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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
20.
Giovedì 1° ottobre 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Colombo Furio, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI NEL MONDO

Audizione di Estela Carlotto, presidente dell'Associazione Abuelas de Plaza de Mayo, e di Remo Carlotto, presidente della Commissione diritti umani della Camera dei deputati della Repubblica Argentina:

Colombo Furio, Presidente ... 3 5 7 9 11 12
Barbi Mario (PD) ... 7
Carlotto Estela, Presidente dell'Associazione Abuelas de Plaza de Mayo ... 3 7
Carlotto Remo, Presidente della Commissione diritti umani della Camera dei deputati della Repubblica Argentina ... 5 11
Fedi Marco (PD) ... 10
Narducci Franco (PD) ... 10
Nirenstein Fiamma (PdL) ... 7
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sui diritti umani

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 1° ottobre 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FURIO COLOMBO

La seduta comincia alle 9,05.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di Estela Carlotto, presidente dell'Associazione Abuelas de Plaza de Mayo, e di Remo Carlotto, presidente della Commissione diritti umani della Camera dei deputati della Repubblica Argentina.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle violazioni dei diritti umani nel mondo, l'audizione di Estela Carlotto, presidente dell'Associazione Abuelas de Plaza de Mayo, e di Remo Carlotto, presidente della Commissione diritti umani della Camera dei deputati della Repubblica Argentina.
Ricordo che sono altresì presenti Norma Nascimbene de Dumont, ambasciatrice della Repubblica Argentina e Marina Montecón, segretaria d'ambasciata.
In primo luogo, voglio esprimere il mio ringraziamento per la vostra presenza. Ci onora e ci interessa che partecipiate a questa indagine conoscitiva sulle violazioni dei diritti umani nel mondo, che sono state particolarmente gravi nel vostro Paese nel periodo cui si riferisce la vostra testimonianza. Tale situazione perdura persino nei processi italiani, che continuano tuttora e non si sono mai risolti per le difficoltà di estradizione, di raccolta delle prove e forse anche di attivismo giuridico nei confronti dei tremendi delitti perpetrati, esemplari di come la democrazia possa improvvisamente precipitare in una situazione spaventosa quale quella che ha dato luogo al fenomeno indimenticabile dei desaparecidos.
Siamo onorati e, al tempo stesso, sappiamo che saremo arricchiti dalla vostra testimonianza.
Do la parola a Estela Carlotto, presidente dell'Associazione Abuelas de Plaza de Mayo.

ESTELA CARLOTTO, Presidente dell'Associazione Abuelas de Plaza de Mayo. Ringrazio dell'accoglienza, rivolta a me, a mio figlio Remo e alle amiche argentine in questo ambito parlamentare, dove in qualità di associazione siamo intervenute molte volte, sempre bene accolte: abbiamo una lunga storia di amicizia con l'Italia, per diversi motivi. La comunità italiana nel nostro Paese, infatti, è molto vasta, poiché gran parte di noi discende da quegli emigranti che per varie motivazioni vennero in Argentina, dove fondarono le loro famiglie ed ebbero figli; tanti personaggi importanti dell'Argentina hanno origini italiane, come molti dei nipoti che noi abuelas stiamo cercando e diversi dei 97 già individuati, cui abbiamo reso i loro diritti.
La nostra storia è molto triste, dura: sono già trentadue anni che siamo oppresse dal dolore, ma restiamo fermamente convinte che non bisogna perdere neanche un minuto nella ricerca della


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verità, affinché la giustizia sia reale ed effettiva e per mantenere vivo il ricordo. Purtroppo, talvolta, si cerca di archiviare queste storie per motivi di opportunità economica o politica. Noi, strada facendo, abbiamo imparato a lavorare per la democrazia, pur senza sapere come agire, perché gran parte delle donne che fanno parte della nostra associazione proviene da comuni famiglie del ceto medio e non aveva esperienza di militanza politica.
Il dolore è stato così forte da paralizzarci per breve tempo, poi, però, siamo uscite in cerca di risposte che non abbiamo mai ottenuto, pur interrogando le autorità del Governo dittatoriale e un settore abbastanza ampio della società argentina. In tale percorso, imparando, elaborando idee e tracciando strategie con molta perseveranza, e soprattutto amore, siamo riuscite a creare questa istituzione, che durerà a lungo anche in assenza di noi fondatrici, perché c'è ancora molto da fare. Abbiamo individuato 97 nipoti - è una buona cifra - ma ne mancano ancora 400, né si sa dove siano i loro genitori (le stime parlano di trentamila adulti sequestrati).
Pertanto, bisogna riesumare le storie di questi scomparsi, che - secondo la realtà inesorabile che oggi conosciamo - furono uccisi nei cinquecento campi di concentramento disseminati in tutto il Paese, mentre i racconti narrati dai sopravvissuti ci parlano delle infamie subite in quei luoghi, dove pure nacquero i nostri nipotini che noi aspettavamo piene di speranza, pensando ingenuamente ce li avrebbero consegnati perché li allevassimo, in attesa del ritorno dei nostri figli. Al contrario, non sono tornati né i figli né i nipoti e siamo ancora alla loro ricerca, perché non c'è madre al mondo che non cerchi un figlio che non torna o un nipote mai conosciuto.
Molte di noi hanno già avuto la felicità di abbracciarli, quanto a me non so dove sia mio nipote Guido, che ha già trentun anni; a volte penso che sia vicino, magari ci siamo incrociati per la via senza riconoscerci, perché chi ha commesso questi crimini di lesa umanità non ci aiuta a trovare la verità.
In Argentina, tuttavia, c'è una lotta popolare importante; questo è un popolo che non ha mai abbassato le braccia, anche se a volte la paura lo ha indotto ad atteggiamenti di ritegno o di chiusura per proteggersi, pertanto non vuol dimenticare e ci sta aiutando in tutto quanto concerne la ricostruzione democratica del Paese.
Sono più di venticinque anni che abbiamo un Governo costituzionale, è importante ricordarlo perché si tratta del più lungo periodo nella storia argentina: dal 1930 il Paese ha sempre avuto dittature che hanno interrotto il normale processo di costituzione delle autorità elettive - era diventata un'abitudine - ma non ci fu mai una repressione tremenda come nell'ultima dittatura (speriamo che sia tale davvero perché è questo che vogliono gli argentini).
Questi Governi costituzionali, ognuno a suo modo e nella misura del possibile, hanno contribuito a questa ricomposizione. Voglio però sottolineare che gli ultimi due in particolare - quello attuale e il precedente - hanno considerato il problema dei diritti umani come una loro bandiera perché hanno portato al massimo livello, e continuano a farlo, la questione della ricerca di una risposta a quanto accaduto in Argentina.
È impossibile dimenticare, non si parla di perdono o di riconciliazione, ma di verità e di giustizia; non c'è odio, né rancore o spirito di rivincita, ma si tratta semplicemente, come in qualsiasi Paese democratico quando c'è un delinquente, di affrontarlo con tutto il peso della legge. In questo l'Italia ci ha sempre aiutato e ci sta aiutando. Nel corso di un processo famoso, durato vent'anni, lo Stato italiano si costituì parte civile e continua ad esserlo nel processo che ha avuto inizio proprio ieri a Roma - sono qui per questo - contro uno dei repressori, un perverso ex militare di Marina apparentemente impossibilitato a prendere parte al dibattimento. Una perizia italiana, tuttavia, ha dimostrato che Emilio Massera è in grado di


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deporre, pertanto il tribunale ha dichiarato ammissibile il processo, che comincerà ai primi di novembre, quando verranno qui a testimoniare alcuni cittadini argentini. Tale vicenda è esemplare, costituendo un altro motivo per il quale gli argentini sono grati a questo caro Paese.
Chi ha sangue italiano qui si sente come in patria; abbiamo ricevuto aiuti morali, materiali e notevoli contributi per continuare a svolgere un'opera costosa come quella delle abuelas, ma soprattutto abbiamo potuto godere sempre dell'appoggio, della simpatia e della solidarietà di tutti voi.
Essere per me qui oggi è emozionante, come lo è stato ieri, quando ha avuto inizio il processo, pensare che a tanta distanza di tempo riusciamo a far sì che l'Italia giudichi, ci accolga e ci tenda la mano, come già fece molti anni fa quel meraviglioso Presidente che fu Pertini.
A nome di tutte le abuelas, dunque, vi ringrazio per questa opportunità di venirvi a trovare ed essere ascoltata. Senz'altro, grazie a voi, troveremo ancora molti altri nipoti.

PRESIDENTE. Ringrazio la signora Carlotto per la sua testimonianza, per quanto ha ricordato, per il modo limpido in cui ha riassunto il passato e lo ha collegato al presente e ai doveri che gravano ancora su di esso per l'accaduto.
Chiedo all'onorevole Carlotto di intervenire.

REMO CARLOTTO, Presidente della Commissione diritti umani della Camera dei deputati della Repubblica Argentina. Anche per me è un onore essere qui. Nel Parlamento argentino presiedo la Commissione per i diritti umani e le garanzie della Camera dei deputati della Nazione. Il nostro compito è fortemente legato alle conseguenze della dittatura militare per la popolazione nel suo complesso. Quando ad agire è uno Stato terrorista che sequestra le persone, le uccide o le getta ancora vive dagli aerei, infatti, le conseguenze sull'insieme della popolazione sono molto profonde.
Con il ricorso alla scomparsa delle persone, la dittatura fece dunque una scommessa di lungo periodo, perché creare nelle famiglie un contesto di incertezza sulla sorte ignota dei loro cari è un elemento oltremodo paralizzante non tanto per le vittime - come le madri e le nonne di Plaza de Mayo, che poi sono uscite per la strada a lottare - quanto per tutto il popolo.
Il secondo segnale protratto nel tempo è stato l'accaparramento dei bambini; è probabilmente un fatto unico che i responsabili del sequestro, della tortura e dell'uccisione dei genitori poi si tenessero quei bambini e li crescessero come figli propri in un legame oltremodo perverso, le cui conseguenze si protraggono anch'esse nel presente.
Per noi quelli sono gli scomparsi in vita, bambini o bambine, ormai uomini e donne che - come diceva Estela - magari sono per strada e li incrociamo mentre siamo alla loro ricerca.
Tali vicende hanno dato alla democrazia argentina, a partire dal 1983, una fortissima impronta in materia di diritti umani, per cercare di risolvere queste situazioni di conflitto, ma anche per trasformare i valori culturali che la dittatura aveva inculcato alla società nel suo assieme.
Pertanto, nel nostro lavoro nel campo dei diritti umani, prendiamo esempio dalle madri e dalle abuelas per cercare di trasformare queste situazioni negative, dolorose, terribili in azioni positive per il lavoro con la comunità. Per noi è molto importante, dunque, lavorare alla costruzione di cittadinanza, inserire l'idea dei diritti umani nel quadro della costruzione della convivenza contro l'autoritarismo, costruire e consolidare azioni contro la discriminazione, la xenofobia, il razzismo, lavorare anche per riuscire a spiegare perché queste persone sparirono, come mai poté funzionare uno Stato che applicava il terrore a tutta la popolazione.
Fu - così noi la definiamo - una dittatura civile e militare: la partecipazione dei civili alla dittatura aveva un obiettivo connesso alla pianificazione economica


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del nostro Paese, che portò a una maggiore concentrazione della ricchezza e alla distruzione delle fonti di lavoro. Forse per questo, la prima azione attuata dalla dittatura consisté nell'attacco ai lavoratori organizzati, nel rapirli e farli scomparire, perché non ci fosse resistenza alla pianificazione economica successiva, di cui si continuano a pagare le conseguenze in Argentina.
In quel periodo, infatti, il debito estero si moltiplicò per cinque, pertanto le risorse del Paese non furono investite in patria, bensì adoperate nell'ambito delle strutture finanziarie, in base a scelte di cui tuttora subiamo pesantemente le conseguenze. Spesso in Argentina ci viene chiesto perché continuiamo a lavorare su cose accadute trent'anni fa, affermando che è acqua passata e bisogna dimenticare; noi, invece, cerchiamo di far capire con chiarezza che le conseguenze sono in atto e continuano a pesare sulla configurazione di una società che deve necessariamente risolvere i propri conflitti.
Il quadro attuale vede molte responsabilità criminali giudicate in Argentina, mentre altre continuano a essere oggetto della ricerca di giustizia. Nel nostro Paese non si è mai avuto alcun atto di vendetta, non c'è mai stato nessuno, in tanti anni, che abbia cercato di farsi giustizia da sé, in nessuna delle generazioni coinvolte. Oggi, infatti, i figli degli scomparsi, allora bambini, stanno esigendo semplicemente quello che spetta loro, che si faccia giustizia; questo per noi è importantissimo, anche dal punto di vista del legame con l'Italia.
Qui noi abbiamo avuto la possibilità, quando in Argentina era impossibile avere giustizia, di ricevere l'attenzione dello Stato italiano, che ci ha assicurato della sua volontà di far sì che la giustizia fosse esercitata nei confronti dei cittadini di origine italiana scomparsi in Argentina. Ciò ha avuto una grande ripercussione nel nostro Paese, poiché ha significato invertire un elemento per noi estremamente importante, ossia l'impalcatura giudiziaria dell'impunità, permettendo la riapertura dei processi in Argentina. Per molti è stato un fatto inedito che l'impalcatura legale per amnistiare quei reati venisse capovolta anche in termini giuridici, come è accaduto in gran misura grazie all'azione internazionale in cerca di giustizia che ha trovato una così grande ricettività in Italia.
L'inizio del processo, ieri, contro il genocida Massera ha avuto una grande eco in Argentina; in termini giuridici consente che si avviino le perizie nel nostro Paese contro quel criminale, ritenuto non imputabile dalla giustizia argentina, ma che la giustizia italiana ha considerato assolutamente giudicabile.
Tale risultato è la conseguenza di una strada che si è cominciata a percorrere molti anni fa, ma che continua ad essere valida; questi incontri, inoltre, soprattutto per la Commissione che presiedo, hanno implicato la possibilità di lavorare assieme all'Italia in altri ambiti legati ai diritti umani, per esempio per quanto riguarda le persone attualmente private della libertà.
In Argentina, infatti, ci stiamo adoperando per debellare pratiche e metodologie tramandate dal periodo dittatoriale, per capire come si tutelano i diritti delle persone private della loro libertà, in che maniera si può pensare la sicurezza pubblica come il modo in cui lo Stato garantisce non solo la sicurezza delle persone e dei beni, ma anche la sicurezza e i diritti che spettano a chi ha commesso dei reati.
Ciò per noi è rientrato in un processo interessantissimo, che ha coinvolto intellettuali, attivisti dei diritti umani e vari livelli istituzionali anche in Italia, in un lavoro di scambio di esperienze sui diritti umani delle persone private della loro libertà.
Il fatto che voi ci abbiate accolto oggi, che ci abbiate consentito di avere questo scambio e di lavorare su un tema che per noi è stato importantissimo - il processo elettivo del vostro Parlamento anche all'estero, in Paesi dove ci sono forti comunità italiane - ci ha permesso di avviare anche un legame di scambio con quanti in Sudamerica rappresentano i cittadini italiani che si trovano in quelle parti del mondo.


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Considerando che la costruzione di cittadinanza è molto legata a quanto abbiamo subito come società, la possibilità di sviluppare legami internazionali ci serve per capire come creare una cittadinanza per il futuro, non pensata nei termini di quanto accade in ciascun Paese, ma in un'ottica universale, che faccia sì che i diritti umani prevalgano sempre fortemente in ciascuna società e nel pensiero della comunità internazionale, in modo da avere collettività più giuste, più equilibrate, più eque, con una migliore e maggiore distribuzione della ricchezza nella popolazione.
Quanto detto per noi rientra in ciò che abbiamo imparato e cercato di trasformare, passando dalla resistenza alla dittatura alla costruzione di un mondo democratico più giusto. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie a lei, onorevole Carlotto, per averci ricordato gli aspetti fondamentali di questo nostro incontro: il rapporto con la memoria, l'evento terrificante dell'aver coinvolto i bambini, l'attacco al lavoro, le modalità di una tragica coerenza nelle sequenze che segnano sanguinosamente il percorso di simili dittature e di quella tremenda che ha tormentato il vostro Paese, quando il mondo occidentale credeva già di essere bene avviato sulla strada della democrazia, dei diritti umani e civili.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MARIO BARBI. Vorrei esprimere rispetto e ammirazione per la signora Carlotto e per la battaglia che ha condotto, nonché il massimo apprezzamento per le dichiarazioni dell'onorevole Carlotto. Penso che noi non possiamo che ascoltare e cercare di capire; a mio avviso, non è sufficiente ripristinare le istituzioni democratiche per costruire una vera vita democratica, ma occorre che questa si fondi su una base di umanità, che può nascere soltanto a partire dalla verità e dalla giustizia rispetto alla ferocia che è stata compiuta e agli aspetti perversi in essa manifestati.

FIAMMA NIRENSTEIN. Vorrei ringraziare in modo sentito i due relatori, in particolare il presidente di Abuelas de Plaza de Mayo Estela Carlotto, naturalmente, perché oltre all'elaborazione di questi temi ci ha anche portato questa sua difficilissima esperienza personale.
Vorrei chiederle, inoltre, come avviene la ricerca di questi bambini perduti, ovvero se per esempio si cerca di stimolare la memoria infantile attraverso delle campagne nel tentativo di suscitare in loro il ricordo dell'accaduto, oppure se sono le famiglie a mettere in circolazione dei dati.
In secondo luogo, in questi anni c'è un interesse specifico per tutto quello che riguarda crudeltà di massa così inverosimili. Al riguardo, mi chiedo quale sia il vostro giudizio sul popolo argentino: quando questi terribili eventi avevano luogo, credete che il comportamento complessivo della popolazione e il silenzio che circondava tali crimini fossero legati alla paura, alla complicità o ad altri fattori? Come si cura, infine, questo aspetto particolare nella storia di un popolo, come lo si affronta all'interno del contesto argentino?

PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica, tenendo conto che questa domanda intelligentemente pone un problema universale, che ci riguarda tutti.

ESTELA CARLOTTO, Presidente dell'Associazione Abuelas de Plaza de Mayo. Come ho già detto, noi nonne trentadue anni fa abbiamo cominciato a cercare i nipotini che stavano nascendo nei campi di concentramento. Allora agivamo a titolo personale, da sole, finché non ci siamo radunate in gruppo e abbiamo cominciato il nostro percorso, preparando tutto, nel frattempo, per accogliere i bambini (il corredino, la stanzina), confidando innocentemente in qualcosa di così umano come crescerli in famiglia.
Tuttavia, passavano gli anni e i bambini non tornavano, cosicché cercavamo i luoghi in cui potevano trovarsi - come nidi d'infanzia e orfanotrofi oppure, più tardi, asili infantili - facendo dei buchi nell'acqua,


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perché ci siamo rese conto che il piano sistematico era quello di non darci i nipoti.
È sorta, dunque, la grande preoccupazione del come fare per identificarli, dal momento che non li conoscevamo. Molte nonne ancora adesso non sanno neanche se si trattava di un maschio o di una femmina, se era un bambino o una bambina e se quindi ora sia un uomo o una donna; non sanno neanche quando sia nato con esattezza.
Innanzitutto, quindi, abbiamo cercato il contributo scientifico, sapendo che attraverso il sangue si può stabilire la paternità a volte negata da un genitore; attraverso il raffronto tra figlio presunto e presunto padre si può stabilire o accertare questo dato.
Abbiamo percorso il mondo e nel 1984, con l'instaurazione della democrazia in Argentina, è stata creata una banca generale di dati genetici, unica al mondo, che si trova a Buenos Aires, dove il sangue viene trattato mediante il test di istocompatibilità e, ultimamente, anche con il test del DNA. Lì si esamina il sangue delle due famiglie che sono alla ricerca del nipote.
La prima creatura restituitaci attraverso questa banca dati è stata trovata nel 1985 e poi, gradatamente, sono stati trovati altri 97 nipoti.
A mano a mano che gli anni passavano, i nostri metodi e le nostre strategie sono cambiati. Non è, infatti, la stessa cosa cercare un infante, un bambino di dieci anni oppure un uomo o una donna adulti. Quando abbiamo cominciato a pensare che i nostri nipoti avessero già un proprio metro di giudizio, abbiamo cominciato a rivolgerci alla comunità per indurre la società a dirci quello che sapeva; molti, infatti, erano stati testimoni del luogo dove un bambino era stato lasciato, oppure sospettavano che un vicino militare un giorno fosse arrivato con un bimbo in regalo per la moglie, invece che con un mazzo di fiori o una scatola di caramelle. Era arrivato con un bambino perché magari quella signora non poteva avere figli.
Queste informazioni della gente sono state da noi elaborate dapprima nella nostra testa; poi, quando abbiamo constatato che non riuscivamo ad abbracciare tante informazioni, abbiamo formato dei gruppi di lavoro. Abbiamo un'ampia gamma di equipe tecniche di professionisti che lavorano a questo: avvocati, genetisti, psicologi, investigatori. Essi indagano quando c'è una denuncia, cercano di comprovarne la verità e di giungere a una conclusione. Quando, poi, abbiamo cominciato a rendere pubblico quello che stavamo facendo per raggiungere quei giovani che avessero dubbi sulla propria identità e che quindi volessero accertarla, abbiamo riscontrato una solidarietà sociale da parte di artisti, di drammaturghi eccetera. Abbiamo, così, cominciato a fare teatro per l'identità e continuiamo a farlo; facciamo anche musica per l'identità, tango per l'identità, umorismo, sport; addirittura jazz per l'identità.
Tutto questo lo facciamo per smuovere la società, affinché se c'è qualcosa da dire, venga detto. Se c'è un ragazzo che ha dei dubbi, che si faccia coraggio e venga da noi. Abbiamo delle equipe che li accolgono. Esistono due modi per trovarli: mediante la ricerca, che è del tutto scientifica, oppure incontrandoli, nel senso che se il ragazzo, l'uomo o la donna che sia, viene nella nostra casa a cercare, troverà delle risposte. Se, però, c'è una denuncia ma l'interessato non viene perché chiuso nella sua decisione o perché ha paura, in quanto è stato allevato quasi da prigioniero, senza poter decidere, senza avere risposte e subendo maltrattamenti e punizioni, allora è la giustizia che interviene.
La giustizia cita questi giovani ormai maggiorenni ed essi sono tenuti a obbedire all'ingiunzione del giudice. Il giudice notifica loro la possibilità che essi siano figli di scomparsi.
Se ci si trova di fronte ad un rifiuto, si prova a convincerli, altrimenti, negli ultimi tempi, pur non praticandosi prelievi di sangue obbligatori in quanto ciò è vietato dalla legge, si va al domicilio di queste persone - che si suppone siano nipoti di scomparsi - per prelevare elementi che presentino tracce di DNA: per esempio frammenti di pelle, capelli, spazzolini da


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denti, e così via. Successivamente, nei laboratori della banca nazionale di dati genetici, si ottiene un risultato come quello dei prelievi sanguigni. Si fa il raffronto e, se si tratta di uno dei nipoti di scomparsi, il giudice notifica a questa persona che ha una famiglia, che ci sono delle nonne, dei fratelli e degli zii che lo hanno cercato per trent'anni. E lo convince - e l'interessato si convince - a conoscerli, e rapidamente, in diversi casi, si ripristina il rapporto familiare; in altri casi il processo è più lungo e ci sono dei problemi. Quello che noi possiamo dire, in base a questa nostra lunga esperienza, è che questi ragazzi stanno bene, sono liberi, sono se stessi e conoscono la loro storia; sanno, ad esempio, come mai uno di loro era alto, mentre tutti gli altri componenti della famiglia, compresi coloro che dicevano, mentendo, d'essere i suoi genitori, erano bassi.
Questi ragazzi ci aiutano e lavorano con noi. Io sono venuta con un nipote, che ieri è purtroppo andato via, ed è proprio questo nipote a raccontare la sua storia, a raccontare come si sente adesso. Il nostro è un compito mutevole; teniamo conto della situazione socio-politica, dell'età, delle circostanze e ci muoviamo di conseguenza, con molto rispetto, discrezione e riserbo.

PRESIDENTE. Grazie alla signora Carlotto che, come sempre, ci porta un'immagine vivida di questa vicenda, illustrandoci la morte che ne sta alla base, ma anche la vita, che ne costituisce il capolavoro.

REMO CARLOTTO, Presidente della Commissione diritti umani della Camera dei deputati della Repubblica Argentina. Per rispondere alla seconda domanda, devo dire che sì, la dittatura ha avuto conseguenze che hanno lasciato un segno profondo su tutta la popolazione. L'opera del terrorismo di Stato ha impregnato tutti gli ambiti.
Quando parliamo dei trentamila scomparsi e dei bambini sottratti, diciamo quello che è avvenuto di più terribile e di più duro, a causa della dittatura. Ma ci sono state anche migliaia di persone detenute per anni senza causa né processo, centinaia di migliaia di esuli, anche interni. L'Argentina è un Paese molto grande, molto esteso e queste persone sono dovute andare a vivere altrove, all'interno del Paese, per cercar di celare la propria identità, per non essere raggiunti dall'attività clandestina di persecuzione operata da parte dello Stato. Abbiamo avuto centinaia di giornalisti scomparsi: cercavano la verità e furono sequestrati; anche così si è tappata la bocca in quel periodo.
Forse ci sono due modi di considerare, in termini generali, l'atteggiamento della popolazione. Noi pensiamo che la stragrande maggioranza della gente sapesse che cosa stava succedendo, ma avesse paura: «non ti immischiare, non partecipare, non farti coinvolgere» - si diceva. Stiamo parlando della partecipazione politica, del pensiero solidale. Manifestarli poteva avere ripercussioni sulla vita delle persone e questo generò un grande timore.
In secondo luogo, c'era anche un alto grado di ignoranza. Una delle prime azioni intraprese, una volta reintrodotta la democrazia, è stata l'istituzione di una commissione per la verità: CONADEP, Commissione nazionale sui desaparecidos. Questa ha cominciato a indagare e ha divulgato la conoscenza di quanto era accaduto. Ciò ha prodotto una grande commozione generale: uno dei libri più venduti in Argentina, uno dei più diffusi, è stato quello delle conclusioni della CONADEP; si voleva, infatti, sapere cosa era successo.
Forse era anche un modo per affrancarsi da quel timore iniziale. Molte volte però, lo ribadisco, le persone della mia generazione raccomandano ai figli di non partecipare, di non fare politica nella scuola, di non prendere parte ad azioni di solidarietà. Queste persone hanno registrato il fatto che quando loro erano giovani, simili azioni potevano avere gravi conseguenze ed è proprio questo che per noi è necessario risolvere, in un ambito di giustizia e di lotta all'impunità, affinché a tutti gli abitanti del nostro Paese arrivi


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chiaro il segnale che noi vogliamo costruire e consolidare un «no», un «mai più» definitivo.

FRANCO NARDUCCI. Come parlamentare e membro di questa Commissione, io sento il dovere, oltre che il piacere, di ringraziare la signora Carlotto. Ci siamo visti l'ultima volta nel 2000, credo, a Roma e a Buenos Aires. Ringrazio anche l'onorevole Carlotto per l'impegno costante e instancabile che profonde in questa sacrosanta lotta per i diritti umani e, soprattutto, per la dignità delle persone. Io credo che sia necessario fare chiarezza, al di là delle norme e delle leggi.
L'Argentina ha fatto un enorme passo avanti con la dichiarazione di incostituzionalità dell'indulto - o amnistia che dir si voglia - emanato da Menem e, soprattutto, con la recente approvazione dell'imprescrittibilità dei reati. Tuttavia, al di là delle leggi che devono regolare la vita di noi tutti, anche il processo di ricostruzione storica è importante. Io ho dei parenti in Uruguay e so che anche in tutto il Sudamerica è in atto questo processo di ricostruzione per fare chiarezza su quella pagina drammatica e brutale che ha insanguinato, oltre all'Argentina, anche l'Uruguay e il Cile.
Da questo punto di vista, credo che noi come parlamentari non possiamo che esprimerle tutto il nostro appoggio e l'appoggio dell'Italia, che con questi Paesi ha vincoli non solo di amicizia ma reali, formati dai milioni di italiani che sono emigrati nell'America latina.
Credo che tutti noi dobbiamo interrogarci su quello che è avvenuto in quegli anni bui e sul ruolo che ha avuto la comunità internazionale. Questo è importante. Occorre fare chiarezza in questo processo di ricostruzione storica affinché, in quel continente così martoriato e a noi veramente tanto caro, si gettino le basi per una democrazia vera.
In questo senso io vorrei ringraziare la signora Carlotto e l'onorevole Carlotto e vorrei ringraziare anche il presidente che ci ha offerto l'opportunità di incontrarvi ed esprimervi la nostra solidarietà di parlamentari e di Commissione affari esteri.

MARCO FEDI. Anche io mi unisco al ringraziamento per questa opportunità di affrontare un tema così importante per noi, sia in quanto componenti della Commissione affari esteri - e, in questo contesto, componenti del Comitato che si occupa dei diritti umani - sia, in senso più generale, perché è un'occasione di approfondimento per tutto il Parlamento italiano.
Ringrazio anche agli uffici che hanno predisposto una documentazione molto accurata; ritengo, infatti, che ciò sia importante ai fini del nostro lavoro.
Vorrei svolgere una riflessione di carattere generale e, successivamente, porre una domanda che scaturisce proprio da questa mia riflessione. Io credo che la storia ci abbia insegnato che non può esserci un'autentica riconciliazione nazionale se i fatti storici vengono archiviati e lasciati agli storici o, nei momenti in cui è opportuno farlo, alla politica, che li strumentalizzata per una discussione che spesso ha davvero poco a che fare con la riconciliazione nazionale. Credo, infatti, che sia importante che la riconciliazione avvenga. Tuttavia, come ci dimostra la storia, essa deve avvenire su una base di consapevolezza di ciò che è avvenuto, di una consapevolezza diffusa anche alle nuove generazioni che oggi, immagino, di questa vicenda ne sappiano poco.
Si tratta di un approfondimento accanto al quale deve fare il suo percorso, pieno e senza tentennamenti, anche l'aspetto che riguarda la giustizia, sia a livello internazionale che nazionale; un percorso senza incertezze, senza tentennamenti, senza titubanze.
Se, dunque, questo è ciò che la storia ci ha insegnato, io mi pongo una domanda. In Sudafrica, ad esempio, un Paese martoriato dalla segregazione razziale, in un incontro informale avuto con il vicepresidente, ho notato che la vicenda dell'apartheid e del suo background politico e storico-culturale è oggi nel curriculum scolastico di quel Paese.


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Noi abbiamo presentato una proposta di legge in Italia per far conoscere meglio l'emigrazione italiana nel mondo, anche legandola ai processi migratori che oggi interessano l'Italia. La vicenda dei desaparecidos in Argentina ha molto di italiano e un forte collegamento con la storia dell'emigrazione italiana in quel Paese.
Ciò che vorrei sapere, dunque, è cosa si sta facendo in Argentina per far conoscere meglio alle nuove generazioni, soprattutto, quel è avvenuto in quel periodo storico e arrivare, così, ad una vera riconciliazione nazionale che non comprometta mai la verità e la ricerca della verità.

PRESIDENTE. Credo che l'onorevole Carlotto vorrà rispondere a questo interrogativo, sia dal punto di vista politico sia attraverso una breve illustrazione di quello che accade nelle loro scuole, tenuto conto che la domanda dell'onorevole Fedi riflette anche un'ansia continua del nostro Paese, dove il passato si conosce pochissimo.

REMO CARLOTTO, Presidente della Commissione diritti umani della Camera dei deputati della Repubblica Argentina. Questa è stata ed è una questione di cui si discute continuamente: come si risolve tutto l'insieme delle conseguenze degli atti della dittatura militare? Il parere che raccoglie il maggior consenso è il seguente: solo con il pieno esercizio della giustizia, mediante l'indipendenza e il pieno accesso al legittimo diritto alla difesa riusciremo, o meglio, lo Stato democratico riuscirà a rimediare a quanto lo Stato terrorista commise a suo tempo.
Noi, in questi anni, abbiamo visto che ci sono molti militari che conoscono la sorte dei bambini, degli uomini e donne che stiamo cercando. Se volessimo indicare in che cosa potrebbe consistere un atto di riconciliazione, dovremmo considerare questo: che ci sia almeno un segno di pentimento, un segno della volontà di queste persone di rivelare la verità sulla parte da loro presa nella commissione di questi crimini. Invece succede l'opposto: i militari che testimoniano davanti alla giustizia, nei vari gradi di giudizio del nostro Paese, rivendicano quello che fecero e dicono che tornerebbero a farlo; spiegano quanto fosse lecito commettere quegli atti in quel periodo e pubblicamente hanno dichiarato che non potevano permettere che i bambini dei sovversivi di allora rimanessero nelle mani delle famiglie che avevano allevato dei sovversivi. Questo è molto pesante.
Noi guardiamo, quindi, in tre direzioni: verso la costruzione di una politica pubblica dei diritti umani rivolta a questi reati, fondata sulla verità e sulla possibilità che, come atto di riparazione, ciascun familiare sappia che cosa accadde ai loro cari; il secondo asse è costituito da una giustizia pienamente indipendente e in terzo luogo c'è la memoria. Alla costruzione della memoria si è lavorato a vari livelli e in vari settori. Abbiamo trasformato quello che fu il più grande centro di detenzione clandestina in Argentina, la scuola di meccanica della Marina - è lì che Massera agiva, più di seimila persone sono passate da quel luogo di tortura e di morte - in uno spazio dedicato alla memoria, dove si possono conoscere e percorrere i luoghi nei quali furono collocati gli scomparsi. Si possono visitare anche le aule dove venivano formati i militari che poi partecipavano alle azioni di genocidio; quelle aule sono diventate aule di partecipazione e divulgazione per tutta la comunità.
Questo è solo un esempio di un lungo percorso che si sta compiendo in tutto il Paese affinché le nuove generazioni sappiano che cosa accadde e sappiano che le conseguenze si continuano a vivere nel presente. Ecco perché la lotta per la costruzione della memoria è anche una lotta contro l'indifferenza verso quello che ci successe; nell'ambito educativo, nei programmi scolastici e nella formazione dei giovani, abbiamo inserito la discussione sui diritti umani. Abbiamo varato una nuova legge di istruzione nazionale che si esprime in questi termini. In Argentina si sta ora discutendo una nuova legge sui mezzi audiovisivi che mira a demonopolizzare i mezzi di comunicazione e uno


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degli assi principali è rivolto proprio alla tutela e alla promozione dei diritti umani per impedire che attraverso i media passino messaggi discriminatori, messaggi che cercano di invertire la direzione del processo che la società sta portando avanti. Questo non implica un controllo sui media; semplicemente dà attuazione a dei precetti specifici della nostra Costituzione nel campo della tutela dei diritti umani.
Consideriamo, pertanto, di buon augurio quanto ha detto l'onorevole Narducci sul'annullamento della legislazione sull'impunità; pensiamo, infatti, che ciò permetterà l'apertura di grandi processi nel nostro Paese, che consentiranno a loro volta di svolgere audizioni pubbliche che metteranno la popolazione a conoscenza di ciò succedeva nei luoghi in cui loro vivevano. Forse, così facendo, ciò che essi allora videro in un certo modo, oggi servirà loro per prendere coscienza della verità. Questo passo avrà per il nostro Paese un alto significato riparatorio. Tutto ciò noi non lo collochiamo in un ambito di vendetta o di rivincita ma in un ambito di stretta giustizia. Chi ha commesso un crimine deve pagare per ciò che ha fatto.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Carlotto.
La nostra seduta odierna giunge così al suo momento di chiusura. Dobbiamo dire grazie prima di tutto ai colleghi che hanno voluto intervenire e hanno contribuito ad esporre le nostre domande e la nostra partecipazione al vostro impegno. Grazie a voi, naturalmente, per averci testimoniato ancora una volta la grandezza civile, umana ed esemplare di quello che state facendo: esemplare perché la lotta affinché il passato non sia perduto, la memoria non sia cancellata e il male compiuto resti evidente nella coscienza democratica del mondo è estremamente importante affinché non giunga mai il momento del «come non detto» o del «tutto perdonato». Questa, infatti, non è una questione di perdono, ma una questione della più alta moralità politica e umana, ossia non dimenticare non solo coloro che hanno sofferto ma neanche il debito di giustizia di coloro che hanno inferto queste sofferenze.
Grazie di essere stati con noi e buon lavoro.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 10,05.

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