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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
21.
Martedì 27 luglio 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Pianetta Enrico, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI OBIETTIVI DI SVILUPPO DEL MILLENNIO DELLE NAZIONI UNITE

Audizione del professor Vittorio Grilli, Direttore generale del Tesoro:

Pianetta Enrico, Presidente ... 2 8 11 15
Barbi Mario (PD) ... 9
Boniver Margherita (PdL) ... 9
Fassino Piero (PD) ... 8
Grilli Vittorio, Direttore generale del Tesoro ... 3 11 14
Picchi Guglielmo (PdL) ... 12
Tempestini Francesco (PD) ... 13
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia-Partito Liberale Italiano: Misto-Noi Sud LA-PLI.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sugli obiettivi di sviluppo del millennio

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 27 luglio 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ENRICO PIANETTA

La seduta comincia alle 14,30.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del professor Vittorio Grilli, Direttore generale del Tesoro.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite, l'audizione del professor Vittorio Grilli, Direttore generale del Dipartimento del Tesoro.
Voglio veramente esprimere un forte ringraziamento al professor Grilli per la disponibilità che ha voluto offrire al nostro Comitato e voglio anche sottolineare il fatto che questa nostra indagine sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio ci permette di valutare sia la situazione generale internazionale sia la nostra situazione nazionale. Questo è utile - lo abbiamo detto nell'accogliere il professor Grilli in quest'aula - anche in funzione del Summit che si svolgerà nel prossimo mese di settembre a New York per fare il punto della situazione circa il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio.
L'audizione di oggi focalizzerà l'impegno del nostro Paese sul versante della cooperazione multilaterale anche per quanto concerne i riflessi sugli aiuti allo sviluppo a livello bilaterale.
Come sappiamo, la legge 26 febbraio 1987, n. 49, conferisce al Ministero dell'economia e delle finanze l'impegno di curare le relazioni con le banche e i fondi di sviluppo a carattere multilaterale per assicurare, appunto, la nostra partecipazione. La cooperazione allo sviluppo - lo sappiamo - è parte integrante della politica estera, ma una parte preponderante è gestita appunto dal tale Dicastero. Colloqui di tipo informale - e finisco qui il mio intervento - con un esponente della Banca mondiale ci hanno fatto rilevare che il partecipare agli organismi di aiuto internazionale permette di avere un effetto benefico e moltiplicativo sullo sviluppo, e questo è un fatto che vogliamo senz'altro sottolineare.
Tuttavia, ci sono luci e ombre. Il nostro Paese è talvolta in ritardo nell'erogazione dei contributi e questo dà una immagine quanto mai problematica dell'Italia, anche se poi naturalmente fa fronte ai propri impegni, ma con ritardo. Questo è naturalmente un elemento che vogliamo focalizzare con il professor Grilli per capire un po' meglio il concetto della prevedibilità degli aiuti al fine di non mettere in difficoltà gli organismi internazionali.
C'è anche - e qui finisco veramente - il problema del bilaterale con la difficoltà della rendicontazione o della carenza di personale a livello del nostro Ministero degli affari esteri. Si tratta di punti che destano preoccupazioni anche da parte della comunità internazionale e che questo Comitato ha colto nel corso dei suoi lavori.


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Ho già riferito al professor Grilli che è in corso l'esame istruttorio della Relazione del Governo sulla partecipazione italiana alle banche e ai fondi di sviluppo multilaterale per l'anno 2008, di cui è relatore l'onorevole Tempestini.
Fatta questa premessa, le do subito la parola, professor Grilli. Come lei sa, ci saranno in seguito dei possibili interventi dei colleghi per approfondimenti o per quesiti atti a chiarire le caratteristiche del nostro intervento e del nostro aiuto allo sviluppo nei confronti dei fondi e delle banche internazionali.

VITTORIO GRILLI, Direttore generale del Tesoro. Rivolgo un ringraziamento al Comitato permanente per l'invito e per il lavoro di approfondimento che avete già svolto sugli Obiettivi di sviluppo del Millennio, che ho letto ed è sicuramente molto interessante e anche informativo per quel che mi riguarda e per quel che riguarda il nostro Dipartimento.
Farò qui un primo intervento, spero sufficientemente veloce, per contestualizzare l'attività del Ministero dell'economia e delle finanze in questo ambito.
Direi, innanzitutto, che giustamente voi avete posto al centro della vostra indagine il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio e questo chiaramente costituisce una grande sfida per tutta la comunità internazionale, ma anche una sfida incerta perché a tutt'oggi non c'è chiaramente ancora la certezza che essi vengano conseguiti. Si tratta chiaramente di obiettivi ambiziosi e ora ci troviamo in un momento di crisi mondiale che rende tutto più difficile. Questo vale soprattutto per i Paesi in estrema povertà: parliamo, come voi avete sottolineato, soprattutto dell'Africa subsahariana, che rimane oggettivamente la regione più a rischio di insuccesso per quel che riguarda il raggiungimento di questi obiettivi.
Come il presidente Pianetta ha appena ricordato, penso che il Summit dell'ONU sugli Obiettivi del Millennio del prossimo settembre sarà essenziale per far luce sul progresso fatto finora e sull'accelerazione probabilmente necessaria da imprimere nei prossimi cinque anni.
La lotta alla povertà è, ovviamente anche all'interno degli Obiettivi di sviluppo del Millennio, il principio ispiratore e il fine ultimo dell'attività di cooperazione della comunità internazionale e dell'Italia, sia sul canale bilaterale, di cui ovviamente è responsabile in via primaria il Ministero degli affari esteri, sia sul canale multilaterale, di cui in parte siamo responsabili noi.
Prima di tutto, è ovvio sottolineare che la cooperazione multilaterale, che include il sostegno alle agenzie dell'ONU, all'attività di cooperazione all'interno dell'Unione europea, alle banche e ai fondi multilaterali di sviluppo non è sicuramente alternativa all'attività bilaterale, ma è assolutamente complementare e viene fatta in chiara e stretta cooperazione con essa.
La globalizzazione - e questa crisi lo ha probabilmente sottolineato ancora di più - incide profondamente sui processi di aiuto allo sviluppo e in molti casi fa risaltare la necessaria natura sia sovranazionale sia multinazionale dei problemi evidenziando le interdipendenze che esistono tra i Paesi, sia quelli riceventi sia quelli potenzialmente donatori. In questo contesto diventa sempre più necessario adottare approcci multilaterali per rispondere alle grandi sfide dello sviluppo in modo adeguato in termini di risorse, ma anche per garantire una coerenza degli interventi tra i vari Paesi.
L'approccio multilaterale si sta dimostrando, soprattutto in questa crisi, la risposta più efficace per fronteggiare emergenze che, per la loro entità, richiedono tempestività di mobilitazione, ma anche una massa critica che a livello di singolo Paese non è possibile raggiungere nei tempi stretti richiesti dalle grandi crisi come questa. Ne è dimostrazione il recente ruolo svolto dalle banche multilaterali di sviluppo nel sostenere, secondo le linee che sono state definite sia dal G8 sia dal G20, gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo per affrontare questa grave crisi economica e finanziaria.


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Nel complesso, oggi ci si sta muovendo sempre di più verso il pooling delle risorse, nel senso della messa a punto di azioni e strategie condivise da grandi alleanze e constituency, siano esse banche di sviluppo o donatori nazionali, che decidono di lavorare insieme in specifici settori e in aree geografiche comuni per il perseguimento di obiettivi decisi in questo caso sempre più frequentemente in consessi multinazionali.
Qual è il ruolo del Ministero dell'economia e delle finanze in questo approccio multilaterale, soprattutto in questa nuova mobilitazione a livello globale? Il Ministero ha la competenza, come è stato ricordato, istituzionale in materia di banche e fondi multilaterali, un assetto che - credo che già nella vostra analisi lo abbiate appurato - trova riscontro nella maggior parte dei Paesi sia G8 sia G20. Si tratta sia di una competenza istituzionale, ma anche, a nostro avviso, di una competenza fisiologica, nel senso che innanzitutto interventi di questo tipo hanno una natura finanziaria, dal punto di vista degli interventi, ma soprattutto delle istituzioni che li gestiscono.
Queste istituzioni sono - lo dice già il nome - banche e quindi, come dirò in seguito, sono soggette a un tipo di disciplina e di monitoraggio molto particolare per garantirne la gestione economico-finanziaria. Forse anche per questa ragione, o forse soprattutto per questa ragione, fin dall'inizio sia l'indirizzo sia il monitoraggio delle attività delle banche e dei fondi sono stati oggetto fisso dell'agenda dei ministri finanziari sia in ambito di G8 sia, più recentemente, di G20.
Questa, quindi, è la competenza primaria, poi se ne sono aggiunte altre di più recente genesi, anche queste per impulso e poi sotto la gestione dei ministeri dell'economia, che sono quelle di ulteriori iniziative, di tipo innovativo dal punto di vista finanziario, di aiuto allo sviluppo. Si tratta di «applicazioni» di finanza un po' avanzata nel campo dell'aiuto ai Paesi in via di sviluppo. Vorrei citare, in questo caso, due di queste iniziative in cui l'Italia è presente, due meccanismi molto particolari e innovativi che hanno a che fare con la cura delle malattie e la creazione di vaccini per l'immunizzazione da queste malattie: la prima è l'International Finance Facility for Immunisation e la seconda è l'Advance Market Commitment. La seconda è stata guidata dall'Italia durante la sua presidenza del G8, poi ha avuto la conclusione e l'approvazione comune di questo meccanismo per la scoperta del vaccino contro lo pneumococco.
Altro ruolo - e qui forse ha origine un po' di confusione per quanto riguarda l'entità quantitativa del ruolo del Ministero - è quello del trasferimento dei fondi alla Commissione europea per quanto riguarda il sostegno dell'attività di cooperazione dell'Unione europea. Esso avviene attraverso l'erogazione di due tipi di contributo, uno al Fondo europeo per lo sviluppo (FES), che assistite i Paesi dell'Africa, Caraibi e Pacifico, l'altro al bilancio ordinario dell'Unione europea per l'attività di assistenza generale ai Paesi in via di sviluppo nelle altre aree geografiche dell'America latina e dell'Asia.
La cooperazione, oggi gestita a livello comunitario, ha una dimensione fondamentale per quanto riguarda l'aiuto allo sviluppo da parte del nostro Paese, così come degli altri Paesi dell'Unione europea. Negli ultimi tre anni il valore medio è stato di circa un miliardo di euro all'anno, che corrisponde più o meno al 40 per cento degli aiuti italiani ai Paesi in via di sviluppo.
Il fatto, quindi, che il Tesoro trasferisca queste risorse ha fatto in qualche caso affermare che ormai il Ministero dell'economia e delle finanze gestisce il 75 per cento delle risorse all'aiuto pubblico allo sviluppo, ma in realtà in questo caso è semplicemente un agente pagatore perché non ha nulla a che fare con la scelta delle politiche e non ha alcun potere decisionale da questo punto di vista. Se noi andassimo a depurare ciò in cui il Ministro dell'economia e delle finanze ha un ruolo anche di gestione e decisione da quello in cui semplicemente è un ufficiale pagatore per


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decisioni prese da altri - in questo caso il Governo tutto, soprattutto il Ministero del degli affari esteri e la Commissione europea - la percentuale sul totale degli aiuti sarebbe di circa l'11 per cento.
Parliamo di banche e fondi più in dettaglio. Oggi le banche multilaterali di sviluppo svolgono, come abbiamo già detto, un ruolo fondamentale per lo sviluppo di Paesi o di intere aree geografiche del terzo mondo, in cui la cooperazione bilaterale è meno presente o non sempre tanto efficace come si vorrebbe. Attraverso la loro azione è possibile realizzare progetti per i quali lo sforzo finanziario di un singolo Paese è carente o insufficiente. Esse sono in grado di sollecitare l'attenzione della comunità internazionale su alcuni temi di importanza prioritaria per lo sviluppo, come ad esempio quello dei public good globali, o i temi di importanza strategica, come quello del buon governo, o assumendo la leadership su iniziative di particolare importanza, come l'annullamento, che è stato fatto di recente, prima nel 2005 per tutti i Paesi, poi più recentemente, nel caso della tragedia di Haiti, con l'azzeramento del debito per i Paesi più poveri.
Come accennato, i temi dello sviluppo e della lotta alla povertà e, soprattutto, il ruolo delle banche di sviluppo in questa azione sono una costante dell'agenda delle riunioni dei ministri finanziari G8 e G20. In particolare, negli ultimi due anni, a seguito della grande e grave crisi finanziaria ed economica, l'attenzione dei ministri finanziari si è incentrata sul contributo delle banche multilaterali di sviluppo all'azione di contrasto alla crisi nei Paesi in via di sviluppo stessi. Ricordo che per la prima volta i ministri finanziari stessi proposero al pre-summit di Horsham nel marzo del 2009 un primo intervento di rafforzamento dell'azione delle banche multilaterali per sostenere i Paesi in via di sviluppo in questa crisi. Questa proposta dei ministri dell'economia e delle finanze fu fatta propria al summit di Londra nel mese sul successivo, che specificò in dettaglio la natura dell'intervento indicando che, ove necessario e in coordinamento con il Fondo monetario internazionale, le banche di sviluppo si impegnassero a erogare crediti addizionali, rispetto a quelli già programmati, di oltre 100 miliardi di dollari nel triennio successivo.
Ovviamente, un invito alle banche multilaterali di tale incremento di erogazione ha posto il problema di come garantire la solidità finanziaria alle banche stesse, e quindi nello stesso Summit di Londra si è posto il problema di riconsiderare l'adeguatezza, dal punto di vista delle risorse finanziarie, che poi ha condotto a un processo di aumento di capitale di tutte le banche multilaterali formalizzato nel corso di quest'ultimo anno.
Ultimo passaggio è stato quello dei leader del G20 riunitosi a Toronto lo scorso giugno che hanno riconfermato il loro sostegno per l'aumento di capitale di tutte le banche multilaterali con un aumento complessivo di circa 350 miliardi di dollari. È chiaro che si tratta di cifre estremamente importanti.
Tornando al Ministero dell'economia e delle finanze, l'azione è costituita di due parti: una è la scelta di intervento, ovviamente delegata alle organizzazioni stesse; l'altra è l'entità, il quantum, l'envelope, come lo definiamo, dell'intervento. Questo è chiaramente un processo discusso e gestito dai ministri dell'economia e delle finanze di tutti i Paesi G8 e G20, e in questo caso confermato dai leader nelle sedi del summit del G20. Ha, quindi, una componente inevitabile di natura finanziaria. È compito poi dei ministeri dell'economia e delle finanze gestire queste grandi richieste in termini, in questo caso soprattutto, di aumenti di capitale all'interno dei propri budget nazionali.
Inoltre, come dicevo prima, le banche di sviluppo sono vere e proprie banche: svolgono un lavoro di intermediazione e questo lavoro è abbastanza banale nella sua essenza. Grazie alla garanzia dei capitali dei Paesi membri sono in grado di raccogliere capitali sul mercato a tassi di interesse che i Paesi in via di sviluppo non potrebbero mai ottenere, e quindi, attraverso


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le garanzie date dal capitale dei Paesi membri, le banche prendono a loro volta a prestito a tassi bassi per effettuare finanziamenti con spread chiaramente molto più limitati di quello che il mercato potrebbe offrire ai Paesi in via di sviluppo.
C'è, quindi, un momento di gestione del rischio perché dopotutto le banche prendono a prestito con l'idea che verrà restituito il prestito che loro hanno preso, quindi esiste anche una gestione di prudenza e di conoscenza finanziaria. Per questo motivo tutte le banche sono gestite da consigli dei governatori o similari, di cui sono parte attiva tutti i Paesi membri, e di solito sono espressione dei ministeri dell'economia e delle finanze.
Per darvi un'idea del grande rischio che si può correre, parlavo prima di 350 miliardi di euro di capitali aggiuntivi circa - sono cifre gigantesche - ma bisogna distinguere tra due forme di capitale: quello payed in e quello callable da queste grandi banche. Il payed in è il capitale già versato, l'altro è un impegno dei vari Governi che, semmai la banca dovesse averne bisogno, può essere richiamato. Oggi la quota di payed in, ovvero di già versato, è di circa il 4 o 5 per cento del capitale in queste banche. Capite, quindi, che anche l'impegno finanziario dei Paesi è potenzialmente grande, ma ancora ridotto: in caso di cattiva gestione, e che per ora ovviamente non si è verificata e riteniamo che non si verificherà, lo spazio di call resta comunque grandissimo, e quindi il potenziale impatto sui bilanci dei Paesi, qualora fosse chiamato, sarebbe di grande entità.
Ovviamente, il Ministero dell'economia e delle finanze italiano, come quello di tutti gli altri Paesi, ha partecipato attivamente sia alla proposta sia, a valle, alla gestione e all'attuazione di questi aumenti di capitale, che ovviamente hanno una parte tecnica rilevante. Abbiamo, quindi, partecipato in parallelo alle riunioni sull'aumento di capitale. Stiamo parlando, anche in questo caso, dei negoziati per la XVI ricostituzione delle risorse dell'IDA (International Development Association) e della XII ricostituzione del Fondo africano di sviluppo, che sono sportelli concessionali della Banca mondiale e della Banca africana che finanziano ovviamente i Paesi più poveri e ai quali i leader del G20 hanno anche assegnato particolare priorità. Il MEF, con il Dipartimento del Tesoro rappresenta la posizione italiana in tutti questi negoziati.
I recenti aumenti di capitale e la ricostituzione dei vari sportelli concessionali, che normalmente avvengono ogni tre anni, in questo caso hanno avuto una accelerazione e una dimensione fuori dal normale, e quindi questo ha comportato un'assunzione di nuovi e rilevantissimi impegni. A fronte di ciò, le risorse che si sono rese disponibili negli ultimi anni non sono state sempre sufficienti a far fronte, come il presidente Pianetta ricordava, con la necessaria puntualità agli impegni assunti. È chiaro che in questo contesto di grande crisi la pressione internazionale per essere puntuali è sicuramente aumentata.
Prima di concludere, vorrei ricordare che ovviamente questa nostra attività di coordinamento delle attività delle banche e fondi non viene fatta in isolamento; la collaborazione tra il Ministero dell'economia e delle finanze e il Ministero degli affari esteri è non solo importantissima, ma è anche, dal nostro punto di vista, seguita con meticolosa attenzione. Ovviamente non esiste alcuna azione svolta dal Ministero dell'economia e delle finanze sul fronte della propria competenza primaria, cioè quella delle banche e fondi di sviluppo, sia in quella secondaria, che può riguardare la cooperazione bilaterale, che non si inquadri in un contesto di coordinamento, collaborazione e confronto con gli uffici competenti del Ministero degli affari esteri in uno scambio pressoché continuo di informazione e di valutazioni.
In linea generale, il coordinamento e le sinergie con il Ministero degli esteri si realizzano in modo formale e informale, ma costante a tutti i livelli gerarchici. Nello specifico, nella conduzione dei nostri negoziati relativa alla ricostituzione dei fondi multilaterali di sviluppo e nella preparazione


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dei consigli di amministrazione delle varie banche o nella trattazione di specifiche problematiche, come per esempio quella di promuovere l'inserimento del personale italiano in tutti i livelli di queste istituzioni, gli uffici del Dipartimento del Tesoro interagiscono frequentemente e positivamente con il Ministero degli affari esteri, con le varie direzioni, come la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo, e la Direzione generale per la cooperazione economica e finanziaria multilaterale. Il documento triennale di programmazione dell'attività di cooperazione preparato dal Ministero degli affari esteri ogni anno, contenente le priorità geografiche settoriali e gli indirizzi generali dell'attività di cooperazione, costituiscono inoltre per noi un punto di riferimento imprescindibile nello svolgimento dei nostri compiti istituzionali relativi alle banche di sviluppo.
Per concludere, vorrei sottolineare alcuni punti che riguardano la dinamica internazionale in questa contingenza della grande crisi. Direi che la comunità internazionale ha avuto un grandissimo impegno e convinzione in questo campo, ma comincia ad esserci una sensazione diffusa di donor fatigue, di fatica dei Paesi donatori. Questo accade perché la situazione è molto complessa ed è caratterizzata innanzitutto da bilanci statali stremati a livello mondiale dalla conseguenza della crisi finanziaria. Speriamo che ci sia una ripresa, come i segni confermerebbero, però è ancora fragile e non dà certezze per quanto riguarda gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo.
Ciò è soprattutto complicato dal fatto che molti Stati membri dell'Unione europea, e non solo, hanno una necessità di medio periodo di risanare i propri conti pubblici, quindi è difficile vedere purtroppo non soltanto spazi immediati, ma anche spazi a medio termine chiari e certi su cui intervenire a livello di obiettivi di bilancio da dedicare. Questo non toglie che noi tutti abbiamo ben presente quali sono stati gli impegni internazionali in questo caso, tuttavia resta vero che a livello globale c'è una certa difficoltà nello stanziare ulteriori risorse significative sui canali sia multilaterale sia bilaterale.
Questa difficoltà rende - voi qui ne siete testimoni - alquanto tortuoso e lungo il percorso di reperimento delle risorse, e quindi il raggiungimento degli obiettivi percentuali per gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo per i quali ci siamo impegnati anche in seno all'Unione europea negli ultimi anni, ovvero con lo 0,51 per cento del 2010 e lo 0,7 per cento del 2011.
Resta chiaro che riteniamo imperativo il rispetto di questi impegni, però è anche evidente la difficoltà economica e finanziaria nella quale ci stiamo muovendo.
Questo è anche parte di un dibattito che si sta svolgendo a livello di G8 e G20, in un momento di grande difficoltà non solo dei Paesi in via di sviluppo, ma anche dei Paesi avanzati, su come riuscire a mantenere vivo, importante, costante l'aiuto ai Paesi in via di sviluppo senza poter contare su una ricchezza di risorse come forse ci sono state in precedenza.
Si lavora allora su diversi assi, di programmi comuni, di impegno dei Paesi in via di sviluppo stessi per rendere efficienti le amministrazioni riceventi, e quindi ridurre al massimo la corruzione, aumentare l'efficienza con cui vengono gestite queste risorse e cercare di favorire un ambiente che renda possibile un aumento degli investimenti privati nei loro Paesi.
Un'altra impostazione spinta dall'Italia è quella di cercare di coordinare meglio gli aiuti a diverso livello. A fianco all'aiuto pubblico c'è un potenziale aiuto privato che può prendere più forme: un aiuto di tipo profit, le cosiddette public-private partnership, e una aiuto di tipo no profit, che può essere di livello sia nazionale sia di grandi organizzazioni internazionali, in modo da arrivare necessariamente, vista la scarsità di risorse, a un uso coordinato quanto più possibile delle risorse in campo a livello sia pubblico sia privato.
Il concetto che è stato, quindi, lanciato - ho visto che è già stato ricordato dal Ministro Belloni nella sua audizione in


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questo Comitato - è quello della whole of country approach secondo il quale si deve cercare di essere coscienti e coordinare al meglio le risorse da qualunque fonte vengano, concetto fatto proprio a livello dell'Unione europea come whole of EU approach. Ci sembra che sia sicuramente un approccio valido.
Questo tipo di coordinamento ha visto un primo importante risvolto pratico nella costituzione di un tavolo interistituzionale coordinato dal MAE, di cui ovviamente facciamo parte, che ha effettivamente il compito di elaborare una visione strategica complessiva di cooperazione allo sviluppo, come tra l'altro è stato richiesto dall'ultima peer review a cui l'Italia è stata sottoposta a livello di OCSE.
È chiaro che comunque la nostra azione deve rimanere importante, incentrata e attiva soprattutto nelle grandi occasioni internazionali che sono il G8 e il G20, e la prossima occasione sarà quella del summit che si svolgerà in Corea nel prossimo novembre, dove sarà il momento per rifare il punto.
Infine, siamo impegnati in operazioni di aumento di capitale con revisione delle quote tra diversi Paesi, soprattutto nella prima, quella del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, che dovrà essere conclusa in ogni caso entro l'anno prossimo. L'impegno è di farlo quanto prima all'inizio dell'anno prossimo. Quella sarà un'altra importante occasione di rivedere l'impegno di tutti, in questo caso non solo dei grandi Paesi avanzati, ma anche dei grandi Paesi emergenti in questo campo perché anche loro si sono resi conto che è importante contribuire in maniera attiva sia dal punto di vista dei fondi finanziari sia della governance, dove hanno richiesto giustamente un ruolo sempre maggiore.
Mi fermerei qui e lascerei spazio alle domande.

PRESIDENTE. Voglio ringraziare il professor Grilli per l'ampia relazione, come pure la dottoressa Raffaella Di Maro e il dottor Giorgio Leccisi, che lo accompagnano in questa audizione.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

PIERO FASSINO. Io ho due domande, poi credo che sarà il collega Tempestini a sviluppare più ampiamente delle riflessioni.
Nella relazione sugli impegni italiani nelle banche e fondi di sviluppo non compare riferimento alla Corporación Andina de Fomento (CAF). La cosa non mi stupisce: credo che abbiamo presentato in occasione della Finanziaria per il 2009, discussa nell'autunno 2008 un emendamento - di cui ero il proponente e che è stato approvato - che prevede un nostro impegno anche in questa banca, che come Lei sa è la seconda banca di sviluppo interamericana. Non ho ragione, ovviamente, di sottolineare l'importanza che l'America latina ha per il nostro Paese da tanti punti di vista, ma soprattutto economico, dalla FIAT al fatto che l'acquisizione di Endesa da parte di ENEL ci rende il primo produttore e distributore energetico nell'area e via di questo passo.
In quell'emendamento c'era anche un impegno di spesa per una partecipazione azionaria di 10 milioni di euro, se ricordo bene. La cosa aveva e ha un interesse perché questa Banca interamericana di sviluppo ha due caratteristiche: la prima è che non ha tra i soci gli Stati Uniti d'America, che può sembrare un limite e invece non lo è perché, per esempio, i difficili rapporti tra Venezuela e Stati Uniti non sempre consentono la viabilità di tutti i progetti; la CAF si è aperta all'azionariato europeo - gli spagnoli hanno già sottoscritto - ma c'è un'esplicita volontà del gruppo dirigente di questa banca di non avere soltanto gli spagnoli come azionisti e guardano all'Italia per ovvie ragioni con grande interesse.
Vorrei sapere, quindi, a che punto siamo e se c'è un negoziato da fare.
La seconda questione è ancora più secca: lei ha parlato giustamente, finendo, del negoziato in corso per la revisione delle quote della Banca mondiale e del


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Fondo monetario. Le pongo un quesito che so benissimo non si risolverà domani mattina: lei come vede la prospettiva di un'intestazione all'Unione europea delle quote dei Paesi membri che avrebbe tutti gli effetti che sappiamo, ovviamente, sull'assetto e persino sulla sede della Banca mondiale e del Fondo monetario?

MARGHERITA BONIVER. Innanzitutto voglio ringraziare il professor Grilli per la sua audizione di oggi. Ci sarebbero molti commenti da fare visto che ci troviamo palesemente di fronte a un vero e proprio collasso dell'ODA, e quindi si possono deliberare una serie di situazioni estremamente penose evidentemente per le popolazioni che avrebbero bisogno di questo aiuto pubblico allo sviluppo come noi abbiamo bisogno dell'aria. Tuttavia, notiamo anche con una certa precisione che i fondi che mancano per tutto ci sono soltanto per i bail out del settore bancario. A parte il fondo che lei prima menzionava, che era il fondo di Zöllick sulla vulnerabilità, se ricordo bene - aveva anche un titolo - del 2008, in realtà ci troviamo a dover fare i conti inevitabilmente con riduzioni drastiche alle quali però, è questa la mia domanda, non mi sembra di avere capito che ci sono inversioni di tendenza e non solo sul breve periodo.
Credo che sarà infatti molto difficile immaginare di fare un replenishment dei nostri impegni internazionali nel breve o medio periodo; non vedo come si possa immaginarlo - magari fosse così - e d'altro canto non vedo neppure il tentativo di una profonda revisione di quello che dovrebbe, viste le circostanze, diventare l'ODA, e non parlo soltanto per il nostro Paese, ma per la maggior parte dei donatori che, guarda caso, sono gli stessi che poi soffrono della crisi economica finanziaria, cioè Paesi occidentali. La mia domanda specifica è, quindi, se lei non reputa utile e necessario in questo momento storico procedere più velocemente possibile assieme, in un necessario concerto di Paesi donatori, a una revisione in profondità non soltanto degli obiettivi, ma anche delle norme che regolano, appunto, l'ODA da molti anni.

MARIO BARBI. Vorrei dire al professor Grilli che noi in questo Comitato e nella Commissione affari esteri, a lungo ci siamo interrogati sulla dimensione multilaterale dell'aiuto italiano allo sviluppo e a lungo abbiamo auspicato che lei potesse venire in rappresentanza del Ministero dell'economia e delle finanze a riferire su questa dimensione quantitativamente così rilevante e significativa del nostro impegno. Vorrei, quindi, ringraziarla perché lei è qui e perché abbiamo così questa occasione.
Vorrei dire incidentalmente che considererei questa occasione come prioritaria rispetto ad altre, pur assai importanti. Per forza di cose, lei non ha potuto che accennare a un insieme di impegni che riguardano il nostro Paese in un contesto complesso come quello delle organizzazioni internazionali, sul quale la Relazione del Governo per il 2008, di cui abbiamo avuto recentemente visione, dà un ampio quadro, ma che richiede davvero approfondimenti che qui non possiamo fare.
Vorrei, quindi, chiederle poche cose per quanto possibile. Lei ha fatto riferimento agli impegni che l'Italia ha preso e al fatto che non ha risorse sufficienti per mantenerli. Io le chiederei di essere più preciso: c'è un problema di trasparenza e di chiarezza nel modo di comunicare, in primo luogo al Parlamento credo, i dati che riguardano gli impegni internazionali del nostro Paese e non soltanto quelli passati, non soltanto quelli definiti dalle leggi - e mi riferisco alla tabella conclusiva della Relazione sul 2008 che parla degli impegni finanziari realizzati nel 2008 - ma degli impegni che abbiamo preso a lunga scadenza, di quelli che abbiamo mantenuto, di quelli che non siamo stati in grado di mantenere.
Le faccio un esempio per capirci su che cosa intendiamo. Lei ha fatto riferimento alla XVI ricostituzione del fondo IDA, ma della XV ricostituzione è difficile capire l'entità, per quanto ci si sia impegnati


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nella lettura della Relazione. Occorre infatti passare dal totale della ricostituzione del fondo, che mi pare sia 41 miliardi di euro, per poi individuare la quota italiana. Nella manovra finanziaria dello scorso anno credo che l'impegno italiano fosse intorno ai 600 milioni di euro per il 2009 e di 240 milioni di euro per il 2010 ma non è chiaro se si tratta di impegni versati e questo è un esempio di quello che io intendo per chiarezza tra impegni assunti e impegni mantenuti. Lo dico perché in altri casi invece questi impegni sono chiari: è il caso - vi faceva lei stesso riferimento - dell'Advance Market Commitment, dove c'è un impegno dell'Italia di 635 milioni di euro spalmato su dodici anni a decorrere dal 2008 e ci sono gli strumenti legislativi che consentono gli impegni.
Allora io credo che per il nostro Paese e per il Parlamento sarebbe davvero di importanza fondamentale riuscire ad avere una chiarezza e una leggibilità degli impegni e del loro mantenimento, di quelli passati e di quelli previsti per il futuro. In questo stesso contesto, siccome ci sono scadenze che si avvicinano e a cui lei ha fatto cenno, che impegnano il Governo del nostro Paese nei negoziati per la ricostituzione dei capitali e dei i vari fondi interessati, sarebbe interessante conoscere gli indirizzi.
Qui noi ci troviamo di fronte a un mondo - e lei lo ha detto - che cambia in un modo velocissimo e cambiano anche gli «assetti azionari»: per quello che riguarda l'Asia, la Cina è ancora un Paese che riceve, quando mi pare che, nelle condizioni in cui si trova attualmente, con tutti i surplus che ha e le finanze che ha accumulato sottoscrivendo i debiti del resto del mondo a partire da quello degli Stati Uniti, bisognerebbe ragionare nuovamente e forse il ragionamento è in corso.
Non voglio togliere spazio agli altri colleghi perché ripeto che ci muoviamo in un campo che richiederebbe davvero maggiore tempo e maggiori possibilità di approfondimento. Vorrei, però, fare due osservazioni di tipo politico-istituzionale e una terza in conclusione.
La prima osservazione è che io credo che occasioni di incontro di questo genere, magari con la Commissione bilancio, sull'aspetto della missione di bilancio dell'Italia in Europa e nel mondo, dove c'è anche una parte specifica che riguarda le banche e i fondi, sarebbero una necessità per il Parlamento e per la Commissione esteri, che comunque in questo campo ha una primazia politica, quindi delle cose da dire.
La seconda è che si dovrebbe trovare il modo di rendere visibile in bilancio la quota che impegniamo complessivamente per l'aiuto pubblico allo sviluppo. Una parte è la cooperazione bilaterale, ma sappiamo che si sta riducendo, e un'altra è l'impegno nelle banche e i contributi che lei stesso ha ricordato all'Unione Europea e che sono cospicui e anche crescenti.
Sarebbe utile per il Parlamento e per l'opinione pubblica che questo si potesse leggere nel bilancio perché consentirebbe a tutti, credo, di avere una consapevolezza della distanza tra lo 0,16 per cento che abbiamo attualmente, lo 0,51 per cento per il 2010, che Lei ricordava, e lo 0,7 per cento del 2015. Lei ha usato parole impegnative, «imperativo», sa, è una parola che significa «che viene mantenuto», ma «difficile» vuol dire che non riusciamo a farlo, quindi è necessario su questo un nostro impegno inteso nel senso dell'intero Paese.
Lei dice, infatti, «noi» e immagino intenda il Governo, ma io riconosco la differenza che c'è tra la sua responsabilità tecnica e quella politica del Governo in carica, quindi naturalmente seguo le sue parole avendo contezza di questa distinzione, il «noi» però è un «noi» Paese che riguarda noi, lei e tutti quanti perché avere consapevolezza di questo forse ci aiuterebbe a prendere la misura del modo in cui possiamo stare nel mondo su questo terreno oggi e se possiamo starci come in passato o se dobbiamo rivedere alcune cose.


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PRESIDENTE. A questo punto, forse conviene che il professore possa rispondere per dare ulteriore materia di approfondimento. Do quindi la parola al professor Grilli per la replica.

VITTORIO GRILLI, Direttore generale del Tesoro. Innanzitutto, vengo alle domande dell'onorevole Fassino. Non abbiamo esplicitamente parlato della CAF, ma chiaramente stiamo assolutamente seguendo il negoziato perché è successo un po' il contrario di quello che normalmente succede. Anche qui, infatti - poi risponderò all'onorevole Barbi - tutto ciò che avviene per quanto riguarda cooperazione e aiuti di questo tipo dipende da leggi del Parlamento, è un momento chiaro e forse possiamo anche fare il lavoro sinottico di riunire tutti insieme per rendere chiara la cosa, ma non c'è nulla che vada per via amministrativa che non sia nota.
Naturalmente, quando parlavo di «imperativo» intendevo del Paese e del suo Parlamento perché questa è un azione non solo del Governo, anzi, è del Parlamento. Con la CAF è successo un po' l'opposto: di solito si fa il negoziato e poi il Parlamento decide di ratificarlo con le risorse; qui sono state deliberate le risorse col mandato a negoziare, quindi prima che cominciasse il negoziato.
Da un certo punto di vista, aver già mostrato i 60 milioni di euro non rende il negoziato così stringente come avrebbe potuto essere, ma vanno sottolineati due fatti: noi dobbiamo ovviamente, di fronte a questo impegno cospicuo, avere delle garanzie anche dal punto di vista della governance perché dobbiamo partecipare nel Consiglio, e questo sta prendendo tempo per capire che tipo di rappresentanza sia adeguata a fronte di questo impegno. Inoltre, in questo momento di grande crisi - lei accennava alla Spagna, che ha avuto fino a prima della crisi una politica molto aggressiva dal punto di vista della cooperazione, ora anche loro si sono bloccati - è importante capire il quantum del nostro intervento rispetto agli altri, per cui anche a questo proposito stiamo cercando di capire e di dosare l'intervento in modo che sia adeguato e di garantirci un corrispettivo di governance che riteniamo indispensabile.
Per quanto riguarda, invece, un'eventuale confluenza delle partecipazioni degli Stati dell'Unione Europea in un'unica chair a livello del Fondo monetario, il dibattito è molto acceso. Forse ci sono due step logici. Uno è quello di avere una chair unica dell'Unione monetaria, quindi dell'area euro, e poi eventualmente di quella europea. Se non avverrà la prima delle due cose, ovvero l'unione dell'area euro, diventerà difficile che avvenga la seconda, per gli ovvi motivi che alcuni Paesi molto resistono a questo concetto.
L'amministrazione in quanto tale non può avere una posizione, posso soltanto descrivere la mia opinione sui dibattiti in corso e devo dire che l'Italia in queste sedi ha sempre avuto una posizione pro-unificazione della chair, che quindi apporterebbe sicuramente tutto un altro peso e rilevanza, soprattutto di fronte all'altro grande socio, gli Stati Uniti d'America. A dire il vero, non tutti la pensano così, non tutti sono pronti a fare questo passo, soprattutto le grandi chair, ma neanche tutte perché in Europa abbiamo anche due relativamente piccole chair, come Belgio e Olanda, che vedono quello multilaterale come il loro principale canale di politica estera. Insomma, smontare la cosa non è semplice.
Direi, però, che l'impegno dell'Italia è sempre lo stesso, siamo disponibili a un emergere delle chair complessivo, totale, e benché i tempi forse non siano ancora maturi, direi che c'è stata, dal mio punto di vista, una coerenza della posizione italiana negli anni da questo punto di vista.
All'onorevole Boniver rispondo che siamo in una fase difficilissima perché è una fase di crisi che ha anche accentuato un'evoluzione del mondo, laddove certe aree che fino a ieri o all'altro ieri entravano nella mappa dei Paesi riceventi ne stanno uscendo, come parte del Sud America e gran parte dell'Asia, mentre permane


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il grande buco nero dell'Africa subsahariana. A mio avviso, nel corso di questa crisi, in questi due o tre anni, c'è stato in realtà un grande aumento, un grande commitment delle risorse, chiaramente in un modo molto veloce, sotto urgenza, che non ha consentito un ripensamento globale, ma in ogni caso, anche sollecitati dagli aumenti di capitale che porteranno a una variazione di quote e di pesi relativi, una qualche tendenza si è manifestata ed è giunto il momento di fare veramente il punto.
È chiaro, infatti, che su questa nuova grande scena internazionale responsabilità e compiti di gestione vanno insieme. Anche qui - lo abbiamo visto già per quanto riguarda il rafforzamento delle risorse del Fondo monetario con i programmi di NAB (New Arrangements to Borrow), che non sono normali ma prestiti volontari - c'è stato un cambio di rotta del Brasile, della Cina, per cui quello è un primo accenno, però è chiaro che questa revisione deve essere sicuramente fatta e bisogna cogliere l'occasione della revisione delle quote in un contesto cambiato cercando di capire come si coordina, chi sono i donatori a livello globale e quali sono le aree di maggiore emergenza e urgenza.
Questo si riflette nella politiche nazionali e mi porta a chiedermi quale sia il nostro orientamento in questo momento di grande emergenza, che sarà seguìto invece da un momento di razionalizzazione. Anche in questo caso, dal punto di vista dell'amministrazione le indicazioni sono rimaste abbastanza costanti negli anni: avere un approccio coordinato a livello europeo, dove da una parte c'è una consapevolezza che l'Europa deve in qualche modo operare una riduzione, se non come impegno finanziario, quantomeno di status, almeno dal punto di vista della governance, e all'interno di questa riduzione, che porterà anche una riduzione relativa perché le quote europee diminuiranno - ritengo, non a fronte di una quota assoluta di impegno - mantenere per l'Italia una posizione relativa invariata.
La strategia dell'Italia in questi negoziati, quindi, per quanto riguarda il multilaterale, è mantenere la sua posizione, con fatica perché è un impegno finanziario importante, ma la priorità resta quella di mantenere, visto il ruolo che abbiamo ancora come G8 e nel G20, la propria quota in maniera adeguata. Non avremmo la forza, come ha provato la Spagna, di aumentarla, sarebbe assolutamente un po' fantasioso, però possiamo cercare in tutti i modi di non ridurla e di mantenerci con la nostra quota adeguata al G8 e al nostro ruolo all'interno dell'Unione europea in questo processo dinamico in cui la quota G8 e Unione europea andrà diminuendo in termini relativi.
Questo è un po' l'orientamento strategico. È chiaro che poi il negoziato ha i suoi momenti tattici particolari e che noi cercheremo, come ho detto prima, la trasparenza. Questa è necessaria perché tutti i nostri impegni devono essere ratificati e approvati dal Parlamento, quindi qualsiasi nostro impegno finanziario diventa una legge. Forse sarebbe necessario, magari in concerto con il Ministero degli affari esteri, per muoverci sul versante multilaterale e su quello bilaterale in modo onnicomprensivo, mettere in fila un po' tutto quello che è già stato fatto e quello che è nella pipeline. Al riguardo, l'aspetto dei New Arrangements to Borrow (NAB) mi sembra un po' ibrido perché, in realtà, si tratta di contributi che vengono dalla Banca d'Italia con la nostra garanzia. Forse ci sarebbe bisogno, quindi, di una «stellina» per specificare che si tratta solo di garanzie, ma che i fondi arrivano dalla Banca d'Italia.
Se non sono stato esaustivo, lo sarò con altre domande.

GUGLIELMO PICCHI. Ringrazio il professor Grilli di essere venuto in questo Comitato e auspico che il MEF cominci a frequentare di più quest'aula perché molte sono le questioni di politica estera che si intrecciano con la politica economica, dai fondi sovrani alla governance dei mercati finanziari e via discorrendo, e quindi


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credo che sia opportuno affrontarle in altre situazioni.
Per quello che ci riguarda invece qui, professore, lei faceva riferimento al capitale versato all'interno della Banca mondiale e del Fondo monetario e alla parte callable; è questo 4 o 5 per cento di payed in, come lei diceva, sufficiente a far fronte nel breve e medio periodo alle esigenze del Fondo e della Banca mondiale e, nel momento in cui si dovesse arrivare a callable, l'Italia è in grado di far fronte agli impegni che ha preso?

FRANCESCO TEMPESTINI. Molto brevemente, lei ha parlato di donor fatigue, ma vale per tutti? Io penso di no, nel senso che - qualcosa l'ha volutamente anche accennata e poi ci è tornato anche l'onorevole Barbi - mi pare che siamo di fronte ad altri donatori che, per ragioni molto concrete e molto solide, oggi sono intervenuti non soltanto in termini quantitativi, ma anche in termini qualitativi. Faccio riferimento alla Cina, ma non solo alla Cina.
Il sistema generale dell'aiuto allo sviluppo è oggi caratterizzato da questa fatica del donatore tradizionale, che nasce da considerazioni che mi sembrano molto elementari. Le risorse si sono, infatti, ridotte e l'efficacia e la trasparenza di questo aiuto multilaterale sono quanto meno sotto una lente di attenzione e di discussione.
Questi nuovi «donatori» intervengono sostanzialmente cambiando le regole del gioco, con sistemi di rapporto con i Paesi in via di sviluppo che per qualche verso sono nuovi e per qualche altro sono molto vecchi, ristabilendo con le dirigenze locali un rapporto che sotto certi profili il mondo occidentale dei donatori, con l'ONU innanzitutto e le sue direttive generali in questa materia, aveva portato su un certo versante. La Cina e altri hanno introdotto nuove forme di dialogo e di rapporto, per qualche verso addirittura più gradite a certi governi, ma con uno strascico inevitabile. Noi conosciamo bene le conseguenze negative, ma certamente entrare a gamba tesa in questo sistema con nuove regole e nuovi fondi mette tutto il sistema in discussione.
Io ho apprezzato il fatto che nella risposta che ha dato all'onorevole Barbi abbia voluto specificare la questione della strategia con la quale l'Italia tende a ridimensionare il danno nel suo stare nel concerto dei donatori, il suo standing nei Paesi del G8 e tutto quello che ne consegue; mi domando, e la domanda naturalmente richiede una discussione molto ampia, mi rendo conto - mi accontenterei ovviamente di un'attenzione, di un interesse - non siamo di fronte alla necessità di una revisione più complessiva del sistema? Non c'è il problema di una riflessione generale per ricalibrare l'intervento e renderlo adatto alle modificazioni intervenute e che, ripeto, non sono soltanto di natura quantitativa?
Le pongo una seconda questione e concludo: lei ha - credo con assoluta correttezza - ribadito il sentimento della pratica e della necessità di un coordinamento di queste politiche in un contesto generale della pubblica amministrazione italiana, in particolare con il Ministero degli affari esteri. Debbo dirle con franchezza che non solo io personalmente, ma i membri del Comitato che hanno svolto un lavoro di approfondimento, abbiamo un'opinione un po' diversa.
Le parlerò molto francamente. La nostra opinione parte da un'idea che vi sia al Ministero dell'economia e delle finanze il convincimento che le politiche bilaterali non hanno più un grande significato e bisogna spostare tutto l'intervento sulle politiche multilaterali, che sarebbero poi sostanzialmente di competenza dell'amministrazione finanziaria. Oltretutto, nella quotidianità dobbiamo registrare che questo coordinamento, questa capacità di lavorare insieme, Ministero degli affari esteri e Ministero dell'economia e delle finanze, secondo la nostra impressione non avviene.
Cito un caso elementare e lo faccio alla fine perché ci siamo detti che questo poteva essere un segnale che lanciavamo


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di buona volontà, scusandomi se rubo un attimo di tempo. La Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri si trova di fronte al fatto di avere un arretrato da liquidare di progetti già varati e coperti di una trentina di organizzazioni non governative, bloccati perché manca il personale per la rendicontazione. Il rischio non è soltanto quello di trasferire ad altra data, ovviamente, questi progetti, ma ne va della vita di queste organizzazioni. Lei dirà che si tratta di piccola cosa, è lo è, ma lei sa meglio di me che il nostro compito è tutelare anche la società civile nelle sue articolazioni e in questo campo le organizzazioni non governative sono una ricchezza del Paese, non un fardello.
Era stata richiesta da parte della Direzione generale la possibilità di utilizzare il distacco di sette o otto finanzieri esperti della materia, ma non si riesce a fare neanche questo. Mi domandavo - lascio lì la domanda, ma naturalmente lei ha tutto il diritto persino di non rispondermi - se non si potesse trovare su questo terreno, come su mille altre cose, la possibilità di far funzionare meglio, davvero con una attenzione all'integrazione dei ragionamenti e dei percorsi, il lavoro di queste due amministrazioni.
Noi registriamo una sorta di grande monolite che è il Ministero dell'economia e delle finanze e poi tutti gli altri. Viviamo in periodi di manovre economiche, quindi sa bene che c'è molto di vero in quello che dico. Tuttavia, in questo campo nel corso dei mesi e degli anni è possibile trovare formule per le quali - questo è un caso che le ho dato di riflessione - si possano trovare modi per avviare un processo? Naturalmente sarà poi compito nostro quello di vedere se riusciremo a costruire forme di coordinamento istituzionali, ma rimane questo segnale che io volevo lanciarle.

VITTORIO GRILLI, Direttore generale del Tesoro. Rispondo prima alla domanda tecnica sul payed in e sul callable: è chiaro che a vederlo, il payed in è relativamente piccolo rispetto al callable, però è un sistema che si basa sulla fiducia, cioè sul fatto che fino a ora, e penso con assoluta ragionevolezza, il mercato e chi presta alla Banca mondiale ritiene che il payed in e il callable siano sostituti. Semmai ci fosse quindi bisogno, il callable verrebbe anche perché poi ci sono, attraverso anche le banche centrali, possibilità di anticipare. Da questo punto di vista, ritengo quindi che sia congruo e non abbiamo motivi per ritenere che ci saranno a breve o anche a medio termine dei problemi.
È chiaro che si tratta sempre di una percentuale: mano a mano che aumenta il capitale totale committed, aumenta anche in proporzione quel 5 per cento, quindi di risorse aggiuntive ce ne saranno necessariamente sempre di più. Questa ripartizione per ora regge, però, e non abbiamo segnali che non sarà così nel prossimo futuro.
Per quanto riguarda le altre questioni sollevate, farei delle distinzioni tra collaborazioni istituzionali. Il Dipartimento del tesoro svolge una collaborazione istituzionale sulle politiche, sugli interventi, quindi un coordinamento di azione soprattutto sulla parte multilaterale perché le parti bilaterali sono ovviamente di gestione del Ministero degli affari esteri. Io stesso sono in contatto molto di frequente con i colleghi alla Farnesina soprattutto per quanto riguarda G20, G8, Banca mondiale e Fondo monetario.
Diversi sono invece gli aspetti amministrativi e anche di policy che non hanno a che fare con il coordinamento tra chi è deputato al Ministro dell'economia alle politiche multilaterali e chi è deputato al Dicastero per gli affari esteri per le stesse cose, ma con una politica generale di approccio di bilancio, di budget, che sicuramente non è parte di una politica del Tesoro. Prescinde da noi, non ha più a che fare con un coordinamento tra Tesoro e MAE dal punto di vista operativo rispetto alle nostre controparti estere o di istituzioni sovranazionali, ma ha più che fare con le politiche di bilancio in generale del Ministero dell'economia o del suo Governo rispetto agli altri ministeri.


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Questo può essere un problema, io non lo conosco a fondo, ma non può essere risolto all'interno di una collaborazione strategica dei due ministeri per quanto riguarda le politiche di aiuto. È più un rapporto tra ministeri per quanto riguarda le risorse a disposizione.
Questo mi porta però - penso al suo accenno a bilaterale e multilaterale - a precisare che noi non abbiamo un parere in pratica, però mi sembra che ci sia una verità importante su questo aspetto che deriva dal suo ragionamento, secondo me giustissimo, sui vecchi e i nuovi donatori; la Cina e la sua irruzione, come dice, a gamba tesa, con nuovi strumenti e nuovi approcci. Qui si tratta soprattutto di approcci bilaterali, e questo, come accennavo, è un momento per fare chiarezza, riflessione e trasparenza su questo perché quando pensiamo a una governance mondiale, che può essere il G20, che poi venga trasferita attraverso una modifica delle quote all'interno del Fondo monetario e della Banca mondiale che la rifletta, va preteso un meccanismo trasparente di oneri e onori, di dare e avere. Credo allora che quello multilaterale, sia esso G20 o banche, sia un meccanico per imporre questa disciplina e rendere anche trasparenti certi comportamenti.
Io ritengo che sia interesse non solo nostro, ma anche dei nostri partner del G8 cercare di portare all'interno di un framework trasparente, riconosciuto e chiaro le politiche di questo tipo. Diversamente, si è a rischio di essere su un tavolo dove alcuni Paesi grandi, nuovi, emergenti pretendono nuovi ruoli di governance, però fanno gran parte delle proprie politiche in maniera bilaterale, non trasparente e fuori da qualsiasi parametro di giudizio o di condivisione. Credo quindi che anche lì lo strumento del multilaterale sia molto importante in questa fase di transizione perché poi tra Paesi che si conoscono e che condividono già dei princìpi fondamentali - anche il bilaterale può essere già più trasparente, come si fa in questa transizione dove c'è il nuovo e il vecchio a confronto - è direi quasi naturale dire: facciamo il G20, coordiniamoci, facciamo una nuova governance delle grandi banche multilaterali. Devono però esserci delle regole comuni sull'approccio di certi Paesi e di certi problemi per evitare un po' questo free riding di chi accoglie alcune cose ma si muove per conto suo.
Questo è, quindi, un po' il rischio del bilaterale, non quello nostro classico, ma del nuovo bilaterale che arriva, per cui questo processo di ripensamento all'interno di questa governance a nostro avviso è molto importante perché dà nuove regole e trasparenza un po' a tutto, e quindi secondo noi è bene spingerlo.
Io qui non voglio dare un giudizio su cosa sia meglio tra multilaterale e bilaterale, ma vedo che in questa transizione il multilaterale offre il vantaggio di mettersi attorno a un tavolo e decidere insieme con le stesse regole, implementare insieme, per cui chi metterà più fondi, gestiti secondo le regole, avrà più peso.
Questo è, quindi, l'orientamento e comunque il problema è proprio lì: come mettere insieme i vecchi Paesi affaticati con i nuovi molto proattivi, però in uno schema comune, altrimenti penso che si faccia corto circuito.

PRESIDENTE. Credo di interpretare il pensiero di tutti i colleghi se dico che si è trattato di un'audizione interessante perché c'era bisogno da parte nostra, da parte del Comitato sugli Obiettivi di sviluppo del Millennio, di avere ulteriori chiarimenti con riferimento, appunto, a tutto ciò che riguarda la gestione del multilaterale.
Credo di interpretare anche l'auspicio, la richiesta addirittura, sia da parte della maggioranza sia da parte di esponenti dell'opposizione, di mantenere questo rapporto anche perché questo Comitato è un po' un unicum per quanto riguarda i Parlamenti dei Paesi cosiddetti sviluppati. Presso l'Unione interparlamentare lo considerano addirittura come un caso da approfondire e da proporre anche agli altri Parlamenti.
Questo accade perché è ruolo del Parlamento essere attento nei confronti di


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temi così importanti e strategici per il mondo. Proprio per questo le formulo la richiesta di poter mantenere con noi dei rapporti anche continuativi, perché molti di questi argomenti sono stati accennati e lei ha dato delle risposte, ma i temi - come lei mi pare abbia esplicitato anche nelle sue ultimissime parole - sono in divenire. Credo che, oltre al rapporto istituzionale e permanente col Ministero degli affari esteri, mantenere un rapporto con il Ministero dell'economia e delle finanze e con lei in quanto appunto Direttore generale del Dipartimento del tesoro, sia assolutamente utile.
La ringrazio veramente e mi auguro, appunto, di poterla incontrare ancora in questo nostro Comitato.
Voglio ricordare ai colleghi che giovedì ci sarà l'audizione del Direttore esecutivo per l'Italia presso la Banca mondiale, dottor Majnoni, l'ultima prima del Summit di New York.
Vi ringrazio e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,50.

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