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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione IV
8.
Mercoledì 11 gennaio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Cirielli Edmondo, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUL RECLUTAMENTO DEL PERSONALE MILITARE DEI RUOLI DELLA TRUPPA A DIECI ANNI DAL DECRETO LEGISLATIVO N. 215 DEL 2001

Audizione del Generale di divisione Bruno Stano, Capo del Dipartimento impiego del personale dello stato maggiore dell'Esercito:

Cirielli Edmondo, Presidente ... 3 13 16
Bosi Francesco (UdCpTP) ... 13
Mogherini Rebesani Federica (PD) ... 14
Stano Bruno, Capo del Dipartimento impiego del personale dello stato maggiore dell'Esercito ... 3 13 15
Rugghia Antonio (PD) ... 14

ALLEGATO: Documentazione consegnata dal generale di divisione Bruno Stano, Capo del Dipartimento impiego del personale dello stato maggiore dell'Esercito ... 17
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI.

[Avanti]
COMMISSIONE IV
DIFESA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 11 gennaio 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE EDMONDO CIRIELLI

La seduta comincia alle 13,35.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Generale di divisione Bruno Stano, Capo del Dipartimento impiego del personale dello stato maggiore dell'Esercito.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul reclutamento del personale militare dei ruoli della truppa a dieci anni dal decreto legislativo n. 215 del 2001, l'audizione del generale di divisione Bruno Stano, Capo del Dipartimento impiego del personale dello stato maggiore dell'Esercito.
Prima di iniziare l'audizione intendo ringraziare per la partecipazione anche il tenente colonnello Roberto Nardone, Capo sezione ufficio impiego truppa.
Nel ringraziare ancora il generale, gli do la parola affinché svolga la sua relazione, al termine della quale potranno far seguito eventuali domande e quesiti formulati dai colleghi deputati e la successiva replica da parte del nostro ospite.

BRUNO STANO, Capo del Dipartimento impiego del personale dello stato maggiore dell'Esercito. Signor presidente, onorevoli, sono stato incaricato di trattare gli aspetti relativi all'impiego dei volontari nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul reclutamento del personale militare dei ruoli della truppa a dieci anni dal decreto legislativo n. 215 dell'8 maggio 2001.
Esporrò la mia relazione secondo lo schema riportato nella slide numero 2 che reca l'agenda. In particolare, la mia attenzione sarà focalizzata sull'impiego dei citati volontari. Al termine della relazione sono disponibile per qualsiasi domanda.
Inizio con un breve cenno al quadro normativo di riferimento. La Forza armata in questi ultimi anni è stata chiamata all'impegnativa sfida di completare, in un tempo ragionevole, la trasformazione da un Esercito basato sulla leva a un Esercito formato esclusivamente da professionisti. Ne consegue, quindi, che il volontario è la figura professionale centrale sulla quale si basa l'architettura dell'Esercito, che da sempre considera l'uomo non certamente un numero o un simbolo, bensì l'espressione più importante, il vero fulcro attorno al quale ruotano tutti gli interessi, tutti gli sforzi fisici, morali e intellettuali della Forza armata.
L'impiego di tale personale, graduati e militari di truppa, è per sua stessa natura strettamente connesso con i modelli di reclutamento adottati e con le disposizioni vigenti in materia per quanto riguarda lo stato giuridico, con particolare riferimento alla durata della ferma prefissata e alla


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modalità di transito nel servizio permanente. Quindi, è naturale che all'evolversi dei sistemi di reclutamento si sia affiancata un'analoga evoluzione dei criteri di impiego.
Due sono i passaggi fondamentali di tale evoluzione. Il primo è costituito dalla legge n. 331 del 2000, che avvia il processo di professionalizzazione delle Forze armate fissando un modello misto a 112.000 unità, di cui 12.050 ufficiali, 24.091 sottufficiali e ben 75.859 militari di truppa. Il secondo passaggio è costituito, invece, dalla legge n. 226 del 2004 che sancisce, con la sospensione della leva, il transito a un sistema esclusivamente professionale. Quindi, dal 1o gennaio 2005 non abbiamo più i coscritti, ma siamo passati ai professionisti. Ad oggi, i volumi organici dei volontari sono quelli che ho citato. Dunque, per quanto riguarda i volontari della truppa, ne mancano ben 8.395. Per fortuna - direi - non abbiamo completato i numeri, perché come tutti sappiamo c'è un'ulteriore contrazione.
Passo ora a trattare l'alimentazione dei reparti con personale volontario. Per meglio comprendere come abbiamo agito - è qui presente il generale Speciale, che era un attore invidiabile di quell'epoca - suddividiamo il periodo in due fasi. Nella prima fase, che va dal 2001 al 2005, abbiamo ancora un residuato del personale coscritto, cioè della leva. Allora avevamo circa 20-30.000 unità; il personale volontario era costituito da volontari in ferma annuale, i cosiddetti VFA, che erano reclutati per assolvere la leva (però la leva era di dieci mesi, mentre ricordo che i volontari facevano dodici mesi). I volontari in ferma annuale sono stati impiegati in operazioni fuori area a bassa e media intensità, in Bosnia e Kosovo. Avevamo inoltre volontari in ferma triennale, reclutati con rapporto di lavoro a tempo determinato, suscettibili di ulteriori ferme triennali, per un totale di ulteriori sei anni, prima di passare in servizio permanente. Questi volontari sono stati impiegati in tutti i teatri operativi: Bosnia, Kosovo, Iraq e Afghanistan.
Infine, abbiamo il nocciolo duro, i cosiddetti pretoriani, che erano i volontari in servizio permanente, ovvero i militari di truppa legati alla Forza armata da un rapporto di servizio a tempo indeterminato. Essi costituivano, appunto, il nocciolo duro di tutto il personale professionistico. Chiaramente questo personale è impiegato dovunque e comunque.
Il secondo periodo, dal 2005 al 2011, coincide con la definitiva sospensione della leva. Invece dei VFA, abbiamo avuto due figure nuove: i volontari in ferma prefissata a un anno (alcuni di loro passavano a quattro anni; rimangono ancora circa 800-900 volontari in ferma breve, ma stanno per terminare) e quelli in servizio permanente.
La caratterizzazione di questo periodo era un concetto importante di interforzizzazione, soprattutto per le procedure di reclutamento, cioè il famoso «patentino», che consentiva al volontario l'accesso alle carriere iniziali delle forze di polizia a ordinamento militare e civile. Questo al fine di rendere appetibile la ferma annuale.
Faccio ora un breve cenno sulla costituzione di forze prontamente impiegabili e ai relativi criteri informatori. Nell'alimentazione dell'unità si è soprattutto cercato - ed è stato questo presumibilmente il compito più impegnativo, specialmente nelle fasi iniziali del passaggio a uno strumento professionale - di impostare l'impiego del personale volontario con visione lungimirante, proscrivendo tassativamente l'utilizzo dello stesso in incarichi di ufficio logistici o amministrativi di basso profilo. Ciò, infatti, avrebbe sicuramente comportato la formazione nei giovani di una deleteria mentalità burocratica, ovvero limitata a un'attività non al di sopra della mera manovalanza, e soprattutto avrebbe significato sottoimpiegare i giovani. Quest'ultimo aspetto, oltre a essere sicuramente antieconomico, sarebbe stato anche scarsamente gratificante sia sul piano motivazionale sia dal punto di vista professionale.
Era essenziale, e lo è tuttora, che nella costruzione dell'Esercito del 2000 non venissero


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commessi errori di impostazione. Pertanto, sono stati utilizzati i seguenti criteri: attribuire la massima priorità al completamento delle grandi unità elementari (parlo delle brigate e dei reggimenti operativi, combat, tanto per avere un'idea) e dei supporti tattico-logistici, che sono poi impegnati nelle missioni fuori area; assegnare al personale esclusivamente incarichi operativi o connessi con la logistica operativa ed evitare l'impiego in mansioni che non fossero connesse con l'incarico (cioè non fargli fare altre cose, se non ciò per cui è stato chiamato e quindi gli è stato attribuito l'incarico); infine, ruotare con frequenza il personale adibito a funzioni di minore contenuto operativo per esaltarne la polifunzionalità.
Tutto questo è stato fatto per raggiungere lo scopo di avere la disponibilità di forze pronte, comprendenti tutte le componenti operative e di sostegno logistico-operativo, interamente costituite da volontari, cioè da volontari in servizio permanente e in ferma breve (di durata varia, tre o quattro anni) prontamente impiegabili.
Per quanto riguarda le unità con particolare specializzazione - parlo dei paracadutisti, degli alpini, dei lagunari - il personale viene scelto tenendo conto sia delle aspirazioni degli stessi ragazzi, che devono operare in particolari ambienti naturali, sia delle peculiarità di ciascuna di queste specialità, previo superamento di specifiche prove di selezione. Peraltro, ulteriore criterio di scelta è quello della provenienza da regioni a tradizionale reclutamento di dette specialità.
Ulteriore tappa fondamentale nella costituzione di un esercito basato su professionisti è stata l'apertura del reclutamento di personale femminile, reso possibile grazie alla legge n. 380 del 1999. Tale legge ha fissato il fondamentale principio che le cittadine italiane possono partecipare su base volontaria ai concorsi per il reclutamento di ufficiali, sottufficiali e militari di truppa nei ruoli sia delle Forze armate sia del Corpo della guardia di finanza. I criteri su cui si basa tale reclutamento tendono, da un lato, ad assicurare la realizzazione del principio delle pari opportunità uomo-donna nel reclutamento del personale militare e nell'accesso a diversi gradi, qualifiche, specializzazioni e incarichi del personale delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza e, dall'altro, ad applicare al personale militare sia femminile sia maschile la normativa vigente per il personale dipendente delle pubbliche amministrazioni in materia di maternità, paternità e di pari opportunità uomo-donna, pur tenendo conto del particolare status proprio del personale militare.
Inizialmente l'ingresso del personale femminile è stato graduale, basato su cosiddette aliquote percentuali massime di ingresso previste per permettere all'Amministrazione di adeguarsi soprattutto dal punto di vista logistico. Una volta superata l'esigenza di adeguamento strutturale, è venuta meno la necessità di immissione graduale.
Quindi, non vi sono preclusioni o pregiudizi nei confronti delle donne, anzi il legislatore italiano ammette le donne ad ogni specialità e impiego, recependo così integralmente la normativa comunitaria in materia di eguaglianza lavorativa tra uomini e donne.
In merito alla formazione e all'addestramento non sussistono differenziazioni tra uomini e donne. Tutto il personale frequenta i medesimi corsi di istruzione presso gli istituti militari. In generale si può affermare che l'unico elemento di distinzione tuttora presente tra il personale dei due sessi è dato dalle differenze fisiologiche. La peculiarità della struttura corporea dei due sessi, soprattutto di tipo scheletrico e muscolare, ha reso necessaria l'adozione dei requisiti fisici differenti in sede di arruolamento.
Ad oggi, dopo più di dieci anni, i risultati raggiunti possono essere considerati ottimi, ma è necessario effettuare un ulteriore esame fra 10-20 anni per evidenziare, se ci dovesse essere, l'emergere di eventuali differenze, ad esempio, in tema di avanzamento, di carriera, di disciplina e quant'altro.


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Per quanto concerne, invece, l'arruolamento, dopo un breve e naturale primo entusiasmo, si assiste a un assestamento delle adesioni intorno al 15 per cento, con punte del 40 per cento nei concorsi soprattutto a connotazione tecnico-specialistica, in perfetta sintonia con le percentuali di reclutamento degli altri Paesi europei.
Invece, per quanto riguarda la presenza numerica di donne nella Forza armata, complessivamente siamo intorno al 7 per cento. Ad oggi - il dato è riferito all'inizio di dicembre - sono 7.264 unità, con una maggiore presenza chiaramente tra i volontari in ferma annuale, quadriennale o triennale. La percentuale è leggermente inferiore rispetto alle altre nazioni, comprese quelle con una lunga tradizione nel settore, come Francia, Spagna e Regno Unito.
Le assenze dal servizio per motivi connessi alla gravidanza non pregiudicano la posizione di stato giuridico del personale in servizio permanente delle Forze armate. Relativamente alla tutela della maternità e della paternità la normativa del settore raccoglie previsioni a garanzia dell'intero nucleo familiare, sin dal momento della gestazione e dei primi anni del figlio.
Per avere un'idea sull'impiego del personale femminile vi mostrerò alcune slide. Per essere chiari, la slide numero 18 ci dice che gli incarichi sono tali e quali a quelli degli uomini. Per ben il 73 per cento si tratta di incarichi esclusivamente operativi, per il 9 per cento di incarichi logistici e amministrativi di supporto, e per il 18 per cento di incarichi tecnico-professionali. Quindi, il quadro ripropone più o meno quello che avviene per i maschi, non c'è alcuna differenza.
Infine, voglio riportarvi i dati relativi alla presenza di donne nella Brigata paracadutisti Folgore, quella dove c'è un'attività maggiormente usurante e impegnativa. In essa oggi il personale femminile conta 32 VSP (volontari in servizio permanente), 67 VFP4 e VFB (quelli a ferma a tre o quattro anni), e inizialmente a ferma annuale sono 51. In totale, ben 150 unità, pari al 4 per cento: è un bel dato.
La selezione per l'ingresso nella Forza armata con fissazione di parametri fisici distinti fra maschi e femmine potrebbe riflettersi alla lunga in maniera non positiva sull'efficienza dell'organizzazione, quindi bisogna dire, a questo proposito, che gli incarichi vanno attribuiti al personale sia maschile sia femminile, prescindendo dalla considerazione di ipotesi (che chiaramente bisogna studiare e verificare) dell'attribuzione di incarichi suddivisi tra ruoli combat, ruoli combat support e ruoli combat service support che tenga conto delle caratteristiche fisiche.
Una modalità potrebbe essere quella di fissare degli standard differenti fra queste tre macroaree, destinando il personale a una delle tre aree sulla base delle caratteristiche fisiche, che tutto sommato è quello che avviene. Queste ragazze, una volta arrivate nei paracadutisti, devono superare le prove di lancio; se conseguono il brevetto le teniamo, altrimenti vanno a fare un altro mestiere. Quindi, tutto questo avviene automaticamente.
Un altro aspetto da considerare è quello della risoluzione ONU 1325 del 2000 che, riconoscendo per la prima volta la specificità del ruolo e dell'esperienza delle donne nelle situazioni di guerra e nei processi di pace, raccomanda l'impiego del personale femminile soprattutto in incarichi afferenti ai processi di ricostruzione e fasi del post-conflitto, non in zona combat. Questo già avviene per quanto ci riguarda.
Un altro importante parametro è quello dell'incarico che si assegna ai volontari. Per assegnare l'incarico teniamo conto di una serie di parametri. Il primo è il profilo psico-fisico attitudinale, l'eventuale possesso della patente civile e l'eventuale sussistenza di controindicazioni alla guida, il superamento di prove psico-fisiche, i precedenti, l'incarico svolto durante l'eventuale esperienza militare, soprattutto per quanto riguarda i VFP4, la graduatoria finale del corso e l'aspirazione del volontario, che chiaramente non è vincolante.
Per avere un'idea di quanti incarichi si possono assegnare, vi dico che sono 83,


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suddivisi in: incarichi combat, cioè quelli operativi (fucilieri, guastatori, esploratori di blindo leggeri per i cavalieri, carristi di equipaggio, conducenti cinofili); incarichi combat support, quelli ad alto contenuto tecnico-professionale, come il meccanico di mezzi corazzati, l'operatore elettronico per radar di sorveglianza, l'operatore per mezzi speciali del genio; infine, incarichi combat service support, a connotazione esclusivamente logistico-amministrativa, cioè quelli che cucinano, addetti alla pianificazione, addetti al vettovagliamento, aiutanti di sanità e quant'altro.
Consideriamo ora, uno per uno, gli impieghi di tale personale. Iniziamo col volontario in ferma annuale, quello che entra nell'ambito delle Forze armate. L'iniziale finalità di impiego dei VFP1 nei primi anni della loro entrata in servizio è stata sostanzialmente quella di sostituire il personale di leva e i volontari in ferma annuale, ovvero quella di colmare sul piano numerico le carenze di personale volontario delle altre categorie, mediante l'assegnazione su tutto il territorio nazionale e agli enti di tutte le aree, operative e non, l'attribuzione dell'incarico attuata a livello periferico sulla base delle esigenze locali e la destinazione specialmente negli incarichi negli enti di sostegno, non operativi, anche nelle mansioni di minor profilo. Questo chiaramente qualche volta ha comportato una più o meno diffusa delusione delle aspettative e un calo della motivazione.
Più recentemente, con l'acquisizione di un'apprezzabile anzianità sia anagrafica sia di servizio da parte di una consistente fascia di volontari in servizio permanente - con il passare degli anni, i primi che sono entrati sono invecchiati - si è potuto pensare di destinare una parte di questa tipologia di personale al soddisfacimento delle esigenze funzionali degli enti non operativi: dall'ente operativo si passa a un ente non operativo.
Si è pertanto avviato un processo graduale, tuttora in corso, che prevede il progressivo aumento di volontari in servizio permanente presso l'area del sostegno, cioè non operativi (non sto parlando di coloro che vanno in Afghanistan, per essere chiari), e il contestuale incremento della percentuale dei VFP1 destinati all'area operativa, in modo tale che il giovane appena arrivato si rende conto di cosa lo aspetta e capisce se si sente o meno di andare avanti, se si considera idoneo o meno, se gli piace o meno la vita militare.
In tale contesto, possiamo dire che l'impiego attuale del volontario in ferma annuale prevede per il 70 per cento l'assegnazione a reggimenti operativi in forma di pacchetto di personale a livello di plotone e compagnia (il plotone è composto da una trentina di uomini e la compagnia da un centinaio) e il loro avvio a un iter di addestramento e di impiego eminentemente operativo. Questo li qualifica quali combattenti individuali e li rende idonei ad operare in Italia ed eventualmente anche all'estero nell'ambito della vigilanza e controllo dei punti sensibili e del pattugliamento dei centri urbani. Il rimanente 30 per cento viene, invece, assegnato agli enti del sostegno generale per soddisfare le obiettive e incomprimibili esigenze di conduttori, addetti ai servizi generali. Tale impiego viene comunque valorizzato mediante un conseguimento del maggior numero possibile di patenti e la frequenza di corsi di specializzazione. Tutto ciò serve per essere spendibile nel mondo civile.
Questo tipo di impiego andrà peraltro via via riducendosi, in quanto si incrementano i VSP anziani che andranno poi a sostituire negli anni i VFP1, che vengono invece destinati a incarichi operativi. Ciò consentirà di soddisfare le esigenze dell'area del sostegno generale. Questo riguarda il VFP1, cioè il volontario che entra in Forza armata per un solo anno.
Ci sono, poi, i soggetti che, una volta fatto il primo anno, vincono un regolare concorso e passano a essere volontari in ferma quadriennale, cioè rimangono ulteriori quattro anni. Questo ruolo ricalca chiaramente quello che un tempo, quando il generale Speciale era ancora in Forza armata, era chiamato il ruolo dei volontari in ferma triennale; l'impiego di questi


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ragazzi è orientato ad attribuire la massima priorità a reparti delle grandi unità, sempre nelle brigate e nei reggimenti, e ai reparti di supporto tattico-logistici che vengono impiegati nelle missioni all'estero.
Si assegnano al personale esclusivamente incarichi operativi e si proscrive tassativamente l'impiego in incarichi di ufficio o in amministrazione. In tale quadro, i VFP4 che hanno già prestato servizio come VFP1 presso i reparti operativi, vengono di norma confermati presso gli stessi enti, mentre i VFP4 che da VFP1 sono stati assegnati a enti di sostegno vengono trasferiti al reparto operativo. Insomma, si cambia completamente musica.
Dopo che il giovane ha avuto un anno per rendersi conto se gli piace o non gli piace, se è idoneo o non idoneo, nel momento in cui passa ai quattro anni non possiamo - scusate il termine - «sprecarlo», in quanto costa, in incarichi logistici e amministrativi, e allora lo destiniamo a reparti e incarichi esclusivamente operativi.
A fattor comune, a tutti i VFP4 viene attribuito uno degli incarichi della fascia operativa previsti per l'arma e la specialità cui appartiene il reparto di destinazione, tenendo conto chiaramente di quello che ha fatto già nel primo anno e tutti vengono avviati alla frequenza di uno specifico corso di specializzazione, che viene svolto, a seconda della complessità, o presso lo stesso reparto oppure presso una delle nostre scuole.
Viene così data concreta attuazione a un modello progressivo di formazione e impiego, che poi esamineremo più nel dettaglio, nell'ambito del quale il VFP4 può, nei quattro o più anni di permanenza - si inizia con quattro anni, ma prima del passaggio in servizio permanente si possono avere due ulteriori rafferme di due anni ciascuna, quindi possono passare otto anni prima di essere stabilizzati in maniera definitiva e passare in servizio permanente - accumulare in senso orizzontale diverse qualifiche e professionalità, in base alle attitudini dimostrate e in base anche alle esigenze funzionali del reparto.
Passiamo al nocciolo duro, ai cosiddetti pretoriani, ossia ai VSP. L'impiego dei VSP è invece diversificato a seconda della posizione di sviluppo in cui si trovano. Specifico che quando parliamo di VSP giovani ci riferiamo a giovani volontari - diciamo i migliori - che sono entrati per un anno e poi hanno vinto un concorso e sono rimasti altri quattro anni; pertanto, hanno già sulle spalle cinque anni di servizio volontario. Come dicevo, l'impiego iniziale in questa prima assegnazione è attuato conferendo la massima priorità all'alimentazione dei reparti operativi dislocati nel nord Italia. In pratica, quasi tutti vanno a finire nei reparti operativi del nord Italia.
Al personale viene confermato l'incarico svolto da VFP4, perché ha già fatto i quattro anni, oppure viene attribuito un nuovo incarico di una fascia superiore, ma che costituisca un naturale sviluppo di quello precedente, sulla base del principio, precedentemente illustrato, della capitalizzazione delle competenze.
Il duplice obiettivo è quello di conseguire nel tempo la piena polifunzionalità operativa dei volontari, nonché di valorizzare le potenzialità e le professionalità del singolo stimolandone gli aspetti motivazionali in tutte le fasi della carriera. In una fase successiva, mediamente corrispondente alla maturazione di almeno dieci o più anni di servizio (quindi dopo ulteriori cinque anni rispetto alla stabilizzazione), il volontario in servizio permanente può essere destinato a una nuova tipologia di incarichi, naturalmente meno operativi e meno usuranti di quelli iniziali, ed essere impiegato in enti e reparti a minor connotazione operativa del sostegno generale.
In questa seconda fase il volontario ha anche la possibilità di accedere a una forma di mobilità volontaria - cioè a domanda del singolo, anziché d'autorità da parte dell'Amministrazione - che può essere diretta verso tutte le sedi sul territorio nazionale e che generalmente è basata


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su aspirazioni e motivazioni di carattere personale o familiare. Mi soffermerò, tra poco, su alcuni dati che ci fanno capire come tutti cerchino di scendere a casa propria, cioè da Roma in giù.
Questa limitazione nel tempo delle possibilità di essere impiegato in diverse aree geografiche (esclusivamente nel nord all'inizio e al sud solo al raggiungimento di una certa anzianità di servizio) trova spiegazione e giustificazione nella considerazione della predominante origine meridionale del personale - ben il 77 per cento circa, con picchi estremi nelle regioni Campania, Sicilia e Puglia - mentre la dislocazione delle unità delle Forze armate è prevalentemente concentrata nel nord Italia (oltre il 75 per cento).
Come vedete dai dati della slide numero 29, al nord abbiamo il 49 per cento delle disponibilità; gli effettivi sono il 43 per cento, quindi manca il 7 per cento circa. Se dovessi impiegare solo ragazzi che provengono dal nord arriverei al 7 per cento. Al sud, invece, rispetto al 15 per cento di disponibilità vi è un surplus poiché si arriva fino al 53 per cento di giovani provenienti da tali regioni. È chiaro che a questo punto li trasciniamo tutti verso il nord, non c'è altra soluzione al momento.
Un altro dato interessante è riportato nella slide numero 30. Dall'istogramma che mette a confronto la disponibilità organica e la nascita si vede che per le regioni Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna ci saranno un certo numero di ragazzi che non torneranno più a casa, quindi vivranno al nord.
La soluzione adottata per l'alimentazione delle sedi meridionali prevede, pertanto, l'assegnazione dei VFP1 e VFP4 negli stessi termini previsti per tutto il territorio nazionale, la ricollocazione verso il nord dei giovani VSP, cioè all'atto del transito dalla ferma quadriennale alla ferma in servizio permanente; infine il graduale, necessario e limitato trasferimento di VSP anziani verso il sud a domanda.
Un altro concetto importante che è necessario approfondire riguarda la formazione addestrativa. Il citato profilo di impiego dei volontari è strettamente connesso e si inquadra in un più generale modello di formazione che interessa tutte le diversificate risorse di volontari attualmente disponibili (VFP1, VFB, VFP4 e VSP). Esso tende a realizzare un sistema coerente che consenta di capitalizzare progressivamente l'addestramento del personale in ragione della professionalizzazione conseguita in ambito della Forza armata, creare un percorso formativo che prenda le mosse da poche e semplici funzioni da assegnare al giovane appena entrato, cioè al VFP1, e pervenire alla massima polifunzionalità possibile nei VSP anziani, quindi garantire la piena flessibilità dei meccanismi di formazione e di assegnazione degli incarichi attraverso il conferimento ai minori livelli ordinativi, ossia comandante di corpo e comandante di reggimento, di un'adeguata autonomia per l'ottimizzazione delle risorse disponibili.
A differenza del passato modello basato sulla leva, quello attuale completa la professionalizzazione e permette l'ottimizzazione delle risorse umane disponibili in ragione dei limiti temporali (annuale, quadriennale, permanente, uno, tre, quattro, sei, otto o vita natural durante) di riferimento.
L'iter formativo, infatti, deve garantire la possibilità di uno sviluppo professionale crescente, alla luce delle relative capacità professionali e psicofisiche di ogni singolo individuo. La Forza armata ha adottato da diversi anni un addestramento basato su moduli, ciascuno dei quali prevede lo svolgimento di attività addestrative particolari per conferire ai comandi e alle unità la preparazione necessaria a condurre con successo i compiti che sono stati loro assegnati.
In particolare, i moduli sono quattro, con determinate caratteristiche. Il primo è il modulo addestrativo di base, dura quattro mesi e riguarda i giovani appena entrati. Tale modulo conferisce la capacità operativa combat di base e abilita a svolgere servizi di sorveglianza, vigilanza e


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scorte, e a operare nell'ambito di interventi a favore della collettività in caso di pubblica calamità.
Il secondo è il modulo standard addestrativo, della durata di sei mesi. Conferisce la capacità operativa standard necessaria allo svolgimento di operazioni su tutto il territorio nazionale, oppure anche fuori area, però in teatri a bassissima intensità. Mi riferisco, quindi, alle attività di concorso con le forze di polizia (l'ultimo è l'operazione «Strade sicure»), operazioni di pubblica utilità o missioni umanitarie, come è successo per il terremoto a L'Aquila, per l'operazione «Strade pulite» o ad Haiti.
Il terzo è il modulo addestrativo avanzato, che dura tre o quattro mesi e serve a conferire la capacità operativa avanzata necessaria per operare in missioni fuori dal territorio nazionale nelle quali, però, il livello di minaccia è da considerare medio-basso (ad esempio Kosovo e Libano).
Infine, il modulo addestrativo integrato, di tre o quattro mesi, conferisce all'unità la capacità operativa integrata necessaria ad operare in tutti i teatri operativi, soprattutto dove la minaccia è alta, come in Afghanistan.
In definitiva, si tratta di una preparazione che tende ad ottimizzare le risorse disponibili, in termini sia finanziari che temporali, ed è finalizzata a conferire la capacità necessaria per operare con professionalità, competenza, efficacia ed efficienza nel teatro operativo di previsto impiego.
Adesso esaminiamo il modello di impiego del personale volontario. L'impiego così delineato nei suoi tratti essenziali potrà contribuire efficacemente al conseguimento dell'obiettivo fondamentale, che è quello di incrementare il livello di gratificazione e motivazione del personale, e conseguentemente di garantire, in alternativa, la disponibilità di volontari adeguatamente addestrati, quindi in possesso della preparazione necessaria per essere immessi proficuamente in unità di impiego a minori livelli, il transito nelle forze di polizia di volontari in grado di determinare una positiva ricaduta d'immagine nell'ambito delle stesse e la ricollocazione nella vita civile di cittadini comunque soddisfatti dall'esperienza maturata e che, con lo strumento del passaparola, possono costituire un notevole elemento di promozione della Forza armata.
Allo scopo di definire un modello di impiego che garantisca al volontario un'adeguata progressione di carriera e una giusta realizzazione di aspettative professionali, si sono create tre fasce di impiego: operativa, tecnico-operativa e di sostegno generale. Tali fasce identificano e caratterizzano gli incarichi in relazione alla specialità d'appartenenza e alla tipologia d'impiego.
In siffatto contesto, ai volontari possono essere assegnate professionalità diversificate in ragione delle attitudini, capacità ed esperienza maturate nel tempo. Le capacità professionali acquisite nei diversi incarichi ricoperti nel corso della carriera saranno mantenute e riconosciute, permettendo l'eventuale ritorno a un precedente incarico per il quale sono state già conseguite le capacità richieste. In tal modo, viene contemporaneamente realizzata anche la massima capitalizzazione dell'addestramento, evitando la ripetizione di fasi formative inutili e ridondanti. Per maggior chiarezza, al personale saranno assegnati incarichi e mansioni sempre più coinvolgenti e complesse, dalle più semplici alle più difficoltose, dalle più gravose alle più pregnanti, in ragione dell'età e dell'esperienza che di volta in volta acquisisce il giovane.
Il passaggio da una fascia all'altra sarà scandito dallo status del volontario, dalla progressione di carriera e dalla capacità professionale conseguita: la fascia operativa per i volontari in ferma quadriennale, la fascia tecnica operativa per i VSP giovani e la fascia del sostegno generale quando sono diventati VSP anziani che abbiano maturato almeno dieci anni di anzianità nel ruolo, ovvero siano stati trasferiti in reparti o in enti dell'area del sostegno.
Quindi, si è ritenuto opportuno devolvere ai comandanti di corpo la possibilità di assegnare gli incarichi, nel rispetto del


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volume degli organici e delle effettive esigenze funzionali, previa sanzione da parte dello stato maggiore dell'Esercito. Ciò scaturisce dalla necessità di concedere ai comandanti la massima flessibilità di impiego per motivare il personale che, con l'aumento degli anni di servizio, tramite la possibilità di una massiva acquisizione di nuove capacità sarà sempre più nel futuro responsabilizzato.
Quindi gli incarichi devono essere assegnati in modo da costituire un continuum coerente e logico con le capacità precedentemente acquisite sulla base del principio della coesistenza delle posizioni organiche e nel quadro della possibilità di progressione orizzontale e verticale.
In particolare, la progressione orizzontale si acquisisce incrementando le proprie capacità nell'ambito dello stesso ruolo e incarico sfruttando successive occasioni formative, oppure ricoprendo nuovi incarichi previsti nella fascia di impiego per ciascuna arma e specialità, in relazione all'esperienza, alle capacità acquisite, alle attitudini dimostrate, alle esigenze funzionali del reparto, previa valutazione di opportunità da parte del comandante. Per fare un esempio, nella fascia operativa VFP4 un soggetto fa il missilista, poi, se ci sono necessità, deve fare anche il mortaista, il fuciliere, il pilota, dopo aver acquisito le patenti e così via. Le specializzazioni acquisite non si perdono e così è possibile che dopo qualche anno possano essere nuovamente richieste perché magari c'è una carenza specifica.
La possibilità di progressione verticale, invece, si acquisisce ricoprendo nuovi incarichi di diverse fasce di impiego essenzialmente in ragione dell'età e dello status volontario. Quando, dopo cinque o sei anni, il soggetto passa a fare il volontario in servizio permanente, acquisisce il ruolo di comandante di squadra fucilieri, cioè diventa anziano e punto di riferimento. Infine, quando al termine della carriera, può avere incarichi non di tipo usurante.
In sintesi, la politica di impiego dei volontari si fonda sui seguenti criteri di massima: impiego dei VFP1 nell'area operativa (70 per cento, in generale) e nell'area del sostegno generale (30 per cento) su tutto il territorio nazionale; quando diventano VFP4, sono impiegati prioritariamente nell'area operativa, sempre su tutto il territorio nazionale; quando, infine, si passa in servizio permanente, se si è giovani la prima assegnazione va esclusivamente nel nord Italia, nell'area operativa, e successivamente, dopo almeno dieci anni di servizio, si può ritornare nella zona di appartenenza, nell'area operativa oppure di sostegno generale.
Questa è, in sintesi, la policy di impiego di tutto il personale volontario.
Accenno ora a un tema che ci riguarda un po' di più, ossia la movimentazione del personale, quindi i trasferimenti. Occorre innanzitutto precisare che la maggior parte dei movimenti dei volontari avviene per esigenze della Forza armata - quelli che chiamiamo «trasferimenti d'autorità» - e che ai volontari in ferma prefissata, cioè quelli a tempo determinato (di un anno come VFP1, quattro anni o tre anni), è preclusa la possibilità di presentare istanza di trasferimento. Al personale in servizio permanente, invece, è consentito - come per tutte le categorie, anche per ufficiali e sottoufficiali - presentare istanza di trasferimento e qualora le esigenze istituzionali coincidano con l'interesse del singolo si potrà concretizzare il trasferimento a domanda, cioè la mobilità volontaria.
Inoltre, con cadenza annuale, lo stato maggiore dell'Esercito individua e rende nota la possibilità di ricoprire alcune posizioni su tutto il territorio nazionale, per le quali il personale interessato chiaramente può proporre la candidatura. Il personale in questione deve avere almeno una decina di anni di esperienza. I candidati, quindi, vengono collocati in una graduatoria definita in modo obiettivo e con l'attribuzione di specifici punteggi ai vari titoli posseduti dai singoli. In tal modo, si redige una graduatoria fino alla copertura dei posti disponibili.
Inoltre, ogni graduato potrà avvalersi della possibilità di avanzare apposita istanza di parte quando ha diritto ad


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usufruire delle tutele previste dalla legge n. 104 del 1992, ossia per gravi e urgenti motivi legati ad esempio all'assistenza a un familiare diversamente abile, oppure in situazioni di particolare gravità. La Forza armata tiene conto delle esigenze dei giovani e ha predisposto un elenco di ben dieci situazioni in cui concediamo il trasferimento. Chiaramente si tratta di questioni molto delicate e particolari. La prima, ad esempio, riguarda un volontario con coniuge o prole con patologia a prognosi infausta. In quel caso il trasferimento avviene subito. Un'altra situazione è quella di coloro che, sulla base del decreto legislativo n. 267 del 2000, hanno diritto al trasferimento per espletare il mandato elettorale o gli obblighi derivanti da una carriera amministrativa. Capita, poi, che i volontari si accordino tra loro attraverso quello che chiamiamo avvicendamento reciproco. È un po' difficile, ma può accadere che qualcuno dal sud voglia spostarsi al nord e viceversa. Altra situazione prevista è quella di matrimonio tra personale della Forza armata in servizio in differenti sedi, per la riunione del nucleo familiare. Questo è un fenomeno in crescita continua, che ha indotto a emanare una specifica disciplina per le istanze di ricongiungimento familiare, in un quadro di generale aumento del personale coniugato che complessivamente interessa circa il 20 per cento di tutti gli effettivi.
Queste istanze vengono esaminate con favorevole predisposizione, mantenendo saldi alcuni vincoli funzionali, quali l'esistenza di posizioni organiche compatibili con il profilo dell'interessato e la necessità di evitare rapporti diretti di servizio tra i coniugi.
L'altra tipologia di trasferimento, già citata, è quella d'autorità, che viene attuata per esigenze istituzionali dell'Amministrazione.
Affronto da ultimo due problematiche di rilievo. A oltre dieci anni di distanza, il decreto legislativo n. 215/2001 è pienamente rispondente alle necessità della Forza armata nell'ambito dell'impiego del personale volontario - questo va detto a scanso di equivoci - tuttavia esistono due problematiche che si sono evidenziate. In primo luogo, l'accentuata regionalizzazione del reclutamento a netta prevalenza meridionale condiziona inevitabilmente il successivo impiego dei volontari, soprattutto con l'aumentare dell'età anagrafica degli stessi e con il fisiologico insorgere di problematiche personali o familiari che determinano una forte spinta motivazionale al ritorno e alla permanenza nelle zone di origine. Ancorché non sussista alcun vincolo né obbligo specifico a carico dell'Amministrazione verso il soddisfacimento di tali aspirazioni, tali situazioni particolari assumono rilevanza concreta, oltre che sul piano etico e del buongoverno del personale, in quanto creano non semplici problemi di gestione, poiché gran parte del personale tende a voler rientrare nella terra di origine.
In secondo luogo, il progressivo e ineludibile innalzamento dell'età media creerà sempre più consistenti problemi di gestione e di impiego, specialmente negli incarichi a spiccata connotazione operativa e più usuranti sul piano psicofisico. Tale processo di invecchiamento è destinato ad accentuarsi nei prossimi anni con il riempimento dei volumi organici previsti per legge e con la conseguente riduzione dell'immissione di personale giovane, situazione che si creerà ben prima che i volontari più anziani raggiungano i limiti età e consentano, quindi, un ricambio generazionale.
Non è al momento ipotizzabile una reale soluzione e questo problema è intimamente connesso con il sistema di reclutamento ormai consolidato, però si può cercare di rinviare il più possibile nel tempo la saturazione dei ruoli, riducendo i tassi di immissione in servizio permanente del personale in ferma prefissata. Al riguardo, la slide numero 50 è assai chiara. Ad oggi abbiamo solo nove ragazzi che hanno superato i 42 anni. La fascia più consistente (come vedete, quasi il 60 per cento) è quella tra i 29 e i 33 anni. Quindi, i volontari sono ancora oggi relativamente giovani, però è chiaro che più


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andiamo avanti e più invecchiano anche loro, quindi dobbiamo cercare di trovare altre soluzioni.
Grazie dell'attenzione e resto a disposizione per qualunque domanda.

PRESIDENTE. La ringrazio, signor generale, anche per la documentazione consegnata di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
Prima di dare la parola ai colleghi che intendono intervenire vorrei fare alcune osservazioni.
La prima è la seguente: mi sembra che la criticità del sistema - non dipende dalle Forze armate, ma è un problema che dobbiamo affrontare noi - consiste in un'estesa situazione di precariato del personale che per tanti anni si trova in una situazione di insicurezza. Credo che soprattutto il Parlamento deve porsi tale problema, tuttavia è evidente che in prospettiva sono utili suggerimenti di studio adeguati, e so che voi fate molto al riguardo.
In questa chiave, vorrei porre una domanda più puntuale. Si ricorre a una formazione di possibile dual use, se mi consente il termine, cioè a una formazione professionale utile all'Esercito, ma anche a un inserimento lavorativo nel mondo civile? Chiedo, ad esempio, se si fanno corsi importanti di lingua straniera - visto che i nostri militari sono impegnati all'estero - anche per la truppa, non solo per ufficiali e sottufficiali, che possano rappresentare magari un'ulteriore possibilità.
L'altro aspetto critico - è un problema che la Commissione si è posto - riguarda la sospensione della leva e le esigenze di mobilitazione generale. Vorrei sapere se la Forza armata si è chiesta, a livello di studio, come compensare la mancanza di una formazione di leva che, ricordo, è stata sospesa nel 2001.
Non avendo molto tempo a disposizione, prego i colleghi che intendono intervenire di porre domande rapide.

FRANCESCO BOSI. La mia domanda si riallaccia, per alcuni versi, a quella posta dal presidente. Vorrei avere informazioni più precise su un dato che non ho chiaramente interpretato, quello della percentuale dei volontari in ferma prefissata che passano o sono passati negli ultimi anni in servizio permanente effettivo. Quello di avere militari che, pur avendo acquisito un'elevata formazione e maturato un'esperienza di spicco nelle missioni più pericolose, anche di corpi molto specializzati, tornano alla vita civile non è un problema da sottovalutare.
Quando il meccanismo fu introdotto si pensava che circa l'80 per cento sarebbe passato in servizio permanente effettivo. Ora a che punto siamo?

BRUNO STANO, Capo Dipartimento impiego del personale dello stato maggiore dell'Esercito.
Il grosso problema è l'idoneità dei volontari. Supponiamo che il giovane faccia un anno; ha, quindi, la possibilità di riaffermarsi per un ulteriore anno e, nel frattempo, inizia a fare i concorsi. Noi finora abbiamo chiamato circa 12.000 ragazzi all'anno, ma questi sono dati riferiti al momento e non saranno più quelli reali appena saremo usciti di qui.
Coloro che sono passati in ferma quadriennale, negli ultimi anni, sono transitati tutti in servizio permanente. L'unico problema riguarda le percentuali: circa il 50-60 per cento passano subito, dopo i quattro anni; man mano, dopo i successivi quattro anni (sono previste, dopo i primi quattro anni, due rafferme biennali) transitano in servizio permanente anche tutti gli altri idonei, a meno che non hanno avuto qualche problema. Questo è quello che avviene adesso, in futuro sinceramente non so cosa accadrà. Abbiamo già 32.500 volontari in servizio permanente.
Noi avevamo la necessità di avere un contingente italiano mediamente di 10-12.000 unità, quindi siamo andati velocemente per costituire questo che noi chiamiamo il nocciolo duro e abbiamo preso tutti. Può darsi che se avessimo avuto più tempo avremmo cadenzato le immissioni. Oggi abbiamo preso tutti questi soggetti, però non aspettiamo che per qualcuno


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vengano raggiunti i quarant'anni di contributi per inserirne un altro al suo posto. Abbiamo dovuto prenderli perché passavamo da un esercito di leva che non c'era più a un esercito di professionisti, e le esigenze dell'Italia erano di avere 10-12.000 unità pronte e impiegabili. Tutti gli idonei sono comunque transitati.
Le unità si perdono nella fase iniziale nel passaggio dai 12.000 ai 4-5.000. È chiaro che, dei 12.000 annuali, non tutti possono passare. Finora è stato possibile farne transitare circa il 60 per cento. Per gli altri sono previsti corsi. Non dimentichiamo che fino a qualche anno fa con l'euro formazione avevamo risorse stanziate dall'Europa per tenere corsi di informatica, corsi di inglese e via dicendo. Ancora oggi si cerca di svolgere questi corsi. Senz'altro quelli di informatica, mentre per i corsi di inglese dipende dai vari reparti. Alcune regioni finanziano questi corsi, altre non lo fanno.
Vi sono, poi, le varie patenti e tutto ciò che viene acquisito nell'ambito militare, che permetterà al soggetto di collocarsi nel mondo del lavoro. Normalmente questo discorso riguarda i giovani che non passano in ferma quadriennale. Il numero dei volontari in ferma quadriennale che vanno via è veramente minimo e riguarda quelli non più idonei. Diversamente tutti i VFP4, nell'arco di tempo dai quattro agli otto anni, transitano in servizio permanente.
Questo è il quadro attuale, con un organico di 76.000 unità, finora consentito dalla legge. Se, però, passiamo a 50.000 unità circa, dobbiamo considerare che in servizio permanente ci sono già 32.500 ragazzi, e non possiamo certo eliminarli.
Cosa si sta facendo? Alcuni studi propongo di aumentare il periodo da otto a dieci o dodici anni, dando però prima o poi la possibilità di transitare in servizio permanente.

FEDERICA MOGHERINI REBESANI. Credo che alla domanda principale il generale abbia in qualche modo già risposto. Stando a quanto finora detto, generale, io ravviso due problemi: l'invecchiamento, da lei richiamato, e la situazione di elevato precariato, richiamata dal presidente Cirielli. Mi sembra che i due aspetti siano collegati. Se mettiamo insieme i due problemi, il meccanismo oggi in vigore appare insostenibile, dato il momento congiunturale. Mi chiedo se state studiando delle vie d'uscita da questo blocco.
Vorrei porre, poi, due domande più puntuali. Una riguarda il grado di motivazione dei giovani nel momento in cui entrano nella Forza armata. Lei ha parlato della necessità di non frustrare le aspirazioni, quindi di mantenerli impiegati in un ruolo operativo. Quando, però, consideriamo le regioni di provenienza, non credo che il discorso sulla fortissima motivazione valga sempre, ma presumo che ci sia anche una necessità di trovare una collocazione sul mercato del lavoro, sebbene si tratti di un mercato del lavoro molto particolare, che richiede comunque una certa vocazione. Immagino, tuttavia, che ci sia anche questa motivazione.
Vorrei sapere quanto incida questo elemento, anche in base alla sua esperienza diretta. Del resto, diversamente non si spiega la necessità di rientrare a casa.
La seconda domanda riguarda le donne. Mi chiedo se c'è un motivo specifico per cui la percentuale in Italia è più bassa rispetto a quella degli altri Paesi europei, sebbene non in modo significativo (anche se una differenza del 5-6 per cento non è poco su percentuali così basse).
Infine, lei ha fatto riferimento a qualche eccezione - se non ho capito male - nella tutela della maternità e della paternità dovuta al particolare status. Le chiedo se può essere un po' più preciso su questo argomento e in che cosa consistono questi eventuali limiti.

ANTONIO RUGGHIA. Lei, signor generale, ha riferito un dato che è già a conoscenza della Commissione, quello sulla percentuale dei volontari che vengono dal sud Italia. Questo dato riguarda sempre di più tutta la struttura delle Forze armate. Lei lo ha rappresentato come elemento di criticità, perché c'è, da un lato, un'aspirazione dei volontari a rientrare nelle regioni di origine e, da un


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altro, l'esigenza funzionale delle Forze armate che deve essere giustamente tenuta in considerazione.
Ora, considerato che quello che lei ha rappresentato come una criticità costituisce un aspetto importante, per ragioni non solo di tipo sociale, ma anche di tipo economico - la presenza di una caserma o di un reparto delle Forze armate in un dato territorio può rappresentare anche un'occasione in termini economici - le chiedo se esiste un piano per determinare una possibile riorganizzazione territoriale delle caserme e delle strutture delle Forze armate. Questo riguarda in particolare l'Esercito, le cui strutture, come sappiamo, sono state dopo gli anni della guerra fredda organizzate e dislocate sul territorio nazionale soprattutto al nord del Paese.
Insomma, vorrei sapere se c'è un programma che tende ad affrontare, nel tempo, questa che ora possiamo definire una criticità, ma che rischia di diventare sempre di più un elemento molto grave nella gestione delle Forze armate.

BRUNO STANO, Capo Dipartimento impiego del personale dello stato maggiore dell'Esercito. Questo piano esisteva ed è partito già dai tempi del generale Speciale. A Cutro c'è una caserma in via di costruzione e ce ne sono altre. Ma dobbiamo sempre tener conto delle ragioni economiche.
Io vivo a Grosseto dove, dopo un certo numero di anni, è stata costruita una caserma. Quindi, esiste un piano di costruzione concentrato più al sud che al nord, ma è innegabile che le caserme attuali, costruite negli anni che conosciamo, si trovano per il 75 per cento al nord.
Questa è certamente una criticità, perché il giovane tende chiaramente a tornare nella zona di origine, dove ha gli affetti e ritiene di poter vivere meglio. Tuttavia, faccio presente che io provengo dalla città di Taranto. Intendo dire che non dobbiamo considerare questi ragazzi come forze di leva, ma come personale in servizio permanente, analogamente agli ufficiali e ai sottoufficiali. Anche ai miei tempi c'erano queste situazioni, sebbene non nelle proporzioni attuali. Noto, però, da diversi anni, che molti rimangono al nord e lì costruiscono la propria famiglia.
Certo, i numeri sono molto alti. Quando si parla di Napoli, o comunque della Campania, laddove c'è un esubero enorme, o si costruiscono una ventina di caserme oppure necessariamente un certo numero di ragazzi si convincerà di dover mettere su famiglia lontano da Napoli.
Per quanto riguarda l'invecchiamento, poiché esso è nella normale natura delle cose, abbiamo previsto il citato piano di transito del VSP anziano, fermo restando che dovremo vedere, tra vent'anni, quanti siamo i VSP anziani e, soprattutto, quanti siano quelli più vecchi. Infatti, noi parliamo di «vecchi», ma in realtà non sono ancora avanti negli anni. Solo nove hanno superato i 42 anni, quindi non sono tanto vecchi!
Il problema si porrà fra dieci anni. Ecco perché tutti quelli che arrivano a una certa età e per i quali non è più opportuno un impiego nella parte operativa, transitano man mano in altri enti territoriali, dove svolgono mansioni prettamente di ufficio.
Infine, è chiaro che i giovani volontari provengono soprattutto dal sud perché lì c'è mancanza di lavoro, ma va anche detto che se rimangono è perché a loro piace la vita nell'Esercito, altrimenti non la sopporterebbero o non sarebbero idonei a sostenere il ritmo necessario per poter assolvere i diversi compiti.
Certo, noi siamo fortunati, in questo periodo. Nel 1996, non avevamo tanti volontari, mentre adesso possiamo davvero scegliere. Il 50 per cento circa di questi ragazzi vengono scartati, poiché non ce la fanno a superare le selezioni.
La motivazione, quindi, la trovano nell'ambiente in cui lavorano. Sta a noi - e quello è stato l'impegno più grosso - non demotivarli. I ragazzi a diciotto anni vogliono fare i combattenti, cioè svolgere il servizio operativo attivo, ma è necessario


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che il 30 per cento sia destinato alla vita normale di caserma, cioè a svolgere incarichi che non sono esaltanti.
Tutto sommato, però, man mano stiamo spostando i VSP anziani, quelli che ormai hanno fatto nove, dieci, dodici missioni - nel 1998 c'erano ragazzi che per la terza volta andavano a Sarajevo - negli uffici, mentre stiamo cercando di motivare i VSP giovani cui piace questa vita a trattenersi.

PRESIDENTE. Ringrazio il generale Bruno Stano e l'apparato dello stato maggiore dell'Esercito che oggi ci ha fornito questa importante presentazione.
Poiché altri colleghi desiderano intervenire, rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 14,30.

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