica, che ha subito un meno 60 per cento, con il forte rallentamento della crescita in Egitto, che è arrivata all'1,8 per cento, e con il totale arresto della crescita in Tunisia.
La ripresa prevista nel 2012-2013 riguarderà il solo Marocco, che tornerà ai livelli di crescita del decennio precedente, mentre la ricostruzione - situazione politica interna permettendo - dovrebbe far crescere fortemente la Libia. Per la Siria non è oggi possibile fare alcuna previsione.
Il Fondo monetario internazionale sottolinea il miglioramento della situazione interna dei vari Paesi arabi, ma anche il perdurare delle criticità esterne con riflessi notevoli sull'export, sul turismo, sugli investimenti diretti e quindi sulle bilance commerciali - non essendo possibile comprimere le importazioni - e sulle partite correnti, con conseguente elevato livello di finanziamenti esterni necessari a finanziare il deficit di bilancio e delle partite correnti, ad eccezione di Algeria e Libia.
L'Italia intrattiene legami commerciali ed economici molto rilevanti con i Paesi arabi del Mediterraneo, che nel 2010 assorbivano il 4,7 per cento delle nostre esportazioni e dai quali veniva nello stesso anno quasi l'8 per cento del nostro import. La specializzazione dell'export italiano, misurata come rapporto tra l'export verso quest'area e quello verso il mondo, è in assoluto la più elevata e cresce dal 5 per cento nel 2001 fino a un massimo del 7,8 per cento nel 2009, distanziando la Francia, che è in seconda posizione, e di gran lunga tutti gli altri Paesi. La Germania si colloca, ad esempio, intorno al 3 per cento, valori inferiori alla metà di quelli italiani.
Al di fuori dell'Unione europea i Paesi arabi sono i nostri primi clienti. Questo dimostra quanto conti la polarizzazione regionale anche in un contesto di economia globalizzata, benché vada considerato come i costi di internazionalizzazione in aree più lontane siano difficilmente sostenibili dalla piccola e media impresa, cioè dalla parte più rilevante del nostro sistema industriale.
Nel decennio 2001-2010 le due correnti di scambio sono fortemente cresciute. Le nostre esportazioni sono aumentate del 92,7 per cento, a fronte di un 23 per cento della nostra crescita globale, e le importazioni sono aumentate del 70 per cento, a fronte di un 39 per cento globale. Dai Paesi arabi e in particolare da quelli mediterranei proviene una quota sostanziale del nostro fabbisogno di greggio e di gas (49 per cento dai Paesi arabi e 35,9 per cento dai soli Paesi del Mediterraneo).
L'area è poi stata scelta da un numero abbastanza rilevante di imprese italiane, che vi hanno effettuato investimenti diretti da sole o insieme a investitori locali. Numerosissimi sono gli investimenti in Tunisia (oltre settecento), ma sono rilevanti anche quelli in Marocco, Egitto, Libia e Algeria.
Nei primi sei mesi di quest'anno si registra un netto miglioramento delle nostre esportazioni verso l'insieme dei Paesi arabi: più 12,8 per cento rispetto a un più


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2,7 del primo semestre dell'anno scorso, conclusosi addirittura con un arretramento in valore di meno 2,3 per cento. Si tratta di una crescita nettamente superiore - quasi tripla - a quella complessiva del nostro export, che è stata del 4,2 per cento.
La crescita si è verificata in tutti i Paesi del Nord Africa, con la sola eccezione del Marocco. In Libia, a fronte di un meno 65 per cento del 2011, si registra addirittura un aumento del 183 per cento. L'arretramento riguarda soltanto la Siria (meno 67 per cento) e il Libano (meno 4,7 per cento) per le note condizioni dei due Paesi. Verso i sei Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo si è realizzato un aumento del 18,5 per cento, che segue quello pur rilevante del 21,4 ottenuto nel 2011.
Nei Paesi del Mediterraneo siamo tra i principali partner commerciali sia come clienti (al primo posto della relativa graduatoria in Libia ed Egitto, al secondo in Algeria, Tunisia e Siria) sia come fornitori (secondi in Tunisia, Libia e Libano, terzi in Algeria, quarti in Egitto, Marocco e Giordania). Complessivamente siamo i primi in assoluto per interscambio, che vale circa 44 miliardi di dollari, e superiamo nettamente la Francia, che è intorno a 37 miliardi, gli Stati Uniti e la Cina, che è intorno a 26 miliardi di dollari.
Altri aspetti delle relazioni bilaterali son quelli dell'emigrazione e, collegata ma indipendente, della sicurezza. L'immigrazione, che ha assorbito in questi anni l'attenzione dei media più di ogni altro tema, proviene in parte e soprattutto transita dai Paesi della sponda sud del Mediterraneo. La sicurezza è tornata prepotentemente alla ribalta con la vicenda libica, ma interessa l'Italia in maniera abbastanza strutturale a partire dall'11 settembre 2001.
L'attenzione specifica ai Paesi mediterranei è stata in questi anni inferiore al peso, economico e non, che essi hanno per noi. In parte ciò è dovuto al fatto che le relazioni economiche esterne sono in larga misura demandate all'Unione europea, la quale, dopo aver promosso nel lontano 1995 un'unione doganale asimmetrica a favore dell'Europa e a oggi neppure completata, si è sostanzialmente data altre priorità, in primis l'est europeo, privilegiando le aree che presentavano un maggiore interesse per i membri del centro Europa piuttosto che per noi o per gli altri Paesi europei del Mediterraneo.
La politica che gli specialisti europei del Mediterraneo proponevano era quella del co-sviluppo, ma essa non è stata mai adottata dall'Unione europea, il cui interesse per l'area è andato scemando nel tempo. Riproporla oggi, in un periodo di forte crisi e di mancanza di identità di un'Europa sempre più ripiegata su se stessa è certamente difficile, ma è anche per noi del tutto necessario.
Certo, tutti i tentativi vanno fatti in sede europea per rimettere al centro dell'attenzione il tema del rapporto con i Paesi arabi, in primis quelli del Mediterraneo, ed evitare che la primavera araba e lo sconvolgimento degli assetti precedentemente consolidati si tramuti in una divaricazione permanente tra le due aree, oltre a provocare un'interruzione del pur insufficiente trend di sviluppo che era in atto nei Paesi mediterranei fino al 2010.
Quello che a breve forse si può fare è un intervento bilaterale più modesto, che sostenga le nostre imprese e ne incentivi il coinvolgimento nei Paesi arabi, in particolare promuovendone gli investimenti diretti in quelle zone. Per questo andrebbero rafforzati gli strumenti bilaterali: linee di credito alle joint venture, creazione di task force bilaterali per promuovere e assistere gli investitori esterni e interni, garanzia pubblica dell'investimento, partecipazione anche pro tempore, ma con termini più lunghi di quelli attuali, al finanziamento dell'investimento eccetera.
Va notato che il sostegno all'investimento costa meno del sostegno all'export e che gli investimenti sono oggi certamente il principale motore della crescita degli scambi. Per il Paese ospitante ciò produce un effetto positivo maggiore e più duraturo di quanto non faccia il finanziamento di un'opera pubblica. Un intervento di questo tipo può facilitare anche la sopravvivenza di piccole e medie imprese italiane oggi schiacciate dalla crisi interna.


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In conclusione, credo che la politica mediterranea dell'Unione europea dovrebbe sostituire alle relazioni bilaterali che l'hanno improntata, soprattutto negli ultimi anni, una politica regionale finalmente estesa al Mediterraneo allargato. Consideriamo, ad esempio, che a partire dal 2005 - è un dato forse non molto noto - i maggiori investitori nell'area del Nord Africa sono stati i Paesi del Golfo, che hanno sopravanzato di gran lunga l'Europa.
Come dicevo, occorrerebbe una politica regionale finalmente estesa al Mediterraneo allargato che, non ponendo in primo piano il tema della sicurezza europea, dell'immigrazione e della protezione del mercato interno, in particolare di quello agricolo, ne consideri diversità, valenze, complementarità e interdipendenze, puntando anche a una cooperazione finanziaria con i Paesi del Golfo e intervenendo sulle principali criticità dell'area, dalla questione palestinese al problema siriano, a quello dell'Iran, al sostegno della transizione democratica, con particolare attenzione a uno sviluppo che generi occupazione, a una corretta redistribuzione, a una formazione realmente orientata al lavoro.
Per l'Italia, oltre a un'azione più determinata in seno all'Europa, credo che rispetto ai tre settori principali che possono sostenere la transizione e creare uno sviluppo durevole nei partner mediterranei, cioè agricoltura, turismo e creazione di impresa, convenga, stanti le caratteristiche del nostro sistema industriale, puntare soprattutto sulla creazione di piccole e medie imprese non attraverso forme assistenziali, che fino a oggi hanno prodotto risultati modesti, ma mediante un'incentivazione delle attività delle nostre piccole e medie imprese, promuovendo la loro aggregazione e concedendo un credito industriale e un'assicurazione del rischio, affinché, sia direttamente sia attraverso la creazione di società miste, contribuiscano alla creazione di posti di lavoro e a un miglioramento delle condizioni di base di quei Paesi.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Marini per questa ampia illustrazione.
Vorrei porle una prima questione. Vorrei sapere come giudica l'ipotesi di una banca euro-mediterranea per lo sviluppo e se, a suo parere, l'ampliamento del mandato della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) può andare in quella direzione o è invece qualcosa di irrealizzabile.
Do quindi la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MATTEO MECACCI. Vorrei porre due semplici domande per integrare le molte informazioni che ci sono state fornite Lei ci ha parlato della situazione peculiare, derivante da fattori politici e sviluppatasi di recente, che riguarda il Nord Africa, ma tra i Paesi arabi ci sono anche i Paesi dell'area del Golfo. L'aumento abbastanza significativo delle nostre esportazioni che si registra nel primo semestre deriva dalla regione del Golfo o dal Nord Africa?
Inoltre, mi pare che abbia stimato in 44 miliardi di dollari l'interscambio. Vorrei sapere quale sia la bilancia commerciale tra export e import in particolare con i Paesi del Golfo, che immagino siano un punto di riferimento nelle importazioni di risorse energetiche.
Quanto incide questo sulla nostra bilancia commerciale con la regione?

MARIO BARBI. Attraverso la sua relazione, accompagnata anche da un prospetto basato su dati elaborati dalla stessa Camera di commercio, il dottor Marini ci ha fornito informazioni di grandissimo valore e utilità. Non è facile avere una visione di insieme sintetica delle realtà economiche e dei particolari indici riferiti all'interscambio. Per questo lo ringrazio in modo specifico.
Del suo intervento mi hanno colpito due aspetti, sui quali forse nella replica potrà dirci qualcosa in più. Il primo riguarda la constatazione circa la necessità e l'inesistenza di una politica europea. Per noi è una questione così importante e delicata da richiedere una riflessione ulteriore.


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Mentre tutti i dati mostrano quale intensità raggiunga il rapporto con il mondo arabo sia nella regione mediterranea che in quella orientale, non esiste una politica europea, nonostante lei abbia richiamato tutti i tentativi fatti in tal senso.
Questa politica sarebbe oggi ancora più necessaria. Mentre fino a ieri potevamo pensare che il tacito accordo esistente con i regimi in carica fosse sufficiente a garantire i nostri approvvigionamenti energetici e i nostri affari e soddisfacesse entrambe le parti, ora non è più così. Il capitolo che si apre non modifica il rapporto di interdipendenza strutturale legato alla geografia, ma pone la necessità di ripensare al nostro modo di operare.
Il quadro di riferimento attuale non è soddisfacente. Le domande che il presidente le ha rivolto circa la Banca europea per lo sviluppo possono suggerire la direzione, ma c'è un vuoto che forse lei saprebbe come colmare suggerendoci qualche ulteriore soluzione. Siamo consapevoli di questo deficit perché è un tema di cui abbiamo ripetutamente dibattuto. Almeno nei rapporti bilaterali dovremmo cercare di aiutarci e sostenere alcuni interessi fondamentali. Lei però ha anche detto che la nostra politica sarebbe subordinata a quella europea e questo è già un ripiego rispetto a un'impostazione che concettualmente individua un ordine che non c'è.
L'altro aspetto sul quale vorrei una sua opinione riguarda lo sviluppo economico che nello scorso decennio ha interessato tutta l'area, pur con le diversità interne e le particolarità strutturali dei Paesi produttori di energia. Si è trattato di uno sviluppo per certi versi impetuoso, non accompagnato però da un progresso sociale, se non armonico, quanto meno promettente. Lei stesso diceva che i posti di lavoro non sono aumentati e che le differenze di reddito non si sono attenuate, ma semmai il contrario.
In ciò risiede una delle cause di quanto è successo e sta succedendo nell'area. In Egitto, Libia e Tunisia in particolare si stanno affermando nuove realtà di governo e politiche. Della Siria in questo momento non è possibile parlare. L'Algeria è rimasta ai margini e il Marocco è un caso a sé, mentre i Paesi del Golfo seguono tutt'un altra dinamica, anche in termini di ingerenza, sulla quale si potrebbe fare una riflessione a parte.
Limitandoci ai primi tre Paesi che ho citato, lei pensa che tali evoluzioni avranno effetti positivi su questi deficit strutturali delle economie della regione, dove pur in presenza di una forte crescita i problemi sociali si sono accentuati anziché attenuarsi, oppure no?

PAOLO CORSINI. Ringrazio il dottor Marini per la sua esposizione, che ci ha offerto una ricca e variegata molteplicità di dati e di riferimenti fattuali, per altro con una dimensione prospettica che va al di là degli egregi rapporti redatti dai nostri uffici, prevalentemente settoriali o relativi a singoli Paesi. Il pregio di questa relazione è lo sguardo di insieme sulla situazione mediterranea che ci fornisce.
Le porrò una domanda molto secca, sperando di non crearle disagio. Può anche evitare di rispondermi. Il collega Barbi ha fatto alcune considerazioni sulla politica europea. A me pare che da tempo ormai manchi una seria ed efficace politica mediterranea del nostro Paese, come dimostra, per esempio, la vicenda della Libia, un episodio che spicca all'interno di una congerie di altri episodi emblematici.
Non c'è dubbio che rispetto alla crisi libica abbiamo tenuto una posizione che definirei di retroguardia. Non siamo stati né incisivi né attori di un'iniziativa politica che desse riconoscibilità alla nostra politica estera. Potrei citare Paesi che si affacciano sul Mediterraneo nei quali è immediatamente riconoscibile la presenza della Francia o della Spagna. L'Italia manca di un'adeguata iniziativa.
Quali sono, secondo lei, le scelte o le misure che, al di là delle relazioni diplomatiche, potrebbero concretizzare una ripresa e una riqualificazione della politica mediterranea del nostro Paese, politica che a mio avviso oggi non c'è?

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Marini per la replica.


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SERGIO MARINI, Segretario generale della Camera di commercio italo-araba. Ringrazio gli onorevoli per le cortesi espressioni che hanno utilizzato nei nostri confronti.
Il tempo per preparare questa relazione è stato molto breve, anche perché avevo in programma un viaggio all'estero. Con più tempo a disposizione avrei forse formulato un discorso più completo e più comprensibile. Cercherò di rispondere come posso ai quesiti non facili che mi sono stati posti.
Per quanto riguarda la domanda del presidente Narducci, di una banca per lo sviluppo del Mediterraneo si parla da moltissimi anni. Il primo a proporla credo sia stato l'onorevole De Michelis. Successivamente si è tentato di aprire una banca europea proprio per evitare la creazione di questa banca mediterranea. Io non sono molto convinto che la denominazione della banca abbia un effettivo rilievo. A condizione che gli stanziamenti siano adeguati, mi sembra francamente irrilevante che siano gestiti dall'uno o dall'altro istituto.
Ho l'impressione che non sia questo il momento più favorevole per pensare a una banca di sviluppo. L'Europa per altro in questa vicenda è stata largamente superata, per esempio, dalla partnership di Deauville, che ha promesso - vedremo poi cosa accadrà: i primi segnali non sono molto favorevoli - 60 miliardi di euro per intervenire nelle situazioni che si sono determinate in questi Paesi.
Io non ho mai creduto molto nella banca del Mediterraneo, ma soprattutto mi pare difficile credere nella disponibilità dell'Europa ad assegnare finanziamenti significativi per lo sviluppo di quest'area perché non è mai accaduto. Nel momento più favorevole e di maggiore discontinuità rispetto al passato, cioè durante il processo di Barcellona, che aveva suscitato grandi speranze, il finanziamento europeo per un quinquennio era pari a quanto gli Stati Uniti donavano a due Paesi dell'area in un solo anno. Non avendo conseguito un accordo reale in seno a tutti i Paesi dell'Unione europea, il processo di Barcellona era facilmente condannato a un fallimento che molti avevano previsto.
L'attività di una banca di sviluppo, comunque denominata, o all'interno di quella attuale o all'interno di un nuovo sistema, è certamente indispensabile per una politica europea verso l'area. Come sapete, è stato modificato anche lo statuto della BERS, che ha deciso la possibilità di intervenire anche in questi Paesi e ha previsto uno stanziamento annuo di circa 3 miliardi di euro. Anche questo fa parte dell'attività dell'Europa.
L'onorevole Mecacci mi domandava in quale misura l'incremento del nostro export nel 2012 sia dipeso dai Paesi del Golfo o da quelli del Nord Africa. Il nostro incremento verso il Golfo è stato del 18,5 per cento e quello verso i Paesi del Mediterraneo del 12 per cento. Oltre la metà delle nostre esportazioni verso i Paesi arabi è diretta ai Paesi del Mediterraneo e in misura minore verso il Golfo. Il peso del Golfo negli ultimi dieci anni è però cresciuto moltissimo perché in precedenza l'interscambio con l'Italia era molto modesto. La fornitura di idrocarburi da parte dei Paesi del Golfo è però bassa perché sul 49 per cento del nostro import di idrocarburi mi pare che il 36 per cento provenga dal Nordafrica e soltanto il 13 per cento dal Golfo.
Come mi sto sforzando di fare da qualche anno presso la Camera di commercio italo-araba, credo che insieme ai Paesi del Golfo sia utile realizzare dei fondi di investimento per favorire la creazione di società miste e dare un certo credito industriale alle nostre imprese, che in questo momento, almeno per quanto riguarda le medie imprese, suscitano un notevole interesse.
A partire dalla metà del primo decennio di questo secolo il Golfo ha sempre dichiarato grande interesse verso la piccola e media impresa italiana, ma alle dichiarazioni non sono seguiti i fatti. Forse questo dipende anche dal deficit della politica estera italiana lamentato dall'onorevole Corsini. Con l'Arabia Saudita in particolare c'era stato un grande incontro nel 2007 quando sua Maestà Abd Allah


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venne a Roma e furono firmati diversi accordi, che però non hanno avuto alcun seguito.
Nell'ultima commissione mista ho proposto - e la cosa è stata accettata e messa a verbale, con mia grande sorpresa perché il verbale era già scritto e pensare che gli arabi decidano di modificare un verbale è un'attesa forse superiore alle normali speranze - che fosse avviata un'iniziativa congiunta attraverso Società italiana per le imprese all'estero (SIMEST), Invitalia, Camera di commercio italo-araba e Confindustria per la parte italiana e attraverso l'Agenzia italo-saudita per lo sviluppo (SIDCO) per la parte saudita al fine di promuovere un incrocio di partecipazioni tra società italiane e società saudite. Malgrado gli sforzi, per il momento non è successo molto salvo forse un unico caso che potrebbe essere un primo segnale ove però ci fosse un certo impegno in questa direzione.
Purtroppo le azioni verso questi Paesi organizzate da Confindustria, ICE e ABI sono un tragico disastro. C'è una riunione, che dura al massimo una giornata, con parecchi discorsi di ministri dell'una e dell'altra parte, ma nessuna possibilità di incontro e soprattutto nessuna preparazione degli incontri per quanto riguarda gli operatori che dovrebbero essere i destinatari e gli attuatori di questi messaggi.

PRESIDENTE. È grave. Gli altri Paesi non fanno così.

SERGIO MARINI, Segretario generale della Camera di commercio italo-araba. Infatti gli amici arabi - ma lo stesso si può dire per i cinesi in occasione di quella straordinaria kermesse in Cina - mi domandano quale sia la ragione di queste prove muscolari senza effetto. Probabilmente anche gli strumenti operativi della nostra attività verso l'estero dovrebbero cambiare, puntando ad argomenti più settoriali e preparati meglio in precedenza. La vicenda dell'ICE assegnato al Ministero degli esteri e ancora oggi in una situazione periclitante è uno degli elementi sfavorevoli.
Sulla necessità di una politica europea, della quale parlava l'onorevole Barbi, secondo me, non esistono dubbi. La politica europea è però deficitaria su molti fronti e non soltanto verso l'area del Mediterraneo, che non è riconosciuta come un'area fondamentale da parte dei Paesi del centro e del nord Europa. Rilevo un fatto a cui ho in parte accennato. I Paesi dell'arco mediterraneo dell'Unione europea non si sono mai mossi in modo congiunto.
Il processo di Barcellona è stato monopolizzato dagli spagnoli. L'Unione per il Mediterraneo è invece un'invenzione di Sarkozy in uno dei primi convegni precedenti alla sua elezione e si basa sullo strampalato disegno di ambienti economici francesi che erano giunti a chiedere anche ad imprese italiane un contributo per finanziare il loro progetto, cosa che ovviamente non ha avuto luogo.
Il piano è stato un po' aggiustato in sede europea, ma ha comunque creato questo monstrum con due presidenti e che, stante una serie di crisi, tra cui in particolare la questione palestinese, ha finito col non riunirsi. Per di più, agli occhi dei nostri partner mediterranei, la presidenza affidata a Mubarak condanna il progetto alla chiusura.
L'onorevole Barbi mi chiedeva anche che succede alle nuove realtà che si stanno affermando. Avendo letto le precedenti audizioni tenute dalla Commissione, ho l'impressione che su questo si siano già concentrati molti interventi. Fare delle previsioni però mi sembra difficile. Io credo che il momento della transizione sia il più delicato. Se non vi poniamo adeguata attenzione e non prevediamo un adeguato sostegno, è abbastanza probabile che, almeno in alcune situazioni, si ritorni a uno status abbastanza simile a quello precedente, anche con un cambiamento degli interlocutori. È un rischio indiscutibile perché le motivazioni che stanno alla base di queste sollevazioni sono reali.
A ciò si aggiunge il problema identitario forse fondamentale, più ancora della lingua, che è quello della religione islamica, sul quale incidono le pressioni esercitate, non tutte nella stessa direzione, dai


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Paesi del Golfo, che certamente aborrono la democratizzazione di quest'area perché temono che possa diffondersi e arrivare fino alla soglia di casa loro. Anche questo è un elemento di difficoltà.
Le mie conoscenze riguardano soprattutto la parte imprenditoriale del Paese, che probabilmente è la più aperta e la più vicina, anche in termini di logica e di ragionamento, all'Occidente. Non sono forse perfettamente in grado di valutare quanto il problema possa essere grave. Certo è che la posizione dei Fratelli musulmani in Egitto mi pare passabilmente moderata.
Gli analisti russi, come credo sottolineasse anche Roberto Aliboni, che me ne ha parlato più volte, viceversa ritengono che noi sottostimiamo il rischio della diffusione dell'Islam. Io non ne sono del tutto convinto. Penso che la cosa possa essere controllata soprattutto ove ci sia un'azione che migliori le condizioni economiche, alle quali, per esempio, i Fratelli musulmani tengono molto perché in economia sono liberali, sia pure con posizioni forse un poco arretrate.
La speranza che l'avvento della democrazia produca significativi e durevoli miglioramenti è comune a tutti. La fase di transizione però presenta i maggiori rischi e per alcuni anni ancora determinerà una situazione di difficoltà, alla quale corrisponde anche la nostra.
Quanto alla crisi libica, io credo che non esserne stati attori sia stata una fortuna. L'iniziativa di Sarkozy mi è parsa alquanto improvvida. Non che io nutrissi simpatie per Gheddafi - tutt'altro -, ma questa iniziativa è stata in parte orientata da quanto accaduto in Tunisia, dove i francesi erano stati totalmente assenti, pur essendo la Francia il primo partner del Paese, e in parte dagli interessi francesi nel Sahel. Quanto si è verificato in Mali o nelle aree finitime è abbastanza grave. È vero che si tratta di popolazioni limitate, ma gli effetti non sono stati positivi.
Mi sta benissimo che Gheddafi non ci sia più, ma non sono sicuro che quell'intervento sia stato ben calcolato e orchestrato. Per altro è nato per iniziativa di un solo Paese piuttosto che essere stato concordato con altri.
Che noi manchiamo di un'adeguata iniziativa e quali possano essere le nostre iniziative credo siano questioni che riguardano un'attività quotidiana di tessitura di rapporti, di approfondimento di conoscenze e di adozione di strumenti da mettere a disposizione degli operatori, che alla fin fine sono i soggetti in grado di determinare i risultati migliori.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Marini per averci portato questi elementi così importanti. Anche noi crediamo che la vicenda dell'ICE si stia trascinando da troppo tempo e che non ci sia una linea chiara. Siamo passati da una decisione all'altra e ancora il nostro istituto per il commercio con l'estero non si riesce a organizzare.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,05.

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