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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissioni Riunite
(III e VII)
4.
Martedì 29 novembre 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Aprea Valentina, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA PROMOZIONE DELLA CULTURA E DELLA LINGUA ITALIANA ALL'ESTERO

Audizione di direttori degli Istituti italiani di cultura all'estero:

Aprea Valentina, Presidente ... 3 10
Barbieri Emerenzio (PdL) ... 10
Campanaro Giorgio, Già direttore dell'Istituto italiano di cultura di Tokyo ... 5
Sabbatini Paolo, Direttore dell'Istituto italiano di cultura di Praga ... 3 4
Valente Francesca, Già direttore di istituti italiani di cultura in Canada e Nord America ... 7
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia (Grande Sud): Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI.

COMMISSIONI RIUNITE
III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI) E VII (CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE)

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 29 novembre 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA VII COMMISSIONE VALENTINA APREA

La seduta comincia alle 15,15.

(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di direttori degli Istituti italiani di cultura all'estero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla promozione della cultura e della lingua italiana all'estero, l'audizione di direttori degli istituti italiani di cultura all'estero.
Dando loro il benvenuto a nome delle Commissioni riunite, do la parola ai nostri ospiti.

PAOLO SABBATINI, Direttore dell'Istituto italiano di cultura di Praga. Grazie infinite, presidente, è un onore parlare a voi.
Ho molto riflettuto su quanto è stato affermato nelle precedenti audizioni dalle persone molto autorevoli che mi hanno preceduto. Ritengo che codesta autorevole Commissione abbia già un'idea sulla strategia a livello centrale e globale. Credo che le audizioni precedenti siano state assolutamente esaustive.
Nel venire qui ho deciso di adottare un approccio molto pratico. Vorrei brevemente riassumere quelli che mi sembrano i punti salienti delle precedenti audizioni e suggerire alcune strategie che possano essere adottate in pratica a livello di sedi periferiche.
Delle audizioni precedenti mi sono sembrati particolarmente interessanti i seguenti concetti. Nella nuova situazione degli istituti di cultura e in virtù della situazione finanziaria, c'è bisogno di una sostanziale rivisitazione di ciò che in inglese è chiamato mission o scope of work. Mi è sembrato interessante che gli istituti si stabilissero come camere di compensazione delle informazioni e delle attività culturali e, soprattutto, come punti di riferimento, per l'Italia, per sapere cosa succede a livello culturale, in senso lato, nel Paese di accreditamento e, per il Paese di accreditamento, per sapere cosa succede in Italia e quali sono le strategie italiane.
Il secondo punto che mi sembra importante riguarda la politica o la strategia da adottare nei confronti degli studenti, del settore accademico. Mi pare molto interessante che ci sia la volontà di creare le condizioni affinché studenti stranieri vengano in Italia in numero sempre più cospicuo e che, al tempo stesso, si cerchi di potenziare le attività di insegnamento della lingua italiana all'estero.
Io sono stato sei anni a Shanghai e sono arrivato a Praga circa un mese fa.

PRESIDENTE. Conosciamo, direttore, il grande lavoro che lei ha compiuto in Cina. Come sa, la Commissione Cultura ha svolto una missione a Shanghai durante


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l'Expo e ha potuto verificare con mano gli esiti di un lungo e paziente lavoro.

PAOLO SABBATINI, Direttore dell'Istituto italiano di cultura di Praga. Grazie, presidente. In effetti, dopo questa straordinaria esperienza cinese, sono stato molto contento di constatare che nelle audizioni precedenti ci si è focalizzati sulle economie emergenti e sull'esigenza di non perdere quanto già acquisito, ma anche di concentrarsi e investire molto sulle nuove economie, quali Cina, Brasile e India.
L'ultima raccomandazione di questa anamnesi del già discusso è stata la necessità di fare sistema con la Società Dante Alighieri, con le comunità italiane e con la rete culturale in senso lato, la quale comprende istituti, scuole, addetti scientifici, lettorati, enti locali e varie entità del sistema Italia.
Per mettere in pratica quanto raccomandato, ho individuato una serie di punti molto schematici.
Per evitare la dispersione di risorse, visto che si parla tanto di streamlining, cioè di come approfittare meglio delle scarse risorse a disposizione, è indispensabile riconoscere agli istituti di cultura il ruolo di coordinamento tecnico. È stato ribadito nelle audizioni precedenti che l'ambasciatore e la rete diplomatica hanno il dovere di assicurare un coordinamento politico. Per quanto attiene alla cultura, che richiede una professionalità specifica e insostituibile, è necessario, indispensabile e logico che l'istituto di cultura sia il punto di riferimento per ciò che riguarda cultura, stile di vita e, in generale, legame tra cultura e impresa.
Non bisogna, quindi, indebolire gli istituti di cultura. Essi, al contrario, rappresentano un punto di riferimento indispensabile: bisogna rafforzarli o perlomeno attribuire loro un ruolo che spesso è stato non affievolito, ma forse eclissato.
Prima parlavo di camera di compensazione culturale. Bisogna centralizzare l'informazione e renderla trasparente: questa è una necessità assoluta, che ci viene riconosciuta. Quando ero a Shanghai, con un lavoro molto specifico nei confronti delle mie controparti, ero arrivato ad assumere il ruolo di advisor. I cinesi mi hanno ricoperto di onori e sono commosso nel constatare che ancora oggi, quando si tiene un'iniziativa culturale di cui vogliono avere un giudizio di merito, si rivolgono a me. Credo che il direttore dell'istituto possa e sappia far questo perché, come dicevo prima, la competenza culturale è una competenza assoluta, primaria e insostituibile.
Il problema delle risorse umane è stato più volte mentovato. È una questione di gestione di risorse e non di quantità. È stato dibattuto sul fatto che vi siano più contrattisti o meno contrattisti, più addetti o meno addetti. A mio avviso non è una questione di quantità di risorse umane, ma di leadership e di indirizzamento delle risorse umane esistenti.
La professionalità dell'addetto culturale è una professionalità unica in Italia. Abbiamo una tradizione straordinaria e plurisecolare: si tratta forse della più antica istituzione dello Stato italiano, non sostituibile perché la base culturale è assolutamente indispensabile. A Praga la situazione è estremamente sofisticata: c'è, quindi, bisogno che il direttore di istituto sappia riconoscere Scarlatti, piuttosto che Dvorák. Forse è abbastanza semplice, ma bisogna che il direttore dell'istituto lo sappia fare.
La base culturale che si acquisisce in anni e anni di studio è il sostrato indispensabile per l'installazione di capacità manageriali. Io non credo, francamente, onorevoli commissari, che sia facile instillare anni di cultura in un manager che possiede già la propria managerialità. Credo che questo sia un binomio che è indispensabile creare in persone che sono già colte.
Fino ad ora i miei predecessori in questa sede hanno parlato delle loro capacità. Io mi permetto di ricorrere alla vostra benevolenza perché - caso unico, credo - voglio fare un autodafè, cioè, voglio dire a voi, che siete occupati in qualche maniera ad effettuare uno scrutinio sulle potenzialità e sulle debolezze


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degli istituti, quali sono, a mio avviso, i punti che bisogna potenziare e quali le nostre criticità.
Bisogna svecchiarsi: bisogna essere giovani non sono nelle idee, ma anche nelle modalità. La vexata quaestio della giustapposizione tra direttori di chiara fama e direttori di carriera non ha una risposta passepartout: non esiste in principio un direttore di chiara fama buono, come non esiste in principio un direttore di ruolo buono.
C'è bisogno, invece, di una professionalità specifica su tre argomenti fondamentali che il mondo e la mutata di situazione di oggi ci impongono. Il direttore ideale deve essere bravo in networking, deve cioè essere capace di assicurare quell'adesione delle realtà locali, ma anche delle realtà italiane che gli permetta di svolgere il proprio lavoro, e deve inoltre essere bravo nel fund raising. Onorevoli commissari, si è detto, ad esempio, di sfruttare il logo dell'istituto: sono cose vecchie, non serve più a niente utilizzare il logo dell'istituto di cultura per una manifestazione fatta da altri. Il fund raising necessita di una specifica professionalità. Bisogna crescere assieme al potenziale sponsor. Non serve a niente inserirsi in una attività che già esiste, piatendo, come fanno molti, la compartecipazione o la possibilità di inserire la menzione che tale attività è stata realizzata in collaborazione con l'istituto di cultura.
Come ultima raccomandazione pratica, visto che ci si è occupati della strategia a livello centrale, propongo quello che in inglese si chiama case study. L'Istituto di cultura di Praga è uno dei più prestigiosi del mondo. Vi propongo di cominciare a studiare sul terreno come evolverà la situazione dell'Istituto dal tempo zero, ossia adesso, ai prossimi tre anni. Grazie.

GIORGIO CAMPANARO, Già direttore dell'Istituto italiano di cultura di Tokyo. Grazie, presidente e onorevoli commissari, per l'opportunità che mi viene data di portare la mia testimonianza dopo venticinque anni di servizio per lo Stato all'estero e più precisamente nei cinque continenti.
In questi ultimi anni, per molti versi complessi, il Ministro Frattini, come è noto, avocando a sé la politica culturale, ha delineato come linea guida quella di coniugare patrimonio culturale con capacità di attrazione economica. Se da un punto di vista di diplomazia culturale il principio può essere strategico, questo nuovo «approccio di sistema», per usare le sue parole, anche a un osservatore esterno lascia intravedere il ruolo ancillare della cultura in subordine all'economia.
Se si è d'accordo nel definire in senso lato per cultura l'insieme degli aspetti spirituali, materiali, intellettuali ed emozionali, unici nel loro genere, che contraddistinguono una società, non comprendendo solo l'arte, la letteratura, la scienza, ma anche i modi di vita, i diritti fondamentali degli esseri umani, i sistemi di valori, le tradizioni e le credenze, cioè tutto ciò che mette l'uomo in grado di essere creativo, emerge la discrasia fra cultura ed economia, che per definizione è il modo di operare volto a ottenere solo il massimo vantaggio col minimo sacrificio.
Nella complessa congiuntura odierna, lo sforzo dell'amministrazione è stato grande nell'evitare dispersione di risorse frammentarie ed episodiche, nel ridisegnare la geopolitica culturale, nell'instaurare tavoli di lavoro specifici. Ma gli ostacoli da superare non sono terminati.
Entrando nel merito del mio intervento, vorrei citare, nel breve spazio che mi è consentito, un paio di esperienze che mi è capitato di fare, sia in Paesi europei sia in ambito extraeuropeo, che potrebbero essere interpretate come elementi di sostegno e di sussidiarietà - e sottolineo la parola sussidiarietà - e non certo come elementi di sostituzione, funzionali tuttavia alla nostra politica culturale.
Nella sede di Vienna, mi è capitato di avere anche la presidenza di EUNIC Cluster Vienna, acronimo in lingua inglese che sta per Gruppo di lavoro di Vienna degli istituti di cultura dei Paesi dell'Unione europea. Nello specifico, nel mese di giugno 2006 risultavano firmatari i rappresentanti


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di undici Stati membri e di tre Stati candidati; altri otto avevano espresso il loro assenso all'adesione, con impegno di firma per il mese successivo.
Scopo dell'associazione è favorire la cooperazione tra gli istituti di cultura e gli uffici culturali delle ambasciate dell'Unione europea, al fine di rafforzare le prospettive europee concernenti arte, cultura e scienza; sostenere l'integrazione dei nuovi Stati membri dell'Unione europea e, nell'ambito di una cooperazione multiculturale; stabilire una rete di comunicazione tra gli istituti di cultura stranieri presenti nella capitale austriaca, le autorità locali e, come partner privilegiati, la Direzione generale delle relazioni culturali del Ministero degli affari esteri austriaco e i settori cultura della Cancelleria federale, ai fini di una più stretta collaborazione; infine, organizzare, almeno una volta l'anno, una grande manifestazione congiunta con il coinvolgimento delle autorità austriache.
Gli incontri calendarizzati si rivelarono non solo fruttuosi per lo scambio di idee e l'analisi delle criticità, ma soprattutto utili al fine di generare sinergie creative, scaturenti in manifestazioni congiunte, come ad esempio il Festival del cinema europeo, la giornata europea della musica, collaborazioni con fondazioni e altri soggetti del Paese ospitante.
Fatta salva la creatività artistica e l'autonomia dei Paesi che aderivano al progetto del caso, il vantaggio più evidente era la visibilità come principio moltiplicatore, tante volte più grande quanti più Paesi partecipavano al progetto, con un notevole abbattimento dei costi, sano principio di economia. Altro segnale importante era constatare quanto le culture unissero piuttosto che dividere. Esistono simili gruppi di lavoro in altre capitali europee, mi risulta anche in ambito extraeuropeo. Mi permetto di aggiungere che, da parte della nostra amministrazione, occorrerebbe prestare maggiore attenzione al sostegno dello sviluppo di questi EUNIC, là dove venga coinvolta l'Italia, anziché considerarli solo come un aggiuntivo fardello burocratico.
Passo ad altro punto. Nei paesi extraeuropei più importanti, nelle cui capitali esistono le rappresentanze della Commissione europea, è prassi, da quanto ho potuto constatare durante la mia permanenza a Tokyo, che gli addetti stampa e gli addetti culturali - i direttori di istituto sono anche addetti o consiglieri culturali delle ambasciate - vengano mensilmente invitati in Assemblea. È una palestra importante, dove, al di là della discussione, attorno un tavolo, delle problematiche comuni o dei singoli Paesi, si acquisiscono utili informazioni, come, per esempio, i bandi emanati da Bruxelles.
Desidero, a tal proposito, fornire un esempio pratico. Un bando per il recupero in aree urbane di siti industriali per scopi culturali garantiva ai Paesi associati due a due un finanziamento del progetto del 51 per cento e coinvolgeva, oltre al Giappone, sei Paesi europei fra loro consorziati. L'Italia si associò con l'Irlanda, la Francia con l'Inghilterra, la Germania con la Finlandia. Fu in tal modo possibile offrire ai partecipanti giapponesi coinvolti nello stesso progetto di recupero due settimane di soggiorno studio in Europa; nel nostro caso si offrì il soggiorno di una settimana a Genova - nella quale i giapponesi, coinvolti nello stesso programma, studiarono il recupero della zona portuale, in quanto drasticamente rimodellata, offrendo in tal modo molti spazi dedicati alla cultura - e a Torino per il Lingotto. I partecipanti al progetto trascorsero la seconda settimana in Irlanda, visitando luoghi simili.
Quattro mesi più tardi il Giappone, con il contributo della Japan Foundation, reciprocò a Yokohama l'ospitalità agli europei, organizzando un convegno in cui confluirono, attraverso le varie testimonianze proposte, i risultati delle rispettive visite e soggiorni di studio. Il restante 49 per cento del budget necessario per la copertura dei costi fu suddiviso fra i sei Stati europei che avevano partecipato al progetto: si trattò di un'operazione di grande risalto che coinvolse altre istituzioni e imprese italiane e il cui costo per l'Istituto fu piuttosto modesto rispetto alla portata dell'evento.


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Vorrei soffermarmi ancora su un aspetto relativo ai corsi di italiano. Come sappiamo, sono importanti non solo per la diffusione della lingua italiana assieme alla cultura e in quanto rientrano nel mandato degli istituti, ma anche perché i corsi, se ben strutturati e condotti, possono costituire una fonte di autofinanziamento. Dove possibile, i corsi dovrebbero essere gestiti direttamente degli istituti, come per esempio nel caso di Tokyo, per assicurare il massimo di introito e di trasparenza gestionale e amministrativa, ma anche perché per i discenti diventi quasi automatico che l'istituto è per eccellenza il luogo in cui la cultura italiana viene declinata nelle sue più diverse sfaccettature.
Nel caso in cui vi fosse, per conto dell'istituto, un ente gestore di corsi, dovrebbe, come invece nel caso di Vienna, essere unicamente un'associazione regolarmente registrata presso le autorità locali e attentamente monitorata dal responsabile dell'istituto e da un addetto linguistico per assicurare una didattica corretta e conforme ai parametri di riferimento fissati dall'Unione europea, come avviene per il francese e per le altre lingue d'Europa.
A questo discorso si allaccia comunque la questione della certificazione, che dovrebbe essere gestita unicamente dagli istituti di cultura. Vorrei sottolineare la necessità di accorpare in un unico sistema la certificazione, cioè quel documento che abilita allo studio i borsisti ed è strumentale alla vita lavorativa per coloro che si interessano all'italiano. Sarebbe un segno di omogeneità importante, oltre che di immagine, come avviene per le altre lingue europee.
Concludo con un accenno ai borsisti. Anche questo è un discorso che si collega a quanto affrontato precedentemente. Essendomi occupato di cooperazione interuniversitaria, di internazionalizzazione del nostro sistema universitario e dei relativi convegni interministeriali nel 2008-2009 (Italia - America latina e Italia - Mondo), risultava che in anni precedenti studenti cinesi fossero stati ammessi in alcuni dei nostri Atenei pur non avendo superato il tao bao, se ricordo bene la dicitura, cioè il test di accesso alle loro università, un escamotage per alcuni studenti cinesi per venire in Italia senza neanche espletare il corso di studi per il quale avevano fatto domanda e ottenuto le borse di studio. Occorre, quindi, molto discernimento nel conferire le borse di studio, previo un serio esame nel Paese da cui provengono i borsisti.
Noi dovremmo, invece, migliorare l'accoglienza e osservare la puntualità nell'erogazione delle mensilità previste.

FRANCESCA VALENTE, Già direttore di istituti italiani di cultura in Canada e Nord America. Parlo da autodidatta perché ho avuto un direttore per soli due anni a Toronto. La cosa veramente significativa che sono riuscita a fare da addetta e di cui sono molto fiera è stata far aprire un ufficio RAI da Paolo Grassi a Toronto. Subito dopo l'ambasciatore Sergio Romano mi ha trasferito a San Francisco a potenziare l'Istituto appena fondato e in seguito ho diretto gli Istituti di Toronto, di Chicago e di Los Angeles.
Vi vorrei fare partecipi di un'esperienza diretta come coordinatore di ottantanove Istituti italiani di cultura nel mondo e vorrei lasciare alla Camera questa pubblicazione, nata dall'idea del Padiglione Italia della Biennale 2011 di fare una mappatura per conto del Ministero degli Esteri della creatività italiana all'estero, chiedendo agli Istituti di individuare gli artisti italiani o di origine italiana sparsi nel mondo. L'Italia fuori d'Italia, in altre parole.
Non era mai stato fatto dal 1895, anno di fondazione della Biennale: gli Istituti italiani di cultura, da spettatori, sono stati trasformati in protagonisti di un'importante operazione culturale, con ottantanove mostre in cinque continenti e ottantanove video all'interno del Padiglione Italia all'Arsenale di Venezia.
Prima di coordinare gli istituti per conto del Ministero degli Affari Esteri e del Padiglione Italia, ero coordinatore della macroarea nordamericana. Sono stata eletta dai miei colleghi e mi sono


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trovata a coordinare da Los Angeles i cinque Istituti degli Stati Uniti, New York, Chicago, Washington, San Francisco, Los Angeles, e i tre del Canada, ovvero Toronto, Montreal e Vancouver.
È stata un'esperienza molto gratificante, perché si sono ridotti i costi al 90 per cento per ogni iniziativa condivisa e perché ho trovato un'incredibile rispondenza da parte dei colleghi, che hanno accettato una serie di eventi che hanno circolato in otto istituti italiani di cultura in tutto il Nord America, da una mostra di Emilio Vedova, a un ciclo di conferenze-spettacolo di Gian Antonio Stella riguardanti soprattutto l'emigrazione italiana.
Come conseguenza di questo lavoro di coordinamento, posso dirvi che anche a mio parere è fondamentale modificare la mappa degli Istituti italiani di cultura. Non affermo niente di nuovo, dopo aver letto attentamente quanto hanno detto voci molto più autorevoli della mia, dal Ministro al direttore Lomonaco. Otto Istituti italiani di cultura in Germania e quattro in Francia non hanno forse molto senso nel terzo millennio. Dovrebbero essere privilegiate aree molto più lontane e assetate di italianità: in Nord America, per esempio, Houston sarebbe senz'altro una città da considerare perché presenta una forte richiesta di cultura italiana.
A mio avviso, dovrebbe essere modificato anche il profilo degli Istituti e dei loro responsabili. Forse sono troppo radicale, ma l'Istituto dove io mi sono trovata meglio in assoluto è stato quello di San Francisco, una piccola sede con un impiegato di concetto, un telefono e tutto l'Ovest americano da seguire nonostante i 30.000 dollari di dotazione dal 1980 al 1985.
Io credo che molto spesso un istituto si possa gestire anche senza denaro e senza personale, con molta buona volontà e un pizzico di volontà e un pizzico di immaginazione, e magari contando sulla collaborazione di alcuni validi stagisti messi a disposizione dal MAE. A San Francisco abbiamo organizzato una mostra di Leonardo da Vinci che includeva quattro tempere su lino, il dipinto leonardesco «Salvator Mundi» e due manoscritti illustrati da Rubens e da Poussin, disponendo di soli 5 milioni di lire del Ministero della Pubblica Istruzione. Abbiamo esordito al museo universitario di Berkley e abbiamo concluso la mostra itinerante, inclusiva di dieci sedi, a Princeton. Alla fine, mettendo in conto a ogni museo 10.000 dollari per partecipare a questa iniziativa senza precedenti, abbiamo anche ottenuto un guadagno economico: e così l'Istituto di San Francisco ha potuto acquistare anche una macchina di servizio.
Parlando di fund raising, sottolineo ancora una volta che i corsi di italiano, se ben gestiti, possono costituire una utile fonte di autofinanziamento. L'ideale sarebbe che, ove possibile, i corsi fossero gestiti direttamente dagli Istituti, come avviene per esempio in Giappone e in tutto il Canada, con risultati pienamente soddisfacenti in termini sia di immagine che di ritorno economico.
Anche il profilo del responsabile dell'istituto dovrebbe essere modificato perché oggi un direttore non può che essere un imprenditore culturale invece che uno studioso che si concentri nel suo ambito di specializzazione. Non ha senso infatti non proporre un ventaglio di discipline che ritraggano l'Italia di oggi, di ieri e di domani.
Purtroppo, non è così. Non tutti i direttori di istituto sono imprenditori culturali. Nel corso del mio coordinamento per la Biennale, alcuni istituti non riuscivano a trovare artisti italiani o di origine italiana da segnalare. Forse il direttore era appena arrivato oppure non aveva ancora svolto una ricerca approfondita nella propria giurisdizione.
Bisogna evitare che l'istituto diventi una monade senza porte e senza finestre o una torre d'avorio. Deve essere, invece, un centro di irradiazione della cultura italiana, ma anche un punto d'incontro fondamentale tra la cultura del luogo e quella del nostro paese in una sinergia irrinunciabile.
Sono rimasta esterrefatta che la York University di Toronto mi abbia conferito una laurea ad honorem per aver diffuso la cultura italiana in Canada e la cultura


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canadese in Italia. L'istituto è, quindi, un ponte a due corsie e non può essere in nessun modo a senso unico.
Sono convinta che l'istituto debba essere una struttura snella. Se pensate di avallare la possibilità di chiudere qualche sede, è forse bene concentrarsi per esempio, su quegli istituti che costano circa 150.000 euro di affitto all'anno e in cui il direttore, l'addetto e il personale locale hanno, come è ovvio che abbiano, una retribuzione, che però è superiore alla dotazione. Perché non dare più dignità a meno istituti, eliminandone alcuni ridondanti e conservando e valorizzando quelli che hanno una sede demaniale, che nella maggior parte dei casi andrebbe restaurata?
Era questo il caso di Los Angeles. Quando sono arrivata c'erano termiti e pulci oltre che grandi cedimenti del tetto a causa di piogge storiche. Da oltre tre anni non esistevano né riscaldamento né aria condizionata. Ho vissuto quindi una doppia vita. Da una parte, mi occupavo del restauro del sito straordinario che ospita l'Istituto italiano di cultura di Los Angeles, realizzato da uno dei più grandi architetti europei e, dall'altra, organizzavo una vasta gamma di manifestazioni, pubblicizzate da una newsletter bilingue. Al termine del mio mandato, l'istituto era divenuto un autentico museo del design contemporaneo d'autore. In particolare la direzione contiene oggi mobilio originale di Gio Ponti, proveniente dal Pirellone di Milano e donato da Assolombarda, un conglomerato di banche.
Per quanto riguarda il profilo del responsabile di un istituto, ritengo che dovrebbe avere una solida preparazione culturale. La laurea triennale, che ora è inclusa tra i più recenti requisiti, non è quindi assolutamente sufficiente. È necessaria infatti non solo una solida preparazione culturale ma anche giuridica per capire l'amministrazione dello Stato, la gestione dei contratti e del personale. Sono inoltre fondamentali attitudini manageriali e ottime conoscenze linguistiche: spesso, infatti, arriva un addetto che non conosce a sufficienza la lingua del luogo e, quindi, non può essere di aiuto.
Non esistono più due elementi fondamentali per la buona riuscita di questo tipo di lavoro: formazione e valutazione. La formazione per essere proficua deve essere ad hoc: non basta frequentare l'Istituto diplomatico e ascoltare bravissimi professori che però non conoscono la realtà degli Istituti all'estero. Inoltre, è venuta a mancare, forse grazie anche ai sindacati, la valutazione interna del personale. Sarebbe giusto, invece, ripristinare una sorta di carriera - che oggi non esiste più in nome di una pseudo democratizzazione della cultura - e reintrodurre il monitoraggio del personale sulla base della meritocrazia.
Credo che il lavoro di un direttore di istituto sia una vera e propria vocazione e la vocazione non può essere dalle nove alle cinque. Si tratta di un laborioso lavoro di penetrazione culturale nel territorio. Bisognerebbe insegnare ai giovani direttori che arrivano in un paese a disegnare una mappa delle maggiori istituzioni e a studiare una strategia per interagire con esse.
Prima di tutto, occorre dedicarsi a una fase di ascolto della complessa realtà locale per poi diventare propositivi, contattando, ad esempio, l'ufficio del sindaco o dell'assessore alla cultura per verificare se esistono gemellaggi con un città italiana. Chicago, per esempio, è gemellata con Milano, San Francisco con Assisi. Occorre, inoltre, proporre una programmazione a 360 gradi che includa tutte le discipline.
A mio avviso, inoltre, i direttori di chiara fama hanno dato spesso un apporto molto interessante. Pressburger, Rummo e Perone, ad esempio, sono stati davvero straordinari. Forse il legislatore dovrebbe togliere il limite dell'età perché un direttore di chiara fama è una persona che ha accumulato esperienze dopo molti anni che potrebbero essere preziose, anche oltre i sessantacinque anni.
Sarebbe auspicabile, infine, l'istituzione di una figura che contatti gli istituti non a tavolino, ma di persona e che aiuti soprattutto


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i più giovani direttori a rivitalizzare questi luoghi dalle potenzialità straordinarie.

PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi e do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

EMERENZIO BARBIERI. Dovrò essere schematico, avendo a disposizione solo pochi minuti.
Tutti gli interventi sono stati interessanti. Vedremo poi quali riflessioni confluiranno nella relazione conclusiva dell'indagine conoscitiva.
Vorrei poter interloquire a lungo con la dottoressa Valente perché ci ha fornito, sì, alcune indicazioni interessanti, ma altre opinabili, sulle quali non concordo nel modo più assoluto. Tuttavia, non è questo il momento per dire quali siano le opinioni su cui convergo e quali quelle su cui divergo.
Mi limiterò a due questioni. Già nella precedente legislatura, avviando il dibattito relativo a questa indagine conoscitiva, il problema, da lei posto, della ridefinizione della collocazione degli istituti italiani di cultura è apparso centrale sia alla Commissione cultura sia alla Commissione esteri. Concordo con lei su questo aspetto, ma dobbiamo stabilire quali criteri seguire. Non è sufficiente affermare che gli attuali istituti presenti in Germania o in Francia sono troppi: bisogna anche capire dove aprirne di nuovi.
Mi vorrei poi rivolgere al direttore dell'Istituto di Praga, che, come tutti i suoi colleghi, ha detto di aver letto i resoconti del lavoro che abbiamo svolto finora. Io condivido la sua richiesta che la politica culturale sia coordinata dagli istituti italiani di cultura all'estero. Devo rilevare, pur essendo del suo stesso partito, che questa non era l'opinione del Ministro Frattini, come lei ben sa. Non so se la Commissione affari esteri abbia già audito il neo Ministro degli esteri, ma diventa difficile, direttore, pensare che in un'indagine conoscitiva il Parlamento si metta in contrapposizione con il Governo su questo tema. Non sortirebbe alcun tipo di risultato.
Varrebbe la pena capire, soprattutto dalla Commissione affari esteri, quale sia l'indicazione che a tale proposito fornisce il nuovo Governo.

PRESIDENTE. Ringrazio tutti gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.

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