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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
23.
Martedì 9 febbraio 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Colombo Furio, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI NEL MONDO

Audizione di rappresentanti di Amnesty International:

Colombo Furio, Presidente ... 3 8 9
Barbi Mario (PD) ... 8
Carboni Daniela, Direttrice dell'ufficio campagne e ricerca della sezione italiana di Amnesty International ... 3 9
D'Alconzo Giuseppina, Coordinatrice dell'attività di ricerca della sezione italiana di Amnesty International ... 4
Gaito Michela, Responsabile per le attività istituzionali della sezione italiana di Amnesty International ... 6
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sui diritti umani

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 9 febbraio 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FURIO COLOMBO

La seduta comincia alle 12.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di Amnesty International.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle violazioni dei diritti umani nel mondo, l'audizione di rappresentanti della sezione italiana di Amnesty International.
Nella giornata odierna, a Ginevra, l'Italia sarà sottoposta all'esame periodico universale da parte del gruppo di lavoro del Consiglio ONU dei diritti umani. In vista di questo appuntamento, Amnesty International ha sottoposto all'attenzione del Consiglio ONU dei diritti umani un documento contenente informazioni sulla situazione dei diritti umani in Italia e una serie di raccomandazioni indirizzate al Governo italiano. Saluto quindi e ringrazio per la loro disponibilità Daniela Carboni, Giuseppina D'Alconzo e Michela Gaito. Ricordo ai colleghi che la settimana prossima è prevista l'audizione del Ministro Simonetti, presidente del Comitato interministeriale per i diritti umani.
Do quindi la parola ai nostri auditi.

DANIELA CARBONI, Direttrice dell'ufficio campagne e ricerca della sezione italiana di Amnesty International. Grazie per averci offerto questa ulteriore occasione di comunicazione e confronto con il Comitato permanente sui diritti umani e quindi con la Commissione affari esteri della Camera. In questo caso, affrontiamo un tema nuovo rispetto ad altri che abbiamo portato alla vostra attenzione, o meglio è nuovo il meccanismo, perché il Consiglio sui diritti umani è stato istituito dalle Nazioni Unite nel 2006 e questa mattina è iniziata la prima sessione di esame per l'Italia. Purtroppo, invece, non sono una novità le molte osservazioni sollevate da Amnesty International e sottoposte all'attenzione del Consiglio ONU sui diritti umani e del Governo italiano: dal reato di tortura al pacchetto sicurezza, dai diritti dei migranti richiedenti asilo e dei rifugiati agli sgomberi forzati delle persone rom, dalla legislazione antiterrorismo alle aziende estrattive italiane, in particolare all'ENI.
Prima di entrare nel merito delle nostre preoccupazioni e raccomandazioni relative alla tutela dei diritti umani in Italia e da parte dell'Italia, ci preme sottolineare


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due aspetti importanti. Il primo è che Amnesty International ritiene che la revisione periodica universale, in termini generali, sia un momento importante nel lavoro di promozione e protezione dei diritti umani in tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite. È quindi importante che il Governo così come il Parlamento italiano ne seguano i lavori, anche con un dibattito il più possibile pubblico sulla situazione dei Paesi di volta in volta sotto esame, quindi ovviamente non soltanto dell'Italia, prevedendo interventi e domande in occasione delle sessioni di lavoro a Ginevra.
Il secondo aspetto che vogliamo sottolineare è quello delle voci inascoltate dalle istituzioni italiane, riferendoci in questa sede non soltanto alle voci delle organizzazioni non governative o delle decine di migliaia di persone che hanno sottoscritto appelli per il rispetto dei diritti umani in Italia, ma soprattutto alle raccomandazioni degli organismi delle Nazioni Unite. Queste hanno più volte ricordato ufficialmente ai Governi italiani, che si sono succeduti negli anni, gli impegni internazionali non rispettati, i passi urgenti da compiere per adeguare le politiche e le prassi a standard internazionali, fondamentali per offrire tutele e giustizia a bambine, bambini, donne e uomini che sono a rischio o vittime di violazioni di diritti umani.
Un esempio tra i tanti di queste voci e raccomandazioni inascoltate riguarda l'introduzione del reato di tortura, tema ben conosciuto da diversi parlamentari anche del Comitato sui diritti umani, visto che negli anni passati sono stati presentati numerosi progetti di legge sottoscritti da oltre cento parlamentari di ogni gruppo politico. Come è noto, nessuno di questi progetti di legge è stato mai approvato in via definitiva. Questa mancata introduzione è stata più volte stigmatizzata da diversi organismi delle Nazioni Unite, come il Comitato sui diritti umani, quello contro la tortura, quello sui diritti dell'infanzia, ma ancora parliamo di un reato che non c'è.
Crediamo che questa audizione possa e forse debba essere uno stimolo importante al dibattito politico e istituzionale, anche auspicabilmente pubblico, sugli impegni e gli obblighi dell'Italia in materia di diritti umani, perché questi siano trattati in Italia non come temi meramente giuridici - senza voler togliere ovviamente valore a ciò che è giuridico - o teorici, ma come la conseguenza di una scelta politica ben precisa, di cui anche voi in quanto parlamentari avete la responsabilità.
Si tratta di scegliere tra un Paese in cui i diritti di ogni persona abbiano un valore etico e legale e siano rispettati e un Paese in cui invece gli abusi e l'ingiustizia siano compiuti o tollerati, quindi un Paese insicuro e discriminatorio nei confronti dei più deboli e sempre più indifferente rispetto ai diritti umani.

GIUSEPPINA D'ALCONZO, Coordinatrice dell'attività di ricerca della sezione italiana di Amnesty International. La panoramica di Amnesty International sulla situazione dei diritti umani in Italia parte proprio dal reato che non c'è, il reato di tortura. Non possiamo che ricordare come questa lacuna produca effetti profondi sulla realtà dei diritti umani del Paese, caratterizzata anche dalla mancanza di un'istituzione indipendente di monitoraggio sui diritti umani e di un meccanismo di controllo sull'operato delle forze di pubblica sicurezza.
Il pubblico ufficiale accusato di compiere atti che rientrano nella definizione internazionale di tortura e trattamenti inumani e degradanti può essere infatti perseguito e condannato soltanto per reati minori, con conseguenze tutt'altro che trascurabili sul piano processuale, sebbene siano trascorsi oltre venti anni da quando l'Italia si è impegnata ad introdurre nell'ordinamento il reato di tortura, ratificando la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura.
Questo disimpegno sul piano interno si accompagna, sul piano internazionale, al rinvio di persone verso Paesi in cui rischiano torture e altri maltrattamenti, in violazione dell'articolo 3 della Convenzione contro la tortura già citata. In particolare, pur essendo l'Italia tra gli Stati


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che riconoscono pienamente la giurisdizione della Corte europea dei diritti umani, tra il 2008 e il 2009 le autorità italiane hanno rinviato in Tunisia almeno tre persone per le quali la stessa Corte aveva affermato il rischio di tortura e richiesto alle autorità competenti di sospenderne l'espulsione.
Questo approccio dell'Italia alla giurisdizione della Corte riguarda essenzialmente persone che presentano un presunto o accertato coinvolgimento in attività terroristiche, e persiste nonostante l'importante sentenza con cui la stessa Corte nel febbraio 2008 ha chiesto all'Italia di non rimpatriare il cittadino, anche in quel caso tunisino, Nassim Saadi, in considerazione del rischio di tortura corso in Tunisia. In quell'importantissima decisione, la Corte ha affermato che il divieto assoluto di tortura deve sempre essere considerato prevalente rispetto alle considerazioni di pubblica sicurezza, anche in presenza di «rassicurazioni diplomatiche», in quel caso fornite dalla Tunisia.
L'Italia inoltre non ha sinora modificato la «legge Pisanu» n. 155 del 2005, che prevede espulsioni senza alcuna garanzia di effettivo ricorso da parte delle persone rimpatriate perché coinvolte in attività di terrorismo.
Le preoccupazioni di Amnesty International si concentrano poi sugli aspetti legati alla legislazione sull'immigrazione e alla prassi posta in essere dall'Italia nei confronti dei richiedenti asilo. Sul piano legislativo, appare molto preoccupante l'introduzione del reato di immigrazione irregolare con la legge n. 94 del 2009, norma che va assieme ad altre a comporre il comunemente definito «pacchetto sicurezza». Consideriamo preoccupante questa norma, in quanto l'attribuire rilevanza penale all'ingresso e alla permanenza irregolare di migranti nel territorio rappresenta una misura eccessivamente severa di controllo dell'immigrazione e può produrre un impatto assai deleterio sui diritti umani tra cui il diritto alla salute, all'istruzione e alla registrazione delle nascite.
Temiamo che il reato di immigrazione irregolare, in considerazione dell'obbligo di denuncia dei reati previsto dagli articoli 361 e 362 del codice penale per i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio, possa scoraggiare i migranti irregolari dall'aver accesso ai servizi e agli uffici pubblici, e incidere sulla possibilità che essi si rivolgano alle autorità di polizia per presentare una denuncia in quanto vittime di reati, a causa del timore di essere a loro volta denunciati, anziché protetti.
Per quanto riguarda l'aspetto della prassi rispetto ai richiedenti asilo, al centro delle nostre preoccupazioni ci sono le politiche attuate a partire dal 2009 dall'Italia nel Mediterraneo, che hanno messo a forte rischio i diritti umani di migranti, rifugiati e richiedenti asilo. In particolare, la vita di migranti e richiedenti asilo è stata posta a rischio dalle dispute tra il Governo italiano e il Governo maltese circa i rispettivi obblighi di rispondere a richieste di soccorso di migranti in mare, e successivamente dalla decisione, senza precedenti, del Governo italiano di trasferire in Libia migranti richiedenti asilo intercettati nel Mediterraneo a partire dal maggio 2009.
Per citare un esempio di questa prassi, ricordiamo il caso delle 227 persone riportate dalle autorità in Libia tra il 6 e il 7 maggio 2009 dopo essere state soccorse in mare, persone che non hanno avuto possibilità di manifestare la volontà di chiedere asilo o protezione internazionale. In seguito vi sono stati molti altri casi. Decine di persone, tra cui donne e minori, sono state infatti intercettate in alto mare e ricondotte in Libia in violazione del principio di non-refoulement, perché non hanno avuto accesso a un'equa ed efficace procedura di asilo.
Le stime ufficiali delle autorità italiane riportano un numero di 834 persone intercettate in mare e ricondotte in Libia tra maggio e settembre 2009 in operazioni definite di «riaccompagnamento». Anche se queste azioni sono state poste in essere al di fuori del territorio italiano, essendoci stato un intervento di organi statali quali ad esempio la Guardia costiera, sussiste


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una responsabilità statale dell'Italia, che non può disimpegnarsi rispetto agli obblighi internazionali affermando che la Libia deve occuparsi delle domande di asilo: l'obbligo è dell'Italia nel momento in cui operano pubblici funzionari italiani. La Libia del resto non ha una procedura d'asilo e non ha firmato la convenzione di Ginevra che protegge i rifugiati.
Questa panoramica, per quanto purtroppo fitta, non è esaustiva delle preoccupazioni di Amnesty International sull'Italia, rispetto alle quali rinvio al documento sottoposto al Consiglio dei diritti umani e alle autorità italiane in vista dell'esame periodico universale dell'Italia, che ha luogo proprio in queste ore.
Un argomento per noi centrale, rispetto alla situazione italiana, riguarda gli sgomberi forzati delle comunità rom e sinti. Questi sgomberi vengono realizzati da almeno dieci anni, ma ci sembra che la loro frequenza e il loro impatto sui diritti umani a partire dal 2007 siano maggiori e che questi siano spesso in contrasto con le norme e gli standard internazionali applicabili. Gli sgomberi vengono infatti spesso realizzati senza che gli interessati abbiano un preavviso in tempi congrui, come richiesto invece dagli standard internazionali, senza che le comunità vengano consultate, senza che le persone colpite siano dotate di un alloggio alternativo e senza che possano, come richiesto dal diritto internazionale, contestare la legittimità dello sgombero davanti a un tribunale.
Molte persone sono state colpite da sgomberi ripetuti, hanno dovuto cercare una sistemazione alternativa, che poi è avvenuta spesso in aree non autorizzate, con un impatto sull'accesso all'istruzione per i bambini o sul posto di lavoro per gli adulti.
Le norme sui diritti umani richiedono che gli sgomberi siano considerati una misura estrema, praticata solo in mancanza di alternative e sempre garantendo i diritti umani essenziali, quali il diritto al cibo, all'acqua, alla salute e all'istruzione e alla sicurezza.
Amnesty International chiede quindi al Governo italiano di introdurre il reato di tortura nell'ordinamento; di modificare il pacchetto sicurezza, evitando norme discriminatorie; di sospendere la prassi del rinvio in Libia di migranti e richiedenti asilo; di realizzare gli sgomberi forzati solo in casi eccezionali e nel rispetto degli standard citati. Inoltre, in un'ottica di centralità dei diritti umani nella lotta al terrorismo, Amnesty chiede all'Italia di rispettare le sentenze della Corte europea dei diritti umani.

MICHELA GAITO, Responsabile per le attività istituzionali della sezione italiana di Amnesty International. Concludo questa panoramica con un punto, che ci preme presentare in questa sede e che fa parte dei temi inclusi nel documento presentato in vista dell'esame periodico universale dell'Italia in corso al Consiglio ONU dei diritti umani. Questo riguarda le attività di un'azienda italiana, che opera in ambito petrolifero all'estero. Si tratta di una consociata dell'azienda petrolifera italiana ENI, la NAOC, che opera da molti anni nella zona del Delta del Niger, in Nigeria.
A giugno dello scorso anno, Amnesty International ha pubblicato il rapporto «Nigeria: petrolio inquinamento e povertà nel Delta del Niger», alla stesura del quale ENI ha collaborato attraverso risposte e dialogo con la nostra organizzazione. Il rapporto dettaglia le preoccupazioni complessive sulle violazioni dei diritti umani nell'area del Delta del Niger come conseguenza dell'inquinamento e del danno ambientale derivanti dalla presenza dell'industria estrattiva del petrolio e del gas.
Il legame tra diritti umani e inquinamento dell'ambiente è ampiamente riconosciuto. Gli organismi di monitoraggio sui diritti umani e le Corti internazionali e nazionali hanno denunciato il degrado ambientale come fattore causa di violazioni dei diritti umani. La qualità e la sostenibilità ambientale sono aspetti fondamentali per il benessere generale e lo sviluppo degli abitanti del Delta del Niger. Più del 60 per cento delle persone che vivono nella regione dipendono dall'ambiente naturale per il loro sostentamento. Per molti di loro le risorse naturali di


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base, utilizzate per l'agricoltura, la pesca e la raccolta di prodotti nelle foreste, sono le principali o addirittura uniche fonti di sostentamento. I fiumi e i torrenti sono ampiamente utilizzati per l'igiene personale e per altre attività domestiche.
L'inquinamento e i danni ambientali pongono dunque rischi veramente significativi per i diritti umani. Le fuoriuscite di petrolio, lo scarico di rifiuti e il gas flaring, ovvero le torce di gas che bruciano il gas naturale derivante dall'estrazione del petrolio, sono fenomeni endemici nel Delta del Niger. Ogni anno si verificano centinaia di perdite di petrolio e l'Agenzia nazionale che si occupa di censire queste perdite ne ha registrate circa duemila, per cui esistono duemila siti contaminati soltanto in questa area. Il dato reale potrebbe tuttavia essere molto più elevato.
Le attività connesse all'estrazione petrolifera, inclusa la posa degli oleodotti e la costruzione di infrastrutture, che rendono l'area accessibile per vie terrestri o acquatiche, hanno arrecato considerevoli danni all'ambiente del Delta. Gli abitanti del Delta del Niger sono costretti a bere, cucinare e lavarsi con acqua inquinata, mangiano pesce contaminato da petrolio e da altre sostanze tossiche. La terra che vorrebbero coltivare è ormai gravemente danneggiata, e dopo le fuoriuscite di petrolio l'aria che respirano puzza di petrolio, gas e altri agenti inquinanti. Lamentano problemi respiratori, ma le preoccupazioni delle comunità non vengono prese in seria considerazione, e non viene loro fornita alcuna informazione circa l'impatto dell'inquinamento.
L'inquinamento dunque ha determinato violazioni del diritto alla salute, del diritto a un ambiente sano, del diritto a un adeguato standard di vita nel quale sono inclusi il diritto al cibo, all'acqua e a guadagnarsi da vivere lavorando. Le persone colpite sono centinaia di migliaia, in particolare i più poveri della regione, dipendenti dai mezzi di sussistenza tradizionali quali pesca e agricoltura. Anche se una piccola parte di questi danni ambientali è causata da sabotaggi di parte terza, la gran parte di essi sarebbe prevenibile attraverso la definizione e realizzazione di adeguate valutazioni di impatto sociale, sui diritti umani e sull'ambiente delle attività delle aziende petrolifere.
La Nigeria ha leggi e regolamenti che obbligano le imprese ad attenersi agli standard riconosciuti a livello internazionale e ha anche delle buone pratiche, ma spesso questi strumenti sono scarsamente applicati. Le agenzie governative responsabili, che dovrebbero garantire il rispetto di queste regole, sono in alcuni casi compromesse a causa di conflitti di interesse.
Il Governo della Nigeria ha purtroppo conferito alle compagnie petrolifere l'autorità di occuparsi di questioni che riguardano direttamente i diritti umani, con poco o nessun controllo e nessuna salvaguardia efficace. Quando le comunità subiscono le conseguenze dei danni ambientali sono spesso lasciate sole a negoziare con le compagnie sulle azioni necessarie per porre rimedio e ottenere il risarcimento.
L'abitudine di lasciare alle compagnie un tale livello di controllo diretto sulle indagini circa le cause delle fuoriuscite di greggio, nonché sulle decisioni relative all'assegnazione di risarcimenti rappresenta un cruciale fallimento del Governo nella protezione dei diritti umani e nella garanzia di rimedi efficaci.
L'industria del petrolio nel Delta del Niger vede coinvolti sia il Governo della Nigeria, che le società controllate da grandi compagnie multinazionali, come Shell, ENI e Total, oltre ad alcune società nigeriane. Anche se alcune di queste aziende, e tra queste ENI, hanno adottato misure volte a prevenire violazioni dei diritti umani causate dalle loro attività, tali misure sono insufficienti e in diversi casi non in linea con gli standard sui diritti umani.
Le imprese non sono libere di ignorare le conseguenze delle loro azioni soltanto perché un Governo non le obbliga a rendere conto del loro operato. Esistono standard internazionali che riguardano le attività dell'industria petrolifera, nonché standard generalmente riconosciuti sugli impatti sociali e ambientali, di cui le


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compagnie petrolifere operanti nel Delta del Niger dovrebbero essere a conoscenza. Le imprese, tra le quali anche ENI, hanno inoltre politiche che le vincolano al rispetto di alcune buone pratiche in tema di impatto sociale e ambientale.
Sia il Governo della Nigeria che il Governo italiano, in qualità di Governo del Paese in cui ENI ha la sede principale, hanno entrambi un ruolo da giocare nell'assicurare che i comportamenti delle aziende non si traducano in violazioni dei diritti umani e siano poste in essere azioni per chiamare a rispondere le aziende del loro operato sia nel Paese in cui operano, sia nel Paese in cui hanno la loro sede legale.
Nel documento presentato al Consiglio ONU dei diritti umani in vista dell'esame periodico universale dell'Italia, Amnesty International ha rivolto al Governo italiano le seguenti raccomandazioni riguardanti le attività delle aziende estrattive italiane operanti all'estero. Amnesty International ha chiesto all'Italia di adottare una legislazione che imponga alle aziende estrattive italiane di prendere tutte le misure necessarie e adeguate per rispettare e tutelare i diritti umani nel corso delle operazioni che conducono all'estero, con particolare attenzione alle aree ad alto rischio, come ad esempio quella del Delta del Niger; di stabilire un meccanismo di supervisione parlamentare, che riceva ed esamini le denunce relative alle attività delle aziende del settore estrattivo; di assicurare che le vittime di violazioni di diritti umani causate dalle aziende estrattive italiane possano avere accesso a una tutela efficace, compresa la possibilità di accedere ai tribunali italiani nel caso in cui tale possibilità sia negata nel loro Paese; di assistere il Governo della Nigeria nell'istituzione di un ente indipendente, che supervisioni le operazioni estrattive relative a gas e petrolio.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

MARIO BARBI. Cercherò di essere telegrafico, perché abbiamo poco tempo a disposizione. Ringrazio Amnesty International per le relazioni e per aver nuovamente attratto la nostra attenzione sulle questioni aperte, che non sono nuove a questo Comitato e delle quali abbiamo parlato recentemente. Alcune ci turbano particolarmente, perché attengono a ritardi immediatamente riconducibili alle potestà del Parlamento, quali le innovazioni legislative richieste per introdurre il reato di tortura, per adeguare l'ordinamento alla Corte penale internazionale, per l'istituzione della Commissione indipendente di vigilanza e controllo sui diritti umani.
Il Comitato aveva previsto un'iniziativa che partisse da noi e che attraverso la Commissione affari esteri investisse il Parlamento, al fine di ottenere risultati in questa direzione.
Vorrei formulare due osservazioni su due questioni che mi paiono di particolare rilievo e complessità e che attengono in modo diretto o indiretto all'immigrazione e all'ambiente e, quindi, esemplificativamente, alla questione del Delta del Niger.
Vorrei cogliere l'occasione per segnalare come purtroppo ai lavori di questo Comitato di rado partecipino parlamentari della maggioranza e sostanzialmente mai parlamentari della Lega, che delle politiche dell'immigrazione del nostro Paese in questa fase porta una responsabilità consistente e certamente ne ispira anche filosofia e retorica.
Riconosciuta la presenza di molta retorica e di molta cattiva politica, considero tuttavia necessario riconoscere quanto sia complesso per l'Italia il tentativo di svolgere una politica che abbia al centro, per quanto riguarda l'immigrazione, la legalità e l'integrazione. Sono state introdotte specifiche figure di reato molto discutibili quali quella di immigrazione clandestina che andrebbero riviste, ma che sono soltanto la superficie di un'inadeguatezza molto più profonda, che ci induce a interrogarci sulle politiche di legalità e di


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integrazione, come nel caso degli episodi recentemente verificatisi a Rosarno.
Mi pare che la questione del Delta del Niger richieda un approfondimento. Ho l'impressione che individuare nello sfruttamento industriale e petrolifero di questo territorio una lesione dei diritti umani sia quasi una sottovalutazione. Ci troviamo infatti di fronte a una minaccia, che investe un'intera popolazione a causa dello sfruttamento industriale, petrolifero ed estrattivo di quel territorio. Considero riduttivo definirla una violazione dei diritti umani, che dovrebbe essere circoscrivibile individualmente, caso per caso. I diritti umani devono essere violati nella persona che ne è titolare. In questo caso, la violazione avviene per effetto di una attività su larga scala che investe un intero territorio, che comporta danni di tipo ambientale, conseguenze sulla salute, sui modi di vita, sulle condizioni di esistenza, sulle tradizioni degli Stati coinvolti.
Mi sembra dunque che la questione, che è rilevantissima e che riguarda il mondo, lo sviluppo, la crescita, le sue modalità stia «stretta» nella nozione di diritti umani.

PRESIDENTE. Do la parola ai rappresentanti di Amnesty International per la replica.

DANIELA CARBONI, Direttrice dell'ufficio campagne e ricerca della sezione italiana di Amnesty International. Vorrei integrare le considerazioni espresse anche rispetto a queste ultime osservazioni.
Sul tema dell'immigrazione, una riflessione sulle politiche, così come anche sulle prassi che ne sono conseguenza, è assolutamente urgente e indispensabile. Mi permetto di sottolineare anche l'esigenza che sia trasversale, perché alcune scelte di politiche e di prassi sono state effettuate da maggioranze parlamentari di diverso orientamento, segno di quanto sia necessario che le istituzioni italiane e le forze politiche cerchino di riorientarsi verso la tutela dei diritti umani quando disciplinano il tema dell'immigrazione e del diritto di asilo.
Esemplificativo di questo problema si rivela il clima, il linguaggio utilizzato o tollerato. Si tratta di un linguaggio non meramente giornalistico, quindi relativo ai termini utilizzati dai mass media italiani, ma purtroppo spesso di un linguaggio utilizzato direttamente da rappresentanti istituzionali con cariche molto importanti.
Per quanto riguarda l'approccio alle problematiche del Delta del Niger, che sono esemplificative di simili situazioni in altri Paesi dell'Africa e del resto del mondo, Amnesty sceglie di farlo attraverso i diritti umani, coerente con le proprie origini e con la propria mission. Ci sembra non di sottovalutarle, ma di introdurre una lente diversa nell'osservare i problemi legati allo sviluppo e alle attività delle multinazionali, compresa una con sede in Italia, come ENI. Stiamo parlando anche in questo caso di diritti individuali di milioni di persone che vivono nel Delta del Niger, un'area del mondo già particolarmente povera. Uno sfruttamento delle risorse economiche del Delta del Niger che viola i diritti umani, come sta accadendo perché quelli all'acqua e alla salute sono diritti umani fondamentali, rende queste popolazioni ancora più povere, chiude quasi la gabbia della loro povertà e non lascia la possibilità di avere bonificate le zone in cui vivono o di avere almeno giustizia per quanto sta accadendo. Stiamo parlando di generazioni di persone che spesso non hanno mai visto il buio completo o che non hanno mai bevuto un bicchiere d'acqua non inquinato.

PRESIDENTE. Vi ringrazio per le testimonianze che avete reso davanti a un Comitato che vi chiede di dire di più e nello stesso tempo può fare di meno di quanto esigerebbe il livello dei drammatici problemi che avete sollevato. Voi avete infatti posto dei problemi che sono da un lato di civiltà e dall'altro di Governo. Noi


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ne prendiamo nota e cerchiamo di essere il megafono di quanto ci avete detto, pur sapendo che sarà un megafono abbastanza debole. Non smetteremo tuttavia di esserlo e cercheremo di far sì che questo Comitato possa essere una echo chamber delle considerazioni che avete espresso, che terremo ben presenti nell'audizione della prossima settimana con il rappresentante italiano che avrà ascoltato l'insieme delle osservazioni delle istituzioni internazionali presso le Nazioni Unite, e che verrà a riferirci e a dialogare sul problema.
Nel ringraziare i nostri auditi per la disponibilità manifestata, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 12,35.

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