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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissioni Riunite
(III e VII)
2.
Mercoledì 20 luglio 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Aprea Valentina, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA PROMOZIONE DELLA CULTURA E DELLA LINGUA ITALIANA ALL'ESTERO

Audizione di direttori degli Istituti italiani di cultura all'estero:

Aprea Valentina, Presidente ... 3 5 6 10 12 13 15 16
Barbieri Emerenzio (PdL) ... 10
Centemero Elena (PdL) ... 11
Colombo Furio (PD) ... 13
Di Lella Giuseppe, Già direttore dell'Istituto italiano di cultura a Madrid ... 7 15
Levi Ricardo Franco (PD) ... 12
Narducci Franco (PD) ... 13
Palestini Melita, Direttore dell'Istituto italiano di cultura ad Atene ... 3 15
Porta Fabio (PD) ... 12
Rummo Rossana, Direttore dell'Istituto italiano di cultura a Parigi ... 8 16
Schirmo Salvatore, Direttore dell'Istituto italiano di cultura a Barcellona ... 5 15
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A.


III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI) E VII (CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE)

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 20 luglio 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA VII COMMISSIONE VALENTINA APREA

La seduta comincia alle 14,45.

(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di direttori degli Istituti italiani di cultura all'estero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla promozione della cultura e della lingua italiana all'estero, l'audizione di direttori degli Istituti italiani di cultura all'estero.
È presente il vicepresidente della Commissione affari esteri e comunitari, Franco Narducci.
Saluto la professoressa Melita Palestini, direttore dell'istituto italiano di cultura ad Atene, il professor Salvatore Schirmo, direttore dell'istituto italiano di cultura a Barcellona, la professoressa Rossana Rummo, direttore dell'istituto italiano di cultura a Parigi e il professor Giuseppe Di Lella, già direttore dell'istituto italiano di cultura Madrid.
Darei subito la parola agli auditi. Seguirà un breve confronto con i parlamentari.
Voi sapete che oggi abbiamo una seduta molto delicata e vi chiederemmo di concludere entro un'ora perché abbiamo bisogno di raggiungere l'Aula quindici minuti prima dell'inizio. Se ci fornirete delle linee essenziali, avremo modo di confrontarci anche in momenti successivi.

MELITA PALESTINI, Direttore dell'Istituto italiano di cultura ad Atene. Innanzitutto, vorrei ringraziare di quest'opportunità che viene data dalle Commissioni III e VII alla cultura italiana all'estero, affinché noi operatori sul campo possiamo riferire sulle nostre esperienze ed eventualmente fornire delle indicazioni concrete su come si sviluppa il nostro lavoro.
So benissimo che l'onorevole Ministro Franco Frattini è già venuto il 6 luglio e ha illustrato, in una panoramica completa, l'attività degli istituti di cultura, le loro funzioni istituzionali, ma soprattutto anche, come vedrebbe il ministro, che ha conservato per se stesso la politica della diplomazia culturale, le nuove strategie e il conseguente cambiamento anche sulla base delle riforme in attuazione.
Accolgo il suo invito, presidente, e la ringrazio di averci convocato per confermare innanzitutto, in maniera molto sintetica, il nostro ruolo di diplomazia culturale, soprattutto dopo che presso il Ministero degli affari esteri è stato apportato il cambiamento per il quale la direzione centrale delle «culturali» viene a far parte di una direzione più ampia, quella della direzione generale del sistema Paese.
Avrei una puntualizzazione da fare proprio su quest'ultimo concetto. Ormai sono una veterana, posso dire di essere nata e cresciuta negli istituti di cultura e ho


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avuto esperienze in vari Paesi, dell'America latina, dell'Europa e, attualmente, ad Atene. Sul campo ho potuto osservare e abbiamo applicato già quello che il ministro indica come sistema Paese. Con la critica situazione finanziaria che colpisce l'Europa e il mondo, è ovvio che non ci si debba aspettare un finanziamento dalla sede centrale del Ministero degli affari esteri, questa è già per noi una regola, per cui nel nostro lavoro applichiamo di fatto il principio del sistema Paese.
Citavo prima un Paese come il Brasile, dove sarà noto che le collettività italiane sono molto importanti e presenti: ciò che, dunque, il Ministro Frattini indicava come strategia di tener conto delle realtà geografiche va sicuramente tenuta presente perché, personalmente, non posso applicare le stesse strategie che applicavo, per esempio, in Brasile ora che sono in Grecia, un Paese che, come vi è noto, ha grandissimi problemi a livello economico e sociale. La Grecia è un Paese in cui, naturalmente, la strategia deve cambiare, ma in cui l'amore per l'Italia e la cultura italiana è molto profondo.
I Greci vedono, infatti, nella nostra evoluzione culturale la loro proiezione, come se l'Italia avesse raccolto il testimone e trasportato la cultura classica, verso l'evoluzione che noi abbiamo avuto, attraverso quel Rinascimento che a loro è mancato a causa di 400 anni di occupazione turca.
Credo che per il sistema Paese esista una grande risorsa di cui dovremmo tenere più conto: le regioni. Dal mio osservatorio più che ventennale, quale funzionario delle «culturali», mi sono resa conto che molte volte le regioni arrivano nei Paesi senza avere punti di riferimento. Esse, infatti, non operano all'estero, per cui quando arrivano le delegazioni regionali hanno una grande potenzialità, grandissime risorse, ma solo alcune volte sanno che esiste un istituto di cultura e si rivolgono a noi, soprattutto perché siamo ormai inseriti nella struttura sociale, con le nostre relazioni non solo culturali, ma ad ampio raggio.
Credo che sarebbe molto proficuo e utile un interscambio: noi istituti rappresentiamo 89 vetrine nel mondo; le regioni, d'altro canto, hanno delle grandissime potenzialità a livello del turismo culturale, sono proiezioni di un'eccellenza rappresentata dalle università locali, dalla grande ricchezza delle piccole e medie industrie presenti sul territorio. Credo, quindi, che con un'azione politica, che non può essere la nostra di semplici funzionari, un coordinamento da parte del Ministero degli affari esteri, cui appartiene tale funzione politica, potremmo rappresentare per queste regioni un punto di proiezione, la cosiddetta vetrina, e le regioni potrebbero senza dubbio avere in noi quei collaboratori che potrebbero dare spazio e grande visibilità ai tesori che abbiamo nella cosiddetta «Italia minore», non per valore, ma perché poco conosciuta. Il turismo culturale che potremmo, quindi, sviluppare collaborando con le regioni, portatrici di pacchetti culturali, di manifestazioni splendide che avvengono in tutta Italia, potrebbero coprire non solo questo aspetto culturale, ma - lo dice anche il ministro Frattini - a rimorchio di questa proiezione culturale seguirebbe, senza ombra di dubbio, la valorizzazione dell'immagine dell'industria di quella regione, di quella zona, mettendo in evidenza quelle nicchie produttive di eccellenza, così importanti: dal prodotto di design, alla moda, al prodotto industriale particolare dell'industria.
Potremmo, inoltre, offrire grande proiezione anche alle realtà universitarie. Proprio oggi leggevo, su la Repubblica, una bellissima indagine sulle università italiane: abbiamo centri di eccellenza nelle varie regioni d'Italia, per cui potremmo stipulare degli interscambi con le università locali e, attraverso questi scambi interuniversitari, avere anche una copertura sul programma scientifico, che il ministro definisce «proiettare il futuro dell'Italia attraverso il passato».
Non parlo, dunque, solo delle meraviglie del passato dell'Italia e della cultura romana, ma soprattutto di valorizzare tutti gli istituti italiani di eccellenza, come quelli


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in cui si studia robotica, come i centri oncologici italiani primi nel mondo. L'interscambio potrebbe avvenire anche sul piano delle risorse umane, grazie ai nostri luminari che potrebbero esportare in maniera molto più capillare e incisiva l'immagine del progresso dell'Italia.

PRESIDENTE. Ringrazio la professoressa Palestini, che è accompagnata dall'ambasciatore Michelangelo Jacobucci; è presente con noi anche il ministro Gianni Piccato, della Direzione generale Promozione sistema paese del Ministero degli affari esteri.

SALVATORE SCHIRMO, Direttore dell'Istituto italiano di cultura a Barcellona. Ringrazio i presidenti e tutti i componenti della VII e della III Commissione per averci dato l'opportunità di essere presenti e far ascoltare la nostra voce. Per noi è veramente importante farci risentire a distanza di anni. La prima audizione, infatti, risale al 2004, per cui è importante riallacciare i fili di quel discorso, sperando di arrivare alla conclusione, possibilmente in questa legislatura, di una riforma.
Ovviamente, concordo pienamente con la collega e vorrei approfittarne per concentrare maggiormente il mio intervento sulla normativa degli istituti di cultura facendo riferimento alla nostra esperienza e alla nostra storia.
Ritengo che l'impianto della legge del 22 dicembre 1990, n. 401, la riforma del 1990, dovuta all' intuizione dell'allora Ministro De Michelis e attuata - mi piace ricordarlo - dall'allora ministro Spinetti, attuale ambasciatore in pensione, e dal consigliere Lo Monaco, attuale direttore centrale della promozione culturale, regga ancora nella sua globalità.
Da quella data gli istituti italiani di cultura, in particolare, hanno garantito, con le ovvie diversità, l'applicazione della legge e delle sue finalità. L'hanno garantita proprio attraverso la loro presenza sul territorio, come diceva la collega Palestini, che è una presenza importante, non virtuale, grazie ad un costante lavoro quotidiano, fatto di relazioni tessute pazientemente. Tale lavoro ha consentito che le finalità importantissime della legge fossero portate avanti e garantite.
Ovviamente, esiste la necessità di aggiustamenti di riforma per attualizzare l'azione degli istituti di cultura che, a mio avviso, dovrebbero comunque confermare la centralità del Ministero degli affari esteri e degli istituti di cultura quale perno intorno ai quali far ruotare un necessario coordinamento delle plurali attività di promozione della cultura e della lingua all'estero. Tale coordinamento deve ottimizzare le risorse attribuite al Ministero degli affari esteri e che derivano, attualmente, da più interventi normativi, come quello della già citata legge n. 401 del 1990, ma anche della legge del 3 marzo 1971, n. 153, e da tutte le altre risorse per la promozione della lingua rappresentate, in particolare, dall'invio dei lettori di lingua.
Questi aggiustamenti e questa riforma sono necessari perché vengono a calarsi in un contesto internazionale mutato profondamente da due grandi rivoluzioni epocali, quella congiunta delle telecomunicazioni e dell'informatica e, ovviamente, la globalizzazione e la sempre più stretta interdipendenza anche culturale tra i vari Paesi. Non tenere conto di queste due rivoluzioni significa non capire qual è e quale dovrebbe essere la nostra funzione.
In questo contesto si collocano gli istituti di cultura che, come ha ricordato anche la collega Palestini, operano secondo le diverse specificità locali. Madrid e Barcellona, ad esempio, hanno specificità riferite alla sede, al personale, alle dotazioni finanziarie, ma anche dipendenti dal Paese stesso che ci ospita. Eventualmente, il professor Di Lella potrà opinare, ma ci sono comunque delle diversità profonde tra Madrid e Barcellona, per cui anche operare in due città nello stesso Paese, ma con due impianti culturali differenti, è effettivamente molto complesso. Questo, ovviamente, dipende anche dalle capacità di chi dirige gli istituti.
Sicuramente, in questo periodo gli istituti hanno disimpegnato, in mezzo a grandissime difficoltà, i loro compiti costruendo una fitta rete di rapporti sul territorio.


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Ho sentito parlare anche di progetti hub, di chiusure, di riconduzioni a istituti che fungono da poli culturali di riferimento: si tratta, certamente, di iniziative che possono essere importanti anche per un utilizzo coordinato delle risorse ma, a mio avviso, non dovrebbe mancare la presenza sul territorio.
Come diceva la collega Palestini, il nostro lavoro è fatto di relazioni tessute giorno per giorno sul territorio, anche di fiducia. Il nostro mandato dura tre, quattro o cinque anni: sembra moltissimo, ma in realtà è molto breve, se a questo si aggiunge anche una distanza fisica, che rende tutto più complesso. Il problema non è lo scambio di informazioni, cui si può ovviare con reti telefoniche e telematiche. Io credo che lo scopo della presenza fisica sui territori sia, tuttavia, quello di incontrare direttamente i rappresentanti delle università, i responsabili dei musei e quelli di festival, perché altrimenti potrebbe essere tutto pilotato da Roma.
Questo mette in luce le differenze abissali con i nostri colleghi europei, British Council, istituto francese. A Barcellona abbiamo un istituto francese che io definisco «il ministero» perché è un palazzo di sette piani, con personale che si occupa anche delle cose più minute riguardanti la promozione della lingua, quindi non solo coordinatori linguistici della lingua francese, come anche noi abbiamo, ma addirittura coordinatori che si occupano della promozione della lingua business-oriented, orientata al commercio, alle imprese. È difficile per noi competere in questa situazione. Anche noi svolgiamo molte attività, ho premesso che abbiamo garantito tutte le finalità della legge, non soltanto la promozione della cultura, la promozione della lingua, della scienza. Tutte le finalità comunque sono state garantite dagli istituti di cultura da sempre, prima e dopo la legge n. 401 del 1990; dopo quella legge, devo dire, meglio perché ci ha fornito un quadro strutturato entro il quale operare.
Il problema, onorevoli commissari, è che, purtroppo, operiamo con risorse incerte, con una dotazione ministeriale, l'unica risorsa certa, almeno fino a due o tre anni fa che ci ha garantito uno «zoccolo duro», un'entrata sicura con la quale operare e laddove vi sono, con gli introiti dei corsi, incerti a loro volta. Ovviamente, la crisi ha reso incerta anche la dotazione finanziaria, per cui riusciamo a operare con programmazioni dal respiro corto perché dobbiamo rispettare, chiaramente, il sacro principio della copertura della spesa.
Non voglio iscrivermi tra coloro che richiedono esclusivamente fondi ministeriali, ma anche nel chiedere sponsor e nell'autofinanziarci dobbiamo poter proporre manifestazioni, eventi di grande respiro, che convincano gli sponsor a investire. Se noi per primi operiamo nel respiro corto, come possiamo, in un contesto di crisi, chiedere a delle aziende italiane di sponsorizzare i nostri eventi?
Da questo punto di vista, dunque, è importante che vi sia comunque un decisivo apporto da parte ministeriale, dal bilancio pubblico. Diversamente, nell'istituto di Barcellona, autofinanziato quasi per l'87 per cento, con la dotazione ministeriale andremmo avanti al massimo due mesi e mezzo. Se venisse a mancare anche quel residuale di finanziamento pubblico, cosa ci differenzierebbe da una qualsiasi società per azioni? Serve, dunque, un giusto mix di pubblico e privato per la promozione del sistema Italia di cui parlava la collega e il coraggio di investire nella cultura, in generale, e nella promozione della cultura all'estero in particolare.

PRESIDENTE. Grazie anche per la chiarezza con cui ha posto i problemi, come peraltro anche la professoressa Palestini.
Rimaniamo in Spagna. Abbiamo il professor Giuseppe Di Lella, già direttore dell'istituto italiano di cultura a Madrid, che ho avuto l'onore e il piacere di vedere in azione nel corso di una missione a Madrid, per partecipare all'allora semestre europeo presieduto dal Governo spagnolo. Voglio ancora rinnovare i miei complimenti all'amico professore Di Lella per tutte le iniziative che era riuscito a organizzare,


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in particolare per le celebrazioni di Galileo Galilei. Avremmo voluto portare la mostra al Parlamento italiano, ma non ci siamo riusciti, ancora una volta per i costi. Professor Di Lella, se riuscirà a trovare gli sponsor anche per il Parlamento italiano e darci la possibilità di avere questa mostra, le sarei ulteriormente grata. Ma ancora complimenti per tutto il lavoro egregiamente svolto a Madrid.
Professor Di Lella, le do volentieri la parola sempre aspettandoci spunti su una possibile riforma degli istituti italiani di cultura all'estero.

GIUSEPPE DI LELLA, Già direttore dell'Istituto italiano di cultura a Madrid. Il Sidereus nuncius di Galileo è stato tradotto dopo la lunga mostra che ha girato per tutta la Spagna in galego, basco, catalano e spagnolo. Si riesce, dunque, a ottenere talvolta qualche piccolo risultato.
Madrid è uno dei tanti istituti che ci sono nel mondo, molto ricco sotto l'aspetto patrimoniale e povero per quello dei finanziamenti pubblici. Tuttavia, questa non deve essere una scusa: sarebbe veramente ingiusto sostenere che il problema sia la mancanza di finanziamenti.
A Madrid siamo arrivati, in un solo anno, a superare 1.200.000 euro di sponsorizzazioni. Questo significa che le sponsorizzazioni possono esserci. La sede è ricca da un punto di vista patrimoniale perché è di proprietà dello Stato italiano uno dei più antichi palazzi di Madrid, il cui valore si aggira intorno ai 100 milioni di euro. Se si vendesse, lascerebbe la possibilità per i prossimi 200 anni di lavorare gratuitamente.
A noi, però, piace dire che siamo proprietari di questo palazzo e che non spendiamo 100-200.000 euro all'anno di costi di affitto, ma è anche vero che i costi di manutenzione di quel palazzo, nei soli quattro anni in cui sono stato lì, bruciavano esattamente tutto quello che arrivava da Roma e non bastava, per cui ogni volta che era necessario qualche lavoro, inventavo qualcosa anche all'esterno, perché anche attraverso cartelloni pubblicitari riuscissimo a incassare un po' di soldi.
È molto difficile in Spagna, che pure è una nazione che ci vuole bene, ricevere 30.000 euro di finanziamenti, e prevalentemente da fondazioni locali. Quelli che, infatti, ci hanno dato più soldi sono stati la Fondazione Santander, la Caja Duero, la Caja Madrid, per cui non sto assolutamente parlando di sponsorizzazioni di industrie italiane che si muovono sulla Spagna. È più facile acquisire sponsorizzazioni per 300.000 euro. Le iniziative da 30.000 euro sono, infatti, ripetitive, non intelligenti e non si riesce così a ottenere finanziamenti; mostre, invece, come quella di Pompei, una delle iniziative più importanti da noi promossa, interessano evidentemente la più importante cassa di Salamanca, la Duero, al punto da ricevere da questa più di 300.000 euro. La ragione è che si sta proponendo qualcosa con un ritorno di immagine significativo per lo sponsor.
È, inoltre, difficile da gestire la mancanza di una programmazione generata dal cambio non solo dei direttori, ma anche dei funzionari e degli addetti che vengono da Roma, i quali rappresentano il costo più elevato. La mia speranza era quella di non avere tre addetti, ma uno, che mi sarebbe costato molto meno. Ogni addetto, infatti, avrebbe sue iniziative da proporre, molte volte non corrispondenti al livello richiesto dagli sponsor e questo significa una spesa elevata e poche o nessuna sponsorizzazione.
Sul ritorno voglio fare una considerazione. Noi avevamo normalmente la traduzione simultanea nel teatro dell'istituto di cultura, peraltro ristrutturato gratuitamente per noi da Missoni, in cambio dell'apposizione di una piccola targa in cui si ringraziavano Rosita e Ottavio Missoni per il dono. In quel teatro avvenivano la maggior parte degli incontri e degli eventi interni: il numero delle cuffiette distribuite per la traduzione simultanea mi rendeva alternativamente felice o meno felice, perché da quel numero mi accorgevo se c'erano più spagnoli o più italiani.
Le attività che si svolgono negli istituti di cultura, con tutto il piacere di essere d'aiuto a gli italiani che vivono all'estero,


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a Madrid sono quasi 40.000, ma credo non si tratti di eventi per gli italiani all'estero, ma per gli spagnoli.
La mia indicazione, dunque, si indirizza a meno costi diretti per numeri esageratamente alti di eventi, ma a pochi eventi realizzati con istituzioni della nazione che ci ospita ed eventi di grande qualità perché possono essere aiutati dalle fondazioni bancarie. Oltretutto, per le fondazioni bancarie spagnole, ad esempio, una parte della loro spesa, una percentuale sui loro incassi normalmente per dividendi, non va destinata ad acquisire quadri o altri beni di valore culturale, ma a finanziare attività culturali, eventi. Questa è la ragione per cui alcune fondazioni di casse di risparmio di banche locali erano disponibili a offrire soldi.
Riassumerei, sostanzialmente, affermando che la mancanza di una programmazione medio-lunga è importante e che la presenza di persone di qualità tra i dipendenti locali finisce per diventare più importante della presenza di operatori che vengono da Roma. Questo è, ad esempio, un aspetto che andrebbe approfondito perché i dipendenti locali hanno normalmente delle basse qualifiche e questo è sbagliato, a mio avviso, perché qualcuno deve pur mantenere un filo rosso di continuità nel tempo. Nei nostri istituti, invece, i locali sono considerati amministrativi, poco più che segretarie o, forse, neanche quello. Credo che sia un grande errore: costerebbe molto meno pagare 10.000 euro in più all'anno che non far arrivare personale dall'Italia che costa 130-150.000 euro l'anno. È senz'altro necessaria una presenza dal ministero anche per una continuità con la stessa direzione, ma ho l'impressione che si potrebbe ragionare anche su questo. Sono disponibile per altre considerazioni eventuali.

ROSSANA RUMMO, Direttore dell'Istituto italiano di cultura a Parigi. Grazie a tutti per questo invito che, come già dicevano i miei colleghi, ritengo importante in un momento in cui è avviata una riforma del Ministero degli affari esteri, in cui si punta su quest'idea del sistema Paese, che dovrebbe essere, e speriamo sia, vincente. La relazione dell'onorevole Ministro Frattini ha evidenziato nei vari punti quelle che saranno, evidentemente, le linee su cui si lavorerà.
Per quanto riguarda gli istituti italiani di cultura, certamente, credo sia importante agire per la razionalizzazione e su alcuni altri punti che il ministro ha sottolineato e sui quali tornerò.
Io sono quasi al termine del mio mandato. Sono a Parigi dal 2008 e alla fine di quest'anno rientrerò. Ciò ha rappresentato per me l'opportunità di osservare in questi quattro anni e fare tesoro di esperienze, da una parte, molto positive, dall'altra, molto impegnative. Alcuni riflessioni dei colleghi impegnati a Atene, a Barcellona e, in particolare, a Madrid, hanno sottolineato alcuni punti comuni all'intervento degli istituti di cultura nelle grandi capitali europee e non solo.
Vorrei approfittare per elencare i punti sui quali, a mio avviso, bisognerebbe intervenire. Innanzitutto, bisognerebbe che l'offerta culturale degli istituti di cultura, al di là della comunità italiana, che pure è presente, fosse indirizzata al pubblico della comunità del Paese in cui si opera. In passato, infatti - l'ho verificato proprio nei primi momenti in cui sono arrivata - in realtà erano dei club di italiani all'estero, la presenza dei quali è fondamentale perché è gente che lavora e vive in quel Paese da molto tempo, ma certamente lo scopo dell'istituto è quello di promuovere l'internazionalizzazione verso quel pubblico e quella cultura che non è la nostra nazionale.
Serve un'offerta culturale diversificata. Gli istituti dovrebbero proporre chiaramente, sulla base anche delle sensibilità locali e del territorio, per quel rapporto di prossimità che veniva citato, un'offerta diversificata, evitando che ci siano solo alcuni tipi di iniziative, solo convegni, solo conferenze. Bisognerebbe proporre un ventaglio di scelte, un panorama della cultura italiana il più possibile ampio e qualificato.
L'altro punto importante è che, accanto alla promozione dei grandi nomi della


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cultura italiana, ci si impegni anche alla promozione dei giovani talenti, di quelli che si affacciano e che nel nostro Paese hanno già avuto dei riconoscimenti e magari ancora non sono riusciti ad arrivare sulla scena di altri Paesi.
L'altro punto fondamentale è rappresentato dalla lingua. Noi traiamo profitto, almeno anche in Francia, nonostante l'italiano non sia una lingua veicolare, dai corsi di lingua che, come sapete, possono in base alla legge essere affidati a strutture esterne agli istituti o organizzati direttamente, reclutando insegnanti attraverso una legge, quindi con un concorso pubblico. Parigi ha scelto la strada del reclutamento diretto e della gestione all'interno dell'istituto di questi corsi.
Quando sono arrivata a Parigi ricordo che le stanze dove erano tenuti i corsi non erano degne di un Paese come l'Italia. Come si diceva prima, infatti, l'investimento nelle infrastrutture e la nostra immagine sono fondamentali. Al Goethe, al British Council rendersene contro è un fatto immediato. L'Italia non può non presentarsi con quelle infrastrutture tecnologiche, anche di offerta di servizi che un Paese civile e civilizzato europeo deve garantire.
Ricordo che la dotazione finanziaria del Ministero degli affari esteri copre una parte dei costi per le manifestazioni culturali e il funzionamento, in cui è compresa anche la manutenzione, tutti costi vivi che dovremmo curare, anche se spesso non riusciamo a farlo.
Il collega di Madrid diceva della sala ristrutturata da Missoni; l'Hôtel de Galliffet, nostra prestigiosa sede parigina, è anch'esso di proprietà dello Stato italiano ed è uno degli hôtel particulier più belli di Parigi, ma necessiterebbe di una manutenzione continua che, grazie proprio agli introiti dei corsi di lingua, siamo riusciti in parte a fare.
Abbiamo tre insegnanti e continuiamo il nostro lavoro, ma - e qui vengo al ministro, che giustamente lo ha sottolineato - abbiamo un problema di certificazione.
Mi pare che in Italia quattro enti possano dare la certificazione, più due università. Ogni anno noi siamo costretti a far venire questi insegnanti da fuori: quello che riceviamo dagli esami lo restituiamo alle università, per cui per noi si tratta di una partita nulla e questo è un altro elemento che andrebbe risolto. Sono troppi anni che si parla di questa certificazione e non si riesce ad ottenerne una unica e conferita ufficialmente dagli istituti. Ricordo, infatti, che in loco ci sono mille centri privati, che alcune volte utilizzano nomi analoghi agli istituti, come «centro culturale italiano», creando problemi giganteschi. Non rilasciano certificati, ma comunque raccolgono molto pubblico.
Si fa sempre più fatica anche a tenere in piedi le scuole italiane all'estero. A Parigi almeno, ma in tutta la Francia, sono molto richieste anche perché si tratta di licei importanti, scuole elementari. Credo che il discorso del bilinguismo sia importante perché è l'unico modo per offrire anche ai francesi che vogliono far conoscere l'italiano ai loro figli questo servizio.
Quanto alle risorse economiche, vi fornisco molto rapidamente solo i dati di Parigi: dal 2008, dal mio arrivo, a oggi la dotazione finanziaria del Ministero degli affari esteri, per tutti i motivi che abbiamo detto, le crisi e i tagli, è stata ridotta del 10 per cento. Oggi parliamo di un intervento in termini assoluti di 350-360.000 euro l'anno e stiamo parlando di Parigi. So che i colleghi delle sedi più piccole hanno molto di meno, ma per Parigi non è tantissimo.
L'ultimo punto riguarda gli sponsor. L'esperienza di Parigi mi ha aiutato: spesso gli sponsor vengono da noi e amerebbero una defiscalizzazione. Io ho ricevuto, ad esempio, moltissime sponsorizzazioni indirette perché le aziende, anche italiane, regolate da legge locale perché create con società a diritto francese, riescono a defiscalizzare. Per la cultura la Francia defiscalizza addirittura il 64 per cento di ciò che viene dato e questo significherebbe per noi un enorme beneficio.


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A questo proposito si potrebbe risolvere anche un problema giuridico: alcuni istituti sono a legge locale, quindi hanno la possibilità di sponsorizzazioni defiscalizzate. Questo ci aiuterebbe. A fronte della riduzione del 10 per cento delle dotazioni economiche del Ministero degli affari esteri, abbiamo aumentato gli introiti con gli sponsor dal 5 al 13 per cento, compiendo, però, degli sforzi veramente immani.
Vengo a un'ultima suggestione. Prima è stato citato il personale: quello che abbiamo, al di là della buonissima volontà di tutti e del lavoro che viene svolto, arriva effettivamente con una scarsa capacità nella organizzazione culturale e nella comunicazione. Vi ricordo che non abbiamo addetti stampa né possibilità di condurre campagne di comunicazione. Nelle grandi città, esporre un manifesto in metropolitana costa soldi che non abbiamo. Servirebbe, quindi, una formazione non, a mio avviso, conseguita presso strutture universitarie o istituti ad hoc, ma sul campo: persone che siano impiegate e che sappiano stendere un piano di comunicazione, un piano stampa, organizzare mostre. Organizzare una mostra richiede qualche competenza, per cui, a mio avviso, è importante anche un discorso di formazione e riqualificazione del personale.
Come diceva il collega di Madrid, il personale a contratto locale non ha nessun incentivo, è difficile spiegare come e perché c'è stata questa distinzione tra il personale locale e il personale a contratto nazionale. Tuttavia, presso gli istituti lavora personale che rimarrà anche per il futuro solo a contratto locale, con una carriera bloccata e, soprattutto, non qualificata. Concordo, dunque, sul fatto che bisognerebbe, invece, rivedere questo aspetto proprio per incentivare il personale locale non soltanto economicamente, ma dal punto di vista del profilo e della carriera professionale.
Sull'architettura istituzionale in generale concordo sull'idea della razionalizzazione, che è poi una necessità. In Francia hanno chiuso molti più istituti francesi all'estero che da noi, lo dico con dati precisi, per cui è una tendenza europea quella di stringere e razionalizzare dal momento che tutti siamo davanti agli stessi problemi.
A livello nazionale, credo che sarebbe necessario un intervento più sostanziale dei vari soggetti interessati: dal Ministero degli affari esteri, al Ministero per i beni e le attività culturali alle regioni.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola ai colleghi che intendono intervenire, voglio ricordare che hanno assistito all'audizione l'onorevole Zazzera, capogruppo dell'Italia dei Valori, Commissione cultura; per il Partito Democratico l'onorevole Levi della Commissione cultura, gli onorevoli Narducci, vicepresidente, e Porta della Commissione affari esteri; per la Lega Nord Padania, l'onorevole Rivolta, e l'onorevole Goisis, capogruppo, entrambe appartenenti alla Commissione cultura, e l'onorevole Negro della Commissione affari esteri; per il PdL, gli onorevoli Barbieri, capogruppo in Commissione cultura, e gli onorevoli Di Centa, Murgia e Centemero.

EMERENZIO BARBIERI. Sarò schematico. Chiedo scusa agli auditi, ma darò alcune cose per scontate. Ho avuto occasione, per motivi riconducibili alla mia partecipazione alla delegazione italiana presso l'assemblea dell'organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in europa (OSCE), di conoscere parecchi vostri colleghi, direttori degli istituti italiani di cultura, da ultima la vostra collega direttrice dell'istituto italiano di cultura ad Algeri, il mio giudizio è molto positivo. Presidente, lei sa che sono abbastanza critico nei confronti dei dirigenti dello Stato, ma il giudizio è positivo non solo per la capacità, ma anche per la volontà di tener conto di una serie di condizionamenti, che qui sono stati ricordati, di natura finanziaria per riuscire a supplire con l'inventiva. Il dato dell'87 per cento mi ha francamente e positivamente stupito.
Noi abbiamo banche italiane molto forti che operano all'estero. Penso, ad esempio, tra tutte - mi pare che sia quella


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con maggiore presenza - a UniCredit: queste banche, che ovviamente operano all'estero perché agganciano aziende dei Paesi in cui avete gli istituti di cultura, non sono in grado, raccordandosi con voi - userò un termine forte, che però comprenderete - a «costringere» le aziende con le quali lavorano a sponsorizzare le vostre attività?
Sulla questione dei quattro anni, devo dire, direttrice Rummo, che ne ho già parlato anche a chi di dovere. Vedremo semmai di inserire qualcosa in proposito, se siamo d'accordo, nella relazione finale di quest'indagine conoscitiva: i direttori di studi italiani di cultura non possono essere equiparati ai colonnelli dei carabinieri. Per quale motivo devono restare quattro anni? Se si è capace, si resta anche otto; diversamente, si va via dopo due, dopo uno. Porre un termine temporale, qualunque sia, è un errore. Se si costruisce qualcosa, è anche giusto che chi l'ha costruita possa riuscire a vederla realizzata per parecchio tempo, deciderà poi lui se andarsene o meno.
La direttrice Palestini ha parlato del rapporto con le regioni: è assolutamente fondamentale. Certo, la situazione non è quella di un tempo, quando le regioni straboccavano di soldi e lo Stato piangeva; ma le regioni sono ancora nella condizione di poter fare molto. Sono emiliano-romagnolo e, anche se all'opposizione rispetto a chi governa nella mia regione, vedo cosa è in grado di fare in Europa e nel mondo l'Emilia-Romagna.
Muti a Nairobi: gli istituti sono orientati a mettere in pista eventi di così significativa rilevanza, di grandissimo risalto? L'iniziativa, infatti, è finita in tutti i telegiornali. A me capitava di vedere Fox News e un altro telegiornale americano che riprendevano l'evento con molta evidenza.

ELENA CENTEMERO. Sarò anch'io estremamente schematica visto lo scarso tempo che abbiamo a disposizione.
Concordo con alcune delle vostre significative affermazioni, in particolar modo sul ruolo delle regioni, che ho anche ricordato al Ministro Frattini durante l'audizione, svolta due settimane fa nella Commissione affari esteri. Per quanto riguarda la mia esperienza personale, posso dire che le regioni programmano il rapporto con le diverse realtà italiane all'estero in modo talmente disarmonico e, a volte, sovrapponendosi all'azione e all'attività degli istituti di cultura e delle altre nostre istituzioni.
Relativamente all'insegnamento della lingua italiana all'estero, abbiamo situazioni di grande difformità: in alcuni istituti si svolgono corsi di lingua italiana; altri ricorrono a enti gestori esterni e questo, sicuramente, non favorisce né l'insegnamento della nostra lingua in modo qualificato né il rapporto con la realtà esterna. Penso che al Ministero degli affari esteri esisteva una direzione che si occupava dell'insegnamento della lingua italiana all'estero, scissa dalle «culturali»: si tratta di una situazione abbastanza difforme dalla realtà attuale.
Soprattutto, condivido la visione ribadita da più d'uno di voi secondo la quale l'insegnamento della nostra lingua, ma anche la presenza della nostra cultura all'estero, non deve essere più rivolta prevalentemente agli italiani all'estero. Per questo motivo direi che ancora si risente di una visione un po' antica, mi sia concesso il termine, soprattutto in un mondo globalizzato come quello attuale in questo momento e pensando a quali sono le ragioni che portano gli italiani a spostarsi nel mondo, ben diverse da quelle che hanno originato probabilmente la volontà di insegnare, di destinare delle risorse per l'insegnamento della lingua italiana specifiche per gli italiani all'estero.
Deve esserci oggi, a mio avviso, un insegnamento uniforme e, soprattutto, deve trattarsi di un servizio standardizzato e offerto dagli istituti di cultura italiana con un marchio di qualità e una certificazione. Vi chiedo anche, a questo proposito, quale è il vostro rapporto con la Dante Alighieri.
Infine, venendo al personale: sono previsti dei programmi di stage e ci sono dei


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rapporti con le nostre università o con i nostri istituti scolastici superiori per la formazione di cui avete parlato?

RICARDO FRANCO LEVI. Purtroppo, il confronto con lo Stato italiano - consentitemi di dirlo da membro dell'opposizione -, con il Governo, quando si tratta di questioni che attengono alla cultura e all'istruzione, è motivo di profondo sconforto. Ieri abbiamo avuto un'audizione che trattava il problema del libro e del sostegno alla lettura e dati che peraltro, ancorché non così in dettaglio, avevamo tutti in qualche modo sulle nostre dita come esperienza.
Abbiamo saputo che il sostegno alla lettura in Spagna è cento volte superiore a quello in Italia. Potrei proseguire. Quando leggiamo i programmi italiani per l'appuntamento con il 2020 su scala europea, o incontriamo i nostri ministri, scopriamo che gli obiettivi, non le previsioni, sono al punto minimo dei 27 Paesi in Europa, ossia l'Italia si propone nel 2020 di essere in coda a tutti i Paesi europei. Questo è scritto nei documenti ufficiali presentati dal Governo italiano alla Commissione europea.
Gli istituti di cultura italiana all'estero sono un'istituzione benemerita come poche altre - li conosco bene per una lunga esperienza in giro per il mondo - e devo dire che l'incontro con il Ministro Frattini dell'altro giorno è stato angosciante: purtroppo ho avuto conferma da voi oggi, e voi siete funzionari leali, per cui ovviamente vi fate carico delle politiche del Governo, che la promozione della cultura italiana è vista e organizzata in forma ancillare rispetto alle esportazioni. È un elemento gravissimo di abdicazione dell'orgoglio e della dignità di un Paese.
Se in Germania, in Francia, in Spagna, nei Paesi che conoscete bene, si azzardassero a dichiarare che il Goethe, il Cervantes, l'Alliance Françfcaise, l'Usis negli Stati Uniti sono messi in condizione di dover rispondere alle esigenze di esportazione delle società, sarebbe un elemento di vergogna nazionale e così è per noi in Italia.
Voi siete costretti a mendicare sponsorizzazioni, a ragionare in termini di cosa si può fare perché un imprenditore o una banca regali qualcosa per una sala in cui porre una targhetta. L'idea che la Direzione generale dei beni culturali sia soppressa nella sua autonomia e portata sotto il cappello della direzione che si occupa di export è una vergogna nazionale, un'abdicazione al ruolo della cultura, soprattutto per un Paese come l'Italia, soprattutto nelle nuove esigenze, che cambiano in modo molto rapido.
Oggi sappiamo, basta leggere le ricerche degli economisti, ma anche le prime pagine dei giornali, come l'Herald Tribune di ieri, quanto l'Italia stia perdendo peso, ad esempio, in Germania, che ormai guarda alla Cina. Anche la vecchia idea di chiudere i nostri istituti culturali per lasciarne solo nelle capitali è sbagliata. Noi dobbiamo tornare ad avere anche in Europa istituti culturali nelle città diverse dalle capitali per legare questi Paesi alla cultura e al senso di collegamento con l'Italia.
Taccio sulla Dante Alighieri, che la mia collega ha giustamente ricordato. I 70 piani o 7 piani dei francesi a Barcellona rappresentano un simbolo della nostra volontà di essere ultimi e, purtroppo, questo è quello che sta scritto nelle carte del Governo italiano ed è quello che è emerso da quanto dichiarato dal Ministro degli affari esteri l'altro giorno.
Non posso che esprimervi tutta la mia simpatia per il vostro lavoro così mal organizzato e così poco riconosciuto nei fatti.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola all'onorevole Porta, saluto l'onorevole Furio Colombo, che ritorna in questa Commissione come membro autorevole della Commissione affari esteri, ma ricordo aver svolto in altra legislatura il proprio mandato in questa Commissione. Lo saluto con simpatia e ricordo che è anche presidente del Comitato permanente sui diritti umani della III Commissione.

FABIO PORTA. Procederò per rapidi flash per lasciare spazio anche al mio collega,


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presidente Narducci, tra l'altro firmatario di due importanti proposte di legge che aiuterebbero molto non solo il Parlamento, ma anche il Paese a essere più efficiente e adeguato in questo settore. Mi riferisco alla riforma della legge n. 153 del 1971 sugli enti gestori e sugli istituti di cultura italiana all'estero.
Non voglio fare demagogia. È facile, ovviamente, parlare e chiedere più risorse, però un mio amico console generale mi ricorda sempre che con meno risorse forse si può fare meglio, ma sicuramente non si può fare di più. In questo momento avremmo bisogno anche di fare qualcosa in più per il nostro Paese e l'estero e la cultura sono tra i traini fondamentali, forse tra i settori a cui dovremmo guardare con maggiore attenzione.
Siamo al paradosso per cui la mancanza di risorse, anche di risorse umane, sta pregiudicando lo stesso svolgimento della nostra presenza culturale all'estero. Riporto un esempio appreso ieri da documenti che mi sono stati trasmessi dal Brasile: abbiamo dei borsisti brasiliani in Italia, a favore dei quali, quindi, il nostro Governo ha messo a disposizione delle risorse, che non hanno ricevuto il pagamento del trimestre aprile-giugno. Sono qui non si sa come, probabilmente chiedendo l'elemosina, perché non c'era nessuno in Ragioneria che firmasse i decreti relativi.
Mi rendo, dunque, conto che la scarsità delle risorse non rappresentano l'unico problema, ma come ho detto al Ministro Frattini - ieri, purtroppo, non c'è stato tempo di porre una domanda analoga al segretario generale del Ministero degli affari esteri, Giampiero Massolo, visto che se parliamo di rete consolare o di cultura i problemi sono simili - non possiamo continuare a sostenere che la nostra politica estera anche per il sistema Italia sta cambiando puntando ai Paesi emergenti. L'America latina, infatti - ho visto che ci sono illustri interlocutori, che sono stati ambasciatori, consoli generali, in quei Paesi - ha, guarda caso, sia una comunità italiana rilevantissima sia dati macroeconomici altrettanto rilevanti e non mi pare che vi si guardi con particolare attenzione.
Vorrei chiedervi se questa idea degli hub è, a vostro giudizio, utile e intelligente se è vero che gli altri Paesi europei si stanno muovendo in una direzione esattamente opposta, per cui probabilmente qualcosa non va anche nelle nostre strategie.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola all'onorevole Colombo e al vicepresidente Narducci della Commissione affari esteri, saluto l'onorevole Giovanni Farina del Partito Democratico della Commissione difesa, che rappresenta gli italiani all'estero.

FURIO COLOMBO. Innanzitutto, ringrazio la presidente per il suo saluto così gentile.
Vorrei dire ai direttori degli istituti di cultura che, essendo un vostro ex collega, sono ancora più vicino e più consapevole di tutto quello che attraversate e del momento, incredibilmente, difficile che si aggiunge a una carriera sempre difficile, quella che avete intrapreso. Vorrei, quindi, offrirvi quest'attestato di vicinanza, di solidarietà, di coincidenza con le vostre speranze e con le vostre attese, augurandomi che non siano disattese per tanto tempo più a lungo.

FRANCO NARDUCCI. Innanzitutto, ringrazio i nostri interlocutori per quest'importante audizione nata anche in forma propedeutica per la riforma della legge sugli istituti italiani di cultura per una serie di questioni che richiedono riforme che avete puntualmente evidenziato.
Credo che siamo tutti d'accordo su un dato, emerso l'ultima volta ed emerso anche oggi: c'è la consapevolezza da parte del Paese della necessità di valorizzare tutti gli aspetti della cultura italiana. L'aveva sottolineato a lungo il Ministro Frattini, lo avete ripetuto anche voi, in particolare la dottoressa Palestini, il mio collega Levi, tutti.
Quando c'è stata la riforma del Ministero degli affari esteri abbiamo detto senza


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polemica, con convinzione, che far perdere l'identità alla Direzione delle «culturali» è stato un errore grave. Tutti quanti siamo d'accordo sul fatto che bisogna fare di più per promuovere il sistema Paese e che il nostro patrimonio culturale rientra nel quadro strategico.
Ce lo inseriscono gli altri Paesi anche se non parlano di cultura a servizio dell'esportazione e dell'economia. Condivido quanto affermato dall'onorevole Levi, ma in effetti accompagnano il loro sistema gli inglesi, i francesi, ed è il dato della globalizzazione, non possiamo ignorarlo. Credo, quindi, che il rilancio della promozione della lingua e della cultura italiana nel mondo sia un fatto strategico importante per il nostro Paese, soprattutto per un Paese postindustriale, come lo sono gli altri, che ha bisogno di puntare molto sulle esportazioni e su tutto quello che fa economia, anche quella immateriale, nel mondo.
Vorrei sgomberare il campo fin dall'inizio su un punto: non accetto il discorso sulle comunità italiane. È chiaro che l'offerta deve essere rivolta alla popolazione indigena, ma i figli dei francesi, quelli di terza generazione o i tedeschi di quarta o gli argentini di sesta e così via fanno parte di quelle comunità, non sono la vecchia migrazione di una volta, le prime generazioni, e non possiamo perderli perché il legame, la radice culturale che li ha uniti al nostro Paese è anch'essa un fatto economico importante. Non possiamo perdere colpi sotto il profilo del turismo di ritorno, legato essenzialmente al turismo delle nuove generazioni, che vengono in Italia per visitare Roma, Firenze, Venezia. L'offerta deve essere rivolta alla Francia, alla Germania, di cui fanno parte anche le grandi comunità, ma queste hanno bisogno di non essere messe da parte, hanno bisogno di essere valorizzate.
Diversa è la promozione della lingua italiana per i figli degli italiani. Vorrei dire alla collega Centemero che abbiamo pochissime risorse per gli italiani, abbiamo la Direzione generale italiani all'estero (DGIT), il capitolo 3153, per i corsi di lingua e cultura italiana indirizzati ai figli degli italiani, e vorremmo che in futuro ci fossero anche figli di francesi, di inglesi e tedeschi, che insieme ai nostri frequentino il corso di lingua e cultura italiana.
Il problema è che le risorse si restringono enormemente. Sull'aumento dell'esigenza di maggior coordinamento, condividete la ristrutturazione della rete consolare, la chiusura di molti consolati, il declassamento dei consolati generali a consolati? Questo è un fatto che tocca anche voi, non toccherà Parigi, ma tocca Basilea, che ha un rapporto con l'Italia che risale a Enea Silvio Piccolomini, Pio II, e che per la cultura italiana ha fatto tantissimo. Oggi noi, perdendo il consolato, perdiamo magari anche la cattedra di italiano, una delle poche che resistono ancora in Svizzera. La creazione di questi nuovi poli culturali deve fare i conti con distanze accresciute e forme di coordinamento nuove.
Quanto alla legge n. 401 del 1990, tutti ci stiamo rompendo il capo per la ristrettezza delle risorse, questa non la inventano né l'opposizione né la maggioranza: cosa pensate, in questo quadro, della «chiara fama»? Sappiamo, infatti, che anche questo è uno dei punti che deve essere risolto nell'ambito della riforma della legge n. 401 del 1990. Si dicano parole chiare.
Nella nostra proposta di legge non si parla più di «chiara fama», ma degli alti rappresentanti della cultura, non stipendiati come i «chiara fama», ma che rendano un servizio per la cultura italiana all'estero.
Le comunità all'estero, l'avete in parte già detto, ma io credo che sia assolutamente importante proprio il cambio generazionale per l'affermarsi delle comunità italiane all'estero, che non sono più costituite da minatori, muratori o meccanici. Oggi abbiamo figure professionali di altissimo livello, per cui è necessaria una maggiore valorizzazione non a parole, ma all'interno della programmazione. Bisogna tenerne conto, perché anche il direttore ha affermato, con molto acume, che all'interno di questa nuova comunità ci sono anche


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imprese spagnole che seguono il diritto spagnolo in materia e che, quindi, possono defiscalizzare quello che erogano per sponsorizzazioni, non si parla solo di Parmalat o simili.

PRESIDENTE. Abbiamo pochissimo tempo. Voglio dirvi, però, che se, invece, vorrete rispondere in modo più approfondito, trattandosi di un'indagine, potreste inviarci delle note scritte, di cui vi saremmo grati.
Do la parola agli auditi per la replica.

MELITA PALESTINI, Direttore dell'Istituto italiano di cultura ad Atene. Vorrei tornare all'importanza del supporto offerto dalle regioni. Sarete forse già al corrente che l'Emilia-Romagna è l'unica regione che, quando più di dieci anni fa al Ministero degli affari esteri si programmò questa collaborazione tra regioni e uffici all'estero degli istituti italiani di cultura, creò un ufficio internazionale, nell'assessorato alla cultura presso il quale una persona, che si chiama Cristina Turchi, fu nominata per mantenere i rapporti della regione con l'estero dal punto di vista culturale e di proiezione all'estero della regione stessa.
Quest'ufficio esiste ancora oggi. La stessa dottoressa Turchi è venuta ad Atene proprio per organizzare una manifestazione che ha dato grande lustro sia all'Italia sia alla regione Emilia-Romagna. Si trattava di una mostra panoramica, mai realizzata né in Italia né in Francia, dedicata a Leonardo Cremonini, un grande pittore italiano che i francesi avevano nominato per più di un ventennio Maître de peinture all'École des Beaux-Arts di Parigi. Nessuno prima era riuscito a organizzare quest'enorme mostra dedicata a un grande pittore.
Con orgoglio vi dico che l'ho organizzata ad Atene, che è stato un evento eccezionale perché abbiamo mostrato tutta la sua opera. Purtroppo, è stata anche l'ultima perché Leonardo Cremonini ci ha lasciato dopo neanche venti giorni dall'inaugurazione della mostra.

PRESIDENTE. Una bella testimonianza ed una importante eredità di cultura italiana.

GIUSEPPE DI LELLA, Già direttore dell'Istituto italiano di cultura a Madrid. L'istituto di cultura di Madrid tiene circa 2.000 corsi annui non direi, e questa è una novità, di lingua italiana. L'86 per cento, infatti, ha chiesto dei corsi integrativi di cultura italiana, sulle varie aree. Il fatto, dunque, che la nostra non sia una lingua veicolare non significa che quest'attività non possa allargarsi anche attraverso l'istituzione di corsi di cultura.

SALVATORE SCHIRMO, Direttore dell'Istituto italiano di cultura a Barcellona. Ringrazio, innanzitutto, tutti gli onorevoli deputati che ci hanno testimoniato la loro solidarietà. Effettivamente, il nostro è un lavoro difficilissimo, che va oltre il contratto collettivo nazionale, oltre l'impegno. Si tratta letteralmente di inventarci giorno per giorno il lavoro anche grazie al supporto del ministero, nonostante le difficoltà esistenti.
La promozione verso le collettività locali è la prima finalità della legge n. 401 del 1990, e noi lo facciamo da sempre, come da sempre facciamo promozione della lingua e della cultura italiana verso le collettività italiane in quanto sono i nostri interlocutori. Ovviamente, come diceva l'onorevole Narducci, cambiano le cose, ma promuovere nelle collettività e tra le nuove generazioni per noi è importantissimo, oltre ovviamente che tra i locali. I giovani sono i nuovi trait d'union tra l'Italia di oggi, di ieri e di domani.
L'offerta culturale è diversificata da sempre. I nostri programmi riguardano conferenze, musica, spettacoli dal vivo, praticamente tutti gli aspetti della promozione culturale e, voglio sottolinearlo, sempre di più anche proprio chiedendo, supplicando certe volte, interventi che non siano necessariamente grandi sponsorizzazioni.
Muti a Nairobi, infatti, va bene, ma Muti non ha bisogno dell'istituto di cultura per promuoversi. Noi siamo ben onorati se


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passano attraverso l'istituto di cultura e facciamo in modo di facilitare queste grandi iniziative, ma l'importante è promuovere l'Italia nel suo complesso: i giovani, i nuovi artisti, i nuovi scrittori. È questa, secondo il mio giudizio, la finalità degli istituti di cultura. La Scala non ha bisogno di noi e neanche noi potremmo offrirle un supporto che vada oltre l'organizzazione.
Vorrei fare un ultimo accenno ai «chiara fama» e alla durata di quattro anni, che fu superata proprio istituendo il ruolo dell'area della promozione culturale. Abbiamo garantito la continuità dal 1990 fino a oggi sicuramente, ma già dal 1926, da quando furono stabiliti gli istituti italiani di cultura, i «chiara fama» rappresentano solo un'iniziativa ulteriore.

ROSSANA RUMMO, Direttore dell'Istituto italiano di cultura a Parigi. In relazione all'osservazione sulla Dante Alighieri, credo che bisognerebbe ragionare su questa quantità di soggetti. Ritengo sia necessaria una riflessione, senza permettermi di offrire delle ricette, ma sicuramente tentare di presentarsi con un minimo di unitarietà, di standardizzazione di programmi è importante, altrimenti si proietta l'immagine di una giungla.
Vorrei anche rassicurare l'onorevole Narducci che nessuno immagina di escludere la comunità italiana. Sappiamo benissimo che è estremamente importante perché si parla in alcuni casi di seconde e terze generazioni. C'è stato, però, un momento in cui gli istituti lavoravano esclusivamente con gli italiani e credo che lo sforzo di molti direttori di istituto sia stato semplicemente quello di aprire al pubblico.

PRESIDENTE. Nell'ufficio di presidenza proporrò di richiedere note su questi temi anche ai vostri colleghi che sono molto più lontani e a cui non possiamo chiedere di venire in Italia per ragioni di costo.
Vi ringrazio di cuore e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,55.

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