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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione IV
12.
Mercoledì 16 settembre 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Cirielli Edmondo, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ACQUISIZIONE DEI SISTEMI D'ARMA, DELLE OPERE E DEI MEZZI DIRETTAMENTE DESTINATI ALLA DIFESA NAZIONALE, A VENTI ANNI DALL'ENTRATA IN VIGORE DELLA LEGGE 4 OTTOBRE 1988, N. 436.

Audizione del Capo esecutivo per le strategie dell'European Defence Agency (EDA), generale Carlo Magrassi:

Cirielli Edmondo, Presidente ... 3 7 10
Di Stanislao Augusto (IdV) ... 8
Magrassi Carlo, Capo esecutivo per le strategie dell'European Defence Agency ... 3 8 9 10
Recchia Pier Fausto (PD) ... 7
Speciale Roberto (PdL) ... 9

Audizione del Ministro dello sviluppo economico, Claudio Scajola:

Cirielli Edmondo, Presidente ... 11 15 18 20
Cicu Salvatore (PdL) ... 17
Di Stanislao Augusto (IdV) ... 15
Moles Giuseppe (PdL) ... 18
Recchia Pier Fausto (PD) ... 17
Scajola Claudio, Ministro dello sviluppo economico ... 11 18
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONE IV
DIFESA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 16 settembre 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE EDMONDO CIRIELLI

La seduta comincia alle 14,05.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Capo esecutivo per le strategie dell'European Defence Agency (EDA), generale Carlo Magrassi.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'acquisizione dei sistemi d'arma, delle opere e dei mezzi direttamente destinati alla difesa nazionale, a venti anni dall'entrata in vigore della legge 4 ottobre 1988, n. 436, l'audizione del Capo esecutivo per le strategie dell'European Defence Agency (EDA), generale Carlo Magrassi.
Nel dare la parola al Capo esecutivo per le strategie, il generale Carlo Magrassi, lo ringrazio per la partecipazione alla seduta odierna.

CARLO MAGRASSI, Capo esecutivo per le strategie dell'European Defence Agency. Signor presidente, onorevoli, grazie dell'invito. La presentazione che ora vi illustrerò si svolgerà su cinque aspetti. I primi tre punti - funzioni e compiti dell'Agenzia europea della difesa, organizzazione e struttura e principali iniziative in atto - riguardano la parte tecnica, che illustra le caratteristiche dell'Agenzia. Gli ultimi due punti, aspetti duali delle iniziative tecnologiche e dimensioni delle risorse - non vorrei spaventare nessuno, quando parlo di dimensione delle risorse mi riferisco a un aspetto concettuale, non di dimensioni vere e proprie - fanno riferimento direttamente all'ottica dell'indagine che si sta svolgendo in questa sede.
Comincio tracciando una breve storia dell'EDA. L'istituzione dell'Agenzia è stata decisa nel giugno del 2003, a Salonicco, dal Consiglio europeo e la sua creazione è datata luglio 2004, con un'azione comune del Consiglio. Ad oggi, l'EDA lavora su quarantuno progetti per un valore di 355 milioni di euro; si compone di uno staff di 116 persone e un budget funzionale di 30 milioni di euro. Si tratta di dimensioni piccole. Ad ogni modo l'Agenzia si sta inserendo in un discorso molto più ampio di coordinamento. Bisognerà progressivamente cercare di portare a un maggiore coordinamento le differenti iniziative europee nei vari settori che riguardano le cooperazioni nel campo della difesa.
Lo scopo dell'EDA, infatti, è supportare i 26 Stati membri - la Danimarca non ha aderito - nel loro impegno per migliorare le capacità di difesa europea nel campo della gestione delle crisi e sostenere la politica europea di sicurezza e difesa, al presente e nella sua futura evoluzione. Proprio quest'ultimo è un aspetto importante dal momento che oggi non si può coordinare molto: vi sono contratti esistenti, iniziative già in atto, e non è facile portare insieme quanto già esiste. Si deve, quindi, forzatamente lavorare per mettere insieme quanto si realizzerà nel futuro.


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Il concetto operativo dell'EDA è permettere un approccio coerente in tutti i settori per migliorare i risultati europei nel campo dei prodotti per la difesa, e, quindi, svolgere il ruolo di integratore di sistemi, fornendo analisi e proposte, agire da coscienza e catalizzatore, nonché, infine, da canale e strumento della volontà politica.
Passo ora ad illustrare le funzioni principali dell'EDA con i rispettivi quattro direttorati. L'EDA guarda a vari aspetti del mondo della difesa: sviluppare le capacità di difesa (noi siamo capability driven, cioè orientati alle capacità), compito di cui si occupa il direttorato Capacità; promuovere la cooperazione nel campo degli armamenti attraverso il direttorato della Cooperazione nel settore degli armamenti; migliorare la base tecnologica e industriale della difesa e supportare la creazione di un mercato europeo della difesa competitivo, ossia l'ambiente in cui si sosterrà la futura difesa europea, tramite il direttorato Industria e mercato; infine, promuovere le attività della ricerca nel campo della difesa, con il direttorato Ricerca e tecnologia, che eredita il lavoro della vecchia WEAG (Western European Armaments Group).
L'EDA è guidata dall'Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione europea Javier Solana e si presenta alle nazioni di fronte a Steering board (Comitati direttivi) chiamati a riunirsi in quattro configurazioni: con i Ministri della difesa - è la prima agenzia in Europa che risponde direttamente ai Ministri della difesa -; con i direttori nazionali degli armamenti; con i direttori della ricerca tecnologica e con quelli della pianificazione della politica militare in funzione dei differenti argomenti in discussione nelle riunioni.
L'EDA si interfaccia principalmente con il Comitato militare dell'Unione europea, con la Commissione europea, con la NATO, con l'OCCAR (Organismo Congiunto di Cooperazione in materia di Armamenti) e con la LoI (Letter of Intent).
Per quanto riguarda l'OCCAR, è in corso di stesura un progetto di protocollo per una collaborazione con l'EDA. In futuro, l'EDA potrebbe essere l'ambiente dove - ovviamente in funzione della volontà dei Paesi membri - si sviluppano le idee fino al momento di passare alla fase di acquisizione e di sviluppo del progetto.
A questo punto, il progetto può essere passato all'OCCAR, che si presenta come un'agenzia di acquisizione con una struttura esistente e capace, anche se ha come riferimento solamente sei Paesi europei. Non c'è, dunque, bisogno di reinventare l'acqua calda ogni volta, poiché l'OCCAR, ripeto, si presenta come un'agenzia di procurement, di acquisizione.
Un tipo di iniziativa sviluppata dall'Agenzia europea di difesa è il JIP (Joint Investment Programme - Programma congiunto di investimento) nel settore della ricerca e tecnologia. Si tratta di una nuova formula per investire insieme su progetti complessi, ad esempio la force protection (protezione delle forze), che copre varie aree. Tali progetti sono basati sulla competizione e non sul principio del juste retour, ossia sul dare a ciascuno secondo quanto contribuisce. Sono iniziative che hanno un risultato intermedio, nel senso che sono partite con un notevole entusiasmo, ma non stanno offrendo risultati eccezionali.
Per quanto riguarda il settore Industria e mercato, l'Agenzia ha sviluppato un codice di condotta sul defence procurement che, su base volontaria e non vincolante, è rivolto a incoraggiare l'applicazione della competizione. I Paesi si impegnano - parliamo del settore dell'articolo 296 - a fornire tutte le informazioni per iniziative che essi chiedono di proteggere con tale articolo.
Il codice di best practice è la seconda fase di questa iniziativa. Il codice di condotta prevede che i Governi informino le grandi industrie delle loro intenzioni, mentre il codice di best practice prevede che le grandi industrie informino le piccole e medie imprese del loro operato, in maniera da aumentare al massimo la conoscenza delle iniziative e la competizione.
Esiste, poi, un apposito portale, un bollettino sul quale vengono pubblicate tutte le opportunità, proprio per dare accesso alle informazioni anche a tutte le piccole e medie imprese, oltre che alle grandi imprese.


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È stato sviluppato anche un codice di condotta sugli offset, che prevede che l'offset richiesto debba essere limitato al 100 per cento. Anche questo è un codice volontario, come gli altri due, e mira a ridurre gradualmente la dipendenza dagli offset, incrementare la trasparenza e, infine, ad evolvere verso un uso dell'offset che possa aiutare a formare l'auspicata base tecnologica e industriale della difesa, estremamente competitiva, e a ridurre i protezionismi. Esso è applicabile a tutte le compensazioni richieste come condizioni di acquisto o che risultano da un acquisto di beni della difesa.
Nel campo delle capability è stata sviluppata la LTV (long term vision - Visione di lungo termine). Al riguardo va detto che i fattori presi in considerazione non sono solamente militari, ma si è guardato all'ambiente, all'economia, a cultura e società, alla demografia, all'energia, alla global governance, al diritto internazionale e a scienza e tecnologia per individuare quali esigenze capacitive dovremo affrontare nei prossimi vent'anni.
Dalla long term vision è stato sviluppato un piano per lo sviluppo di capacità (CDP - Capability development plan), che mira a identificare le priorità nel miglioramento delle capacità di difesa, a trovare opportunità di cooperazione, a guidare la ricerca e l'industria e a fornire una misura dei progressi comuni.
Dal piano di sviluppo di capacità - stiamo gradualmente arrivando alle concrete realizzazioni dell'Agenzia - è emersa una lista di ventiquattro azioni, di cui dodici prioritarie, che forniscono le aree su cui lavorare insieme. Le principali sono: network enabled capability (NEC); contromisure mine marittime (MMCM); sorveglianza marittima (MARSUR - MARitime SURveillance); intelligence, surveillance, target acquisition and reconnaissance architecture (ISTAR); supporto medico; esternalizzazioni del supporto logistico; lotta ai dispositivi esplosivi improvvisati e difesa chimica, biologica, radiologica e nucleare.
In sostanza, si incoraggiano le nazioni, che stanno lavorando in questi settori in maniera autonoma, a coordinarsi. Ci rendiamo conto però - come ho detto all'inizio - che è difficile cooperare su ciò che già esiste, come pure su ciò che è già in itinere. Bisogna cominciare a guardare avanti, per scoprire quando si può iniziare a cooperare sulle suddette iniziative, che sono importantissime, perché le nostre azioni fuori area che vedono le nostre forze operare insieme alle forze di altri Paesi richiedono assolutamente standard comuni e catene logistiche non eccessivamente duplicate.
Fin qui la presentazione tecnica dell'Agenzia.
Vorrei ora passare a illustravi quella che è, a mio modesto avviso, una visione tridimensionale della sfida che l'EDA sta ponendo ai nostri Paesi; sfida che la stessa realtà futura ci pone.
Cito alcune parole del professor Michele Nones, che è stato ascoltato in questa sede: «Solo un mercato europeo integrato può consentire alle imprese europee di rafforzarsi e affrontare la sfida della competizione globale. I mercati nazionali europei, anche quelli più grandi (Germania, Francia, Inghilterra, Italia), sono ormai insufficienti per consentire ai grandi gruppi transnazionali di sviluppare e di razionalizzare le loro capacità produttive e tecnologiche. In futuro bisognerà integrare questo impegno nazionale in un comune impegno europeo. Sarà un processo lungo e richiederà insieme coraggio, prudenza, ma soprattutto adeguate risorse». Tali risorse, a mio avviso, difficilmente riusciremo a trovarle negli ambiti della difesa dei Paesi che fanno parte dell'Agenzia.
Questo grafico, che sembra molto complesso, intende semplicemente rappresentare un concetto. L'Agenzia sta trattando un argomento, ovvero l'inserimento degli UAV (velivoli non pilotati) nel traffico aereo civile. Può sembrare un settore che non riguarda la difesa, mentre la interessa molto, perché proprio essa dispone di UAV. Li abbiamo noi e al momento non possiamo usarli quanto dovremmo perché non possono volare nel traffico civile. Si tratta di un problema molto complesso che interessa Eurocontrol (l'organizzazione che si occupa dell'armonizzazione e dell'integrazione dei servizi di navigazione area in Europa, tra cui il traffico aereo europeo) con altre


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agenzie di standardizzazione, i Paesi membri, la Commissione europea, che è molto interessata e dispone di risorse (ha dei framework programme, in particolare il framework programme 7 e sta sviluppando il framework programme 8) e la NATO, sia per l'utilizzo di tali velivoli in aree di operazioni, sia per i problemi legati alla difesa nei nostri territori; infatti quando voleranno questi velivoli non pilotati, chi garantirà la sicurezza di chi sta a terra? L'EDA, ovviamente, è interessata. La questione interessa anche l'industria in genere, in quanto rappresenta un enorme business. A questa iniziativa si contrappongono, tuttavia, ostacoli politici, economici, sociali, tecnologici, legali, ambientali. In pratica, si tratta di un esercizio su cui o tutte le varie componenti, civili e militari dei Paesi europei, i Ministeri della difesa, dei trasporti, dell'industria, dovranno trovare un accordo comune, oppure non si potrà procedere, a causa della multidimensionalità del problema. Tale esercizio non riguarda i velivoli di per sé, quanto le tecnologie da inserire a bordo di tutti i mezzi per dare loro la possibilità di volare nel traffico civile.
L'importanza di questa iniziativa risiede nel fatto che queste tecnologie favoriranno anche, in futuro, l'inserimento di più aeroplani per l'unità di spazio, riducendo enormemente i problemi legati all'affollamento dei cieli che si verifica in Europa e, specialmente, in America. La visione duale delle tecnologie, quindi, interessa sia noi, sia il mondo civile.
Un primo progetto concreto in questo settore degli UAV è MIDCAS, una tecnologia che consentirà a questi mezzi di «vedere» ed evitare gli ostacoli, ovvero di comportarsi come se a bordo avessero un pilota, anzi molto meglio di un pilota, perché questa non commetterà errori. Il pilota può non vedere, può sbagliarsi, mentre il MIDCAS non lo farà. Pensate a questa tecnologia installata come supporto di sicurezza anche a bordo di velivoli pilotati e al business case, all'enorme dimensione economica di questo progetto, che dovrà avere una dimensione mondiale.
Essere tra gli sviluppatori di queste tecnologie vorrà dire, nel futuro, per la nostra nazione, rientrare nel novero dei Paesi che sono alla guida dello sviluppo tecnologico nel settore aeronautico.
Stiamo agendo nella stessa direzione anche nel settore terrestre con i veicoli terrestri non pilotati. Pensate alle problematiche che ci possono essere nei cosiddetti fuori area, al semplice fatto che in un convoglio si possano inserire alcuni veicoli non pilotati e, quindi, confondere l'avversario mettendolo in condizioni di non sapere con certezza a chi sparare. Ci sono moltissime possibilità. Lo stesso vale per il subacqueo.
Si tratta di una rivoluzione copernicana, che elimina, innanzitutto, la barriera tra difesa e sicurezza. Questo è stato stabilito ufficialmente nelle conclusioni della presidenza francese, allorché è stato detto che i futuri investimenti che riguarderanno il framework programme 8 per la Commissione difesa e per la difesa, non devono più essere erogati in maniera separata. Bisogna cercare di creare delle sinergie.
I finanziamenti europei, che saranno gestiti dalla Commissione europea e dall'EDA, dovranno essere mirati allo sviluppo tecnologico, tenendo conto dell'aspetto duale. Ovviamente, non sarà l'Unione europea a gestire interamente i fondi; la maggior parte verrà stanziata dalle nazioni, che potranno partecipare allo sviluppo di queste tecnologie. Più larga sarà la fetta che potranno investire, più larga sarà la richiesta che potranno avanzare di partecipazione tecnologica. Devono, però, esserci visioni congiunte fra difesa, sicurezza ed economia, perché non saranno sufficienti soltanto le risorse della Difesa.
Nel campo degli UAV, il MIDCAS - l'esempio che ho illustrato - ha visto stanziare risorse per l'Italia da parte dei Ministeri della difesa, dell'industria e dei trasporti. Tale circostanza ci ha permesso di trovare abbastanza fondi per partecipare per un quinto - sono cinque le nazioni partecipanti: Germania, Francia, Spagna, Svezia e Italia - consentendoci di giocare alla pari.
Nello stesso tempo, l'EDA sta ponendo l'attenzione sullo sviluppo di dimostratori tecnologici, non ai grandi progetti. Programmi come l'Eurofighter e il Tornado non


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saranno più, nel futuro, il modello di riferimento, in quanto hanno creato dei problemi.
In primo luogo, si partiva con un grande progetto, pensando poi di realizzare anche lo sviluppo tecnologico; questo ha posto grosse difficoltà nel controllare la crescita dei costi. In secondo luogo, si creavano dei grandi salti: il progetto aveva una certa durata, poi si fermava con un notevole gap e si doveva continuare necessariamente con un altro progetto, creando forzature enormi che ancora oggi stiamo vivendo, per esempio col citato Eurofighter.
Passare ai dimostratori tecnologici significa, in un momento di congiuntura economica come quella attuale, poter continuare a mantenere le nostre industrie a livello di leadership. Il dimostratore tecnologico permette flessibilità, un impegno finanziario mirato e misurabile, crescita tecnologica. Esso, inoltre, raccoglie più consensi. Quando si parla di dimostratore tecnologico, non necessariamente si parla anche di sistema d'arma. È chiaro che quando si parla di uno strumento militare, di sistema d'arma, non si possono chiedere finanziamenti al di fuori della Difesa. Se, invece, mi riferisco a una tecnologia che può soddisfare moltissime aree della società civile, tutti possono partecipare allo sviluppo tecnologico.
Finora noi abbiamo sempre finanziato i nostri progetti con fondi della Difesa, affrontando problemi e costi enormi, quando invece si sarebbe potuto finanziare l'80 o 90 per cento delle tecnologie in maniera congiunta e poi in esclusiva solo la parte prettamente relativa alla Difesa. Per esempio, motori o sistemi di navigazione sono di interesse duale. Ecco la ragione dell'esigenza di cooperare - la dimensione economica: questi progetti sono molto grandi -, ma anche la possibilità di farlo, perché non si è più focalizzati soltanto sull'aspetto difesa, ma anche sull'aspetto tecnologico.
Un'ultima osservazione per sottolineare che l'attenzione italiana verso l'EDA - posso confermarlo personalmente - fino adesso è stata molto elevata, ma ora si presenta anche la necessità di consolidare in casa il network fra mondo universitario, che è importante far crescere perché è la base in cui coltiviamo i cervelli della ricerca, e i ministeri e il mondo industriale.
Bisogna individuare proposte di progetti duali e di interesse per il nostro Paese da avviare in collaborazioni internazionali. Dobbiamo cioè non soltanto seguire le proposte degli altri, ma cominciare a stabilire in casa nostra in quali ambiti vogliamo e possiamo essere eccellenti e puntare in quelle direzioni, con un discorso comune e congiunto. Ciò al fine di recuperare le risorse sufficienti ad avere il peso adeguato, cui accennavo prima, che ci permetterà di mantenere il ruolo di rilievo che desideriamo avere all'interno delle trattative e degli sviluppi futuri delle tecnologie.
Ringrazio dell'attenzione e spero di essermi mantenuto nei tempi previsti.

PRESIDENTE. La ringrazio molto, generale Magrassi.
Do la parola ai deputati che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

PIER FAUSTO RECCHIA. Innanzitutto ringrazio il generale per la relazione.
Sostanzialmente noi viviamo una situazione in cui i bilanci della Difesa dei Paesi europei sono tutti in crisi. Nello stesso tempo, la spesa per gli armamenti rimane elevata e, allo stato attuale, è certamente non integrata. I Paesi vi provvedono autonomamente e, quindi, la funzione dell'EDA a tutt'oggi fatica a decollare.
In pratica ci troviamo, spesso e volentieri, di fronte a un elenco di comportamenti che andrebbero messi in atto, ma ancora non lo sono. Peraltro, partendo dalla considerazione che ci troviamo di fronte a una crisi finanziaria diffusa, un'integrazione sarebbe quanto mai necessaria.
Vorrei porre due domande. La prima riguarda l'impegno dei grandi gruppi industriali italiani. Vorrei sapere se, in base alla sua esperienza, si può dire che essi cooperano con determinazione agli obiettivi dell'EDA. In secondo luogo, le chiedo se ci sono Paesi che si mostrano timidi nei confronti dell'Agenzia.


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CARLO MAGRASSI, Capo esecutivo per le strategie dell'European Defence Agency. Per quanto riguarda la prima domanda, la nostra dimensione industriale è tale da essere ormai forzata a cercare collaborazioni internazionali. La nostra industria è consapevole di non poter trovare più all'interno del sistema difesa nazionale la possibilità di mantenere la dimensione che ha raggiunto.
D'altro canto, ovviamente, l'industria è sempre molto prudente, perché è quella che poi paga lo scotto diretto qualora compia scelte sbagliate.
Per quanto posso dire, esiste una notevole attenzione anche da parte del mondo industriale, a Bruxelles, anche se basata più sulla fiducia, al momento attuale, esattamente come lei ha messo in luce, che sul reale interesse economico. L'EDA non sta muovendo per ora grandi capitali e non è in grado di farlo, quindi si tratta piuttosto di un atto di fiducia, che comunque esiste da parte di tutti i gruppi italiani.
Tale atto di fiducia può sicuramente essere rinforzato se arrivano messaggi importanti dal mondo governativo volti a deviare l'attenzione verso il mondo europeo. Anche questo sta avvenendo. Purtroppo, l'Italia si trova in una situazione congiunturale pesante e ha difficoltà a «sterzare» in quanto stiamo operando dei tagli in bilancio e, per usare una metafora, se si rimane senza carburante «sterzare» diventa problematico. Non so se ho risposto alla domanda, ma la situazione è questa. Però l'interesse esiste ed è, secondo me, motivato dal fatto che, come in Francia e in Germania, i grandi gruppi industriali si rendono conto che ormai non possono più sopravvivere da soli.
Per quanto riguarda, invece, la seconda domanda, esistono certamente Paesi timidi verso l'EDA. Non dobbiamo dimenticare che una parte dei Paesi dell'est ha visto negli Stati Uniti la nazione che li ha fatti entrare in Europa, ragion per cui esiste un certo timore a sponsorizzare iniziative che potrebbero conferire forza a quella che viene chiamata con paura «la Fortezza Europa». L'attività dell'EDA deve essere, quindi, un'attività molto oculata.
Anche da parte del nostro Paese può essere fatto un discorso di questo tipo, sostenendo le attività che non ci separino dal mondo transatlantico, ma che, anzi, ci aiutino a diventare forti in tale ambiente. Una di queste, ad esempio, è quella relativa agli UAV che ho citato prima, come anche il caso della NEC (Network Enabled Capability). Sono progetti per i quali l'EDA sta accettando iniziative europee, ma con standard transatlantici. Gli standard di crescita devono essere comuni, perché noi vogliamo operare con strumenti comuni nel fuori area o anche a casa nostra. Per fare questo bisogna fissare gli standard. Le tecnologie possono essere anche in competizione, ma l'importante è che siano all'interno di questi standard e che, quindi, qualsiasi tecnologia sia interoperabile. Se si va con due diverse tecnologie in un fuori area, l'utente non deve accorgersi della differenza.
Non è facile dal momento che in passato sono state spesso sviluppate tecnologie appositamente non standardizzate. È un discorso simile a quello dei caricatori dei telefonini, per capirci. Se si sviluppa una tecnologia non standardizzata, in cui i pezzi di ricambio non possono essere scambiati, automaticamente ci si garantisce di essere l'unico fornitore. Anche in merito a questo, un discorso politico che tenga d'occhio questi aspetti è molto importante.

AUGUSTO DI STANISLAO. Poiché è stata chiamata in causa la volontà politica degli Stati, vorrei dire al generale che, al momento, vedo in essa alcune fragilità.
Lei sostiene, generale, che l'Agenzia deve essere un integratore di sistemi. Ebbene, di quali sistemi? Di quelli che verranno o di quelli che i singoli Stati vogliono mettere in campo?
Da ultimo vorrei sottolineare che ho delle forti perplessità in merito a quanto lei ha detto riguardo all'agire come canale e strumento della volontà politica. Dal momento che, dal punto di vista politico, avremo geografie sempre più variabili, ritengo che sia veramente difficile mettere in campo un'Agenzia che abbia queste grandissime aspirazioni e ambizioni. Farla diventare sintesi, anche nella declinazione


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degli impegni, mi sembra veramente molto complicato.
Quando lei prospetta, soprattutto per quanto riguarda l'Italia, la necessità di mettere insieme filiere di ricerca, sviluppo, tecnologia, università e industria, ritengo che ciò sia molto difficile, perché tutti questi settori si muovono in maniera parallela e i loro interessi non si intrecciano mai.
Insomma, realizzare tutto ciò nei singoli Stati e portarlo a sintesi mi sembra molto complicato e mi pare un'aspirazione politica con fondamenta molto fragili.

CARLO MAGRASSI, Capo esecutivo per le strategie dell'European Defence Agency. Le sue osservazioni sono assolutamente fondate, però abbiamo una fortuna, che è rappresentata dalla dimensione dei progetti. In pratica, non si può più andare avanti da soli. Ormai abbiamo raggiunto un livello tecnologico tale che ci dà la capacità di sviluppare strumenti talmente complessi da non poter essere più finanziati in maniera autonoma. Questa è la realtà.
Forse ho una mentalità militare, ma il mondo politico è il mio riferimento. La guida, infatti, deve essere politica. Per me la politica è un ambito molto concreto, che guarda la realtà e indirizza verso di essa. Al momento attuale, se consideriamo tutti i grandi progetti (Eurofigther, FREMM), vediamo che non abbiamo più potuto svilupparli da soli.
Il discorso degli UAV sarà analogo e lo stesso vale per la NEC (network enabled capability), il sistema neuronale che ci permetterà di avere una consapevolezza molto maggiore di ciò che sta avvenendo per prendere le decisioni. Non potremo più andare avanti da soli.
D'altro canto, se guardiamo un altro settore, quello delle attività internazionali, troviamo attività comuni, congiunte, in cui più nazioni devono giocare insieme e sono costrette a lavorare di concerto. A mio parere, non possiamo scegliere di rimanere da soli, perché in tal caso ci limiteremmo a progetti e programmi di bassissimo livello e dimensione. Abbiamo, dunque, due possibilità: o collaboriamo nel campo internazionale o rimaniamo isolati e moriamo.
So che la mia non è una risposta, perché i suoi dubbi sono estremamente validi. Mi sembrano, però, relativi all'efficienza e all'efficacia con cui saremo capaci di rispondere a questo tema. Il villaggio globale non è un'invenzione, è la realtà. Esso, secondo me, comporta la scomparsa dell'autarchia. Nel villaggio, ognuno si specializza in un settore: c'è chi vende le scarpe e c'è chi vende il pane. Chi non è efficiente viene comprato da un altro.
Noi l'abbiamo già fatto, decidendo per una moneta comune e per l'abbattimento delle frontiere, che sono i due più grandi baluardi, in tempo di pace, di difesa di una nazione. Nel momento in cui andiamo verso questo futuro non abbiamo altre scelte. Pertanto, le filiere devono necessariamente unificarsi. Gli strumenti a disposizione sono, ad esempio, i corsi europei anche a livello universitario, come gli Erasmus. È la mentalità che deve cambiare. I nostri figli, pian piano, non vedono più l'Italia, la Francia o la Germania come posti diversi, ma come luoghi dove possono andare a lavorare.
Il problema che pongo è con quale efficienza ed efficacia l'Italia sarà capace di mantenere la velocità di questa trasformazione.

ROBERTO SPECIALE. Vorrei ringraziare il generale Magrassi - abbiamo lavorato insieme e oggi ci siamo rivisti dopo tanto tempo - ed esprimere il mio apprezzamento per la chiarezza e l'entusiasmo con cui ha affrontato il tema in questione.
Credo di non sbagliarmi nel ritenere che l'aspetto più importante e qualificante sia puntare verso il duale. Infatti questo potrebbe davvero non solo far muovere i cervelli, anche quelli non interessati alle questioni della difesa, ma soprattutto contribuire a ridurre il costo dei progetti.
Fatta questa premessa, avrei due curiosità da soddisfare: in primo luogo ho sentito menzionare, tra i progetti, quello dell'esternalizzazione della logistica, che era un mio


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«pallino» quando ero sottocapo di stato maggiore dell'esercito; l'altra, molto più attuale - Afghanistan docet - riguarda il contrasto degli artifizi esplosivi improvvisati. Non chiedo a che punto siamo, ma se ci siano delle nazioni pilota su questo progetto e, in caso affermativo, quali siano.

CARLO MAGRASSI, Capo esecutivo per le strategie dell'European Defence Agency. La ringrazio, innanzitutto, per l'osservazione sul duale, che è il grande concetto su cui si basa la nuova visione della difesa. La difesa non è più difesa alle frontiere. Ormai ci difendiamo da qualcosa che non ha più una dimensione, una forma e una geografia localizzata. La difesa è, dunque, molto più ampia, di livello molto più alto ed è più costosa. Per questo, il primo approccio verso di essa è comprendere che tutti dobbiamo partecipare.
L'EDA sta percorrendo una strada che mira non a sviluppare per il momento sistemi d'arma, ma tecnologie. In seguito, come per i computer, si metteranno insieme i vari pezzi per realizzare il computer migliore. Ciò permette di realizzare progetti in tempi più brevi e, quindi, di rispondere ai cambiamenti di scenario - oggi continui - in maniera più corretta, senza trovarsi, per esempio, con un velivolo o un mezzo non più rispondente allo scenario attuale. Il duale è, quindi, la chiave che permette di aumentare le risorse disponibili. E noi dobbiamo esprimere più risorse.
Il TPLS (Third Party Logistic Support), il supporto logistico esternalizzato, è un concetto che, per quanto vada preso con cautela, sta ormai prendendo sempre più piede, perché ci si sta concentrando su eserciti composti soltanto da «operativi». Il TPLS considera anche che oggi le manutenzioni non sono più realizzate come una volta, quando l'uomo smontava e rimontava il motore: oggi si manda tutto in ditta e si riceve indietro una scatola di ferro chiuso, in cui ci sono computer e altri strumenti dei quali non si può fare manutenzione sul campo, sia in Italia, sia tantomeno in «fuori area». Questa strada sicuramente viene percorsa, anche se vi sono forti resistenze. Ci sono, però, persone che stanno cominciando a riconoscerla e il mondo industriale è molto attento a questo processo. Occorre, secondo me, sviluppare un'analisi adeguata di quali aree si possa iniziare a trasformare. Non ci sarà un discorso bianco-nero, oggi-domani, ma comunque si dovrà iniziare questo percorso.
Nel campo degli artifizi esplosivi improvvisati, per adesso siamo a livello di un gruppo di lavoro. A tale riguardo vale il discorso che ho fatto prima, ossia ancora non vi è un leader. Ci sono nazioni, come la Germania o la Francia, che sono forti in questi settori e vogliono imporre la loro leadership, attraverso due strade: quella delle tecnologie superiori - ma tutti siamo più o meno tecnologicamente capaci di competere - oppure quella delle risorse che si riescono a mettere sul piatto.
Il discorso del contrasto agli artifizi esplosivi improvvisati non riguarda solo la Difesa, perché essi colpiscono le persone rimaste nelle zone dove questi strumenti vengono utilizzati. Esso ha, quindi, una valenza estremamente duale e potrebbe essere anche questo un settore di estremo interesse - noi abbiamo delle tecnologie importanti in Italia - che può raccogliere fondi al di là dei puri fondi della Difesa, che sono ristretti, per poter rispondere alla sfida europea di mettere a disposizione tanto quanto intendiamo partecipare.

PRESIDENTE. La ringrazio molto, generale, soprattutto per gli importanti stimoli che ci ha offerto per il nostro lavoro successivo.
Dichiaro conclusa l'audizione.
Avverto che il Ministro dello sviluppo economico, a causa di un impegno istituzionale presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, giungerà in Commissione per svolgere la prevista audizione intorno alle 15,15.
Sospendo pertanto la seduta.

La seduta, sospesa alle 14,40, è ripresa alle 15,30.


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Audizione del Ministro dello sviluppo economico, Claudio Scajola.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'acquisizione dei sistemi d'arma, delle opere e dei mezzi direttamente destinati alla difesa nazionale, a venti anni dall'entrata in vigore della legge 4 ottobre 1988, n. 436, l'audizione del Ministro dello sviluppo economico, Claudio Scajola.
Nel dare la parola al Ministro dello sviluppo economico, lo ringrazio per la partecipazione alla seduta odierna.

CLAUDIO SCAJOLA, Ministro dello sviluppo economico. Ringrazio il presidente e i colleghi deputati. Innanzitutto mi scuso per il breve ritardo, dovuto a un incontro bilaterale con il Governo rumeno.
Desidero esprimere il mio apprezzamento nei confronti della Commissione per l'iniziativa di promuovere quest'indagine conoscitiva. È la prima volta che partecipo a una riunione della Commissione difesa e vi sono grato di avermi ritenuto utile ai vostri lavori. Ho seguito, attraverso i miei uffici, il lavoro che avete svolto fino adesso - le audizioni che avete tenuto - e mi pare di poter affermare che questo contribuisce a chiarire anche alcuni aspetti meno noti, ma fondamentali nella nostra attività.
So che il quadro normativo di riferimento, il ruolo e le competenze dell'amministrazione della Difesa sono stati illustrati dal Ministro La Russa e dal capo di stato maggiore della Difesa. Gli aspetti contabili e di bilancio delle forniture militari sono stati chiariti dagli altri rappresentanti delle istituzioni, che vi hanno presentato i programmi - quelli in corso di definizione e quelli in corso di attuazione - anche in relazione al contesto internazionale ed europeo.
Ho trovato di particolare interesse gli interventi dei vertici delle industrie del settore, che hanno illustrato le problematiche del comparto produttivo industriale armiero.
Nella mia relazione, quindi, mi soffermerò sui profili di specifica competenza del Ministero dello sviluppo economico, rendendomi fin d'ora disponibile a fornirvi, se necessario, qualunque altra documentazione voi riterrete utile ai fini dello svolgimento della vostra indagine.
In tutti i Paesi economicamente evoluti la valorizzazione e la promozione dei settori produttivi a più elevato contenuto tecnologico rappresentano uno degli obiettivi prioritari degli interventi di politica industriale. Sono settori che costituiscono, infatti, un volano per lo sviluppo e la competitività dei sistemi economici, ai quali forniscono, direttamente e anche attraverso l'indotto, un contributo importante in termini di ricerca, di innovazione e, quindi, di crescita del prodotto interno lordo.
Nel caso dell'industria per la difesa, a queste caratteristiche si aggiunge un interesse pubblico primario, connesso alle esigenze strategiche di tutela degli interessi essenziali sulla sicurezza nazionale. Tali obiettivi possono essere pienamente perseguiti solo con l'utilizzo di tecnologie avanzate, di eccellenza, che comportano elevatissimi costi fissi in ricerca e sviluppo e lunghi periodi per il rientro finanziario.
Per queste ragioni, da oltre quarant'anni, i principali Paesi europei si sono dotati di strumenti in grado di sostenere i comparti produttivi a maggiore intensità tecnologica.
Io vi sono grato per avermi invitato a quest'audizione, perché non credo che la Commissione difesa, per sua storia ed esperienza, si sia dedicata nel tempo agli aspetti di politica industriale connessi alla difesa. Ho, quindi, ritenuto che questo lavoro e questa relazione dovessero essere particolarmente attenti per potervi dare strumenti di valutazione comparata con gli altri Paesi, europei in particolare, ma anche con il resto del mondo.
Nel settore della difesa, la domanda pubblica per finalità di carattere militare è stata generalmente affiancata da leggi per specifici finanziamenti di aree di programma finalizzate, per esempio, in modo significativo, allo sviluppo delle produzioni aerospaziali ed elettroniche.
A partire dagli anni '80, molti Governi, soprattutto quelli europei, hanno consoli


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dato vere e proprie partnership finanziarie con le maggiori aziende del settore, sollevandole quindi, in tutto o in parte, dal rischio e dall'onere finanziario.
In questa logica, nel 1985, per dotarsi di strumenti comparabili a quelli che avevano appena lanciato la Francia e l'Inghilterra, l'Italia ha istituito, con la legge n. 808, una misura di promozione pubblica dello svolgimento tecnologico del settore aerospaziale e dell'elettronica connessa alla difesa.
Grazie a questo intervento - parliamo del 1985 - si sono attuati importanti partenariati fra l'Italia e altri Paesi europei, in primo luogo, nuovamente, Francia e Regno Unito, per produrre prodotti tecnologici di eccellenza.
Voglio ricordare, ad esempio, lo sviluppo italo-francese della famiglia del bimotore ATR, che inaugurò questa linea di intervento - fu la prima, parliamo del 1985 - e che sta ora vivendo, come sapete, con oltre 650 aerei già venduti, un nuovo successo, grazie a un ulteriore utilizzo proprio in sede paramilitare e civile.
Tale linea di intervento, con la ripartizione binazionale del rischio e dei conseguenti costi, si è poi concretizzata con il programma EH-101, nato dalla necessità delle forze armate italiane e inglesi di disporre di un elicottero medio-pesante destinato a rimpiazzare il Sea King statunitense.
Con l'elicottero EH-101, prima macchina trimotore ad altissima tecnologia avanzata in Europa, i Ministeri dell'industria di allora dell'Italia e del Regno Unito convennero di affiancare i Ministeri della difesa dei due Paesi per la realizzazione di un programma integrato di grande successo e, quindi, non solamente militare.
Per meglio comprendere in questo settore, le ragioni, la natura e il ruolo del dicastero che ho l'onore di guidare, è utile ricordare che nella prima metà degli anni Novanta la struttura del bilancio della Difesa, già in crisi per l'erosione dell'inflazione a due cifre, è stata interessata dalle conseguenze economiche dello scenario mutato nei rapporti est-ovest.
Questa situazione si è riflessa negativamente sui volumi pluriennali delle commesse militari - il generale Speciale lo ricorderà bene - a più elevato contenuto tecnologico e ha inciso sulla capacità dell'industria italiana di mantenere vivo e vitale il proprio patrimonio di alte tecnologie.
La situazione era resa ancora più difficile dall'impennata del debito pubblico. Credo che debba essere ricordato che nel 1982 - parliamo, quindi, degli anni in cui è nata anche la nuova visione sulla politica delle tecnologie di aiuto alla difesa - il debito pubblico era il 64,7 per cento del PIL. Nel 1992, a distanza di soli dieci anni, era salito al 107,7.
Pertanto, questa situazione, resa ancora più difficile dall'impennata del debito pubblico, assorbiva tali ingenti risorse dal sistema creditizio e rendeva meno agevole per le aziende e per tutto il sistema produttivo il ricorso al credito ordinario.
Per superare queste difficoltà, contemperando le esigenze di politica industriale con quelle di sicurezza nazionale, la legge n. 421 del 1996 ha attribuito all'allora Ministero dell'industria, oggi Ministero dello sviluppo economico, la possibilità di finanziare programmi hi-tech di interesse delle Forze armate nel quadro delle esigenze prioritarie sempre - logicamente e giustamente - individuate dal Ministero della difesa.
In sede di applicazione, la legge ha determinato rilevanti effetti positivi per lo sviluppo in Italia dell'alta tecnologia e ha sicuramente contribuito in maniera rilevantissima a rafforzare i comparti produttivi strategici per l'innovazione.
In seguito, con le leggi n. 388 del 2000 e n. 266 del 2005, si è estesa l'area di possibile applicazione degli strumenti della citata legge n. 421, razionalizzando l'impiego delle risorse pubbliche in tutto il settore.
Il Ministero dello sviluppo economico, su impulso e di concerto con la Difesa, ha così impiegato i limitati fondi disponibili (4,7 miliardi in tredici anni) per attuare programmi di grande importanza per le Forze armate e di rilievo strategico per lo sviluppo e l'innovazione delle industrie, in particolare dell'aerospazio e della difesa.
Ne costituisce un esempio validissimo il sistema elettronico di navigazione e di combattimento


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della portaerei Conte di Cavour, risultato di grandi architetture tecnologiche integrate tra di loro.
Va aggiunto che questi interventi hanno consentito, tra l'altro, di presidiare e promuovere l'area dell'avionica militare e di garantire la presenza dell'industria nazionale nel settore delle comunicazioni, sicuramente messa a rischio, fra il 1975 e il 1985, nella fase di passaggio difficile - con l'Italia priva di risorse - fra l'analogico e il digitale.
Brillanti risultati si stanno conseguendo, come sapete, anche nella realizzazione del programma FREMM, nell'acquisizione di nuovi veicoli blindati per l'esercito e nel grande programma, assolutamente innovativo e importantissimo - denominato Forza NEC -, con il quale l'intero comparto elettronico nazionale verrà rafforzato e rilanciato.
Un ulteriore successo è stato ottenuto, infine, con gli investimenti per la realizzazione dei programmi spaziali nell'area dell'osservazione dal cielo della terra. Ricordo, in particolare, i programmi COSMO-SkyMed, nell'area delle telecomunicazioni, e SICRAL B, che concorre a dare all'Arma dei carabinieri collegamenti protetti e cifrati.
Coerentemente con la necessità di assicurare elevati standard tecnologici a supporto del settore di alta tecnologia e a tutela degli interessi di sicurezza nazionale, nello scorso mese di luglio abbiamo perfezionato anche alcuni interventi che garantiscono continuità nell'azione di sostegno all'industria del settore. Fra questi, le misure volte a favorire l'impiego di elevate tecnologie per realizzare strutture importanti nel comparto aeronautico; la messa a punto della versione dedicata del convertiplano minore, che sarà utilissimo per interventi di urgenza (penso ai casi di minaccia terroristica); la realizzazione di nuovi campi boe a mare per alimentare le nostre centrali elettriche; la creazione di ulteriori approdi per i gasdotti e le grandi dorsali della rete elettrica italiana.
Stiamo, infine, avviando a conclusione il programma che nell'area elicotteristica ci permetterà di dotare le nostre Forze armate all'estero di nuovi e più importanti strumenti di difesa.
Avviandomi alla conclusione, alla luce di queste iniziative che ho illustrato e ricordato brevemente, credo che si possa affermare che la politica industriale per la difesa ha dato risultati positivi, anche se, naturalmente, non si esclude la possibilità di un ulteriore miglioramento della normativa vigente, soprattutto per quanto riguarda la disciplina dei controlli e delle verifiche da parte del Parlamento e quindi, in particolare, da parte vostra.
Con riferimento alle specifiche competenze del dicastero che guido, desidero sottolineare ancora una volta che le attribuzioni del Ministero dello sviluppo economico nel settore della difesa trovano una loro chiara giustificazione non tanto, come qualcuno ha sostenuto, nell'esigenza di contribuire agli oneri dell'attività militare, quanto piuttosto nella necessità di promuovere e sostenere un settore produttivo strategico per il nostro Paese, in grado a sua volta di produrre positivi effetti in modo continuativo sulla competitività industriale delle nostre imprese e, quindi, sulla crescita economica dell'Italia.
Dal 1988, l'inizio della sua vigenza, fino al luglio del 2008, la legge n. 808 ha concesso finanziamenti per 2,9 miliardi di euro, che sono in corso di pagamento perché, come voi sapete, si tratta di impegni quindicennali. Di questi, 1,3 miliardi sono destinati ai progetti di ricerca e di sviluppo aziendali riguardanti la sicurezza nazionale.
In questa legislatura, nelle due riunioni del Comitato previsto dalla legge n. 808 che ho presieduto - nel dicembre 2008 la prima, nel luglio 2009 la seconda, e intendiamo convocare la prossima per dicembre 2009 - sono stati concessi complessivamente finanziamenti per 1 miliardo 400 milioni di euro; questi si erogano, come vi ho detto, in quote quindicennali.
Inoltre, di fronte al problema più volte emerso delle piccole e medie imprese, stiamo studiando alcune iniziative per agevolare l'accesso al credito, assicurando la


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disponibilità finanziaria degli importi, senza dover attendere tempi troppo lunghi.
Ricordo, infatti, che un provvedimento recente ha creato la difficoltà, preoccupante soprattutto per le piccole e medie imprese, in questi progetti dove sono impegnate tantissime industrie, ad avere il finanziamento intero. Mi riferisco alla predisposizione di norme che prevedano l'autorizzazione ad accettare atti di delega all'incasso per i beneficiari. Mi auguro, su questo, di avere anche il vostro fattivo aiuto e la vostra collaborazione.
Per tutte le ragioni che vi ho esposto, ritengo l'intervento del Ministero dello sviluppo economico fondamentale per il sostegno dei settori ad alta tecnologia. Tale intervento ha dato ottimi risultati.
Si tratta di mantenere vitale un processo virtuoso, che è finalizzato ad accrescere la competitività del nostro Paese, impegnandosi nello stesso tempo a non disperdere il prezioso patrimonio di conoscenze e know-how acquisito nelle nuove tecnologie e nei processi di innovazione industriale.
Per questo è quanto mai necessaria una politica di interventi statali, sia sul versante della domanda pubblica, sia su quello del sostegno alla ricerca mirata a favorire lo sviluppo dei comparti dell'aerospazio, della difesa e della sicurezza, che sono preziosissimi sia per la tutela della sicurezza nazionale sia per rendere sempre competitivo il nostro sistema Paese.
Lo sviluppo e la realizzazione di prototipi di sistemi tecnologici avanzati richiede un impegno rilevantissimo di uomini e strutture, articolato su dieci-quindici anni. Sono necessari investimenti ingenti che possono essere recuperati, in caso di successo, soltanto a distanza di molto tempo. Si tratta di costi e oneri che senza l'intervento integrativo dello Stato nessun bilancio aziendale potrebbe realisticamente essere in grado di assorbire e di sostenere.
Anche i nostri principali partner europei da tempo hanno assoggettato le filiere tecnologiche strategiche ad uno speciale regime per assicurarne il carattere nazionale e promuoverne lo sviluppo.
In Francia, la Delegazione generale degli armamenti, direttamente dipendente dal Capo dello Stato, utilizza i capitoli riservati per la ricerca di base in funzione di sostegno all'industria francese ad elevata tecnologia.
In Gran Bretagna, i settori strategici vengono mantenuti sotto il controllo britannico. Vi faccio un esempio: lo stabilimento di Liverpool della BAE (dove ci si occupa di cifratura e di produzione di materiale criptografico), acquisito dalla nostra Finmeccanica, e gli stabilimenti della ALVIS (dove si producono mezzi blindati veloci), acquisiti da una società americana, continuano ad essere sottoposti al controllo e all'indirizzo della Difesa britannica.
Analoghe limitazioni sono previste anche in Germania, come conferma la moral suasion con cui Berlino ha convinto il fondo statunitense KKR (Kravis Kohlberg Roberts) a cedere alla Thyssen i cantieri di Howald Werke che producono i nuovissimi sottomarini a celle a combustibile.
La normativa speciale italiana, quindi, per vostra e nostra sicurezza, non è un'eccezione a livello europeo, ma è diretta ad evitare, nel rispetto del principio della trasparenza, che le aree nazionali di eccellenza vengano colonizzate da imprese straniere, che troppo spesso beneficiano di forme di protezione ben superiori a quelle che riconosce il Governo italiano alle proprie.
È, dunque, quanto mai importante che l'intervento pubblico in questo settore sia assicurato, anche per il futuro, nel doveroso rispetto della disciplina comunitaria sulla concorrenza - per carità! - e in un rapporto di trasparenza e di dialogo tra le istituzioni.
Desidererei essere molto chiaro su quest'ultimo punto: sono convinto che al Parlamento, nell'ambito del suo rapporto fiduciario con il Governo, debba essere riconosciuto, soprattutto in questo settore così strategico per gli interessi economici e di sicurezza del nostro Paese, un potere effettivo di controllo e non meramente burocratico. Può, inoltre, essere utile rafforzare il dialogo tra Ministero della difesa e Ministero dello sviluppo economico, delineandone però con chiarezza ruoli e competenze, nell'intento di coniugare sempre meglio


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le esigenze strategiche della Difesa con gli obiettivi fondamentali di competitività del nostro sistema industriale.
Credo che queste modalità di relazione tra Governo, imprese e istituzioni siano non solo corrette sotto un profilo costituzionale, ma anche funzionali alla realizzazione di un sistema di supporto al settore che sia più trasparente e più efficace.
Per questa ragione, ritengo possa essere utile rispondere alle necessità del comparto anche attraverso l'adeguamento e l'aggiornamento della legislazione in materia, così da renderla maggiormente funzionale alle esigenze del settore, in linea con le più moderne tendenze normative dell'Europa.
Concludo qui la mia relazione, ringraziandovi per l'attenzione.

PRESIDENTE. Grazie, signor Ministro. Prima di passare la parola ai colleghi iscritti a parlare, voglio ringraziarla anche per il taglio della sua relazione. Vorrei ricordare che, in quest'ultimo anno, oltre ad aver rilevato l'esistenza di un problema sicuramente procedurale, relativo al procurement e, quindi, alla necessità di aggiornare la disciplina legislativa e soprattutto il controllo su quello che accade, ci siamo resi conto dell'importanza strategica dell'industria della difesa per l'economia nazionale e per il sistema Italia. Peraltro, tale industria non è soltanto per lo più pubblica (penso ad aziende strategiche e multinazionali quali Finmeccanica e la controllata Fincantieri), ma vede anche la presenza di tante piccole aziende che operano nel settore e che, a loro volta, hanno un controllo o una partecipazione in queste aziende pubbliche.
Non ci è sfuggito, in questo periodo, anche l'importanza dell'impatto occupazionale, oltre che, come da lei segnalato dello spread tecnologico in una nazione dove da sempre si lamenta una mancanza di intervento economico dello Stato nella ricerca.
Oggi abbiamo avuto la conferma che queste nostre aspettative sono ampiamente seguite dal Ministro e, soprattutto, che tutti riteniamo che la collocazione di questa importante competenza nell'ambito del Ministero dello sviluppo economico sia giustificata ampiamente non soltanto dalle motivazioni economiche, che sono assolutamente lampanti, ma anche da quelle politiche. Si tratta di far comprendere alla società che il problema della difesa non è tout court relativo alla produzione di armi, con tutti gli aspetti e le valutazioni che ne possono derivare, ma rappresenta soprattutto un impegno complessivo che una nazione moderna deve mettere alla base della sua capacità tecnologica, economica e sociale di essere presente sul mercato, in tutti i settori.
Vi è, poi, l'aspetto che a nessuno sfugge - ma di cui abbiamo avuto conferma oggi, con l'audizione del rappresentante dell'EDA - dell'importanza del ruolo duale di queste tecnologie, ossia della capacità di essere utilizzate anche nel settore civile con ulteriori importanti ricadute di sviluppo da parte della nostra nazione.
Ricordo che gli Stati Uniti da sempre - è ben noto - si finanziano, per la loro attività economica, grazie agli investimenti che effettuano nella Difesa; infatti, oltre al ritorno in termini di vantaggi tecnologici, con la successiva vendita della tecnologia finanziano automaticamente la loro potenza economica.
Ci rendiamo conto, dunque, del carattere strategico del settore e proprio per questo abbiamo tutti fortemente voluto la sua presenza per confermare l'importante legame con il suo ministero.
Do ora la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

AUGUSTO DI STANISLAO. Ringrazio il Ministro per la chiarezza della sua relazione che ha tenuto separati impegni e responsabilità di chi ha fatto e di chi deve fare, soprattutto, con riferimento a come bisogna fare.
Sul tema delle risorse potremmo aprire un grandissimo discorso di scenario, ma evidentemente lei, Ministro, non ha la bacchetta magica e c'è chiaramente un vulnus che attraversa tutte le amministrazioni che si succedono al Governo. Infatti, come abbiamo sempre detto, poiché i sistemi d'arma hanno una programmazione quindicennale


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o ventennale e i Governi invece si avvicendano, questi ultimi finiscono per essere attraversati da impegni e scelte già assunti, e il loro campo d'azione si restringe fortemente.
La grande sfida che pongo al Ministro è proprio questa: il Governo che prende in mano le sorti di una nazione deve avere il coraggio, la consapevolezza e la voglia di scegliere su alcune situazioni già poste in essere da chi lo ha preceduto, indipendentemente che si tratti di Governi di centro-destra o centro-sinistra. Un Governo che subentra deve avere le idee chiare su come debbano essere organizzate le politiche industriali che attraversano la Difesa.
Una cosa importante, che sostengo da quando faccio parte di questa Commissione, è che la cifra della maturità di una nazione è data dal Welfare e dalla Difesa e di ciò ne sono convintissimo sia dal punto di vista personale, sia da quello politico. Vorrei che questa visione potesse attraversare anche questa Commissione e il Parlamento, poiché ritengo che al termine della sua relazione lei, signor Ministro, abbia posto degli elementi assolutamente innovativi.
Il nostro Paese sconta il tempo perso a riflettere piuttosto che a dare risposte e ad agire. Ora, se è vero che questo è un settore strategico della nostra attività produttiva nazionale e se è vero che bisogna mettere in campo azioni che non ci facciano tornare a un recente passato (altre nazioni hanno sperimentato leggi più snelle, dinamiche e innovative, anziché ingessanti), la sfida che le lancio, signor Ministro, e che potrebbe rientrare nell'ambito della dialettica fra Parlamento e Governo, è quella di prendere una decisione.
Come ha ricordato il presidente, le piccole e medie imprese italiane che hanno implicazioni con questo settore - Finmeccanica è la stella polare, ma ne esistono una miriade sul territorio nazionale - danno occupazione, creano reddito, partecipano alla formazione del PIL. Ebbene sarebbe interessante se, nell'ambito della discussione sempre viva in Italia sui distretti industriali, il Ministro dello sviluppo economico individuasse un distretto industriale vocato anche in tale ambito. Intendo un distretto industriale che possa partire da alcune vocazioni territoriali per inserirsi non in una dimensione caratterizzata dalla singola realtà territoriale (che sia il Piemonte, la Campania o la Sicilia), ma all'interno di una dimensione più ampia, che ci porti a istituire un metadistretto.
Sarebbe interessante che lei si adoperasse a tale scopo, se è vero che quanto da lei richiamato ha un valore fondante nella nostra realtà nazionale. Infatti a tale proposito si potrebbe strutturare anche un importante rapporto sinergico tra i tre elementi che lei ricordava all'inizio: la ricerca, l'innovazione e la crescita del prodotto interno lordo. Attraverso il ministero, lei potrebbe utilizzare alcuni parametri che solo lei conosce in profondità, mettendo insieme politica industriale, ricerca, università e sistema delle imprese a livello nazionale. Sono questi elementi che creano la filiera e, dunque, creano prodotti, reddito e sviluppo economico.
Tutto questo potrebbe servire per «accorciare le distanze». Infatti, come ha detto il presidente, quando si parla di Difesa si parla sempre di qualcosa di cui non vorremmo mai occuparci. Ma se cominciamo a far capire che la Difesa ha a che fare anche con il nostro quotidiano e con una cifra di alto spessore morale e culturale, probabilmente il Parlamento e i singoli Governi di essa ne farebbero un testimone da passarsi l'un l'altro piuttosto che interromperne il percorso nel periodo in cui sono chiamati a governare: tutto ciò potrebbe essere davvero interessante.
Devo dire che le audizioni svolte in precedenza non mi hanno soddisfatto. Infatti, le ragioni addotte secondo le quali alcune scelte, dal punto di vista tecnicistico, non apparterebbero né al Governo, né al Parlamento, non mi hanno mai convinto. Invece, a mio parere, poiché la politica ha il primato rispetto ad alcune scelte, è bene che le scelte che molti Governi, molti Parlamenti e molte Commissioni si trovano a subire a distanza di quindici anni, siano accompagnate da una riflessione più adeguata, per capire se ancora vale la pena di investire molti miliardi in programmi che, una volta conclusi, risulterebbero obsoleti e non risponderebbero


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più alle richieste che la nuova competitività del mercato e le nuove esigenze strategiche ci pongono.
Le chiedo questo, signor Ministro, perché sono rimasto molto colpito dalle sue argomentazioni, svolte con profondità e competenza. So che lei non può soddisfare tale richiesta per la parte che riguarda le risorse, tuttavia tengo conto del fatto che lei ha preso degli impegni. Noi, come Italia dei valori, cercheremo di volta in volta di controllare e di dare un contributo in termini di idee, di proposte e di suggerimenti.

PIER FAUSTO RECCHIA. Signor Ministro, la ringrazio ed esprimo apprezzamento per la relazione ricca di spunti che ha voluto riferire in questa audizione. Rubo soltanto poco tempo, poiché mi riconosco nelle parole pronunciate dal collega Di Stanislao.
Tra l'altro, credo che molte delle affermazioni che abbiamo più volte ripetuto siano più o meno condivise da tutti. Questo è anche un risultato positivo di questa indagine.
Apprezzo le sue considerazioni sulla necessità, peraltro evidente, di affrontare il discorso di una legislazione sull'acquisizione dei sistemi d'arma e credo che, a questo punto, noi non lo possiamo non affrontare, ma anzi dobbiamo necessariamente affrontarlo in questa legislatura.
Quanto sto dicendo non è soltanto legato al potere di controllo affidato al Parlamento. È innegabile che ogni volta che in Commissione si discute sui sistemi d'arma noi viviamo qualche frustrazione. Si tratta di un tema che, come è stato detto, ci attraversa e di cui nulla sappiamo e nulla sapremo più. Quello che mi preoccupa di più è, invece, il potere di indirizzo. Infatti, non credo che questo tema interessi solo il Parlamento, e che, anzi, anche il Governo ne venga attraversato, e non si sia in condizione di affrontarlo.
Lo dico con una preoccupazione in più perché credo che, quando si vive in una situazione di crisi finanziaria come quella attuale, il potere di indirizzo sia ancora più necessario in quanto nei periodi difficili un Paese è costretto a fare delle scelte. Infatti, un conto è avere a disposizione abbastanza risorse da gestire e da destinare a un sistema di difesa che copre tutti i suoi aspetti; altra cosa è avere risorse ridimensionate e che costringono a individuare delle priorità. Da questo punto di vista, considero pertanto determinante il tema dell'indirizzo e della riscoperta del ruolo della politica. A questo proposito, il suo dicastero svolge una funzione decisiva: infatti, essendo il settore dell'hi-tech decisivo per quanto riguarda i sistemi d'arma, la politica industriale è in condizioni di determinare anche un risultato sul modello di difesa.
Ribadisco il mio apprezzamento per la sua relazione e le rivolgo l'invito - lo stesso che ho già rivolto al Ministro La Russa - a porsi non solo il tema dell'aggiornamento della normativa dal punto di vista del controllo del Parlamento, ma anche quello dell'aggiornamento della normativa per rafforzare il ruolo dell'indirizzo politico.

SALVATORE CICU. Le rivolgo, signor Ministro, l'apprezzamento anche da parte nostra per la relazione che ci ha illustrato. Essa, innanzitutto, pone in evidenza una distinzione che credo debba essere sottolineata. Infatti, parlare di politica industriale del Paese significa certamente parlare di politica industriale civile e militare; tuttavia sappiamo benissimo che tra esse c'è una distinzione netta soprattutto per quanto riguarda le condizioni per l'esportazione dei prodotti.
Credo che, per quanto concerne l'indagine conoscitiva che stiamo svolgendo in Commissione, sia importante capire in che modo bisogna regolamentare - con una norma cogente - il rapporto tra il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero della difesa, in modo che esso non rimanga un rapporto indiretto, o anche diretto, ma casuale.
Sappiamo benissimo che quando parliamo di prodotti per la difesa ci sono dei limiti all'esportazione. Anche per quanto riguarda la ricerca, ci sono investimenti che impongono di pensare all'Europa e a un linguaggio che, anche in Europa, ormai comincia


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a parlare in maniera duale (al riguardo abbiamo ascoltato poco fa la relazione dell'EDA).
Dobbiamo infatti pensare anche alla politica internazionale e mondiale. Chiedo, allora, anche con riferimento all'aspetto che attiene al ruolo delle Commissioni e del Parlamento, se non sia il caso di cominciare a pensare di intervenire - oltre a farlo quando la programmazione è stata definita come, ad esempio, quando i tagli vengono decisi non dal suo Ministero, ma da quello dell'economia -, anche in ordine a una politica industriale, e soprattutto a quella della Difesa.
È necessario creare le condizioni per capire e valutare meglio che cosa accade in Europa. Penso, da una parte, a delle direttive che tendano a liberalizzare la possibilità di un inserimento degli armamenti anche nel contesto europeo senza più quei vincoli di rigidità e di rigorosità che noi conosciamo e, dall'altra, a delle modalità che riguardano l'esplicitazione delle stesse gare. In altre parole, la cosiddetta «liberalizzazione» dove e come conviene? Se, infatti, pensiamo al mondo, la liberalizzazione non ci conviene assolutamente dal momento che gli americani, in un tale contesto di liberalizzazione, non lascerebbero spazio a nessuno. È chiaro, dunque, che noi, sia come Paese, sia come politica di difesa e sicurezza, ma anche come politica industriale, dobbiamo guardare all'Europa. All'interno dell'Europa, infatti, possiamo meglio far evolvere un percorso di confronto. Nell'ambito di una liberalizzazione globale, invece, saremmo perdenti.
Pertanto, signor Ministro, le chiedo se anche a suo avviso sia auspicabile un intervento normativo che, come hanno sottolineato anche altri colleghi, possa mettere le Commissioni in condizione di poter valutare, con il necessario approfondimento, i tagli alle spese di armamento predisposti dal Ministro dell'economia nel quadro di manovre finanziarie di ampio respiro.
Le chiedo inoltre, signor Ministro, quale contributo - ma a questo in parte lei ha già risposto - ritiene che l'industria della difesa posso offrire all'economia nazionale, soprattutto in una fase di crisi economica quale quella attuale.

GIUSEPPE MOLES. Anch'io vorrei ringraziare il Ministro Scajola per l'ampia relazione e per la continuità dell'azione di sostegno alla Difesa, non solo in questa legislatura. Devo dire che mi ha colpito molto una parte della relazione del Ministro; mi riferisco a quella riguardante il dialogo tra Ministero della difesa e Ministero dello sviluppo economico, che condivido totalmente.
A questo proposito, vorrei porre una domanda. Considerato che i benefìci delle scelte di finanziamento sono non di breve periodo (parliamo di almeno 10-15 anni), quindi c'è una lungimiranza nella scelta dei finanziamenti di determinati progetti in questi settori fondamentali, quali suggerimenti Lei può darci per il prosieguo della nostra attività, e in particolare per le successive audizioni, per tentare di affrontare al meglio la questione e far sì che, magari, il nostro lavoro possa tradursi in un adeguamento normativo e legislativo?
Se ricordo bene, il presidente Guarguaglini nella sua audizione aveva parlato di trentuno passaggi...

PRESIDENTE. Trentasette.

GIUSEPPE MOLES. Esatto, trentasette passaggi tra il Ministero della difesa, il Ministero dello sviluppo economico e, purtroppo, il Ministero dell'economia.

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Scajola per la replica.

CLAUDIO SCAJOLA, Ministro dello sviluppo economico. Ho accennato, nel mio intervento, a quanto poi è stato ripreso dal deputato Di Stanislao, ossia a iniziative a favore delle piccole e medie imprese in questo comparto.
Il collega si è soffermato sulla ricerca di una valorizzazione del distretto per rendere più forte la presenza delle piccole e medie imprese nel comparto. Posso aggiungere che nella recente «legge sviluppo», che


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abbiamo approvato in Parlamento prima della pausa estiva, abbiamo inserito un nuovo strumento, proprio per avvicinare le piccole e medie imprese e permettere loro di riuscire ad avere più forza sul piano della ricerca e minori costi.
La rete di impresa è uno sviluppo del distretto: esso, proprio per quello che diceva nel suo intervento, avendo una caratterizzazione geografica delimitata, rende più difficile il collegamento tra i know-how delle diverse filiere. Ecco perché nelle reti di impresa noi superiamo il concetto del distretto limitato ad una zona geografica e, partendo dall'esperienza positiva che i distretti hanno prodotto nel nostro Paese, ci allarghiamo alla filiera al di fuori di una delimitazione geografica.
Si tratta di uno strumento che potrà essere utilizzato in maniera specifica proprio nel settore di cui abbiamo parlato, con le poche - ahimè - risorse disponibili e quindi con l'utilizzo anche dello strumento della rete per avere un migliore impiego di tali risorse.
Nella stessa «legge sviluppo» abbiamo inserito l'avvio di un programma di innovazione industriale proprio nel settore dell'aerospazio.
L'innovazione incentivata che abbiamo portato a compimento, proseguendo un lavoro iniziato dal precedente Governo, ha dato esiti positivi pur in una situazione economica difficile. Mettendo insieme imprese, centri di ricerca ed università, nel bando sull'efficienza energetica, nel bando sulla mobilità sostenibile e nel bando sul made in Italy che è in fase di conclusione, abbiamo mobilitato le migliori intelligenze su progetti industriali realizzabili, non su brevetti. Questo ci fa ben sperare che quanto abbiamo previsto nella legge sviluppo, ossia di proseguire con un programma d'innovazione industriale sull'aerospazio, possa avere vantaggi anche alla luce dello strumento della rete.
Il deputato Recchia ha fatto riferimento a quanto ho accennato nel mio intervento su un maggior potere di indirizzo da parte del Governo stesso e del Parlamento nel settore. Mi pare di aver espresso in maniera chiara nella mia relazione la condivisione di questo principio.
Sono disponibile a collaborare con la Commissione perché le auspicate modifiche legislative necessarie possano raggiungere anche questo obiettivo, ma alla luce dell'esperienza positiva dello sviluppo delle tecnologie di avanguardia con l'impegno dello strumento utilizzato prima dal Ministero dell'industria e oggi dal Ministero dello sviluppo economico.
È vero, come ricordato sullo stesso tema dal collega Cicu, che lo sviluppo di prodotti di altissima tecnologia destinati alla difesa, settore nel quale per primo intervengono ricerca e innovazione, rappresenta anche uno strumento anticiclico e quindi gli investimenti in questo settore sono fondamentali perché riescono a mantenerci competitivi. Potrei citare un esempio che riguarda un settore similare: gli investimenti che lo Stato ha permesso alla FIAT di fare nel 2003, 2004 e 2005, sono gli stessi che oggi hanno permesso alla FIAT di acquistare la Chrysler, anziché farci assistere, al contrario, all'acquisto della FIAT da parte della casa automobilistica americana.
Direi che questo è l'esempio più chiaro di come gli investimenti in tecnologia siano uno strumento fondamentale non solo per mantenere la competitività, ma anche per far crescere un Paese.
È vero, altresì, quanto afferma il collega Cicu, riprendendo quanto già detto dal collega Recchia, parlando di un maggior coinvolgimento del Parlamento. Ho già detto che condivido questa posizione ed assicuro disponibilità alla collaborazione per individuare gli strumenti migliori.
Devo dire, però, che nella mole di carte che produciamo e che non tutti conoscono, c'è anche la relazione annuale sull'industria aeronautica, che il mio ministero con fatica redige ogni anno e invia al Parlamento. È una relazione complessiva, prevista dalla citata legge n. 808, che riguarda tutto il settore. Abbiamo presentato l'ultima nel gennaio 2009. Si tratta, per certi aspetti, di uno strumento soltanto «post», mentre


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dobbiamo trovare un modo affinché ci sia non solo un controllo, ma un coinvolgimento negli atti di indirizzo.
Musica per le mie orecchie è il grido dei membri della Commissione difesa di non tagliare le risorse destinate al settore. Per i motivi detti, non si tratta di spesa parassitaria, ma di spesa per la difesa e per lo sviluppo del Paese. In momenti di difficoltà economiche si taglia perché i soldi non bastano, ma credo che tutti noi dovremmo avere un'attenzione affinché il taglio alla spesa sia più selettivo, per valutare quali possono essere, invece, gli effetti positivi di investimenti in difesa e, quindi, nei settori di ricerca della difesa. Si tratta di cosa ben diversa da non equivocare con i tagli al bilancio complessivo della difesa, nell'ambito del quale credo si possano fare ancora passi in avanti in direzione del risparmio, anche in previsione dell'auspicato esercito europeo. Ciò potrebbe far diminuire le spese di costo di gestione, ma sicuramente non a scapito degli investimenti su prodotti di avanguardia che garantiscono la sicurezza e fanno crescere la competitività del nostro Paese.
Infine, sulla semplificazione della disciplina, ricordo che i ministeri coinvolti sono tre, non due: difesa, sviluppo economico ed economia. Credo che, di fronte alla procedura eccessivamente lunga che comporta un numero elevato di passaggi, potremmo cominciare ad agire, al di là di auspicati miglioramenti normativi, sulla riduzione dei tempi morti, che sono cospicui e di fatto fanno diventare poteri di veto le non risposte o le risposte ritardate.
Si deve trovare il modo di utilizzare, per rendere le istruttorie più rapide, uno strumento che è stato utilizzato in tante occasioni in maniera positiva, in particolare negli enti locali: mi riferisco alle sedute di incontro - nelle quali si decide sul modello delle conferenze dei servizi - in cui si potrebbero ottenere, con una disciplina innovativa, tempi più celeri e più rispondenti alle esigenze.

PRESIDENTE. Grazie, signor Ministro. Speriamo di poter collaborare, in futuro, nel senso che è stato richiamato.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,25.

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