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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
28.
Martedì 13 aprile 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Colombo Furio, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI NEL MONDO

Audizione del commissario generale dell'United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East (UNRWA), Filippo Grandi:

Colombo Furio, Presidente ... 3 7 9 10
Barbi Mario (PD) ... 8
Boniver Margherita (PdL) ... 7
Grandi Filippo, Commissario generale dell'UNRWA ... 3 9
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sui diritti umani

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 13 aprile 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FURIO COLOMBO

La seduta comincia alle 13,05.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del commissario generale dell'United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East (UNRWA), Filippo Grandi.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle violazioni dei diritti umani nel mondo, l'audizione del commissario generale dello United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East (UNRWA), Filippo Grandi.
Ricordo che il Commissario Grandi ha assunto le attuali funzioni lo scorso 20 gennaio, dopo cinque anni di attività come vice commissario. La sua lunga esperienza potrà esserci dunque particolarmente utile.
Il suo curriculum è molto più ricco dell'impegno che svolge e ha svolto come vice responsabile, essendo stato prima responsabile dell'UNAMA in Afghanistan, dell'Alto Commissariato per i rifugiati in Afghanistan, dell'Alto Commissariato per le Nazioni Unite a Ginevra e con esperienze importanti anche in varie parti del mondo, soprattutto in Africa.
Siamo lieti di averla qui, la ringraziamo e le diamo volentieri la parola.

FILIPPO GRANDI, Commissario generale dell'UNRWA. Grazie di avermi invitato per questa audizione. Come evidenziato dal presidente, nel mese di gennaio sono stato nominato Commissario generale di questa Agenzia molto specifica del sistema delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati palestinesi, dopo una carriera di più di 22 anni nel sistema delle Nazioni Unite in diversi ambiti e in diversi posti, sia nel settore umanitario che in quello più politico.
Prima di illustrarvi i problemi che preoccupano maggiormente l'agenzia, vorrei presentarvi brevemente l'operato della nostra organizzazione, che non è molto conosciuto al di fuori della regione.
L'UNRWA è stata fondata nel 1949, quindi subito dopo il primo conflitto arabo-israeliano, per assistere coloro che erano fuggiti dal territorio su cui Israele aveva dichiarato la propria indipendenza. Si trattava allora di 7-800.000 persone (le cifre sono disputate), che con i loro discendenti sono oggi divenute 4.700.000. La zona di operazione della nostra agenzia copre non soltanto i territori palestinesi, ma anche la Giordania, la Siria e il Libano.
L'UNRWA è l'unica organizzazione del sistema delle Nazioni Unite che fornisce direttamente servizi ai propri beneficiari, cioè ai rifugiati. Si occupa in particolare di alcuni servizi: il sistema educativo, il sistema sanitario, il sistema di assistenza sociale ai più vulnerabili, e, in caso di


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conflitto, come a Gaza l'anno scorso o in Libano due anni fa, l'UNRWA fornisce anche servizi umanitari.
È una grande macchina. Impieghiamo circa 30.000 persone, quasi tutti locali, perché insegnano nelle scuole o curano i pazienti negli ambulatori. Le nostre scuole sono frequentate da quasi 500.000 bambini, dato abbastanza importante, e abbiamo 135-140 ambulatori nei territori in cui operiamo.
Non lavoriamo soltanto nei cosiddetti «campi di rifugiati», ovvero nei sobborghi della città che erano anticamente campi e che hanno mantenuto questa denominazione, ma lavoriamo anche per i rifugiati che vivono fuori dai campi e sono ormai la maggioranza.
Prima di parlarvi delle sfide correnti, vorrei rispondere subito ad alcune delle questioni solitamente poste. Ci viene chiesto innanzitutto se l'esistenza dell'UNRWA, di questa agenzia un po' anomala nel sistema delle Nazioni Unite, prolunghi un problema che potrebbe essere altrimenti risolto. La nostra risposta è che il problema dei rifugiati certamente esiste e va risolto, rappresenta uno dei dossier fondamentali del processo di pace e anche uno dei più difficili.
Per ragioni storiche, l'UNRWA non ha mandato sulla risoluzione di questo problema, a differenza di altre agenzie che hanno un mandato più politico. L'UNRWA ha esclusivamente il mandato, datole dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite e ribadito ogni anno, di fornire certi tipi di assistenza ai rifugiati mentre la questione viene dibattuta a livello politico.
Purtroppo, è una questione che si dibatte a livello politico da sessanta anni. Soluzioni sono state prospettate, pianificate, disegnate e quantificate molto frequentemente e in grande dettaglio, ma purtroppo non si è ancora trovata la volontà politica per affrontare di petto questo grosso problema. Nel frattempo, ovviamente continuiamo a fornire questi servizi.
Un'altra osservazione che spesso ci viene mossa è che l'UNRWA mantenga in un certo senso i rifugiati in uno stato di pre-sviluppo. Questo non è corretto, perché fornire l'educazione fino alla scuola media in tutti i settori di attività, e in Libano anche per le scuole superiori, rappresenta un contributo allo sviluppo umano di queste persone. Riteniamo che, se non ci fosse l'UNRWA, la situazione di questi rifugiati, che non godono di servizi statali alternativi, sarebbe ancora peggiore di quella attuale.
Un'altra percezione corrente è che l'UNRWA perpetui il proprio interesse impiegando solamente palestinesi. Impieghiamo palestinesi perché nelle scuole palestinesi hanno maggior facilità a insegnare agli studenti palestinesi. D'altro canto, a livello manageriale abbiamo uno strato di funzionari internazionali molto piccolo rispetto ad altre agenzie, circa 150 o 200 a seconda di come si contano, che si occupano della gestione e del coordinamento delle operazioni.
Per quanto riguarda le sfide più impellenti a cui dobbiamo far fronte, mi concentrerei soprattutto su tre aree. La prima è Gaza, dove abbiamo un terzo delle nostre operazioni e nei settori di nostra competenza ci occupiamo del 70 per cento della popolazione. Il problema fondamentale oggi è il blocco che impedisce l'accesso di alcuni prodotti, alcuni macchinari e alcune merci particolarmente importanti per la ricostruzione delle infrastrutture e delle case nella Striscia di Gaza non soltanto dopo il conflitto militare dell'anno scorso, ma anche a seguito dei conflitti che hanno interessato la Striscia di Gaza negli ultimi anni.
Il problema è complesso. Spesso mi viene chiesto se a Gaza vi sia una crisi umanitaria. La mia risposta è che la crisi presenta indubbiamente aspetti umanitari, anche se dobbiamo riconoscere al Governo israeliano buona volontà nel lasciare passare attraverso un valico, l'unico che funziona in questo momento, i prodotti umanitari di prima necessità, soprattutto cibo e medicine. Questo è un dato di fatto che va riconosciuto. Purtroppo, però, nonostante le trattative continuino e siano molto complesse e intense, non siamo ancora riusciti a convincere il Governo


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israeliano a consentire il passaggio di cemento o di altri materiali utili alla ricostruzione di case. Durante l'offensiva militare dello scorso anno, 60.000 abitazioni sono state interessate dal conflitto, ovvero distrutte o danneggiate in modo non rimediabile con soluzioni locali, che necessita quindi di cemento o di altri prodotti provenienti dall'esterno.
Durante la recente visita del Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, che ho accompagnato a Gaza qualche settimana fa, il Segretario generale ha annunciato di avere appreso dal Governo israeliano che almeno per alcuni progetti gestiti dalle Nazioni Unite sarebbero stati concessi i permessi per il passaggio dei materiali. Dopo la visita del Segretario generale, abbiamo avviato il negoziato con le autorità competenti del Governo israeliano, che speriamo prosegua in modo positivo, giacché nei giorni scorsi abbiamo avuto qualche piccolo successo, ma è difficile e faticoso.
La preoccupazione principale, comprensibile, del Governo israeliano è che questi materiali finiscano nelle mani di persone ostili, quali soprattutto Hamas, e possano quindi venir utilizzati in senso offensivo rispetto a Israele. Abbiamo fornito garanzie molto dettagliate al Governo israeliano, spiegando come i nostri sistemi di controllo ne impediscano l'utilizzo da parte di altri. Il Governo israeliano sta valutando queste proposte.
Il risultato del blocco non è una crisi umanitaria in senso tradizionale, ma una crisi che va oltre e ormai interessa un settore molto più vasto del «semplicemente umanitario». L'economia privata è completamente in ginocchio, come le infrastrutture, i servizi, le istituzioni e la psicologia stessa di una popolazione che si sente isolata e in stato di assedio.
L'aspetto forse più grave è che il blocco sui confini israeliani ha generato un'economia che dipende ormai quasi interamente dall'utilizzo di tunnel illegali, che sono però operati quasi alla luce del sole da parte di un'oligarchia di speculatori. Questi tunnel hanno generato un'economia considerevole, su cui sarebbe interessante fare uno studio dettagliato, e di cui beneficiano sostanzialmente pochi speculatori, questa piccola oligarchia spesso legata anche al regime di Hamas.
Riteniamo che, se il progetto israeliano di isolare la Striscia di Gaza a breve termine può avere qualche interesse dal punto di vista della sicurezza e del vantaggio politico, a lungo termine non garantisca la sicurezza dello Stato di Israele, punto su cui noi e il resto del sistema delle Nazioni Unite abbiamo maggiormente insistito nella trattativa con il Governo israeliano, appoggiati in questo dai Governi europei, compreso il Governo italiano, e dal Governo degli Stati Uniti.
La situazione in Cisgiordania è molto diversa. Il progetto del Primo Ministro Fayyad di non aspettare la pace per creare istituzioni, strutture e altri elementi di un futuro Stato comincia a dare frutti interessanti. La sicurezza è migliorata, aspetto riconosciuto anche dal Governo israeliano, e sono leggermente diminuiti gli ostacoli che tradizionalmente impediscono alla popolazione palestinese di muoversi attraverso la Cisgiordania.
Gli ostacoli però restano molti. Al loro numero massimo le Nazioni Unite contavano 634 fra posti di blocco e altre forme di ostacoli, che oggi sono scesi a 578. A voi queste parranno aride statistiche, ma sono vitali per le persone che devono recarsi all'ospedale, a scuola o a vendere i propri prodotti. Si tratta di una diminuzione positiva, anche se ancora molto ridotta e soprattutto non riguardante alcuni aspetti vitali, in particolare per quanto riguarda il movimento fra la Cisgiordania e Gerusalemme Est, in cui prevale negli ultimi due o tre mesi è prevalsa una situazione di grave tensione, con l'espansione delle zone colonizzate da alcuni gruppi israeliani e la continua difficoltà dei palestinesi a ottenere quei permessi di costruzione che servono loro per migliorare le proprie condizioni di vita a Gerusalemme Est.
Tale fortissima tensione ha avuto serie ripercussioni internazionali anche sul riavvio del processo di pace e si riverbera


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sull'insieme della diaspora palestinese nella regione e naturalmente oltre, nel mondo islamico.
In Libano abbiamo un'operazione numericamente più ridotta, perché ci sono circa 300-400.000 rifugiati palestinesi. Le statistiche ingannano perché la realtà è più complessa, ma si tratta comunque di una cifra considerevole in un Paese con poco più di 3 milioni di abitanti.
La situazione dei rifugiati palestinesi in Libano tradizionalmente è stata molto difficile. Le condizioni nei campi in cui vive circa un terzo della popolazione palestinese sono estremamente difficili. Ho lavorato personalmente con rifugiati in tutto il mondo e raramente ho visto condizioni di vita difficili come quelle di alcuni campi palestinesi, come a Shatila, nel famoso campo vicino a Beirut, e una situazione di diritti umani così limitati, come per quanto riguarda l'accesso al mercato del lavoro da parte dei rifugiati palestinesi.
Questa è una situazione storica in Libano, che ha radici profonde sia nel coinvolgimento della popolazione palestinese nella guerra civile, sia in un'ostilità che trae origine soprattutto da un settore della popolazione cristiana verso i palestinesi sunniti, che hanno anche un ruolo nel delicato equilibrio etnico e religioso del Paese.
Questo è il quadro complesso e difficile. Nella mia prima visita ufficiale come Commissario generale in Libano, però, ho avuto segnali molto positivi a questo riguardo da parte soprattutto del Primo Ministro Saad Hariri, che ho incontrato e che, senza neppure essere sollecitato, mi ha assicurato che avrebbe proseguito la politica cominciata già dal suo predecessore Fouad Siniora e mirata ad allargare cautamente, con la prudenza necessaria in questo caso, i diritti dei rifugiati palestinesi soprattutto riguardo al mercato del lavoro, e ad autorizzare l'UNRWA a migliorare le condizioni di vita nei campi attraverso una serie di progetti che abbiamo già cominciato.
Desidero aggiungere un'ultima annotazione libanese. Nel nord del Libano c'era un campo chiamato Nahr el Bared che è stato distrutto nel 2007 nel pesantissimo conflitto fra l'esercito libanese e un gruppo di militanti fondamentalisti che vi si erano annidati. Da allora, la mia agenzia è stata incaricata di ricostruire questo campo, un'impresa titanica, giacché si tratta di ricostruire una città dalle macerie per 30.000 persone. Dopo una lunghissima trattativa con le autorità libanesi e una prima iniezione di fondi, abbiamo potuto cominciare questa ricostruzione nel novembre dell'anno scorso.
Vorrei concludere con qualche annotazione concernente un'altra sfida importante a cui purtroppo, come molte agenzie delle Nazioni Unite, anche l'UNRWA deve far fronte. Si tratta dei finanziamenti e della situazione finanziaria.
L'UNRWA opera con un budget annuale che nel 2010 ammonta a 583 milioni di dollari, circa 450-500 milioni di euro. Questo è il budget ordinario. Il 95 per cento di questo budget è finanziato attraverso contributi volontari degli Stati. Non godiamo quindi come le operazioni di peacekeeping di contributi obbligatori degli Stati. Il mio lavoro come Commissario generale consiste quindi nel viaggiare per il mondo per raccogliere fondi dai Governi.
Abbiamo soprattutto il forte sostegno americano e della Commissione europea, nostri grossi donatori. Purtroppo, le proiezioni finanziarie per il 2010 mostrano la forte probabilità di un grosso deficit, giacché ammontano a 442 milioni di dollari, quindi circa il 25 per cento di deficit.
Questo non permetterà di effettuare alcun investimento nella qualità dei nostri programmi, che pure è molto importante soprattutto in campo educativo, e, se questo deficit non sarà almeno parzialmente colmato, indurrà a ridurre una parte dei programmi. Ciò è molto pericoloso anche politicamente. Una riduzione anche minima dei programmi dell'UNRWA verrà vista dalla popolazione palestinese come un tentativo di seppellire la questione rifugiati e di eliminarla dal quadro politico, come ho già sentito più volte nel mio primo giro inaugurale nella regione. Tagliare significherà necessariamente privare


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di servizi essenziali queste popolazioni già penalizzate, ma anche dare un segnale politico negativo, che consideriamo inopportuno in questo momento di delicata transizione politica, di riavvio del processo di pace.
Questo mi porta a considerare infine con rammarico come uno dei Paesi che è stato parte di questo problema finanziario sia l'Italia. Come altre organizzazioni del sistema delle Nazioni Unite, infatti, siamo vittime del drammatico taglio dei fondi alla cooperazione internazionale. Questa mattina ho avuto un incontro con il ministro Belloni, direttore generale della Direzione generale della cooperazione allo sviluppo, che mi ha delineato un quadro estremamente preoccupante.
Come vecchio funzionario delle Nazioni Unite che ha lavorato per 25 anni in questo sistema, è la prima volta che la situazione si presenta così drammatica. È un problema molto serio, direttamente mio e nostro nel senso che purtroppo i nostri contributi sono già la metà di quelli del 2008. Questa è la proiezione dei contributi italiani quest'anno e le prospettive per l'anno prossimo non sono molto buone.
Se posso permettermi, è anche un'opportunità mancata. Vi posso assicurare che altri Paesi, che hanno a capo di un'agenzia dell'ONU un loro concittadino con il grado di Sottosegretario generale delle Nazioni Unite, non mancherebbero l'opportunità di appoggiarlo e di segnalare che il suo Paese lo appoggia negli sforzi di far funzionare meglio un'agenzia importante.
Desidero segnalarvi questo con rammarico, perché avrei voluto evitare di parlarne, ma non posso esimermi dal farlo. Domani, incontrerò sia il Presidente della Camera, sia il Ministro degli esteri cui riferirò lo stesso messaggio.
Faccio appello anche a voi che avete un'importante voce in capitolo perché i nostri bisogni e soprattutto i bisogni di questo importante elemento nel quadro geopolitico del Medioriente vengano presi in seria considerazione.

PRESIDENTE. Grazie, dottor Grandi. Il suo intervento è stato estremamente utile per la nostra Commissione per capire, sapere e conoscere, e in particolare per quest'ultimo punto, che è di speciale gravità perché ci coinvolge direttamente e ha a che fare, più che con la politica estera, con l'immagine stessa che il nostro Paese intende avere e presume di avere quando si tratta di problemi e situazioni di questo genere.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

MARGHERITA BONIVER. Ho ascoltato con enorme interesse la relazione del dottor Grandi. Quanto ha raccontato di fronte al nostro Comitato rinforza la convinzione di trovarci di fronte a un quadro catastrofico per quanto riguarda non solo la situazione dei profughi, ma soprattutto lo stallo apparentemente invalicabile dei colloqui o della riesumazione di quello che rimane del peace plan, in particolare dopo la recente visita del Vicepresidente Biden in Israele.
Le sue parole sono assolutamente condivisibili. Quanto ha appena detto sulla situazione dei profughi in Libano dovrebbe essere preso come un segnale positivo, come da lei evidenziato, laddove una visita a Sabra e Shatila è quanto di più angoscioso si possa immaginare. Avevo visto i campi negli anni Ottanta, subito dopo la distruzione da parte delle milizie, e li ho rivisti qualche tempo fa, constatando il loro impressionante peggioramento. È incredibile che, a distanza ormai di vent'anni dai fatti della fine degli anni Ottanta, ai profughi palestinesi sia imposta una lunga lista di dinieghi per l'accesso al mondo del lavoro; sono circa 75-80 i mestieri che i profughi palestinesi non possono svolgere. Questo significa che vivono di carità, arrangiandosi, e questo è un brodo di cultura per l'estremismo.
Anche a Gaza, quando addirittura i mattoni diventano negoziabili, ci si confronta con una situazione umanitaria durissima per la popolazione, che da un lato


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si trova flagellata da una leadership politica estremista, che non sembrerebbe andare da nessuna parte, salvo forse prepararsi per altre azioni terroristiche, dall'altro da questa situazione di stallo per cui tutto sembra assolutamente inamovibile.
In questo quadro assolutamente disastroso e poco rassicurante, presumo che l'Italia continuerà a compiere il suo dovere dal punto di vista contributivo, se non altro. Lei ha citato questa cifra di 583 milioni di dollari, cifra estremamente esigua per il tipo di lavoro che svolgete e soprattutto per questo plateau di rifugiati, che sono passati da 800.000 a più di 4 milioni, anche questa fotografia del disastro negoziale. Ci chiediamo infatti come sia possibile che a distanza di sessanta anni ci siano 4 milioni di rifugiati, che evidentemente sono stati allevati a fare i rifugiati. Qui le implicazioni politiche anche dei Paesi confinanti sono molto pesanti. Siamo però qui non per fare un dibattito politico, ma per fotografare il lavoro di una delle più antiche agenzie dell'ONU, una delle due a guida italiana.
Mi auguro che il suo colloquio alla Farnesina e con il Presidente della Camera abbia esito positivo. Naturalmente, compiremo la nostra parte per ovviare a questi tagli mostruosi; all'interno della Commissione affari esteri è sempre stato adottato un atteggiamento bipartisan per cercare di tappare queste falle. Mi auguro, comunque, che i suoi colloqui siano coronati da un minimo di successo. Le posso assicurare che, per quello che riguarda il mio Gruppo, faremo la nostra parte.

MARIO BARBI. Vorrei chiedere cortesemente al Commissario Grandi di spendere qualche parola anche sulla Giordania, che mi pare sia rimasta fuori dalla sua esposizione, mentre invece ospita poco meno della metà dei rifugiati palestinesi.
Per quanto riguarda in secondo luogo la questione finanziaria e l'Italia, come rilevato dall'onorevole Boniver, questo Comitato ha piena consapevolezza della criticità e dello stato di grave ritardo da parte del nostro Paese in più di una situazione, compresa quella che lei ci segnala, nel corrispondere a impegni sia obbligatori, sia volontari. Per quanto riguarda l'opposizione che in questo caso rappresento, c'è consonanza nel segnalare al Governo quanto questi tagli siano insostenibili dal punto di vista dell'impegno, dell'immagine, del ruolo che il nostro Paese vorrebbe svolgere. Mi associo quindi e confermo l'impegno comune perché il nostro Paese faccia fronte agli impegni assunti e finora mantenuti anche per quanto riguarda il campo in cui lei è attivo.
Le chiederei maggiori informazioni sui finanziamenti. Ha citato gli Stati Uniti e l'Unione europea, non ha citato nessun Paese arabo, mentre non mancano Paesi con risorse ingenti da destinare a fini di assistenza umanitaria quale quello dei rifugiati palestinesi.
Effettivamente, la questione è talmente incancrenita da apparire insolubile. Lei ha sottolineato in premessa di non avere un mandato politico, mentre la questione del negoziato politico è dirimente e necessaria per immaginare una prospettiva di soluzione. Non è il tema sul quale lei può fornirci soluzioni o prospettive.
Poiché si è passati da 700.000 a 4.700.000 rifugiati di cui più della metà in Paesi esterni a quelli dei territori strettamente palestinesi, quindi Gaza e la Cisgiordania, che quindi vivono in uno status apolide, di rifugiati con diritti limitati, vorrei conoscere le prospettive di inserimento, di integrazione, di cittadinanza all'interno del mondo dei rifugiati, che la collega Boniver con pertinenza segnalava come un mondo che tende a riprodursi, ad ampliarsi, perseguendo anche un obiettivo che ha contenuti politici dal punto di vista della questione nazionale palestinese. Mi chiedo se all'interno di questo mondo esistono tendenze e visioni di diversa soluzione della questione, perché ora, a 58 anni, ricordo che quando ero poco più che bambino nella mia casa girava un 33 giri per il finanziamento dei rifugiati palestinesi curato dalle Nazioni Unite, dei cui interpreti non ricordo il nome, ma ricordo come fossero artisti di chiara fama provenienti


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da tutto il mondo che collaboravano per renderlo commerciabile non solo in Occidente.

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Grandi per la replica.

FILIPPO GRANDI, Commissario generale dell'UNRWA. Ringrazio entrambi gli onorevoli per avere posto domande importanti.
Onorevole Boniver, la ringrazio ed esprimo una piccola nota personale. Ho cominciato a lavorare in questo ambito come volontario di Amnesty International quando lei era presidente nazionale. Lei ha quindi avuto un ruolo nella mia vocazione, per cui devo ringraziarla con grande ritardo.
Ringrazio entrambi per avere sollevato due questioni molto importanti. Una è la relazione di tutta questa problematica con il negoziato politico, perché può essere vista soprattutto da voi soltanto in quel contesto bloccato. Mi permetto di fare una rapida digressione al di là del mio mandato evidenziando l'importanza di continuare a incoraggiare le parti a riavviare il negoziato attraverso i cosiddetti proximity talk, il dialogo indiretto che dovrebbe rappresentare il primo passo verso la ripresa di un dialogo diretto.
Qualche giorno fa, al vertice arabo a Sirte, il Segretario generale ha sollevato con grande insistenza questo punto anche con i Paesi arabi, che, anche per fiducia verso l'attuale amministrazione americana, stanno spingendo i palestinesi in quella direzione. Tutto questo quindi è bloccato, ma c'è uno spiraglio su cui bisogna insistere.
La soluzione del problema dei rifugiati - giusto o sbagliato che sia - ormai si può solo iscrivere in quel negoziato. Il problema dei rifugiati insieme a quello di Gerusalemme, dei confini, delle colonie, della sicurezza, dell'acqua è diventato uno dei dossier fondamentali che vanno risolti.
Ho lavorato venticinque anni con i rifugiati, onorevole Barbi, e non ho mai visto una situazione di rifugiati dove le soluzioni fossero così esaurienti, complesse e studiate come in questo caso, in cui c'è un'intera biblioteca di soluzioni del problema, ma bisogna avere la volontà politica di prendere una scala e di scegliere quale libro mettere in atto, cosa molto complessa. La soluzione sarà un menu di scelte fra compensi, forse qualche ritorno, ritorni nella cosiddetta madrepatria, cioè non più in Israele, bensì nei territori che diventeranno lo Stato palestinese. Parlo con prudenza perché la situazione è estremamente difficile, complessa e sensibile.
È chiaro che ci saranno diverse soluzioni. Noi non promuoviamo una soluzione, ma evidenziamo l'esigenza che questa rifletta le vedute, se non i desideri, dei rifugiati. Quando finalmente si disegnerà una soluzione al problema, sarà importante consultare anche i rappresentanti dei rifugiati, perché senza la loro partecipazione, senza la loro ownership qualsiasi soluzione sarà molto fragile.
Questo esame della situazione dei rifugiati è stato condotto all'infinito, e all'interno della comunità ci sono opinioni diverse, costruttive, che dovrebbero essere maggiormente consultate.
L'altro punto su cui l'onorevole Boniver si è soffermata, l'estremismo, ci inquieta molto. Non è un pericolo limitato soltanto a Gaza. Nei campi in Libano esistono focolai importanti, anche se credo che la stampa li amplifichi più del necessario. In posti nei quali le condizioni sono quelle da lei descritte e ancora simili a quelle degli anni Ottanta, le condizioni di vita miserabili non favoriscono certo la moderazione. Non amo porre l'agenzia che dirigo come un baluardo contro l'estremismo, perché questo non è nostro compito, ma è chiaro che, attraverso il nostro sistema educativo, ci facciamo anche portatori di valori e di insegnamenti moderati. Noi inseriamo per esempio dappertutto un curriculum aggiuntivo sui diritti dell'uomo, mentre nelle scuole degli Stati in cui operiamo questo non avviene.
Non ho menzionato Giordania e Siria perché sono Paesi relativamente stabili, nei quali le nostre operazioni possono essere condotte relativamente senza ostacoli.


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Abbiamo problemi finanziari in questi due Paesi come ovunque, ma non abbiamo problemi di tipo politico e militare come altrove.
L'UNRWA viene spesso vista come un'agenzia che mantiene appunto i rifugiati in uno stato di pre-sviluppo o come un'agenzia esclusivamente umanitaria. In Giordania e in Siria, invece, abbiamo lanciato una serie di progetti molto avanzati, che non definiamo di sviluppo perché, finché non ci sarà questa famosa soluzione politica, i rifugiati non potranno essere completamente integrati nei Paesi d'asilo.
Si tratta di progetti che mirano a migliorare l'impiego dei giovani, questione importantissima anche in questi due Paesi, o a dare loro una formazione professionale migliore. Puntiamo molto sulla nuova generazione, che è anche più esposta alle tentazioni fondamentaliste. In questi Paesi abbiamo più spazio per farlo proprio perché sono più stabili.
L'onorevole Barbi mi ha posto una domanda sui finanziamenti arabi. I Paesi arabi hanno un atteggiamento complesso nei confronti del problema palestinese. L'antica posizione politica dei Paesi arabi, secondo cui il problema dei rifugiati era stato creato dall'Occidente e doveva essere risolto e finanziato dall'Occidente, si sta evolvendo. Nell'ufficio del Presidente Assad in Siria si è svolto un dibattito che mi ha sorpreso moltissimo, nel quale i suoi ministri davanti a lui e quindi senz'altro da lui autorizzati hanno evidenziato l'esigenza di evolvere oltre questa posizione, perché l'UNRWA ha bisogno di fondi e quindi dobbiamo sollecitare i donatori arabi a finanziare l'UNRWA.
Lo scorso anno, abbiamo ricevuto quasi 100 cento milioni di dollari dai Paesi arabi, ma la maggior parte dei finanziamenti arabi vanno non al nostro bilancio ordinario, ma a progetti speciali con maggior visibilità e urgenza, più affini al sistema di assistenza che prevale nei Paesi arabi. Abbiamo un'unità che opera solo su quei donatori e stiamo facendo progressi.
L'onorevole Boniver parlava dei capi di agenzia. Oggi, ce ne sono due, ma Antonio Maria Costa sta per ritirarsi dalla sua agenzia, per cui sarò l'unico capo di agenzia italiano rimasto.
Durante il weekend, mi sono recato a Villa d'Este sul lago di Como per partecipare a un seminario promosso dall'Istituto Aspen e presieduto dal Ministro Tremonti su come valorizzare gli italiani all'estero che hanno avuto successo. Sono state avanzate proposte estremamente interessanti, ma senza risorse è molto difficile realizzarle, soprattutto in campo pubblico.
L'anno scorso, quando ero ancora vice commissario, sono stato invitato a un'audizione alla Commissione diritti umani del Senato e li incontrerò di nuovo. Ho concluso quell'audizione rivolgendo alla Commissione un invito a visitare la regione, invito che è stato accolto. Abbiamo avuto una visita molto gradita da parte nostra e spero molto utile per loro. Mi permetto di rivolgere lo stesso invito al vostro Comitato. Saremmo felici di organizzare una visita anche a Gaza o in altre zone in cui operiamo.

PRESIDENTE. Le siamo molto grati sia per la testimonianza che ha reso in questa audizione sia per l'invito che ci onora e che sarebbe o sarà - speriamo - utilissimo al nostro lavoro, ricordandole che la Commissione del Senato è autonoma rispetto alla Commissione affari esteri, mentre noi siamo l'equivalente di un subcommittee americano. Passeremo quindi il graditissimo invito alla Commissione affari esteri, che potrà eventualmente accoglierlo nell'ambito della Commissione affari esteri. Le siamo comunque sin d'ora profondamente grati.
Nel ringraziare nuovamente il nostro ospite, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13,50.

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