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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione IV
3.
Mercoledì 10 dicembre 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Cirielli Edmondo, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ACQUISIZIONE DEI SISTEMI D'ARMA, DELLE OPERE E DEI MEZZI DIRETTAMENTE DESTINATI ALLA DIFESA NAZIONALE, A VENTI ANNI DALL'ENTRATA IN VIGORE DELLA LEGGE 4 OTTOBRE 1988, N. 436

Seguito dell'audizione del capo di stato maggiore della Difesa, generale Vincenzo Camporini:

Cirielli Edmondo, Presidente ... 3 4 7 8 14
Ascierto Filippo (PdL) ... 5
Camporini Vincenzo, Capo di stato maggiore della Difesa ... 3 4 6 7 8 9 10 11 12 13
Cicu Salvatore (PdL) ... 4
Fallica Giuseppe (PdL) ... 10
Holzmann Giorgio (PdL) ... 12
Mazzoni Riccardo (PdL) ... 7
Recchia Pier Fausto (PD) ... 11
Rosato Ettore (PD) ... 13
Speciale Roberto (PdL) ... 9
Villecco Calipari Rosa Maria (PD) ... 3 4
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

COMMISSIONE IV
DIFESA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 10 dicembre 2008


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE EDMONDO CIRIELLI

La seduta comincia alle 14,15.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione del capo di stato maggiore della Difesa, generale Vincenzo Camporini.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'acquisizione dei sistemi d'arma, delle opere e dei mezzi direttamente destinati alla difesa nazionale, a venti anni dall'entrata in vigore della legge 4 ottobre 1988, n. 436, il seguito dell'audizione del capo di stato maggiore della Difesa, generale Vincenzo Camporini.
Do la parola all'onorevole Villecco Calipari.

ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Innanzitutto, ringrazio il capo di stato maggiore Camporini per la sua cortesia, oltre che per l'interessante e completa relazione che ha voluto esporre a questa Commissione, e per essere ritornato in questa sede.
Generale Camporini, vorrei porle alcune domande in relazione a quanto ci ha illustrato circa la complessità del processo decisionale, attraverso il quale viene definito il ciclo di pianificazione della difesa, in modo tale che vi sia un collegamento tra l'indirizzo politico-strategico e quello politico-militare o, per meglio dire, le esigenze strategico-militari.
Per alcuni aspetti, con la scelta di partecipare a numerose missioni militari fuori area, il nostro strumento militare è dovuto spesso intervenire con urgenza, per garantire, in particolare alla componente terrestre, dotazioni che non erano state pianificate.
Ritiene che ciò sia dovuto a un limite nella definizione, a suo tempo fatta, della pianificazione generale dello strumento militare?

VINCENZO CAMPORINI, Capo di stato maggiore della Difesa. In linea di principio direi che non è così. Possono sorgere delle circostanze e si possono verificare delle situazioni che richiedono un aggiustamento. Ricordo che questo avvenne quando, all'avvio della campagna in Afghanistan - parliamo degli anni 2003 e 2004 - mandammo gli alpini a Khost, zona dell'est del Paese che già allora, come oggi, era critica.
Per equipaggiare gli alpini, inviati con urgenza in quell'area, ci furono una serie di provvedimenti di acquisizione caratterizzati dall'impellenza della situazione. Tuttavia, direi che si tratta di situazioni abbastanza anomale. Normalmente, le dotazioni che abbiamo sono adeguate.
Qualche volta, ci siamo trovati nella felice situazione in cui certe esigenze sono state previste. Vi è un mezzo dell'esercito in particolare, l'autoblindo Centauro, che si è rivelato estremamente adatto alle


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operazioni che stiamo conducendo in questo momento, pur essendo stato concepito durante la guerra fredda, quando tutti quanti ci prendevano per matti perché sviluppavamo un mezzo del genere.
Possiamo dire di essere stati fortunati. Ad ogni modo, devo dire che le dotazioni attualmente sono abbastanza equilibrate e sicuramente idonee al tipo di operazioni che stiamo conducendo, pur avendo mantenuto una capacità operativa a trecentosessanta gradi.
Se permette, signor presidente, sto ricevendo una telefonata dal ministro e devo rispondere. Le chiederei, se possibile, una brevissima interruzione. Chiedo scusa.

PRESIDENTE. Sospendiamo per cinque minuti la seduta.

La seduta, sospesa alle 14,25, è ripresa alle 14,30.

PRESIDENTE. Proseguiamo i nostri lavori.

VINCENZO CAMPORINI, Capo di Stato Maggiore della Difesa. La ringrazio, presidente. Credo di aver risposto alla domanda dell'onorevole Villecco Calipari.

ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Vorrei menzionare anche i mezzi corazzati Lince. Ricordo, infatti, che nella scorsa legislatura abbiamo dovuto provvedere al riacquisto e all'invio dei veicoli Lince, per motivi di sicurezza degli uomini di stanza in Afghanistan. Quindi, non si tratta di un episodio molto lontano nel tempo. La missione in Afghanistan è cominciata diverso tempo fa.
Dunque, generale, ritiene che questa previsione, all'interno della pianificazione complessiva, possa funzionare?

VINCENZO CAMPORINI, Capo di stato maggiore della Difesa. Ritengo di sì.
Sviluppare un mezzo richiede diversi anni, come ho detto durante la mia relazione. Esistono delle modulazioni degli acquisti nel corso del tempo, ma il mezzo è stato sviluppato e, se ne servirà un numero maggiore, si potrà modulare il processo di acquisizione in questo senso.
Ripeto comunque che non vedo problemi da questo punto di vista, a parte quello generale della copertura finanziaria, ma questo esula dal tema dell'indagine.

SALVATORE CICU. Signor generale, come lei sa, le motivazioni di questa indagine conoscitiva nascono da una riflessione, un approfondimento e una valutazione che attengono proprio a quanto lei ci ha spiegato, in maniera puntuale e precisa, in ordine alle diverse fasi che riguardano il rapporto tra Governo e Parlamento.
Proprio rispetto al passaggio relativo ai doveri imposti al Ministro della difesa, in ordine allo stato di previsione, che viene allegato e in cui vengono individuati i diversi programmi, è evidente che emerge un aspetto legato soprattutto alla visione complessiva e organica della programmazione della situazione degli armamenti.
Si tratta di una visione che non è costante né puntuale rispetto ai ritardi e, soprattutto, a quegli aspetti che derivano dal definanziamento e dai tagli, come in quest'ultimo periodo. Quindi, la preoccupazione del Parlamento, soprattutto nei periodi in cui è possibile lavorare per una copertura finanziaria adeguata, è quella di capire che cosa producono e che cosa può derivare da questi tagli rispetto all'assenza di una visione complessiva strategica. Occorre comprendere soprattutto che cosa ne deriva attualmente.
La preoccupazione del Parlamento è appunto quella di vigilare, affinché non vi siano delle lacune, delle carenze tali da inficiare l'efficienza delle nostre forze armate nella dimensione in cui vadano ad operare.

VINCENZO CAMPORINI, Capo di stato maggiore della Difesa. Il problema che lei sta ponendo, onorevole Cicu, si pone su due livelli. Il primo livello è quello della trasparenza dell'attività di pianificazione per il Parlamento e di come questa trasparenza deve evidenziare le conseguenze


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dovute alle modulazioni finanziarie che avvengono durante la vita dei programmi; non diciamo durante l'esercizio.
Il secondo aspetto, più tecnico, consiste nel comprendere come sia possibile riuscire ad assorbire o, comunque, a non avere effetti dirompenti dalle manovre finanziarie che si susseguono nel tempo.
Per quanto riguarda il primo aspetto, credo che la documentazione che viene data al Parlamento nei vari momenti - la nota aggiuntiva, la documentazione della quale abbiamo parlato durante la mia precedente esposizione - può rispondere al quesito con riserva. Infatti, dal momento che, come ho detto prima, parliamo di una serie di documenti che si susseguono in modo non organico nel tempo, essi possono essere di difficile lettura.
Questo è il motivo per cui ho avanzato la proposta di ridisegnare la documentazione che viene trasmessa al Parlamento, per rendere i parlamentari edotti, in modo assolutamente trasparente, di quello che avviene.
Dal punto di vista tecnico, invece, dobbiamo lavorare su un'attività di carattere finanziario-programmatico, al fine di assorbire le oscillazioni che si creano durante la vita di un programma e qualche volta anche nello stesso esercizio finanziario (ricordiamo che nel 2006 ci fu un taglio improvviso che dovette essere riassorbito).
Da questo punto di vista, è chiaro che si aprono una serie di negoziati su più livelli, ad esempio con l'industria, in modo tale da diluire, rallentare, e qualche volta accelerare, le produzioni e gli stessi pagamenti. Da qui deriva anche il problema della revisione dei prezzi e dei pagamenti dovuti che invece vengono ritardati. Questa è una attività in cui le direzioni generali sono impegnate quotidianamente, fino ad adesso con risultati positivi, nel senso che siamo riusciti ad andare avanti.
Il secondo piano è quello internazionale, dove la situazione è molto più difficile.
Infatti, mentre con l'industria vi è un rapporto tale per cui il dialogo, a volte aspro, è possibile; sul piano internazionale vi sono dei vincoli, dei blocchi che possono creare dei problemi molto seri.
Adesso, ad esempio, abbiamo il grosso problema dell'Eurofighter Tranche 3, che è in discussione al massimo livello politico. È in atto un dibattito tra i Governi inglese, tedesco, italiano e spagnolo, perché, mentre i tedeschi e gli spagnoli vorrebbero un'acquisizione completa delle promesse di acquisto fatte ormai quindici anni fa; il Governo italiano e quello inglese fanno riferimento ai tetti di spesa previsti nel memorandum of understanding che non sono sufficienti per coprire tutta l'acquisizione.
Il problema, quindi, è molto serio. A volte, infatti, ci si trova nella situazione in cui, dovendo tagliare un approvvigionamento, perché non ci sono i quattrini per completarlo, si scopre che le penali, dirette e indirette, da pagare agli altri Governi sono ben più alte della cifra che manca.
Dico dirette e indirette, perché alcune sono penali tout court; altre sono relative al fatto che vi sono trasferimenti di tecnologia resi necessari dal riequilibrio dello workshare in ogni singolo programma.
Ricordo che i programmi internazionali, nella maggioranza dei casi, sono regolati dal concetto che il lavoro che un Paese ha è pari a quanto quel Paese paga per il programma.
Se un Paese decide di pagare di meno, gli compete meno lavoro, quindi sarà necessario trasferire tali mansioni a un'altra industria straniera.
Il trasferimento di questa attività comporta lo spostamento degli equipaggiamenti, del tooling e della capacità della manodopera che sono processi costosissimi.
In questo caso, si pongono delle serie difficoltà che devono essere affrontate fra i Governi.

FILIPPO ASCIERTO. Generale, con queste parole ha anticipato, seppur parzialmente, la risposta che spero venga alla mia domanda. Se siamo arrivati a questo incontro con lei - mi voglio complimentare per la sua relazione molto chiara - è


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per la necessità di approfondire la nostra conoscenza in materia di armamenti, di approvvigionamento e di strategie.
Alla Commissione difesa, peraltro, pervengono i programmi da approvare. Quindi, ritengo che sia giusto cercare di capire come si arriva a definire un programma e, soprattutto, quali sono le prospettive.
Ho capito in modo abbastanza chiaro dalla sua relazione che l'obiettivo primario consiste nell'efficienza e che, per raggiungerla, si determinano le necessità esistenti. Tracciata questa linea, interviene un meccanismo diverso per l'approvvigionamento e la creazione del sistema.
Una volta eravamo strettamente collegati con le industrie militari, ma poi l'intero sistema è cambiato in tutto il mondo.
Considerato che in Italia abbiamo un'industria militare che realizza elicotteri, sistemi radar e altri sistemi, in collaborazione con altri Paesi all'avanguardia nel mondo - tant'è che la forza ci viene anche dalle esportazioni -, nel momento in cui pensiamo di programmare un sistema necessario per l'attività operativa e per l'efficienza dello strumento militare, guardiamo alla nostra esperienza?
In passato, da questi banchi, ho avuto modo di ascoltare specifiche richieste per radar di costruzione israeliana, quando in Italia fabbrichiamo dei radar eccezionali, richiesti anche dagli altri Paesi.
Ciò che a me interessa è sapere se esista questa visione prima nazionale e poi internazionale, rispetto alle nostre primarie esigenze. Lo scudo spaziale, ad esempio, non lo possiamo richiedere a livello nazionale; non abbiamo i fondi per realizzarne uno nostro e neanche la possibilità di andare nello spazio a impiantare sistemi diversi.
Esiste oggi una ramificazione di Finmeccanica efficace e che ha aziende che lavorano in pianta stabile con il mondo militare.
Quindi, il nostro Paese guarda a ciò che già abbiamo nel nostro patrimonio e alla nostra ricerca, nella prospettiva futura delle Forze armate?

VINCENZO CAMPORINI, Capo di stato maggiore della Difesa. Sicuramente sì, però il mondo è cambiato. Parlare oggi di industria nazionale degli armamenti è un modo limitato di vedere la realtà.
Finmeccanica, ad esempio, investe il 30 per cento del suo fatturato in Gran Bretagna e con l'acquisizione di Drs avrà il 20 per cento del suo fatturato negli Stati Uniti.
Questo per dire che parlare di industria nazionale di armamenti indica una prospettiva limitata. Forse vale solo per i francesi, che hanno mantenuto un atteggiamento estremamente conservativo al riguardo. BAE Systems, ad esempio, è un'industria che di british ha soltanto il nome. Per il resto, è una società prevalentemente statunitense, anche se il capitale è in maggioranza britannico. Dico questo, dal punto di vista del corporate.
Per quanto riguarda i contenuti di ogni singolo sistema, non vi è più nulla che venga prodotto completamente in un singolo Paese. Parliamo, ad esempio, delle Frem, navi che stiamo costruendo per la marina: i motori sono americani, prodotti su licenza in Italia. Quanto ai sistemi radar, alcuni sono nazionali, altri non lo sono. Del resto, è vero, abbiamo un'ottima radaristica, però non abbiamo tutte le capacità radaristiche che possono servire per una nave. Alcune capacità non sono state sviluppate, perché non sono state considerate interessanti dal punto di vista della nostra industria. Quindi, è più conveniente approvvigionarle sul mercato, senza voler riprogettare quello che è stato già progettato altrove, potendolo acquisire a un prezzo sicuramente molto competitivo.
Non parliamo poi dell'elettronica, un'area che oggi, su un sistema d'arma qualsiasi, conta per non meno del 45-50 per cento del valore del sistema. L'elettronica di bordo è fatta da componentistica che viene da non si sa dove, nel senso che può provenire da qualsiasi parte del mondo e non può essere etichettata nazionalmente, se non come integrazione di sistema.


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Questo è un dato importante non soltanto da conoscere, ma anche da valorizzare per due motivi: in primo luogo, per un motivo economico del Paese, ma anche, per quanto mi concerne, come capo delle Forze armate, per motivi operativi. Infatti, se abbiamo sul nostro territorio la capacità di sapere come un sistema sia stato integrato, siamo in grado di manutenerlo molto meglio che se dovessimo ricorrere a fornitori che stanno dall'altra parte dell'oceano.
Da questo punto di vista, quindi, direi che la situazione è in perfetto equilibrio.
Vorrei aggiungere un'ulteriore considerazione. Il valore della competitività della nostra industria non è stato sempre stabile nel tempo, ma è cresciuto.
Oggi, la nostra industria è competitiva. Qualche tempo fa, in molti settori, non lo era.
Se mi permettete, su questo punto, buona parte del merito è nostra. Vorrei fare l'esempio del G-222, un velivolo a trasporto medio-leggero, che era una macchina uscita dalla penna - perché allora si progettava ancora con la penna - del progettista Giuseppe Gabrielli, con una serie di difetti, pur essendo un'ottima macchina.
L'Aeronautica militare ha pungolato la nostra industria in modo estenuante per anni, al fine di indurla a correggere tali carenze. Ne è venuto fuori il C-27 che oggi, in quel segmento di mercato, è la macchina più venduta al mondo.
Direi quindi che lo stimolo che diamo alla nostra industria dal non avere la certezza che ci rivolgeremo sempre a lei è sicuramente positivo.

PRESIDENTE. Dal momento che sono previsti ancora diversi interventi e ci rimangono un'ora e venti minuti a disposizione, pregherei di essere più sintetici nelle domande e di conseguenza nelle risposte.

RICCARDO MAZZONI. Durante l'audizione del Ministro La Russa, a proposito dei tagli che la legge finanziaria ha imposto alla difesa, abbiamo parlato della possibilità di creare un programma coordinato fra le varie Forze armate per la gestione dei sistemi di manutenzione dei mezzi.
Il Ministro ha affermato che lo considera un modo sia per razionalizzare la spesa, che per assicurare una migliore manutenzione. Vorrei sapere se lei, signor generale, è d'accordo su questo punto. Inoltre, sempre in termini molto brevi vorrei sapere a che punto è l'inchiesta sull'elicottero HC-3 caduto in Francia e fino a quando gli altri elicotteri dello stesso tipo resteranno a terra.

VINCENZO CAMPORINI, Capo di stato maggiore della Difesa. Per quanto concerne la prima domanda, non v'è dubbio che soffriamo di separatezza nella gestione logistica e manutentiva dei mezzi, anche quando si tratta degli stessi mezzi in uso dalle varie Forze armate.
Questo problema nasce dal dettato della legge sui vertici e dal relativo regolamento, che assegna ai capi di stato maggiore delle Forze armate la responsabilità dell'efficienza logistica dei propri mezzi. Quindi, legittimamente, il capo dell'esercito sostiene che, per avere questi elicotteri efficienti, deve poterci lavorare in prima persona e non mettersi in coda a quelli dell'Aeronautica, anche se sono gli stessi.
La norma di legge, dunque, induce a questa separatezza. La richiesta che ci sentiamo di avanzare è quella di rimodulare il dettato della legge, al fine di consentire una maggiore integrazione fra le componenti logistiche di tutte le Forze armate.
Per quanto concerne l'inchiesta sull'elicottero HC-3, non sono in grado di dirle nulla. Le indagini sono gestite in primis dall'Aeronautica militare, tramite l'ispettorato sulla sicurezza del volo che gestisce le inchieste militari. In questo caso, c'è anche un'inchiesta della magistratura ordinaria di Brindisi, di cui aspettiamo l'esito. In base agli esiti, si potrà decidere che tipo di controlli effettuare sulle macchine, per permettere di riprendere l'attività di volo. Il capo dell'Aeronautica mi


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dice che il rapporto con la procura di Brindisi è estremamente facile, per cui ci aspettiamo a breve le conclusioni di questa indagine.
È certo che, per quanto riguarda gli incidenti di volo, o comunque gli incidenti operativi, le procedure delle procure ordinarie, che devono procedere essendo di loro competenza, a volte mettono in difficoltà chi deve mantenere l'efficienza operativa di un sistema. Tuttavia, non ritengo che sia questo il problema in esame oggi.

PRESIDENTE. Nel mio intervento, volevo ricordare - anche a beneficio di chi ci ascolta - che lo scopo dell'indagine conoscitiva sull'acquisizione dei sistemi d'arma, deliberata dalla Commissione difesa, è quello di garantire, innanzitutto, la trasparenza sulla spesa di ingenti risorse pubbliche. Inoltre, si intende garantire l'efficienza del modello militare, che ha una valenza strategica per la difesa della Patria nel medio e lungo termine, e la sicurezza dei militari italiani impegnati in missioni internazionali. Oltre a ciò, non si deve sottovalutare il fatto che l'industria della difesa italiana è strategica non soltanto per l'economia, ma anche per il progresso tecnologico della nostra nazione, così come lei, generale, e alcuni colleghi avete ricordato.
A questo proposito, generale, vorrei porle tre brevi interrogativi. In primo luogo, il Ministro della difesa ci ha segnalato una procedura legata alla legge - e in genere alla struttura ordinamentale relativa all'acquisizione dei sistemi d'arma - di non pieno coordinamento normativo tra il Ministero della difesa e quello dello sviluppo economico. Atteso che, evidentemente, si tratta di un problema di natura politica e non tecnica, vorrei capire se, dal punto di vista delle strutture tecniche dei due citati ministeri, esiste un coordinamento. Nel caso in cui non ci fosse, vorrei sapere se lei ritiene che esso possa essere un elemento utile.
L'altro tema toccato è relativo ai tagli ingenti che il Ministero della difesa ha subito. Ovviamente, come riflesso sulla trasparenza, la rimodulazione dei programmi compete sia al Ministero della difesa che al capo di stato maggiore della Difesa, per effetto della legge sulla riforma dei vertici.
Signor generale, lei ritiene che l'attuale sistema di informativa che si ha tra Parlamento e Governo, il fatto che sia soltanto preventivo e non successivo a eventuali rimodulazioni, possa essere causa di mancata trasparenza complessiva?
Infine, le chiedo se i tagli operati dal Ministero dell'economia, ordinariamente, avvengono in un clima di collaborazione e di coordinamento tecnico con il Ministero della difesa e con i suoi organi tecnici, nella fattispecie con il capo di stato maggiore.

VINCENZO CAMPORINI, Capo di stato maggiore della Difesa. Rispondo molto rapidamente. Per quanto concerne il rapporto tra MSE e il Ministero della difesa, questo sicuramente risponde a un preciso coordinamento concettuale prima ancora che procedurale.
Tuttavia, occorre sottolineare che le procedure previste dalle norme sono molto complicate e complesse, per cui arrivare alla stesura di un contratto per lo sviluppo e l'acquisizione di un sistema con i fondi dell'MSE richiede parecchi mesi; anzi, spesso più di un anno.

PRESIDENTE. Mi scusi signor generale, per essere precisi, vorrei capire se in genere gli investimenti che provengono dal Ministero dello sviluppo economico partono da un'idea di fondo del Ministero della difesa, oppure avvengono per iniziativa dell'MSE.

VINCENZO CAMPORINI, Capo di stato maggiore della Difesa. È un rapporto che definirei reciproco. Intendo dire che, da una parte, noi abbiamo delle esigenze e, dall'altra, le industrie avanzano delle proposte per la realizzazione di sistemi che loro ritengono di poter sviluppare, che vengono avallate dall'MSE.
Dall'incontro di queste due visioni, quella delle nostre esigenze e quella delle possibilità offerte dall'industria, dello sviluppo


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del sistema industriale italiano, nascono i programmi. Direi quindi che, da questo punto di vista, vi è un rapporto dialettico e qualche volta vivace. Non lo nego. Tuttavia, il risultato finale oggi è sicuramente positivo, molto più di quanto non avveniva nel passato.
Nel passato remoto, infatti, molto spesso, le Forze armate si trovavano a ricevere degli oggetti che, francamente, rispondevano in modo minimale alle loro esigenze. Oggi questo non avviene più.
Per quanto concerne il discorso sull'informativa, circa la rimodulazione dei programmi, direi che questo è proprio il senso della proposta che avevo fatto. L'idea era quella di avere una sorta di rolling document, con validità per un determinato periodo, che viene aggiornato in modo tale da rendere edotti i destinatari dello stesso delle varianti e degli sviluppi avvenuti, e quindi delle conclusioni positive, magari anche dei fallimenti e di come questi siano stati risolti con altre soluzioni.
A mio parere, se tale proposta verrà approvata, potrà dare a tutti una piena consapevolezza non soltanto di quello che ci proponiamo di fare, ma anche di quello che si è fatto e di come l'obiettivo iniziale che ci eravamo posti potrà essere conseguito.
Per quanto riguarda i tagli del MEF, la questione è abbastanza complessa. Come è ben noto, infatti, il bilancio della difesa si può suddividere in tre parti: personale, esercizio e investimento.
Le spese per il personale sono assolutamente incomprimibili, quelle per gli investimenti sono teoricamente comprimibili, ma nella pratica hanno una rigidità intrinseca - perché ci troviamo di fronte a impegni contrattuali presi sia con le industrie, sia con gli altri Paesi cooperanti -, per cui le possibilità di rimodulare sono limitate. È chiaro, quindi, che i tagli si scaricano tutti sull'esercizio.
Per quanto riguarda il discorso relativo agli investimenti, anche in questo caso, quello rapporto con il MEF è spesso un rapporto dialettico, in cui determinati vincoli, che non sono noti ai funzionari del MEF, devono essere evidenziati, proprio al fine di evitare di trovarsi di fronte a situazioni di insolvenza sia a livello internazionale, che nazionale.

ROBERTO SPECIALE. Ritengo che l'onestà intellettuale, e quindi verbale, del generale Camporini sia veramente degna di nota e credo che meriti l'apprezzamento di tutta la Commissione, anche in questa occasione, come sempre.
Dal mio punto di vista, è indubitabile che programmare in un contesto di condizionamenti, quali la scarsa disponibilità di risorse finanziarie, gli impegni internazionali e le pressioni dell'industria nazionale, è veramente un'opera improba. Spesso, infatti, la programmazione sembra una pia lista di desideri del capo di stato maggiore della Difesa.
Tuttavia, non posso esimermi dal porre una domanda al generale Camporini. Perché, ogni qual volta che si verificano dei tagli a soccombere devono essere i programmi riguardanti le truppe terrestri, ossia Esercito e Carabinieri?
È un fatto inspiegabile, soprattutto per un uomo come me che viene dal mestiere. Ritengo che la sicurezza delle truppe terrestri dovrebbe essere la priorità assoluta.
Inoltre, si tratta di programmi che certamente costano di meno rispetto agli altri.
Ho ancora davanti agli occhi la faccia cadaverica dei capi di stato maggiore - ben tre - che ho affiancato da sottocapo di stato maggiore, ogni volta che tornavano dal Comitato dei capi, che aveva all'ordine del giorno questi argomenti. In quelle occasioni, chiedevo al comandante come fosse andata e ricevevo in risposta: «Sconfitto su tutta la linea!».
Forse in questa sede, da parlamentare, riuscirò ad ottenere una risposta.

VINCENZO CAMPORINI, Capo di stato maggiore della Difesa. Onorevole Speciale, le fornirò una risposta chiarissima, anche perché su questo argomento, quando ero sottocapo, ho avuto modo di affrontare una lunga discussione con il generale Mosca Moschini.
I programmi dell'esercito terrestre sono i più deboli; mentre i più forti sono quelli


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della Marina. Quest'ultima, quando si dota di un sistema, acquisisce una nave, che è un complesso non costituito unicamente dallo scafo, dal motore e dalle sovrastrutture; ma è tutto un sistema che si prende o si lascia.
L'Aeronautica vive una situazione analoga, seppur più debole, perché anche l'aeroplano è un qualcosa che si prende o si lascia. Tuttavia, sull'aeroplano si possono mettere degli equipaggiamenti, degli armamenti e altri possono essere tolti. Pertanto, i programmi dell'Aeronautica sono più a rischio di quelli della Marina, in presenza di tagli.
I programmi dell'Esercito sono essenzialmente rivolti ai singoli mezzi, sui quali è molto facile tagliare. Questo è il motivo per cui il suggerimento che avanzavo al generale Mosca Moschini, era quello secondo cui l'Esercito dovesse imparare a comprare dei sistemi complessi.
Questo è quanto in seguito è avvenuto. Quando si parla di digitalizzazione del campo di battaglia e di brigata integrata, finalmente ci troviamo di fronte a un sistema. La brigata integrata si prende tutta così com'è. Non si può prendere solo un pezzo, quindi il programma è più robusto e meno soggetto ad essere tagliato; cosa che nel passato avveniva con una certa facilità.
Ogni volta che occorreva tagliare un programma, infatti, ci si rivolgeva ai programmi annuali, tipicamente dell'Esercito, perché erano quelli in cui magari il contratto non era ancora stato firmato, quindi non si ponevano problemi legati alle penali e all'interazione con l'industria.
Da questo punto di vista, dunque, credo che la lezione sia stata compresa e che nel futuro sarà più difficile che accada quello che l'onorevole Speciale lamenta. Quindi, saremo tutti quanti egualmente vulnerabili.

GIUSEPPE FALLICA. Ringrazio il generale per la sua relazione e la sua disponibilità.
Sicuramente la risposta data all'onorevole Speciale è chiarificatrice. Finalmente, dopo tanti anni, il nostro collega ha avuto la sua giusta risposta.
Riguardo al tema degli investimenti più complessi, le volevo porre una domanda circa il periodo di realizzazione tipico degli investimenti maggiori che lei, nella sua relazione, afferma essere pari a 15-20 anni, come orizzonte temporale.
Con un'evoluzione continua, soprattutto nel settore tecnologico, come è possibile pensare di tracciare linee di programmazione a 15-20 anni, quando il mondo e gli scenari in generale degli interventi, delle missioni internazionali e dei teatri di guerra sono così mutati?
Vorrei anche sapere, se possibile, se i nostri alleati NATO utilizzano lo stesso programma temporale.

VINCENZO CAMPORINI, Capo di stato maggiore della Difesa. La risposta è abbastanza semplice, nel senso che gli orizzonti temporali di un programma sono quelli citati e a volte sono anche più lunghi.
Il programma A400M per un velivolo da trasporto strategico nasce concettualmente nel 1985, ma il primo prototipo volerà probabilmente l'anno prossimo. Dico questo, per darle un'idea di quale sia la tempistica.
Ciò non toglie che il programma, nella sua evoluzione, viene ammodernato giornalmente e questo è uno dei motivi per cui ci vuole così tanto tempo, perché gradualmente vengono integrati nuovi sistemi. Dobbiamo evitare gli errori che sono stati commessi nel passato, quando, nello sviluppo di un certo velivolo, noi militari abbiamo preteso che venisse impiegato il processore 486. Ebbene, quando il velivolo è entrato in linea, il 486 era archeologia.
Pertanto, occorre avere un rapporto estremamente flessibile con l'industria per distinguere gli ammodernamenti derivanti dalla tecnologia, a cui non soltanto non si può rinunciare, ma anzi bisogna spingerli, da quelli che sono semplicemente fenomeni di gold-plating, di doratura di un sistema, come si suol dire, per renderlo un pochino più bello.


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Sotto questo profilo, vi sono esigenze operative che fortunatamente non mutano nel tempo con questa rapidità. Il sistema che viene creato viene man mano aggiornato e anche quando entra in servizio il lavoro continua. Viene sviluppato subito un progetto di ammodernamento di questa macchina. L'ammodernamento di mezza vita di una nave, ad esempio, viene messo a punto nel momento in cui la nave entra in servizio (i colleghi della Marina lo possono confermare)
Da questo punto di vista, quindi, non ci sono difficoltà.
Tutti gli altri alleati sono nelle stesse identiche condizioni, perché tutti lavoriamo ormai su progetti e programmi congiunti. Pertanto, i problemi che abbiamo noi sono comuni ai colleghi tedeschi, inglesi e anche americani.

PIER FAUSTO RECCHIA. Vorrei ringraziare anche io il generale Camporini per aver affrontato nuovamente questo argomento, sul quale ci siamo ritrovati, anche perché la Commissione si è occupata proprio in questi giorni dei programmi d'arma.
Alcune delle curiosità che nutrivo sono state già soddisfatte tramite le domande dei colleghi. In particolare, mi interessava l'argomento sul quale è intervenuto l'onorevole Fallica. Prendo atto che vi è un ammodernamento nei programmi in corso d'opera. È anche vero che tale processo spesso fa crescere il costo degli stessi sistemi d'arma. Quindi, si pone un ulteriore problema, ossia che il programma si realizza in una quantità di anni e il costo cresce conseguentemente. Quindi, più dura il programma e più è probabile che il costo cresca.
Non mi soffermo sul tema dei tagli, perché è stato affrontato ripetute volte, così come sui programmi d'arma che sono passati al vaglio della Commissione. Mi sembra di aver capito dalle sue parole che lo spostamento in avanti nel tempo (anche di pochi anni) di alcuni di questi programmi, per mancanza di risorse, può incidere sull'efficienza dello strumento stesso. Questo, quindi, è un altro problema che abbiamo di fronte.
Purtroppo, questi programmi ci attraversano in un periodo talmente lungo che anche la funzione del Parlamento in qualche modo ne risente, ma questo è un argomento del quale non posso parlare con lei.
In riferimento alla sua relazione, mi interessava approfondire il punto relativo al livello politico-strategico che, evidentemente, è un tema che chiamerebbe in primis il Governo a prendere una posizione. Lei ha fatto riferimento al tema della grand strategy, ossia di definire all'interno di un programma, concepito come programma di legislatura che coinvolga il Governo e il Parlamento, gli obiettivi - cito le sue parole - che «la nazione intende perseguire nel campo della protezione e tutela dei suoi cittadini». Lei fa anche riferimento al fatto che questo documento non è mai stato prodotto in Italia, come invece succede negli altri Paesi. Ritengo che dovremmo riflettere anche su questo punto.
Dal punto di vista del contenuto implicito, voglio chiederle come si comporta lo stato maggiore per capire quali sono le minacce che noi percepiamo come tali, nei prossimi anni e verso quale direzione sono puntati i nostri cannoni. Questo è un punto che ci aiuta anche a capire, quando parliamo di sistemi d'arma, a che cosa essi servano; ci aiuta a comprendere se, per esempio, ha senso acquistare quattro sommergibili piuttosto che altri sistemi d'arma.

VINCENZO CAMPORINI, Capo di Stato Maggiore della Difesa. Vorrei svolgere una prima osservazione sul costo dei programmi, dicendo che questi sono direttamente proporzionali al tempo. Quando si fa un programma, non si comprano dei pezzi di ferro o un software, ma gli stipendi di coloro che ci lavorano. Se un programma dura dieci anni, si comprano dieci anni di stipendi.
Se si vuole risparmiare, facendolo slittare di due anni, si pagano due anni di


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stipendi in più: quindi vi è un aggravio del 20 per cento.
Dal punto di vista del concetto politico-strategico, quello che ho detto è indubitabile, nel senso che a noi manca un documento di questo tipo. Non manca dal punto di vista implicito, come giustamente ha osservato l'onorevole Recchia, in primo luogo, perché su questi temi riflettiamo e operiamo un'analisi di tipo duplice, di top down e di bottom up. Partiamo infatti dalla situazione strategica per identificare i bisogni, dalla vita sul campo identifichiamo i bisogni per farli rientrare nella strategia.
Si tratta di un processo relativamente nuovo, in quanto prima della fine della guerra fredda di questi temi non si occupava nessuno. La grande strategia veniva decisa altrove e noi eravamo semplicemente gli esecutori. Adesso, siamo noi i protagonisti della scrittura, ancorché implicita, di questi concetti.
È chiaro che l'analisi della minaccia, intesa in senso concettuale, è alla base di tutto. È stato chiesto quali sono le minacce attuali. È chiaro che oggi non abbiamo più il patto di Varsavia che si confronta con noi, quindi la minaccia di una invasione, nel senso classico, sembra totalmente al di fuori dell'orizzonte. Vorrei però ricordare che dobbiamo essere pronti ad affrontare evenienze che si possono verificare in tempi molto rapidi. In proposito, ricordo che il tempo di sviluppo di un sistema è tale per cui o lo abbiamo già, oppure non facciamo in tempo a procurarcelo, perché la storia cambia molto più rapidamente di quanto immaginiamo.
Il crollo del patto di Varsavia, il disfacimento dell'Unione sovietica è avvenuto in pochi mesi, senza alcun tipo di preavviso. Nessuno se lo aspettava, in particolare gli studiosi, i criminologi. Quindi, se aspettassimo il verificarsi di una situazione storica, per dotarci dei mezzi che ci servono, sicuramente saremmo fuori tempo. Un sistema antimissile, ad esempio, richiede i tempi che ho citato prima. Un'eventuale minaccia che provenga da un Paese che si dota di arma nucleare e di vettori si può concretizzare nell'arco di 4 o 5 anni. Se aspettiamo che si concretizzi la minaccia, per dotarci del sistema, siamo finiti.

GIORGIO HOLZMANN. Vorrei porre una domanda, riallacciandomi in parte ai quesiti che ha posto il presidente della Commissione.
Abbiamo un'industria nazionale che svolge un lavoro di eccellenza nel campo della produzione di mezzi terrestri. La predisposizione di un veicolo nuovo, nella fase di prototipo, costa circa 20-30 milioni di euro.
So che vi è una certa difficoltà, rispetto a esigenze evidenziate dall'esercito, nel dotarsi di nuovi mezzi, per far fronte soprattutto agli impegni che abbiamo in questo momento in alcuni teatri operativi, dove è necessario garantire la sicurezza, soprattutto dal punto di vista della logistica che è più esposta ad attacchi (penso quindi a mezzi di trasporto con cabine blindate, blindati più grandi e più capienti, il cosiddetto «lincione» e così via). D'altra parte, però, vi è la difficoltà dell'industria di potersi esporre così tanto nella predisposizione di prototipi che l'esercito comunque è già interessato ad acquistare.
I fatturati si indirizzano per circa il 40 per cento verso mercato italiano; mentre il resto si volge ai Paesi esteri. Parliamo di un'industria sostanzialmente e fortemente innovativa, la cui produzione è richiesta anche in altri Paesi, pertanto vi è comunque un ritorno per lo Stato, in termini di fiscalità.
Quello che faccio fatica a comprendere è come mai, tramite il Ministero dello sviluppo economico, la parte del leone la faccia Finmeccanica e ci sia poca considerazione, ad esempio, per questo tipo di produzione.

VINCENZO CAMPORINI. Capo di stato maggiore della Difesa. Non sono del tutto d'accordo con lei. In primo luogo, la maggior parte delle attività si trovano nella costellazione Finmeccanica, perché effettivamente oggi tale azienda costituisce se non il 90 per cento, sicuramente l'85 per cento, della nostra industria di tecnologia avanzata utilizzabile per la difesa.


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Devo dire, però, che vi è un'adeguata attenzione anche per altri produttori. Il mezzo a cui lei faceva riferimento, probabilmente, è il VBC, che viene attualmente sviluppato, grazie a un intervento dell'MSE, che ha riconosciuto la validità tecnologica del progetto, che risponde a una esigenza operativa dell'esercito. Il progetto, quindi, è stato finanziato nell'ambito delle attività dell'MSE e sta continuando. Da questo punto di vista, dunque, credo che l'attenzione sia adeguata.
Come giustamente diceva lei, è importante assicurare lo sviluppo tecnologico, per garantire la competitività di tali sistemi, perché il mercato nazionale oggi non è certamente in grado di assorbirne un numero sufficiente a rendere compatibile uno sviluppo, che costa 30-40 milioni di euro, con l'acquisto di pochi mezzi. Quindi, il fatto che il fatturato della nostra industria sia prevalentemente all'estero è soltanto positivo.

ETTORE ROSATO. Vorrei formulare tre osservazioni. La prima di esse, precedentemente anticipata da un collega, riguarda i problemi relativi alla manutenzione. Ho ascoltato con attenzione la sua risposta in merito. Ritengo che all'interno del Ministero della difesa, così come in quello dell'interno, che godono di particolari tutele nella secretazione dei bandi di gara, sia ancora più evidente un problema di dispersione nei capitoli di spese parcellizzate, sui quali tutto il sistema Paese ha bisogno di maggior rigore e controllo.
Non sto parlando di malversazioni, sia chiaro, ma di una polverizzazione della spesa che, effettivamente, ne riduce l'efficienza.
Vorrei sapere qual è la sua opinione in proposito e se esiste la possibilità - anche alla luce della risposta che forniva sulle manutenzioni, che rappresentano un problema importante - di approntare una strategia.
La seconda questione riguarda le esperienze all'estero, non solo nella gestione dei programmi d'arma, ma anche nella manutenzione dei sistemi d'arma. Come funzionano tali processi nei grandi Paesi occidentali? Sono state trovate procedure, modalità e tipi di esternalizzazioni più ampie o più ridotte? Avete fatto una valutazione e un confronto in merito?
Infine, signor generale, la devo ringraziare per la franchezza e l'efficacia delle argomentazioni che ci ha fornito. In precedenza, lei ha affermato in maniera molto chiara che ci sono programmi più o meno deboli. Mi è sembrato di capire che la debolezza o la forza di un programma sia data dalla sua complessità. Questo aspetto non è in antitesi con l'utilità del programma, ma è un elemento diverso.
In sostanza, un programma complesso può essere costituito da una nave, come lei esemplificava, in cui concorrono tante parti dell'industria nazionale e straniera che ne determinano la complessità e la forza. Invece, un programma che vede coinvolta un'unica industria è più debole.
Questo lo capisco, ma ritengo che la sua fatica e il nostro contributo debbano consistere nell'alzare l'asticella e mettere l'utilità accanto alla complessità.
Come diceva il collega Recchia, riportando l'esempio dei sommergibili, che sono un programma complesso, può darsi che ci sia la possibilità di documentarne ampiamente l'utilità. Tuttavia, dimostrare la priorità di un'acquisizione rispetto a un'altra diventa più complicato.
Se esiste un senso nel nostro lavoro, che non andiamo certo a valutare in base al fatto che un tipo di aereo sia più o meno efficace rispetto a un altro, credo che questo sia uno dei punti su cui dobbiamo prestare la maggiore attenzione e cercare un'interlocuzione diretta con lei.

VINCENZO CAMPORINI, Capo di stato maggiore delle Difesa. Riguardo alla polverizzazione della spesa, lei mi trova assolutamente in linea con la sua osservazione. Mi sforzerò di ridurre questo fenomeno.
Per fare un esempio banale, è evidente che, se Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri hanno uno stesso tipo di elicottero, e ciascuno fa un ordine separato per i pezzi di ricambio, la forza contrattuale nei confronti di Agusta è sicuramente


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ridotta; mentre, se si fa un ordine complessivo, è più facile programmare anche per la ditta. In questo modo, si hanno costi minori, prezzi più bassi e una conseguente maggiore utilizzabilità delle risorse finanziarie previste.
Mi impegnerò su questo fronte. Ho ricevuto direttive precise da parte del Ministro in questo senso e cercherò di non deludere le aspettative. Per quanto concerne l'esperienza all'estero nel campo dell'esternalizzazione della manutenzione, ogni Paese è un caso a parte. L'esempio più eclatante è quello britannico, dove, grazie a strumenti abbastanza sofisticati di collaborazione fra capitali di imprese private e pubbliche si sono ottenuti dei risultati, anche se non sempre positivi. Anche loro hanno incontrato delle difficoltà, ma sicuramente hanno ottenuto una razionalizzazione, e probabilmente anche una flessibilità, maggiori.
Vorrei riportare un esempio in tal senso. La scuola di guerra del Regno Unito è stata costruita a Shrivenham, una cittadina non molto ridente a circa due ore da Londra, con capitali completamente privati. Il Governo ha affidato a un consorzio di imprese la costruzione e il funzionamento di questa struttura (compresa la mensa, le pulizie e la manutenzione ordinaria), pagando in cambio l'affitto per trent'anni. Allo scadere del termine, la struttura diventerà di proprietà del Governo. Sono stati reperiti i capitali, ma soprattutto gli strumenti giuridico-amministrativi per poterlo fare; cosa che in Italia fatichiamo a trovare.
Ogni Paese - lo ripeto - ha le proprie peculiarità. Bisogna vivere nella realtà, cercando di captare quello che fanno gli altri e adattarlo al proprio sistema; il che non è sempre facile. Complessità non coincide con utilità. Su questo punto sollevato in precedenza sono perfettamente d'accordo.
Rispetto ai tagli, chiaramente, ci sono sistemi più facili da proteggere. Il problema non è fare la voce grossa per riuscire a difendere il nuovo modello di equipaggiamento personale che protegge meglio il soldato rispetto al sommergibile o al cacciabombardiere.
Il problema è uno solo: la certezza dei finanziamenti. Se, come ho detto, i nostri programmi durano anni è veramente una fatica infernale doverli riprogrammare anno dopo anno, in base alle dotazioni finanziarie che sono assolutamente non prevedibili.
È chiaro, quindi, che in una situazione del genere si taglia dove è tecnicamente possibile farlo.
Da questo punto di vista, dovremmo prendere l'esempio da altri Paesi. In Francia, vi è una legge di programmazione per la difesa che stabilisce un periodo di tempo sufficientemente lungo (per i miei colleghi francesi non lo è abbastanza, ma quando si parla di 3-4 anni per me è un sogno).
In questo modo la pianificazione non viene congelata, perché vi è sempre la possibilità di intervenire, però chi deve pianificare lo fa con un respiro maggiore. Ecco, credo che dovremmo aspirare a questo.
Tornando alla mia relazione, l'idea di un'informativa progressiva che abbia però un orizzonte temporale più lungo rende sicuramente il Parlamento in grado di approvare, meglio di oggi, un certo tipo di finanziamento, oppure di bocciarlo.
Da questo punto di vista, auspico veramente che si compia un passo in avanti.

PRESIDENTE. Nel ringraziare nuovamente il generale Camporini per la disponibilità manifestata, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,20.

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