Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Strumento di esplorazione della sezione Lavori Digitando almeno un carattere nel campo si ottengono uno o più risultati con relativo collegamento, il tempo di risposta dipende dal numero dei risultati trovati e dal processore e navigatore in uso.

salta l'esplora

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Torna all'elenco delle indagini Torna all'elenco delle sedute
Commissione III
27.
Giovedì 8 aprile 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Colombo Furio, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI NEL MONDO

Audizione di rappresentanti dell'associazione di nativi canadesi Friends and Relatives of Disappeared:

Colombo Furio, Presidente ... 3 6 9 11 13 14
Annett Kevin, Rappresentante dell'associazione di nativi canadesi Friends and Relatives of Disappeared ... 3 12 13
Cook Henry Charles, Rappresentante dell'associazione di nativi canadesi Friends and Relatives of Disappeared ... 10
Mecacci Matteo (PD) ... 12 14
Nirenstein Fiamma (PdL) ... 11
Vargas Clarita, Rappresentante dell'associazione di nativi canadesi Friends and Relatives of Disappeared ... 6
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sui diritti umani

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 8 aprile 2010


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FURIO COLOMBO

La seduta comincia alle 14,30.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'associazione di nativi canadesi Friends and Relatives of Disappeared.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle violazioni dei diritti umani nel mondo, l'audizione di rappresentanti dell'associazione di nativi canadesi Friends and Relatives of Disappeared.
Saluto e ringrazio per la loro disponibilità i rappresentanti dell'associazione Kevin Annett, Clarita Vargas e Henry Charles Cook.
Do la parola a Kevin Annett per lo svolgimento della relazione.

KEVIN ANNETT, Rappresentante dell'associazione di nativi canadesi Friends and Relatives of Disappeared. Grazie dell'invito. Prima di passare alla lettura del mio documento, vorrei evidenziare che da più di 20 anni abbiamo raccolto prove di come tutte le cinque definizioni di genocidio dell'ONU siano ravvisabili in quanto è avvenuto nelle scuole residenziali, con condizioni che hanno portato alla distruzione di gruppi di persone, a impedire le nascite, a trasferire i gruppi attraverso violenze di vario tipo.
Abbiamo sia documentazioni che testimoni oculari. Abbiamo documentari e materiale scritto. Purtroppo, non molti dei testimoni oculari possono essere presenti, perché vivono in condizioni di estrema miseria e quindi spetta a noi fare da ambasciatori. Speriamo che questo sia soltanto l'inizio di uno scambio.
A nome della nostra delegazione e della rete di nativi e non nativi denominata «Amici e Parenti degli Scomparsi» (FRD, «The Friends and Relatives of the Disappeared»), desidero ringraziare i membri del Comitato per averci ricevuto quest'oggi.
È per me un onore rivolgermi a voi soprattutto perché rappresentate la prima sede istituzionale e la prima nazione nel mondo ad aver riconosciuto ufficialmente il genocidio delle popolazioni native dell'America del Nord e ad aver fornito un consesso parlamentare in cui le prove di questo crimine possano essere presentate e rese pubbliche.
Personalmente ritengo che la nostra presenza qui, oggi, sia la riprova di vent'anni di lavoro e di lotta, una lotta condotta con enormi perdite e sacrifici atta a fare luce sul maggiore omicidio di massa che la storia dell'umanità abbia mai conosciuto - un crimine che ancora oggi si perpetra. Per questo, e in particolare per le donne e gli uomini coraggiosi che sono sopravvissuti alle scuole residenziali cattoliche per Indiani e che hanno raccontato la loro storia, io vi ringrazio. E ringrazio loro.


Pag. 4


La mia parte in questa storia inizia nell'estate del 1992, quando da giovane sacerdote della Chiesa Unita del Canada mi stabilii con la mia ex moglie e con le mie due figlie a Port Alberni, una città della costa occidentale canadese. Lì iniziai a lavorare soprattutto con i più poveri, bianchi e aborigeni.
La prima famiglia nativa che visitai, un mese dopo il mio arrivo, mi raccontò di amici assassinati nella scuola residenziale per indiani di Alberni, gestita dalla Chiesa. Poi la mia comunità di fedeli crebbe e gli indiani diventarono parte della mia parrocchia. Fu così che potei ascoltare molte altre storie simili, ognuna più terribile della precedente: bambini assassinati, torturati, sterilizzati e stuprati in gruppo in seno a organizzazioni dedicate alla tratta di minori protette dalla polizia tutt'ora operanti, nonché dozzine di altri crimini perpetrati da dipendenti della chiesa, tutti compatibili con la definizione di genocidio delle Nazioni Unite.
Ho altresì appreso da innumerevoli testimoni oculari e poi dai documenti del governo e della Chiesa, che tali crimini non erano atti casuali o isolati commessi dai singoli, bensì pratiche organizzate e istituzionalizzate, sancite dal governo canadese in accordo con la Chiesa Cattolica romana, con la Chiesa Anglicana e con la Chiesa Unita del Canada.
La finalità di questa politica era chiaramente quella di distruggere tutte le culture aborigene tradizionali, confiscare le loro terre e risorse e sterminare in media il 90 per cento della loro popolazione, incarcerando e condizionando i sopravvissuti, così da farli diventare una classe inferiore permanente di poveri senza terra in seno ad una cultura opulenta e dominante chiamata «Canada cristiano».
Il Sovraintendente per gli Affari indiani in Canada, Duncan Campbell Scott, dichiarò pubblicamente tale politica genocida nell'aprile del 1910, quando in una lettera ufficiale affermò: «L'enorme tasso di mortalità infantile nei nostri collegi indiani è in linea con la politica di questo Dipartimento, finalizzata alla Soluzione Finale al Problema degli Indiani» (GG 10, Indian Affairs Archives).
Un altro funzionario del dipartimento, Peter Bryce, aveva scritto a Scott solo tre anni prima, sostenendo: «Ritengo che nei nostri collegi indiani si stiano deliberatamente creando le condizioni per diffondere malattie infettive. Il tasso di mortalità è spesso superiore al cinquanta per cento. Questo è un crimine di Stato.» (19 aprile 1907).
Il principale strumento finalizzato a tale sterminio, perpetrato in Canada nel corso del XX secolo, erano le scuole residenziali per Indiani, istituite congiuntamente dal governo e dalle Chiese Cattolica e Protestante nell'ultimo decennio del 1800, istituzionalizzate nel 1910 e in attività fino al 1996. Secondo le statistiche ufficiali, durante questo periodo morirono in queste scuole tra i 50 mila e i 100 mila bambini affidati legalmente alla tutela delle Chiese Romana e Anglicana e della Chiesa Unita del Canada.
Eppure, ancora oggi, in Canada non una sola persona è stata arrestata o processata per la morte di un bambino nelle scuole residenziali.
Questa politica di sterminio legale delle popolazioni indigene, mascherata da pretesti educativi e religiosi, ha sortito il suo effetto. Gli indigeni in Canada sperimentano livelli ininterrotti di povertà, malattia, suicidio e violenza riconducibili a un'ottica genocida e, ai sensi della Legge canadese sugli Indiani - ispirata alla razza e simile a uno strumento di segregazione razziale - essi sono sotto la tutela legale di uno Stato di cui non sono cittadini. Non sorprende, dunque, che la perdita delle lingue, della cultura, della terra e dell'identità aborigene continui ancora.
L'immagine del Canada quale nazione umanitaria è una menzogna, una menzogna costruita sui cadaveri di milioni di aborigeni, oggi come in passato. È stato quando ho iniziato a scoprire la verità sulla mia gente e sulla mia religione che ho subito questo «risveglio» e che sono stato allontanato con violenza dalla mia vecchia vita, dalla mia famiglia e dalla mia


Pag. 5

carriera: tale processo ha contribuito a far sì che questo genocidio nascosto figuri ora in maniera inequivocabile nelle pagine della storia.
La storia dimostra che la guerra di sterminio che ha investito i nativi dell'America del Nord non è né recente né unica. Essa è invece una conseguenza diretta della cultura religiosa della cristianità europea, secondo cui l'attacco, la distruzione, la soggiogazione e la riduzione in schiavitù di tutti i popoli non cristiani nel mondo da parte dei cosiddetti «re cristiani» erano, oltre che una virtù spirituale, una necessità politica.
A sanzionare il genocidio furono le due bolle papali Romanus Pontifex (1455) e Inter Caetera (1493). Ad oggi, nessuna delle due è stata rinnegata o revocata dal Vaticano, che ancora professa pubblicamente lo stesso credo che ha causato la morte di 50 milioni di nativi americani: non c'è salvezza al di fuori della cristianità e coloro che non credono costituiscono una forma inferiore di umanità.
È in nome di tale credenza, professata dalle Chiese Cattolica e Protestante, che in Canada le donne e gli uomini aborigeni con cui lavoro nelle baraccopoli di Vancouver muoiono ogni giorno a un tasso di venti volte superiore alla media nazionale; questa è la ragione per cui circa 100 mila bambini assassinati continuano a giacere, ignorati e dimenticati, nelle fosse comuni vicino alle vecchie scuole residenziali per Indiani in tutto il paese.
Dal 2005, la nostra rete ha lottato per l'identificazione di queste fosse, così che i resti di questi bambini potessero essere restituiti alla loro terra per una degna sepoltura. I nostri appelli al Governo canadese e alle Chiese Protestante e Cattolica affinché dessero prova di umanità sono caduti nel vuoto. Né Papa Benedetto né la Regina d'Inghilterra, quale capo della Chiesa Anglicana, né tantomeno i rappresentanti della Chiesa Unita o del governo federale, hanno mai risposto alle nostre lettere, alle manifestazioni pacifiche o alle veglie pubbliche in cui chiedevamo che ci fossero restituiti i bambini perduti.
Abbiamo invece assistito alla retorica ufficiale delle «scuse» e della «guarigione», pronunciata da quelle stesse istituzioni che hanno ucciso questi bambini e che ancora si rifiutano di assumersi la responsabilità della loro morte.
Grazie alle pressioni esercitate sia dalla nostra rete che da altri sopravvissuti alle scuole residenziali, nel giugno del 2008 il Governo canadese è stato costretto a rilasciare una dichiarazione limitativa e fuorviante sulle scuole residenziali per Indiani che ama definire «scuse». Eppure, nonostante si riconosca in quest'ultima l'enorme numero di bambini morti nelle scuole residenziali, lo stesso Governo ha dichiarato che non sarà promossa alcuna azione legale contro i singoli o le chiese responsabili - nella fattispecie la Chiesa Cattolica, la Chiesa Anglicana e la Chiesa Unita.
Inoltre, quella che il governo impropriamente chiama «Commissione per la Verità e la Riconciliazione» sulle scuole residenziali, non potrà fare nomi o far riferimento a reati come l'omicidio volontario, non potrà citare prove o formulare accuse penali né concedere l'immunità ai testimoni e sarà nominata dalle stesse chiese sulle quali «indagherà»!
Quando le istituzioni responsabili indagano su se stesse, l'unico esito che possiamo attenderci è l'occultamento ufficiale dei loro stessi crimini: quest'aspetto, quindi, rende fondamentale importanza condurre un'indagine autentica sulle scuole residenziali canadesi.
Noi lavoriamo a favore di un'indagine internazionale indipendente sui crimini contro l'umanità in Canada dal giugno del 1998, quando contribuii all'organizzazione del primo Tribunale non governativo sulle scuole residenziali a Vancouver sotto l'egida dell'IHRAAM, l'Associazione internazionale per i diritti umani delle minoranze americane affiliata alle Nazioni Unite. Questo Tribunale, le cui conclusioni sono state inviate al Segretario generale dell'ONU Kofi Annan e all'Alto commissario per i Diritti umani Mary Robinson, ha riscontrato che i crimini commessi nelle scuole residenziali canadesi - tra cui


Pag. 6

figurano le sterilizzazioni forzate, il lavoro schiavile, le sperimentazioni mediche, la tratta di minori e l'omicidio - rispondono a tutte e cinque le definizioni di genocidio delle Nazioni Unite. Eppure, a causa delle pressioni esercitate dal governo canadese, l'ONU non ha mai dato seguito a questi riscontri.
Tuttavia, grazie alla pubblicità data alle prove raccolte da questo Tribunale con il mio libro Hidden from History: The Canadian Holocaust (2005) e con il nostro documentario Unrepentant (2007), le nazioni indigene in Guatemala e nelle Filippine, unitamente ad alcuni governi locali europei, hanno risposto al nostro appello chiedendo che sia realizzata un'indagine approfondita su questi crimini, così da fornire alle vittime delle scuole residenziali un vero risarcimento alle loro condizioni, restituire le salme, consentire l'esame dei resti e sottoporre i responsabili ad un processo penale.
È in nome di questa lunga battaglia e di questo crescente movimento di giustizia per i vivi e per i morti che oggi siamo qui, dinanzi a voi, a chiedervi di: raccomandare al Parlamento italiano e al Parlamento europeo e alle competenti Commissioni per i diritti umani di sostenere un'indagine internazionale sulle prove del genocidio intenzionale, perpetrato dalle chiese succitate e dal governo canadese; esortare queste Chiese e il governo a identificare pubblicamente i luoghi di sepoltura dei bambini morti nelle scuole residenziali e negli ospedali canadesi e a consentire la restituzione senza condizioni delle loro spoglie, così da dare loro degna sepoltura; sostenere le attività e le campagne della nostra rete «Amici e Parenti degli Scomparsi» e istituire un collegamento ufficiale con noi prima del nostro ritorno in Europa nell'inverno del 2010.
Vi ringrazio per l'attenzione.

PRESIDENTE. Noi la ringraziamo per il suo intervento. Le chiediamo di lasciarci la sua documentazione. Do quindi la parola a Clarita Vargas.

CLARITA VARGAS, Rappresentante dell'associazione di nativi canadesi Friends and Relatives of Disappeared. Buongiorno, sono qui per rendere testimonianza del periodo in cui ho frequentato le scuole residenziali. Sono figlia, madre e nonna.
Ho frequentato un collegio cattolico dalla fine degli anni Sessanta fino alla metà degli anni Settanta. In quegli anni venivo picchiata dal padre superiore. A volte con i vestiti indosso. Altre volte senza. Mi costringeva ad afferrarmi le caviglie. A volte questo accadeva in presenza di altri, soprattutto studenti. Prima di percuotermi il prete mi metteva in una posizione tale da mettere il pollice tra le natiche. Aveva un affila-rasoio da barbiere di pelle nera. Aveva anche una mazza di legno con dei buchi, che immergeva in acqua prima di usarla per colpirci. Lo dissi ai miei genitori. Così mia madre parlò con il prete e gli chiese perché fossi una bambina difficile. E gli disse di comportarsi di conseguenza. Imparai a non dire niente a mia madre, perché spesso lei mi picchiava se pensava che meritassi una lezione. Non so cosa le abbia detto il padre superiore. Posso solo dirvi che c'è stata un'unica volta in cui, forse, ho meritato le botte. Ed è stato quando ho acceso una candela nel dormitorio.
Il padre superiore organizzava anche serate in cui si faceva vedere dei film nei suoi appartamenti: allora ci chiedeva di sederci sulle sue ginocchia e si strofinava contro di noi fino a farsi venire un gonfiore nei pantaloni. Ora che sono adulta so che quella era un'erezione. Ci teneva sulle ginocchia, non potevamo alzarci. Ci faceva male se ci avessimo provato, ci teneva fermi per i capelli. Altre volte invece mi faceva andare nel suo bagno o nella sua camera da letto. Una volta, mentre eravamo nel bagno, ci scoprì una suora e potei andare via. Altre volte, però, ero in camera da letto e dovevo nascondermi sotto il letto o dietro le tende. Una giorno, mentre ero nascosta dietro le tende, il padre superiore era nel letto con una bambina più grande. La sentivo piangere. Una volta mi chiuse in una stanza con il pavimento di terra e con un tetto di legno. Ora so che quella stanza si chiamava cantina. Un giorno una suora mi trovò e


Pag. 7

mi chiese perché fossi lì. Le dissi che stavo aspettando il padre superiore, perché era lì che sarei dovuta rimanere finché non fossi stata pronta ad obbedire. Ho come rimosso i ricordi. Ricordo solo di essere stata scoperta o, come penso ora, «salvata». Non ricordo né voglio immaginare cosa sia successo in quegli anni bui. Preferisco la sicurezza di non sapere.
Anche gli altri bambini raccontavano di essere stati picchiati. Dicono che ai chierichetti veniva dato del vino per poi violentarli. I ragazzi potevano andare in campeggio. E anche le ragazze volevano andarci, ma i ragazzi dissero che non era una buona idea. Era in quelle occasioni che i ragazzi venivano violentati. Ricordo una rissa tra uno studente e il fratello gesuita dopo una di queste gite. Lo stesso gesuita che ha molestato mia sorella maggiore. Un giorno, mentre camminavo vicino alla cucina, sentii una bambina gridare aiuto. Andai a vedere cosa stesse succedendo. Era mia sorella. Aveva la maglietta lacerata e il reggiseno le era quasi stato strappato di dosso. Il fratello gesuita la rincorreva intorno al tavolo del macellaio. Lei era riuscita a prendergli il coltello e lo agitava furiosamente per tenerlo lontano. Egli continuò a cercare di afferrarla con un ghigno ripugnante. Mi vide lei per prima e iniziò a gridare ancora più forte. Lui non mi vide. La afferrò. Così io cominciai a colpirlo alle spalle. Quella volta riuscimmo a scappare. Un'altra volta stavo molto male, ma mi costrinsero a mangiare l'intero pasto. Mi trattennero più a lungo degli altri studenti. Dopo aver mangiato tutto chiesi di potermi allontanare e vomitai. Mi fecero pulire tutto e mi fecero anche mangiare il vomito perché era finito addosso al volontario gesuita.
Il ricordo peggiore che ho è di quando sentimmo grida e pianti provenienti dalla chiesa. Ci avvicinammo all'entrata laterale e aprimmo la porta. Dentro c'erano un prete, tre suore, alcuni sacerdoti più giovani e una donna che piangeva e gridava «Il mio bambino, il mio bambino!». Il prete recitava qualcosa che assomigliava a una preghiera e le suore dicevano il rosario. Due dei sacerdoti più giovani tenevano sollevato il pavimento e il terzo, dopo aver tolto il neonato alla madre, lo mise sotto il pavimento. Lei ci vide per prima e ricominciò a dimenarsi e a urlare. I preti e le suore erano così assorti nel loro rito che all'inizio non si accorsero di noi. Poi il prete ci vide e disse agli altri di prenderci. Scappammo via. Non devono averci riconosciuti, altrimenti di certo ci avrebbero puniti. Dietro ai dormitori dei ragazzi, poi, c'erano cumuli di terriccio. Una volta, passandoci a fianco, chiesi a un compagno che cosa fossero. Mi dissero che erano tombe di neonati. Io chiesi perché non erano stati sepolti al cimitero, e la risposta fu che non era consentito. Il prete si sedeva lì nelle giornate di sole.
Una volta adulta, segnalai l'episodio della chiesa alla polizia. Il poliziotto disse di non aver trovato nulla. Eppure per terra c'erano dei segni dove le assi erano state segate. L'anno scorso ho di nuovo denunciato l'episodio alla polizia. Nonostante siano passati degli anni, quel ricordo mi tormenta ancora. Ho contattato le autorità della contea, le quali mi hanno detto che, essendo accaduto nella riserva, l'episodio è soggetto alla giurisdizione tribale. Ho anche lasciato un messaggio vocale all'FBI ma non ho avuto risposta. Quest'anno, insieme ad un agente, ho fatto un sopralluogo per mostrargli il luogo esatto della sepoltura. Gli ho chiesto di ottenere un mandato di perquisizione e di cercare sotto le assi del pavimento. Volevo che tutto fosse legale e documentato, così che nessuno avrebbe potuto accusarci di aver violato la legge o i diritti della persona. L'agente mi ha detto che avrebbe dovuto avere il permesso dal padre superiore, che quello era un argomento delicato e che non avremmo dovuto offendere nessuno. Gli ho anche chiesto se dovessi richiedere l'autorizzazione alla mia diocesi, ma mi ha risposto che avrebbe contattato lui il padre superiore. Io e il padre superiore ci siamo lasciati dei messaggi senza mai entrare in contatto. Non so, quindi, se lui conosca il motivo delle mie chiamate. La mia angoscia è per il bambino o forse i bambini che sono sepolti in quei "cimiteri". Ho segnalato solo le sepolture


Pag. 8

vicino al dormitorio maschile, perché sono riaffiorate nella mia memoria solo la scorsa settimana. Il giorno successivo sono partita per l'Italia. Quindi al momento non ho risposte. Ma temo che l'integrità di una possibile scena del crimine sia stata inquinata.
Ho cinquant'anni e l'episodio della chiesa mi ha tormentata per molti anni. Mio marito mi svegliava dal sonno dicendomi: «Cosa c'è? Gridavi e urlavi Aiuto! Aiuto!». Gli spiegavo che mi sentivo soffocare, che qualcuno stava cercando di uccidermi. A volte doveva svegliarmi più volte in una sola notte. Anche mia figlia, diventata grande, era costretta a svegliarmi più volte finché poi restava a dormire con me. Il momento più triste è stato quando il mio nipotino di tre anni mi ha svegliato e mi ha detto: «Nonnina, perché gridi aiuto? Ti aiuto io! Non piangere!». Va avanti da quattro generazioni e questo ricordo, così vivo, fa ancora male. Il mio conforto, se esiste un conforto, sta nella ricerca della verità. Da ragazza mi lavavo gli occhi con il detersivo per la lavatrice. Non volevo più vedere gli occhi di quella madre alla quale avevano strappato il bambino. Mamma se ne accorse, e mi tenne abbracciata a sé finché non smisi di piangere e finché non le promisi di non farlo mai più. È stato allora che ho iniziato a cercare, nello sguardo di ogni persona, gli occhi della giovane donna che vidi quel giorno in chiesa.
Mia sorella più piccola frequentò lo stesso collegio. La suora le aveva attaccato i capelli alla testa con del nastro adesivo perché lei continuava a mandarli all'indietro. Una volta mia sorella appoggiò la testa su una mano. La suora allora le attaccò la mano alla testa con il nastro adesivo e la costrinse a fare i compiti in quella posizione. Le tagliò anche la frangia per far combaciare gli estremi del nastro adesivo. Vidi la suora togliere il nastro dalla testa con violenza. Mia sorella frequentava la prima elementare.
Mia madre fu costretta ad andare in collegio. Fu mandata via dallo Stato in cui viveva, miglia e miglia lontana dalla sua famiglia e da tutto ciò che considerava «casa» La sua famiglia era molto povera e non poteva farle visita. Mia madre scappò molte volte. Per questo le furono date scarpe troppo piccole per i suoi piedi, provocandole borsiti dell'alluce e calli che non le avrebbero consentito di andare lontano se avesse tentato di fuggire. Dopo essere scappata, dopo aver disobbedito, mia madre fu ricoverata in ospedale con la diagnosi di tubercolosi, dove rimase quattro anni, in regime di isolamento. L'unico contatto con il mondo per lei era il vassoio che usavano per introdurre cibo o libri. Quando noi bambini crescemmo, si preoccupò di darci le scarpe migliori, della misura giusta. Quando tornava dal lavoro, molte volte, soprattutto di notte, io la aspettavo per massaggiarle le gambe e i piedi, ricoperti di cicatrici.
Mia figlia ha studiato in collegio dalla seconda all'ottava classe. Lì ha imparato tanto. Mia figlia è una persona meravigliosa. Gli esempi e i modelli che ha ricevuto nella sua educazione sono stati quelli tradizionali dei nativi americani. E molte di queste personalità sono miei ex allievi. La mia classe è stata la prima a diplomarsi in una scuola tribale invece che in un istituto della missione. Alla sua cerimonia di diploma, mia figlia ha annunciato di voler rassicurare i suoi genitori e suo nonno di non essere mai stata molestata o aggredita da nessuno, e questo grazie a chi si è adoperato per assicurarle un ambiente pieno d'amore. Io ho pianto perché avevo paura che preferisse tacere qualche brutto episodio perché magari temeva che non fossi abbastanza forte da poterla aiutare.
La nostra comunità non è sana, perché è stata esposta a un ambiente caratterizzato da una violenza sessuale predatoria che ha ferito e perseguitato molte persone fin dentro le loro case. Sono centinaia le accuse mosse dalla mia comunità. Molte famiglie hanno sofferto perché vittime di comportamenti perversi da parte di persone in posizioni di autorità che avrebbero potuto prevenire gli abusi sui bambini. Oggi c'è chi si fa schermo della chiesa e non è stato da questa perseguito in alcun


Pag. 9

modo, né penalmente né amministrativamente. È probabile che la chiesa abbia un tempo tollerato questo comportamento, ma non posso credere che continuerebbe a proteggere chi ha chiaramente abusato dell'autorità della società e della chiesa. Qualunque missione di sacerdoti, frati, suore, gesuiti, così come ogni altro incarico posto sotto l'amministrazione ecclesiastica, dovrebbe rispondere degli abusi commessi e delle violazioni della legge.
Vorrei che nel procedimento queste persone fossero trattate come ogni altro trasgressore; che se un singolo abusa della responsabilità che gli deriva dalla sua posizione o viola la legge (per esempio le forze di polizia, gli insegnanti o il personale medico), questi sia perseguito penalmente o rinunci all'abilitazione a svolgere la professione; che chi si macchia di reati a sfondo sessuale sia iscritto in un registro di trasgressori colpevoli di reati sessuali; che se un illecito non viola alcuna legge, venga perseguito in via amministrativa. Spero che il Papa legga la mia lettera e che agisca di conseguenza.
Spero che si possa arrivare a prevenire qualunque tradimento o abuso prima che accada qualcosa ai nostri cari. Vorrei anche cogliere quest'opportunità per ringraziare le autorità italiane per aver fatto sì che la mia voce e quella di altri potessero essere ascoltate. Mi hanno insegnato ad onorare la terra e la vita. E l'onore sopra ogni cosa, come ho imparato da mio nonno che non è più tra noi. La generosità della comunità italiana è stata autentica e vi sono grata per il tempo trascorso in questo paese. A nome di tutta l'umanità e in particolar modo dei popoli nativi, vi ringrazio di cuore per il tempo e per gli sforzi preziosi dedicatici, e vi imploro di aprire i vostri cuori e di porre fine agli abusi sui minori e alla negligenza, onorando così il nostro futuro.
Nell'arco della mia vita ho sentito tante storie. Un bambino di nove anni è stato portato da un sacerdote e da una suora e gli è stato messo tra le braccia un bambino. Ha chiesto cosa dovesse farci e il prete gli ha risposto: «Tu sei il papà». La suora sarebbe stata la mamma di questo neonato. Gli hanno detto che avrebbe dovuto seppellire questo neonato. Il ragazzo si è ribellato, ma gli hanno detto che, se si fosse rifiutato di seppellirlo, sarebbe stato sepolto insieme a lui.
Questo bimbo doveva quindi seppellire altri bambini che cercavano di scappare, e lo faceva vicino alla chiesa, vicino al parcheggio, che con il passare degli anni veniva ampliato. Ora questo bambino è un adulto e vuole sapere che cosa succederà.
A volte, i bambini potevano vivere in case di persone abbienti in cambio di un aiuto, e in questo modo potevano andare a scuola, imparare, essere istruiti. Queste persone sono tutte anziane, ma raccontano molestie e abusi subìti in queste famiglie.
In seguito a un incendio, sotto una chiesa sono stati scoperti resti di bambini. Una volta, si raccontava nella mia scuola che i bambini si suicidassero, per cui veniva sempre raccomandato loro di non avvicinarsi troppo al precipizio perché i sacerdoti li avrebbero spinti di sotto.
Vogliamo che questi casi siano riconosciuti. Anche le suore sceglievano le bambine che avrebbero dovuto subire le loro molestie. Questi sono gli episodi più drammatici. Vi ringrazio dell'attenzione.

PRESIDENTE. Grazie. Nel dare la parola a Henry Charles Cook, anticipo una domanda per il reverendo Annett. Vorrei infatti sapere quanto di ciò che stiamo ascoltando sia stato reso pubblico prima di questo nostro incontro e in che modo.
Lei ha fatto riferimento a un suo libro e a un film, ma credo che questo Comitato vorrà conoscere l'impatto sull'opinione pubblica canadese, ovvero se questo sia diventata notizia, al modo in cui per esempio in questo momento nel mondo è diventata notizia lo scandalo della pedofilia in così tanti ambienti legati o vicini a organizzazioni religiose. Per la prima volta, anche quelli di noi che hanno esperienza di vita internazionale si trovano ad essere partecipi di una testimonianza che in modo sconvolgente è assolutamente


Pag. 10

nuova, nonostante la pretesa di esperienza che molti di noi hanno per i mondi di cui voi siete voce.
Ringrazio fin d'ora per le notizie in più che ci potrà dare quanto a comunicazione verso l'esterno prima di questa occasione di incontro.

HENRY CHARLES COOK, Rappresentante dell'associazione di nativi canadesi Friends and Relatives of Disappeared. Buongiorno. Mi chiamo Charles Cook. Sono stato in un collegio a Fort Alexander in una riserva del Manitoba. Avevo molti sogni da bambino. La nostra scuola era nella riserva indiana e sono tormentato dal sogno di me stesso che cammino nei corridoi con un sacerdote che mi tiene la mano. Ricordo ancora precisamente l'odore di quel luogo.
Quel posto non esiste più: gli indiani hanno deciso di demolire quell'edificio dopo aver appreso delle violenze perpetratevi contro i bambini.
Ricordo di camminare lungo quei corridoi con quest'uomo. Io bagnavo il letto di notte, ero piccolino e quando sei così piccolo passano le giornate e magari ci pensi dopo tanto tempo. Mi ricordo che mi raccomandavano di non bagnare il letto e a un certo punto il sacerdote ha legato il mio pene con uno spago per impedirmelo. Sogno questo ricordo. Ho bagnato il letto fino a dieci anni. Non so quanti anni ho passato lì, non è poi così importante: due o tre giornate sarebbero già tanto. Già un giorno sarebbe troppo lungo in un posto così. Mi scuso per l'emotività.
Ci sono tante storie da raccontare. Quando sono stato liberato, sono andato a vivere con mia madre, con i miei fratelli e le mie sorelle. Eravamo sette, ciascuno con una storia diversa, perché bisogna capire i nativi: i fratelli e le sorelle portano con sé storie diverse e punti di vista diversi a seconda modo in cui sono stati cresciuti. A sei anni, vedevo mia madre mentre veniva violentata. Ho iniziato a bere e a fumare a cinque anni. Vedevo gli uomini bianchi che a turno si appartavano con mia madre, ma non capivo.
Nelle scuole noi bambini ci raccontavamo nel nostro linguaggio tutte le storie, ma gli altri ci accusavano di mentire, non riuscivano a credere a questi orrori. Ancora ci dicono che siamo bugiardi, ma ho sessanta anni e devo ancora dormire con la luce accesa in camera da letto. Nel periodo in cui mi hanno tolto a mia madre, noi sette siamo stati messi in alloggi separati. Io ero ospite in una casa cattolica, in una famiglia molto gentile, in cui la signora mi faceva domande, ma all'epoca io non parlavo inglese e loro erano francesi. Non ricordo con precisione l'anno, forse il 1957 o i primi anni Sessanta.
Possiedo alcune fotografie che mi ritraggono in una delle chiese cattoliche. Avevo paura di andarci, ma ci sono andato. Avevo paura del sacerdote, delle cose che avevamo subito. C'erano tante cose di cui avevo paura. Quando ero in quella fattoria ero felice, mi sentivo al sicuro, molto al sicuro. Mia madre mi chiedeva perché di notte mi svegliassi sempre piangendo, bagnassi ancora il letto e facessi brutti sogni. Io stesso mi legavo da solo il pene con lo spago per non bagnare il letto.
Con il passare del tempo, sono stato trasferito in un'altra casa dove sono stato molestato e violentato. Eravamo tutti affidati al Governo canadese, che poi ci smistava. Avevo undici o dodici anni, ma, non ce la facevo più, mi vergognavo talmente che ho cercato di uccidermi sparandomi un colpo di pistola al torace, perché non sopportavo di non essere creduto; sono stato ricoverato in ospedale.
Con il passare del tempo, sono stato ospite in diverse case in cui mi trattavano da stupido indiano. Non ho avuto un'istruzione formale. La mia istruzione me la sono costruita da solo, ho dovuto imparare ad essere me stesso. Da adolescente ero totalmente solo, perché sono stato lasciato a me stesso dall'età di 14-15 anni.
Sono tornato nella riserva perché ho scoperto quale era quella a cui appartenevo, e tutte queste storie della mia famiglia


Pag. 11

sono emerse. La scuola esisteva ancora, ma io non riuscivo a entrarci. Gli indiani avevano tante religioni: erano cristiani, cristiani evangelici, cattolici e protestanti ma molti indiani seguivano la religione tradizionale. Ho sentito raccontare storie di numerose persone della mia riserva che sono morte, si sono date alla prostituzione o si sono suicidate. Ci sono tanti suicidi in ogni riserva del Canada.
Comunicavamo attraverso i pow-wow, le nostre riunioni, in cui queste storie diventavano molto reali. Era il posto in cui ci si sentiva al sicuro, sereni e si poteva parlare tra di noi in privato. Ci sono molte persone in queste riserve e una delle mie prime ragazze, la madre dei miei figli, proviene da Norway House, una riserva del Manitoba, dove c'erano delle suore, l'edificio esiste ancora. Un indiano Cree ci ha indicato una giovane donna che camminava e ci ha detto che suo padre era un sacerdote. Poi ne ha indicata un'altra, anche lei figlia di un sacerdote. Tutte queste ragazze sono figlie di sacerdoti e di donne native.
Non lo diciamo a voce alta perché abbiamo paura, siamo in pochi a parlare, a dichiararlo pubblicamente. Le carceri sono piene di indiani, soprattutto uomini nativi. In Manitoba esiste un carcere in cui sono reclusi soltanto uomini nativi, tra i quali uno dei miei fratelli. Noi apparteniamo al gruppo che viene incarcerato in quel penitenziario. Io però faccio parte di un gruppo che cerca di prevenire questi episodi. Purtroppo, qualche anno fa mio fratello è stato assassinato perché ha dichiarato pubblicamente quello che succedeva. Io ero stato lì e sapevo.
Metterci a tacere significa ucciderci. Un proverbio recita che l'unico indiano buono è l'indiano morto, ed è per questo che io oggi sono qui a chiedere perché il Governo canadese nasconda ancora oggi quanto è veramente accaduto in Canada. Non so cosa mi succederà quando tornerò, credo che la mia vita cambierà.
Mi definiscono un «anziano spirituale» e dicono ogni giorno che sono quello che sono. Ai miei figli che mi chiedono perché sia venuto in Italia ho risposto di averlo fatto per il loro futuro, dei miei nipoti e delle mie nipoti.
Questi sono solo alcuni esempi di storie di tante vittime in tutto il Canada, che come me durante l'inverno venivano lasciate all'esterno a meno 30 o 40 gradi, invitandoci a tornare indietro a casa nostra se fossimo riusciti a sopravvivere. Il Governo ha presentato blande scuse, ma non le accettiamo perché non sono sufficienti.
Tutto questo ci è successo. Non sono qui per avere vendetta, ma per chiedere il vostro aiuto. Dovete capire che noi nativi pensiamo prima di parlare. Sono felice di essere nel vostro Paese, sono stato ben accolto e voglio ringraziarvi di questo momento. Grazie.

PRESIDENTE. Ringrazio Henry Charles Cook per il suo intervento e per le cose che ha sentito il bisogno di dirci e che sono diventate documento del nostro Comitato.
Do ora la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

FIAMMA NIRENSTEIN. Signor presidente, purtroppo devo andar via. Desidero avanzare un piccolo suggerimento, perché in Canada abita uno dei più famosi avvocati dei diritti umani del mondo, che difese Nelson Mandela e che ha seguito tutta la causa dell'apartheid, e che ora è un deputato al Parlamento canadese, Irwin Cotler, che abbiamo avuto ospite qui durante un'audizione.
Non entro nel merito perché sono molto toccata, molto commossa e ci sarebbero tante cose da dire. Vorrei solo sapere se siate in contatto con questo avvocato, che è una grande autorità nel campo dei diritti umani.

PRESIDENTE. Reverendo, le chiederemmo di rispondere adesso all'onorevole Nirenstein e poi procederemo alla domanda dell'onorevole Mecacci.


Pag. 12

KEVIN ANNETT, Rappresentante dell'associazione di nativi canadesi Friends and Relatives of Disappeared. Se si tratta dello stesso Irwin Cotler, credo che fosse stato ministro della giustizia in uno dei Governi federali del Canada. La difficoltà che abbiamo incontrato nel portare queste questioni di fronte ai tribunali e al governo è che in Canada i parlamentari i giudici, gli avvocati giurano fedeltà alla Corona inglese, che in questo caso è uno degli imputati, in quanto ha istituito questi collegi. Di conseguenza, la questione è molto politicizzata in Canada. Quando le istituzioni che hanno programmato e commesso questi crimini detengono il potere è difficile ottenere un procedimento equo e imparziale.
La difficoltà consiste nel fatto che esistono le informazioni, i testimoni, la documentazione, ma non sono stati effettuati i riscontri; abbiamo documentato l'esistenza di 28 luoghi di sepoltura nel paese. La polizia, che è responsabile di aver portato via i bambini da casa, avrebbe dovuto occuparsi dell'indagine, ma ancora una volta i funzionari mi hanno riferito che non avrebbero condotto l'indagine su questo tema perché gli autori dei crimini sono morti, I tribunali in Canada hanno persino stabilito che portare avanti un procedimento per genocidio è ultra vires, ovvero va al di là della loro competenza. Pertanto, dobbiamo oltrepassare gli ostacoli che ci vengono frapposti dalle istituzioni. Questa è una delle ragioni per le quali dobbiamo uscire dal Canada per trovare sostegno.

MATTEO MECACCI. Signor presidente, la ringrazio anche per aver consentito lo svolgimento di questa audizione. Anch'io fino a poche settimane fa ignoravo questa vicenda e credo che compito di questo Comitato, nell'ambito della sua indagine conoscitiva sui diritti umani, sia innanzitutto dare voce a persone che parlano di violazioni dei diritti umani poco conosciute, funzione che abbiamo svolto al meglio in questa sede.
Queste testimonianze si inseriscono in un contesto informativo e politico in cui le evidenze di fenomeni analoghi, che hanno riguardato altri Paesi e coinvolto la Chiesa cattolica e il Vaticano, stanno emergendo con confessioni aperte anche da parte di esponenti di quella istituzione.
Negli Stati Uniti sono già in corso cause che riguardano nativi americani e alcuni documenti dei Consigli tribali delle Nazioni indiane parlano della necessità di accertare la verità su quanto è avvenuto. In questa sede, per quanto mi riguarda, non si formula un atto d'accusa nei confronti di nessuno, ma c'è una richiesta di apertura di indagini. Anche sulla base dell'esperienza citata da Kevin Annett, considero fondamentale il coinvolgimento anche di attori non governativi a partire da organizzazioni non governative, che possano verificare sul campo quanto avvenuto. Anche nel nostro Paese, infatti, quando le indagini sono condotte dalle stesse autorità che hanno commesso quel tipo di reati spesso è difficile accertare la verità.
La formula dell'indagine internazionale o di altri tipi di istituzione è fuori dalla nostra portata come lavoro del Comitato, ma credo che un lavoro di informazione e di diffusione di queste testimonianze possa essere fatto innanzitutto attraverso la redazione del resoconto di questa seduta, ma anche coinvolgendo le organizzazioni che spesso vengono audite in questo Comitato per quanto riguarda le violazioni di diritti umani in tutto il mondo e che possono essere interessate a questa vicenda.
Credo che la richiesta di immunità rispetto a denunce e crimini di questa portata non possa venire da nessuno, neanche da chi si ammanta di avere la più alta autorità morale. Credo che, come istituzione laica e civile di un Paese che attraverso il Parlamento cerca di rispettare alcuni princìpi fondamentali sui diritti umani, oggi abbiamo svolto bene il nostro compito, dando un primo segnale


Pag. 13

di interesse a questa vicenda, che, se necessiterà di essere maggiormente approfondita in successive occasioni di presenza di altre testimonianze o di analisi di rapporti più dettagliati, vedrà la nostra disponibilità a continuare questo lavoro.

PRESIDENTE. Chiederei a Kevin Annett di riassumere e chiudere questo frammento purtroppo breve e inadeguato di testimonianza, cercando di aiutare persone così lontane non dalla sensibilità e dal dramma, ma dalla conoscenza dei fatti come coloro che la stanno ascoltando ad avvicinarsi di più soprattutto mettendoci a disposizione il suo libro The canadian Holocaust, che per questo Comitato sarebbe importante avere. Mi pare che lei abbia anche ulteriore documentazione da lasciarci.
Le chiederei di trovare anche il filo che ci permetta di collegare uno stato informativo così lontano come quello dei suoi interlocutori di oggi con i fatti che ci avete raccontato, permettendoci di proseguire in questa conoscenza sulla quale ci avete guidato ad affacciarci.

KEVIN ANNETT, Rappresentante dell'associazione di nativi canadesi Friends and Relatives of Disappeared. Credo che il primo passo sia proprio l'ascolto dei testimoni e la diffusione dell'informazione. Noi abbiamo già documentato questa parte in larga misura. Il libro Hidden from history è attualmente in traduzione in italiano, ma posso lasciarne una copia ai nostri amici in modo che possano condividerla con voi, così come anche una copia del documentario.
L'altra cosa che vorrei sottolineare è che esistono due versioni della verità in Canada: la versione ufficiale e la versione non ufficiale. Da sacerdote, ho scelto di andare al fondo della questione per capire quello che la gente voleva comunicare. La versione ufficiale, diffusa dal Governo e dalle Chiese, è che si è preso atto della questione, c'è stato un risarcimento, ci sono state le scuse e la questione è sostanzialmente chiusa.
L'atteggiamento del mio popolo è di autocompiacimento: siamo contenti, abbiamo già risarcito le vittime e ci siamo scusati. Questo processo non ha però preso atto della gravità e dell'entità del crimine, del numero di bambini che sono morti, dell'importanza del semplice gesto di individuare le tombe, di restituire le spoglie alle famiglie per poter dar loro una degna sepoltura. Ma è un aspetto che nessun governo o autorità in Canada vuole affrontare anche se abbiamo lanciato ripetuti appelli. Questo è il motivo per cui riteniamo che la parte più grave del crimine debba essere portata a conoscenza di tutto il mondo e essere oggetto di un intervento internazionale a tutti i livelli.
Vorrei inoltre sottolineare la necessità di creare un raccordo tra noi e voi, per portare avanti la vostra procedura. Non capisco nulla della politica europea, non so cosa bisogna fare per portare avanti questo procedimento, ma sappiamo di avere tutti i mezzi e le informazioni per portare alla luce questa verità: ci rimettiamo alla vostra guida, alla vostra saggezza per capire come procedere.
Per me questo rappresenta soltanto il primo passo. Forniremo tutte le informazioni raccolte in quasi venti anni e forse troveremo un modo di lavorare insieme e dare piena efficacia a questo materiale, affinché si apra un'indagine a tutto campo e tutta la verità sia resa nota.

PRESIDENTE. Vi siamo molto grati. Esistono due aspetti: uno è quello politico, rispetto al quale probabilmente questo porterebbe a sensibilità diverse nei nostri stessi gruppi, dove troverebbe posizioni molto più vicine e posizioni probabilmente molto più fredde.
Per dare un senso a questo nostro incontro, è fondamentale consegnarci tutto il materiale, perché ci trovate attenti, interessati, emozionanti e assolutamente disinformati a proposito di quello che oggi,


Pag. 14

per merito vostro, abbiamo saputo. Nell'OSCE, di cui fa parte anche il Canada, potremmo avere l'occasione...

MATTEO MECACCI. Nell'OSCE ci sono anche colleghi canadesi e un ufficio che si occupa in quella sede dei diritti umani, in particolare di minoranze etniche o di popoli indigeni, quali rom, sinti e altre popolazioni. La questione dei nativi americani potrebbe essere inserita in quel contesto.

PRESIDENTE. Vi ringraziamo e vi siamo profondamente grati. Speriamo di ricevere quanto voi penserete che sia utile a partecipare della vostra conoscenza del problema. Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,30.

Consulta resoconti delle indagini conoscitive
Consulta gli elenchi delle indagini conoscitive