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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
1.
Giovedì 16 ottobre 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Pianetta Enrico, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI OBIETTIVI DI SVILUPPO DEL MILLENNIO DELLE NAZIONI UNITE

Audizione del Coordinatore esecutivo della Campagna delle Nazioni Unite per gli obiettivi del Millennio, Evelyn Herfkens:

Pianetta Enrico, Presidente ... 2 7 10 14 16
Barbi Mario (PD) ... 13
Corsini Paolo (PD) ... 8
Herfkens Evelyn, Coordinatore esecutivo della Campagna delle Nazioni Unite per gli obiettivi del Millennio ... 3 14
Maran Alessandro (PD) ... 10
Mecacci Matteo (PD) ... 10
Narducci Franco (PD) ... 8
Pistelli Lapo (PD) ... 12
Tempestini Francesco (PD) ... 11
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sugli obiettivi di sviluppo del millennio

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 16 ottobre 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ENRICO PIANETTA

La seduta comincia alle 9,05.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del Coordinatore esecutivo della Campagna delle Nazioni Unite per gli obiettivi del Millennio, Evelyn Herfkens.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli obiettivi di sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite, l'audizione del Coordinatore esecutivo della Campagna delle Nazioni Unite per gli obiettivi del Millennio, Evelyn Herfkens.
È una veterana delle nostre aule perché è stata qui già due anni fa e io ho avuto modo di conoscerla in occasione di un'altra audizione al Senato; do quindi il benvenuto alla signora Herfkens e agli altri componenti della delegazione composta da altri protagonisti della Campagna delle Nazioni Unite per gli obiettivi del Millennio, Marina Ponti, direttrice per l'Europa, Marta Guglielmetti, coordinatrice per l'Europa, Patrizia Labella, policy advisor.
Prima di dare avvio all'audizione desidero ricordare che la signora Evelyn Herfkens è alla guida da sei anni della Campagna delle Nazioni Unite per gli obiettivi del Millennio da lei fondata su mandato del Segretario generale dell'ONU e ricopre importanti incarichi come consulente speciale dell'amministrazione dell'UNDP e componente della Commissione mondiale sulla dimensione sociale della globalizzazione.
Ricordo che è stata audita dalla Commissione affari esteri nel corso della scorsa legislatura nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla globalizzazione.
Mi preme infine esprimere a nome dei componenti il Comitato vivo compiacimento per la partecipazione di Evelyn Herfkens al nostro lavoro che contribuisce, con la sua esperienza e il suo prestigio personale, al migliore avvio dei lavori dell'indagine conoscitiva sugli obiettivi di sviluppo del Millennio.
Ringrazio quindi Evelyn Herfkens per la cortese disponibilità.
La promozione e la tutela dei diritti umani sono alla base dell'operare delle strategie delle Nazioni Unite e identificare i diritti umani con il raggiungimento degli obiettivi del Millennio rappresenta, a mio giudizio, una base da cui partire per sviluppare le nostre considerazioni su questi temi. Parlare di obiettivi del Millennio, del resto, significa parlare di vita, salute, capacità di riuscire a risolvere il problema della povertà, della parità dei sessi, delle questioni relative all'infanzia, e quindi di tutti i diritti fondamentali della convivenza umana. La nostra indagine vuole approfondire la conoscenza di questi temi.
Questa è la considerazione di avvio che voglio esprimere, a nome di tutti i componenti di questo Comitato, che ha l'obiettivo di dare consapevolezza non soltanto al Parlamento, attraverso l'approfondimento


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di questi temi, cercando di essere elemento di sprone al Governo, ma anche nei confronti dell'opinione pubblica.
È per questo motivo che invito tutti a partecipare alla conferenza stampa che seguirà questa audizione. Senza dubbio, infatti, dobbiamo uscire dalle nostre stanze, per promuovere il coinvolgimento all'opinione pubblica.
Credo che un altro tema che la nostra ospite svilupperà sarà quello della capacità non soltanto del nord del mondo di contribuire, ma anche di fare in modo che ci sia una grande consapevolezza e una grande responsabilità da parte di chi riceve tale contributo.
Mi piace ricordare la metafora del guidatore e del passeggero, che in una precedente occasione la nostra ospite ebbe occasione di citare. Il guidatore non può essere che il Paese in via di sviluppo e il passeggero siamo noi che dobbiamo contribuire a questo viaggio. Un viaggio che, naturalmente, coinvolge tutti quanti e che è talmente importante che vale la pena di dedicare ad esso tutti i nostri sforzi e tutte le nostre capacità.
Infatti, se questo viaggio non raggiunge gli obiettivi che ci siamo prefissati, andremo tutti fuori strada e questo significherebbe senza dubbio creare delle condizioni molto negative per tutti.
Le mie brevissime osservazioni vogliono essere solo uno spunto per la nostra ospite, cui cedo con grande piacere la parola.

EVELYN HERFKENS, Coordinatore esecutivo della Campagna delle Nazioni Unite per gli obiettivi del Millennio. Presidente, la ringrazio per le sue cortesissime parole.
Parlo sempre volentieri nelle aule parlamentari, in quanto sono stata anche io per lungo tempo parlamentare, quindi mi sento a casa, e perché sono fermamente convinta del fatto che i Parlamenti possono veramente fare la differenza.
Sono convinta dell'importante ruolo dei parlamentari e dell'importanza di garantire la partecipazione ai Parlamenti. Del resto, sono i parlamentari che tengono i cordoni della borsa e che approvano le leggi. Inoltre, come ha detto lei nella sua introduzione, presidente, i Parlamenti possono influenzare anche l'opinione pubblica. E spero che insieme ci riusciremo.
Quindi, i Parlamenti possono fare molto per sensibilizzare la pubblica opinione e per controllare l'azione del Governo.
Spero vivamente che questo Comitato, nei prossimi anni, possa effettivamente approfondire il rapporto OCSE-DAC sui singoli Paesi donatori (ce n'è uno sull'Italia ancora attuale e tra breve ne verrà effettuato uno nuovo). Questo deve essere considerato come strumento per controllare meglio l'operato del Governo.
È importante che i parlamentari non limitino il loro sguardo alle politiche di assistenza, ma che valutino anche le altre politiche collegate, come quelle del commercio, per verificarne la compatibilità e la coerenza con gli obiettivi di sviluppo del Millennio, in particolare con l'obiettivo n. 8.
Il fatto che sia stato istituito il Comitato per gli obiettivi di sviluppo del Millennio, a mio avviso, è un grande segnale di speranza che spero si traduca ben presto in concrete azioni, anche a livello di bilancio.
Gli obiettivi di sviluppo del Millennio hanno creato una divisione del lavoro tra Paesi poveri e ricchi.
A noi, nei Paesi ricchi, spetta il compito di attuare l'obiettivo n. 8, che persegue il miglioramento del quadro istituzionale, del sistema sanitario e del sistema scolastico.
Altri obiettivi spettano ai Paesi in via di sviluppo che devono migliorare il loro sistema di governance, combattere la corruzione, creare attività ad alta intensità di manodopera, creare nuovi posti di lavoro. Queste, dunque, sono le attività che debbono essere svolte dagli stessi cittadini dei Paesi in via di sviluppo.
Tuttavia, noi, nei Paesi ricchi, sappiamo che i Paesi africani - i Paesi poveri in generale, ma quelli africani in particolare - non ce la possono fare da soli. Pertanto, a noi spetta aumentare e migliorare l'assistenza


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nonché modificare le regole del commercio globale, per consentire ai Paesi poveri di esportare i loro prodotti verso i nostri mercati.
Ho già partecipato ad altre audizioni e posso dire che dal 2000 abbiamo visto dei progressi.
Ad oggi abbiamo oltre 40 milioni di bambini scolarizzati in più rispetto all'inizio del 2000 e tre milioni di bambini in più che sopravvivono alla prima infanzia.
D'altra parte, però, devo riferirvi una brutta notizia: il ritmo del miglioramento è troppo lento, per consentire il raggiungimento degli obiettivi, in particolar modo nell'Africa subsahariana. Questo vale soprattutto per gli obiettivi relativi all'infanzia e alle donne. Abbiamo ancora 75 milioni di bambini non scolarizzati.
Inoltre, ogni anno, oltre mezzo milione di donne muoiono per complicazioni, che in realtà sono curabili e prevenibili, collegate alla gravidanza e al parto.
Sei settimane fa, il segretario generale dell'ONU ha detto che ci troviamo di fronte a una vera e propria emergenza dello sviluppo. Tale considerazione è stata svolta prima delle turbolenze finanziarie. Personalmente, temo che questa crisi finanziaria possa spazzare via anni di progressi.
Sappiamo, infatti, che quando i mercati finanziari starnutiscono, i poveri prendono la polmonite.
Ci preoccupiamo non soltanto per gli aspetti di bilancio, ma anche per la crisi degli investimenti nei Paesi poveri, perché si frena l'accesso al credito dei Paesi poveri. Calerà anche la domanda per le loro esportazioni, caleranno le rimesse degli emigranti e tutto questo porterà a un rallentamento della crescita, a più povertà e più disuguaglianza.
Credo che gli economisti concordino sul fatto che ci troviamo in una crisi finanziaria globale, quindi è necessario un pacchetto di misure di stimolo globale.
Mi auguro dunque che, mentre i ministri delle finanze si riuniscono per trovare i miliardi e miliardi di dollari necessari per salvare il sistema bancario, non dimenticheranno quella manciata di miliardi che hanno da tempo promesso e che servono per salvare i poveri che si trovano alla base della piramide, ossia le persone che vivono con meno di un dollaro al giorno.
Speriamo che vengano almeno mantenute le promesse che sono state fatte e che la marea dei mercati finanziari non spazi via l'assistenza allo sviluppo.
Questo fine settimana - era presente anche il ministro della finanza italiana, l'FMI (Fondo monetario internazionale) e la Banca mondiale -, il ministro ha approvato una dichiarazione, in cui si sottolinea la maggiore importanza, nel contesto attuale, del fatto che i donatori debbono assolvere ai loro impegni e alle loro promesse dal punto di vista dell'assistenza.
Si tratta di belle parole e di belle promesse. Tuttavia, sappiamo che lo scorso anno, prima dell'impatto della crisi, la differenza tra l'assistenza promessa e quella effettivamente erogata è stata di oltre trenta miliardi di dollari.
Tra gli europei, l'Italia è responsabile della porzione più grossa di questa mancata assistenza. Il vostro bilancio dell'assistenza, lo scorso anno era inferiore ai quattro miliardi di dollari. Tale dato pone l'Italia a un livello inferiore di quello della Svezia o dei Paesi Bassi.
Rispetto ad altri paesi del G8, lo scorso anno, l'Italia ha dato un terzo di quello che dà la Germania; mentre i francesi e gli inglesi hanno bilanci di assistenza di due volte e mezzo superiori. È una situazione veramente tremenda.
Ho sentito - mi auguro che non sia vero - che in Italia si parla di ridurre ulteriormente i fondi per l'assistenza.
Ci troviamo tra amici, quindi vi dico che spero che possiate fare qualche cosa per impedire questo. Sarebbe veramente disastroso se i tagli, di cui mi hanno parlato, fossero realizzati, perché l'Italia si troverebbe ad essere la più bassa in percentuale del PIL di tutti i Paesi donatori ricchi. Il bilancio complessivo dell'Italia sarebbe inferiore a quello della Norvegia.
Non posso pensare che l'Italia possa esercitare in maniera credibile la presidenza


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del G8, essendo un Paese il cui bilancio per la cooperazione e lo sviluppo è inferiore a quello della Norvegia.
Quindi, spero che si sviluppi un dibattito che possa cambiare la situazione e mi auguro anche che il prossimo rapporto OCSE-DAC possa aiutarvi in qualche maniera ad aumentare il vostro impegno e a impedire questi sviluppi.
Le prospettive di bilancio non sono molto positive, quindi è ancora più importante l'efficienza con cui spendiamo le risorse.
Quest'anno, l'OCSE ha introdotto un nuovo benchmark per misurare l'impegno dei donatori, non soltanto sulla base del volume complessivo dei fondi, ma anche della porzione effettivamente utilizzabile dal Paese povero per realizzare le politiche in questione. Questo indice è chiamato CPA (Country Programmable Aid), assistenza programmabile per il Paese. Quindi, una volta defalcate tutte le spese che vengono attivate nel Paese donatore per erogare l'assistenza o una volta escluse le risorse che i Paesi non possono effettivamente utilizzare per finanziare i loro programmi, rimane questa quota. Ebbene, di tutta l'assistenza che viene fornita a livello globale neanche la metà raggiunge effettivamente i Paesi poveri.
Se osserviamo i singoli donatori e l'Italia in particolare, noteremo che non si arriva neanche alla metà dell'importo. Infatti, soltanto un quinto del bilancio dell'assistenza viene erogato in modo tale da aiutare effettivamente i Paesi a raggiungere i loro obiettivi. Per ogni euro di assistenza, soltanto 21 centesimi vengono erogati realmente.
Quindi, spero che il vostro Comitato possa contribuire ad aumentare l'efficacia dell'assistenza pubblica allo sviluppo dell'Italia, migliorando anche il valore prodotto.
A mio avviso, dunque, un miglioramento qualitativo potrebbe aiutarvi a difendere e sostenere la richiesta di un aumento dei fondi disponibili di fronte ai vostri colleghi parlamentari, alla Commissione bilancio, o alle persone che volete convincere. Migliorando la qualità dell'intervento, sarà più facile difendere anche la richiesta di aumenti, non solo di fronte ai parlamentari, ma anche ai contribuenti.
Credo che il prossimo rapporto OCSE-DAC sarà molto utile a tal fine.
In tale prospettiva, vi prego di utilizzare anche la campagna italiana per il Millennio per favorire lo sviluppo di un dibattito pubblico su tali problematiche.
Del resto, se non è possibile raddoppiare il volume dell'assistenza da voi promessa in termini assoluti, cerchiamo almeno di triplicarne l'efficacia.
Vengo ora ad elencare i problemi, dal punto di vista della qualità, anche se sono certa ne siete già a conoscenza. È innanzitutto necessario istituire una agenzia o un ministero specializzato. Tutti gli altri Paesi donatori hanno un ente specializzato. Inoltre, occorre focalizzare gli aiuti sui Paesi poveri che ne hanno effettivamente bisogno, segnatamente in Africa. Non dovete inviare metà del vostro bilancio a Paesi che non hanno bisogno.
Oltre a ciò, dovete svincolare l'assistenza. Una parte eccessiva dell'assistenza italiana è vincolata. Si propongono dei fondi, ma in cambio si chiede di acquistare beni e servizi italiani.
L'OCSE-DAC ribadisce che bisogna svincolare questi aiuti, altrimenti risulteranno inefficaci e si genererà corruzione.
Infine occorre attuare una nuova agenda, da tutti concordata, per una maggiore efficacia dell'assistenza.
L'agenda per l'azione concepita a Roma cinque anni fa è stata codificata dalla Dichiarazione di Parigi.
Lo scorso mese, abbiamo adottato ad Accra un piano d'azione rafforzato. In quella occasione, molti parlamentari hanno ribadito l'importanza di rafforzare il ruolo del parlamentari nei Paesi poveri, per consentire ai Parlamenti di questi Paesi di controllare i loro Governi.
Sono decenni che parliamo dell'esigenza di migliorare l'efficacia dell'assistenza, ma questa è la prima volta che i donatori si rendono conto di essere parte del problema, quindi si sono impegnati a ricercare una soluzione.


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Oggi abbiamo un ampio consenso internazionale basato sugli insegnamenti dati dagli errori degli ultimi cinquanta anni.
Con questa agenda, abbiamo uno strumento, una road map concreta che ci può consentire di migliorare l'impatto dell'assistenza sullo sviluppo.
I donatori si rendono conto che non siamo noi a sviluppare loro, ma sono loro che sviluppano sé stessi. Quindi devono essere loro, come diceva il presidente Pianetta, a occupare il posto di guida. Quando dico loro, non parlo soltanto dei Governi. La responsabilità, infatti, non deve essere limitata ai ministri delle finanze dei Paesi in questione, ma deve includere i Parlamenti e la società civile che devono definire strategie per seguire le questioni più importanti e affrontare la corruzione.
Noi donatori dobbiamo rispettare quella autonomia e quella responsabilità.
L'assistenza non basta per raggiungere gli obiettivi del Millennio. Dobbiamo smettere di pensare al nostro progetto olandese o italiano e dobbiamo concentrarci sulle politiche scolastiche o sanitarie del, per esempio, Mozambico.
Non dobbiamo più pensare che stiamo costruendo una scuola italiana o olandese in quel Paese, ma dobbiamo consentire ai Governi beneficiari di utilizzare le proprie procedure e garantire che questi fondi siano assoggettati al controllo dei loro Parlamenti.
Questi progetti antiquati, in realtà, non vanno alla radice dei problemi derivanti da un sistema sanitario o scolastico carente, perché, in qualche maniera, scavalcano ed eludono le responsabilità dei Governi a livello locale.
In passato, questo ha portato a una serie di progetti piccoli e scoordinati che non hanno veramente inciso sullo sviluppo. Sono state delle isolette idilliache in un oceano di povertà e di disperazione. Peraltro, quando i donatori se ne vanno, queste isolette crollano. Infatti, se anche è stata costruita la scuola, non si è pensato alla sua manutenzione, né agli stipendi degli insegnanti.
Tale parcellizzazione comporta uno spreco dei nostri soldi. Per fare questo, infatti, abbiamo creato un apparato burocratico in patria, a casa nostra, e queste burocrazie sono pagate anche con il bilancio dell'assistenza. In questo modo, addirittura sottraiamo qualcosa ai fondi, all'assistenza.
In definitiva, dunque, sono i Paesi poveri che pagano per il fatto di essere infastiditi da troppi donatori che danno troppo poco e in maniera scoordinata.
Con questi finanziamenti fuori bilancio dei Paesi locali, di fatto, andiamo a inficiare le possibilità di controllo a livello locale, compresi gli strumenti di controllo parlamentare e anche l'approvazione di bilancio, uno strumento potentissimo.
Se blindiamo l'assistenza, escludendola dal bilancio con un progetto isolato, diamo un falso senso di sicurezza al donatore: l'unico modo che noi, Paesi donatori, abbiamo per essere certi che il nostro denaro venga speso nel miglior dei modi consiste nell'integrarci nel quadro complessivo delle politiche del Paese beneficiario. Solo in questo modo potremmo contribuire al miglioramento del sistema di gestione finanziaria di tale Paese. In qualità di Paesi donatori, dobbiamo, dunque, collaborare, armonizzare i procedimenti, intensificare le analisi e le missioni congiunte.
Dobbiamo, inoltre, attuare concretamente la Dichiarazione di Parigi, per migliorare l'efficacia dell'assistenza. Purtroppo, tale processo si trova in una fase di stagnazione, perché i donatori continuano a voler piantare la loro bandierina sul proprio contributo e a coltivare questa illusione di controllo.
L'incontro di Accra, il mese scorso, ha prodotto un'agenda più incisiva, ma anche in quel caso i progressi sono stati modesti, a causa degli Stati Uniti e del Giappone. Noi europei non dobbiamo farci fermare; dobbiamo andare avanti con questa agenda.
La buona notizia è che, un anno e mezzo fa, l'Unione europea ha approvato nuove linee guida sulla complementarietà e la divisione del lavoro tra gli Stati membri e la Commissione; un ottimo strumento,


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molto opportuno. Infatti, se vogliamo ridurre i cosiddetti «costi di transazione» per i beneficiari che devono gestire tutti questi donatori, dovremmo ridurre il numero dei donatori nel singolo Paese beneficiario o nel settore in questione. L'Unione europea può proseguire in questa direzione, migliorando la nostra divisione del lavoro.
Non tutti i 27 Paesi devono concentrarsi nello stesso settore in Mozambico. Cerchiamo di dividere il lavoro. Noi, Paesi dell'Unione europea, che rappresentiamo più della metà dei donatori e più della metà del bilancio complessivo per l'assistenza allo sviluppo, con meccanismi interni di cooperazione e coordinamento, potremo diventare veramente la locomotiva di questo impegno.
Ho visto già concretamente che quando si parte su questa strada, Paese dopo Paese, anche altri donatori si vogliono inserire in questa iniziativa.
A questo punto, ogni singolo Stato membro deve fare i propri compiti a casa e capire in quali Paesi andare, in quali settori si ha un vantaggio comparativo e via dicendo.
Come ho già detto, l'Italia non è uno dei donatori più grandi, ma si trova in una categoria intermedia. Inoltre, non possiede neanche una propria agenzia o un ministero specializzato.
Pertanto, invece di avere i propri progetti, il vostro Paese dovrebbe cercare di far fluire gran parte dell'assistenza in canali multilaterali, cercando anche di concentrarsi su pochi Paesi e pochi settori. Fatto questo, dovrebbe rafforzare le capacità professionali, affinché in quei Paesi e in quei settori l'Italia abbia una posizione di forza e di leadership all'interno dell'Unione.
Ciò significa che l'Italia dovrebbe uscire dai Paesi e dai settori in cui vi sono delle sovrapposizioni, dei duplicati, delle incoerenze con l'impegno di altri donatori, cercando di creare una propria competenza nei settori e nei Paesi in cui dovrebbe rimanere.
A mio parere, questa politica migliorerebbe tantissimo il valore dell'assistenza italiana. L'Italia, infatti, non dovrebbe essere dappertutto e in ogni settore, ma dovrebbe decidere in quali Paesi vuole avere una presenza forte. Credo che il vostro Comitato potrebbe dare un utile contributo anche da questo punto di vista.
Non voglio rinunciare alla speranza che riusciremo a raggiungere gli obiettivi del Millennio entro il 2015, se inizieremo a mostrarci all'altezza delle nostre promesse. Tuttavia, mantenendo la velocità e il ritmo attuali non riusciremo in questo intento.
Molti Paesi poveri stanno realizzando progressi - questa è una buona notizia - e stanno adempiendo ai loro impegni, come quello relativo alla politica economica e alla governance.
La situazione in Africa non è mai stata così positiva; ne è una dimostrazione la quantità di riforme attuate e andate a buon fine. Tuttavia, sappiamo che i livelli e l'efficacia dell'assistenza stanno calando. Oltre a ciò, si è bloccata l'agenda di Doha, poiché un ristretto numero di agricoltori molto ricchi di paesi altrettanto ricchi ne sta ostacolando il progresso.
Quindi, non servono conferenze internazionali, promesse e discorsi. I Governi devono mantenere le loro promesse; promesse di alto livello, che però non sono state mantenute.
Le Nazioni Unite non hanno questo strumento di controllo sui Governi. Non possiamo inviare la polizia se non vengono mantenute le promesse fatte in sede ONU. Quindi, siete voi, Parlamenti e cittadini che avete il potere di garantire che i Governi mantengano le loro promesse.
Sono veramente lieta di questa occasione di incontro e del fatto che adesso il Parlamento italiano abbia un Comitato che riunisce parlamentari di tutto l'arco delle forze politiche impegnati su queste questioni e desiderosi di dare un contributo e di migliorare la situazione.

PRESIDENTE. Ringraziamo la nostra ospite, Evelyn Herfkens, per il suo prezioso intervento e anche per le parole che ha voluto esprimere nei confronti dell'Italia, come sprone a modificare la propria


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politica, non soltanto dal punto di vista della quantità dell'assistenza offerta, ma anche per incrementarne l'efficienza.
In quest'ottica è stato positivo anche il suggerimento di individuare settori e Paesi nei quali l'Italia può diventare leader.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

FRANCO NARDUCCI. Ringrazio molto la nostra ospite per la sua illuminante esposizione, che aiuta il lavoro del nostro Comitato sugli obiettivi del Millennio in seno alla Commissione affari esteri.
Vorrei svolgere alcune brevissime considerazioni.
Intanto, rivolgo il mio ringraziamento ad Evelyn Herfkens, per aver affrontato le questioni tecniche attinenti al problema e agli obiettivi in questione, ma anche per la franchezza con cui ha focalizzato, senza mezzi termini, le diverse criticità del sistema di aiuto.
In Svizzera, ho fatto parte per alcuni anni di un'organizzazione di aiuto umanitario, la Brüke Le Pont. Uno dei problemi che emergeva sempre, rispetto ad un Paese con una grande tradizione in campo umanitario, era quello di finalizzare in modo efficace ed efficiente le risorse senza dispersioni. Le scelte che sono state assunte vertevano tutte sull'attuazione di un'azione mirata sul piano multilaterale.
Pertanto, condivido con lei il fatto che non si può parlare di aiuti in termini di progetti dell'Italia, dell'Olanda o della Svizzera, ma che occorre individuare progetti per aiuti umanitari con una forte caratterizzazione dal punto di vista del raggiungimento degli obiettivi. Credo che lei abbia illustrato molto bene questo aspetto.
È chiaro, quindi, che si debba ritornare alla dichiarazione di Parigi, soprattutto in un'epoca in cui le risorse sono molto limitate, e che si debba cercare di fare il massimo con quanto si riesce a ottenere. Questo, tuttavia, non ci può esimere, come uomini e come cittadini che hanno una coscienza, dal dire che la situazione non può essere risolta completamente, perché ci troviamo di fronte a cambiamenti tremendi dal punto di vista climatico, con crisi alimentari, oltre che finanziarie.
Pertanto, ogni Paese che ne ha la possibilità - e tra questi vi è sicuramente l'Italia - deve dare di più. Questo è evidente.
Noi siamo in forte imbarazzo per quello che lei ha detto, siamo preoccupati - sappiamo che il presidente condivide i nostri timori -, anche perché è vero che l'Italia sta affrontando un'emergenza finanziaria, come gli altri Paesi, e soprattutto sta cercando di abbattere il suo debito pubblico, ma stiamo assistendo anche ad un progressivo smantellamento dei nostri aiuti.
L'aspetto preoccupante è che questa manovra non è annuale, ma durerà tre anni. Quindi, anche da questo Comitato, invitiamo il Governo a fare di più per risolvere problemi che ormai tutto il mondo deve affrontare e risolvere, dal momento che non riguardano un singolo Stato.
Certo, l'Italia, per la sua posizione geografica vicina all'Africa, riveste un ruolo importante, ma credo che quello al nostro esame sia un problema globale che deve essere affrontato, come sta facendo l'ONU.
Peraltro, questo è il senso di quanto emerso dall'incontro che abbiamo avuto con il presidente Deutscher, circa due settimane fa, a Commissioni riunite.
In quell'occasione, i rappresentanti dell'OCSE e del DAC, insieme allo stesso presidente, tra le altre cose, hanno manifestato l'ottimismo della ragione. Infatti, di fronte a problemi di tale portata, credo che ogni Governo e ogni Paese debbano fare il massimo per contribuire non soltanto a portare aiuto a chi soffre e a chi è minacciato dalla vita, ma anche a stabilire le premesse che servono al mondo di oggi per poter guardare in avanti con una certa fiducia.

PAOLO CORSINI. Anche io mi voglio associare all'apprezzamento che l'amico e collega Franco Narducci le ha rivolto.


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Ho ascoltato quasi con istintivo stupore la franchezza e la schiettezza del suo linguaggio e della sua esposizione. In queste sedi, siamo abituati a una sorta di «diplomatizzazione» dei discorsi, delle narrazioni e delle modalità di argomentazione dei temi, a cui, di volta in volta, siamo chiamati a partecipare.
Quindi, esprimo vivo apprezzamento per l'inusuale franchezza con la quale lei ha voluto mettere a fuoco la gravità dei problemi che ci troviamo ad affrontare.
Parliamo di problemi che mi pare siano duplici: da un lato, come lei ha osservato, assistiamo a una diminuzione già avvenuta dei fondi per la cooperazione, per lo sviluppo e per gli obiettivi di riscatto di interi Paesi; dall'altro, credo che questo sia un problema per l'Italia, ma penso che abbia anche un carattere internazionale.
Questo, infatti, è il punto di non ritorno a cui sono approdate le grandi scelte di politica finanziaria, alla luce anche della crisi internazionale, alla quale assistiamo proprio in questi giorni.
Penso dunque che sarà necessario compiere uno sforzo tanto politico, quanto culturale, per ripensare a quelli che uno studioso ha definito i meccanismi dello scambio ineguale, che caratterizzano il sistema delle relazioni, in particolare tra il nord e il sud del mondo.
Per venire invece alle sollecitazioni che la sua esposizione ci ha proposto, condivido le valutazioni che sono state avanzate circa i limiti e le arretratezze che caratterizzano l'azione del nostro Paese.
Voglio essere anche io un gentiluomo, come lo è il presidente Enrico Pianetta. Credo, infatti, che non si tratti di problemi che vanno letti sulla contingenza di una polemica politica.
Da parte nostra - sono un parlamentare di opposizione -, abbiamo richiamato il nostro parere contrario ai tagli di bilancio, relativi al finanziamento delle politiche di cooperazione. Tuttavia, credo che onestamente si debba dire che questi sono limiti e carenze di lungo periodo, per certi versi strutturali, che caratterizzano le politiche che vedono impegnata l'Italia nel campo della cooperazione internazionale, in modo particolare per quanto riguarda gli obiettivi del Millennio.
Mi pare che sostanzialmente siano tre i temi sui quali dobbiamo riflettere. Innanzitutto, vi è l'aspetto relativo a una caratterizzazione degli aiuti a progetto, anziché a programma. Lei ha toccato questo problema. Credo che meriterebbe - e mi rivolgo anche al presidente - di essere approfondito in sede di Comitato da parte nostra.
Per il resto - se mi è concessa una piccola testimonianza personale -, essendomi avvicinato a questi problemi quando vestivo alla marinara e portavo i calzoncini corti, ricordo che i miei amici più adulti che aprivano iniziative a progetto in Burundi, piuttosto che in Congo o in altri Paesi, mi segnalavano la natura limitativa di questa impostazione, che è un limite culturale, che diventa poi operativo e che mostra deficit forti di efficienza e di efficacia.
In secondo luogo, ho visto che nell'opuscolo che ci è stato consegnato vi è una tematizzazione estremamente precisa che viene definita come il costo-utilizzo dei beni italiani. Direi che questo problema evoca la necessità di una sorta di riconversione a U delle scelte di politica o delle modalità attuative.
Infine, vengo alla questione della vera e propria dissipazione e allo spreco dei viaggi scoordinati di un Paese che non può sottoutilizzare le poche risorse disponibili, disperdendole in rivoli che non hanno approdi assolutamente significativi. La parcellizzazione dell'intervento e il mancato coordinamento costituiscono le caratteristiche di un investimento che non ha ritorno.
Quindi, credo che le osservazioni che lei ci ha sottoposto, in realtà - forse questo è l'unico aspetto «diplomatizzante» del suo intervento - diventino degli indiretti suggerimenti, delle indirette proposte, delle indirette indicazioni di lavoro.
In conclusione, auspico - anche perché ho grande stima e apprezzamento dell'onestà intellettuale del collega presidente di questo Comitato - che su questi temi ci


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sia una vocazione condivisa e unitaria, da parte delle forze politiche e dei rappresentanti di maggioranza e opposizione.
Mi pare, infatti, che i riscontri che lei ci ha proposto siano assolutamente oggettivi e non chiamino in causa, sul breve periodo, questo Governo o quello precedente, ma riguardino le caratteristiche di riconoscibilità della cooperazione nazionale italiana.
Questo è il punto. Quindi, è necessario dare una risposta univoca e condivisa.

ALESSANDRO MARAN. Ringrazio il coordinatore esecutivo della campagna per aver posto la questione nei giusti termini e anche per i suggerimenti che ha avanzato.
Vengo al sodo, anche perché, come ha detto il coordinatore esecutivo, siamo tra amici. Per lo stesso motivo, inoltre, do per acquisita la discussione che si è svolta pochi giorni fa all'Assemblea generale dell'ONU.
Il nodo della questione - per il nostro Paese, ma anche in generale per come si stanno mettendo le cose - è rappresentato dalla riduzione degli aiuti, oltre che dalle vicende legate all'attualità.
Possiamo considerare il dibattito rapidamente chiuso, signor presidente, se si considera che all'audizione di oggi è presente soltanto l'opposizione parlamentare. Non c'è - e credo che questo sia scandaloso - un solo membro dalla maggioranza di Governo. Questo elemento non è irrilevante.
Infatti, stando così le cose, potremmo rapidamente chiudere la discussione.
Tuttavia, vi è di più, per quanto riguarda la discussione complessiva nel nostro Paese. Proprio la situazione di crisi, l'imprevedibilità degli esiti e le spinte protezionistiche che si stanno fatalmente generando stanno restringendo gli spazi di manovra e la possibilità stessa che la discussione abbia un auditorio ben disposto.
Pertanto, si pone un aspetto centrale, rispetto al quale vorrei conoscere la sua opinione per capire come possiamo orientarci tutti noi.
Credo che se soltanto si rilancia uno sforzo di attenzione nei confronti dell'opinione pubblica, possiamo immaginare di avere il sostegno necessario per proporre le necessarie iniziative in sede parlamentare.
Questo sforzo, tuttavia, non può ridurre la campagna e il nostro lavoro semplicemente ad un'azione caritativa su larga scala, fatta da parte di gente perbene: o riusciamo a rilanciare l'idea che lo sviluppo e il benessere nei Paese avanzati, in quelli occidentali, dipende dall'interdipendenza e che la stessa cittadinanza dipende dallo sviluppo della società civile internazionale; oppure la battaglia è rapidamente persa.
Questo nodo dovrebbe costituire la nostra principale preoccupazione, nei prossimi mesi e nelle prossime settimane, proprio per poter riprendere gli sforzi e i propositi della campagna, contando su uno spazio di attenzione, sulla possibilità di costruire consensi e sostegno, che, se dovessero mancare, renderebbe i nostri sforzi parlamentari poca cosa.

PRESIDENTE. Anche io devo apprezzare la grande attenzione dell'opposizione e stigmatizzare il fatto che non vi è alcun rappresentante della maggioranza.
Il presidente da solo non può, indubbiamente, fare da contrapposizione armonica, nell'ambito di questa Commissione.

MATTEO MECACCI. Signor presidente, ringrazio la rappresentante della Campagna per il Millennio per la franchezza con cui si è presentata. Credo, peraltro, che franchezza chiami franchezza.
Voglio esordire, dunque, ricordando che quando mi trovavo alle scuole elementari - sono giovane, ma si parla dell'inizio degli anni Ottanta - nel nostro Paese ci fu una grande campagna contro lo sterminio per fame (che coinvolse il mio partito in particolare, il Partito Radicale, ma anche il Pontefice e tante altre organizzazioni) che aveva l'obiettivo dello 0,7 per cento del budget come aiuti allo sviluppo.
Oggi, dopo 25 anni, dobbiamo constatare che probabilmente siamo sotto il


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livello che riuscimmo a raggiungere nel 1983, come esito di questa campagna. Quindi, siamo di fronte a quello che è evidentemente un fallimento delle istituzioni, della politica e delle organizzazioni non governative che si sono impegnate su questo fronte, così come abbiamo fatto noi in prima persona. Credo, tuttavia, che questo debba spingerci a continuare e a lavorare di più.
Purtroppo, quando ci vengono forniti i dati sulle morti delle donne che fanno figli, o sulle morti dei bambini, non pensiamo che si tratta di notizie che probabilmente corrisponderebbero a 100, 200, mille attentati terroristici che accadono ogni giorno sotto i nostri occhi, che è possibile prevenire, ma rispetto ai quali non si fa niente. Sfortunatamente, non si associa tale idea a questi dati, a questi numeri che ci arrivano ogni giorno, che entrano dentro di noi, nel nostro cervello e nella nostra mente, senza però produrre alcuna iniziativa.
In proposito, credo che Evelyn Herfkens abbia fatto bene a ricordare che è veramente inaccettabile che un Paese che ha fatto promesse, sia col precedente Governo, che con questo, in termini di aiuti allo sviluppo e non le ha mantenute, si presenti alla presidenza del G8.
Sappiamo che - anche se tale aspetto è ancora in discussione - vi è la possibilità di avere al tavolo del prossimo G8 anche alcuni dei Paesi in via di sviluppo.
Non abbiamo ancora sentito il Governo riferire su quale sarà il formato del G8. Tuttavia, di fronte ad una comunità internazionale con un sistema economico sempre più interdipendente, è evidente che, quando si prendono decisioni sull'aiuto e lo sviluppo, è semplicemente inconcepibile non tenere allo stesso tavolo e sullo stesso livello di parità Paesi come la Cina, l'India, il Brasile, e altri che sono emergenti. Ricette di questo tipo sono semplicemente destinate a fallire.
Credo che molti dei contenuti che lei ci ha fornito, in particolare sulle cifre del budget italiano, debbano essere oggetto, oltre che della conferenza stampa, anche di un'iniziativa parlamentare quanto più ampia possibile.
Sappiamo che le difficoltà di bilancio in cui si trova l'Italia sono serie, riguardano tutti i Paesi, ma bisogna riflettere sul fatto che si parla sempre di percentuali del PIL. Quindi, non si sta chiedendo di aumentare necessariamente la spesa. Se il PIL si riduce, diminuisce anche l'aiuto allo sviluppo. Tuttavia, occorre arrivare ad un livello di percentuale stabilizzato accettabile. Altrimenti, la scusa relativa al fatto che l'economia va male è utilizzabile ad ogni occasione per non ottemperare alle promesse che si fanno.

FRANCESCO TEMPESTINI. Con molta semplicità, vorrei sottolineare che i dati relativi alle difficoltà del bilancio italiano che la nostra ospite ha evidenziato li conosciamo bene.
Dobbiamo essere anche franchi nel dire che, nel corso dei prossimi anni, non riusciremo molto probabilmente a modificare in modo sostanziale e significativo quei dati, stante la condizione generale attuale.
Lei ha fatto riferimento alla crisi finanziaria, con tutte le ricadute che sono presenti, ma vi è un dato che riguarda l'Italia e le sue difficoltà di bilancio che non possiamo non considerare.
Naturalmente, questo non vuol dire che non si possa fare di più.
Questa almeno è l'opinione dell'opposizione, che ha sostenuto la tesi secondo cui, rispetto a una vera e propria operazione di strangolamento degli aiuti, come è avvenuto in questo finanziaria, si sarebbe potuto compiere un passo avanti.
Ad ogni modo, per onestà, dobbiamo dire che viviamo una fase difficile dal punto di vista della quantità. Trovo, invece, che sia molto importante il ragionamento che lei ha svolto sulla qualità degli aiuti offerti.
L'aiuto italiano non è soltanto quello di Stato. Esiste un importante aiuto privato, spontaneo, non secondario e che ci rende


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un grande Paese da questo punto di vista. Siamo un Paese che, sotto il profilo del privato, fa molto.
Per quanto riguarda quello che manca, ed è mancato, non credo che la soluzione sia un nuovo ministero. Personalmente, non sono così convinto che costruire un altro ministero aiuti lo sviluppo. Tuttavia, a parte questa considerazione, penso che abbiamo un problema per quanto riguarda la qualità.
In proposito, vorrei rivolgerle una domanda, perché non so se ho capito male, o se c'è un punto sul quale vorrei esprimere qualche riserva. Mi riferisco alla sua notazione riguardo al fatto che dobbiamo trasferire la gestione degli aiuti direttamente nei bilanci dei Paesi.
Vorrei sapere, da questo punto di vista, se i risultati di questa iniziativa sono stati positivi, perché, come sa, la tendenza a gestire gli aiuti in proprio ha i limiti che lei ha indicato. Il coordinamento all'interno del bilancio dei Paesi si è prestato spesso, nel corso degli anni, per problemi di governance insufficiente, a qualche rilievo.
Comunque sia, penso che un aspetto sul quale ci dobbiamo concentrare maggiormente riguardi l'efficacia dell'aiuto.
Trovo scandaloso che l'aiuto in generale, anche quello italiano, in percentuale di effettività sia così basso. Dobbiamo davvero riflettere su tale aspetto, perché è di prima grandezza e ha una carattere etico legato non solo al fatto che spendiamo poco, ma anche al fatto che lo facciamo così male.
Un'ultima osservazione che vorrei sottoporre alla sua attenzione concerne un interrogativo che mi sono posto. Non trova che gli obiettivi del Millennio e tutta la campagna avrebbero bisogno di essere più tarati rispetto alle condizioni reali?
Non c'è un tema che riguarda le organizzazioni internazionali nel loro modo di essere e nel loro modo di presentarsi che, nel corso di questi anni, non hanno saputo affrontare le questioni in campo? Non parlo, ovviamente, degli strumenti che lei gestisce, ma penso ad esempio alla FAO. Non pensa che ci sia un tema di come vengano rappresentate alcune organizzazioni internazionali?
Questo non aiuta i Paesi, perché, quando vediamo i risultati abbastanza disastrosi della FAO, è difficile pensare che l'opinione pubblica abbia un atteggiamento positivo rispetto alle organizzazioni internazionali. Dico questo perché ognuno, in questo campo, deve assumersi la propria parte di responsabilità.
Il multilateralismo, così come lo stiamo gestendo, presenta molti punti negativi e molti punti deboli in ogni campo.
A mio parere, occorre svolgere una discussione sugli obiettivi del Millennio e sul sistema delle Nazioni Unite che, come sappiamo, presenta grandi difficoltà e si trova in profonda crisi.
Cerchiamo, quindi, di osservare tutti questi problemi nelle loro interdipendenze e forse, così facendo, potremo svolgere tutti meglio la nostra parte.

LAPO PISTELLI. Intervengo molto brevemente per esprimere innanzitutto amicizia nei confronti di Evelyn Hefkens, che non si trova in Italia per la prima volta, poiché vi è una lunga consuetudine di rapporti con il nostro Paese, e per riconfermarle in questa sede l'apprezzamento per lo straordinario impegno che da anni spende in questa importante campagna.
D'altra parte, devo dire che il tono del mio brevissimo intervento sarà di grande imbarazzo, perché il drammatico contrasto tra gli annunci e gli impegni più volte assunti e la descrizione impietosa dello stato dell'arte che Evelyn ha fatto nel suo intervento lascia tutti noi in questa condizione.
La china discendente delle quantità, la capacità e l'efficacia degli aiuti, il fatto che non siamo riusciti, ad oggi, a perseguire linee guida di buon senso e condivisibili - dalla riforma degli strumenti della cooperazione, al tema dell'aiuto non legato, alla concentrazione sui Paesi che più meritano e hanno bisogno di questo aiuto e, possibilmente, su progetti che non restino isole al collasso nell'oceano, ma che siano condivise dalle autorità locali - sono tutte


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osservazioni così condivisibili e così legate al buonsenso, più che alla parte politica, che ammettere questo fallimento fa male. Ciò vale ancor di più in momenti in cui, anche in Italia, gli annunci di raddoppi, rinnovi e incrementi continuano ad abbondare.
La realtà è molto amara e consiste nel fatto che la cooperazione in generale e gli obiettivi del Millennio restano relegati dentro la categoria dei lussi della politica, ossia di quegli impegni che ci si può assumere quando le cose vanno bene. Purtroppo, però, non vanno mai abbastanza bene per poter mantenere realmente tali promesse. Anzi, esse sono i primi anelli deboli che saltano, quando la realtà piega in una direzione diversa.
Questa considerazione è ancora più evidente, se si pensa a quanto accaduto nell'ultima settimana, davanti alla crisi finanziaria che anche Evelyn ha citato. Ciò che mi ha molto colpito è l'oggettiva facilità, con la quale, almeno sulla carta, si sono manifestate, a livello europeo, le disponibilità di risorse per un ammontare spaventoso di miliardi di euro.
Mi riferisco a quelle risorse, i cui sottomultipli vengono sempre negati, se si parla di cooperazione, di cultura, di infrastrutture, di lavoro. Per questi settori di azione tali somme non sono mai disponibili. Improvvisamente, invece, si sono moltiplicate per 20 e si sono rese disponibili.
Se tutto questo fosse vero, tale circostanza rappresenterebbe un enorme elemento di contraddizione della politica. Tuttavia, per quanto mi riguarda, temo addirittura che non siamo neanche di fronte un fatto vero.
Infatti, quando queste risorse, oltre ad essere annunciate, dovranno anche essere trovate, si potrà ricorrere a tre alternative: a un aumento del debito pubblico rilevante che questo Paese non si può permettere, in quanto si assesta già al 106 per cento; a nuove tasse (che bloccano la crescita); a risparmi, e dunque tagli. Francamente, che la soluzione sia l'una o l'altra, non riesco a capire che cosa ci sia da tagliare e quali tasse si possano prevedere.
Quindi, ho anche paura che l'effetto annuncio, sproporzionato rispetto a tutto quello che noi abbiamo fatto in questi anni, sia anche di difficile applicazione.
Infine, se dovessi formulare una raccomandazione, sulla scorta di ciò che Alessandro Maran accennava nel suo intervento, direi che anche io ho l'impressione che, per raggiungere gli obiettivi, un elemento della campagna che dovrebbe essere più enfatizzato è il legame tra il raggiungimento di tali obiettivi e la possibilità di mantenere la pace nel mondo. Già molti anni fa, qualcuno diceva che il nuovo nome della pace è sviluppo e che sviluppo è il nuovo nome della pace.
Nel nostro Paese, i primi dati disponibili in proiezione indicano che l'aumento della migrazione clandestina in Italia di quest'anno - non è un problema di colori politici - sarà superiore del 50 per cento rispetto al 2007. Questo non dipende dal maggiore o minore grado di severità che si ha alle frontiere, ma dalla pressione migratoria di chi scappa da realtà dove si muore. Insomma, tale fenomeno dipende da macronumeri, macrotendenze, macrofenomeni.
Come diceva il collega Maran, gli obiettivi del Millennio devono essere legati sempre più al tema dalla carità su larga scala per un obiettivo etico. Tuttavia, se vogliamo gestire nuovi fenomeni globali, come l'immigrazione o il nuovo ordine mondiale, è un imperativo politico, e non soltanto morale, quello di garantire condizioni migliori in quei Paesi.
Altrimenti, il disordine e la guerra etnica, anziché la migrazione, diventeranno la risposta malata a quei grandi squilibri globali.
Mi permetto di dire che, se si riuscisse a vedere la questione anche sotto questa luce, gli obiettivi del Millennio si sposterebbero dalla categoria dei lussi della politica a quella delle necessità. In questo modo, forse, godrebbero di diversa attenzione e considerazione.

MARIO BARBI. Sarò brevissimo. Vorrei solo comunicare un paio di informazioni sullo stato del nostro dibattito parlamentare


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e sulla questione di interesse di questa audizione, che forse possono essere utili anche per la signora Herfkens.
Da parte di questa Commissione, c'è un'attenzione molto forte al tema della cooperazione e dello sviluppo; uno degli argomenti centrali che abbiamo discusso nell'ambito del disegno di legge della finanziaria e delle misure economiche che il Governo in carica ha adottato nel periodo giugno- luglio con la manovra di bilancio.
Siamo perfettamente consapevoli del fatto che in questo campo sono state adottate misure di riduzione che mettono in crisi l'impianto della cooperazione italiana e che incidono anche sugli obiettivi quantitativi in modo piuttosto drastico.
Nel dibattito interno e parlamentare abbiamo svolto osservazioni al riguardo, manifestando perplessità, dubbi e quant'altro (non che voglia, come parlamentare dell'opposizione, prendere le distanze dal mio Paese o dal Governo in senso tecnico).
Il Governo assume le responsabilità proprie dell'Italia e da questo punto di vista ha anche ammesso - lo ha fatto in sede parlamentare, sia in Aula che in Commissione - che gli obiettivi che l'Italia aveva preso (dello 0,51 per cento europeo per il 2010 e dello 0,7 per cento per il 2015) sono obiettivi che non potranno essere realisticamente raggiunti.
Come opposizione, ne abbiamo preso atto e abbiamo dato atto al Governo dell'onestà e dell'assunzione di responsabilità che pubblicamente assumeva.
Abbiamo chiesto al Governo - ed è questa l'informazione che volevo fornire alla signora Herfkens - quali altri obiettivi ritenesse di poter raggiungere e mantenere.
Attendiamo una risposta dal Governo che credo sia di interesse per tutti noi, componenti del Parlamento italiano, ma anche per le organizzazioni internazionali che sul contributo italiano fanno conto.

PRESIDENTE. Do la parola alla signora Herfkens per la replica.

EVELYN HERFKENS, Coordinatore esecutivo della Campagna delle Nazioni Unite per gli obiettivi del Millennio. Sarò breve, anche perché condivido la maggior parte dei commenti, dei contributi e anche l'esigenza di spiegare gli obiettivi del Millennio non come beneficenza, ma nel contesto dell'interdipendenza a livello globale.
Sono state poste due domande concrete.
Vengo ora alla prima domanda che riguarda il fatto di trasferire le risorse al bilancio dei beneficiari. Quando ero ministro dello sviluppo, la Norvegia, l'Olanda e la Gran Bretagna hanno iniziato a seguire questa strada.
Nel contesto del beneficiario, anche per i Paesi più dipendenti dall'assistenza, essa è comunque soltanto una parte del bilancio. Che quella singola spesa sia perfetta, mentre il resto viene sprecato, è una vera illusione.
Successivamente, dunque, è stato svolto un dibattito che ha portato a far sì che la Svezia, la Norvegia e la Gran Bretagna erogassero, secondo questa modalità, più del 50 per cento dell'assistenza.
In quanto ministro, mi sentivo molto responsabile del fatto che i soldi dei miei contribuenti seguissero quella strada, quindi ho effettuato uno stretto controllo.
Abbiamo visto che quando i donatori trasferivano le risorse ai loro bilanci, c'erano degli incentivi, sia da parte del beneficiario, che del donatore, verso un miglioramento della gestione finanziaria, che si trasferisce anche sulla gestione delle risorse interne.
Certo, la Corte dei conti olandese deve poi andare a lavorare con la Corte dei conti locale per migliorare le loro procedure. Quindi, sono molto impegnata per rafforzare il ruolo del Parlamento africano, per renderlo capace di leggere il bilancio dello Stato. Pertanto, il miglioramento della gestione finanziaria nel Paese beneficiario è stato efficace non soltanto per la gestione della piccola assistenza, ma anche per tutto il loro bilancio.
Ciò non significa che dovete seguire questa strada in ogni Paese, ma che bisogna guardare alla situazione di ogni singolo Paese. Non è necessario dare i soldi al bilancio di Mugabe, ma ci sono alcuni


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Paesi africani il cui sistema di governance e i cui meccanismi sono tali per cui è possibile seguire tale strada.
Gli stessi tedeschi, che sono sempre molto cauti con i soldi, si sentono abbastanza tranquilli nel percorrere tale indirizzo che, quindi, si può considerare fattibile.
La seconda domanda riguarda la qualità delle istituzioni multilaterali. Vi sarete forse resi conto che non sono la tipica burocrate dell'ONU, non sono molto diplomatica. Sono stata parlamentare e sono olandese. Gli olandesi non sono un popolo diplomatico e i parlamentari devono parlare chiaro.
Sono d'accordo con voi sui problemi delle istituzioni multilaterali: sono troppe. I Paesi Bassi si sono sempre chiesti perché ci sono tre organizzazioni internazionali a Roma che si occupano di assistenza alimentare. Dovremo fonderli. Non abbiamo avuto la maggioranza e il Governo italiano non ci ha aiutato.
In questo sistema, tuttavia, vi sono anche degli aspetti positivi. Pensiamo, ad esempio, all'UNICEF che, a mio avviso, è una buona agenzia, è valida. Allo stesso modo, l'UNFPA (United Nations Population Fund) è un'ottima agenzia.
Quindi, il sistema multilaterale non è così cattivo da fornire un pretesto per non dare più finanziamenti. Ci sono tante agenzie che funzionano bene e se l'Italia diventasse un Paese protagonista per migliorare e riformare l'ONU, sarebbe un'ottima cosa.
Aggiungo ancora due osservazioni. La prima si riferisce alla campagna svoltasi negli anni Ottanta in Italia, che è stata citata in precedenza. La ricordo, perché ero parlamentare all'epoca.
Ho conosciuto Emma Bonino in quegli anni e già allora avevo una divergenza di opinione con lei. Le dicevo che era pericoloso limitarsi al punto 7, senza discutere contemporaneamente la qualità. Se non creiamo una capacità professionale che consenta di dare fiducia ai vostri contribuenti sul fatto che il Governo sappia gestire questi fondi, l'operazione non funzionerà, esploderà. Effettivamente, le cose sono andate così.
La crisi di bilancio in Italia esiste. Tuttavia, da questa situazione ne deriva anche una conseguenza positiva, perché finalmente l'Italia è costretta a occuparsi degli aspetti qualitativi.
I fondi sono pochi. È illusorio pensare che possano essere incrementati. Quindi, questo è il momento giusto per affrontare le questioni qualitative che, in realtà, sono vecchie di decenni. Credo che questo Comitato possa impegnarsi su questo versante.
Oltre a quello che avete promesso all'OCSE e DAC per cinquant'anni, questo è il momento e l'occasione per agire. In questo modo, infatti, si comincia a costruire un clima di fiducia per i contribuenti e per la Commissione bilancio.
Questa volta, dunque, esistono effettivamente i meccanismi di qualità che consentiranno di assorbire eventuali incrementi di fondi, quando e se ci saranno.
Che sia un'agenzia, un ministro, una parte del Ministero degli esteri, non mi importa. Ogni Paese deve trovare la propria collocazione ottimale all'interno del proprio sistema di Governo. Dovete creare le capacità professionali per affrontare queste questioni nei Paesi con cui volete avere rapporti e nei settori in cui volete impegnarvi.
Iniziate con una cosa piccola. Spetta a voi decidere come e dove farlo; non spetta a me dare un consiglio se deve trattarsi di un'agenzia o di un ministero. Ad ogni modo, la lista dei problemi è chiara, perché in Italia ne parliamo da decenni.
Creare un sistema che consenta di generare un consenso trasversale è fondamentale, perché non parliamo di una iniziativa di parte.
Non sono una diplomatica, ma sono molto lieta di sentire che anche i parlamentari riconoscono che questo non è un problema di questo o di quel Governo, ma che è una questione di carattere strutturale.
Non dobbiamo dire che noi dell'opposizione siamo più bravi del Governo. Non


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ha nulla a che vedere con questo. Dobbiamo essere onesti. Sarebbe molto più utile e semplice generare un consenso politico trasversale su queste questioni, se tutti, tutte le forze politiche, riconoscessero che in Italia esiste questo problema. Non bisogna politicizzare la questione, altrimenti questa muore. Vi prego di non farlo. Nei Paesi in cui il sistema funziona, ciò avviene perché c'è un consenso trasversale sugli elementi fondamentali del sistema di assistenza.
L'ideologizzazione crea problemi. In realtà, occorre creare un consenso trasversale sulle cose giuste da fare.
Spero fortemente che questo Comitato rappresenti il primo passo in questa direzione. Sarebbe bellissimo.
Ancora grazie.

PRESIDENTE. Ringrazio, a nome di tutto il Comitato, Evelyn Herfkens, anche perché è stata molto concreta, come del resto i colleghi intervenuti.
Tutto il dibattito si è svolto sulla base di una grande competenza della nostra ospite, ma anche - mi permetto di dirlo - di una grande passione. Indubbiamente, infatti, questo è un argomento talmente importante da richiedere competenza e tanta volontà per poter trovare le soluzioni.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 10,20.

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