Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Strumento di esplorazione della sezione Lavori Digitando almeno un carattere nel campo si ottengono uno o più risultati con relativo collegamento, il tempo di risposta dipende dal numero dei risultati trovati e dal processore e navigatore in uso.

salta l'esplora

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Torna all'elenco delle indagini Torna all'elenco delle sedute
Commissione III
10.
Martedì 18 dicembre 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Narducci Franco, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI OBIETTIVI DELLA POLITICA MEDITERRANEA DELL'ITALIA NEI NUOVI EQUILIBRI REGIONALI

Audizione di rappresentanti dell'Osservatorio permanente sull'economia del Mediterraneo:

Narducci Franco, Presidente ... 3 8 9 13 14
Deandreis Massimo, Direttore generale del Centro Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (SRM) - Osservatorio permanente sull'economia del Mediterraneo ... 3 10 13
Pianetta Enrico (PdL) ... 9
Tempestini Francesco (PD) ... 8
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Intesa Popolare): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Autonomia Sud - Lega Sud Ausonia - Popoli Sovrani d'Europa: Misto-ASud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Italia Libera-Liberali per l'Italia-Partito Liberale Italiano: Misto-IL-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL; Misto-Diritti e Libertà: Misto-DL.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 18 dicembre 2012


Pag. 3

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FRANCO NARDUCCI

La seduta comincia alle 11,45.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'Osservatorio permanente sull'economia del Mediterraneo.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli obiettivi della politica mediterranea dell'Italia nei nuovi equilibri regionali, l'audizione dell'Osservatorio permanente sull'economia del Mediterraneo.
Ringrazio per la sua presenza il dottor Massimo Deandreis, direttore generale del Centro Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (SRM).
Ricordo che il 20 novembre scorso è stato presentato a Napoli il Rapporto 2012 Le relazioni economiche tra l'Italia e il Mediterraneo, che credo sia in distribuzione.
Invito il professor Deandreis a svolgere la sua relazione.

MASSIMO DEANDREIS, Direttore generale del Centro Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (SRM) - Osservatorio permanente sull'economia del Mediterraneo. Grazie. Ringrazio la Commissione affari esteri della Camera per l'audizione che ci viene accordata.
Prima di iniziare, se lei mi consente, voglio solo ricordare che SRM è un centro studi collegato al gruppo Intesa Sanpaolo, in particolare al Banco di Napoli. La nostra sede è a Napoli.
Storicamente è un centro studi nato con l'idea di occuparsi prevalentemente dell'economia del Mezzogiorno. Da due anni a questa parte abbiamo integrato la nostra azione di monitoraggio economico, anche grazie al fatto che la nostra base è Napoli, rivolgendoci a tutta l'area del Mediterraneo. In particolare, abbiamo individuato un punto di osservazione. Abbiamo scelto di non occuparci, in primo luogo, della dimensione politica o geopolitica dei singoli Paesi, ma di concentrarci prevalentemente, se non esclusivamente, su tutto quello che riguarda l'interscambio economico tra l'Italia, le sue macroregioni e le singole regioni del Mezzogiorno, da un lato, e l'insieme dei Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, dall'altro.
Abbiamo stabilito come criterio logico per noi - e statistico di conseguenza - di prendere in considerazione tutti i Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, dall'area dell'Adriatico fino al Marocco, escludendo i Paesi membri dell'Unione europea, per evidenti motivi. Quindi, abbiamo diviso il Mediterraneo in tre macroaree: l'area adriatica, l'area del mediterraneo orientale (cioè prevalentemente la Turchia, ma anche Israele, Siria e Libano) e la parte nordafricana, con tutti i Paesi che vanno dall'Egitto al Marocco.


Pag. 4


Noi ci occupiamo, in particolare, di monitorare tutto quello che riguarda le relazioni economiche, che includono certamente l'interscambio commerciale import-export, ma anche la presenza delle imprese italiane nei vari Paesi, i flussi finanziari, il sistema bancario di quei Paesi, gli investimenti dei fondi sovrani in Italia - su questa tematica abbiamo allargato l'indagine alla cosiddetta «area MENA», includendo anche i Paesi del Golfo - e, infine, l'interscambio marittimo (terza parte del nostro rapporto). Infatti, sotto il profilo economico, il Mediterraneo ha in comune tutto quello che riguarda l'interscambio marittimo, quindi il traffico portuale, gli operatori dello shipping e l'andamento dei flussi marittimi.
Concludo questa breve premessa, necessaria a inquadrare il nostro lavoro, aggiungendo che l'Osservatorio è il frutto di un lavoro permanente che il nostro centro studi realizza durante l'anno e che viene pubblicato sul nostro sito Internet. Gran parte del lavoro che facciamo è disponibile per tutti, pubblicato sia in italiano che in inglese.
Se lei è d'accordo, prima di rispondere alle domande passerei a illustrare molto sinteticamente i punti centrali dell'Osservatorio. Innanzitutto, vorrei partire dai dati che indicano il valore complessivo dell'interscambio tra l'Italia e gli altri principali partner europei verso questa area che ho prima identificato: tutti i Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo e che non sono membri dell'Unione europea. L'interscambio, che per il 2011 è stato pari a 57,7 miliardi, secondo le nostre stime di crescita si posizionerà a 74 miliardi come valore atteso nel 2014. Più o meno per tutti i Paesi c'è una previsione di crescita di questo interscambio.
L'Italia ha subìto una flessione rispetto al 2010, causata prevalentemente dal calo dell'interscambio energetico, che è una delle componenti più importanti dell'interscambio commerciale complessivo. Ciononostante, siamo saldamente i primi partner commerciali dell'insieme dell'area. I dati ci mostrano che, oltre a essere i primi, abbiamo un grado di specializzazione verso il Mediterraneo rispetto al totale dell'interscambio commerciale significativamente più alto degli altri Paesi, pari al 7,4 per cento. La Germania, che è molto ben posizionata come valori complessivi, ha un grado di specializzazione verso il Mediterraneo di solo 2,9 per cento, oltre il 4 per cento in meno rispetto all'Italia.
Il terzo dato importante per inquadrare le relazioni commerciali ed economiche del nostro Paese è quello che rivela come gran parte di questo interscambio italiano sia di carattere energetico, sostanzialmente petrolio; tale interscambio, pur calato dal 2010 al 2011 al 35,6 per cento, ed essendo tendenzialmente stazionario nel 2012, rimane una componente sensibilmente più alta di quella degli altri Paesi europei.
C'è poi un dato che, in fondo, rovescia quello che abbiamo detto in apertura. Se togliamo i prodotti energetici, tenendo conto che l'interscambio agricolo è minimo, sull'interscambio manifatturiero da primi scendiamo a terzi, mentre la Germania diventa prima.
Se ragioniamo sul fatto che tra i 36,9 miliardi di interscambio manifatturiero dell'Italia e i 50,4 della Germania ci sono circa 13 miliardi, è evidente che c'è un mercato non teorico, ma già esistente, di beni e servizi, prevalentemente beni manifatturieri, che sono comprati dal venditore Germania, piuttosto che da un venditore più prossimo e culturalmente più vicino come l'Italia. Si tratta di un mercato già esistente, non parliamo di futuro o di crescita. Indichiamo, quindi, come un traguardo possibile quello di far crescere l'interscambio manifatturiero italiano almeno per colmare il gap che attualmente esiste tra l'interscambio italiano e quello tedesco.
Che il punto critico sia proprio l'eccessiva incidenza dell'interscambio energetico lo si capisce anche confrontando i dati sulla dimensione dell'interscambio tra l'Italia e i vari Paesi dell'area mediterranea depurato o meno dai prodotti energetici. Per esempio in relazione alla Libia e dell'Algeria quasi sparisce l'interscambio non oil (senza l'energia), mentre ci sono Paesi come la Turchia la cui dimensione


Pag. 5

complessiva dell'interscambio rimane invariata. Questo vuol dire che la Turchia è un grande partner di interscambio manifatturiero e un Paese nel quale c'è anche, come vedremo tra un attimo, una rilevante presenza di imprese italiane.
Prima di soffermarmi su alcuni Paesi, come appunto la Turchia, vorrei far notare come si posizionano le macroregioni italiane nei confronti dell'area mediterranea. Il nord-ovest è la prima macroregione per interscambio con 18,1 miliardi, mentre il Mezzogiorno è la seconda macroarea con 12,7 miliardi. Seguono il nord-est, il centro e altre regioni che non sono specificate, nella misura in cui non sempre l'import-export ha una regione finale di destinazione. Possiamo, quindi, immaginare di ridistribuirle con criteri analoghi. Comunque, il nord-ovest è la prima macroregione e il Mezzogiorno la seconda.
Inoltre, il Mezzogiorno è la macroregione che ha il più alto grado di interscambio in valore percentuale rispetto al totale di interscambio con il resto del mondo. L'interscambio del Mezzogiorno con l'area MED è del 12,4 per cento, un dato più che doppio rispetto al centro-nord e comunque sensibilmente superiore a quello dell'Italia. Quindi, mentre in valore assoluto il nord-ovest viene prima del Mezzogiorno, in proporzione al totale della sua economia e del suo interscambio la «vocazione» del Mezzogiorno verso il Mediterraneo risulta in modo molto chiaro dai numeri.
Questi dati sono confermati anche nel primo semestre del 2012. Abbiamo anche i dati relativi all'ultimo trimestre, quindi siamo arrivati ai primi nove mesi, anche se i dati che vi ho fornito fanno riferimento al primo semestre. Da questi dati appare che l'Italia ha un tasso di crescita verso l'area del Mediterraneo pari all'8,1 per cento, molto più alto di quello degli altri Paesi. Nel primo semestre 2012, rispetto al primo semestre 2011, la Germania è cresciuta del solo 1 per cento per l'interscambio verso il Mediterraneo, mentre la Francia è addirittura calata. I valori, in termini di miliardi complessivi (33,7), si mantengono sostanzialmente in linea, ed è anche questo che ci fa prevedere una proiezione al 2014 di 74 miliardi di interscambio complessivo.
Analizzando i dati relativi al confronto tra le macroregioni in riferimento al primo semestre 2012 vediamo che il Mezzogiorno si conferma, anche in questa prima parte dell'anno corrente, la seconda macroregione dopo il nord-ovest, con 8,3 miliardi rispetto ai 9,6 del nord-ovest, con un tasso di crescita, però, sensibilmente superiore (18,5 per cento). Questo dato è ancora in crescita, secondo i dati pubblicati dall'Istat qualche giorno fa, che peraltro ci confermano anche che l'export italiano complessivo (che è una componente fondamentale dell'interscambio) è cresciuto nei primi nove mesi di questo anno corrente dell'8,1 per cento sull'area del Mediterraneo.
Tutti questi dati confermano che, nonostante la crisi e le difficoltà, quest'area resta importante per il nostro Paese. Per quanto riguarda i dati sul PIL e sui tassi di crescita di questi Paesi, su cui non mi soffermo, voglio solo far presente che il PIL della Turchia, che è ormai poco sotto gli 800 miliardi di dollari, corrisponde al PIL di un medio-grande Paese europeo. Questa è la taglia, al di là delle percentuali.
Non mi soffermo neppure sulle previsioni di crescita dell'economia di questi Paesi perché sono tutte ampiamente positive e, comunque, largamente superiori ai tassi di crescita del nostro Paese.
Noi stiamo svolgendo un lavoro estremamente approfondito che è ancora in itinere e sul quale vorrei soffermarmi. Si tratta di uno studio che abbiamo realizzato per la Turchia, che stiamo per concludere per il Marocco e, gradualmente, svolgeremo per i vari Paesi. Stiamo inviando in questi Paesi dei ricercatori per fare un'analisi dell'entità della presenza di imprese italiane.
Il primo obiettivo è censire l'insieme della presenza delle imprese italiane. Ci siamo dati un valore di riferimento, indicando come «imprese italiane» quelle che hanno almeno il 15 per cento di capitale azionario di un soggetto italiano. Si tratta


Pag. 6

di imprese di diritto turco, perché sono stabilite in Turchia e, quindi, hanno natura giuridica di imprese turche, però l'azionista è italiano per almeno il 15 per cento. Il 15 per cento è solo una soglia minima, ma molte di queste imprese hanno anche l'80 per cento di capitale italiano. Abbiamo escluso le imprese che hanno meno del 15 per cento del capitale italiano perché, secondo noi, non le possiamo considerare italiane come bandiera. È un criterio discrezionale, legato a una nostra scelta.
Da questi dati risulta che le imprese italiane in Turchia al 31 dicembre del 2011 erano 911, occupavano 125 mila dipendenti e realizzavano un fatturato complessivo di 16,6 miliardi di euro. Parlo al passato perché, forse, nel frattempo altre ne sono arrivate, mentre alcune sono andate via, in quanto c'è una continua evoluzione. Tenete conto che l'interscambio tra l'Italia e la Turchia è di 15 miliardi. Questo vuol dire che il fatturato generato in Turchia da imprese che hanno capitale in buona parte italiano è superiore all'interscambio commerciale tra Italia e Turchia.
Abbiamo fatto lo stesso esercizio con le imprese tedesche, per vedere come si muovono le imprese di un Paese nostro competitor in Turchia. Abbiamo censito 4.790 imprese che, analogamente a quelle italiane, hanno un capitale per almeno il 15 per cento proveniente dalla Germania. Il valore complessivo del fatturato è addirittura inferiore a quello delle imprese italiane, mentre il numero degli addetti è di poco superiore. Ci siamo chiesti la ragione di questi dati: la risposta è che nel gruppo delle 911 imprese italiane ci sono due grossi investitori (FIAT e Pirelli), con un ristretto cerchio di imprese medio-grandi della filiera della subfornitura auto che li hanno seguiti. Per questo il valore complessivo del fatturato e degli occupati è ampio. Nel gruppo quasi cinque volte più ampio delle imprese tedesche, invece, non troviamo analoghi grandi investitori, ma una maggiore distribuzione di imprese medio-piccole. C'è, quindi, un gran numero di imprese che hanno, però, un fatturato pro capite più basso.
Abbiamo anche fatto un'analisi dei bilanci di quasi il 10 per cento delle 900 imprese presenti in Turchia - non mi soffermo su questi dati, rimandando a quello che è scritto nel rapporto - relativi al 2009, al 2010 e, quando possibile, al 2011.
Inoltre, abbiamo trovato gli indici di redditività, abbiamo individuato in quali settori e in quali regioni della Turchia sono presenti queste imprese, e abbiamo cercato una relazione tra le politiche di attrazione di investimenti della Turchia e l'arrivo di investitori. Mi perdonerete se cerco di essere sintetico, ma ricordo che c'è un paper in inglese, peraltro scaricabile dal nostro sito, in cui l'analisi dettagliata dei bilanci e tutte queste informazioni sono fornite in modo completo.
Stiamo facendo questo lavoro anche per il Marocco. Non è ancora completa la parte dell'analisi dei bilanci, mentre abbiamo censito le imprese italiane in questo Paese, che sono solo 200. Abbiamo fatto il confronto con le imprese francesi, che sono circa mille. C'è, quindi, un rapporto fortemente sbilanciato in termini di numerosità e anche in termini di fatturato e di addetti.
I francesi in Marocco sono presenti con big player, quindi hanno investito anche fortemente, mentre l'Italia è poco presente rispetto alle potenzialità. In nessuna di queste 200 imprese italiane abbiamo trovato grandi investitori. Si tratta veramente di piccoli operatori, in molti casi importatori oppure attività di ristorazione o piccole attività produttive. Invece, tra le mille imprese francesi, ci sono i grandi gruppi del Paese e questo si riflette nel volume del fatturato. Il nostro studio indica anche la distribuzione degli investitori italiani e francesi in Marocco nei vari settori produttivi, tenendo conto che si tratta di imprese di diverse dimensioni.
La seconda parte del nostro rapporto si concentra sui flussi finanziari. Per stare nei tempi, tralascerei la parte relativa ai dati numerici sugli attori, come banche e


Pag. 7

assicurazioni. Vorrei, invece, soffermarmi su un dato che penso sia più interessante per il nostro Paese. Abbiamo fatto una stima delle potenzialità di investimento dei fondi sovrani dell'area MENA (Nord Africa e Medio Oriente). Preciso che, in questo caso, abbiamo allargato l'orizzonte ai Paesi del Golfo, perché molti fondi sovrani attengono a questi Paesi. La stima è calcolata sulla base della redditività attesa degli asset che questi fondi hanno già investito negli anni passati, unita alle rimesse petrolifere, che derivano dal fatto che questi Paesi hanno ingenti risorse petrolifere, di cui una quota parte viene destinata come dotazione ai fondi sovrani. Abbiamo stimato il valore potenziale di crescita degli investimenti che questi fondi potranno fare nei prossimi anni, ripartendola in proporzione a quanto essi hanno destinato in passato all'Europa e all'Italia.
All'Italia è stato destinato circa il 4 per cento degli investimenti che in passato venivano fatti sul fronte europeo. Con la derivata di questi dati abbiamo stimato, in modo molto approssimativo, gli investimenti di fondi sovrani che teoricamente potrebbero arrivare in futuro in Italia. Naturalmente bisogna vedere in che misura saremo capaci di attirarli, però, potenzialmente, la cassa ci sarebbe.
La stima, molto prudente, è di circa 1-1,6 miliardi annui fino al 2017, rispetto allo stock di 20 miliardi all'anno che potenzialmente questi fondi potrebbero destinare all'Europa. Potendo contare anche solo sul mantenimento della quota del 4 per cento che storicamente è stata destinata all'Italia, si tratterebbe, quindi, di circa 1,5 miliardi potenziali all'anno. Si tratta di cifre potenziali, perché è ancora tutto da giocare e, come mi suggeriscono, visto che scappano tutti.
Concludo con la terza parte del rapporto, che fa riferimento al trasporto marittimo, rimandando o a quello che è contenuto in un volume piuttosto ampio. Nel Mediterraneo transita il 19 per cento dell'intero traffico marittimo mondiale e il 70 per cento dell'interscambio italiano verso questi Paesi viaggia via nave. Per questo, l'interscambio marittimo è fondamentale.
Il tema del gigantismo navale tocca sostanzialmente il problema delle infrastrutture portuali. Questo problema risulta anche dai dati relativi alle variazioni delle quote di mercato portuale nel Mediterraneo dal 2005 al 2011. Tangeri Med, che aveva lo 0 per cento nel 2005, ha acquisito nel 2011 il 9 per cento del traffico container. Parliamo di un porto che nel 2005 era in costruzione, mentre adesso è pienamente attivo. Un altro porto del sud del Mediterraneo, Porto Said, è passato dal 10 al 17 per cento. Nello stesso arco temporale, Gioia Tauro è passato dal 20 al 10 per cento.
È abbastanza evidente che questi Paesi crescono, hanno costi competitivi e hanno fatto investimenti in una portualità che è anche pronta ad accogliere il gigantismo navale, cioè navi sempre più grandi che richiedono banchine più lunghe e fondali più profondi. Questo è un panorama che è destinato a durare e che, in qualche modo, fotografa lo scenario di Paesi che sono in crescita economica.
Un'ultima parte del nostro rapporto fa riferimento allo scenario delle energie rinnovabili. Noi ci siamo occupati molto di energia fossile (idrocarburi e petrolio) perché costituisce una parte importante dell'interscambio, però questi Paesi stanno gradualmente diventando importanti anche per le energie rinnovabili.
Ci sono progetti come Desertec per sviluppare l'energia fotovoltaica e portarla con delle pipeline di nuova generazione in Europa. C'è una crescente domanda di energia di questi Paesi per sostenere la crescita economica interna e, naturalmente, anche in una logica di lungo periodo, per sostituire quello che è attualmente un loro monopolio e un loro punto di forza, ossia la produzione di energia fossile, con una successiva futuribile forza nella capacità di produzione su larga scala di energia fotovoltaica.
Ho riassunto in modo forzatamente sintetico un rapporto lungo più di 200 pagine, con lo spirito di dare le indicazioni


Pag. 8

sui punti salienti. Naturalmente, sia io che i miei colleghi siamo a disposizione per fornire risposte oppure approfondimenti ulteriori, se desiderate.
Grazie dell'attenzione.

PRESIDENTE. Grazie a lei, dottor Deandreis, anche per il metodo adottato, che evidenzia molto bene gli andamenti, i trend che ci interessano rispetto all'indagine che stiamo conducendo. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per formulare osservazioni o porre quesiti.

FRANCESCO TEMPESTINI. Vorrei osservare, innanzitutto, che queste ricerche sono molto influenzate dai prodotti energetici, quindi il quadro descritto non è sempre coerente. Bisogna rifarsi, probabilmente, al testo complessivo per capire meglio.
L'inserimento dei prodotti energetici, per esempio, oscura un po' la crisi di questi ultimi due anni, nel senso - eventualmente potrà correggermi, direttore - che lo scambio dei prodotti energetici con la Libia, se ho capito bene, nasconde il fatto che la crisi, invece, c'è.
In secondo luogo, vorrei sapere se c'è uno studio più approfondito sul nostro settore manifatturiero nel Mediterraneo. In generale, come possiamo giudicare questa esportazione di prodotti manifatturieri da parte italiana? È di maggiore o minore qualità rispetto a quella dei nostri principali concorrenti europei? Insomma, quali sono le caratteristiche della nostra esportazione di prodotti manifatturieri?
Inoltre - mi scuso se pongo domande non coordinate - le chiedo anche un approfondimento sulla presenza delle imprese italiane. Per esempio, in Turchia, qual è la ragione di questa fortissima differenza di quantità rispetto alla Germania? C'è qualche relazione con il fatto che la Germania è il Paese nel quale operano alcuni milioni di persone di origine turca? Si tratta di imprese minori legate all'interscambio che riguarda questa importante comunità? Non si capisce bene, perché di solito nel mondo avviene il contrario: noi siamo presenti con la piccola e media impresa, mentre loro con la grande impresa. Qui siamo a parti rovesciate, però con una forte differenza di numeri.
Per quanto riguarda il fatturato delle imprese estere in Marocco il confronto tra i 790 milioni di euro per l'Italia e i 24 miliardi di euro per la Francia mostra qual è l'abisso tra noi e i francesi. Si tratta di un disequilibrio troppo ampio.
Pongo un'altra questione. In questo panorama non c'è l'interscambio dei Paesi della sponda sud con le nuove potenze emergenti. Mi sembra un dato un po' statico, in quanto riguarda l'Italia, la Francia, la Germania e la Spagna, se ricordo bene, ma in realtà su questi mercati sono piombati i Paesi asiatici. Allora, come giocano questi attori in questo complesso di relazioni? Fanno saltare queste gerarchie? La Germania è la prima, ma rispetto a chi? La Cina non è forse avanti? E la Corea?
Chiedo anche qual è la capacità di accogliere di questi Paesi, anche dal punto di vista della domanda interna. Mi pare che la domanda interna sia un grandissimo problema in questo momento. Non so se questo aspetto è trattato nel rapporto. Parliamo di Paesi alla fame, quasi tutti; quelli che hanno il petrolio non riescono a utilizzarlo con una certa serietà. Il caso della Libia mi pare abbastanza eloquente. Comunque, c'è in generale, nella sponda sud del Mediterraneo, un dato di inefficienza, anche nei Paesi che hanno più risorse. Pensiamo all'Algeria, caso evidente di inefficienza della spesa pubblica. Quali sono quindi le aspettative per il futuro, da questo punto di vista? Penso che si tratti di attese molto grame, perché alcuni settori della loro economia sono entrati in crisi. Pensiamo alla crisi del turismo sia in Tunisia che in Egitto, con tutti i problemi che ciò comporta.
Visto che, se ho capito bene, avete fatto degli studi più approfonditi in due Paesi, ma pensate di farne anche in altri, vorrei sapere come pensate che sia cambiata in questi Paesi l'accoglienza per le imprese italiane. Sono migliorate le condizioni o,


Pag. 9

probabilmente, come io credo, sono addirittura peggiorate? L'impresa italiana ha certamente bisogno di una strategia di attacco migliore di quella che ha usato in tutti questi anni. Su questo, beninteso, la responsabilità è nostra. Tuttavia, vorrei sapere qual è la vostra sensazione: questi Paesi sono destinati a essere aperti per noi, come l'Egitto e la Turchia, per esempio, oppure, per ragioni strutturali, sta diventando più complicato entrare in questi mercati?
Ho notato che nei dati relativi ai porti mancano i porti francesi. Vorrei capire se c'è una ragione. Mancano Marsiglia, Tolone e altri porti importanti per l'interscambio nel Mediterraneo.
Infine, vorrei sapere qual è il ruolo delle banche, anzitutto la vostra, ma in generale, in questo momento? Le banche europee come stanno agendo in una fase in cui devono risistemarsi i panni? C'è stata una stretta forte del credito. Si pensa che durerà? Si tratta di un problema che non riguarda solo l'Italia, ma credo di aver capito che riguarda anche altri Paesi europei. Anche in questo caso è una questione di fondi sovrani, cioè altri capitali che potrebbero finanziare - e in che termini - la nostra impresa?

ENRICO PIANETTA. Sarò molto breve, perché il collega Tempestini ha già fatto delle richieste molto precise. Nel ringraziarvi, vorrei porre un domanda fondamentale: cosa fare per migliorare e per fare in modo che le nostre quote possano essere superiori rispetto al passato? Se vediamo i dati depurati dai prodotti energetici, vediamo che c'è una potenzialità di competizione con la Germania. Quindi, come riusciamo a incrementare la nostra presenza soprattutto nel comparto manifatturiero, attraverso migliori capacità finanziarie o attraverso un miglioramento e una maggiore intensità di natura commerciale?
Come può lo Stato creare le migliori condizioni per essere maggiormente presenti in quest'area? Ci sono giustamente delle luci e delle ombre, fermo restando che l'interscambio è la somma mentre sarebbe anche interessante capire qual è il saldo, perché è quello l'elemento che caratterizza ciò che l'Italia esporta, pur depurando i dati dai prodotti energetici che, indubbiamente, fanno la parte del leone.
Inoltre, come si può riuscire ad attrarre maggiormente i fondi sovrani? Voi stimate che entro il 2017 ci potrebbe essere addirittura un raddoppio, dal 4 si può raggiungere l'8 per cento, della percentuale di investimento dei fondi sovrani in Italia rispetto al totale europeo. Che cosa fare per essere maggiormente presenti in questo mercato che, potenzialmente, vede l'Italia nella migliore condizione possibile, anche in ragione della vicinanza geografica? Qual è il vostro suggerimento, dopo la fotografia che avete fatto?

PRESIDENTE. Prima di dare la parola al dottor Deandreis per la replica, vorrei aggiungere qualche considerazione. Conosco discretamente la Turchia e non mi sorprende la crescita di questo Paese, che ha una popolazione molto giovane ed è demograficamente in forte crescita. C'è una presenza storica dell'Italia in quel Paese: abbiamo insegnato ai turchi come colorare le stoffe. Oggi sono un po' in difficoltà a causa dell'avanzata cinese e indiana, però ancora tengono. Soprattutto sulla costa occidentale c'è una buona presenza italiana, però, come diceva il collega Tempestini, a parte la FIAT, che fa la differenza sui grandi numeri, non sono molte le realtà significative.
Ci sono 2,7 milioni di turchi in Germania, che hanno sviluppato anche una rete di interscambio molto forte tra i due Paesi, addirittura con turchi che dalla Germania tornano in Turchia e aprono piccole e medie imprese. Questo dato, che sicuramente è molto attendibile, suscita curiosità più che perplessità.
La situazione dei porti credo che sia uno dei drammi italiani. Ora Genova si sta muovendo, con una piattaforma e, soprattutto, con il pescaggio a 15 metri. È chiaro che le navi che portano 10-11 mila container non possono entrare in porti con un pescaggio così basso. Credo che abbiamo perso


Pag. 10

qualche treno: se è vero che Barcellona e Tolosa sono diventati i porti di riferimento per tutto il mondo, comprese Cina e Corea, per lo smistamento e la logistica verso l'Europa, vuol dire che noi abbiamo perso tempo e non so se abbiamo margini di recupero. Basti pensare che, con la chiusura del tunnel del San Gottardo, tutte le merci che andavano ad Amsterdam tornavano giù nel nord Italia per la redistribuzione. Questo diventa problematico, quindi si dovrebbe fare il processo inverso: da Genova verso il resto dell'Europa.
Dall'area del Nord Africa parte il principale flusso migratorio verso l'Italia. Credo che, sia nell'interscambio che nelle relazioni commerciali con questi Paesi, al netto dell'energia, dovremmo poter mettere a frutto questa nutrita presenza dei nordafricani nel nostro Paese, anche perché generano rimesse dirette verso i loro Paesi che dovrebbero ritornare sotto forma di acquisti e investimenti nel nostro.
Il Marocco esporta molti prodotti agroalimentari verso l'Italia. Per ragioni oggettive non possiamo essere competitivi ma, anche per aiutare questi Paesi, non possiamo fare la guerra nel settore agroalimentare. Visto quello che lei ha detto sulle potenzialità che già ci sono nell'area meridionale, vorrei sapere da lei quali possono essere le possibilità di sviluppo per incrementare ulteriormente le esportazioni dal Mezzogiorno verso quest'area mediterranea nordafricana. È chiaro che il nord-ovest, probabilmente, con macchine, attrezzi e elettronica, è già a livelli superiori.
Do la parola al dottor Deandreis per la replica.

MASSIMO DEANDREIS, Direttore generale del Centro Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (SRM) - Osservatorio permanente sull'economia del Mediterraneo. Grazie a lei, presidente, e ai colleghi che sono intervenuti. Esordirei con una considerazione di metodo: noi siamo assolutamente consapevoli che questo lavoro non è completo. È un progetto che abbiamo avviato l'anno scorso - questo è il secondo anno - e l'idea è proprio quella di arricchirlo gradualmente, perché occorrono forze e risorse anche economiche.
Abbiamo iniziato a fare questi lavori a cui facevo riferimento, relativi alla presenza italiana in Turchia e in Marocco, perché ci siamo resi conto che non c'è un monitoraggio costante, preciso e completo della presenza italiana in tutti i Paesi. Tale monitoraggio non esiste perché non è fatto da nessuno in modo sistematico, ma anche perché ci sono difficoltà a reperire queste informazioni. In Italia esistono le Camere di commercio e ogni impresa che nasce in Italia si iscrive al relativo registro. Non in tutti questi Paesi esiste un analogo registro pubblico, quindi voi capite che è particolarmente difficile la ricerca, anche quando si va sul campo. Inoltre, sono dati in perenne movimento, poiché imprese vanno via e nuove ne arrivano. Il quadro è in mutamento.
Ci sono diverse attività che non abbiamo ancora avviato e, magari, proprio i vostri stimoli ci porteranno a intraprendere. Per esempio, potremmo allargare la comparazione anche alla presenza di imprese di altri Paesi. L'onorevole Tempestini citava la presenza degli asiatici, che è sempre più importante. Noi abbiamo cognizione di questo. Siamo partiti anche col vincolo della statistica; sul fronte comunitario noi sappiamo comparare l'Italia con gli altri Paesi europei, ed è quello che abbiamo fatto, laddove c'erano i dati. Usiamo questo come punto di orientamento per calibrare meglio le informazioni.
Lungi da me, dunque, affermare che questa è una sorta di Bibbia completa del Mediterraneo. È un primo passo, penso importante, a partire dal quale, naturalmente, noi per primi lavoreremo per arricchire questo lavoro.
Cerco ora di approfondire i punti che sono stati velocemente evocati. I prodotti energetici, come mi sforzavo di dire anch'io all'inizio, costituiscono una sorta di droga dei dati. Questo è oggettivo, ne siamo consapevoli, però bisogna anche dire che sono comunque una parte importante dell'interscambio, quindi ometterli


Pag. 11

è impossibile. Bisogna inserirli e poi depurarli. Il ragionamento che noi facciamo è sostanzialmente questo: se i dati complessivi includono l'energia, se noi depuriamo l'energia e sappiamo che la quota dell'interscambio agricolo è minima, è ovvio che la maggior parte del restante interscambio è costituita da servizi e prodotti di manifattura, sia importati come semilavorati sia esportati come prodotti finiti.
L'unico punto sul quale darei una valutazione leggermente diversa da quella dell'onorevole Tempestini è che non necessariamente il settore energetico nasconde la crisi. Infatti, se per esempio guardiamo la Libia, i dati evidenziano la crisi. Laddove l'energia è preponderante nell'interscambio, la crisi del settore ha viaggiato di pari passo con le crisi dei Paesi. L'interscambio con la Libia, per esempio, è crollato e adesso si sta riprendendo. Quindi, l'interscambio energetico fotografa il momento di crisi e poi di ripresa.
Laddove, invece, l'interscambio manifatturiero o, comunque, di beni e servizi è una componente molto importante, l'interscambio energetico è un doping che rende misleading il valore reale dell'interscambio dell'economia. È per questo che, su alcuni Paesi come la Turchia, abbiamo deciso di fare questa indagine sul campo.
A proposito della differenza tra Italia e Germania, secondo noi ci sono due elementi. Il primo è stato chiaramente da voi evocato e su questo siamo assolutamente d'accordo: c'è una presenza molto forte di turchi, ormai non emigrati di prima generazione, ma di seconda o terza generazione, che in molti casi sono tornati dalla Germania in Turchia, sviluppando attività imprenditoriali, spesso di import-export, con la Germania. Questo spiega l'elevato numero di imprese e il basso livello medio pro capite, sia nel fatturato sia negli occupati. Si tratta infatti di classiche attività di imprenditorialità personale o simile.
C'è poi un altro elemento che, invece, è più strutturale: a differenza delle imprese italiane che hanno utilizzato la Turchia prevalentemente come un luogo di produzione per poi riesportare in Italia o nello stesso mercato turco, considerato giustamente un mercato in crescita, le imprese tedesche più grandi hanno utilizzato la Turchia anche come ponte verso tutta l'area caucasica, in gran parte di lingua turca, dove la Germania è gradualmente cresciuta come presenza. Uno studio interessante evidenzia come siano mutate le rotte della Lufthansa dalla metà degli anni Ottanta fino ad oggi. Guardando la copertura della compagnia di bandiera tedesca su tutta l'area caucasica, è evidente come, per andare in alcuni di questi Paesi, sia praticamente indispensabile passare via Francoforte. Evidentemente questo ci dice qualcosa sulla presenza del business tedesco in tutta quell'area.
La Turchia, dal punto di vista tedesco, è stata utilizzata, secondo una nostra interpretazione, anche come ponte verso quell'area. Gli italiani, invece, l'hanno utilizzata tutt'al più come ponte verso il resto del bacino del Mediterraneo, almeno dell'est, più che verso una penetrazione più profonda nel retroterra. La nostra è una fotografia; l'interpretazione viene ex post.
Mi si chiedeva cosa fare per aiutare le imprese italiane ad essere più presenti. Devo dire che nel nostro piccolo abbiamo risposto, con tutti i limiti di un'indagine che, ripeto, è complicata anche per le difficoltà nel reperimento delle informazioni. Credo che il paper sulla Turchia, che è contenuto nel rapporto, ma è anche pubblicato a sé stante ed è disponibile sul nostro sito, contenga una serie di informazioni, per esempio, sulla redditività delle imprese italiane presenti in Turchia.
Abbiamo fatto analisi del ROE, del ROS, della crescita del fatturato; abbiamo indicato in quali province sono presenti, valutato se c'era una relazione o meno con le politiche di attrazione degli investimenti che nel frattempo il Governo turco aveva messo in piedi (come zone franche o politiche di detassazione). Penso che un lavoro come questo sia quanto meno una base di partenza e di aiuto conoscitivo e cognitivo per un imprenditore che desideri andare in quei Paesi. Non a caso noi facciamo questo tipo di analisi anche per


Pag. 12

le delegazioni del gruppo bancario a cui facciamo riferimento in quei Paesi, perché costituiscono uno strumento utile.
Certamente la presenza del sistema bancario italiano e, più in generale, europeo è un punto di riferimento fondamentale, e non lo dimentichiamo. Anche qui però c'è una differenza. Noi abbiamo constatato che l'acquisizione da parte di gruppi bancari europei di banche locali, che una volta acquisite vengono a far parte di gruppi bancari europei, di per sé non è un elemento che si può mettere in relazione con la crescita dell'interscambio tra i due Paesi. Spesso l'acquisizione bancaria è il frutto di una valutazione sulle potenzialità di crescita e, quindi, di redditività di quel mercato bancario; non è utilizzata necessariamente come uno strumento per favorire la penetrazione delle imprese italiane.
Cosa diversa, invece, sono gli uffici di rappresentanza o le filiali, che hanno proprio per missione strutturale quella di sostenere la presenza di clienti italiani. Infatti, sono come - passatemi il termine improprio - un'ambasciata della struttura bancaria nel Paese. Da questo punto di vista, noi notiamo che c'è maggiore relazione tra la presenza di rappresentanze o filiali come strumento di sostegno per la presenza italiana in quei Paesi, rispetto all'acquisizione bancaria.
Sappiamo che il nostro Paese sconta anche un'assenza di strategia, non tanto come politica complessiva, quanto come strumenti di sostegno alle imprese all'estero, che sono stati parcellizzati in tanti strumenti regionali e dunque, a seconda della regione di cui parliamo, ci sono uffici diversi. Probabilmente si dovrebbe favorire il rilancio di un Istituto nazionale del commercio estero fortemente strutturato e che - bisogna dirlo - lavori con le strutture bancarie presenti in quei Paesi.
Infatti, proprio per quello che dicevo, le rappresentanze dei sistemi bancari non soltanto italiani, ma anche europei, sono il principale tramite degli imprenditori italiani che operano in quei Paesi e sono, quindi, certamente un punto di riferimento che va messo a sistema, in una logica generale e non soltanto nell'interesse individuale di chi giustamente fa business.
Mi è stato chiesto cosa fare per migliorare le nostre quote e il potenziale di competizione con la Germania. Aver voluto, da parte nostra - chiaramente è una lettura soggettiva - sottolineare questo gap con la Germania, sta a significare che si tratta in gran parte di export tedesco, già venduto e già comprato in questi Paesi.
Si tratta di approssimazioni di carattere generale, ma noi sappiamo che l'Italia, dopo la Germania, è il secondo Paese manifatturiero d'Europa e ci sono molte complementarietà nella struttura produttiva dei due Paesi. È chiaro che procediamo per approssimazione, ma è un ragionamento che ha un filo logico, che ci porta a dire che è un mercato già esistente. Non stiamo dicendo che questo mercato dipende dal fatto che questi Paesi cresceranno del 4 per cento all'anno nei prossimi anni. Infatti, è chiaro che non per tutti i Paesi sarà così: ci sono Paesi più toccati dalla crisi politica e questa instabilità inficerà le prospettive di crescita.
La Turchia e il Marocco sono Paesi relativamente stabili che, anzi, rappresentano un punto di riferimento per la stabilità anche per i Paesi vicini. L'Egitto guarda alla Turchia come modello, nonostante tutte le difficoltà. Per questi Paesi, dunque, la situazione è diversa. Non possiamo basarci soltanto sul tasso di crescita, che è un dato teorico, anche se importante. Noi facciamo un ragionamento diverso: al 2011 ci sono 13 miliardi in più di interscambio della Germania rispetto all'Italia in quest'area; potenzialmente, almeno una fetta di questo numero poteva riguardare le imprese italiane. Questa è la conclusione a cui noi arriviamo con il nostro ragionamento, lasciando il resto a chi è più operativo nell'assistenza alle imprese e nella dimensione imprenditoriale.
Noi siamo un centro studi che analizza i fenomeni. Ciononostante, ci sembra che le potenzialità del tessuto produttivo italiano, anche per la vicinanza geografica, che è un fattore competitivo, e la vicinanza


Pag. 13

culturale, ci siano. Questa è la strada che vogliamo indicare: far ritornare il Mediterraneo in una logica di priorità strategica per il Paese. Questo è un punto chiave.
Sulla Turchia credo di aver sostanzialmente risposto. Quanto alla domanda sui porti, non ci sono i porti francesi perché in particolare si faceva riferimento ai porti hub e non ai porti di destinazione finale, come sono prevalentemente quelli francesi. Abbiamo scelto di comparare i porti hub, sui quali noi stiamo perdendo quote di mercato. Non è l'unico mercato portuale, ci sono anche i porti di destinazione finale, però sui porti hub, che sono un indicatore importante, perdiamo quote di mercato.
Chiudo con il settore agroalimentare. Potevamo scegliere di partire con altri Paesi, ma abbiamo scelto il Marocco, come secondo Paese, per l'importanza dell'agroalimentare, in particolare per il Mezzogiorno. Infatti, è uno dei settori sui quali il Mezzogiorno può puntare per il suo rilancio. Lo scopo del nostro rapporto è quello di indicare delle priorità settoriali, oltre che tematiche.
Vorrei concludere con una battuta, se mi consente, proprio in riferimento alla Germania, che è stata richiamata più volte. La Germania è cresciuta con un tasso di crescita del PIL sensibilmente più alto degli altri Paesi europei e nostro in particolare perché - bisogna riconoscerlo - è più efficiente in tanti settori. Ciò si traduce in una maggiore produttività e in una crescita del PIL superiore alla nostra. Questo è uno dei due motori di questo aereo che si chiama Germania.
L'altro motore è l'export tedesco. Rispetto al 1989, prima della caduta del muro di Berlino, i tedeschi hanno beneficiato del graduale processo di aggregazione dei Paesi dell'est nell'Unione europea, prima con la fase di pre-unione e poi con l'entrata definitiva. Queste vicende hanno aperto un mercato prossimo - con il quale c'era una vicinanza culturale e geografica - che è stato ampiamente utilizzato e sfruttato dai tedeschi, giustamente dal loro punto di vista. Quindi, una parte consistente della crescita tedesca nell'ultimo decennio deriva anche da una prospettiva che antecedentemente non esisteva, perché quello era un mercato chiuso. Inoltre, quella chiusura rappresentava una barriera verso l'Asia, mentre adesso quei Paesi rappresentano un collegamento diretto con il continente asiatico.
Secondo noi, in una logica di prospettiva non immediata, ma di medio termine, a condizione di una stabilità politica e di una ripresa della politica dell'Unione europea verso il Mediterraneo, che ora è quantomeno carente, il Mediterraneo per l'Italia, in ipotesi, potrebbe essere assimilato a quello che ha rappresentato l'est europeo per la Germania, da un punto di vista di crescita economica e di prossimità e di vicinanza. Lo dimostra proprio il caso tedesco.
Il presupposto è quello di un'aggregazione che, come ben sappiamo, è ancora ben lontana.

PRESIDENTE. È vero quello che lei dice, ma la Germania è anche un Paese che è ancora capace di pensare in grande, anche per quanto riguarda il suo sistema industriale. Noi, purtroppo, non riusciamo più a ragionare in grande. Basti pensare a Berlino. C'è una differenza abissale.
Vorrei ancora chiederle, velocemente, se questa vostra ricerca ha un impatto negli ambienti più importanti, cioè nel mondo delle imprese, di Confindustria. Viene recepito come uno strumento importante?

MASSIMO DEANDREIS, Direttore generale del Centro Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (SRM) - Osservatorio permanente sull'economia del Mediterraneo. Spero di sì e noi facciamo di tutto perché lo sia. Vorrei sottolineare che il fatto stesso che un gruppo bancario importante abbia deciso di dar vita, inserendola dentro un centro studi che già esisteva, a un'attività di monitoraggio di questo tipo e di collocarla a Napoli - lavoriamo con partner come l'OCSE, con l'Istituto affari internazionali (IAI), a livello internazionale


Pag. 14

facciamo parte di network con altri centri di ricerca - credo che sia il presupposto per essere gradualmente più considerati anche in quegli ambienti imprenditoriali a cui lei faceva riferimento.
Siamo consapevoli che le cose si guadagnano. Abbiamo iniziato da due anni l'attività sul Mediterraneo. Penso che anche questa audizione, di cui la ringrazio ulteriormente, sarà un elemento che ci aiuterà ad avere maggiore diffusione e ascolto, perché lavoriamo per sottolineare esattamente questi aspetti.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Deandreis e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 12,50.

Consulta resoconti delle indagini conoscitive
Consulta gli elenchi delle indagini conoscitive