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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissioni Riunite
(III e IV)
12.
Martedì 26 gennaio 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Cirielli Edmondo, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME, IN SEDE REFERENTE, DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 1213 CIRIELLI, C. 1820 GAROFANI, C. 2605 DI STANISLAO E C. 2849 MAURIZIO TURCO, RECANTI «DISPOSIZIONI PER LA PARTECIPAZIONE ITALIANA A MISSIONI INTERNAZIONALI»

Audizione del vicesegretario generale vicario del Ministero degli affari esteri, ministro plenipotenziario Carlo Oliva:

Cirielli Edmondo, Presidente ... 3 5 6
Corsini Paolo (PD) ... 5
Oliva Carlo, Vicesegretario generale vicario del Ministero degli affari esteri ... 3 6
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.

COMMISSIONI RIUNITE
III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI) E IV (DIFESA)

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 26 gennaio 2010


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA IV COMMISSIONE EDMONDO CIRIELLI

La seduta comincia alle 13,10.

(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del vicesegretario generale vicario del Ministero degli affari esteri, ministro plenipotenziario Carlo Oliva.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva relativa all'esame, in sede referente, delle proposte di legge C. 1213 Cirielli, C. 1820 Garofani, C. 2605 Di Stanislao e C. 2849 Maurizio Turco, recanti «Disposizioni per la partecipazione italiana a missioni internazionali», l'audizione del vicesegretario generale vicario del Ministero degli affari esteri, ministro plenipotenziario Carlo Oliva.
Do la parola al nostro ospite per lo svolgimento della relazione.

CARLO OLIVA, Vicesegretario generale vicario del Ministero degli affari esteri. Signor presidente, ringrazio lei e tutti i deputati delle Commissioni riunite esteri e difesa, soprattutto per aver ritenuto opportuno consentire anche al Ministero degli affari esteri di esprimere il proprio parere e di formulare le proprie considerazioni su uno strumento normativo di importanza particolare per la nostra politica estera, qual è il decreto missioni, nella prospettiva della definizione di una legge quadro in materia.
Il decreto missioni nasce come uno strumento per rispondere a esigenze di carattere principalmente militare, legate alla partecipazione italiana a missioni internazionali in teatri di crisi costituite sotto l'egida di organizzazioni internazionali, quali le Nazioni unite, la NATO e l'Unione europea.
Con il tempo, però, è maturata la consapevolezza del ruolo crescente e decisivo che nell'ambito di tali missioni è svolto dalle attività di cooperazione civile, di competenza quindi del Ministero degli affari esteri. Di tale consapevolezza lo stesso Parlamento si è più volte fatto interprete, attraverso efficaci e tempestivi interventi normativi che hanno consentito un raggiungimento di risultati di particolare rilievo.
L'esperienza maturata conferma, quindi, pienamente quanto tale visione sia stata lungimirante. È grazie alle disposizioni e agli stanziamenti stabiliti nei diversi decreti missioni che il Ministero degli affari esteri ha potuto adottare e porre in essere iniziative di ampio respiro in teatri di crisi particolarmente complessi, consentendo alla cooperazione italiana di disporre delle risorse necessarie per realizzare progetti volti a favorire la stabilizzazione di tali aree.
Gli interventi di cooperazione, complementari alla presenza militare, si configurano quindi, allo stato attuale, come un elemento essenziale dell'azione politica. Le


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iniziative della nostra cooperazione sono volte primariamente alla riduzione delle cause profonde dell'instabilità, che vedono nelle situazioni di povertà e di degrado istituzionale veri e propri camere di incubazione di radicalismo e di violenza.
In questo contesto e con tali finalità abbiamo agito e continuiamo ad agire in Paesi quali l'Afghanistan, il Pakistan, l'Iraq, il Libano, il Sudan e la Somalia.
La nostra azione, quindi, è basata su un approccio sinergico e complementare tra le diverse componenti della presenza italiana, per far sì che esse possano più efficacemente contribuire allo sforzo della comunità internazionale, volto alla stabilizzazione delle aree di crisi. Tale obiettivo strategico evidentemente può essere raggiunto e consolidato solo quando condizioni di sicurezza, processo politico e inclusione socioeconomica sono tutte al contempo presenti e si rinforzano a vicenda.
Le condizioni di sicurezza rappresentano indubbiamente un requisito necessario per il processo politico e lo sviluppo, ma a loro volta sono sostenibili e potranno essere assicurate in maniera crescente nella misura in cui le autorità nazionali saranno percepite come in grado di assicurare un tangibile miglioramento delle condizioni di vita della popolazione e sapranno così guadagnarne il consenso.
La cooperazione civile si inquadra, in un contesto di sinergia con il processo politico e con l'azione volta a ristabilire condizioni di sicurezza, nell'ambito di un coordinamento internazionale e di ownership nazionale. La strategia attuativa dell'azione di cooperazione civile deve, di conseguenza, essere orientata a sostenere processi di sviluppo socioeconomico che consentano la diffusione e il miglioramento qualitativo dei servizi di base, l'incremento delle potenzialità di impiego e, quindi, di reddito e il sostentamento di una quota quanto più elevata possibile della popolazione.
È necessario che siano fornite alla popolazione alternative di reddito lecite, rispetto a quelle illecite, aiutando le autorità nazionali ad arginare le infiltrazioni devianti e, quindi, ad affermare la stabilità e garantire la sicurezza. In tale contesto, risulta decisivo il ruolo di alto profilo che giocano le professionalità civili specializzate che tradizionalmente affiancano la nostra attività di cooperazione.
Lo strumento del decreto missioni appare, di conseguenza, il più idoneo per rispondere anche ad altre due esigenze. La prima è quella di consentire il necessario raccordo con specifiche iniziative: mi riferisco, ad esempio, al finanziamento dei vari trust fund, fondi fiduciari, posti in essere dalla comunità internazionale nell'ambito delle operazioni internazionali di gestione delle crisi. La seconda è costituita dalla necessità di porre in essere quelle misure che si rivelino opportune per la tutela dei cittadini e degli interessi italiani in territori bellici o ad alto rischio, provvedendo altresì ad interventi per consentire il corretto funzionamento delle sedi diplomatiche e consolari, caratterizzate da condizioni ambientali e di sicurezza particolarmente difficili e delicate.
A quest'ultimo riguardo, non mi sembra superfluo sottolineare come l'attività delle componenti civili delle nostre missioni all'estero si caratterizzi indubbiamente per un elevato livello di rischio. È dunque necessario assicurare agli interventi di cooperazione nelle aree di crisi regole derogatorie alla normativa generale, che consentano di aumentare la tempestività e l'efficacia dell'aiuto in contesti caratterizzati da notevoli difficoltà operative.
Tali regole derogatorie, inserite negli ultimi decreti missioni, dovrebbero trovare in parte una loro sistematizzazione grazie alle disposizioni di cui all'articolo 13 della legge n. 69 del 2009, sull'internazionalizzazione delle imprese. Tale articolo prevede, infatti, che il Ministro degli affari esteri possa emanare con proprio decreto attuativo, che attualmente è in corso di definizione, le regole procedurali per questo tipo di interventi.
Per poter adeguare tempestivamente iniziative di cooperazione a una realtà in continua evoluzione, si rende soprattutto necessaria una maggiore flessibilità nell'organizzazione delle strutture e nelle procedure di stipulazione di contratti pubblici,


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ad esempio - cito le più significative - la possibilità di reclutare rapidamente personale estraneo alla pubblica amministrazione, dotato di specifiche professionalità, per periodi temporali limitati, la speditezza nelle procedure di gara, la possibilità di concedere anticipazioni a soggetti affidatari di contratti pubblici, la possibilità di utilizzare gli stanziamenti per più esercizi finanziari, l'introduzione di norme più flessibili di gestione dei fondi accreditati.
Sarebbe, inoltre, importante che il regime degli interventi di cooperazione nelle aree di crisi possa disporre di una più estesa pianificazione temporale, e ciò per diversi ordini di motivi. In primo luogo, la stabilità nel tempo degli interventi accresce la capacità di programmazione dell'amministrazione, evitando la rinegoziazione del quadro ordinamentale ad ogni scadenza di ogni decreto missioni e riducendo, quindi, la possibilità di divergenze interpretative con gli organi di controllo.
In secondo luogo, gli interventi civili si collocano generalmente in orizzonti di medio-lungo periodo, comportando l'assunzione di impegni di ampio respiro, soprattutto nei confronti delle controparti locali. Un sistema di pianificazione finanziaria più efficace, pertanto, oltre a consentire una maggiore prevedibilità di spesa, garantirebbe anche una migliore pianificazione strategica.
A questo riguardo, vorrei anche concordare con quanto è stato già sottolineato, nel corso della sua recente audizione, dal capo di stato maggiore della Difesa, generale Camporini, circa l'importanza che fondi stanziati nel quadro del decreto missioni possano essere resi disponibili al più presto possibile, pur nella consapevolezza delle difficoltà di carattere amministrativo e burocratico legate alle procedure per l'impiego delle risorse finanziarie dello Stato.
In definitiva, la centralità delle missioni di pace per la politica estera nazionale e l'entità dell'impegno finanziario che esse comportano, possono consigliare quindi l'adozione di uno strumento normativo che consenta anche alle strutture del Ministero degli affari esteri accresciute flessibilità ed efficacia operativa.
La legge quadro sulle missioni internazionali dovrebbe, in particolare, fornire al nostro Paese uno strumento adeguato, alla portata delle responsabilità che esso è chiamato ad assumere nei confronti della comunità internazionale.
L'Italia, come sapete bene, è unanimemente riconosciuta come partner altamente qualificato ed affidabile nella gestione dei processi di stabilizzazione delle aree di crisi. Ciò vale, altresì, in risposta alle crescenti sfide cui l'Italia, insieme agli altri Paesi dell'Unione europea, è chiamata a rispondere a seguito dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona che, oltre ad aver apportato importanti cambiamenti nell'assetto istituzionale della PESC e della PESD, conferma le missioni civili e militari quale strumento essenziale della politica estera dell'Unione.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro Oliva per la sua relazione.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

PAOLO CORSINI. Innanzitutto vorrei ringraziare il ministro Oliva per la sua sintetica presentazione, che mi pare offra comunque un quadro sufficientemente delineato nei suoi snodi problematici di fondo.
Personalmente mi sento di condividere l'impianto della riflessione proposto. Tuttavia, c'è un punto sul quale vorrei da lei un approfondimento e una valutazione anche di carattere personale. Il tema è quello del rapporto tra le missioni di pace - missioni che evidentemente contemplano una presenza militare organizzata, peraltro rispondente alle necessità di equilibri internazionali e di ottemperamento di trattati, convenzioni o rapporti politici - e la dimensione dell'impegno sul piano della vita civile, in particolare nell'evocazione delle esperienze di cooperazione allo sviluppo.
Credo che appartenga a una consapevolezza ormai da tutti condivisa l'esistenza


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di un nesso estremamente forte tra queste due dimensioni. Tale nesso può essere caratterizzato da un collante che definirei «politica». È la politica il luogo della responsabilità in ordine alla coniugazione tra l'aspetto che attiene alla presenza militare organizzata e, contemporaneamente, alla predisposizione di iniziative di cooperazione allo sviluppo o di sostegno delle forme di vita civile, di organizzazione sociale ed economica dei Paesi nei quali la presenza italiana - e che il nostro Governo garantisce - è richiesta.
Le chiedo, dunque, come vede la possibilità di una coniugazione più stretta e più diretta tra le responsabilità che competono al Ministero della difesa e quelle che competono al Ministero degli affari esteri. Non c'è il rischio di una divaricazione o di una sovrapposizione? È possibile ipotizzare un luogo di compensazione, di confronto, che nella predisposizione delle misure tenga conto di tutte e due le facce del problema?

PRESIDENTE. Do la parola al ministro Oliva per la replica.

CARLO OLIVA, Vicesegretario generale vicario del Ministero degli affari esteri. Innanzitutto concordo pienamente con le sue considerazioni iniziali. È forte e sarà sempre più forte il nesso tra le missioni di pace e la dimensione civile delle stesse. Proprio domani il Ministro Frattini sarà a Londra per partecipare alla conferenza convocata dal Governo britannico in cui si parlerà anche di Afghanistan. L'Italia, in questo contesto, presenterà un'iniziativa per rafforzare la componente politica, di «pace», dell'iniziativa internazionale.
È evidente che, in una situazione particolarmente delicata come l'Afghanistan, non si può prescindere da un'azione anche militare, di peace-keeping o addirittura di peace-enforcing, ma in questo contesto deve esserci un nesso sempre più stretto tra iniziative politiche e di cooperazione.
Ritornando all'esempio dell'Afghanistan, come è noto, anche nell'ambito dell'azione militare vi è una componente civile, la cosiddetta attività CIMIC. Presso il Ministero è attivato un tavolo per far sì che l'attività di cooperazione civile, ovviamente preponderante, portata avanti dal Ministero degli affari esteri, e l'attività di cooperazione civile portata avanti, sia pure in dimensione ridotta, dalla componente militare, siano strettamente coordinate.
Importante, a mio avviso, non è soltanto la dimensione della cooperazione civile, ma anche il fatto che questo intervento avvenga in stretto coordinamento con le autorità locali e, come ho accennato nella mia breve relazione, rafforzando la ownership delle autorità locali.
Dobbiamo andare in questi Paesi non per fare quello che vogliamo noi, ma per fare quello che le autorità locali desiderano che venga fatto e che loro non sono in grado a volte di fare.
Non per nulla, ad esempio nei Balcani è stata svolta una notevole attività di institution building - non è il caso dell'Afghanistan, dove esiste comunque un'autorità centrale più o meno forte in tutto il territorio, un Governo democraticamente eletto - da parte del Ministero degli affari esteri.
È necessario creare in loco le strutture in grado di portare avanti questi processi di pacificazione. Per il resto, concordo pienamente con le considerazioni dell'onorevole Corsini.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro Oliva per la sua disponibilità a intervenire a questa audizione con la quale si conclude la presente indagine conoscitiva.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13,25.

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