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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
22.
Giovedì 19 novembre 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Colombo Furio, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI NEL MONDO

Audizione di rappresentanti di organizzazioni non governative sulla situazione dei diritti umani in Indocina:

Colombo Furio, Presidente ... 2 6 7 8
Angioli Matteo, Rappresentante del Partito Radicale Nonviolento ... 6
Barbi Mario (PD) ... 7
Ksor Kok, Presidente della Montagnard Foundation ... 4 7
Mellano Bruno, Rappresentante del Partito Radicale Nonviolento ... 5
Thephsouvanh Vanida, Presidente del Movimento Lao per i diritti umani (MLDH) ... 2 7
Zamparutti Elisabetta (PD) ... 6
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sui diritti umani

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 19 novembre 2009


Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
FURIO COLOMBO

La seduta comincia alle 15.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di organizzazioni non governative sulla situazione dei diritti umani in Indocina.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle violazioni dei diritti umani nel mondo, l'audizione di rappresentanti di organizzazioni non governative sulla situazione dei diritti umani in Indocina.
Sono presenti Vanida Thephsouvanh, presidente del Movimento Lao per i diritti umani, e Kok Ksor, presidente della Montagnard Foundation, che ringrazio per la presenza.
Ricordo che la signora Vanida Thephsouvanh e il signor Kok Ksor hanno già in altra occasione offerto a questo Comitato la loro testimonianza rispetto alla difficile situazione dei diritti umani nei loro Paesi di origine, Laos e Vietnam, rispettivamente, il 25 ottobre 2007 e il 9 ottobre 2002.
Vi segnalo, in proposito, che pochi giorni fa sono giunte dal Laos notizie di numerosi arresti di persone che manifestavano pacificamente per il rispetto dei diritti umani.
Do il benvenuto agli ospiti, accompagnati da Bruno Mellano, che ringrazio per la sua presenza, e do loro la parola.

VANIDA THEPHSOUVANH, Presidente del Movimento Lao per i diritti umani (MLDH). Signor presidente, signore e signori, il 29 settembre 2009 l'ONU si è rallegrata con la Repubblica democratica popolare del Laos perché quel giorno ratificava la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, che garantisce ai laotiani la libertà di pensiero, di associazione, di parola e di stampa, così come il diritto di manifestare e i diritti politici.
Un mese più tardi, il 2 novembre 2009, mentre in Europa ci si accingeva a celebrare il ventennale della caduta del Muro di Berlino, nella Repubblica democratica popolare del Laos più di 300 persone venivano arrestate per un tentativo di manifestazione pacifica volto a chiedere giustizia sociale e riforme democratiche. Una repressione silenziosa e ignorata, lontana dai media.
I laotiani non hanno figure carismatiche come il Dalai Lama per il Tibet o come Aung San Suu Kyi per la Birmania. Quindi, signor presidente, signore e signori, essere ascoltati da voi oggi è come se voi oggi tendeste una mano a coloro che sono troppo spesso dimenticati. A nome dei compatrioti che si trovano nel Laos vi ringrazio infinitamente di questo momento d'attenzione al volto nascosto del Laos.
Il Laos è un Paese in cui l'ospitalità e il sorriso dei laotiani possono far dimenticare che da più di trentatré anni il Laos


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non ha mai smesso di trasgredire le convenzioni internazionali dei diritti dell'uomo, che pure ha firmato, diventando così uno degli Stati più repressivi dell'Asia: assenza di libertà di espressione, di stampa, di associazione e di riunione, persecuzione delle popolazioni etniche, in particolare dell'etnia hmong, campagna di repressione contro le religioni minoritarie, in particolare i cristiani, spostamento delle popolazioni, arresti arbitrari, trattamenti inumani nelle carceri, sistema giudiziario agli ordini del regime che rende impossibili processi giusti ed equi.
Oggi tratterò prima la situazione dei diritti dell'uomo nel Laos e poi farò una panoramica della situazione generale del Paese.
Il Laos è tuttora diretto da un partito unico, il Partito popolare rivoluzionario del Laos. Ogni altro partito è vietato e questo principio è a chiare lettere sancito dalla Costituzione. Una legge sui media votata un anno fa ha confermato i diritti e i doveri dei media nazionali come strumenti del partito unico.
La Costituzione garantisce la libertà di parola, di manifestazione e di riunione, ma in verità ben poco spazio è lasciato a una vera democrazia, a un'opposizione politica, a una vera società civile.
L'ottavo congresso del Partito popolare rivoluzionario del Laos, svoltosi nel 2006, seguito dalle elezioni legislative, non ha certo portato una ventata liberale. Esso ha solamente ribadito il regime a partito unico: dei 115 deputati, 113 sono membri del partito unico e gli altri due sono stati approvati dal partito.
Queste elezioni, svoltesi nella totale indifferenza delle nazioni cosiddette «democratiche», hanno profondamente turbato i laotiani all'interno del Paese. I miei compatrioti non capiscono, infatti, perché, ad esempio, il mondo si mobiliti per premere sulla Birmania affinché indica libere elezioni e, invece, faccia passare sotto silenzio le elezioni in Laos.
Sono tre i temi al centro delle nostre preoccupazioni. Il primo è la sorte di tutti coloro che sono sistematicamente arrestati perché cercano di reclamare pacificamente delle riforme democratiche. I leader del movimento del 26 ottobre 1999 sono in carcere da dieci anni - uno di loro è morto in prigione - e nessuno ha mai potuto visitarli. Due settimane fa, varie altre centinaia di persone sono state arrestate per gli stessi motivi e si trovano incarcerate in condizioni estremamente dure.
Il secondo tema riguarda la repressione contro una parte della minoranza hmong, stimata in più di 20 mila unità, secondo un rapporto dell'ONU. Di questo gruppo, però, rimarrebbero ormai solo poche migliaia di persone nascoste nella giungla. In maggioranza anziani, donne e bambini che sopravvivono cibandosi di radici e di foglie, non possono coltivare la terra né costruirsi abitazioni permanenti per paura di essere individuati e uccisi dall'esercito. Ancora in questo mese sono stati uccisi donne e bambini.
Quanto alla repressione delle minoranze religiose - il terzo tema - essa non è affatto cessata nel Laos, specie nei confronti dei cristiani, a danno dei quali si consumano molestie, minacce, violenze. Nei villaggi i cristiani spesso devono scegliere tra la prigione, la rinuncia alla loro fede, l'espulsione dal villaggio, il ritiro della loro carta di identità o la confisca delle loro terre.
Accanto a tutto questo, a che punto è la situazione economica e sociale del Laos, dopo il cambiamento di regime avvenuto nel 1975? Popolato da meno di 6 milioni di abitanti su una superficie appena inferiore a quella dell'Italia, con importanti risorse naturali a disposizione, il Laos è uno dei Paesi più aiutati dalla comunità internazionale. Qual è il bilancio che si può trarre da questi anni di cooperazione e assistenza da parte dei donatori, in particolare dell'Unione europea, che hanno versato miliardi di euro di aiuti al Laos? La risposta si riassume in poche cifre: più di 33 anni dopo il cambiamento di regime, il PIL raggiunge appena 355 euro pro capite l'anno; più del 75 per cento della popolazione vive sotto la soglia di povertà, con meno di 2 dollari al giorno, e la speranza di vita non supera i 55 anni;


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quattro laotiani su dieci non sanno né leggere né scrivere, secondo le ultime statistiche della Banca mondiale, che descrive il Laos come il Paese più povero e meno sviluppato dell'Asia meridionale. La disuguaglianza sociale ed economica, sempre secondo la Banca mondiale, non fa che peggiorare.
Quanto all'indice di percezione della corruzione per il 2008, l'associazione Transparency International ha classificato il Laos 151o su 180 Paesi. Nella classifica mondiale del 2009 per la libertà di stampa, redatta da Reporters sans frontières, il Laos è 169o su 175 Paesi, ed è 133o nella classifica dello sviluppo umano del 2009 compilata dall'UNDP.
Il Laos rimane un'isola di povertà in mezzo a un'Asia in pieno rigoglio. Se è stato dimostrato che l'economia e il sistema politico di un Paese sono interconnessi - e il Laos non fa eccezione - la situazione economica e sociale del Laos dipende totalmente dal regime a partito unico al potere da più di 33 anni.
Noi crediamo che, finché delle vere riforme democratiche non diventeranno una realtà concreta e non saranno applicate dai dirigenti del Paese, la dipendenza dagli aiuti stranieri, la corruzione e lo spreco degli aiuti della comunità internazionale rimarranno una costante permanente nel Laos.
Vorrei concludere con qualche domanda. La comunità internazionale, e in particolare l'Unione europea di cui l'Italia fa parte, non dovrebbero ripensare, riesaminare la loro politica di assistenza, rafforzando il controllo sull'uso degli aiuti e definendo condizioni più vincolanti per quanto riguarda la libertà, il rispetto dei diritti dell'uomo e le riforme democratiche?
La comunità internazionale, e in particolare l'Unione europea, dispongono dei mezzi per far questo, ma ne hanno la volontà o preferiscono continuare ad apparire agli occhi dei laotiani, all'interno del Paese, come complici di un regime corrotto e predatore che li priva della libertà?
Vi ringrazio per avermi ascoltato.

KOK KSOR, Presidente della Montagnard Foundation. Signor presidente, signore e signori, in primo luogo esprimo il mio sincero apprezzamento per gli onorevoli Matteo Mecacci e Furio Colombo, che ci hanno invitato a parlare oggi a nome dell'etnia indigena dei degar, nota anche come montagnard.
Il nostro popolo vive assai lontano da Roma, nei remoti altipiani vietnamiti, ma il suo futuro è molto influenzato dai rapporti tra l'Europa e il resto del mondo. Sono qui, oggi, per raccontarvi la situazione del popolo degar e per capire se potete migliorare la sua vita in Vietnam, dopo decenni di pulizia etnica, che significa persecuzione etnica, politica e religiosa, corruzione, politiche di sfollamento forzato attuate senza pietà e l'uccisione della nostra gente da parte delle autorità vietnamite.
La persecuzione delle comunità cristiane clandestine continua ancora oggi. Mentre vi parlo, centinaia di appartenenti al nostro popolo languono nelle prigioni vietnamite. Human Rights Watch, Amnesty International e la Commissione internazionale degli Stati Uniti per la libertà religiosa hanno riconosciuto che ci sono centinaia di prigionieri degar ingiustamente incarcerati per attività non violente.
Human Rights Watch, nel gennaio 2008, ha affermato - cito testualmente - che «un numero preoccupante di prigionieri montagnard - anche trentenni - è morto subito dopo il rilascio, a causa di malattie derivate dalla durezza delle condizioni e del trattamento ricevuto in prigione».
La nostra gente in Vietnam riferisce che molti degar incarcerati sono stati così maltrattati che quando erano moribondi le autorità li hanno rilasciati affinché non apparisse che erano deceduti in prigione.
Siamo estremamente inquieti per una delle nostre donne cristiane, chiamata Puih Hbat e madre di quattro bambini, arrestata nell'aprile 2008 per aver celebrato funzioni religiose nel proprio villaggio. Ad oggi, non sappiamo se è viva o


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morta, sappiamo però che la Commissione europea ne ha confermato l'arresto per attività religiose illegali.
Il Vietnam, in sostanza, ha confiscato illegalmente le nostre terre ancestrali, condannando la nostra gente a una vita di povertà e di stenti. Il Vietnam ci ha tolto la nostra linfa vitale, giacché noi siamo un popolo indigeno che vive anzitutto di agricoltura.
Oggi, le piantagioni di caffè gestite dallo Stato e la completa distruzione delle nostre foreste ha trasformato il nostro modo di vivere in una vita di disperazione, quindi ci troviamo in una situazione di estremo sconforto e repressione.
Rileviamo che l'Accordo di cooperazione stipulato tra Unione europea e Vietnam nel 1996 contiene, all'articolo 1, la cosiddetta clausola democratica, che recita: «Il rispetto per i diritti umani e per i princìpi democratici è la base della cooperazione tra le parti e delle disposizioni del presente Accordo, e costituisce una componente essenziale del medesimo».
Tuttavia, noi riteniamo che il Vietnam abbia fatto ben pochi progressi verso i diritti umani e il Paese rimane oggi uno Stato a partito unico, con ben poca tolleranza anche per la critica pacifica. Oggi la nostra gente è costretta a chiamarci dal Vietnam di nascosto, per paura di essere arrestata, torturata o uccisa. Decenni di vita sotto il Governo comunista ci dimostrano che il Vietnam è razzista verso la nostra gente e che mira non a riconciliare i due popoli, ma ad annientarci e a perseguitarci.
Il Vietnam reagisce con violenza brutale alle nostre rivendicazioni: rifiuta di parlarci come a dei cittadini e dipinge falsamente chi di noi reclama i diritti umani e la libertà religiosa come separatisti e terroristi. Queste azioni fanno capire che il Vietnam ci sta infliggendo una pulizia etnica o una sorta di genocidio strisciante, e noi, popolo degar, non possiamo impedirgli questo, né fare in modo che non distrugga la nostra razza e la nostra cultura. Tanto meno possiamo indurre il Vietnam a parlarci pacificamente per risolvere la questione con la diplomazia e l'umana decenza.
Pertanto, gridiamo aiuto e vi chiediamo rispettosamente di aiutarci ad intavolare un dialogo affinché il nostro popolo possa coesistere pacificamente in Vietnam con il popolo vietnamita. Il nostro popolo indigeno ha disperatamente bisogno del vostro aiuto per risolvere questa situazione.
A nome della mia gente, il popolo degar, prego con tutto il cuore affinché Dio onnipotente induca alla compassione tutti i leader mondiali, perché provino pietà per noi.
Grazie per aver ascoltato le mie parole. Spero che farete qualcosa per aiutare il mio popolo.

BRUNO MELLANO, Rappresentante del Partito Radicale Nonviolento. Signor presidente, la ringrazio per l'onore che ci concede anche in questa occasione. Voglio solo portare alla Camera dei deputati un supplemento di testimonianza, se non bastasse l'emozione e la verità delle parole di Vanida Thephsouvanh e di Kok Ksor.
Come qualcuno sicuramente ricorderà - lei forse ne avrà memoria - ho partecipato, con altri militanti del Partito radicale transnazionale, il 26 ottobre 2001, a un'iniziativa nella capitale del Laos, a Vientiane, per chiedere libertà per i cinque leader studenteschi che due anni prima avevano fatto una manifestazione non violenta e pacifica ed erano spariti - desaparecidos si sarebbe detto in altre zone del mondo - nelle carceri laotiane.
Noi abbiamo avuto un destino migliore, nel senso che abbiamo subìto quindici giorni di carcere duro, ma non durissimo, che ci ha portato a un processo-farsa e a un'espulsione immediata. In quell'occasione, si è ritornato a parlare di Laos nei consessi internazionali. In Italia, perché tre erano i militanti italiani arrestati; in Belgio, perché uno era belga; in Russia, perché uno era russo; ma soprattutto al Parlamento europeo perché, grazie al leader di quell'iniziativa, Olivier Dupuis, deputato europeo in carica, il Parlamento ha cominciato a vedere sotto una luce di


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grande contraddizione il comportamento di un regime - il più finanziato dall'Unione europea - che si permetteva di arrestare e detenere un deputato europeo e di non accogliere le richieste di un altro deputato europeo, avvocato internazionale, François Zimeray, che era venuto a trovarci nel carcere di Phontong a Vientiane ed era stato sostanzialmente cacciato.
Questo è il supplemento di testimonianza diretta che posso portarvi. Il Laos riceve, per ciascun detenuto politico internazionale, 10 dollari al giorno per il mantenimento, e sono certo che in quei giorni la manciata di riso e la ciotola di acqua calda che ci davano non corrispondeva allo standard internazionale per cui il Laos riceve anche ulteriori finanziamenti.
C'è una contraddizione di fondo. Grazie a queste testimonianze e alla lotta non violenta, gandhiana, che i laotiani e i montagnard stanno conducendo per cercare di aprire uno spazio di luce e di verità - in questi giorni avete avuto ospite il Dalai Lama - ci auguriamo che il Satyagraha, la forza della verità, possa incidere anche nelle istituzioni che troppo sovente fanno il calcolo della Realpolitik rispetto a questi scenari.
Come ricordava il presidente all'inizio, questa non è la prima audizione né per Vanida Thephsouvanh, né per Kok Ksor. Siamo certi che queste audizioni hanno un peso politico internazionale, perché c'è molta attenzione, in quei regimi, rispetto a quello che si muove nelle istituzioni democratiche occidentali. Siamo anche convinti che occorrerà inventare un approccio nuovo nelle relazioni internazionali, proprio per evitare, come ci ricordava Vanida Thephsouvanh con grande dolore e con grande amarezza, di diventare complici di quei regimi e di quei gerarchi.

MATTEO ANGIOLI, Rappresentante del Partito Radicale Nonviolento. Vorrei portare un ulteriore supplemento alle notizie riferite da Bruno Mellano. In occasione dell'ultimo viaggio in Cambogia, Marco Pannella e Marco Perduca decisero di andare in Vietnam, ma fu impedito loro di imbarcarsi pochi minuti prima della partenza per Hanoi.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ELISABETTA ZAMPARUTTI. Ringrazio molto per questa audizione organizzata dal Comitato e anche per i racconti che abbiamo ascoltato da Vanida Thephsouvanh e Kok Ksor.
In particolare, dall'intervento di Vanida è emerso come la presenza o meno di democrazia in un Paese non possa essere valutata semplicemente in base al fatto che si svolgano o meno delle elezioni. Occorre assolutamente tenere presente una serie di altri indicatori, dalla libertà di stampa alla presenza o meno di trasparenza nella gestione delle risorse che la comunità internazionale continua a inviare a questi regimi.
Vorrei sapere, in primo luogo, se è possibile, per giornalisti della stampa internazionale, entrare nei vostri Paesi e raccontare e documentare quello che voi ci avete riferito.
Inoltre, vi chiedo se nella vostra lotta avete collegamenti con altri popoli oppressi, quindi se esiste un legame e un'unione di intenti tra popoli che vivono condizioni simili alle vostre.
Vorrei sapere, altresì, se nell'ambito della comunità internazionale ci sono Governi che più di altri sostengono la vostra lotta.
Credo che sarebbe utile che questa Commissione adottasse un atto formale, per porre delle condizioni alla concessione di aiuti a questi Paesi. Io non conosco l'entità della cooperazione italiana nei confronti del Laos e del Vietnam - è un dato che dovremo acquisire - ma è importante ribadire - intanto per quanto riguarda il nostro Paese - che le risorse vengono assegnate nella misura in cui ci sia garanzia di sviluppo, innanzitutto, di uno stato di diritto e di trasparenza. Inoltre, per quello che ci sarà consentito, bisognerà che l'Italia ponga tale questione


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con maggior fermezza anche in sede europea.

MARIO BARBI. Signor presidente, ho una sola domanda da rivolgere al signor Kok Ksor. Credo che la risposta possa essere utile ai lavori di questo Comitato e della Commissione esteri.
Il signor Kok Ksor ha fatto riferimento all'accordo con l'Unione europea e alla disposizione che prevede, all'interno di questo accordo, il rispetto dei diritti umani e condizioni democratiche.
Volevo chiederle se questa disposizione ha presentato qualche utilità per le vostre organizzazioni, nella difesa dei vostri diritti, o se, invece, è rimasta una norma astratta, un principio senza utilità pratica e senza applicazione effettiva.
Lo chiedo perché noi ci poniamo spesso, nel corso delle nostre discussioni, la questione di principio e la questione dello strumento utile a rendere efficace ed effettivo, nelle relazioni internazionali e poi nei sistemi interni, il rispetto dei diritti umani nelle varie situazioni.

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

KOK KSOR, Presidente della Montagnard Foundation. Per quanto riguarda i diritti umani in Vietnam, avete sentito da Matteo Angioli come i vietnamiti non abbiano permesso l'entrata nel Paese ai parlamentari italiani che per la prima volta in assoluto volevano recarsi in Vietnam per conoscere la situazione in loco.
Accade la stessa cosa in altri campi: i vietnamiti firmano tanti documenti - ad esempio la Convenzione ONU sui diritti civili e politici, oppure la Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni - ma poi non li osservano, non fanno che darsi una copertura per poi affermare che a violare la legge non sono loro, semplicemente hanno incarcerato chi ha violato la loro legge. Questa, però, è una copertura di ciò che fanno. Accusano la gente di minacciare la loro sicurezza nazionale, ma è una maniera per cautelarsi rispetto alla comunità internazionale, soprattutto rispetto all'ONU. Dicono, infatti, che noi minacciamo l'unità del Paese e cerchiamo di rovesciare il Governo.
La signora che ho citato prima è stata arrestata perché aveva invitato la gente ad andare a pregare a casa sua, nulla di più, ma le autorità l'hanno accusata di minacciare la sicurezza nazionale. Che cosa c'entra la preghiera con la sicurezza del Vietnam? Niente, naturalmente.
I giornalisti possono andare in Vietnam, ma sono ovunque scortati da agenti dei servizi segreti e chi di noi parla con loro viene arrestato al suo ritorno a casa e torturato sul posto. Se i giornalisti, o chiunque altro, cercano di parlare con la nostra gente, si trovano davanti persone che sono state addestrate a rispondere ai giornalisti, nel senso che qualcuno ha detto loro cosa dovevano dichiarare. Le autorità fanno parlare persone di loro fiducia, ecco perché non si riesce a far uscire la verità all'esterno.
I vietnamiti sono potenti, conoscono tutti i nostri tentativi per far filtrare l'informazione e li impediscono. Molta gente va in prigione semplicemente perché cerca di parlare con noi al telefono o di farci arrivare per altre vie l'informazione che poi noi potremmo diffondere per far conoscere la situazione reale al mondo.
È davvero molto difficile la situazione per la nostra gente. L'unico modo per premere sul Vietnam è attraverso la diplomazia degli altri Paesi. Tuttavia, anche i diplomatici possono visitare solo dei luoghi predeterminati e gli agenti di sicurezza li fanno parlare con persone vestite con i nostri costumi, che raccontano solo quello che sono stati addestrate a raccontare. La situazione in Vietnam è durissima, soprattutto per la nostra gente.

VANIDA THEPHSOUVANH, Presidente del Movimento Lao per i diritti umani (MLDH). Grazie per le vostre domande.
In primo luogo, quando i media stranieri vogliono realizzare un servizio in Laos devono avere un visto speciale per giornalisti e, una volta nel Paese, devono assumere una guida del Ministero degli esteri che li segue ovunque ed è pagata a


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giornata. Potete capire di quanta libertà dispongono.
Due giornalisti - un francese e un belga - che sono entrati in Laos, anni fa, per realizzare dei servizi e sono entrati con un visto normale, quindi illegalmente, sono stati arrestati ed espulsi. Delle loro due guide, una è già morta in prigione, l'altra non si sa bene dove sia. Questa è la sorte dei giornalisti.
Quanto alle nostre attività, o ai nostri tentativi di attività, con la stampa fuori dal Laos, cerchiamo di lavorare con persone come noi, che si battono per le stesse cause: birmani, tibetani e vietnamiti. Io, ad esempio, vivo in Francia, ma interessare la stampa francese è difficile, perché il Laos non fa vendere. Qualche esempio: quando ci sono stati dei casi di arresti o di uccisioni di hmong nella giungla noi abbiamo manifestato; nella piazza del Trocadéro, davanti alla Tour Eiffel, c'erano quasi quattrocento persone l'ultima volta, ma c'era solo un organo di stampa locale.
Negli Stati Uniti trasmette una radio che forse conoscete, Radio Free Asia, che ci è molto utile perché trasmette anche nel Laos e in laotiano, a volte ci intervista, quindi la gente all'interno del Paese sa quello che facciamo e quello che succede nel mondo attraverso questa radio. Di tanto in tanto, inoltre, arriva la stampa thailandese - la Thailandia confina con il Laos - e i laotiani ricevono la televisione thailandese (tra thai e lao è possibile capirsi).
Non credo che ci siano Governi più sensibili ai nostri problemi rispetto ad altri. Forse i Governi dei Paesi donatori vogliono solo avere dei rapporti con un Paese che, ai loro occhi, ha una sua stabilità politica. Siccome nel Laos non succede niente - ai loro occhi, naturalmente - per loro questa è una stabilità politica che favorisce gli scambi.
Questo non vuol dire che siano tutti insensibili alla nostra causa: se non un Governo nel suo complesso, ci sono sempre individui al suo interno, o in un Parlamento nazionale, o nel Parlamento europeo, che non solo ci ascoltano, ma lo fanno con attenzione e cercano di smuovere la situazione.
Aggiungo, inoltre, a proposito della disposizione del Parlamento europeo sui diritti umani, che nell'ambito dei rapporti bilaterali con il Laos o con il Vietnam - come con altri Paesi - esiste una clausola in base alla quale questi Paesi e l'Unione europea devono rispettare i diritti dell'uomo. Questa è la clausola numero uno nel caso del Vietnam o del Laos. Insomma, non sono soltanto il Vietnam o il Laos a violare questa clausola, ma anche l'Unione Europea.

PRESIDENTE. Vi ringrazio per le vostre testimonianze. Nei limiti delle possibilità di questo Comitato e della Commissione esteri, di cui il Comitato è parte, esse non cadranno nel vuoto e non resteranno isolate, ma faremo in modo che abbiano la massima pubblicità possibile.
Vi siamo grati di averci aiutato ad essere utili al lavoro del Comitato permanente sui diritti umani, che era l'obiettivo di questo nostro incontro. Vi chiederò di fornirmi maggiore documentazione su questo argomento e faremo in modo che lo stesso possa essere conosciuto prima di tutto dagli altri colleghi che compongono questa Commissione, poi dal Parlamento, quindi dai media italiani.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,40.

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