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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione V
16.
Mercoledì 21 marzo 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Occhiuto Roberto, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE - ANALISI ANNUALE DELLA CRESCITA PER IL 2012 E RELATIVI ALLEGATI (COM(2011)815 DEFINITIVO)

Audizione del Presidente del CNEL, Antonio Marzano:

Occhiuto Roberto, Presidente ... 3 15
Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 10 12
Cambursano Renato (Misto) ... 10
Duilio Lino (PD) ... 11
La Malfa Giorgio (Misto-LD-MAIE) ... 10
Marzano Antonio, Presidente del CNEL ... 3 12

ALLEGATO: Documentazione consegnata dal Presidente del CNEL, Antonio Marzano ... 16
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

[Avanti]
COMMISSIONE V
BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 21 marzo 2012


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO OCCHIUTO

La seduta comincia alle 12,35.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del Presidente del CNEL, Antonio Marzano.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame della comunicazione della Commissione - Analisi annuale della crescita per il 2012 e relativi allegati (COM(2011)815 definitivo), l'audizione del Presidente del CNEL, Antonio Marzano.
Come sa, presidente Marzano, oggi pomeriggio la Camera dei deputati sarà impegnata nella votazione di fiducia sul decreto-legge n. 1 del 2012, concernente disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, ma abbiamo deciso comunque di svolgere la sua audizione.
Do la parola al professor Antonio Marzano, il quale ha anche depositato un documento agli atti della Commissione.

ANTONIO MARZANO, Presidente del CNEL. Quello a cui lei si riferiva, presidente, è un documento dell'Assemblea del CNEL che riguarda il Programma nazionale di riforma per il 2012. Avevo ricevuto dalla Commissione un elenco di quesiti destinato ai soggetti da audire. Constato che molti dei punti oggetto dei quesiti a cui voi siete interessati corrispondono a quelli del documento citato e, quindi, mi limito a sintetizzare quest'ultimo, che è stato messo in distribuzione: ciò mi consente di procedere un poco più rapidamente.
Il documento di analisi della Commissione europea conferma la Strategia Europa 2020 per superare la debolezza strutturale, migliorare la competitività e la produttività, per un'economia sociale di mercato sostenibile. Gli impegni contenuti nei Programmi nazionali di riforma (PNR) 2011 dei singoli Paesi sono insufficienti al raggiungimento degli obiettivi prefissati dall'Unione europea. In assenza di azioni decisive e di un'efficace attuazione di un programma di riforme delle istituzioni europee e degli Stati membri, l'Europa fronteggerà una crisi della crescita e un grado di divergenza interna sempre maggiore, che porterà a ulteriori pressioni sulla zona dell'euro.
Gli obiettivi principali riguardano l'occupazione: il 75 per cento della popolazione europea tra i 20 e i 64 anni dovrà essere occupata; nella spesa in ricerca e sviluppo dovrà investirsi il 3 per cento del PIL europeo; quanto al pacchetto clima-energia 20-20-20: i progetti di riduzione delle emissioni suggeriscono che l'Unione europea nel complesso raggiungerà l'obiettivo di riduzione delle emissioni di gas, ma per alcuni Stati membri saranno necessarie politiche aggiuntive; l'istruzione è forse l'unico obiettivo rispetto al quale c'è un progresso significativo, in quanto la media


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degli abbandoni scolastici, nel 2010, è stata del 14,1 per cento rispetto al 14,4 per cento del 2009, ma, anche se dovessero essere rispettati tutti gli obiettivi nazionali, entro il 2020 gli abbandoni non si ridurranno al 10 per cento come auspicato e particolarmente rilevante è il ritardo dell'Italia e l'assenza di un progetto per recuperare il gap. Infine la povertà: almeno 20 milioni di persone devono essere sottratte dalle condizioni di povertà ed esclusione sociale; nel campo della lotta alla povertà infantile e della riduzione della disoccupazione di lungo periodo, ci avvicineremo, comunque fallendolo, all'obiettivo di circa 5 milioni di persone, pari al 25 per cento dell'obiettivo dell'Unione europea.
Gli impegni contenuti nei PNR 2011 dei singoli Paesi sono insufficienti affinché l'Unione europea raggiunga gli obiettivi prefissati, soprattutto in materia di efficienza energetica. In tutti gli indicatori che ho richiamato l'Italia mostra segnali di difficoltà, in particolare per quanto riguarda la crescita economica. Il CNEL ritiene, perciò, fondamentale compiere un esame approfondito e possibilmente condiviso delle strozzature che ostacolano la crescita del Paese e delle politiche che possono e devono essere messe in campo per riguadagnare competitività in Europa e nel mondo.
Il Governo italiano, come tutti sappiamo, si è impegnato a raggiungere il pareggio di bilancio nel 2014. Il quadro di finanza pubblica contenuto nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2011 indica come tale pareggio sia realizzato grazie a un avanzo primario, nel 2014, molto elevato, del 5,7 per cento del PIL, tale da compensare la spesa per interessi, che è del 5,5 per cento del PIL. Tale quadro previsivo del DEF, presentato a fine settembre 2011, non è stato ancora aggiornato, anche se l'obiettivo del pareggio è stato anticipato al 2013.
Nel 2011 il saldo primario non è stato sufficiente a coprire la spesa per interessi e vi è stato un cospicuo indebitamento netto, analogo a quello preventivato, malgrado la riduzione dell'acconto IRE. Nel 2012, sempre secondo questa previsione, il disavanzo dovrebbe sensibilmente ridursi.
La regola europea del pareggio non è condivisibile, secondo il CNEL, né sul piano della teoria economica, né in relazione all'attuale fase di crisi. Essa è, tuttavia, fermamente sostenuta dalla Germania e da altri Stati dell'Unione europea ed è stata presentata come necessaria per rassicurare i mercati di fronte a ipotesi di default del debito in alcuni Paesi europei. Essendo ormai inclusa nel Trattato del fiscal compact, deve essere considerata parte integrante delle regole dell'Unione europea.
I limiti delle politiche europee evocano il problema centrale di un nuovo assetto istituzionale dell'Europa che superi la dimensione meramente intergovernativa, identifichi una comune politica fiscale e di gestione del debito e affronti i crescenti squilibri delle partite correnti intra-area, conseguenza di un mancato coordinamento delle politiche di bilancio, in particolare da parte dei membri in surplus strutturale.
Al di là delle regole europee (pareggio di bilancio e rientro del rapporto debito/PIL al 60 per cento), l'Italia non ha alcun interesse a mantenere un così alto livello di debito proprio per l'onere di interessi che esso comporta. Il surplus primario necessario in futuro a garantire il pareggio del bilancio, in presenza di un debito di dimensioni così ampie e di un così elevato volume di interessi, sarà di per sé un fattore depressivo della nostra economia. Di ciò bisognerà tener conto, mettendo in atto adeguate misure di riduzione del debito.
Passo alla politica di bilancio, in particolare ai profili della spesa e delle entrate. Questi aspetti si riferiscono ad alcune domande presenti nel vostro questionario, cui mi riferivo all'inizio del mio intervento.
Il CNEL condivide le indicazioni programmatiche del Governo di sottoporre a monitoraggio la ricchezza posseduta per verificare la coerenza con i redditi denunciati nel corso degli anni e propone di accompagnare tale monitoraggio con l'introduzione


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eventuale di una patrimoniale ordinaria. Dovrà essere, però, valutato l'impatto delle imposte, anche di tipo patrimoniale, recentemente introdotte per verificarne il grado di equità e di progressività.
Ampi margini di intervento rimangono in materia di evasione fiscale. Quest'ultima non solo è illegale e moralmente inaccettabile, ma provoca anche abbassamento dell'efficienza e della crescita, perché distorce il terreno competitivo e l'allocazione delle risorse a favore di chi evade e limita l'efficacia degli interventi mirati nei confronti dei soggetti effettivamente a basso reddito.
Tra le azioni possibili e auspicabili vi è la collaborazione volontaria fra fisco e contribuenti, in linea con le best practice suggerite dagli organismi internazionali. Sono sicuramente necessari, inoltre, la revisione degli studi di settore, in grado di favorire l'emersione del fatturato, il contrasto ai comportamenti elusivi e limiti più stringenti all'utilizzo del contante.
Il gettito recuperato dall'evasione, sia con le misure di contrasto, sia con l'aumento della compliance, va quantificato e destinato interamente alla riduzione del prelievo fiscale.
Il CNEL condivide la proposta avanzata dalla Commissione Giovannini di prevedere la messa a punto di un indicatore ufficiale dell'evasione che si affianchi a quello già esistente sull'economia sommersa, fenomeno collegato all'evasione, ma non coincidente con essa.
Il CNEL indica le seguenti misure da adottare per imprimere un nuovo impulso alla lotta contro l'evasione fiscale: rafforzare le misure sulla tracciabilità delle transazioni; rafforzare il contrasto di interesse con l'attuazione di un meccanismo di turnazione settoriale, che aggredisca per un periodo predeterminato le aree di maggiore evasione attraverso il riconoscimento di detrazioni o crediti di imposta molto consistenti; prevedere una priorità nelle verifiche analitiche per i contribuenti che abbiano chiesto prestazioni sociali legate ai livelli di reddito e per le società che presentino bilanci stabilmente in perdita.
Veniamo alla questione della revisione della spesa pubblica, con riferimento ad una domanda presente nel vostro elenco. Sarebbe auspicabile una manovra tesa a liberare risorse finanziarie da destinare al sostegno dello sviluppo e dell'occupazione, in una visione di lungo periodo finalizzata ad alzare il tasso di crescita, agendo, in particolare, sui fattori della produzione. Altre riduzioni di spesa potranno derivare, col tempo, dalla semplificazione amministrativa, che è già nelle azioni e nei programmi del Governo. Si colloca in tale quadro il previsto intervento, a Costituzione vigente, volto a ridurre il numero delle province, a eliminare tutti gli enti amministrativi intermedi dell'area vasta, nonché ad accorpare e ridurre, negli uffici territoriali del Governo, gli uffici territoriali delle amministrazioni centrali dello Stato, la cui espansione, con conseguente crescita della spesa, è stata in questi anni del tutto contraddittoria rispetto all'impianto costituzionale del nuovo Titolo V della seconda parte della Costituzione.
Per realizzare questo spostamento di risorse - stiamo parlando della revisione della spesa pubblica, della spending review - da alcune voci di spesa ad altre, come già si è fatto in altri Paesi e da noi si è tentato di fare alcuni anni fa, appare indispensabile l'azione del Governo attraverso una riforma fiscale e una politica di spending review. L'obiettivo deve essere quello del possibile aumento di efficienza dei processi amministrativi esistenti, almeno laddove lo sviluppo tecnologico offre nuove prospettive all'organizzazione del servizio pubblico.
La Conferenza unificata potrebbe non solo attivare un esame finalizzato alla revisione e alla riduzione della spesa, ma anche proporre regole di distribuzione e di utilizzo delle risorse rivenienti dall'attuazione delle iniziative prese, che ho sommariamente citato. Ricordo che sto sommarizzando, però, avendo voi il documento depositato a disposizione, potete consultarlo per eventuali approfondimenti che voi riteniate necessari.
Quanto all'anticipo dell'attuazione della direttiva sui ritardi di pagamento della


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pubblica amministrazione, la revisione attenta della spesa è tanto più indispensabile se si considera che la Commissione europea, in particolare per agevolare le piccole e medie imprese, ha avanzato la proposta di anticipare dal marzo del 2013 al marzo del 2012 l'attuazione della direttiva sui pagamenti per l'acquisto di beni e servizi della pubblica amministrazione. Si tratta della direttiva che sanziona con una penale dell'8 per cento - oltre al tasso legale e agli oneri per spese processuali - tutti i pagamenti ai fornitori di beni e servizi effettuati oltre i 30 o 60 giorni, con espressa previsione della nullità ex lege delle clausole derogatorie. La dimensione del debito commerciale sommerso delle pubbliche amministrazioni italiane ai diversi livelli non è definita oggettivamente, ma molte analisi, con diverse metodologie e diversi approcci, convergono su valori dell'ordine di 5 punti del PIL, in ogni caso destinati a emergere nel corso del 2013. Il CNEL, che ha approfondito il tema in un apposito capitolo della relazione al Parlamento in attuazione dell'articolo 9 della legge n. 15 del 2009, potrebbe dar corso all'impegno già assunto di elaborare sul tema una specifica iniziativa legislativa.
Passando all'argomento della giustizia civile, anche su questo tema vi è una domanda nell'elenco che avete prospettato. Il rapido ed efficace corso della giustizia civile è indispensabile per il pieno rispetto dei contratti, a cominciare dai termini di pagamento anche tra privati. Questi ultimi raggiungono lunghezze elevatissime in Italia - 103 giorni nel 2011 contro i 59 giorni dalla Francia e i 37 giorni della Germania - e costituiscono un fattore di innalzamento del fabbisogno finanziario delle imprese. In Italia occorrono 1.210 giorni, per effetto anche della lentezza della giustizia, contro i 394 giorni della Germania e i 331 giorni della Francia, per vedere eseguito giudizialmente un obbligo contrattuale. Un processo civile di primo grado dura in Italia 533 giorni, contro i 286 della Francia.
Tutto ciò, a parere del CNEL, riduce la fiducia, disincentiva gli investimenti e diminuisce la certezza del diritto. È perciò importante definire con tempestività i compiti e le capacità del tribunale delle imprese e dare rapido corso al ridisegno geografico dei medesimi tribunali.
Parliamo ora di innovazione e trasparenza della pubblica amministrazione e di governance economico-sociale. I compiti assegnati al CNEL dalla legislazione vigente in materia di attività amministrativa riguardano la comunicazione al Parlamento e al Governo sui livelli e sulla qualità delle prestazioni rese dalla pubblica amministrazione. Questo ruolo del CNEL è previsto dall'articolo 9 della legge 4 marzo 2009, n. 15, la cosiddetta «legge Brunetta».
Il CNEL esprime una visione delle amministrazioni pubbliche fondata sulla misurazione e valutazione delle prestazioni finali agli utenti e, sulla base degli indicatori di risultato, costruisce una valutazione della soddisfazione dei cittadini e delle imprese, in primo luogo attraverso il contributo delle forze sociali rappresentate all'interno del medesimo CNEL.
Questa attenzione alle prestazioni finali dei soggetti pubblici ai cittadini caratterizza le più avanzate esperienze di riforma amministrativa.
La costruzione di un sistema di valutazione delle performance, avviato dal CNEL e dall'ISTAT, con la Relazione sui risultati delle attività amministrative del 2011 può offrire il primo gradino per una proposta organica di implementazione e integrazione delle riforme amministrative. La sequenza di un processo di razionalizzazione e di ammodernamento delle pubbliche amministrazioni si configura, secondo il CNEL, con il disegno che segue: un bilancio programmato per missioni e programmi, orientato verso i risultati finali dell'attività amministrativa e gestionale (performance budgeting), capace di costruire gli indirizzi programmatici delle politiche pubbliche; un sistema di informazioni statistico-economiche fondato su una base tendenzialmente «universale» di misurazione delle performance finali e della loro valutazione attraverso un sistema di indicatori; un orientamento prioritario dei sistemi dei controlli interni -


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come rete CiVIT, e OIV (Organismi indipendenti di valutazione della performance) - ed esterni (Corte dei conti in sede di relazione sul rendiconto e di controllo di gestione) verso la valutazione delle politiche pubbliche e di controllo sui risultati finali della gestione finanziaria e dell'attività amministrativa.
Anche sul mercato del lavoro è stata posta una vostra domanda. Il CNEL si è chiesto quali siano le debolezze del PNR 2011 dell'Italia secondo le raccomandazioni del Consiglio europeo. Dove abbiamo fallito rispetto agli obiettivi?
Il PNR 2011 era davvero poco ambizioso a questo riguardo e poco mirato alla crescita. Mercato del lavoro, welfare e istruzione erano presentati in termini di sostenibilità e compatibilità con la finanza pubblica, mai in relazione agli obiettivi Europa 2020. I passi che sono stati compiuti finora sono gli incentivi all'assunzione di giovani e donne nella manovra cosiddetta «salva Italia» e le liberalizzazioni nella manovra cosiddetta «cresci Italia», che dovrebbero avere un impatto positivo sull'occupazione, ma tutto ciò è ancora in via di definizione e, comunque, non basta.
Sulla flessibilità in entrata sembra positivamente consolidarsi un accordo sui contratti di inserimento e sull'apprendistato, o insegnamento duale o insegnamento in alternanza scuola-lavoro, ma una riforma seria del mercato del lavoro non può prescindere da un sistema di servizi per l'impiego di livello europeo: quello italiano colloca soltanto il 3 per cento dell'occupazione e solamente in poche regioni - quali Toscana, Emilia-Romagna, Friuli, Veneto e Lombardia - e non svolge un'azione che si possa chiamare efficiente.
La drammatica crescita della disoccupazione giovanile, che ha superato il 31 per cento - in buona parte conseguente alla grave insufficienza dei sistemi formativi italiani e al profondo disallineamento che si è consolidato fra fabbisogni del mercato del lavoro e i titoli e le competenze rilasciati dal sistema scolastico - è un fenomeno grave. Occorre predisporre un piano di rafforzamento dell'istruzione tecnica e della formazione professionale in grado di ridurre la dispersione, di superare il disallineamento fra domanda e offerta e di avvicinare la scuola al territorio e all'impresa, anche attraverso un accordo sui contratti di inserimento e di apprendistato. Il richiamo all'importante compito che istruzione tecnica e formazione sono chiamate a svolgere in Italia trova piena giustificazione nel fatto che il nostro Paese detiene il secondo posto in Europa per fatturato e occupazione nel settore manifatturiero.
Aumentare l'occupazione femminile e giovanile è un serio obiettivo di crescita: il moltiplicatore dell'occupazione femminile implica che per ogni cento donne che entrano nel mercato lavoro si creano altri quindici posti di lavoro per i molti servizi che diventano necessari. Una famiglia a doppio reddito consuma di più, perché ha bisogno di aiuto, avendo meno tempo a disposizione. L'ingresso consistente delle donne nel mercato del lavoro aumenterebbe il reddito delle famiglie, che si è ridotto del 5 per cento nel 2010, oltre a proteggere il reddito familiare dalle avversità congiunturali. Ridurre il divario di genere, ritiene il CNEL, è una forte misura di politica economica.
Sempre il CNEL sottolinea la necessità di ridurre i tempi d'ingresso nel mondo del lavoro dei giovani laureati e di studiare azioni per aumentare la mobilità dei professionisti in ambito europeo, semplificando la procedura di riconoscimento, mantenendo le dovute garanzie per l'utenza, secondo le raccomandazioni sempre del Consiglio europeo.
Un paragrafo della nostra relazione è dedicato alla lotta alla povertà, tema che a sua volta forma oggetto di una delle vostre domande.
Si registra la mancanza di adeguati sussidi di povertà, se si fa eccezione per il minimo vitale, assegnato a livello regionale e alla social card, che presenta problemi di copertura e di inadeguatezza dei parametri necessari per la concessione: il fondo della social card non è stato esaurito. Nonostante la protezione sociale si sia


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ridotta dovunque negli ultimi anni, un reddito minimo di ultima istanza è garantito nella maggioranza dei Paesi dell'Unione europea. In Francia e in Inghilterra questa prestazione corrisponde a circa il 20 per cento del PIL pro capite, mentre arriva al 30-40 per cento in Germania e in Danimarca. In assenza di misure sistematiche rivolte al contrasto della povertà assoluta, la social card va riqualificata come intervento a sostegno dell'assenza di reddito o di condizioni economiche molto disagiate; va, però, dotata di un adeguato accompagnamento sociale che consenta soprattutto a chi vive in condizioni di rischio di esclusione di poter beneficiare non solo di un aiuto economico, ma anche di un sostegno personale.
Si impone, in conclusione, una profonda riorganizzazione del welfare, capace di abbattere sacche di assistenzialismo che si sono consolidate nei decenni passati e di ridurre i comparti inefficienti della spesa pubblica. Si impone una profonda riorganizzazione del welfare per riqualificare la spesa e i servizi sociali, valorizzando anche un nuovo protagonismo della stessa società, basato su mutualismo e gestione sociale.
Quanto al tema della ricerca e dell'innovazione, è di dominio pubblico la storica arretratezza dell'Italia nei confronti internazionali su spese in ricerca e sviluppo, numero di ricercatori e brevetti per mille abitanti. Il quadro negativo è attenuato dalla posizione meno svantaggiata in termini di attività innovativa «informale» delle imprese - secondo dati europei CIS (Community Innovation Survey) - e di performance esportativa in un insieme di settori a media e medio-alta tecnologia, ossia essenzialmente molti comparti della meccanica strumentale elettrica e non elettrica, alcuni comparti di chimica fine e farmaceutica, aerei e imbarcazioni.
Bisogna sviluppare le relazioni fra imprese e università, incrementando gli investimenti al fine di avvicinare la spesa in ricerca e sviluppo intramuros al 2 per cento del PIL. Va aggiunta una politica industriale che, tramontata l'epoca dei campioni nazionali privati e a partecipazione statale degli anni Cinquanta e Sessanta e fallite le esperienze della programmazione dei piani di settore e dei progetti CNR finalizzati degli anni Settanta e Ottanta, si è appiattita su un'ampia gamma di incentivi orizzontali, rinunciando a quei disegni di grandi programmi trasversali sulle nuove frontiere tecnologiche che diversi altri Paesi europei, come Germania, Francia e anche Regno Unito, nel frattempo mettevano a fuoco con risorse pubbliche significative. Sull'efficacia degli incentivi a pioggia sono stati avanzati moltissimi e fondatissimi dubbi, soprattutto attraverso ricerche basate su campioni rappresentativi di imprese beneficiarie e non beneficiarie condotte in Banca d'Italia.
Per favorire un significativo miglioramento della produttività e della capacità competitiva del nostro sistema di industria e di servizi vanno potenziate, infine, misure fiscali e finanziarie per la crescita dimensionale delle imprese e per l'aggregazione delle nascenti reti d'impresa.
Un paragrafo della relazione del CNEL che si riferisce, in fondo, anche a una delle vostre domande, è dedicato all'information and communication technology (ICT). Il nuovo Governo è consapevole del ruolo che l'ICT può svolgere per lo sviluppo del Paese e del ritardo rispetto agli obiettivi dell'Agenda digitale europea: le famiglie italiane che usano internet sono il 16,5 per cento del totale, contro il 26,4 per cento europeo, e un quarto degli italiani non ha mai usato internet. Il fatturato dell'e-commerce è pari al 5,4 per cento del fatturato totale, contro il 14 per cento circa europeo.
Al fine di avvicinare il più possibile l'Italia ai traguardi definiti dall'Agenda digitale europea il Governo ha assunto alcune misure rilevanti nel decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, in materia di semplificazione e sviluppo. Sono misure importanti la previsione di un'Agenda digitale italiana e la definizione di scelte concrete mediante i criteri di urgenza e fattibilità; l'obbligatorietà di trasmissione telematica di tutti i flussi degli utenti


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verso le università e di alcuni flussi verso altre amministrazioni pubbliche, come l'INPS, per la centralizzazione dei dati sulle erogazioni assistenziali; l'avvio all'interno del piano Eurosud del superamento del digital divide di prima generazione, con l'obiettivo di portare a 358.000 cittadini la possibilità di connessione alla rete a banda larga.
Accanto a queste prime misure vi sono sei linee strategiche, per ciascuna delle quali è stato istituito un gruppo di lavoro che indichi priorità e strumenti di attuazione. Non mi soffermo ulteriormente su questo punto, però voglio segnalare che, a parere del CNEL, per allineare il nostro Paese agli standard europei ci sono due nodi che occorre ancora sciogliere: la modifica dell'attuale bando di gara per l'assegnazione a titolo non oneroso a operatori televisivi delle frequenze necessarie per la realizzazione di reti per la diffusione della TV digitale terrestre (beauty contest) e la ripresa di un percorso che porti alla realizzazione di una rete fissa a banda ultralarga. Le difficoltà individuate si sono attenuate per quanto riguarda la prima parte di queste proposte: la Cassa depositi e prestiti è disponibile a forme di cofinanziamento, mentre rimane stabile la differenza profonda di strategie fra l'operatore storico, che è Telecom Italia, e gli operatori alternativi, differenza che costituisce a tutt'oggi un blocco non superato.
Un paragrafo del documento depositato è dedicato alla green economy, che peraltro, presidente, è tra i temi che avete elencato come degni di particolare attenzione. Il CNEL ritiene che la green economy rappresenti una frontiera importante dello sviluppo globale. Efficienza energetica e fonti rinnovabili ne costituiscono i principali strumenti, proposti dalla stessa Commissione europea. L'obiettivo per l'Italia non è solo quello di abbattere le emissioni di gas che alterano il clima, ma anche quello di ridurre il consumo di energia, in larghissima parte importata - come sapete - a costi crescenti e a disponibilità sempre più limitate. Per l'Italia politiche favorevoli alla green economy diventerebbero un fattore competitivo, abbattendo i costi, ma anche sviluppando domanda interna per tecnologie fortemente radicate nel tessuto industriale italiano, perché coinvolgono quasi 300.000 aziende di tutti i settori produttivi e quasi 3 milioni di occupati.
Dato il carattere pervasivo della green economy, diventa urgente una strategia di politica industriale - mi riferisco a efficienza energetica, smart grid, bonifiche e così via - che consenta, in particolare, di innovare i settori produttivi in maggiore ritardo.
È chiaro che lo sviluppo della green economy non può comunque prescindere dal rispetto e dalla tutela del territorio. Le politiche per le fonti rinnovabili hanno dedicato la stragrande maggioranza delle risorse al fotovoltaico, con incentivi che, entro il 2014, supereranno i 6 miliardi di euro all'anno.
Le altre fonti rinnovabili sono state trascurate, in particolare quelle termiche, e perciò è necessario adottare un riequilibrio degli schemi di incentivo sulla base di una curva di ordine di merito economico delle diverse tecnologie.
Lascio agli atti il documento predisposto - come ho ricordato prima - per gli approfondimenti: il tempo a disposizione è limitato e l'argomento è molto articolato. Passo, quindi, al tema delle infrastrutture e della logistica, rispondendo a un'altra domanda del vostro questionario.
Il numero dei progetti infrastrutturali programmati dalla legge obiettivo - 348 opere e 743 interventi - conferma l'esistenza di un gap infrastrutturale che pregiudica in modo rilevante lo sviluppo della nostra economia, con ovvie conseguenze sociali.
Il Governo ha definito un programma di infrastrutture essenziali su cui concentrare i finanziamenti disponibili nei prossimi anni e che innova rispetto a quello del PNR 2011. Il decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 prevede una serie di agevolazioni fiscali volte a incentivare la partecipazione del capitale privato alla realizzazione delle infrastrutture, soprattutto nella forma del project financing. Vengono introdotti i contratti di disponibilità, ossia la


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possibilità data a un concessionario di costruire e mantenere un'infrastruttura, garantendone la disponibilità al concedente per il periodo della concessione.
Una nuova politica per le infrastrutture, secondo il CNEL, dovrebbe basarsi su due criteri: attenta selezione delle priorità, con riferimento a sistemi territoriali strategici, e integrazione degli interventi, strutturali e complementari - criteri del tutto opposti a quelli finora seguiti - basati su una distribuzione egualitaria fra i territori, ma spesso dominata, occorre precisarlo, dal predominio di interessi di parte.
Particolare attenzione deve essere prestata alla riqualificazione infrastrutturale delle aree urbane - personalmente me ne sono occupato in qualità di presidente della Commissione per il futuro di Roma Capitale - da dove, concentrandosi importanti interessi economici e finanziari, può prendere avvio un significativo trend di sviluppo industriale e occupazionale, con importanti benefici per le comunità locali.
Un altro argomento trattato nel nostro documento è quello dell'internazionalizzazione, che fa riferimento ad uno dei vostri quesiti. È necessario sostenere l'internazionalizzazione delle imprese per presidiare e incrementare le quote di mercato nelle economie avanzate e per intercettare i nuovi flussi della domanda globale provenienti dalle aree emergenti a forte crescita economica. Questo era uno degli obiettivi che mi impegnava molto quando ricoprivo un incarico diverso dall'attuale, cioè quando ero Ministro delle attività produttive.
L'azione del sistema Paese deve essere rivolta non soltanto a sostenere l'export, ma anche a consolidare una presenza più stabile delle imprese italiane all'estero per consentire l'innalzamento complessivo del grado di internazionalizzazione del sistema nel suo insieme. Per raggiungere questi obiettivi è necessario razionalizzare e rendere più efficaci gli attuali strumenti promozionali, finanziari e assicurativi a disposizione delle imprese per assecondare la loro proiezione sui mercati esteri.
C'è, infine, un paragrafo della relazione dedicato al Mezzogiorno, per il quale rinvio al testo depositato della stessa.
Sia pure in una forma rapida e sintetica, alla quale mi sono ispirato, concludo la mia esposizione.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

PRESIDENTE. Grazie, presidente Marzano. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

GIORGIO LA MALFA. Ringrazio il CNEL per quest'ampia presentazione delle posizioni del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e pongo una domanda: come vede il CNEL l'evoluzione congiunturale dell'economia italiana nel biennio 2012-2013, di cui non fa cenno nella sua relazione? Quali sono le previsioni che può formulare? Ritiene il CNEL che sia necessario attuare un intervento rispetto all'andamento che si profila? Le misure di liberalizzazione di medio termine, che ha illustrato, sono evidentemente molto importanti, ma hanno un'efficacia temporale che va oltre il momento.

RENATO CAMBURSANO. Ringrazio il professor Marzano. Io credo che abbia agito bene il Governo adottando una serie di decreti-legge: ha messo a posto i conti con il decreto cosiddetto «salva Italia» e ha attuato altre riforme con i decreti cosiddetti «semplifica Italia» e «cresci Italia», tra cui le liberalizzazioni. Ci sono passi avanti significativi anche per quanto concerne lo sviluppo, almeno per quanto riguarda la semplificazione delle procedure e degli strumenti a favore dell'infrastrutturazione del Paese.
Tutti questi provvedimenti e quanto in essi è contenuto, però, presumibilmente non daranno risultati nel breve periodo, ivi compreso il provvedimento sul mercato del lavoro che si andrà a scrivere a giorni, o direttamente con decreto-legge, o con


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decreto legislativo, se si sceglierà la strada della legge delega approvata da parte del Parlamento.
La domanda che pongo è la seguente: vanno bene tutti questi provvedimenti, ma la disoccupazione, come lei ha rilevato, sta crescendo a dismisura, soprattutto quella giovanile. Credo che occorra un «pugno nello stomaco», per usare una mia espressione, ma quale? Come sferrare un pugno nello stomaco all'economia per farla partire, perché ha un ostacolo che la blocca?
Un modo potrebbe essere quello, nell'immediato - come lei propone - di destinare il ricavato del gettito riveniente dalla lotta all'evasione fiscale alla riduzione del costo del lavoro e alla riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori e per le imprese. È sicuramente questo un passo avanti.
Non ritiene, altresì, che si sarebbe dovuto, e siamo ancora in tempo, intervenire con un'imposta patrimoniale straordinaria sui grandi patrimoni da destinare a questo scopo? Io ho un chiodo fisso su questo punto, ma, ahimè, il Governo ha seguito un'altra strada - mi riferisco all'IMU - generalizzando l'imposizione. Questa generalizzazione su tutti gli immobili ha fatto sì che ovviamente tutti si troveranno, nel giro di pochissimi mesi, a dover far fronte a un ulteriore costo, con aggravio sul reddito delle famiglie e, quindi, sui consumi. È il cane che si morde la coda, in quanto non consumando, non si produce, non producendo, si crea disoccupazione e avanti di questo passo.
Credo che un pugno nello stomaco ci vorrebbe, ma quale? So che è una domanda da alcuni milioni di euro, ma gliela pongo ugualmente.

LINO DUILIO. Io sono stuzzicato dall'affermazione che il presidente ha svolto, molto netta, circa il discorso del pareggio di bilancio, le regole europee di rientro dal debito e via elencando. Apprezzo la chiarezza delle posizioni, perché non sempre assistiamo a puntualizzazioni tanto esplicite.
Proprio relativamente a questo le volevo porre una domanda, che definirei sinteticamente: come spiega quello che io chiamo il silenzio degli intellettuali di stampo post-keynesiano o neo-keynesiano? È un clima che con un altro ospite personalmente mi sono permesso - sia pure con garbo - di definire un poco conformista: non frappongono considerazioni di merito, salvo stigmatizzare le conseguenze di questo approccio di matrice fondamentalmente tedesca, che ispira le politiche dell'Unione europea, ma, senza entrare nel merito di alcune paure - chiamiamole in questo modo - che sembrano giustificare, come abbiamo sentito anche in occasione di alcune audizioni, questo atteggiamento ispirato soprattutto dalla Germania. Le paure fanno riferimento alla critica che la teoria keynesiana si è portata dietro per molto tempo, quella di produrre effetti inflazionistici per cui sarebbe una teoria di breve periodo, mentre nel medio periodo o lungo periodo storicamente si sarebbe rivelata un poco obsoleta, soprattutto perché non sarebbe riuscita a individuare gli antidoti per questi effetti negativi, connessi in particolare all'inflazione. Come ci è stato riferito, se non ricordo male, dal governatore della Banca d'Italia, dottor Ignazio Visco, in Germania c'è il terrore di un'inflazione che possa determinare conseguenze che evocano fantasmi del passato. Ciò giustificherebbe il fatto che si debbano tenere i cordoni della borsa molto stretti per evitare tali conseguenze.
Al di là delle riserve che derivano da una storia che è quella che è, sul piano più strettamente teorico noi ci troviamo in una situazione in cui alcuni di noi lamentano il fatto che non si capisce bene come il discorso della crescita dovrebbe emergere, considerato che, per effetto del pareggio di bilancio, non ci saranno molte risorse disponibili.
Il collega relatore, onorevole La Malfa, ha lanciato una proposta su un quotidiano, sostenendo che, almeno per i Paesi che hanno assicurato condizioni strutturali di equilibrio di bilancio, si dovrebbe prevedere la possibilità di un'una tantum


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da destinare a investimenti virtuosi, il che non contraddirebbe la linea vigente, ma comunque aprirebbe un varco.
Lei che cosa ne pensa sul piano teorico? Siamo destinati fondamentalmente - io ritengo che siamo orfani di una teoria - a rimanere dentro le ristrettezze di una razionalità e di una razionalizzazione che produce effetti che sono, anche a mio avviso, un poco devastanti, oppure questo conformismo potrebbe trovare alcune argomentazioni solide sul piano teorico, che possano portare in altre direzioni?
Telegraficamente le illustro un'altra questione. Affrontando il tema nella crescita, molti hanno sottolineato, e su ciò sono d'accordo, che la questione cruciale del nostro Paese è quella relativa alla produttività. Se noi vogliamo affrontare il tema della crescita, ci dobbiamo porre il problema di tassi di crescita e di incremento della produttività che da circa vent'anni a questa parte sperimentano trend molto problematici, in moltissimi casi negativi. Sia che prendiamo la questione della produttività del lavoro, con un corno molto particolare, sia, a maggior ragione, se prendiamo in considerazione il tema della produttività totale dei fattori, non si intravedono - neanche in tale ambito - misure puntuali che possano essere valutabili dal livello politico per l'adozione di decisioni di politica economica, che affrontino questo problema-obiettivo. Anch'io, come affermavo all'inizio, concordo sul fatto che, se non risolviamo la questione dei tassi di incremento della produttività, che sono molto problematici, il tema della crescita rimane un wishful thinking.

PRESIDENTE. Do la parola al professor Marzano per la replica.

ANTONIO MARZANO, Presidente del CNEL. Come CNEL - oggi rappresento il CNEL, ma poi aggiungerò alcune considerazioni a titolo personale - abbiamo utilizzato nel documento depositato lo scenario dell'OCSE, della Banca d'Italia e del Fondo monetario internazionale, per citare le principali istituzioni, che prevedono un peggioramento per il 2012. Ciò è assolutamente condiviso dalle parti sociali: il 2012 è un anno negativo e la crisi economica del Paese continua.
Le misure auspicate, che sono contenute anche nel nostro documento, hanno effetto nel medio e lungo periodo e ciò ha un aspetto positivo e un altro, ovviamente, negativo.
L'aspetto positivo è che, se entra un po' di più - per così dire - di lungo periodo nella politica economica, nella politica governativa e anche, se mi permettete, nello stesso Parlamento, non è un male. Voi sapete che la teoria dominante sostiene che il ruolo della classe politica sia di massimizzare il consenso, ossia i voti, nella successiva imminente competizione elettorale. Ciò spinge a un orizzonte di breve periodo delle politiche governative e anche parlamentari. Uno sguardo più di lungo periodo è considerato in modo positivo.
L'aspetto negativo è che, se sono misure che guardano al lungo periodo, i cui effetti saranno di lungo periodo, nel breve periodo, con una situazione congiunturale difficile, tali effetti non ci sono, se non nella forma di aspettative che potrebbero migliorare, in previsione di miglioramenti a medio e lungo periodo. Io non so come misurare le aspettative. Vi confesso un mio punto debole. So che esistono e che sono importanti, ma nessuno mi ha convinto che si possano misurare in maniera adeguata.
Quello che può interessare il breve periodo non è tanto una politica supply-side, e ossia dal lato dell'offerta, ma, evidentemente, e ciò riapre il discorso su Keynes, sono le politiche della domanda. Nel breve periodo si nota, in Italia, che la domanda che tira è quella estera. Le imprese nazionali invero hanno avuto risultati anche importanti sul fronte dell'esportazione. Come avete visto, i dati parlano in questo senso, però mi chiedo fino a quando si potrà contare soltanto - o in modo molto prevalente - sulla domanda estera, tenuto conto che, poi, alcuni Paesi che finora hanno avuto tassi di


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sviluppo molto alti in alcuni casi cominciano a dare segnali di rallentamento: mi riferisco al caso cinese.
Nel breve periodo bisogna, dunque, guardare a politiche della domanda. Ciò riapre il discorso sulle politiche keynesiane. Uno degli interventi riguardava questo aspetto.
Perché sono entrate in crisi le politiche keynesiane? Credo sia accaduto per un paio di motivi. Uno è che, spesso, tali politiche non sono state ispirate a criteri di produttività della spesa. Del resto, c'è un passaggio un po' infelice - se mi posso permettere di asserirlo rispetto al grande maestro che era Keynes -, una frase in cui si allude alla possibilità semplicemente di scavare buchi nel terreno, di metterci le bottiglie e, poi, di tirarle fuori: basterebbe anche quello. No, invece. Bisogna attuare una spesa pubblica che, comunque, aumenti la capacità produttiva del Paese, cioè di investimento, qualificata su questo punto. Se si attua questo tipo di spesa pubblica, si mette ancora in maggiore risalto l'insostenibilità teorica o intellettuale - chiamatela come volete - dei parametri europei, perché in quei parametri europei investimenti pubblici e spese correnti sono messi sullo stesso piano. Quando un'impresa privata si indebita per attuare un investimento produttivo, il fatto non è negativo; è negativo se ci si indebita - ad esempio - per aumentare gli stipendi dei manager, perché la spesa sarebbe improduttiva, ma, se ci si indebita per un investimento produttivo e qualificato, è positiva. Questo aspetto nei parametri di Maastricht scompare. Si parla solo di deficit - genericamente inteso - e di PIL.
Un limite evidenziato fino adesso - credo che a ciò accennasse l'onorevole Duilio - della spesa pubblica è che si è attuata la politica del disavanzo pubblico anche per spese non del tutto importanti per lo sviluppo del Paese. Ci sono stati sprechi nell'uso della spesa pubblica, diciamolo chiaramente. Questo mette in crisi la politica keynesiana, che si basava su un deficit spending genericamente inteso.
C'è una considerazione concreta da svolgere: i mercati finanziari non accettano questi comportamenti. La novità di questi nostri tempi è il giudizio negativo dei mercati verso i Governi e verso gli Stati che continuano nella politica di deficit. Sarà razionale o irrazionale, non voglio entrare nel merito, ma il giudizio negativo dei mercati è reale. Abbiamo visto che gli effetti sono l'aumento dell'onere degli interessi sul debito. Fra l'altro, non solo sul debito pubblico, anche per i privati.
Una parte della crisi della teoria keynesiana si è verificata - e Keynes non l'aveva previsto - quando i mercati hanno giudicato nel modo che sappiamo. Keynes non l'aveva previsto, ma è un dato della realtà. Si può ignorarlo? Per questo motivo, a un dato punto ho sostenuto che teoricamente è una politica sbagliata. Teoricamente è sbagliata anche l'impostazione tedesca del problema, però, di fatto, è ciò che sta succedendo: se i Governi si convincono che si va ancora verso disavanzi, si subisce il giudizio negativo dei mercati e lo si paga. Questa è la realtà.
Mi riferisco ora all'intervento dell'onorevole Cambursano. Il CNEL non è favorevole a una riduzione della spesa pubblica. È piuttosto favorevole allo spostamento della spesa pubblica da alcuni tipi di intervento ad altri e allo spostamento della spesa pubblica verso la spesa produttiva, quella che può aiutare gli investimenti.
Quanto alla patrimoniale, avverte di prestare attenzione: misuriamone comunque la progressività e il grado di equità, perché anche questo aspetto va considerato. Io ho un'opinione personale, che ho già espresso in occasione di un'altra audizione, però è personale e non del CNEL.
Aggiungo una considerazione. È vero che il Governo ha seguito altre strade, come l'IMU, ma, se ha seguito queste strade, bisogna pur tenerne conto, quando si chiede una patrimoniale, perché si aggiunge un intervento a un altro: se fossimo ancora all'inizio, potremmo valutare questa possibilità, ma, compiuto quell'intervento, in parte la situazione è compromessa.


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Personalmente, a una patrimoniale io preferirei una forma di risparmio forzoso per i contribuenti più ricchi, per capirci, per quelli che hanno maggiore censo. Che cos'è il risparmio forzoso? Si tratterebbe in ipotesi, ma è un'opinione personale, di chiedere a coloro che si trovano a determinati livelli di reddito e di ricchezza di acquistare obbligatoriamente nuove emissioni di titoli pubblici, di assicurare obbligatoriamente, anche in parte, l'assorbimento delle nuove emissioni. Sarebbe forse meglio accettato di una patrimoniale secca, perché, se sono titoli, poi scadono. Ciò si può attuare anche a tassi di interesse più bassi rispetto al mercato, ma forse è meglio una forma di risparmio forzoso, che è una delle categorie previste dagli economisti classici per finanziare situazioni straordinarie, come la guerra o i terremoti, piuttosto che una patrimoniale secca. Ma questa è un'opinione personale.
Noi possiamo parlare di diverse politiche, come ho fatto anche adesso in risposta ai vostri quesiti, però senza un aumento della produttività non si va da nessuna parte. Possiamo parlare teoricamente di spesa pubblica e di deficit pubblico, ma non basta. La produttività è un problema complicato. Io stesso ho svolto alcuni accenni, in merito, nella mia relazione.
Gli elementi di fondo, però - c'è poco da fare - sono un ritorno agli investimenti produttivi, per i quali si dovrebbe prevedere un'esenzione fiscale - del resto, mi pare che fosse prevista una misura del genere - nonché politiche di ricerca e innovazione, che sono fondamentali, se si vuole far aumentare la produttività del sistema.
Voi sapete che - parlo ogni tanto come economista, ma, mi scuserete, è un vecchio vizio dal quale ho difficoltà a liberarmi - c'è una funzione della produzione per cui, da un lato, c'è la produzione e, dall'altro, ci sono i fattori della produzione, ossia il capitale, il lavoro, e poi, genericamente, ci sono il progresso tecnico e l'innovazione, a cui mi sto riferendo. Soprattutto agli effetti della produttività totale dei fattori l'innovazione non è soltanto la scoperta tecnologica o l'invenzione di un nuovo prodotto - che si effettua anche in Italia - ma l'innovazione nell'organizzazione del Paese: è innovazione anche quella, come ho evidenziato nel mio intervento all'Italia Campania, il 26 novembre 2011 a Napoli. Un Paese che non funziona è difficile che abbia un aumento della produttività totale dei fattori. Non pensiamo solo all'innovazione dovuta alla ricerca, che, per carità, è fondamentale. Non ne sto negando l'importanza, certamente non se ne compie abbastanza, ma i meccanismi di funzionamento del Paese non sono adeguati. Bisogna cominciare a svolgere una riflessione in tal senso, a cominciare dai processi formativi, che non sono adeguati: si spende per formare, ma male; non è ciò di cui il Paese ha bisogno.
Se la pubblica amministrazione non funziona, se i meccanismi che presiedono al funzionamento della pubblica amministrazione non funzionano, si perde la possibilità di aumentare la produttività globale dei fattori. C'è una parte che può compiere il settore di ricerca del Paese, c'è una parte che può compiere il sistema delle imprese, dedicando un po' più di risorse alla ricerca e all'innovazione tecnologica, ma c'è anche una parte fondamentale, che è vostra - ed è ancora più vostra delle altre - ossia quella di dare al Paese un meccanismo complessivo di funzionamento dei mercati, con riferimento alla concorrenza e alle liberalizzazioni, e dello Stato, con riferimento alla pubblica amministrazione, e al fisco.
Personalmente - è un'osservazione personale - ritengo che si debba colpire l'evasione fiscale e l'elusione, ma aggiungo: perché non pensare anche a un premio per chi è onesto, anziché fare solo dichiarazioni di guerra che non sono molto apprezzate dalla collettività, la quale le interpreta come un sintomo di funzionamento non adeguato del sistema?
Sui risparmi nel settore della pubblica amministrazione io costruirei un meccanismo di premialità per i dirigenti della pubblica amministrazione - sono considerazioni personali - che riducono gli sprechi e che riducono la spesa, naturalmente


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valutando i diversi casi, perché potrebbe essere anche facile ridurre una spesa non preoccupandosi degli effetti sul funzionamento del settore interessato da tale riduzione. Porto un esempio e, poi, mi fermo. Nel campo sanitario non vedo perché si debbano assicurare anche ai benestanti determinate medicine che questi possono permettersi tranquillamente. Le assicurerei ai poveri. Però, ci sono medicine o terapie che, se non applicate, aumentano la spesa pubblica; apparentemente questa si riduce, perché non si assicura una terapia, ma poi il paziente sta male e la spesa sanitaria finisce per aumentare molto di più. Non basta il premio a chi riduce la spesa, ma a chi la riduce in modo intelligente, senza conseguenze negative ulteriori.
Introdurre questi meccanismi, di cui ho citato solo alcuni esempi, significherebbe, secondo me, riavvicinare la gente allo Stato.

PRESIDENTE. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal Presidente del CNEL, Antonio Marzano (vedi allegato). Ringraziamo il professor Marzano per il significativo contributo apportato dal CNEL.
La Commissione sospende i suoi lavori in ragione della questione di fiducia pendente che è stata posta e li riprenderà domani mattina.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13,35.

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