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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissioni Riunite
(III e VII)
6.
Giovedì 15 marzo 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Narducci Franco, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA PROMOZIONE DELLA CULTURA E DELLA LINGUA ITALIANA ALL'ESTERO

Audizione di rappresentanti di istituti culturali esteri in Italia:

Narducci Franco, Presidente ... 3 6 10 12 14
Centemero Elena (PdL) ... 11
Corsini Paolo (PD) ... 10
Di Centa Manuela (PdL) ... 10
Levi Ricardo Franco (PD) ... 10
Melia Christine, Direttore del British Council (Roma) ... 3 12
Pistelli Lapo (PD) ... 11
Séré-Charlet Jean-Marc, Direttore dell'Institut Fran|fcais (Roma) ... 6 13
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

COMMISSIONI RIUNITE
III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI) E VII (CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE)

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 15 marzo 2012


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DELLA III COMMISSIONE FRANCO NARDUCCI

La seduta comincia alle 9.

(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di istituti culturali esteri in Italia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla promozione della cultura e della lingua italiana all'estero, l'audizione di rappresentanti di istituti culturali esteri in Italia.
Saluto e ringrazio la dottoressa Christine Melia, direttore del British Council, accompagnata dal dottor Gianluigi Campione e dal dottor Kevin McKenzie e il consigliere Jean-Marc Séré-Charlet, direttore dell'Institut Français.
Iniziamo oggi un giro d'orizzonte comparativo e quindi molto importante in relazione ai modelli di promozione culturale e linguistica di alcuni tra i principali Paesi europei. Oltre alla Gran Bretagna e alla Francia, proseguiremo con la Spagna e la Germania. Sono certo che in tal modo acquisiremo elementi di grande interesse per il nostro lavoro.
Do quindi la parola alla dottoressa Christine Melia per riferire alle Commissioni sul modello britannico.

CHRISTINE MELIA, Direttore del British Council (Roma). Grazie, presidente, grazie, onorevoli, per l'invito. Vogliate perdonarmi innanzitutto se continuerò in inglese, ma è molto più facile per me e penso sia molto più veloce per voi.
Come ha detto il presidente, sono la direttrice del British Council in Italia, lavoro da trentatré anni al British Council, in Sudamerica, in Europa, in Africa, nei Caraibi. Oggi vorrei parlarvi del British Council a livello globale, per darvi un'idea di come funziona la nostra organizzazione, e spero che le informazioni che vi darò possano esservi di ausilio nel vostro processo decisionale. Missione, struttura, attività, quindi, ma anche fonti di finanziamento, status giuridico, redditività nell'ottica del contribuente britannico.
Il British Council ha sempre inteso creare opportunità internazionali per i cittadini del Regno Unito e i cittadini di altri Paesi, ma in primo luogo la nostra missione è costruire fiducia. La parola «fiducia» è il filo conduttore della nostra missione, perché la fiducia costruita attraverso il contatto diretto tra le persone secondo noi è fondamentale per la crescita e la prosperità del Regno Unito e anche per la sicurezza del nostro Paese. Siamo quindi un investimento nazionale per la creazione di rapporti internazionali stabili e concorriamo alla prosperità, alla sicurezza e alla posizione del Regno Unito a livello mondiale.
Abbiamo iniziato nel 1934, abbiamo uno Statuto reale, un Royal Charter, che costituisce la base giuridica della nostra organizzazione ed è firmato dalla Regina stessa, che ci affida il compito, svolto da


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ogni sede del British Council nel mondo, di promuovere le relazioni culturali, la comprensione delle diverse culture attraverso rapporti tra persone, di diffondere la conoscenza del Regno Unito e della lingua inglese, di stimolare la cooperazione culturale, scientifica, tecnologica ed educativa tra Regno Unito e altri Paesi, di promuovere il progresso dell'istruzione.
I nostri settori di base sono tre: la lingua inglese, le materie umanistiche, l'istruzione e la società. Il pilastro è ovviamente rappresentato dalla lingua inglese, quindi le attività nella maggior parte dei nostri uffici in tutto il mondo si incentrano sull'insegnamento e sugli esami di conoscenza della lingua inglese, ma non in tutte le sedi.
Inviamo anche persone dal Regno Unito e facciamo venire persone nel Regno Unito attraverso borse di studio e scambi, e lavoriamo anche in dialoghi politico-tematici tra Regno Unito e altri Paesi relativi al settore dell'istruzione e dell'arte, come facciamo attualmente qui in Italia con il Ministro Profumo nel settore dell'istruzione superiore, con uno scambio di informazioni sull'evoluzione dell'istruzione superiore nel Regno Unito e in Italia.
La promozione delle eccellenze britanniche nel campo delle materie umanistiche, dell'inglese e dell'istruzione all'estero fa parte della nostra missione ufficiale, così come anche la formazione dei giovani. Lavoriamo essenzialmente con i giovani in tutto il mondo e non ci limitiamo a insegnare l'inglese, ma diamo anche delle abilità di leadership, di cittadinanza, soprattutto in Africa, Asia, America Latina, concentrando il nostro sforzo sui più giovani.
La formazione di determinate competenze e abilità è molto importante anche in Europa. Il mondo sta diventando sempre più competitivo, e anche l'Europa sta diventando sempre più competitiva, quindi noi vorremmo fornire delle competenze in inglese e in altri settori anche in Europa, per promuovere la mobilità e l'impiegabilità nelle regioni in cui lavoriamo.
Probabilmente, vi interesserà sapere come ci finanziamo e il nostro status. Siamo stati creati nel 1934 e nel Regno Unito siamo un ente senza fini di lucro, siamo presenti in Italia dal 1945, ma abbiamo iniziato in Medio Oriente, Portogallo, Egitto nel 1934. Siamo un ente pubblico non ministeriale e il Governo ci ha conferito il titolo di ente britannico ufficiale per le relazioni culturali.
La nostra convenzione culturale con l'Italia è stata sottoscritta nel 1951, e il British Council è il soggetto principale per quanto riguarda le relazioni culturali tra Italia e Regno Unito. Anche se non c'è una convenzione culturale che regola la nostra posizione in tutti i Paesi, tutto si basa sui nostri obiettivi senza fini di lucro, di cui ho parlato prima.
Seguiamo le priorità internazionali del Governo britannico di lungo periodo attraverso il Ministero degli affari esteri britannico, il Foreign & Commonwealth Office, da cui riceviamo il nostro finanziamento pubblico di base, che ci consente di essere presente in 110 Paesi nel mondo.
La maggior parte delle nostre spese è coperta erogando servizi educativi e impartendo l'insegnamento dell'inglese, proponendo contratti di formazione e lavorando in partenariato con enti pubblici, altre istituzioni, donatori e il settore privato. Nel 2010, i costi globali per le relazioni culturali sono stati pari a 693 milioni di sterline, ma soltanto il 28 per cento è stato coperto dal finanziamento pubblico.
Nel 1980, trenta anni fa, circa il 40 per cento delle nostre spese totali veniva coperto dal Governo britannico, mentre oggi siamo scesi al 28 per cento e prevediamo che per il 2015 ci sarà un'ulteriore riduzione di questa copertura al 15 per cento. Abbiamo avuto una crescita del 44 per cento del finanziamento pubblico negli ultimi trent'anni, ma i proventi dei nostri corsi, che coprono i nostri costi globali, sono cresciuti di oltre il 100 per cento. Attualmente c'è un'ulteriore riduzione del 26 per cento, cioè 30 milioni di sterline che dobbiamo tagliare entro il 2015.
Per quanto concerne il nostro sistema di governance, abbiamo una Presidenza e un Comitato indipendente di amministratori


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fiduciari esterni, che sono responsabili della nostra direzione strategica in tutto il mondo e che lavorano con gli alti dirigenti, cioè il Comitato esecutivo, il cui attuale amministratore delegato - prima chiamato direttore generale - presiede un Comitato di otto alti dirigenti: quindi abbiamo il Comitato degli amministratori fiduciari e la Presidenza che lavorano con un Comitato esecutivo di 8 alti dirigenti.
Questo Comitato esecutivo opera attraverso otto dirigenti regionali, in quanto abbiamo suddiviso il mondo in otto regioni: la nostra strategia aziendale viene tradotta in strategie regionali, che a loro volta vengono tradotte in strategie nazionali attraverso i direttori di ogni Paese, come la sottoscritta.
La nostra sede centrale è a Londra, ma abbiamo anche uffici a Manchester, Edimburgo, Cardiff, Belfast, per coprire tutte le regioni del Regno Unito. Le principali funzioni di supporto, nel Regno Unito abbiamo funzioni di supporto e non operative, sono la programmazione strategica - attraverso la Presidenza, il Consiglio degli amministratori fiduciari e il Comitato esecutivo - le comunicazioni, le risorse umane, il finanziamento, lo sviluppo di partenariati, sono ubicate a Londra.
Abbiamo oltre 200 uffici in 110 Paesi in tutto il mondo e un finanziamento pubblico che viene ridotto, ma non intendiamo ridurre la nostra presenza a livello globale. Riteniamo infatti che sia importante rimanere in tutti i 110 Paesi e non vorremmo mai scendere al di sotto di 100 Paesi. Questa è la ragion d'essere del British Council sin dal 1934: creare rapporti con la gente in tutto il mondo e continuiamo a credere che sia importante essere sul terreno.
Abbiamo 7.000 dipendenti, la maggior parte dei quali costituita da personale locale. Soltanto il 15 per cento dello staff si trova nel Regno Unito, perché l'85 per cento è all'estero e la maggior parte di questo 85 per cento è costituito da cittadini del Paese ospite, non britannici. Nel mio ufficio di Roma, oltre a me, c'è il mio vicedirettore e due altri funzionari inglesi, mentre tutti gli altri sono cittadini italiani o insegnanti di inglese che lavorano in Italia con contratti di diritto italiano. Abbiamo quindi uno o due britannici nei nostri uffici presenti nelle varie parti del mondo e il resto è personale locale.
Abbiamo iniziato a lavorare con i partner tradizionali: Europa, Stati Uniti e Commonwealth, ma oggi lavoriamo anche nelle economie emergenti, in posti molto difficili come l'Afghanistan, il Pakistan, il Medio Oriente e il Nord Africa, sviluppando le competenze per migliorare le prospettive di lavoro della gente.
Siamo ritornati in Libia: vogliamo insegnare l'inglese e altre competenze ai giovani libici, per migliorare le loro possibilità di trovare lavoro, migliorare il benessere del Paese ma anche - siamo sinceri - nell'interesse della politica estera internazionale del Regno Unito di contrastare l'estremismo e quindi in questo modo contribuire alla nostra sicurezza.
Per darvi un'idea delle dimensioni di scala nelle economie emergenti di maggior rilievo, in Cina più di 20 milioni di persone hanno studiato l'inglese sul nostro sito on line e 8 milioni hanno visitato i nostri eventi all'esposizione di Shanghai, in Birmania 250.000 persone utilizzano le nostre biblioteche, imparano l'inglese e sostengono esami in un contesto sicuro e libero. In Iraq abbiamo collegato 30 università con le università britanniche, in India abbiamo formato 175.000 insegnanti e abbiamo insegnato l'inglese a 17 milioni di discenti.
Sono numeri molto elevati. Ovviamente la nostra forza è l'insegnamento dell'inglese, ma attraverso questo sviluppiamo altre attività nelle materie umanistiche, nell'istruzione. La nostra forza risiede in questa nostra trasversalità: istruzione, società, inglese. Non ci limitiamo a fare soltanto una cosa alla volta, ma cerchiamo di colmare tutti i punti di collegamento, perché questo è quello che vuole la gente e i giovani. I giovani non vogliono soltanto imparare una cosa: vogliono veramente un mix di conoscenza.
Value for money, la redditività per il contribuente. Scendono i finanziamenti pubblici nel Regno Unito, in Italia e in


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Francia, per cui abbiamo ridotto i nostri costi di back office amministrativo, abbiamo congelato gli stipendi e cerchiamo di dare di più con meno risorse. I tagli di personale sono stati soprattutto nel Regno Unito, ma ci sono stati tagli anche all'estero. Entro il 2015 vogliamo risparmiare 70 milioni di sterline, per ridurre i nostri costi sul terreno al 15 per cento delle spese totali.
Siamo convinti che il nostro operato generi fiducia e che la fiducia sia la base anche dell'interscambio commerciale. Questo quindi è un altro contributo che noi diamo alla crescita economica e alla prosperità del Regno Unito. Diciamo al Governo britannico che vogliamo incoraggiare le persone a studiare nel Regno Unito, e questo porta miliardi di sterline alle università, alle scuole e all'economia britannica. Vogliamo quindi spiegare ai contribuenti che per ogni sterlina investita nelle attività di relazioni culturali del British Council, questo genera altre tre sterline grazie ad altre fonti. Si tratta di un'argomentazione molto valida per il contribuente: utilizziamo una sterlina e ne produciamo tre, ampliando tutta la rete delle relazioni culturali, con delle fonti di reddito proprie.
Nell'avvicinarci al 2015, vogliamo mantenere la nostra rete mondiale, fare di più con meno risorse e sostenere l'agenda di crescita e prosperità del nostro Governo.
Sin dagli esordi nel 1934, ci era ben chiaro che i vantaggi e i benefici devono essere reciproci e non univoci soltanto per il Regno Unito. Tutto il lavoro che facciamo in Medio Oriente, in Nord Africa e nei posti più difficili del mondo illustra in modo chiaro come vogliamo aiutare questi Paesi. Non siamo un'agenzia di sviluppo, ma crediamo che lavorare con le persone, migliorare le competenze delle persone, aprire le menti delle persone alla comprensione di altri Paesi e, in questo caso, al modo di pensare britannico aiuterà a preservare complessivamente la sicurezza del nostro mondo. Grazie e attendo le vostre domande.

JEAN-MARC SÉRÉ-CHARLET, Direttore dell'Institut Français (Roma). Signor presidente, onorevoli parlamentari, prima di iniziare vorrei sapere quanto tempo mi è concesso.

PRESIDENTE. Quindici minuti, perché dobbiamo concludere alle 10-10,05.

JEAN-MARC SÉRÉ-CHARLET, Direttore dell'Institut Français (Roma). Grazie. Vorrei fare una duplice presentazione dell'azione culturale francese e della politica esterna francese, secondo uno schema semplice.
Per quanto riguarda l'attuale diplomazia culturale francese e la rete culturale, vorrei citare qualcosa che forse fa parte della vostra riflessione. Due o tre anni fa, abbiamo avviato una grande riforma della diplomazia culturale francese, di cui potrei rapidamente esporre le origini, l'attuazione e i risultati a cui siamo giunti. La diplomazia culturale francese è un elemento basilare della diplomazia francese in generale, è un elemento essenziale e antico.
Abbiamo creato un Servizio delle opere culturali fin dalla fine del XIX secolo e abbiamo istituito un certo numero di enti culturali nel mondo nel corso del XX secolo, il primo a Firenze, dove l'Università di Grenoble creò l'Istituto francese di Firenze. Qualche anno dopo, nel 1919, nacque l'Istituto francese di Napoli. È in Italia, dunque, che si trovano i primi due enti culturali francesi all'estero.
La filosofia di fondo che guida l'azione francese all'estero in campo culturale mira a mettere a disposizione la sua cultura, la sua lingua e anche il suo insegnamento. Sono i tre pilastri essenziali, che ritroviamo anche presso i colleghi britannici e di altri Paesi.
Questi tre pilastri formano un tutt'uno, laddove la lingua e la cultura francesi vanno di pari passo e sarebbe difficile, oltre che poco comprensibile, insegnare una lingua senza una dimensione culturale, cioè una dimensione di conoscenza della «civiltà» francese e delle società francofone. L'insegnamento deve operare


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questo collegamento: è un ponte tra lingua e cultura.
Le modalità operative sono cambiate, ma ci sono delle costanti su cui mi soffermerò. Si può parlare della rete dei centri culturali francesi nel mondo e delle Alliances Françaises, che hanno uno statuto giuridico peculiare, e poi la rete degli istituti scolastici molto sviluppata e spesso citata.
Cercherò di illustrare in che modo la Francia ha organizzato la propria diplomazia culturale e poi mi soffermerò sulle finalità e sulle modalità operative. La diplomazia culturale - e qui ravviso una grande differenza rispetto agli amici britannici - si impernia sull'azione dello Stato: è lo Stato il principale promotore, è lo Stato a dare gli indirizzi e a operare anche molto al di là degli indirizzi.
Il Ministro degli esteri associa altri Ministeri, specie quello della cultura e della comunicazione, e tutti gli enti culturali pubblici (in Francia ce ne sono 80: il Louvre, il Museo d'Orsay, la Comédie-Française, l'Opera di Parigi, tutti facenti capo al Ministero della cultura e della comunicazione) contribuiscono alla diplomazia e all'azione culturale esterna.
Altri partner sono il Ministero della Pubblica istruzione, il Ministero dell'insegnamento superiore e della ricerca e molti altri soggetti raccolti attorno al Quai d'Orsay, ma non c'è una struttura generale: spetta al Quai d'Orsay, al Ministero degli esteri, svolgere questo lavoro di intermediazione e di coordinamento, non c'è una particolare struttura in cui questo lavoro ha luogo.
Anni fa, il bilancio dello Stato è stato riformato per dare maggiore visibilità alla nostra azione, alle varie azioni dello Stato. Attualmente vi è un programma di bilancio (il n. 185, se volete posso farvi avere dei documenti), intitolato Diplomazia culturale e d'influenza, che permette di individuare con chiarezza i fondi stanziati.
In Francia c'è un livello infrastatale con un certo numero di soggetti: I due principali, creati ultimamente nell'ambito di questa riforma, sono l'Institut Français, che è un ente pubblico facente capo al Ministero degli Affari esteri ed europei ed è l'operatore unico del Ministero degli esteri in campo culturale, e un ente pubblico chiamato CampusFrance, che ha il compito di accrescere la mobilità degli studenti stranieri verso la Francia e di quelli francesi verso l'estero.
Vi è infine - mi limito a citare i tre operatori principali - l'Agenzia dell'insegnamento francese all'estero, ente pubblico istituito nel 1990, sulla cui azione mi potrò soffermare. Per darvi qualche cifra e concentrarmi poi sulle azioni culturali vere e proprie, il sistema educativo francese scolarizza 300.000 allievi nel mondo, di cui 110.000 francesi. Questo significa che due terzi degli allievi nel sistema educativo francese all'estero sono stranieri.
Questo accade in Italia, dove circa il 70 per cento degli allievi dell'Istituto Chateaubriand di Roma o del liceo Jean Giono di Torino o del liceo Stendhal di Milano o della Scuola internazionale franco-italiana di Firenze o della Scuola di Napoli è rappresentato da allievi italiani. Ci sono 480 licei e scuole nel mondo in 130 Paesi, e l'eccellenza di questa rete è dimostrata dai risultati al diploma, che sono assai più alti della media francese.
Torno adesso sulla ripartizione dei fondi, per darvi un'idea di come la Francia organizza il proprio sforzo. Il totale dell'azione culturale in senso lato all'estero, così come risulta dai documenti finanziari del Parlamento francese, per il 2011 ammontava a 760 milioni di euro, che naturalmente abbracciano realtà diverse: l'animazione della rete, cioè i costi di gestione a Parigi equivalgono a 50 milioni, la cooperazione culturale francese strictu sensu a 90 milioni, promozione, comunicazione e ricerca a 100 milioni, l'Agenzia per l'insegnamento del francese all'estero a 420 milioni.
Più della metà del bilancio dello Stato dedicato alla diplomazia culturale esterna, il 55 per cento, va dunque all'insegnamento francese all'estero. Ci poi sono altri fondi trasversali, 85 milioni per il personale.


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Veniamo all'organizzazione della rete all'estero. Esiste un Servizio di azione culturale in tutti i Paesi dove la Francia ha un'ambasciata, cioè circa 160, dunque 160 servizi culturali nel mondo e 130 istituzioni finora autonome (centri culturali, istituti francesi, «Case di Cartesio» come ad Amsterdam, un certo numero di sedi culturali animate dalla Francia), e poi 1.075 Alliances Françaises in 134 Paesi del mondo che costituiscono una rete a parte.
Un'Alliance Française è un'associazione od organizzazione; lo statuto giuridico varia secondo il diritto locale: italiano in Italia, russo in Russia, argentino in Argentina. Non sono emanazioni del Ministero degli esteri: sono le eredi, ormai sempre più in rete, di iniziative locali spontanee di amici della Francia, di amici del francese, di francofili e francofoni desiderosi di far vivere i rapporti con la Francia e la cultura francese nei loro Paesi.
Alcuni di questi istituti sono stati creati da francesi che vivevano all'estero, specie in America Latina, altri sono stati animati dalle ambasciate, specie in Russia o in Cina. Le ambasciate sono ormai attive dietro a queste Alliances. Le prime iniziative del genere risalgono al 1880. Il sistema è dunque molto antico, ed è andato espandendosi fino alla ragguardevole cifra di 1.075 che include realtà estremamente varie: in Italia 42 Alliances Françaises in tutta la penisola, dalla Sicilia, dove ce ne sono parecchie, fino a Venezia e a Torino. Un certo numero di Alliances più importanti offre la cosiddetta «gamma delle azioni culturali» (cultura, mostre, eventi culturali), ma tutte fanno corsi di francese e rilasciano attestati di francese, per i quali c'è una forte domanda italiana.
Esistono 27 centri di ricerca francesi nel mondo, diversi dei quali in Italia: la Scuola francese di Roma, il Centro Jean Bérard a Napoli, e poi il Centro di studi anatolici di Istanbul, un Centro di studi sul mondo arabo al Cairo, dunque 27 centri di ricerca in gran parte dipendenti dal Ministero della ricerca e dell'università.
C'è poi una particolarità, l'unico ente pubblico francese all'estero che non fa capo al Ministero degli esteri: l'Accademia di Francia di Villa Medici a Roma, luogo non autonomo, ma con proprie regole, proprio funzionamento e propria vocazione di accoglienza di giovani artisti francesi o stranieri, dagli artisti plastici ai musicisti, dai pittori fino ai critici letterari, agli storici dell'arte. Recentemente è venuto uno specialista di critica culinaria, quindi la cultura nel senso più esteso possibile, per creare un focolaio di riflessione, di animazione, di scambi, di incroci tra Francia e Italia a Villa Medici.
Questi sono a grandi linee il funzionamento e l'organizzazione all'estero della rete della diplomazia culturale francese. Adesso vorrei presentarvi gli obiettivi, come recentemente compendiati in occasione della riforma della diplomazia culturale esterna. Sono stati messi a fuoco dal Parlamento e dal Ministero degli esteri 10 obiettivi per la diplomazia culturale, prendendo le mosse dal fatto che il ruolo di un Paese nel mondo non si misura solo in base alla forza della sua economia, alle sue capacità militari, al suo posto nelle istituzioni di governance, ma anche in base alla sua capacità di trasmettere valori, senso, idee, creazioni, immagini, quello che in Francia si chiama il «potere intelligente», espressione bizzarra che acquisisce oggi un'importanza inedita.
Il ruolo delle idee è oggi, in un mondo sempre più immateriale, essenziale, e l'obiettivo è di essere più reattivi, più disponibili e più presenti in uno spazio che appare sempre più unificato. Per noi è essenziale, perché la Francia come l'Italia è un Paese di cultura, e ci sembra importante contribuire alla cultura mondiale e far conoscere la nostra, nell'intento dichiarato di avere scambi reciproci con le diversità culturali, il che rientra fra i principali obiettivi della diplomazia francese, ed è affermato in particolare attraverso la promozione della Convenzione UNESCO del 2005.
Quali sono gli obiettivi definiti per l'azione diplomatica culturale esterna? Intanto un obiettivo molto pragmatico di sostegno alle produzioni francesi sulla scena artistica (produzioni francesi audiovisive,


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ma anche nelle arti plastiche e nel teatro) e sul mercato dell'industria culturale all'estero, rafforzamento della presenza francese nel paesaggio audiovisivo mondiale.
A questo si aggiunge l'obiettivo di promuovere la diversità culturale, in particolare a beneficio dei Paesi in via di sviluppo, diffondere la lingua francese specie su Internet e nella rete delle istituzioni educative in materia di conoscenza e di formazione, garantire la presenza francese nei dibattiti di idee specie sulle questioni globali (questo oggi rientra nella diplomazia culturale in senso lato, diplomazia di influenza), valorizzare la ricerca francese ed europea nel mondo, accrescere la presenza francese nel campo della formazione degli studenti stranieri, partecipare alla formazione scolastica degli studenti all'estero e dei giovani in generale (questo rientra nel bilancio dell'Agenzia per l'insegnamento del francese all'estero), migliorare la partecipazione dei Paesi in via di sviluppo ai processi di produzione e circolazione delle conoscenze.
Gran parte dell'azione del Ministero degli esteri si rivolge ai Paesi in via di sviluppo, ai Paesi africani, per sostenere e accogliere creatori e artisti africani o dei Paesi in via di sviluppo. Ci sono programmi specifici perché è uno dei nostri obiettivi, e del resto a Villa Medici c'è un certo numero di ospiti che non sono francesi, ma provengono da Paesi del sud del mondo, per associarli sempre più al pensiero e alla cultura francesi ed europei.
Le priorità geografiche dell'azione diplomatica francese all'estero sono rappresentate in primo luogo dall'Europa, che è fortemente integrata politicamente, e a noi sembra che la diplomazia culturale debba rafforzare l'unità europea, creando uno spazio comune per la cultura e la conoscenza, e consolidare la posizione del nostro Paese diffondendone la lingua. L'Europa è quindi uno dei nostri assi prioritari e lo rimarrà.
Il G20 deve essere una sede in cui la Francia deve sviluppare e rafforzare la propria presenza e abbiamo programmi volti a questo scopo. All'Africa e ai Paesi francofoni in via di sviluppo ho già accennato. Vi è infine il Mediterraneo, che in modo ancor più pregnante è divenuto uno dei nostri obiettivi dati i recenti eventi che vi si sono verificati.
Vi cito qualche cifra prima di passare alla riforma francese. Per la rete culturale strictu sensu (non parlo dell'Agenzia per l'insegnamento del francese all'estero) ci sono 800 funzionari espatriati nel mondo e 10.000 assunti localmente. Il 9 per cento è cioè costituito da funzionari distaccati e il 90 per cento da personale assunto sul posto sia francese o locale.
Il tasso di autofinanziamento è assai inferiore a quello degli amici britannici, in quanto ammonta solo al 50 per cento, perché c'è l'eredità di un'azione dello Stato forte, e a volte troppo pesante. Certo vorremmo accrescere questo tasso e ci stiamo lavorando. Ci sono 640.000 studenti iscritti a corsi di francese nella rete Alliances Françaises e istituti francesi, vengono organizzate ogni anno 50.000 manifestazioni culturali in tutta la rete, di cui 800 in Italia organizzate dalla mia équipe e dalle Alliances Françaises. Ci sono 400.000 lettori nelle biblioteche francesi, perché in ogni centro culturale c'è una biblioteca francese, che è un luogo importante per trasmettere la cultura.
Molto rapidamente, perché il tempo stringe e sarò a disposizione per replicare alle vostre domande, da tre anni in Francia è stata avviata una riforma ormai pressoché ultimata. Tre o quattro anni fa, all'epoca del ministro Kouchner, su impulso degli artisti francesi, gruppo sociale particolarmente mobilitato e disponibile alla difesa dei propri interessi collettivi - e va benissimo così -, sono state avanzate varie richieste anche critiche ed è stato constatato un calo costante del bilancio per l'azione culturale all'estero.
Il Quai d'Orsay deve infatti farsi carico di molte missioni con un bilancio ristretto, per cui sono emersi interrogativi sull'utilità di questa politica estera, perché la sua visibilità era piuttosto scarsa, anche se si ritiene che in molti Paesi non sia affatto scarsa, ma vista da Parigi questa rete così dispersa e varia, con istituti e centri culturali,


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senza un suo vero e proprio marchio, non aveva un ritorno molto visibile.
Sono state evidenziate anche difficoltà locali in termini di coordinamento e difficoltà per garantire la tutela da parte del Ministero. Si è intervenuti su due canali: fondendo in tutti i Paesi la rete culturale degli istituti e dei centri culturali con i servizi culturali delle ambasciate, approccio che razionalizza e raduna sotto il «controllo» - il più leggero possibile - delle ambasciate, e creando a Parigi due grandi enti pubblici preposti alla politica culturale esterna.
Questi diventano operatori in una logica semplice, che è già in atto in vari campi in Francia e in altri Paesi come la Gran Bretagna: un'amministrazione centrale e strategica che fornisce gli indirizzi, e un operatore autonomo che fa capo all'amministrazione centrale da cui si vede fissare gli obiettivi, dopo di che è molto autonomo nel gestire i compiti che gli sono affidati.
Sono stati creati quindi questi due grandi operatori, che si sono aggiunti all'Agenzia per l'insegnamento del francese all'estero, da una parte l'Institut français, che ha ormai 140 dipendenti, ha sede a Parigi con un bilancio di 60 milioni di euro, e dall'altra CampusFrance, preposto alla politica di promozione della mobilità studentesca.
Mi fermo qui, rimanendo a vostra disposizione per le domande.

PRESIDENTE. Grazie. Do ora la parola ai colleghi che desiderino intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MANUELA DI CENTA. Vorrei chiedere al direttore Christine Melia, conoscendo la grande cultura legata allo sport nel Regno Unito, in particolare in questo momento in cui ospiterete i giochi olimpici, come voi interagiate con lo sport e la cultura, se abbiate dei progetti specifici, sapendo come nel vostro Paese la cultura e lo sport costituiscano un binomio fortissimo.

RICARDO FRANCO LEVI. Più che una domanda, la mia è una riflessione su quanto abbiamo ascoltato e quanto ciascuno di noi ha visto in giro per il mondo per quanto riguarda la presenza culturale di grandi Paesi come Francia e Inghilterra, a cui potremmo aggiungere anche la Germania e la Spagna, basti pensare al Goethe Institut o all'Istituto Cervantes.
È una riflessione di sollievo e di speranza, ma insieme di disperazione: sollievo e speranza nel vedere quanto in grandi Paesi l'elemento culturale e l'elemento dell'identità nazionale filtrato attraverso la cultura siano elementi portanti della politica nazionale, disperazione nel vedere lo stato pietoso dell'arte in Italia rispetto a questi esempi.
Abbiamo nomi straordinari come la nostra Dante Alighieri, che sarebbero un vanto per il Paese, ma sono costretti a vivere così largamente al di sotto di quelle che potrebbero essere le loro potenzialità nel mondo, ed è sotto gli occhi di tutti quanto la rete italiana culturale all'estero sia una rete per la quale non so nemmeno trovare un aggettivo per non essere troppo sgarbato.
Vorrei sottolineare - consentitemi una riflessione squisitamente politica, di parte - come ciò che rileva in modo molto evidente nell'esperienza di questi grandi Paesi sia la specificità culturale che viene difesa, al punto che nell'organizzazione e nella struttura della presenza è sempre una filiera culturale quella che ha la responsabilità: non è la cultura messa al servizio dell'export, del made in Italy o made in France o made in UK.
La china intrapresa ultimamente in Italia di una cultura all'estero vista in funzione ancillare di una promozione commerciale del Paese non è quella che ritroviamo in questi grandi Paesi, ai quali mi auguro che, pur nelle difficoltà che ben conosciamo, ci ispireremo come esempi per un futuro che speriamo non troppo lontano, perché quanto abbiamo sentito ci provoca sollievo, ma anche un grande senso di sconforto per l'esempio italiano.

PAOLO CORSINI. Desidero innanzitutto ringraziare i nostri ospiti per le interessanti relazioni che ci hanno esposto.


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I miei due interrogativi prendono le mosse da una totale condivisione delle osservazioni del collega Levi. Desidero sollevare due questioni avendo in mente il caso italiano, per cui chiedo delucidazioni in ordine a un possibile raffronto. Vorrei sapere infatti quali siano le modalità e i criteri attraverso i quali viene selezionato il personale dirigente di questi centri di presenza culturale inglese e francese.
Vorrei chiedere inoltre quale sia il grado di autonomia e quali siano i rapporti che vengono intrattenuti con il Governo e il potere esecutivo, se l'autonomia sia indiscussa e totale, se indicazioni e indirizzi strategici vengano definiti o invece le scelte compiute scaturiscano da una elaborazione autonoma, per quanto raccordata a una correlazione complessiva della presenza di questi istituti.

LAPO PISTELLI. Due osservazioni per entrambi i nostri ospiti. La prima è questa: è chiaro che viviamo in un tempo in cui si sta costruendo, o forse si è già costruita, una nuova geografia del mondo, in cui il peso delle nuove demografie delle potenze che chiamiamo «in via di sviluppo», ma che sono già abbondantemente sviluppate ed emerse da anni, ha posto i grandi Stati europei in una condizione tutta diversa rispetto a quella immaginabile venti o trenta anni fa.
Si tratta della forza della demografia, dell'energia, dei tassi di crescita economica, ma non c'è dubbio che, se fosse possibile costruire - e ancora non esiste una misurazione «scientifica» di questo - un indice combinato della potenza di un Paese, l'Europa e l'Occidente sarebbero ancora relativamente avanti in termini soft power.
La cultura, la lingua, gli stili di vita, i modelli di consumo non vedono ancora questa geografia del mondo rovesciata verso il sud e verso l'est del mondo, e l'Europa ha ancora un forte potere di attrazione. Non è un caso che questa indagine sia svolta congiuntamente dalla Commissione cultura e dalla Commissione affari esteri, perché il modo attraverso il quale un Paese presenta se stesso, la sua lingua, la sua cultura nel mondo è un aspetto del suo soft power e oggi conta moltissimo.
Mi permetto di dire alla nostra ospite che per calcolare il peso, il rango del Regno Unito nel mondo conta molto di più che nel 98 per cento dei primi cento istituti di formazione superiore di eccellenza si parli inglese piuttosto che l'Inghilterra ospiti 200 testate nucleari, perché oggi il potere deriva molto di più dal primo fatto che dal secondo, laddove il soft power ha un grande peso.
Mi hanno colpito molto le parole della direttrice del British Council, perché viviamo anche un tempo in cui, senza averlo scelto, l'inglese è la lingua del mondo, quindi è più semplice lavorare sull'onda di un tempo nel quale l'inglese è naturaliter il primo strumento di allargamento verso una dimensione più vasta.
Da qui sorge la seconda domanda, alla quale non so quanto sia facile rispondere. Gli istituti di cui avete la responsabilità promuovono la cultura nazionale nel mondo e soprattutto la lingua, ma in parte rispondono a una domanda di inglese o di francese. Il caso della Dante Alighieri è interessante perché in talune circostanze abbiamo sperimentato come, pur in presenza di una domanda di italiano, le istituzioni non siano in grado di organizzare l'offerta, cioè debbano rispondere a una domanda a cui però non riescono a far fronte per ragioni di bilancio.
Vorrei sapere nella vostra esperienza quanto voi promuoviate attivamente la cultura e l'insegnamento della lingua e quanto invece semplicemente facciate fronte a una domanda che spontaneamente esiste.

ELENA CENTEMERO. Sarò molto breve, visto il tempo che abbiamo a disposizione.
Come sottolineato dall'onorevole Levi, credo anch'io che l'investimento nella nostra cultura e l'insegnamento e la conoscenza della nostra cultura e della nostra lingua siano fondamentali. Per poter far questo, è necessario confrontarsi, come abbiamo fatto all'interno di queste audizioni


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e particolarmente oggi, con la realtà di altri Paesi che, accanto alla Spagna e alla Germania, sono leader nella promozione della loro lingua e della loro cultura, nella convinzione che, come sottolineava il direttore Séré-Charlet, la propria lingua e la propria cultura siano uno strumento di integrazione del proprio Paese innanzitutto in una dimensione europea.
Per noi è di grande importanza anche capire l'organizzazione della struttura, ma anche come siano allocate le risorse, perché, se abbiamo intrapreso questa indagine anche allo scopo di dar vita a una progetto di riforma del nostro sistema di promozione della cultura e della lingua italiana all'estero, dobbiamo partire da una seria riflessione sulle nostre risorse e su come vengano utilizzate.
Mi scuso perché sono arrivata in ritardo e forse il direttore del British Council avrà già illustrato questo aspetto, però vorrei sapere se le sedi dei vostri uffici all'estero siano di proprietà dello Stato o siano affittate, e quindi quanto venga speso delle risorse poste a disposizione dai diversi Ministeri. Vorrei chiedervi inoltre se il personale assunto nelle varie sedi sia prevalentemente locale o favoriate l'assunzione di francesi o inglesi residenti all'estero.

PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica.

CHRISTINE MELIA, Direttore del British Council (Roma). Lo sport è fondamentale per noi, nel nostro impegno per le relazioni culturali. Non è un settore a sé, ma nel motivare gli allievi delle scuole ovviamente lo sport è fondamentale. Quest'anno, grazie alle Olimpiadi del 2012, utilizziamo questo fatto e quindi abbiamo rafforzato le nostre iniziative nel campo dello sport come mai prima d'ora. In Brasile abbiamo utilizzato lo sport per rafforzare l'impegno sul territorio, le competenze di leadership e di cittadinanza, l'autostima, e 1 milione di persone ha usufruito di queste iniziative. La nostra azione in tal senso non è limitata al Brasile, ma questa iniziativa può darvi un'idea.
Le esportazioni. Ho affermato che la fiducia è l'anima del commercio, e quindi il nostro lavoro produce direttamente dei vantaggi economici per il Regno Unito. Quando dobbiamo illustrare la nostra posizione al Governo e al contribuente britannico, parliamo di un vantaggio reciproco attraverso non solo l'insegnamento dell'inglese, ma anche tutti i settori della creatività.
Abbiamo quantificato i vantaggi per l'economia britannica in 17 miliardi di sterline nel settore della creatività, quindi anche lì rafforziamo le competenze dei creativi affinché possano concorrere e contribuire all'economia europea e mondiale. Se dovessimo promuovere la cultura italiana all'estero, partiremmo certamente dal settore della creatività (la musica, il design, la moda, l'arte) perché l'Italia potrebbe avvantaggiarsene.
Si tratta dunque di promuovere la creatività attraverso la lingua, la cultura e l'arte, in maniera trasversale, e le aree appena citate sono quelle in cui l'Italia eccelle. Chatham House ha fatto uno studio sui tre fattori principali che possono rafforzare la reputazione del Regno Unito all'estero: lingua, istruzione, cultura e storia. Quando si conoscono i propri punti di forza è più facile assegnarsi delle priorità.
Lo studio della lingua inglese è molto richiesto in tutto il mondo, e ciò rappresenta senz'altro un vantaggio, ma noi non ci limitiamo a promuovere questo aspetto: lavoriamo attraverso la lingua, oltre che insegnare la lingua. Questo ovviamente produce un beneficio economico anche per quanto riguarda le esportazioni britanniche, ma noi lavoriamo attraverso la lingua, attraverso la rete arti ed educazione.
La selezione dei dirigenti. Lavoro al British Council da 33 anni, avendo iniziato da posizioni inferiori e avendo poi fatto carriera, e negli ultimi dieci anni abbiamo inserito più specialisti dal settore dell'istruzione, dal mondo dell'arte per occupare le posizioni dirigenziali, definendo una strategia a livello mondiale. Le posizioni manageriali, come quella che ricopro io, sono assunte da persone che hanno fatto carriera all'interno del British Council,


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ma siamo totalmente indipendenti dal Governo e il Ministero degli esteri non ha alcun ruolo nel reclutamento dello staff.
Siamo indipendenti nel definire le nostre strategie aziendali, nazionali e regionali, ma ovviamente riceviamo un finanziamento pubblico e quindi ci armonizziamo con le prospettive della politica estera del Regno Unito, quindi crescita, prosperità e sicurezza. Poter dimostrare la nostra utilità sotto questo punto di vista è una cosa positiva. Il Governo britannico non ci dice cosa fare: noi armonizziamo la nostra azione con le politiche internazionali di Governo in maniera indipendente. Il soft power per me si fonda sulla fiducia, che si conquista non soltanto con i contatti tra Governi, ma anche con i contatti tra le persone.
È qui che un istituto culturale può veramente dare moltissimo e creare fiducia, creare opportunità per un Paese, perché ha rapporti con le persone sul campo, non un impegno di tipo diplomatico, ma un impegno normale, naturale. Credo che questo sia il punto di forza delle relazioni culturali.
Gli uffici all'estero. Dal punto di vista storico, in Italia abbiamo iniziato nel 1945 a Palazzo del Drago, in via Quattro Fontane, dove eravamo in affitto, e anche oggi che ci siamo spostati in via di San Sebastianello vicino Piazza di Spagna siamo in affitto. In molti Paesi siamo in affitto, ma abbiamo alcune sedi storiche di proprietà, che cerchiamo di mantenere, laddove possiamo permettercelo.
Anche il Foreign Office verifica le residenze, le ambasciate, ma è mia opinione personale che, se si tratta di una sede molto costosa per la manutenzione, si debbano considerare i dati economici; considerando però che i proventi della vendita di una sede all'estero spariscono subito e si perde un vantaggio nel lungo periodo, per cui dovremmo fare molta attenzione. Abbiamo comunque più sedi in affitto che in proprietà.

JEAN-MARC SÉRÉ-CHARLET, Direttore dell'Institut Français (Roma). Sarò brevissimo. La Francia promuove la sua cultura o risponde a una domanda? Entrambe le cose: le Alliances Françaises dimostrano che noi rispondiamo a una forte domanda, che a volte si risponde da sola perché sono state create localmente, quando la Francia, diciamo tra il 1900 e il 1980, non poteva farsene carico perché non aveva le strutture e i mezzi necessari.
Le Alliances Françaises sono quindi nate spontaneamente ovunque nel mondo, sono state una risposta e in Italia, da Verona a Catania, sono nate senza alcun intervento francese. Esistono molte Alliances, che ora vogliamo mantenere, aiutare, sostenere, ma che davvero danno una risposta. Tutti i giorni constatiamo del nostro lavoro quotidiano in campo culturale ed educativo che c'è una forte domanda di Francia da parte italiana. Siamo Paesi molto vicini e questo spiega tale domanda, gli artisti italiani hanno un gusto per Parigi, per le scene parigine e francesi, riceviamo tantissime sollecitazioni dall'Italia per i nostri grandi festival musicali, di balletto, teatrali, perché molti si volgono alla Francia.
Per quanto riguarda il personale, la situazione è un po' particolare perché, come vi dicevo, siamo in una fase di cambiamento. Abbiamo creato il marchio unico Institut français, ma ci manca ancora un'amministrazione unificata. In Francia, il Parlamento ha chiesto l'avvio di una fase sperimentale che si concluderà fra due anni per capire se la rete culturale farà capo all'Institut français di Parigi o continuerà a essere gestita dal Ministero degli esteri e riceverà i fondi dall'Institut français di Parigi.
Siamo in mezzo al guado, perché la legge è del luglio 2010 e la fase sperimentale terminerà nel luglio 2013. La nostra rete per adesso fa capo al Ministero degli esteri, ricevendo però molti input dai Ministeri della cultura, della Pubblica istruzione, degli esteri. Io ad esempio sono un diplomatico puro, specialista di difesa europea, sono passato dal Ministero della cultura, presso il Gabinetto del Ministro, e per un periodo limitato della mia carriera ho voluto occuparmi di questioni culturali.


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Questo iter è incoraggiato dal Ministro degli esteri, che vuol dare ai diplomatici un'esperienza di gestione e di apertura mentale prima di rituffarci nelle questioni politiche e strategiche più consuete per i diplomatici.
Nella creazione dell'Institut français di Parigi c'è una volontà di professionalizzare maggiormente la rete sul piano della formazione e del reclutamento, per assicurare a chi vi entra il prosieguo della carriera, mentre ora quando siete al Ministero dell'Istruzione e andate per tre anni a Giacarta, poi tornate nella vostra amministrazione a Parigi o in un liceo di Brest o di Lille, è difficile avere una carriera. Creando l'Institut français vogliamo invece professionalizzare questo percorso.
L'autonomia rispetto all'esecutivo attualmente è limitata, è una tradizione francese centralista, per cui applichiamo istruzioni che vengono da Parigi. Noi siamo quadri amministrativi, gerarchia napoleonica: è così che funziona!
Si sta studiando - e la creazione dell'Institut français va in questo senso - per ammodernare queste modalità di funzionamento e renderle più flessibili e adatte alla realtà odierna. Se Parigi formula indirizzi generici (le dieci grandi priorità), in realtà però ho un grande margine di autonomia, non io da solo ma con l'ambasciatore, sotto la cui autorità svolgo il ruolo di consigliere e dirigo l'Institut français in Italia.
L'autonomia dunque da una parte è nulla, perché faccio parte del Governo, dell'amministrazione pubblica, ma allo stesso tempo ho una grande autonomia d'azione nell'attuare le istruzioni che ricevo: ho grandi direttive e un grande margine di libertà per attuarle.
Come vengono assegnate le risorse. La proprietà varia molto: la sede di Firenze è nostra, ma altre sedi sono in affitto. Riteniamo che in Italia sia molto importante avere luoghi in cui presentare e diffondere cultura, perché fare qualcosa all'esterno non funziona: l'Italia è un Paese di palazzi di rappresentanza e siamo convinti che qui il luogo è fondamentale. In altri Paesi non è così. Talvolta è più interessante essere presenti con dei partner in una città con un teatro o un cinema famoso che fare tutto in una saletta cinematografica di nostra proprietà. Dobbiamo quindi adattarci alla situazione.
Per quanto riguarda il personale locale, la situazione varia. In Italia è in gran parte italiano. Lavorano anche all'ambasciata. Pur essendo un luogo ad accesso ristretto, molti italiani lavorano con noi. Anche a Milano, a Firenze, a Napoli e a Palermo la maggioranza è italiana.

PRESIDENTE. Vorrei ricordare che nella prossima seduta audiremo l'Istituto Cervantes e il Goethe Institut.
Vorrei dire - non per consolare - che in questo «mercato» delle lingue l'Italia gioca un grande ruolo siamo, in quanto il quarto Paese come domanda corsuale e Globus et locus stima che vi è una meta-Italia di oltre 300 milioni, che non sono né di origine, né discendenti, che però fanno riferimento al sistema Italia, ed è in crescita. Questo fenomeno è legato soprattutto ai nostri brand, al nostro patrimonio culturale, alla nostra civiltà.
Come si può puntualmente rilevare dall'audizione di questa mattina, non abbiamo un'Agenzia per la promozione strategica della nostra cultura, come hanno invece i francesi e gli inglesi: abbiamo una polverizzazione dei centri della catena di comando, che purtroppo non consente di ingegnerizzare tutte le nostre risorse e tutte le nostre capacità. Al Ministro degli esteri abbiamo due centri di comando, la Direzione che ora è incorporata in quella per la promozione del sistema Paese, e la Direzione generale italiani all'estero e politiche migratorie. Abbiamo le università che si muovono per conto proprio, abbiamo la Dante Alighieri con 420 circoli nel mondo, che ha la sua autonomia fondativa e riceve pochissimi contributi dallo Stato (500.000 euro, una cifra minima).
Abbiamo però sicuramente un grande ruolo e grandi potenzialità. Credo che anche attraverso questa indagine, che la Commissione affari esteri ha chiesto insistentemente a partire dal 2008 e che


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purtroppo è partita con molto ritardo, anche constatando ad esempio come i francesi abbiano riformato l'intero sistema formulando dieci obiettivi, mentre da noi si parla da venti anni della riforma degli Istituti italiani di cultura, ormai ridotti solo a pagare solamente stipendi e affitti se non trovano degli sponsor, si debbano inventare delle soluzioni nuove, che passano attraverso la riforma degli Istituti italiani di cultura.
Abbiamo la legge n. 153 addirittura del 1971, che nel 1981 Valitutti propose di riformare: non è successo assolutamente nulla! Queste sono responsabilità delle istituzioni, responsabilità del Governo e del Parlamento. Su questo credo che noi dovremmo essere molto chiari.
Nel ringraziare i nostri auditi per il loro contributo, esprimendo il più vivo apprezzamento per l'attività svolta dai loro istituti, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 10,10.

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