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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione V
3.
Giovedì 24 settembre 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE C. 2555 DI RIFORMA DELLA LEGGE DI CONTABILITÀ E FINANZA PUBBLICA

Audizione di esperti:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 4 11 13 16 21 24 37 39 40
Baretta Pier Paolo (PD) ... 18 38
Boria Pietro, Professore ordinario di diritto tributario presso l'Università di Foggia ... 3
Brancasi Antonio, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Firenze ... 4 22
Buglione Enrico, Dirigente di ricerca presso il CNR ... 6
Buratti Carlo, Professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università di Padova ... 24 39
Carabba Manin, Presidente onorario della Corte dei conti ... 8
Causi Marco (PD) ... 19 38
De Ioanna Paolo, Consigliere di Stato ... 11 23
Duilio Lino (PD) ... 20 38
Lanzillotta Linda (PD) ... 17
Leone Antonio (PdL) ... 17 21 22 36 37
Macciotta Giorgio, Consigliere del CNEL ... 33 36
Meneguzzo Marco, Professore ordinario di economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche presso l'Università di Tor Vergata di Roma ... 13 21
Pica Federico, Professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università di Napoli ... 15
Pisauro Giuseppe, Professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università di Perugia ... 29 40
Siciliotti Claudio, Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ... 28 39
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONE V
BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 24 settembre 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 9,10.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di esperti.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva avviata nell'ambito dell'esame della proposta di legge C. 2555 di riforma della legge di contabilità e finanza pubblica, l'audizione di esperti in materie giuridiche, economiche e contabili.
Sono presenti Pietro Boria, Enrico Buglione, Manin Carabba, Paolo De Ioanna, Marco Meneguzzo, Federico Pica e Antonio Brancasi, che ringrazio per aver accolto l'invito a partecipare ai lavori della Commissione.
Come certamente saprete, la Commissione bilancio è impegnata insieme alla Commissione finanze nell'esame del decreto-legge contenente disposizioni correttive del decreto anticrisi, che prevede, tra l'altro, modifiche alle norme in materia di scudo fiscale. Alle ore 11, dovremo quindi sospendere questa seduta, che riprenderà nel pomeriggio.
Gli interventi dovranno essere contenuti possibilmente nell'arco di dieci minuti. In ogni caso, esiste la possibilità - alcuni invitati l'hanno già fatto, ma si potrà provvedere anche successivamente - di consegnare contributi scritti anche a beneficio dei colleghi che non sono presenti questa mattina (è noto che l'Assemblea ha concluso i lavori di ieri nel primo pomeriggio e molti sono rientrati sul territorio).
Do la parola ai nostri ospiti per lo svolgimento della relazione.

PIETRO BORIA, Professore ordinario di diritto tributario presso l'Università di Foggia. Grazie, presidente. Vorrei svolgere un intervento brevissimo. Io credo che il pregevolissimo testo prodotto dal Senato, anche dal punto di vista sistematico molto apprezzabile, debba essere coordinato - lo dicono tutti - con la legge n. 42 del 2009.
Il tema che mi sembra più complicato è che la banca dati informativa e tutte le funzioni di monitoraggio sull'andamento economico restano in mano, forse inevitabilmente, alla Ragioneria generale dello Stato, che è un organo di parte, mentre quello attuale è un sistema ordinato equamente, in quanto la Repubblica è composta da tre livelli istituzionali: Stato, regioni e autonomie locali. Mi sembra che le regioni e le autonomie locali possano avere più di un motivo di diffidenza - tale concetto è stato espresso anche nelle audizioni che abbiamo sentito - o di dubbio rispetto all'attività svolta da un organo esclusivamente dello Stato.
Io credo, quindi, che si debba prevedere l'istituzione di un'Agenzia nazionale della finanza pubblica. Ciò potrebbe essere realizzato inserendo - nel testo in esame - nella delega di cui all'articolo 2, comma 2, un ulteriore criterio direttivo volto a


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prevedere l'istituzione di un'Agenzia nazionale della finanza pubblica, le cui funzioni dovrebbero essere essenzialmente due: la costituzione e la gestione della banca dati informativa, e le attività di monitoraggio e controllo sull'andamento di tutti i conti pubblici. Questo tipo di attività comporterebbe, naturalmente - si tratta del passaggio forse più delicato - lo spostamento di molte o comunque di alcune funzioni cui oggi assolve la Ragioneria generale dello Stato, a tale Agenzia. Si tratta evidentemente di un passaggio complesso, che però nella delega potrebbe essere accuratamente svolto.

PRESIDENTE. Si tratterebbe di un'operazione anche di tipo emendativo.

ANTONIO BRANCASI, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Firenze. Vorrei segnalare sei punti, che a mio parere suscitano perplessità e richiedono una considerazione.
Il primo riguarda le regole contabili uniformi. Si tratta di un punto centrale per poter arrivare al consolidamento dei conti. Ciò significa che determinate nozioni devono essere uguali per tutti, tra cui sia la contabilità di competenza che la contabilità di cassa; ma - ancor prima e ancor di più - è importante stabilire che cosa si intende per competenza. Attualmente, i vari livelli di governo hanno nozioni di competenza completamente diverse. La definizione di impegno è differente per i comuni, per le regioni e per lo Stato.
La proposta di legge in esame, indirettamente - e mi domando se ve ne è consapevolezza - imporrà di estendere la nozione di impegno dello Stato a tutti gli enti. Ne deriveranno conseguenze estremamente rilevanti, e mi domando se si è consapevoli di ciò, perché, nella prima parte della proposta di legge, quando si pongono i criteri direttivi della delega, non si precisa che dovrà essere seguito il sistema dello Stato. Si dà poi, nella seconda parte, una definizione di impegno in linea con quella dello Stato. Se si vuole avere una definizione uguale per tutti, inevitabilmente, il legislatore delegato dovrà quindi estendere la definizione statale a tutti gli altri enti.
Domando, ripeto, se vi è consapevolezza di questo, in particolare in relazione all'altro punto della delega, ossia la previsione di un passaggio alla contabilità di cassa. Si tratta di un punto estremamente controverso, forse il più controverso della proposta di legge, rispetto al quale, probabilmente, riconsiderare quale nozione di competenza adottare finisce per essere un elemento centrale, perché, se il passaggio a una competenza di cassa crea tante incertezze e dubbi, si tenga conto che la nozione di competenza delle regioni è molto vicina alla cassa. Per superare queste obiezioni, probabilmente, la strada più semplice sarebbe quella di estendere la nozione di competenza e di impegno adottata dalle regioni a tutto il settore pubblico.
Il secondo punto verte sul problema di disporre di un comune piano dei conti. Anche su tale questione, secondo me, bisogna considerare un profilo: emerge ripetutamente, e quindi anche nella proposta di legge, la pretesa di voler risolvere attraverso gli strumenti della contabilità pubblica tutti i problemi di trasparenza e di conoscenza dei conti. Mi sembra che questo approccio sia estremamente pericoloso, perché nella contabilità pubblica i bilanci non sono soltanto strumenti di rilevazione di dati, ma anche strumenti di governo, e conseguentemente negare l'autonomia di definire i propri strumenti di governo è in controtendenza rispetto al federalismo fiscale.
Il terzo punto riguarda proprio il nesso del testo in esame col federalismo fiscale, che secondo me è essenziale. Il punto centrale su questo aspetto è l'articolo 20, relativo alle leggi con oneri a carico del settore pubblico, che riproduce integralmente l'attuale articolo 27 della legge n. 468 del 1978. Il problema sta nella copertura delle leggi che prevedono spese a carico di altri enti.
L'articolo riproduce, dunque, la norma già esistente, senza tener conto che lo scenario attuale è completamente diverso,


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per due motivi. Innanzitutto, l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione non prefigura la possibilità di istituire trasferimenti finanziari oltre a quelli dallo stesso previsti e mi sembra che la legge n. 42 si muova in questa linea. Quindi, qualora una legge ponga oneri a carico di altri enti, ove si tratti di enti territoriali, la copertura di tali oneri non potrà avvenire mediante trasferimenti finanziari. Il secondo motivo, ancor più importante, è che sull'attuazione di questa norma, a mio avviso, si giocherà la tenuta del federalismo fiscale, perché attraverso di essa dovrà passare la disciplina dei livelli essenziali delle prestazioni. Il problema è che, un domani, una legge che aumenti i livelli essenziali delle prestazioni dovrà indicare la copertura. Tutto l'impianto del federalismo fiscale si reggerà, e non sarà alterato e compromesso, nella misura in cui si creerà un sistema di attuazione di questo meccanismo.
Inoltre - passo al quarto punto - vi è un completo disinteresse della proposta di legge per la contabilità economica. Dalla metà degli anni novanta si sta cercando di introdurre nella contabilità degli enti pubblici la considerazione economica, e quindi strumenti sia di contabilità generale che analitica. Mi sembra che la proposta di legge non sviluppi questo aspetto, mentre ce ne sarebbe bisogno, perché vi sono quantomeno due nodi da sciogliere. Il primo nodo riguarda l'esigenza di far fare un salto di qualità alla contabilità economica, in modo che le valutazioni che essa è in grado di consentire presentino un rilievo giuridico sulle decisioni di tipo finanziario, mentre oggi si tratta semplicemente di un elemento che si aggiunge, ma non ha mordente nella gestione, proprio perché le logiche continuano a essere finanziarie.
Il secondo nodo è che, a mio parere, c'è motivo di dubitare che i dati forniti dal conto economico e dallo stato patrimoniale possano servire effettivamente a valutare gli amministratori, e quindi a responsabilizzarli di fronte alla collettività. Se non si riesce a trovare il sistema di contabilizzare, non soltanto gli investimenti diretti, ma anche quelli indiretti, e quindi a superare una logica di tipo aziendale - che considera gli elementi attivi del patrimonio solo in una logica di tipo proprietario - non si potranno mai rendere effettive le valutazioni utilizzando questi strumenti. Mi domando, ad esempio, in che misura l'amministratore di un ente locale sia disposto a essere valutato perché ha ridotto il patrimonio del comune, considerandolo consistente solo nei beni di proprietà del comune stesso. La risposta che darà sarà che ha ridotto il patrimonio del comune, ma ha aumentato quello della collettività, o la capacità produttiva del territorio.
Il quinto punto, sempre sul versante degli strumenti necessari a supportare il federalismo fiscale, è la mancanza di una disciplina generale delle situazioni di crisi finanziaria. A mio parere, autonomia è responsabilità, e per chi non sta alle regole è necessario che scattino sanzioni. Noi attualmente abbiamo una disciplina riferita solo agli enti locali, che peraltro è precedente alla riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione e che va rivista, perché contiene istituti che non hanno più motivo d'essere in relazione alle modifiche del Titolo V. Basti pensare che tale disciplina si basa ancora sull'esistenza dei CORECO, che non esistono più; non si sa, quindi, se il Consiglio comunale non dichiara il dissesto, chi esercita il potere sostitutivo. Principalmente, è una disciplina limitata agli enti locali. Attualmente, in realtà, si tratterebbe di estenderla a tutti gli enti territoriali e modificarla in relazione alle modifiche del Titolo V.
L'ultimo punto - spero di essere nei tempi - è la riproposizione delle disposizioni contenute nel decreto-legge n. 194 del 2002, il cosiddetto «decreto taglia-spese», nella parte in cui prevede - in relazione all'obbligo di copertura finanziaria - che le leggi o dispongono oneri configurabili come tetto di spesa o, in caso contrario, qualora non prevedano tale tetto di spesa e creino meccanismi automatici di spesa, legati in primis al riconoscimento del diritto a ottenere prestazioni finanziarie da parte dell'amministrazione,


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la quantificazione che viene fatta ai fini di copertura costituisca un tetto di spesa, a meno che non vi sia una clausola di salvaguardia.
In questo modo, in mancanza di tale clausola, si prefigura che i diritti siano sempre finanziariamente condizionati. Ciò, a mio parere, è estraneo allo schema della Costituzione, perché essa prevede i diritti finanziariamente condizionati: sono tali quelli che richiedono un'attuazione da parte di una legge ordinaria. Si può parlare di diritti finanziariamente condizionati in riferimento ai diritti riconosciuti dalla Costituzione, ma in questo caso si va oltre, cioè si prefigurano come diritti finanziariamente condizionati quelli che sono riconosciuti dalla legge ordinaria in attuazione della Costituzione. Non ci sarebbe mai, in definitiva, un vero e proprio diritto dei cittadini a ottenere prestazioni finanziarie.
Un sistema del genere, a mio avviso, è completamente estraneo al modello costituzionale di legislazione di spesa, perché ha il senso di rendere, peraltro, meno rigoroso l'obbligo di copertura e produce l'effetto di deresponsabilizzare il legislatore. Secondo il modello costituzionale, il diritto a ottenere prestazioni finanziarie dall'amministrazione, quale riconosciuto da una legge, non è mai finanziariamente condizionato, ma è un diritto pieno, fintanto che venga eventualmente dichiarata incostituzionale - per mancanza di copertura - la norma che lo riconosce.
In altri termini, il diritto, se c'è, è pieno e non è condizionato, altrimenti non c'è, perché la norma che lo riconosce è incostituzionale per difetto di copertura. La copertura è difettosa per inattendibilità della quantificazione e non semplicemente perché non vi è corrispondenza tra quanto si è speso e quanto era stato quantificato. Non è sufficiente che ci sia un'alterazione di pochi euro per rendere incostituzionale la norma. Lo ha ribadito la Corte costituzionale: a rendere inattendibile la quantificazione, e quindi a determinare la mancanza di copertura, è il fatto che, al momento della decisione, fossero disponibili i dati per una più realistica quantificazione della spesa. Mi riferisco, in particolare, alla vecchia, antica, sentenza del 1981 sui benefici agli ex-combattenti. In quel caso la Corte Costituzionale sostenne che il Parlamento possedeva tutti i dati per quantificare gli oneri in maniera corretta, visto che, per fortuna, non vi erano state nuove guerre.
Peraltro, sempre su questo punto, va segnalato che la prassi parlamentare ha consentito di aggiustare un po' il tiro e di eliminare gli effetti destabilizzanti di tale sistema, ritenendo che la clausola di salvaguardia non debba essere necessariamente una clausola apposita, ma che ci debba essere una clausola generale che implichi poi la copertura da parte della successiva legge finanziaria degli oneri eccessivi. La proposta di legge, però, modifica il quadro, perché elimina la norma che sottopone la legge finanziaria all'obbligo della copertura, ragion per cui anche detto accorgimento verrebbe meno.

ENRICO BUGLIONE, Dirigente di ricerca presso il CNR. Il mio intervento attiene al tema del coordinamento tra la proposta di legge C. 2555, relativo alla riforma della legge di contabilità e finanza pubblica, e la legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale. In particolare, vorrei richiamare brevemente la vostra attenzione su tre questioni specifiche e su una ultima questione di carattere generale.
La prima questione specifica è connessa all'articolo 18, comma 1, della legge n. 42, ove si prevede che la legge finanziaria, in futuro legge di stabilità, individui i contenuti del patto di stabilità interno e, tra questi, l'obiettivo della pressione fiscale complessiva.
Nell'ambito della proposta di legge in esame si possono trovare vari collegamenti con tale disposizione. Per esempio, l'articolo 9, comma 3, in base al quale il patto di stabilità interno definisce gli interventi necessari per il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica nel rispetto, tra l'altro - è importante ricordarlo - dell'autonomia gestionale degli enti territoriali; l'articolo 10, comma 2, lettera b), in base al quale la Decisione di finanza


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pubblica, nell'ambito delle previsioni tendenziali a legislazione vigente, dovrà indicare la pressione fiscale delle amministrazioni pubbliche; l'articolo 10, comma 2, lettera e), che tra gli obiettivi programmatici della Decisione di finanza pubblica comprende l'obiettivo di massima per la pressione fiscale complessiva, coerente con il livello massimo di spesa corrente; infine, l'articolo 11, comma 3, lettera i), in base al quale le norme del patto di stabilità interno, contenute nella legge di stabilità, dovranno assicurare il concorso degli enti territoriali al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, tra cui - come abbiamo visto - rientra anche quello del livello massimo di pressione fiscale.
Il problema è che, con la legge n. 42 del 2009, in effetti, dovrebbe essere attribuita agli enti territoriali una significativa autonomia impositiva. A mio avviso, appare impossibile determinare a priori il livello di pressione tributaria complessiva, legata cioè ai tributi dello Stato e a quelli degli enti territoriali. Potrebbe, invece, essere utilmente determinato un livello di pressione tributaria complessiva standard, ovvero quella legata ai tributi dello Stato, che ovviamente sono sempre gli stessi in tutto il territorio, e quella derivante dai tributi propri derivati, cioè quelli istituiti con legge dello Stato applicati dai vari livelli di governo con aliquota standard. Questo, secondo me, è un obiettivo utilmente raggiungibile, e che, fra l'altro, faciliterebbe l'applicazione dei meccanismi premiali, previsti nella legge n. 42 all'articolo 17, comma 1, lettera e), a favore degli enti con pressione fiscale inferiore a un dato livello, conoscendo il livello standard della pressione di riferimento dei vari livelli di governo.
La seconda questione cui vorrei accennare si riferisce all'articolo 16, comma 1, lettera b), della legge n. 42, che realizza un'importante operazione di chiarezza sui contributi speciali che saranno erogati dallo Stato agli enti territoriali, prevedendo che essi confluiscano in appositi fondi a destinazione vincolata attribuiti a comuni, province, città metropolitane e regioni. Si dovrebbe presumere che nel bilancio dello Stato si riscontrino altrettanti capitoli, ognuno relativo a tali fondi. Se, tuttavia, l'operazione chiarezza si limitasse a questo, cioè all'istituzione di capitoli per ognuno di questi fondi, a mio avviso sarebbe ben poca cosa: si conoscerebbe l'ammontare complessivo dei contributi speciali erogati a ciascun livello di governo, impresa ora effettivamente molto difficile, però non si conoscerebbe, per esempio, la ripartizione funzionale di tali trasferimenti, i provvedimenti normativi che li autorizzano, i criteri di riparto, la ripartizione geografica di tali contributi, le somme spettanti e quelle utilizzate da ciascun ente.
In che senso tale questione può essere connessa alla proposta di legge in esame? Supponendo che si ritenga importante, come a me sembra, che si faccia la massima chiarezza possibile sull'uso di tale fonte di finanziamento, sicuramente straordinaria nell'ambito di quelle previste nella legge n. 42, un utile contributo potrebbe essere fornito modificando il comma 4 dell'articolo 15 della proposta di legge C. 2555 ora in esame, relativo al controllo e al monitoraggio dei conti pubblici. In particolare, è previsto un allegato sui risultati conseguiti in materia tributaria. Se ne potrebbe anche prevedere uno sull'uso dei contributi speciali, in cui si forniscono indicazioni più dettagliate relativi alla loro natura, ai loro beneficiari e alla loro destinazione.
Una terza questione specifica riguarda l'articolo 17, comma 1, lettera c), della legge n. 42, che disciplina in merito ai poteri delle regioni per quanto riguarda l'adeguamento delle regole del patto di stabilità interno concernenti gli enti locali. Si tratta, in altre parole, della questione della regionalizzazione del patto di stabilità interno. Alla stessa questione fa riferimento l'articolo 9, comma 7, della proposta di legge C. 2555, dove, anzi, vengono specificate molto più chiaramente le competenze delle regioni in materia. Fra le due norme, tuttavia, esiste, a mio avviso, un'importante incongruenza: nella legge n. 42, infatti, l'esercizio dei poteri regionali è subordinato a intese con gli enti


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locali, mentre nella proposta di legge ciò non compare. Bisognerà, quindi, decidere quale sia la versione giusta.
Infine, faccio un accenno alla questione più generale. Considerati l'importanza e il forte carattere innovativo della legge n. 42, sarebbe essenziale che, con la proposta di legge in esame, si prevedesse l'obbligo del Governo a presentare annualmente un rapporto sullo stato del federalismo fiscale in Italia, in aggiunta alle varie fondamentali relazioni già previste, per esempio, all'articolo 15 della stessa proposta di legge
La definizione dei contenuti di tale rapporto, nonché gli indicatori da utilizzare per costruirlo e la relativa metodologia, potrebbero essere opportunamente affidati, per esempio, alla Commissione parlamentare per la trasparenza dei conti pubblici, di cui all'articolo 4 della proposta di legge.

MANIN CARABBA, Presidente onorario della Corte dei conti. Ringrazio la Commissione bilancio della Camera per avermi incluso fra i soggetti auditi.
Il primo punto su cui mi soffermerò è il procedimento. Le innovazioni legate alla disciplina procedimentale della decisione di bilancio dovrebbero conservare centralità alla sessione autunnale di bilancio come sede decisionale effettiva della coerenza fra andamenti della finanza pubblica ed evoluzione macroeconomica secondo le regole europee, della ripartizione programmatica delle risorse e della definizione delle politiche pubbliche.
La nuova legge - che per questa parte dovrà essere accompagnata subito, se vorrà essere efficace, da novelle adeguate ai regolamenti delle due Camere - è chiamata anche a superare le gravi rotture dell'equilibrio fra Parlamento e Governo, ormai purtroppo consolidate dal 2001 in poi, attraversando i temporanei mutamenti della composizione delle maggioranze; patologie che mi hanno indotto a usare, in altre riflessioni, l'espressione sintetica di «crisi della democrazia del bilancio».
Nel merito, vedo con preoccupazione lo slittamento delle date di presentazione ed esame dei documenti di bilancio, che rendono più esiguo lo spazio per un rigoroso confronto in Parlamento. In primo luogo, ritengo che sia opportuno mantenere in luglio la discussione della Decisione di finanza pubblica. Tutti gli studiosi e gli addetti ai lavori hanno sin qui sottolineato che dopo le riforme degli anni 1998-1999 - modifiche alla legge n. 468 del 1978 e conseguenti novelle ai regolamenti parlamentari - si è conseguito il risultato di fissare con rigore, al riparo dalle contingenze e dalle turbolenze della sessione autunnale di bilancio, il sistema dei saldi e di rafforzare le barriere relative ai contenuti e all'estensione della manovra, affidate alla Presidenza di ciascun ramo del Parlamento e alle Commissioni bilancio.
Confesso di non comprendere, oggi, dopo il devastante fallimento del mercato degli anni 2007-2009, il permanere di una cultura del sospetto verso gli strumenti di programmazione. Credo, quindi, necessario prevedere una sessione estiva di bilancio, forse nella seconda metà di luglio, che potrebbe includere un serio esame, sin qui negletto, del rendiconto dell'esercizio precedente, come momento di valutazione degli effetti delle precedenti manovre e dei risultati delle politiche pubbliche poste in atto.
La disciplina dei provvedimenti collegati resta inconsistente. Tali iniziative legislative, che dovrebbero includere, come la dottrina insegna, le riforme e le innovazioni organizzative e procedimentali precluse alla decisione di bilancio, acquistano un senso, in termini di diritto parlamentare, solo se si crea, con le novelle e i regolamenti parlamentari, un loro spazio prioritario a tutela della coerenza complessiva delle scelte del Governo e della maggioranza, con il necessario confronto con le opposizioni. Per tutta questa parte procedimentale è dunque evidente la necessità di accompagnare le innovazioni legislative con un'adeguata riforma dei regolamenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.


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Il secondo punto è la classificazione di bilancio. È certamente utile l'introduzione nella proposta di legge della classificazione di bilancio per missioni e programmi, peraltro consentita, e forse richiesta dalla legge Ciampi del 1997, ma tardivamente introdotta solo per iniziativa del Ministro Padoa-Schioppa. La classificazione programmatica del bilancio è un punto cruciale delle due grandi riforme in materia adottate negli Stati Uniti e in Francia, sulle quali è in corso di pubblicazione un saggio a cura di Franco Archibugi.
La classificazione per programmi deve intrecciarsi, come ha sottolineato Raffaele Malizia nel seminario organizzato dalle Amministrazioni delle Camere la settimana scorsa, con quella per funzioni obiettivo, classificazione che facilita il raccordo con la contabilità economica nazionale e che avrebbe potuto essere adottata sin dal 1997. Toccò a me esporre la posizione della Corte dei conti dinanzi alla Commissione parlamentare per l'attuazione della legge n. 94 del 1997, allora presieduta da Antonio Marzano. La Corte sosteneva che le unità di voto in Parlamento dovessero essere costruite sulle funzioni obiettivo. Di diverso avviso fu il Governo.
La classificazione per programmi e per funzioni obiettivo può essere la base per costruire, come quadro decisionale e non come mero strumento informativo, un vero e proprio bilancio pluriennale.
Vengo, quindi, alle questioni di contabilità. È evidente la necessità di porre in risalto - in Parlamento - l'impatto delle scelte di manovra e di definizione delle politiche pubbliche sull'intero settore pubblico, con riguardo all'aggregato del conto delle pubbliche amministrazioni, che costituisce il termine di riferimento per l'Unione europea. In questo senso, ritengo molto significative le posizioni assunte dinanzi a questa Commissione dalla Corte dei conti, che ha sottolineato la centralità della definizione di un percorso che conduca all'adozione, come base per il bilancio, della contabilità economica, posizione sostenuta largamente in dottrina.
La cultura giuridico-contabilistica, che caratterizza in modo troppo esclusivo gli uomini delle nostre amministrazioni pubbliche, ha tenacemente ancorato la reale prassi di gestione alla competenza giuridico-finanziaria e alla gestione per capitoli, lasciando sostanzialmente negletta l'attenzione rivolta alla contabilità economica e al monitoraggio dei risultati della gestione, in termini di efficienza ed efficacia, dei servizi finali prestati ai cittadini.
La gestione per competenza giuridica è, nella prassi reale, come tutti sanno, attraversata da contraddizioni distorsive, la cui manifestazione più evidente, che assumo come simbolo, è rappresentata dai residui di stanziamento, vero mostro dinanzi ai princìpi ragionieristici e contabili di una reale gestione di competenza. In tal modo la funzione del conto impegni non risponde affatto all'esigenza - questa davvero essenziale - di fornire un quadro sistematico e aggiornato delle obbligazioni delle amministrazioni e dell'impatto economico di medio periodo delle scelte di bilancio.
L'introduzione del solo bilancio di cassa rappresenta una terapia d'urto per avviare, entro un quadro temporale che potrebbe essere previsto nell'arco di 5-10 anni, il passaggio alla competenza economica. Sulla base dell'esperienza sin qui condotta, che appare caratterizzata dalla grande difficoltà di passare dai conti espressi in termini di finanza pubblica a quelli espressi in termini di contabilità economica nazionale, si deve ritenere che la transizione fra cassa e conto delle pubbliche amministrazioni sia, comunque, subito, meno complessa e più trasparente. Non si può nascondere che tale terapia d'urto crea problemi seri. Bisogna trovare una sede, diversa dal conto impegni, per dar conto dell'impatto di medio periodo della decisione della gestione di bilancio; si deve accelerare il processo di trasformazione dei modelli di organizzazione procedimentali e, soprattutto, della cultura delle amministrazioni.
La prima risposta si trova nella riflessione sul quadro comparatistico. Il bilancio pluriennale programmatico, oggi relegato


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a proiezione descrittiva alla quale nessuno guarda, deve costituire il perno delle scelte di medio periodo e il presupposto per il bilancio annuale di cassa. Non si parte da zero: la disciplina delle note preliminari agli stati di previsione dettata dalla legge Ciampi, e la disciplina delle direttive annuali dei ministri costituiscono una base sulla quale si sono avviate, sia pure in modo complessivamente debole, esperienze utili nella direzione di un bilancio programmatico.
In questa proposta di legge si dovrebbe lavorare sulla norma che disciplina il piano triennale, portando all'interno di questo documento i contenuti di programmazione dettati per le note preliminari. Il piano triennale deve diventare un piano di programmazione strategica per missioni e per programmi, dotato di una sua resistenza rispetto alle decisioni annuali e punto di riferimento per graduare le decisioni di gestione, come contesto entro il quale si dispiega la gestione annuale di cassa.
Sono caratteristiche che si possono ispirare, con i necessari adattamenti al nostro sistema, alla programmazione strategica statunitense del Government performance and results act (GPRA) e alla spending review della Gran Bretagna. Il piano triennale strategico, articolato per missioni, programmi e funzione obiettivo, dovrebbe riguardare l'intero settore pubblico, accrescendo così la significatività della decisione parlamentare di bilancio e avvicinandone la struttura al quadro europeo.
Il secondo nodo, forse il più arduo, è rappresentato dalla necessità di un vero sforzo straordinario di innovazione della cultura e dei modelli organizzativi e procedimentali delle pubbliche amministrazioni. Occorre una crescita rapida ed eroica della presenza nelle amministrazioni di una cultura statistica, economica, di contabilità economica nazionale, di analisi delle politiche pubbliche, di controllo, misurazione e valutazione dei risultati della gestione e dell'azione amministrativa e di intervento, una cultura che è pressoché inesistente di fronte alla schiacciante prevalenza, nella nostra amministrazione, di una mera cultura giuridico-contabile, del tutto rispettabile - io insegno diritto amministrativo -, ma insufficiente per rendere moderna un'amministrazione e per gestire una programmazione strategica.
Sin qui si è fatto molto sul terreno del disegno normativo, ma molto poco per introdurre, di fatto, innovazioni nella cultura e nella reale prassi ed esperienza amministrativa. Le esperienze straniere, sin da quella lontana, ma essenziale, della riforma francese della struttura del bilancio (Rationalisation des choix budgétaires) e dei modelli di organizzazione (Nouvelle technique d'organisation), fino al predetto GPRA degli Stati Uniti e alla LOLF (Loi organique relative aux lois de finances) francese del 2001, mostrano come sia essenziale un impegno politico reale e uno sforzo di investimento in formazione, reclutamento, introduzione di meritocrazia. È impossibile, se si guarda alla cultura della scienza politica e delle scienze sulle amministrazioni, immaginare che i grandi corpi dello Stato, a cominciare dalla Ragioneria generale dello Stato, siano capaci di autoriforma.
Le riforme non si possono imporre alle amministrazioni, ma occorre attivare un meccanismo di impulso e retroazione, di feedback, efficace, partendo dal vertice politico e dai responsabili della riforma.
Un'ultima osservazione, formulata in modo sommario, riguarda l'impianto delle norme del coordinamento dei conti pubblici. Il terreno sul quale è necessario un forte impegno, volto a rendere omogeneo il sistema dei conti pubblici, riguarda le tecniche di accountability, la raccolta dell'informazione, il collegamento dei sistemi informativi. Ma, a differenza di quanto appariva emergere dalla legge n. 42 del 2009, la cui disciplina è buona, nella proposta di legge C. 2555 si inseriscono norme che sembrano imporre schemi autoritativi dettati dal centro anche per la struttura decisionale e programmatica dei bilanci delle autonomie, Questa strada è inopportuna e sicuramente preclusa dal disegno costituzionale.


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PRESIDENTE. Avverto che è già disponibile un contributo scritto fornito dal professor Manin Carabba.

PAOLO DE IOANNA, Consigliere di Stato. Cercherò di soffermarmi rapidissimamente su alcuni punti. Ho lasciato una memoria scritta, anch'essa organizzata per punti. Riprendo alcune considerazioni che in questi mesi ho svolto, forse anche sulla scia delle mie esperienze. La mia è una testimonianza, in un certo senso.
La prima questione da affrontare mi pare quella dell'indebitamento netto della pubblica amministrazione, che si lega con il tema - che è stato toccato un po' da tutti gli intervenuti - dell'intreccio e del coordinamento tra fase di attuazione della delega sulle regole di contabilità e fase di attuazione del federalismo fiscale. Questo problema è emerso in modo molto nitido.
Francamente, leggendo l'articolo 2, comma 2, lettera a) del disegno di legge in esame, ho cercato di capire - anche attingendo alle mie esperienze - che cosa sia un piano comune integrato dei conti. Poiché evoca ascendenze sovietiche, è interessante, ma ho paura che chi ha scritto questa norma abbia in testa qualcosa di molto preciso. Non mi soffermo su questo punto, anche per ragioni di tempo.
Pongo, dunque, una domanda. Se vi lasciate convincere - consentitemi la franchezza - a scrivere una norma operativa che fissa che l'obbligo di copertura si declina sui tre saldi, in nome del rigore, e quindi anche sull'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni, che, come sapete, è la questione cruciale del rapporto tra Stato centrale, comuni, regioni e province (si discute in questo momento sul vincolo del patto di stabilità) e se la declinazione degli effetti dell'indebitamento netto della pubblica amministrazione è un affare del Governo - in questo momento della Ragioneria generale dello Stato e dei suoi uffici (non voglio fare polemiche ulteriori) - e poi lasciate a un processo che richiederà diversi mesi o anche anni la definizione di regole concertate - per cui si stabilisce in quella sede quali investimenti sono sopra o sotto la linea e come si regola l'indebitamento netto - mi sembra che ciò rappresenti una partenza assolutamente contro-fattuale rispetto al federalismo. Chiunque amministra una regione, una provincia, un comune, anche piccolo, lo sa perfettamente.
Emerge da ciò un primo nucleo teorico-pratico abbastanza interessante: vale a dire se la definizione di indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni, a prescindere dal fatto se debba essere presente nella clausola di copertura oppure no, è la questione cruciale del rapporto tra centro e periferia. Evidentemente, si tratta di un problema che va risolto nel modo più trasparente, nella Commissione parlamentare per la trasparenza dei conti pubblici, al massimo livello possibile di concertazione e con la piena consapevolezza da parte del Parlamento.
Questo è il primo argomento per cui - e vengo al punto su cui ho insistito in queste settimane - trovo assolutamente sbagliato, in termini teorici e pratici, inserire nel set di copertura ex ante anche l'indebitamento netto. Vi sono solide ragioni teoriche: l'indebitamento netto è un saldo ex post, può essere monitorato e nessun Paese europeo lo usa ex ante. A prescindere dal vincolo dell'articolo 81 della Costituzione, si tratta di conferire un potere un po' opaco e imperscrutabile ad alcuni passaggi interni, perché, per arrivare dalla cassa dei bilanci degli enti locali e dello Stato all'indebitamento netto esistono passaggi previsivi, nei quali, in questo momento, mi pare che nessuno sia in condizione - neppure il Parlamento, per la mia esperienza e per ciò che avete fatto voi - di esprimere un monitoraggio autonomo.
Il Parlamento si rimette a ciò che gli dice il Governo di turno, sia esso di destra, di sinistra o di centro. Il problema di fondo che voi dovete porvi è se volete fare tesoro dall'esperienza di questi ultimi anni e dotare voi stessi e la Commissione parlamentare per la trasparenza dei conti pubblici di elementi di controllo e monitoraggio effettivo, sul modello dell'esperienza tedesca.


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Mi esprimerò in seguito a proposito delle eccellenti considerazioni dell'amico Brancasi sul fondamento dei diritti soggettivi: esiste una giurisprudenza della Corte federale tedesca, la quale chiarisce perfettamente che i diritti soggettivi non si fondano sulle norme di contabilità - vivaddio! - ma sulla norma sostanziale. Qualsiasi cosa voi possiate scrivere, o farvi convincere a scrivere, sulle clausole di salvaguardia, fa parte di questa tarda scolastica, per cui ci si aggroviglia intorno al tentativo di trovare la pietra filosofale nella stessa legge. L'obbligo di copertura, se sciolto in modo limpido e funzionale agli obiettivi del Costituente, significa semplicemente che bisogna ragionare in modo trasparente sul carattere pluriennale degli oneri e sul carattere delle coperture. Ciò richiede, soprattutto, un set conoscitivo forte.
Mi avvio alla conclusione. La prima argomentazione che si lega alla questione della copertura è, dunque, l'indebitamento netto. È abbastanza singolare che si accetti, come un criterio a scatola chiusa, un piano integrato dei conti. Bisognerebbe almeno capire bene che cosa esso sia, e qui mi fermo.
Aggiungo che, essendo il coordinamento dei conti materia di competenza concorrente ai sensi dell'articolo 119 della Costituzione, è chiaro che - l'ho detto in altra sede - vi è una strettissima integrazione tra le modalità con cui si declina l'articolo 119 della Costituzione e quelle con cui si declina il coordinamento. Sono due facce della stessa medaglia.
Un'altra questione riguarda la cassa. Le argomentazioni molto tecniche del professor Brancasi dovrebbero farci riflettere e si legano, in un certo senso, anche al discorso sull'indebitamento: non si può accettare o estendere, in questo momento, in modo meccanico, un concetto di impegno alquanto vago, applicato nell'amministrazione statale, in cui l'impegno non coincide affatto con obblighi giuridicamente perfezionati, come dice l'articolo 35, comma 2, della proposta di legge.
Esiste, invece, una casistica di impegni e sottoimpegni, blocchi, e via elencando, per cui, in realtà, siamo di fronte a un gioco di scatole cinesi. Questo è un punto cruciale. Io credo che mettere in moto - cerco di semplificare al massimo - un processo che vada verso la cassa economica e la definizione di impegno per le regioni richieda una profonda riflessione, perché si tratta di un punto centrale per la confrontabilità dei conti dello Stato, delle regioni e degli enti locali. Se si crede nel federalismo, questo diventa l'elemento di raccordo. Passare a un criterio di cassa, significa mettere in moto esattamente il processo di riordino e di ammodernamento dell'amministrazione cui accennava il professor Manin Carabba.
In quasi tutti i bilanci dei Paesi dell'area OCSE si usa la cassa, che non è solo uno strumento di previsione, ma uno strumento di responsabilizzazione della dirigenza, e di misurabilità dei risultati, il che significa compiere il percorso che delineava Carabba e su cui io non mi soffermo. Credo, tuttavia, che si tratti di una via che andrebbe intrapresa, perché, in questi ultimi quindici anni, abbiamo declinato in tutti i modi i controlli di gestione, con un effetto pari a zero.
Ci troviamo, infatti, di fronte a un impianto di controllo contabile che, nella sua formulazione essenziale e strutturale, considera la contabilità un fatto esclusivamente giuridico. Se si torna all'esame delle scienze aziendali alla fine dell'Ottocento, la contabilità è considerata una scienza aziendale, economica, che si coniuga con le procedure, ma non si radica nelle posizioni soggettive. Su questo punto mi fermo, per non annoiarvi.
In materia di cassa, io suggerisco alcuni criteri: la norma è un po' approssimativa - ha ragione la Ragioneria generale dello Stato -, si può integrare, declinare meglio, e si possono specificare alcuni criteri, che io ho provato a indicare, sulla base delle esperienze di altri Paesi che utilizzano i bilanci di cassa. Si tratta di un tema su cui vale la pena lavorare.
L'ultima questione - mi avvio rapidamente verso la conclusione - è quella dell'articolo 22 della proposta di legge, a proposito delle spese rimodulabili e non


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rimodulabili. Il cuore di tutta la vicenda è certamente la costruzione dei programmi e la definizione dal basso di tutte le norme che concorrono alla costruzione dei programmi. Vorrei, tuttavia, farvi riflettere - e mi fermo - su come è costruito tale articolo. L'ho detto in altra sede, ne sto scrivendo e ne ho già scritto: l'articolo 22 è come un gioco di scatole cinesi: di spese rimodulabili, oneri obbligatori, spese inderogabili, in cui viene creata una categoria nuova, le spese non rimodulabili, che non figuravano nell'ordinamento, e si stabilisce che, se le spese sono non rimodulabili, inderogabili e obbligatorie, non vi sono margini di manovra.
Non voglio entrare nel merito di che cosa e quanto deve emendare il Parlamento - il tema non mi appassiona, non sono un fautore di forme di sadismo di emendamento parlamentare - però questo è il cuore della democrazia parlamentare. Voi dovreste, come ha fatto l'Assemblea francese per un anno, «rivoltare l'amministrazione come un pedalino» - è un problema bipartisan - e verificare programma per programma.
Si fa passare, scusatemi, in modo burocratico e grigio - immagino anche i personaggi che vi sono alle spalle - un'idea per cui il Parlamento prende per buono tutto quello che decide o il Governo di turno, di destra o di sinistra, o un organo che non è un'autorità indipendente. Io ho il massimo rispetto per gli organi dello Stato, mi piace pensarmi come un modesto servitore dello Stato, ma una cosa sono gli organi dello Stato, che dipendono dai ministri, un'altra le autorità indipendenti, che hanno regole e trasparenza.
Decidiamo, dunque: se i conti sono affare del Governo, benissimo, il Governo si presenta in Parlamento e fornisce tutti gli strumenti che vuole. Si può immaginare un'agenzia, o altro. È inutile che decliniamo la retorica del controllo parlamentare, del fatto che è il Parlamento che controlla la semplificazione della legge finanziaria. Se, però, il Parlamento non ha gli strumenti e, fondamentalmente, guarda attraverso il buco della serratura le carte che gli passa la Ragioneria generale dello Stato o il Governo di turno ed elabora quattro analisi su quei dati, senza nessuna possibilità autonoma non di rappresentare un contropotere, ma di verificare i passaggi logici con cui si costruisce il tendenziale, tutto ciò diventa retorica.
Siamo in una fase in cui si va verso il federalismo. Io ho una fiducia moderata nell'autonomia fiscale, ma penso che, effettivamente, in tutti i Paesi sia un'esperienza da fare. È contro-fattuale avviarsi su questa strada e, dall'altra parte, approvare una legge interessante, che contiene una quantità di innovazioni, ma che è come un Faust, perché vi è un'idea di coordinamento, dentro la quale sono infilati trent'anni di contabilità, per come l'abbiamo vissuta. Questa dovrebbe essere l'occasione di avviare un processo lento, realistico, di innovazione, e la cassa mi sembra un elemento interessante. Scusate il disordine. Grazie.

PRESIDENTE. La ringrazio, consigliere De Ioanna. Abbiamo acquisito agli atti il suo contributo scritto.

MARCO MENEGUZZO, Professore ordinario di economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche presso l'Università di Tor Vergata di Roma. Esprimo un parere non da aziendalista di fine Ottocento - se ne parlava prima -, ma comunque da aziendalista che si occupa di bilancio negli anni Duemila. Ne esistono ancora in tutte le facoltà di economia.
Circa le considerazioni in tema di controlli di gestione - poi entrerò subito nel merito - ricordo che due regioni, Lombardia ed Emilia-Romagna, nel 1984 hanno introdotto il controllo di gestione, in assenza di una normativa nazionale. Dovremo quindi stare attenti a non penalizzare alcune esperienze innovative nel nostro Paese, soprattutto a livello regionale e locale, dove sono state avviate tali sperimentazioni.
Entro direttamente nel merito dei contenuti. Si parlava, in precedenza, di organizzazione, cultura e formazione. Quando facciamo riforme come quelle in esame in


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Italia, dobbiamo ricordarci che nel nostro Paese su circa 3 milioni e 200 mila dipendenti pubblici, 130 mila lavorano all'interno dei servizi finanza e contabilità. Non esiste, quindi, solo la Ragioneria generale dello Stato, ma anche tutte le altre amministrazioni. Quando compiamo interventi di modifica su tali aspetti, significa che dobbiamo attrezzare, dal punto di vista di competenze, formazione, information technology e delle procedure, circa 130 mila persone che lavorano nel nostro Paese in questo settore. Come voi sapete - i miei colleghi lo sanno molto bene - questi lavoratori hanno diversi percorsi formativi, diversi livelli di conoscenza, e io penso che ciò rappresenti un aspetto di sostenibilità organizzativa e istituzionale complessivo della riforma. Attiene al federalismo e a questi aspetti. Quando facciamo grossi interventi di riforma, bisogna svolgere tali considerazioni.
Ringraziando di essere stato invitato, poiché credo che sia un'occasione interessante di dibattito, esporrò quattro punti molto rapidi, entrando nel merito dei princìpi.
Il primo aspetto riguarda l'articolo 1 della proposta di legge. Vi si dice che l'ISTAT individuerà i soggetti destinatari delle disposizioni relative all'adeguamento dei sistemi contabili. Io credo che, oltre a richiamare il ruolo dell'ISTAT, occorra anche effettuare una ricognizione effettiva sullo stato dei sistemi contabili nelle diverse tipologie di amministrazioni pubbliche. Regioni, aziende sanitarie, università, enti locali, amministrazioni dello Stato, e via elencando, hanno sperimentato, nel corso degli ultimi dieci anni, differenti progetti e anche differenti realizzazioni sui sistemi contabili. Ad esempio, le aziende sanitarie hanno contabilità economica, alcuni enti locali adottano sistemi di contabilità differenti. Io credo che l'indicazione sia di realizzare anche una ricognizione sullo stato dei sistemi contabili, perché la loro armonizzazione in Italia implica la necessità di capire - siamo un Paese molto differenziato e articolato - che cosa si sta facendo nei diversi livelli dell'amministrazione.
Un secondo punto - mi avvio rapidamente alle conclusioni - riguarda le missioni. Venivano citate precedentemente - dal professor Manin Carabba - l'esperienza della LOLF, l'esperienza statunitense, la classificazione per missioni e programmi. Tali indicazioni vanno benissimo per l'amministrazione centrale, ma ricordo che molte amministrazioni pubbliche nel nostro Paese, per fortuna, non fanno solo politiche e programmi, ma rendono anche servizi ai cittadini. Enti locali, università e scuole erogano servizi e, quindi, il sistema missioni e programmi, che funziona bene per le amministrazioni che fanno politiche, richiederà poi uno sforzo, quantomeno in termini indicativi, per le altre amministrazioni.
Passo rapidamente al terzo punto. In questi giorni si tiene l'Assemblea delle Nazioni Unite. Queste dispongono dell'IPSAS (International public sector accounting standards), un complesso di standard omogenei per i sistemi contabili. Alcuni Paesi europei di tipo federale o nazionale, come la Svizzera, hanno sistemi IPSAS per l'armonizzazione dei sistemi contabili, perché è chiaro che per compiere qualsiasi operazione sull'indebitamento o in materia di federalismo, si devono avere dati precisi. In caso contrario, la perequazione, i costi standard, i LEP, che venivano prima richiamati sono inattuabili. Ricordo che abbiamo regioni fortemente inadempienti. Credo che un riferimento agli standard esistenti a livello internazionale in materia di principi contabili per il settore pubblico debba esserci, perché dobbiamo adeguarci a tale aspetto, volenti o nolenti, e non semplicemente limitarci a un richiamo. Tale riferimento risulta, in particolare, importante per quanto attiene alla contabilità economica.
Ho ancora un paio di considerazioni conclusive. Io ho apprezzato, come sugli IPSAS, un richiamo del professor Carabba, che condivido molto, al problema dell'accountability: invito a utilizzare questa parola quando parliamo di trasparenza nei sistemi di contabilità, per adeguare anche il livello terminologico.


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A proposito del ciclo degli strumenti di bilancio, io credo che vada un po' alleggerito: si pone un problema di timing, ma anche di effettiva complessità. Vi è una difficoltà, nel nostro Paese, a rispettare tutte le scadenze.
Chiudo con l'ultimo punto, sui temi del controllo e del monitoraggio. In primo luogo, si ricordava, nella parte iniziale, che ci sarà un comitato, per i principi contabili, con il coinvolgimento di vari rappresentanti di soggetti esterni. Nella parte sul controllo e monitoraggio viene citato il tema di revisori e sindaci. Io credo che, quando noi compiamo tale tipo di operazioni, anche in sede di comitato e in via preliminare, occorra coinvolgere un determinato numero di soggetti. Da questa parte del tavolo della Commissione bilancio avete l'università, la facoltà di economia, nonché quella di giurisprudenza, che hanno sempre fatto la parte del leone su questi aspetti. Quando parliamo di revisori e sindaci, dobbiamo comprendere anche i commercialisti, i loro ordini, e credo che essi, come anche le università, possano esprimersi su questi aspetti.
In secondo luogo, veniva citato l'aspetto di potenziamento del monitoraggio, che richiede non solo una formazione dei 120-130 mila operatori di servizi finanziari, ma anche dei soggetti che svolgeranno l'attività di monitoraggio e di ispezione. Sul fatto che si nominino rappresentanti del Ministero dell'economia e delle finanze o di altri ministeri per valutare i bilanci degli enti, occorre considerare che si tratta di persone che - scusate la franchezza e la brutalità - spesso conoscono come funziona un ministero e dovrebbero rappresentare il perno di questo sistema, ma non hanno nessuna conoscenza di come funziona un'amministrazione territoriale che eroga servizi.

FEDERICO PICA, Professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università di Napoli. È stato detto quasi tutto, quindi io posso limitarmi a poche annotazioni, che concernono innanzitutto i due interventi di Buglione e Brancasi, che mi sembrano molto utili.
Esiste una differenza fondamentale tra la legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale e la proposta di legge C. 2555. Mentre la prima è una legge delega, e quindi la sua attuazione dipende dai decreti delegati, una parte sostanziale della proposta di legge in esame è immediatamente applicabile. La differenza concerne, in particolare, la questione che ha utilmente posto il professor Buglione, della regionalizzazione del patto di stabilità interno. Se essa viene immediatamente realizzata, e se le regioni vi danno seguito - la realtà che io sto vivendo è che esse non stanno dando seguito - l'attuazione di tale meccanismo, in una situazione di grave crisi, potrebbe essere rapidamente portata avanti.
La seconda questione urgente concerne le situazioni di crisi. L'osservatorio della regione Campania è molto stimolante da questo punto di vista. Debbo dire che la situazione sta peggiorando in modo rapido. L'idea di aspettare la legge n. 42 perché questo problema venga regolato è stravagante. In particolare, il problema concerne l'attuazione dell'articolo 120 della Costituzione, in materia di poteri sostitutivi, che è la base logica di tutto ciò. Se non si disciplinano questi aspetti, in realtà non si va molto avanti. Ci sono questioni urgenti, ma ci sono anche questioni concettuali concernenti il testo della proposta di legge, che dipendono anche da mie idiosincrasie antiche.
Io insegno presso la facoltà di giurisprudenza; ho insegnato per venticinque anni economia, e ho quindi maturato alcune considerazioni, che penso sia giusto esporre in questo momento. Per esempio, quando nell'elencare i principi del bilancio, si dimentica quello di specificazione - si è cominciato a farlo con il decreto legislativo n. 77 del 1995 -, che consentirebbe di capire meglio come vengono spese le risorse, mi sembra che tale dimenticanza non è casuale. Tutto ciò segna un percorso che è andato molto avanti, mentre l'interesse del Parlamento sarebbe


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proprio capire dove finiscono i soldi. Vorrei citare un altro documento che mi pare importante: il parere della Corte dei conti è molto articolato e, su questo punto, è incisivo. Andare verso la sintesi, se si passa il segno, fa perdere di vista l'interesse a capire dove finiscono i danari. Questo è un punto assolutamente centrale.
Tutto ciò rinvia alle due questioni concettuali, che concernono il problema della contabilità economica e della contabilità di cassa.
La questione della contabilità economica risale al 1990, all'articolo 55 della legge n. 142 di quell'anno. Stiamo portando avanti questo Moloc a livello di enti locali ormai da vent'anni. Abbiamo tentato tutti i modi per aggirare la norma esistente, a cui bisognava adempiere. Il prospetto di conciliazione è un modo per aggirare, ma dobbiamo capire un punto molto semplice: quello che interessa è l'analisi dei costi, non la contabilità, che è uno strumento per l'analisi. I costi non sono una grandezza - lo dico anche in riferimento alla legge n. 42 del 2009 - ma una funzione; sono la relazione tra quantità e importi di somme riferiti alle quantità. L'analisi dei costi è una questione complicata, che va oltre la questione contabile di sapere quanto costa, in un dato momento, un determinato panel di beni.
Se lasciamo uno spazio per affermare che le disposizioni della proposta di legge hanno sfondato il muro della teoria economica, introducendo la sola contabilità dei costi - senza capire che l'analisi dei costi deve essere svolta, ma non può essere svolta per tutto il bilancio ma solo sulle questioni più critiche - noi abbiamo provocato un gravissimo danno.
Il secondo punto, come dicevo, è relativo alla contabilità di cassa. La Corte dei conti avanza alcune considerazioni, in modo un po' soft ma utilmente. Il bilancio di cassa è stato introdotto negli enti locali dal 1979 ed è stato vigente nel nostro Paese fino al 1995. Io non conosco un solo caso in cui esso si sia dimostrato utile. Il mero adempimento che va a inseguire le questioni della massa spendibile non ha condotto a nulla. La questione non è che non serve la contabilità concernente la cassa: non serve un voto parlamentare riferito a un importo che rappresenta una stima di ciò che sarà erogato sulla competenza, più una stima di ciò che sarà erogato - mi riferisco alla parte spesa - sui residui pregressi.
Per i motivi che ricordava giustamente De Ioanna, abbiamo il problema gravissimo del controllo della cassa, ma non si possono risolvere tutte le questioni con i bilanci. Il controllo della cassa non si può effettuare una volta l'anno: bisogna effettuarlo giorno per giorno. La questione della cassa è una questione di tenuta della spesa corrente. Giorno per giorno bisogna seguirne l'andamento. Non si può pensare di eludere problemi molto seri e gravi con adempimenti di carattere contabile che concernono il circuito del bilancio, il quale ha una sua logica, che voglio esporre rapidamente. Tale logica, brutale, è quella di stabilire quanti danari ci sono e come sono utilizzati e richiede di porre attenzione alla definizione dei concetti. Mi riferisco alle utili considerazioni del professor Brancasi, in ordine alla nozione di impegno.
Se domani si risolvesse il problema e restasse solo la contabilità di cassa, ciò non significherebbe che lo Stato non sia indebitato. La nozione d'impegno è, dunque, ineludibile, né possiamo pensare di aggirarne la necessità semplicemente con documenti che stiliamo una volta l'anno e verifichiamo a distanza di diversi mesi.

PRESIDENTE. Pongo qualche domanda ai nostri ospiti, prima che i colleghi formulino le loro richieste di intervento.
Il professor Meneguzzo ha fatto riferimento alle aziende sanitarie. A mio avviso, nel percorso che dovrebbe farci pervenire alla contabilità economica, mi sembra consolidato il concetto in base al quale la cassa è una tappa intermedia verso tale traguardo.
Se questo è vero, credo che in Italia l'unico esempio concretamente effettuato di passaggio da una contabilità pubblicistica a una contabilità aziendalistica sia quello legato alla realtà sanitaria. Ciò è


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avvenuto con alterne fortune: in alcune realtà positivamente, in altre non so dire perché non ne sono bene a conoscenza, ma mi limito a leggere i risultati. Dico questo anche con riferimento al controllo di gestione e a tutto quanto è associato a tale forma di controllo.
Professor Meneguzzo, in che misura allora l'esperienza e le difficoltà incontrate dalle aziende sanitarie in questo percorso possono dare utili suggerimenti per effettuare il «copia e incolla» in tutte le altre realtà della pubblica amministrazione?
Do ora la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ANTONIO LEONE. Innanzitutto, ringrazio tutti i nostri ospiti delle pregiatissime relazioni che ci hanno presentato.
Consigliere De Ioanna, ho visto che lei è orientato, se non sbaglio, da un lato, verso il mantenimento del criterio di copertura, ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione, limitato al solo saldo netto da finanziare; dall'altro, verso l'abbandono del criterio contabile della competenza giuridica a favore del passaggio a un bilancio di sola cassa. Ebbene, io sono un ingenuo e ascolto tutto ciò che mi dice la Ragioneria generale dello Stato, dunque le chiedo se non vi sia una contraddizione nelle due posizioni.
Infatti, se decidiamo di superare definitivamente l'articolo 81 della Costituzione, che dispone in merito alla copertura, non vi sono problemi ma se la Costituzione rimane invariata, come si concilia il riferimento dell'obbligo di copertura con un criterio contabile del quale è previsto il superamento? Personalmente vedo una contraddizione nelle due posizioni.
Il professor Carabba e ritengo anche il professor Brancasi, se ho ben capito anche da posizioni assunte in altre occasioni, riterrebbero preferibile, più che la previsione del sistema unico di bilancio, una classificazione uniforme. Vorrei capire, da un punto di vista pratico, come questo possa avvenire.
Infine, vorrei esprimere un'annotazione. Il professor Brancasi parlava di diritti costituzionalmente tutelati e di diritti tutelati, invece, dalla legge ordinaria. Ritengo che nessuno sia orientato al non rispetto della Costituzione. Da sempre, esiste un diritto costituzionalmente tutelato ma che, ai fini dell'attuazione, esige anche un obbligo di copertura. Quale dovrebbe essere il superamento della posizione che lei ha espresso? Forse quello dell'eliminazione dell'obbligo di copertura per i diritti costituzionalmente tutelati?

LINDA LANZILLOTTA. Intanto, vorrei ringraziare tutti i nostri ospiti che ci hanno fornito molti elementi di riflessione.
Vorrei porre alcune domande, con una premessa. Credo che noi abbiamo un'opportunità che dobbiamo saper cogliere, ed è data dall'intreccio di questi due grandi processi che si aprono: l'attuazione del federalismo e questo intervento normativo. A mio avviso, è davvero importante intrecciarli nel modo appropriato. Tuttavia, voglio segnalare - sono un po' stupita che non emerga nella proposta di legge e non sia emerso ieri nell'audizione della Ragioneria generale dello Stato, né oggi - che c'è un'altra grande legge di riforma che il Governo ha varato e che è oggetto di un'azione di informazione molto importante nei confronti dell'opinione pubblica.
Mi riferisco alla legge n. 15 del 2009, concernente la riforma della pubblica amministrazione, promossa dal Ministro Brunetta. Attraverso un processo di rimozione, forse freudiana, questa proposta di legge non cita tale riforma né cita il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. Ebbene, proprio per le cose che dicevano Carabba e De Ioanna, domando se sia possibile pensare a un sistema contabile che prescinde dalla realtà sottostante.
Se consideriamo il sistema di bilancio come una proiezione di attività amministrative e, quindi, di una loro organizzazione gestionale secondo programmi, missioni e via elencando, non possiamo prescindere dal considerare le modalità con le quali l'amministrazione si adegua alle missioni


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di politica economica e di politica di bilancio che il Parlamento prevede.
Uno degli elementi di superfetazione dell'amministrazione deriva dal fatto che ogni volta che la legge indica una nuova missione sostanziale, l'amministrazione crea altre strutture, senza mai smontare quelle preesistenti. In parte, ciò avviene perché un eventuale intervento è complicato: in altre parole, c'è un'inerzia derivante dalla complessità di adeguare l'organizzazione alle missioni.
La questione che io vorrei porre è se non si debba pensare ad un intreccio sistemico di queste tre linee di azione, anche perché gli indicatori di conseguimento delle missioni devono necessariamente coincidere o convergere con gli indicatori di performance previsti nella legge n. 15 del 2009. Penso che il Parlamento, per parte sua, ma anche il Governo, debbano avere una visione integrata dei processi. Vorrei sapere, quindi, come considerate questo aspetto.
Sui diritti aspetto la risposta del professor Brancasi, ma la mia risposta è nell'articolo 3 della Costituzione: una volta che la legge ha stabilito e riconosciuto un diritto, questo deve essere riconosciuto a tutti, a prescindere dalla copertura. Se poi la copertura non basta, allora quel diritto non si può concedere e bisogna ridurlo per tutti.
A chi ha soprattutto esperienza diretta, ma anche dal punto di vista scientifico, della funzione di controllo del Parlamento, vorrei rivolgere un'ulteriore domanda. Una soluzione organizzativa prospettata è quella di intestare la funzione di monitoraggio dei conti pubblici - che è anche una funzione evidentemente non burocratica, non tecnica, ma politica, in quanto di natura parlamentare e, quindi anche di controllo, non solo di verifica degli standard - a una Commissione bicamerale, distinta dalle Commissioni permanenti competenti in materia di bilancio, le quali accanto alle funzioni di controllo, hanno funzioni di spesa, di bilancio, che quindi integrano nel rapporto dialettico con il Governo poteri diversi.
Nella loro esperienza, anche comparata, una soluzione di questo genere, anche alla luce di come si è attestato il rapporto Governo-Parlamento nel nostro ordinamento, è più o meno efficiente di quella che vedrebbe attribuire questo ruolo alle Commissioni permanenti?

PIER PAOLO BARETTA. Signor presidente, esprimerò solo alcune osservazioni. Uno dei punti cruciali della discussione, non solo dal punto di vista contabile, ma anche per il significato che ha, è il passaggio alla cassa.
Sono chiare le ragioni dei sostenitori di questa tesi, ossia la volontà di rompere lo schema consolidato attuale, che non consente controlli, e di introdurre elementi di novità.
Vorrei chiedere, soprattutto ai sostenitori di questa tesi, innanzitutto se è immaginabile che questa sia una transizione anche verso l'affiancamento di un sistema di competenza non giuridica. È realistico pensarlo o, come qualcuno ha sostenuto anche in audizione, è irrealistico, quindi non conviene nemmeno passare alla cassa? Io penso che convenga, ma vorrei capire se la cassa ha come obiettivo di medio periodo quello di arrivare ad essere accompagnata da una competenza economica.
In secondo luogo, quali sono i tempi della sessione? In particolare il professor Carabba si è intrattenuto su questo punto cruciale. È evidente che, nelle intenzioni complessive dell'atteggiamento dei Governi, e del Governo in questo caso, vi è quella di valorizzare al meglio tale sessione.
Quanto alla fissazione nei due tempi, professor Carabba, lei ha detto che si può anche slittare un po' in avanti e arrivare a ridosso della cosiddetta pausa estiva. Nell'impostazione che lei ha affermato mantiene un carattere fondamentale la prima parte, cioè la fissazione dei saldi. Ritiene, o ritenete, che ci siano dei punti di mediazione tra quanto la proposta di legge prevede e questa impostazione? A me pare che ve ne siano pochi, ma vorrei


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capire se da una lettura più approfondita della proposta di legge possano emergere degli spazi oppure no.
Infine, non c'è dubbio che l'equilibrio tra il peso della Ragioneria generale dello Stato e i poteri contrapposti sia una delle questioni più importanti. Qui veniva addirittura avanzata una proposta concreta, quella di una agenzia. Al di là dello strumento, ritenete che gli uffici parlamentari, senza sostituire il ruolo politico delle Commissioni bilancio, possano assumere un ruolo di coordinamento? In altre parole, anziché istituire un nuovo organo, possiamo mettere insieme le risorse di altri pezzi indipendenti? Non c'è solo la Ragioneria generale dello Stato, in questo Paese, ma si potrebbero valorizzare altri istituti, ovviamente raccordati da un soggetto che potrebbe essere il Parlamento.

MARCO CAUSI. Mi associo anch'io ai ringraziamenti a tutti gli esperti intervenuti questa mattina. Considerato che abbiamo l'opportunità di avere con noi il Gotha della scienza giuridica ed economica in merito all'amministrazione pubblica in Italia, vorrei chiedervi di riflettere su un elemento che, anche dal punto di vista metodologico, non è ancora assestato. Mi riferisco al sistema dei controlli, del quale molti di voi hanno parlato.
La prima domanda che, secondo me, dobbiamo porci è quanto del sistema dei controlli debba essere parlamentare e quanto debba essere intergovernativo. È probabile, infatti, che i controlli che si fanno a livello parlamentare, pensiamo al Congressional Budget Office (CBO), debbano essere meglio definiti. La questione che dobbiamo sciogliere è se tale sistema deve essere onnicomprensivo oppure c'è un'altra categoria di sistema dei controlli, che a questo punto deve essere anch'essa specificata e delimitata, che, in un sistema federale, avviene dentro un ambito intergovernativo.
Mi pare che il primo punto, dunque, sia quello di distinguere l'area del controllo parlamentare, anche nei suoi contenuti e metodologie, da quella dei controlli - diciamo così - amministrativi. Credo che si debba svolgere una riflessione al riguardo, tenendo conto anche dell'esperienza di altri Paesi.
Per quanto riguarda la prima area, un'ipotesi prevista in questa proposta di legge è quella di costituire una Commissione bicamerale, con annesso un servizio tecnico unico, una sorta di embrione di CBO. Quanto poi esso debba essere forte, competente, ampio o stretto, dipenderà da come rispondiamo al punto metodologico di cui sopra, ossia di che cosa si debba occupare. Se si deve occupare di tutti i controlli intergovernativi, allora deve essere molto ampio. Mi pare si tratti di un'area di incertezza da sciogliere.
Per quanto riguarda, invece, la seconda area di controlli, siamo di fronte a Scilla e Cariddi. Questo Parlamento, nella legge n. 42 del 2009, aveva definito un luogo di controllo intergovernativo, assegnandogli anche poteri forti. Mi riferisco alla Conferenza permanente. Noi abbiamo una tradizione di conferenze. Finché in Italia non ci sarà il Bundesrat, il sistema delle conferenze rappresenterà una sede intergovernativa.
Una delle attività che la Grosse Koalition ha portato avanti in Germania negli ultimi due anni è stata quella di risistemare alcuni aspetti del federalismo tedesco. Mi scuso per la digressione, ma ho letto articoli di studiosi tedeschi, i quali sostengono che, rispetto al modo in cui ha funzionato il loro federalismo, con il loro Bundesrat, invidiano il nostro sistema delle conferenze così come è attualmente strutturato. La situazione sarebbe, quindi, migliore in Italia.
Questo punto, dunque, mi fa rendere conto del fatto che non tutto può essere parlamentare. Attenzione, è chiaro che questo Parlamento - questa è un'altra questione, forse più politica - rappresenta tutta la Repubblica, non solo lo Stato. In questa sede ci occupiamo anche di beni pubblici locali, di regioni, province, comuni, e non solo dello Stato. Da questo punto di vista, si pone un altro aspetto politico-metodologico da assestare.
Ciò che resta intergovernativo, a questo punto, deve essere gestito o seguendo


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la strada tracciata dalla legge n. 42, nell'ambito della Conferenza permanente, la Commissione tecnica paritetica, cui partecipano tutti, e sviluppando tecno-strutture e organi condivisi tra Stato, regioni e autonomie locali, oppure assegnando tutti i poteri alla Ragioneria generale dello Stato. Fra questa Scilla e questa Cariddi può porsi invece un'autorità indipendente? Vorrei ragionarci. A me non sembra che la riflessione sia ancora sufficiente.
Preliminarmente, vorrei capire qual è l'area dei controlli parlamentari e quale quella dei controlli intergovernativi. Se è più efficiente pensare a un'area dei controlli parlamentari molto estesa, allora questo Parlamento diventerebbe veramente federale. Oppure integriamo la Commissione per la trasparenza dei conti pubblici con la rappresentanza delle autonomie, come abbiamo fatto con la Commissione bicamerale. O ancora, se resta comunque - e secondo me resta comunque - un'area di controllo intergovernativo, non ci basta la conferenza prevista dalla legge n. 42, ma occorrono altri organi? Dipenderà naturalmente anche da come disegniamo operativamente l'area dei controlli da effettuare.
Su questo, anche nelle prossime settimane - non dobbiamo risolverlo nella prossima mezz'ora - è necessario un aiuto, anche da parte del mondo accademico e scientifico, alla nostra decisione.

LINO DUILIO. Ringrazio anch'io i nostri ospiti per gli interventi svolti. Vorrei porre alcune domande specifiche e una di carattere generale.
Se possibile, anche in termini molto netti, vorrei una risposta in merito alla Commissione parlamentare per la trasparenza dei conti pubblici. Poiché il nostro è un Paese in cui fioriscono le commissioni - secondo il detto popolare, quando non si vuole risolvere un problema, si crea una commissione - vorrei conoscere la vostra opinione al riguardo.
Ho presente il modello statunitense del CBO. Vorrei ricordare, peraltro, che, come voi tutti sapete negli Stati Uniti non c'è solo il CBO, ma ci sono anche il GAO (Government accountability office) e il MBO (Management by objectives). Esiste un impianto complessivo che, in una visione di sistema, vede un organismo dotato di circa 250 persone - e quindi di non poche risorse - e che si avvale di consulenze di premi Nobel per l'economia, con relativi stanziamenti budgetari che ne consentono il funzionamento. Non vorrei che, come si dice a Roma - non sono romano e chiedo scusa per la pronuncia - pensassimo a un CBO «de' noantri», finendo per renderci ridicoli.
Al di là di una lettura che può essere un po' prevenuta, nel mio intervento, vorrei conoscere, se possibile in termini netti, la vostra opinione. Nella legislatura scorsa, avevamo provato a immaginare - poi la legislatura è durata poco - che si «distillasse» un comitato paritetico tra Camera e Senato, nell'ambito delle Commissioni bilancio. Intendo dire un organismo di natura parlamentare, quindi politico-istituzionale, il quale, avvalendosi di una struttura tecnica unificata tra i servizi del bilancio di Camera e Senato, auspicabilmente potenziata - avevamo stanziato anche alcuni fondi - oltre ad avere le competenze occorrenti, in linea con quanto da voi auspicato, le integrasse con competenze di economisti, statistici, e si avvalesse della consulenza di prestigiosi istituti esterni. Tale organismo, in sostanza, utilizzando dati in linea, avrebbe dovuto fornire alle Commissioni bilancio di Camera e Senato gli elementi che debbono essere conosciuti non solo da parte del Governo ma anche da parte nostra, in modo tale che, quando ci si presentano previsioni su dati tendenziali, possiamo essere seriamente in grado di dire la nostra, lasciando però al Parlamento una sovranità. Diversamente - almeno, questa è la mia impressione - la creazione di un'ulteriore commissione potrebbe comportare una depressione, anche psicologica, delle Commissioni bilancio, che si dovrebbero sentir dire da un altro organismo come va il mondo, prima di poter


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agire. Inoltre, non capirei bene, rispetto ai servizi tecnici di Camera e Senato, che cosa succederebbe.
Eviterei, dunque, di creare un ennesimo organismo, considerato che ci sono già troppe commissioni in Italia. Sono, tuttavia, laicamente disponibile a cambiare parere, qualora avessi capito male. Chiederei, dunque, una vostra opinione su questo aspetto.
Il secondo punto, di cui non ho sentito molto parlare, riguarda la Corte dei conti. Dal momento che - immagino - dovremo fare una riforma complessiva di sistema, all'interno della quale si collochino tasselli di un mosaico organico complessivo, laddove esiste il problema, che veniva prima citato, della Ragioneria generale dello Stato (ossia di stabilire se effettivamente i suoi poteri sono troppi o pochi, e se la si debba distribuire sul territorio o altro), si pone anche la questione della Corte dei conti che, dopo autoriforme tentate e in parte realizzate, non capisco bene che cosa sia oggi, se devo essere anche in questo caso molto brutalmente sincero.
Vorrei conoscere la vostra opinione rispetto all'affresco che dovremmo realizzare, per cercare di capire, sapendo che esiste l'articolo 100 della Costituzione, in che cosa deve consistere la Corte dei conti.
Per quanto riguarda i controlli che venivano prima evocati, siamo assolutamente consapevoli che il Governo deve avere più elasticità, flessibilità e via elencando. Considerato, però, che fino a prova contraria siamo ancora una Repubblica parlamentare, vorremmo che il Parlamento contasse sul serio, dal momento che oggi conta poco o nulla. Ora il Parlamento si limita a chiosare qualche documento, con la bollinatura della Ragioneria generale dello Stato, che è diventata una sorta di telegramma sintetico dell'oracolo di Delfi che, a volte anche senza che sullo stesso sia presente alcuna firma, fa pervenire in Commissione bilancio due righe, scritte non si sa bene da chi, per dire che tutto va bene. Spesso arriviamo al ridicolo, per quanto riguarda le relazioni tecniche. Ci troviamo in una condizione - se vogliamo parlarci chiaro - che bisogna assolutamente e radicalmente sovvertire, conferendo al Parlamento, a maggior ragione se si va verso il federalismo e verso un bilancio per missioni e programmi, un potere di controllo vero.
A vostro avviso, è plausibile immaginare che da parte delle Commissioni parlamentari, da un punto di vista tecnico, possano essere espressi pareri rispetto all'operato del Governo, anche solo in negativo? Intendo pareri vincolanti che, all'interno della riorganizzazione per missioni e programmi - auspicabilmente ridefinita con una delega legislativa ad hoc, che, secondo me, dovrebbe riscriverla completamente - portino per un verso all'accountability e, per l'altro, a esprimere la volontà politica del Parlamento.

ANTONIO LEONE. Signor presidente, vorrei rivolgere un'osservazione al professor Carabba a proposito dei collegati. Quanto all'inesistenza o all'inconsistenza nella proposta di legge di disposizioni volte a disciplinarli, ricordo che, nel Regolamento attuale della Camera, previsioni in materia di collegati esistono già e una certa priorità è già conferita a questi provvedimenti. Noi faremo, però, all'esito di questo provvedimento, anche una contestuale miniriforma dei Regolamenti legata all'evoluzione della materia. Il problema, comunque, è stato già affrontato: esiste già una regolamentazione di priorità all'interno del Regolamento della Camera per quanto riguarda i cosiddetti «collegati».

PRESIDENTE. Grazie. A questo punto lasciamo spazio alle repliche.

MARCO MENEGUZZO, Professore ordinario di economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche presso l'Università di Tor Vergata di Roma. Signor presidente, rispondo velocemente alla domanda sulle aziende sanitarie locali che, visti i temi sollevati, passa un po' in secondo piano. Vorrei sottolineare che le aziende sanitarie e ospedaliere, che gestiscono circa 105 miliardi di euro, hanno adottato in un anno e mezzo la contabilità


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economica. Le aziende ospedaliere delle regioni oggetto di piano di rientro, che venivano citate, si sono uniformate in circa due anni.
In termini di effetto, i sistemi di contabilità economica hanno effettivamente facilitato un maggior controllo della spesa. A tal proposito, ricordo che un conto è la cassa, un altro quello che si chiama cash flow. La pubblica amministrazione italiana ha poca esperienza di gestione di liquidità. Si può fare la normativa sui bilanci di cassa, ma il cash flow è una questione diversa.
Permettetemi un'altra osservazione velocissima. Veniva citato prima dall'onorevole Lanzillotta il tema del raccordo con la legge n. 15 del 2009 e delle sue interazioni con il federalismo e la riforma dei sistemi contabili. Ebbene, nella proposta di legge C. 2555 viene fatta menzione ai sistemi di performance e controllo. Devo dire che nella legge n. 15 del 2009 è presente un sistema di valutazione, che stride con qualsiasi visione federalista dello Stato. Preconizzare la costituzione di agenzie nazionali di valutazione contrasta con la legge sul federalismo. Inoltre, laddove nella legge n. 15 del 2009 si parla di misurazione e valutazione della performance richiamata nel testo della proposta di legge non viene fatto nessun riferimento alla vigente legge di riforma del sistema dei controlli (decreto legislativo n. 286 del 1999), che prevede l'obbligatorietà del controllo strategico e del controllo di gestione per tutte le pubbliche amministrazioni e via dicendo.
Condivido che debba esserci il collegamento, ma è anche opportuna un'attenzione particolare. Mi riferisco alla prima parte della legge n. 15 del 2009.

ANTONIO BRANCASI, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Firenze. Signor presidente, vorrei fare una premessa che mi consente anche di rispondere alla questione del sistema contabile unico e della classificazione uniforme. La contabilità pubblica è un sistema non soltanto finanziario, ma si caratterizza per il fatto di basarsi su un bilancio preventivo con funzione legittimante. Tale bilancio preventivo è approvato da un organo politico di vertice.
La contabilità pubblica ha, dunque, rilevazioni in ordine all'attuazione del bilancio, ma può averne anche altre. Intendevo ciò quando parlavo di strumento di governo. Il passaggio a una contabilità economica è avvenuto. Diciamo che questo sistema ha caratterizzato tutte le pubbliche amministrazioni, a eccezione degli enti pubblici economici, in quanto titolari di impresa. Ne sono rimasti fuori anche settori che non svolgevano attività di impresa, ad esempio le aziende sanitarie. Tuttavia, l'estensione alle aziende sanitarie parte dall'idea di aziendalizzare tale tipo di attività. Si può anche immaginare di buttare tutto all'aria e fare a meno di tutto ciò, ma sia chiaro che si butta alle ortiche un pezzo di parlamentarismo, perché il Parlamento nasce su questa funzione. Si può far tutto, quindi, però bisogna aver chiare le conseguenze. Mi riferisco all'eventualità, prospettata da alcuni, di adottare una contabilità di cassa per poi passare, un domani, a una contabilità economica. Mi sembra che sia abbastanza.
Vengo al sistema contabile unico e alla classificazione uniforme. A mio parere, il sistema di contabilità pubblica deve essere unico, cioè i concetti devono essere uguali per tutti, ma non si tratta di classificazione uniforme. La classificazione usata dallo strumento di governo, dal bilancio, non deve essere necessariamente uniforme. La classificazione delle poste non deve essere uniforme, perché, essendo uno strumento di governo, in base a come si classificano le poste e le si iscrive in bilancio si sceglie il modo di governare.
Questo non significa che si debba rinunciare a un consolidamento. Si recupera tale aspetto attraverso la riclassificazione dei dati.

ANTONIO LEONE. Ex post!

ANTONIO BRANCASI, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Firenze. Anche a preventivo e, a maggior ragione, a consuntivo diventa


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abbastanza semplice, perché su ogni atto di spesa si possono inserire codifiche che consentono di classificarlo secondo una classificazione unica per tutti. Non è, però, la classificazione che si utilizza per lo strumento di governo.
Per quanto riguarda i diritti costituzionali, i diritti sociali, la mia opinione è che alcuni di questi diritti discendono direttamente dalla Costituzione, ovvero sono azionabili. Questi diritti non sono sottoposti all'obbligo di copertura. La Corte costituzionale ha emanato sentenze additive, in cui ha detto ai cittadini che il rimborso delle spese sanitarie sostenute all'estero spetta laddove essi si trovino all'estero per determinati motivi. In questo caso, ha riconosciuto un diritto azionabile, sottraendolo all'obbligo della copertura, perché esso discende direttamente dalla Costituzione. Naturalmente sono situazioni abbastanza circoscritte.
Per il resto, i diritti sono finanziariamente condizionati all'esistenza di una legge ordinaria che dia attuazione alla norma costituzionale. Tale legge ordinaria è sottoposta all'obbligo della copertura. Il problema è se la legge che riconosce il diritto reca la necessaria copertura oppure no. Non si può parlare di un tetto, così che, se lo si supera, il diritto viene meno. Il diritto esiste oppure no.
Può verificarsi che sia stata effettuata una sottostima degli oneri reali di una determinata legge che garantisce certi diritti per cui gli oneri stessi non coincidono con il costo effettivo determinando una carenza di copertura. La Corte costituzionale non ha affermato che a rendere incostituzionale la norma che riconosce un diritto è la semplice difformità tra le risorse necessarie a garantire il diritto e le risorse stanziate per la copertura. In realtà, a rendere incostituzionale la norma è il fatto che il legislatore abbia alterato i reali effetti finanziari della norma, abbia effettuato una quantificazione volutamente sbagliata, pur avendo tutti i dati per quantificare esattamente. Non so se tale risposta sia soddisfacente.

PAOLO DE IOANNA, Consigliere di Stato. L'onorevole Leone ha posto un problema specifico. La copertura, per come è concepita nell'articolo 81 della Costituzione, non è tecnicamente legata a un dato specifico. La Costituzione afferma che il bilancio deve essere finanziario e di previsione e, nel quarto comma dell'articolo 81, introduce l'obbligo della copertura.
Ora, il problema se l'envelope (il bilancio di previsione costituito da risorse autorizzatorie riconducibile al principio di specialità richiamato in precedenza) è costituito in termini di cassa o di competenza non significa che se lo facciamo di cassa distruggiamo il processo di assunzione degli impegni. Il problema è semplicemente organizzativo. Se il bilancio è di cassa, aumenta la responsabilità del dirigente, il quale, evidentemente, se non è dissennato, quando prende un impegno deve verificare che ci sia la cassa, e non può prendere impegni senza cassa perché non ci sono i residui. Questo è un problema di responsabilità. Allora, nel dibattito agli inizi del novecento, prevalse la tesi di Crispi di non fidarsi dei dirigenti, ritenuti degli imbroglioni.
Nei sistemi anglosassoni, francese e altri, che funzionano con una maggiore responsabilità del dirigente, questi tiene un conto degli impegni. Quando assume gli impegni il dirigente situa il cronoprogramma sulla cassa, quindi c'è una corrispondenza tra impegni e cassa. Detto questo, è evidente che le posizioni giuridiche - ma qui occorre prendere in considerazione non solo la Corte costituzionale italiana, ma anche quella tedesca e altre - non stanno nella contabilità. Se il diritto c'è ed è azionabile, a maggior ragione il dirigente è tenuto a coordinare impegni e cassa. Il sistema di cassa si può variare, ma quello che rimane è il carattere autorizzatorio. In tal caso, allora, la copertura la si fa sulla cassa. Si sposta cioè il criterio della copertura ex ante sulla cassa.
Capisco dunque il senso delle osservazioni, ma rispondo che rimanendo un bilancio finanziario, un bilancio ex ante,


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un bilancio autorizzatorio, la copertura così come la si costruisce sull'impegno la si costruisce sul limite di cassa.
Certamente bisogna riorganizzare lentamente tutte le procedure informatiche e - questo è il vero problema, il vero punto, a mio modo di vedere, di conflitto - bisogna attribuire ai dirigenti una vera responsabilità e prevedere sistemi di controllo rapidi, per cui se il dirigente va fuori dai limiti, evidentemente non deve aspettare la Corte dei conti, ma occorre uno strumento impeditivo, immediato, della Ragioneria, che lo blocchi. Questo tecnicamente è possibile prevederlo.
Infine, rispondo brevemente agli onorevoli Duilio e Lanzillotta. Nel 1978 - io ero al Senato - ci fu una bellissima discussione fra un Ministro del bilancio, molto simpatico, Morlino, e il presidente della Commissione bilancio, sulla costituzione di una commissione tecnica per la spesa pubblica. Prevalse, allora, una tesi gradualista. Penso che noi siamo prigionieri dello stesso gradualismo, presidente Duilio. Dobbiamo, invece, operare delle scelte, che riguardano strumenti e fini. La Commissione per la trasparenza dei conti pubblici mi sembra una novità, ma il problema è avere consapevolezza che senza strumenti non si controlla nulla.

PRESIDENTE. Ringrazio quanti sono intervenuti per il contributo offerto. Saranno parimenti graditi ulteriori contributi scritti, che potranno far pervenire nel corso dell'esame della proposta di legge.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 14,30.

La seduta, sospesa alle 11, è ripresa alle 14,40.

PRESIDENTE. Riprendiamo la seduta. Sono presenti: Carlo Buratti, Giorgio Macciotta, Giuseppe Pisauro e Claudio Siciliotti.
Do la parola ai nostri ospiti per lo svolgimento della relazione.

CARLO BURATTI, Professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università di Padova. Avrei preferito parlare alla fine della seduta, poiché non svolgerò una rassegna analitica ed esaustiva di questa proposta di legge, bensì mi soffermerò soltanto su alcuni punti. Altri più esperti di me di bilancio e contabilità pubblica potranno essere più esaurienti. Del resto, concordo con alcuni rilievi che sono emersi nel dibattito finora svolto, sollevati da parte di taluni esperti invitati a questa stessa audizione.
Sono convinto che, in un sistema fortemente decentrato, come quello disegnato dalla legge n. 42 del 2009, sia estremamente importante il coordinamento della finanza pubblica, senza il quale non credo che si possa garantire l'omogeneità della politica economica.
Il coordinamento della finanza pubblica deve garantire la convergenza dei comportamenti e delle scelte, ai diversi livelli di governo, verso obiettivi condivisi e, in particolare, verso gli obiettivi conseguenti al patto di stabilità e crescita che ci lega agli altri Paesi europei.
Il problema, in realtà, è più generale. Infatti, un sistema fortemente decentrato e federalista, come quello che stiamo avviando, richiederà una serie di tavoli di concertazione che riguardino anche la politica industriale, dell'ambiente e via dicendo, per evitare che le politiche seguite a livello centrale possano essere vanificate da decisioni in senso contrario assunte a livello regionale o locale.
Ad esempio, la politica di diversificazione delle fonti energetiche, che viene perseguita giustamente a livello centrale, potrebbe essere vanificata da vincoli o divieti posti dalle amministrazioni regionali o locali. Questa è anche l'esperienza attuale.
Il federalismo richiede una serie di tavoli di concertazione, che non riguardano soltanto la politica di bilancio, come dimostra l'esperienza di altri Paesi (ad esempio la Germania e la Spagna), in cui sono presenti commissioni specifiche per le diverse materie.
Venendo alla proposta di legge C. 2555, devo dire che mi è parso bene impostato. Esso prevede l'armonizzazione della contabilità


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pubblica per tutti gli enti della pubblica amministrazione, in modo da consentire il consolidamento dei conti della PA e il confronto dei dati fra singoli enti dello stesso livello di governo, quindi il benchmarking delle attività della PA.
Inoltre, consente stime significative dei costi standard, ai sensi della legge n. 42 del 2009 (aspetto molto importante, perché i costi standard assumono un ruolo chiave nel finanziamento delle regioni) e la verifica del rispetto degli obiettivi del patto di stabilità.
Il coordinamento dei principi di bilancio e delle modalità con cui i bilanci sono redatti è fondamentale per avere il controllo della finanza pubblica, ai vari livelli.
La proposta di legge C. 2555 consente inoltre una maggiore trasparenza dei conti pubblici - ritengo anche questo un aspetto estremamente importante - con l'articolo 2, comma 2, lettera c), che dispone l'adozione di schemi di bilancio articolati in missioni e programmi, analogamente al bilancio dello Stato, coerenti con la classificazione economica e funzionale individuata dai regolamenti comunitari. Dispone, inoltre, sempre nel comma 2 dell'articolo 2, alle lettere e) ed f), l'adozione del bilancio consolidato delle amministrazioni pubbliche con le proprie aziende, società e altri organismi controllati nonché l'adozione di un sistema di indicatori di risultato, semplici e misurabili, costruiti secondo metodologie comuni alle diverse amministrazioni.
Sul consolidamento del bilancio delle amministrazioni pubbliche con le proprie aziende, società o enti controllati, occorre rilevare che l'operazione non sarà semplice, perché soprattutto la struttura della contabilità delle società per azioni è estremamente diversa rispetto alla contabilità pubblica e, quindi, occorrerà in qualche modo costruire quadri di raccordo, fissare criteri che consentano di trasformare in una contabilità pubblica la contabilità basata sul codice civile.
Credo che, se anche non si riuscirà mai a superare completamente questo problema, potrebbe essere utile l'obbligo di allegare al rendiconto delle amministrazioni pubbliche i bilanci degli enti e delle società controllate, o anche solo partecipate con una certa quota di capitale sociale. Sarebbe, comunque, un elemento di trasparenza, che potrebbe essere utile e migliorerebbe il testo della proposta di legge.
Anche gli indicatori di risultato sono una necessità, se vogliamo introdurre trasparenza nella pubblica amministrazione. Quindi, le norme presenti nella proposta di legge sono sicuramente utili e condivisibili, però, anche qui va sottolineato che non è agevole trovare indicatori di risultato per tutte le attività della pubblica amministrazione. Il compito sarà abbastanza arduo.
In termini positivi va anche considerata la fissazione di obiettivi di indebitamento netto, del saldo di cassa e del debito delle amministrazioni pubbliche, articolati per sotto-settori. Questi obiettivi saranno fissati nella Decisione di finanza pubblica, ex articolo 10.
La probabilità che questi obiettivi siano rispettati e raggiunti, dai diversi livelli di governo, dipende dal grado di condivisione delle scelte. A questo fine la proposta di legge prevede un parere preventivo della Conferenza unificata che, secondo me, è utile ma non è sufficiente. Probabilmente, ci vorrebbe un'intesa per avere un forte consenso, un'adesione a questi obiettivi da parte delle regioni e degli enti locali. In altre parole, ci vorrebbe un'intesa fra i diversi livelli di governo, insieme alla Conferenza unificata.
Ricordo che l'ANCI (e forse anche l'UPI), hanno protestato vivacemente per gli oneri del patto di stabilità che sono stati posti a carico delle rispettive amministrazioni in tempi recenti, poiché proporzionalmente graverebbero molto di più sugli enti locali che non sulle regioni, che sono maggiormente responsabili di sfondamenti dei vincoli di bilancio e di violazioni del patto di stabilità.
Ciò potrebbe anche richiedere un'anticipazione della presentazione della legge finanziaria, che consentirebbe di dare agli enti locali e alle regioni indicazioni precise


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sulle risorse di cui potranno disporre, oltre che sugli obiettivi che dovranno perseguire.
Condivido anche in pieno l'importanza che la proposta di legge dà al monitoraggio dei conti pubblici e che si estende alla valutazione e alla coerenza dei bilanci di previsione di amministrazioni pubbliche, consolidati per sottosettori, con gli obiettivi di finanza pubblica.
Ritengo che sia importantissimo individuare tempestivamente le deviazioni dei conti pubblici dagli obiettivi di finanza pubblica, per apprestare gli opportuni correttivi.
La proposta di legge va in questa direzione, tuttavia mi pare in misura ancora abbastanza timida, poiché l'articolo 15 non chiarisce che cosa succederebbe se il monitoraggio rivelasse la discordanza tra i bilanci preventivi consolidati di uno o più sottosettori e gli obiettivi di finanza pubblica. Personalmente, nel progetto di legge non ho trovato indicazioni al riguardo.
La proposta di legge C. 2555 non prevede, in generale, sanzioni in caso di mancato rispetto degli obblighi da parte delle amministrazioni pubbliche, ma a ciò provvede la legge n. 42 del 2009, che prevede già pesanti sanzioni nel caso non vengano rispettati gli obiettivi di finanza pubblica. Si tratta di sanzioni molto severe, che possono arrivare fino all'ineleggibilità degli amministratori locali, nel caso in cui, dalle scelte o dall'inazione degli stessi, derivi uno stato di dissesto dell'ente.
Quindi, le disposizioni della proposta di legge vanno considerate congiuntamente ai contenuti della legge n. 42. Nel complesso, questi due articolati mi sembrano soddisfacenti da tale punto di vista.
Fra la proposta di legge e la legge n. 42, come sottolineato da più parti, esistono problemi di coordinamento, che potrebbero richiedere l'abrogazione della lettera h) dell'articolo 2, comma 2, della legge n. 42, che fissa alcuni princìpi per l'armonizzazione dei bilanci pubblici.
Credo infatti che princìpi e regole di questo tipo debbano stare in un unico documento. Non possiamo averne parte nella legge n. 42 e parte nella proposta di legge C. 2555.
Per coerenza, potrebbe forse essere abrogata anche la lettera i) del comma 2 dell'articolo 2 della legge n. 49, che prevede l'obbligo di pubblicazione su Internet dei bilanci semplificati. Tale norma potrebbe essere recuperata nella proposta di legge attualmente all'esame della Camera.
Vi sono altri due articoli nella legge n. 42 del 2009, e specificamente il 17 e il 18, che probabilmente devono essere armonizzati con la proposta di legge C. 2555. Mi sembra che gli interventi debbano essere attuati sulla base delle norme della legge già approvata e che non si possa procedere diversamente.
L'obiettivo della trasparenza dei conti pubblici è ritenuto molto importante dalla proposta di legge e anche su questo mi trovo pienamente d'accordo. Anzi, questo obiettivo è talmente importante che, all'articolo 4, viene prevista l'istituzione della Commissione parlamentare per la trasparenza dei conti pubblici.
Tuttavia mi è sorta una perplessità, perché i compiti della Commissione hanno contenuti così tecnici da sembrare più appropriati per una Commissione tecnica, che per una Commissione parlamentare.
L'articolo 4 della proposta di legge prevede che la Commissione, fra l'altro, esprima indirizzi sulle metodologie per la costruzione di andamenti tendenziali di finanza pubblica e sulle metodologie per la quantificazione delle innovazioni legislative. Mi parrebbe che questi siano compiti squisitamente da Commissione tecnica, più che da Commissione parlamentare, senza voler ovviamente negare le competenze di alcuni membri del Parlamento e di questa Commissione.
Vorrei infine fare una proposta, che potrà sembrare bizzarra, ma che ha un suo interesse. L'avevo formulata in un seminario propedeutico a questa riunione, quindi oso riproporla. Il problema del controllo dei conti pubblici, in un sistema di finanza federale, o ampiamente decentrata, è ovviamente uno dei problemi principali della finanza pubblica, se non il


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principale in assoluto. Quindi, bisogna chiedersi quale sia l'efficacia del monitoraggio e delle misure sanzionatorie per gli enti territoriali (regioni, comuni e province) che non rispettino gli obiettivi del patto di stabilità o, più in generale, gli obiettivi di finanza pubblica.
La proposta di legge C. 2555 e la legge n. 42 del 2009 prevedono meccanismi di monitoraggio e sanzioni, anche molto severe come ho detto prima; però, l'esperienza rivela che la minaccia di sanzioni non è sempre sufficiente a determinare comportamenti virtuosi. La questione riguarda più le regioni che gli enti locali e, in particolare, alcune regioni. Gli enti locali hanno per molti anni rispettato, come comparto, il patto di stabilità e solo recentemente hanno avuto problemi, in seguito alle ripetute strette finanziarie. Alcune regioni, viceversa, hanno accumulato deficit di miliardi di euro.
Ebbene, il problema è che le sanzioni si applicano dopo che lo sfondamento massiccio dei vincoli di bilancio si è già verificato. Solo dopo, quindi, si possono aumentare le aliquote delle imposte regionali fino al valore massimo, si può imporre il divieto di assunzione di personale e applicare tutte le altre misure previste in tali casi dalla legislazione vigente. Il rientro verso l'equilibrio dei conti può richiedere anni (come l'esperienza insegna) e, quindi, il deficit delle regioni per anni va a gravare sui saldi della pubblica amministrazione rilevanti ai fini del patto di stabilità e crescita.
Sarebbe opportuno cercare di anticipare i controlli sui conti delle regioni alla fase preliminare di predisposizione dei bilanci di previsione e delle leggi finanziarie regionali. L'esame attento di questi disegni di legge finanziaria e di bilancio potrebbe rivelare i pericoli di sfondamento dei tetti di spesa o dei vincoli di bilancio, se non addirittura la certezza di questi sfondamenti.
Quando i deficit sono così massicci, come si sono avuti per alcune regioni, credo che già dall'esame del disegno di legge finanziaria questa eventualità dovesse risultare chiara.
Il problema consiste nel fatto che la Ragioneria generale dello Stato non può operare un controllo preventivo sui bilanci delle regioni, data l'autonomia di questi enti. Tuttavia, non sarebbe impossibile a norma della Costituzione, un controllo incrociato delle regioni sui bilanci delle altre regioni, ovvero una peer review effettuata all'interno della Conferenza delle regioni e delle province autonome.
L'idea mi è venuta considerando ed esaminando la procedura che viene utilizzata dall'Unione europea per esaminare i programmi di stabilità dei Paesi membri. Questi ultimi presentano alla Commissione europea le proprie previsioni di bilancio e i disegni di legge finanziaria. La Commissione europea, con EUROSTAT, verifica se le ipotesi poste alla base dei conti e riguardanti la crescita del PIL sono ragionevoli; se le stime del gettito delle imposte sono fondate; se i benefici di bilancio che lo Stato ritiene di avere da certe misure di riforma e ristrutturazione, per esempio delle pensioni, sono fondati. La Commissione europea può mettere in discussione l'adozione di certe misure, come quelle una tantum, in quanto garantiscono un miglioramento del bilancio nell'immediato, ma non in modo permanente.
Ebbene, credo che una procedura di questo tipo potrebbe essere applicata anche dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome, con peer review sui bilanci delle regioni stesse.
Le regioni hanno interesse a fare ciò, perché, quando avvengono grossi sfondamenti, come è stato il caso della sanità da parte di alcune regioni, gli oneri vengono poi posti a carico anche delle altre regioni virtuose. Lo Stato, infatti, attinge dalle risorse generali di bilancio, che provengono anche dalle regioni virtuose.
In particolare, se a «sfondare», non rispettando i vincoli di bilancio, sono le regioni meno sviluppate e con la base imponibile più bassa, è chiaro che i costi finiranno per gravare in gran parte sulle regioni più sviluppate, dove si trovano le risorse da prelevare per sanare questi disavanzi.


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Quindi, potremmo avere un contrasto di interessi, che agevolerebbe il controllo sui bilanci delle regioni. Resta il fatto che le regioni non hanno poteri coercitivi, per cui, se si osservasse uno scostamento tra obiettivi posti da una singola regione in base al patto di stabilità e risultati presumibilmente prodotti dalla legge finanziaria regionale, la Conferenza delle regioni e delle province autonome non disporrebbe degli strumenti coercitivi di cui dispone l'Unione europea, che può applicare sanzioni nei confronti degli Stati membri. Tuttavia, ritengo che si potrebbe fare leva sulla moral suasion, o sul convincimento. La Conferenza delle regioni e delle province autonome potrebbe pubblicare il risultato delle analisi svolte sul bilancio delle singole regioni e le raccomandazioni che da questa analisi emergessero. Quindi avremmo una pressione morale sulle regioni che, in una qualche misura, potrebbe dare risultati positivi, anche se non ne abbiamo la certezza.
Inoltre, il Ministero dell'economia e delle finanze sarebbe, per così dire, preallertato. Infatti, se il controllo incrociato rilevasse che i progetti di bilancio o i disegni di legge finanziaria di qualche regione non sono verosimili, il Ministero dell'economia e delle finanze avrebbe contezza di tali situazioni.
Per poter attuare una procedura di questo tipo, occorre il tempo necessario per eseguire la citata peer review. Quindi, le regioni dovrebbero sapere con congruo anticipo, rispetto alla predisposizione dei bilanci, di quali risorse possono disporre.
La tempistica prevista nella proposta di legge mi sembra troppo stretta, per cui non lascerebbe questo tempo a disposizione. Quindi, forse, la procedura di bilancio dovrebbe essere anticipata rispetto a quanto previsto nella proposta di legge, almeno per una parte delle decisioni che normalmente stanno nella legge finanziaria e che attengono alla finanza locale e regionale.

CLAUDIO SICILIOTTI, Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Signor presidente, abbiamo predisposto un documento scritto, che lascerò agli atti della Commissione. Pertanto, molte delle considerazioni che mi accingo a svolgere sono più correttamente riepilogate nel testo scritto.
Farò osservazioni meno ottimistiche e forse meno favorevoli, rispetto a chi mi ha preceduto.
Credo che questa proposta di legge faccia compiere un passo indietro al principio fondamentale della contabilità economica. Sono certo che siamo l'unico Paese d'Europa a non adottare, per gli enti pubblici, la contabilità economica e ho la sensazione che questa proposta di legge, che fa regredire l'adozione di tale contabilità a un ruolo quasi sperimentale, ci allontani dalla corretta rendicontazione che proprio la prospettiva di federalismo fiscale ci richiede.
Ho la sensazione che sarà meno facile, o quasi impossibile, calcolare costi standard in una procedura in cui non è prevista una contabilità economica. Se confrontiamo la validità di una contabilità per cassa con la validità di una contabilità per competenza, è di tutta evidenza che stiamo parlando di due mondi diversi: dal Medioevo al futuro.
In secondo luogo, vorrei fare alcune considerazioni in merito al Comitato per i principi contabili delle amministrazioni pubbliche, previsto dall'articolo 2, comma 5. Si tratta di un comitato composto da ventidue componenti, di cui tre qualificati come «esperti». In merito a quest'ultima previsione ho difficoltà a capire in quale campi essi siano esperti e quali caratteristiche gli stessi debbano avere.
Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ha elaborato 33 principi contabili, a partire dalla fine degli anni '70, che sono stati il punto di riferimento per l'intera comunità economica di questo Paese. Agli inizi degli anni duemila è subentrato l'OIC (Organismo italiano di contabilità) che non ha ricominciato da zero, bensì ha utilizzato una base di lavoro già svolta. La comunità internazionale, proprio nel public sector, guarda al nostro contributo riguardo ai principi contabili e


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posso dire che tutte le organizzazioni non lucrative fanno riferimento ai principi contabili dei dottori commercialisti.
Francamente, che non ci sia un riferimento a questo tipo di competenza, mi sembra una rinuncia da parte del Paese ad attingere a una risorsa che esiste e che è utilizzata da tutti.
Vorrei sgombrare il campo: non ne sto facendo una battaglia sindacale e non mi interessa difendere la categoria. Sembra, ma non è così. Voglio solo valorizzare un lavoro.
È incontrovertibile che il nostro codice civile fa riferimento a corretti princìpi contabili e non esiste alcuna legge che abbia attribuito a chicchessia la competenza specifica di esplicitarli. Tuttavia, basta frequentare un'aula di tribunale per sapere che, quando si parla di princìpi contabili, oggi si fa riferimento a quelli dell'OIC, così come ieri si faceva riferimento a quelli elaborati dai Consigli nazionali dei dottori commercialisti e dei ragionieri (che, dal primo gennaio 2008, formano una professione unica).
Nutro perplessità anche sulla Commissione parlamentare per la trasparenza dei conti pubblici, prevista dall'articolo 4 della proposta di legge, per le stesse ragioni che abbiamo ascoltato in precedenza. Le finalità non mi sembrano proprio compatibili con una composizione di tipo parlamentare e, inoltre, mi pare che abbia poteri di ispezione abbastanza limitati. Forse, le segnalazioni che deve rendere al Ministero dell'economia e delle finanze dovrebbero essere rese anche alla Corte dei conti.
Vorrei passare adesso - certo non ultimo per importanza - al tema dei revisori e dei sindaci. Anche in questo caso credo che dovremmo compiere un passo in avanti al fine di garantire la qualità professionale di questi soggetti. Indubitabilmente, non possiamo avere di fronte soggetti che non siano in grado di svolgere il proprio lavoro: a prescindere che siano segnalati, o meno, dal Ministero dell'economia e delle finanze, a me sembra che dovrebbero avere determinate caratteristiche professionali.
Ora, all'indomani di una crisi che, come sappiamo, ha coinvolto in maniera pesante anche gli enti locali per effetto di taluni investimenti, mi pare enorme che su questi aspetti non avvenga un controllo tecnico professionale affidato - lo ribadisco, non voglio farne una questione sindacale, bensì di visione professionale - a chi ne abbia i titoli e possa dimostrare una formazione professionale continua su argomenti di questo tipo. Ebbene, mi riesce davvero difficile pensare di escludere soggetti come quelli che io rappresento.
Abbiamo ascoltato prima un'interessante dissertazione sul tema della peer review, ma mi chiedo chi debba farla, chi siano i soggetti che, materialmente, controllano. Anche su questo aspetto inviterei a una riflessione.
Vengo a un ultimo tema, non trattato dalla proposta di legge, ma che per me ha una rilevanza sociale enorme. Andiamo verso il federalismo, verso una riforma che renderà le regioni il centro più importante di autonomia politica e anche di spesa. Vi chiedo se sia concepibile che le regioni siano l'unico soggetto di natura pubblica che non ha revisori professionisti. I revisori sono gli stessi consiglieri regionali, che si raggruppano talvolta in collegio di revisione, talaltra in commissione di controllo e, di fatto, controllano se stessi. Penso che una seria riforma non possa eludere questi aspetti di regolamentazione, indipendenza, terzietà e professionalità.

GIUSEPPE PISAURO, Professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università di Perugia. Signor presidente, vorrei partire dalla questione armonizzazione, che forma l'oggetto della prima parte della proposta di legge e riguardo alla quale possiamo registrare diverse accezioni.
Possiamo avere un'esigenza di armonizzazione tra enti dello stesso livello, come accennava prima il professor Buratti: costruire costi standard e altre grandezze.
Abbiamo esigenze di armonizzazione tra livelli diversi di governo, perché abbiamo necessità di costruire un conto della Pubblica amministrazione.


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Mi sembra che, in questo ambito, prevalga questa seconda esigenza. Quindi, può anche darsi che ve ne siano due di esigenze e che una venga assolta dalle procedure previste dalla legge n. 42 del 2009 e l'altra dalle procedure previste dalla proposta di legge C. 2555. Non è detto che i due aspetti siano in contraddizione tra loro.
Ragionando sulla necessità di avere armonizzazione, al fine di costruire un conto della P.A., deduciamo che questa esigenza discende dall'avere stipulato il patto di stabilità e crescita a livello europeo.
Questo tipo di armonizzazione è necessaria e, a mio modo di vedere, non richiede consenso. È un'armonizzazione che si deve fare, come avviene in tutta Europa. Come già accennava Buratti in un altro contesto, nessuno si stupisce del fatto che EUROSTAT faccia presente alla nostra Ragioneria generale dello Stato che una determinata voce non può essere messa in una determinata casella, oppure se un'altra voce sia debito, o meno. Non viene lesa alcuna autonomia: si tratta soltanto di un'esigenza superiore che, naturalmente, deve essere in qualche modo assolta.
Vedrei l'armonizzazione a questi fini in modo molto semplice. Se l'obiettivo è il SEC 95 (Sistema europeo dei conti), si tratta di costruire conti delle regioni, dei comuni e dello Stato - su questo tornerò fra un attimo - che siano coerenti con quel quadro. In quel caso, l'ISTAT può svolgere lo stesso ruolo che, a livello europeo, viene svolto da EUROSTAT.
Ho fatto riferimento anche allo Stato, perché abbiamo un problema, che ha a che fare con la copertura delle leggi di spesa, che credo non sia più rinviabile e che questa proposta di legge in qualche modo affronta, ma forse in maniera troppo timida. Mi spiego: siamo partiti dal quarto comma dell'articolo 81, con un obbligo di copertura che riguarda - come tutti sappiamo - le nuove iniziative legislative e che è misurato contro il bilancio dello Stato, con un documento costruito con determinati criteri.
Nel tempo, abbiamo sovrapposto a questo altri due concetti di copertura: quello della cassa, quindi il fabbisogno del settore statale e quello del SEC 95, cioè dei conti della P.A. Siamo arrivati in questo modo, poiché tutto si è conservato, ad avere una procedura che, vista dall'esterno, è notevolmente barocca. Ogni singola norma deve essere valutata, per i suoi effetti finanziari, contro tre tipi di conti. A volte è davvero difficile capire qual è il passaggio da una valutazione all'altra. Abbiamo una «scatola nera», che in qualche modo va aperta e mi pare che ciò possa essere fatto solo avvicinando questi mondi.
Quindi, il ragionamento che prima svolgevo sul SEC 95 riguarda le regioni, i comuni e tutte le realtà esterne all'amministrazione centrale e agli enti di previdenza. Tuttavia, un ragionamento simile andrebbe svolto anche per l'amministrazione centrale. Non è impossibile. Anzi, credo che sia relativamente agevole avvicinare il bilancio dello Stato al conto economico dello Stato (il conto economico SEC 95, non un conto economico nei termini cui si riferiva chi mi ha preceduto).
A quel punto, avremmo necessità di valutare la copertura solo rispetto a quel criterio. Ciò agevolerebbe molto il lavoro e toglierebbe molto peso alle procedure. A questo punto, interviene la questione relativa all'adozione del principio di cassa: il bilancio di cassa è un modo per avvicinarsi all'obiettivo. Personalmente sono favorevole, però, nelle discussioni svolte in altre sedi, ho notato un eccesso di disinvoltura su questo tema. Non si tratta di un passaggio agevole; per certi versi, esso rappresenta una vera rivoluzione nel modo d'essere dell'amministrazione italiana.
Siamo l'unico Paese al mondo, tra quelli avanzati, ad avere un bilancio in cui i limiti alla spesa sono espressi in termini di competenza giuridica, secondo una nozione di impegno che è molto lasca.
Questo modo di costruire il bilancio, nel caso di bilancio dello Stato, ha come effetto il sopravvalutare i pagamenti arretrati,


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poiché crea una massa di residui passivi che, spesso, non corrispondono al vero, sono «finti».
Dall'altra parte, abbiamo il mondo dei bilanci di cassa, che era il mondo prevalente fino a qualche anno fa, in cui, invece, il difetto è esattamente quello opposto, cioè il sottovalutare i pagamenti degli arretrati, fino, al limite, a poterli far scomparire.
Alcuni Paesi, quelli anglosassoni in particolare, negli ultimi 15 anni circa, si sono mossi verso un bilancio full accrual in cui, partendo dalla cassa, emerge anche un bilancio di competenze economiche. Qui, purtroppo, le terminologie ingannano, giacché non si tratta esattamente della competenza economica dei bilanci aziendali, bensì di un'altra cosa. La spesa pubblica, infatti, attraversa determinate fasi (liquidazione e via dicendo) in tutti i sistemi e il problema è su quale fase incentrarsi. Gli altri, in definitiva, non usano un diverso approccio alla gestione della spesa.
Due sono i tipi di spiegazione che può essere data alla prevalenza, nel nostro sistema, della competenza giuridica.
La prima spiegazione, quella classica, è una sfiducia nel rapporto tra politica e amministrazione, una garanzia per il potere politico che gli amministratori si sarebbero comportati correttamente. Porre il limite di spesa in termini di impegni, naturalmente, offre il massimo di garanzia, da questo punto di vista. Personalmente, ho l'impressione che, nel tempo, questa sia diventata anche un'enorme garanzia per chi deve gestire la spesa, un eccesso di garanzia che, naturalmente, deresponsabilizza. Questo è un quadro che ormai si è affermato da più di un secolo e, se cambiarlo è certamente necessario (se vogliamo avere, ad esempio, un'amministrazione più capace di programmare), ciò richiede tuttavia un periodo di sperimentazione congruo. Non può essere fatto dall'oggi al domani. Nella proposta di legge è già adombrato un periodo di un triennio, ma su questo insisterei e, probabilmente, allungherei tale ambito temporale. Alcuni dubbi - non so se siano stati espressi nuovamente ieri dal Ragioniere generale dello Stato - espressi in altri contesti dalla Ragioneria non sono privi di senso.
Venendo al rapporto della proposta di legge C. 2555 con la legge n. 42 del 2009, cioè con il federalismo, più che sulle questioni delle armonizzazioni delle autonomie e del federalismo contabile (se vogliamo chiamarlo così), mi preoccuperei di un punto cui accennava prima Buratti e cioè della questione di fornire garanzie e certezza di contesto alle amministrazioni regionali e locali. Questo è uno degli aspetti che, nella tradizione italiana, è sempre mancato.
Mi riferisco alla necessità per cui, se ci saranno - e io prevedo che ci saranno tutti gli anni, anche se posso sbagliarmi - norme decise in sede di legge di stabilità che hanno riflessi sulla finanza regionale e locale, queste dovranno essere per tempo approvate e rese note a regioni ed enti locali.
Vi chiedo se non valga la pena di riprendere una disposizione che era presente nel disegno di legge di attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, presentato nella scorsa legislatura, che prevedeva che il disegno di legge finanziaria (di cui non veniva cambiato il nome) fosse suddiviso in due parti: la finanziaria che conteneva norme con riflessi su finanza regionale e territoriale doveva essere presentata in anticipo e approvata entro la fine di ottobre, in maniera da dare il tempo a regioni, province e comuni di approvare i propri bilanci entro la fine dell'anno.
Su questo problema, la proposta di legge mi sembra debole, come lo è - ma immagino che il dottor Macciotta interverrà su tali temi - sul processo di formazione del bilancio, che avviene fuori dal rapporto Governo-Parlamento e che oggi avviene all'interno dell'Esecutivo, sulla base dei rapporti vigenti all'interno di quest'ultimo.
Questo pezzo del processo di formazione del bilancio è sempre il meno trattato. Tuttavia, se vogliamo arrivare a un sistema di relazioni finanziarie tra livelli di governo ordinato, occorre, se non la


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condivisione, almeno la determinazione comune degli obiettivi. L'esperienza internazionale - almeno quella che conosco io - dimostra che gli obiettivi si condividono, ma anche che ci deve essere un decisore finale. Comunque, questo processo deve partire per tempo, probabilmente in primavera. In qualche modo, mi pare necessario immaginare che il processo di formazione del bilancio pubblico, nel suo complesso, coinvolga anche regioni, province, comuni e gli altri enti interessati. È evidente che i tempi disegnati da questa proposta di legge non consentono tale linea di sviluppo. Se davvero tutto quello che avviene è quanto scritto in questa proposta di legge - cioè che ai primi di settembre, dieci giorni prima della presentazione della Decisione di finanza pubblica, viene comunicato il quadro a regioni e enti locali - è evidente che non ci può essere condivisione. Si delinea, grosso modo, una replica dell'attuale sistema e mi sembra evidente che non funzionerà.
Dico ciò non perché stiamo andando verso il federalismo, ma perché non funziona neanche in un sistema di finanza derivata, come quello vecchio. Non ha mai funzionato: non è un problema di federalismo, bensì di buon senso.
L'ultima annotazione, che forse è la più importante, riguarda la questione delle relazioni tra Governo e Parlamento all'interno del processo di bilancio e quindi quella della rimodulabilità del bilancio.
È evidente che qui si ha uno spostamento nell'equilibrio dei poteri tra Governo e Parlamento. È evidente anche che ciò non fa che ratificare una situazione di fatto, che si è ormai affermata negli ultimi anni.
Un dato impressionante rivela che, tra il 2003 e il 2007, la manovra di bilancio è stata sempre approvata con un voto di fiducia, mentre, nel periodo 1995-2002, ciò è avvenuto solo una volta. Evidentemente, quindi, è successo qualcosa negli anni duemila, che ha cambiato questo equilibrio di poteri.
Questa non è la sede per esaminare che cosa sia successo, però è evidente che delineare un processo molto diverso da quello che poi accade nella realtà porta a una situazione che non può durare a lungo.
Una qualche risistemazione, pertanto, ci vuole. Credo però che sia necessaria anche molta trasparenza e, invece, vedo una carenza di trasparenza nella questione della rimodulabilità. La proposta di legge prevede la manovrabilità, quindi la possibilità di modificare poste, stabilite per legge in sede di bilancio, tra programmi della stessa missione.
In questa idea di flessibilità della rimodulabilità è insita la presunzione che avere qualche margine di manovra sia più efficiente per la decisione e per la gestione. Siamo tutti d'accordo su ciò, rispetto al caso estremo del vecchio bilancio per capitoli, in cui c'era il capitolo che stabiliva quanto spendere per le bollette telefoniche. Quello era un modello sbagliato, che aveva conseguenze negative sull'efficienza.
Siamo tutti d'accordo, quindi, sul fatto che, quando si tratta di gestire input per il funzionamento della macchina amministrativa, ci debba essere questa possibilità di flessibilità. Il ragionamento diventa più discutibile quando si tratta di decidere la composizione di politiche, anche micro.
Oggi, il Parlamento può legiferare per concedere un incentivo al Consiglio dei commercialisti e poi un altro ai professori di scienza delle finanze, dando 50 ai primi e 50 ai secondi.
Qualcuno potrebbe sostenere che è improprio che il Parlamento si occupi di queste piccole cose, che dovrebbe occuparsene l'amministrazione. Qualcun altro potrebbe sostenere che, dato il ruolo delle lobby dei professori di scienza delle finanze e dei commercialisti nell'influenzare queste decisioni, è più trasparente se la decisione viene presa in Parlamento, piuttosto che dal direttore generale per gli incentivi alle lobby. Questa è la questione, difficile da affrontare, ma sulla quale sarebbe utile una riflessione maggiore.
Le missioni rappresentano una nozione molto ampia: abbiamo una missione che si chiama «diritti sociali, solidarietà sociale e famiglia», un'altra che si chiama «competitività


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e sviluppo delle imprese», un'altra «sviluppo sostenibile e tutela del territorio» e, in tutto, sono 34. Assicurare manovrabilità all'interno di aggregati così ampi e così poco distinti cela pericoli che sono superabili. Attualmente non ho una posizione personale in proposito, ma credo che sia difficile arrivare a un punto di equilibrio tra le due esigenze che delineavo prima. Il punto fondamentale è che ci sia estrema trasparenza su cosa sia manovrabile e cosa non lo sia.
Ora, nel ragionamento contenuto nella proposta di legge (che è il ragionamento della Ragioneria generale dello Stato), questa trasparenza si fa fatica a trovarla, perché la proposta prevede, grosso modo, che è manovrabile tutto, tranne gli oneri inderogabili. Non sono manovrabili, inoltre, le spese obbligatorie, che non si capisce bene cosa siano. Alla fine, si comprende che non è manovrabile ciò che definiamo obbligatorio: un processo che, in qualche modo, è autoreferenziale, giacché non abbiamo alcuna definizione.
Non riesco a capire che differenza sussista tra spese obbligatorie e oneri inderogabili, fra quando un fattore legislativo sia obbligatorio e quando non lo sia. Estremizzando, non lo sarà se, ad esempio, sarà incluso nell'apposito elenco allegato alle tabelle di bilancio, ma non può essere questo il modo per raggiungere la necessaria trasparenza.
Credo che questa sia una questione fondamentale, che ha a che fare con gli equilibri tra Governo e Parlamento, con la vera natura intrinseca del processo di bilancio. Credo anche che sia una questione difficile da affrontare, su cui probabilmente dobbiamo mantenere un atteggiamento laico e, quindi, immaginare che sia finita una fase in cui quell'equilibrio era disegnato in un certo modo e si vada verso una fase nuova.
L'importante, però, è che questi passaggi ricevano la massima trasparenza possibile.

GIORGIO MACCIOTTA, Consigliere del CNEL. Signor presidente, avevo pensato di concentrarmi su tre questioni, poi il professore Pisauro me ne ha stimolata una quarta.
Le tre questioni dalle quali voglio partire sono le seguenti: la prima riguarda l'armonizzazione, che è sempre un'armonizzazione di regole e mai di obiettivi; la seconda riguarda la tempistica e gli strumenti; la terza concerne la tipizzazione. In ultimo, seguendo le cose dette da Pisauro, dirò qualcosa sul problema dell'unità di voto e del coinvolgimento del Parlamento.
Parto dall'idea che il Titolo V della Costituzione deve portare a un ripensamento di una procedura di bilancio che aveva al centro la contabilità dello Stato. Quest'ultima, ormai, è del tutto insufficiente a dare conto dell'aggregato della finanza pubblica. Le stime più diverse che sono state effettuate dicono che più del 50 per cento della spesa della P.A. (soprattutto se la consideriamo al netto degli interessi), diventerà la spesa dei livelli decentrati, se teniamo conto soprattutto del combinato disposto degli articoli 117 e 118 della Costituzione sui poteri legislativi e amministrativi.
Avviene un rovesciamento della vecchia prassi, che, sostanzialmente, assegnava al titolare del potere legislativo, salvo sue decisioni di decentramento, le competenze amministrative. L'articolo 118 della Costituzione rovescia questa procedura e, salvo decisioni contrarie, le competenze amministrative spettano innanzitutto ai livelli locali e poi, a salire, a province e regioni. Raramente spetteranno allo Stato.
Quindi, l'ordine di grandezza rende indispensabile una transizione: dalla contabilità dello Stato alla contabilità della Repubblica.
Sussiste poi un problema, che è stato già ricordato da chi mi ha preceduto, legato al fatto che l'Italia si trova all'interno di un sistema nel quale - per fortuna dico io - soggiace a un vincolo esterno legato a obiettivi di rigore di bilancio. Se tali obiettivi non ce li avesse imposti l'Unione europea, ce li saremmo dovuti dare da soli. Ci fa comodo dire che ce li hanno imposti (e in effetti così è avvenuto), ma la verità è che ce li saremmo dovuti dare comunque.


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Naturalmente, in un sistema nel quale le responsabilità della spesa sono marcatamente decentralizzate, si pone il problema di come fare un saldo coerente con gli obiettivi che ci siamo dati in Europa. Questo è un problema che, credo, debba vederci tutti impegnati.
Da questo punto di vista, trovo che le procedure messe in piedi dalla legge n. 42 del 2009 siano più efficaci delle procedure indicate in questo testo. Penso che il testo in esame parta dall'idea - per semplificare, poi allegherò al mio intervento due documenti, il primo dei quali scritto assieme al collega Franco Bassanini, mentre il secondo è una delibera fatta due anni fa dal Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e che è significativa, poiché raccoglie il parere unanime di tutte le parti sociali - di ripristinare il comando centralizzato.
Ebbene, il comando centralizzato ci ha portato dove siamo e anche recenti sentenze della Corte costituzionale, nel momento stesso in cui vietavano alle regioni di assumere autonome decisioni legislative in materia di prelievo, affermavano che le regioni hanno però il diritto di decidere in termini di spesa, traendosi dalla legislazione vigente i principi generali dell'ordinamento.
Quindi esiste già un disaccoppiamento che, in questi anni, ha portato a divaricazioni anche rilevanti nelle decisioni di spesa, che sono visibili se guardiamo gli aggregati dei conti pubblici degli enti territoriali e che hanno determinato anche divaricazioni nel Paese, con accentuazioni della spesa in alcune regioni e meno in altre.
Penso invece che la procedura indicata nella legge n. 42 sia più coerente con molti dei fini di cui parlava il professor Buratti.
Nel regime prospettato dall'articolo 119 della Costituzione sull'autonomia di entrate e di spesa, risulta complesso prevedere un super controllo da attribuire a un livello centralizzato; risulta più semplice attribuire un controllo in forma di moral suasion. Occorre, inoltre, considerare che esiste un ulteriore strumento rappresentato dal riparto del fondo perequativo a un pari livello.
Le procedure della legge n. 42 hanno due centri: uno politico e uno tecnico. Il centro politico è la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica. Il braccio tecnico è la Commissione paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale. Si tratta di due strumenti che svolgono un ruolo importante nella predisposizione dei decreti delegati. La concertazione forte, che è prevista dalla legge n. 42, è cosa diversa dall'ordinaria procedura dei decreti legislativi prevista dalla proposta di legge C. 2555. Nella procedura dettata dalla legge n. 42, i decreti delegati e, quindi, anche gli strumenti di armonizzazione, di controllo e verifica, sono costruiti, sin dalle origini, con il consenso dei poteri locali e questo li rende, ovviamente, più forti e più stringenti. Personalmente vedo la convenienza, ai fini di un controllo unificante della finanza pubblica, di applicare quel modello e quella procedura, che non si limita al metodo, cioè, alla definizione dei decreti legislativi, ma diventa anche lo strumento permanente per la definizione degli obiettivi comuni di cui parlava il professore Pisauro.
Se così è, esiste allora una convenienza, anche ai fini di una maggior presa del controllo sui saldi, sul debito e sulle procedure complessive di bilancio, a ripristinare il meccanismo della legge n. 42 del 2009.
Spezzo quindi una lancia a favore dell'utilizzazione dello strumento del coordinamento, anche perché esso, in particolare sul tema dell'armonizzazione dei bilanci pubblici, ha una delega già attiva, le cui scadenze sono ai primi dell'anno venturo. Non vedo, quindi, la convenienza di ripartire con un processo con tempi ancora non definiti e non definibili, mentre vedo la convenienza (mi sembra che, in altra sede, lo ricordasse efficacemente il professore Antonini) a tener ferma la delega prevista dalla legge n. 42 del 2009, che è immediatamente attivabile. Niente vieta di utilizzare alcuni degli aspetti che sono


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previsti in quella delega, che ha contenuti sufficientemente aperti. La sfida è rappresentata dall'intesa che deve essere realizzata e i contenuti aperti consentono di essere riempiti con alcuni degli aspetti di merito presenti all'interno della proposta di legge C. 2555.
La seconda questione, strettamente connessa alla prima, se consideriamo insieme procedure e merito, riguarda la tempistica della proposta di legge C. 2555, che (lo ricordava da ultimo Pisauro) è molto concentrata.
Si va verso una linea opposta rispetto alla discussione che si è svolta in questi anni e che prevedeva di limitare il sovraccarico decisionale collegato ai documenti di bilancio. Qui, invece, c'è l'esatto opposto: si concentra tutto tra il 20 settembre e il 15 ottobre. Da ciò si desume che è sostanzialmente inutile discutere della Decisione di finanza pubblica poiché la sua presentazione è talmente vicina alla presentazione della legge di stabilità da far presumere quest'ultima sostanzialmente definita negli aggregati.
Sulla Decisione di finanza pubblica non viene acquisito un vero parere delle regioni, perché a queste ultime viene sottoposto, prima della pausa estiva, un documento su generiche linee guida. Sappiamo benissimo che niente cambia rispetto alla procedura di questi anni, che è stata totalmente insoddisfacente. Penso che se vogliamo davvero rendere «democratico e partecipato» il processo di definizione degli obiettivi, occorre risolvere il problema della cosiddetta «circolare», che attualmente viene formulata dalla Ragioneria per la formazione degli strumenti di bilancio per gli anni successivi. In sostanza occorre stabilire se essa sia uno strumento tecnico, oppure il momento della decisione politica degli obiettivi condivisi. In una logica di contabilità della Repubblica, la «circolare» è lo strumento attraverso il quale tutti i livelli della Repubblica si danno le regole per la predisposizione dei successivi documenti di bilancio.
Quindi, al netto delle tecnicalità, al centro abbiamo il momento della decisione del Consiglio dei ministri e, insieme, una decisione che va condivisa dalla Conferenza unificata, perché, a cascata, essa regola le procedure di bilancio di tutti i livelli decentrati, le regioni, i comuni e gli altri enti coinvolti.
Naturalmente, sono favorevole alla previsione di una modalità per sciogliere i nodi. Se non c'è l'accordo o la condivisione, è il Parlamento della Repubblica a sciogliere i nodi e assumere le decisioni.
Tuttavia, occorre compiere uno sforzo per ottenere il successo in una partita - la crisi dimostra quanto delicata - volta a tenere sotto controllo i conti pubblici, per condividere gli obiettivi e i metodi e per trovare meccanismi di controllo non a consuntivo, bensì con rilevazioni trimestrali, momento per momento. Quella procedura va perseguita.
Sono favorevole affinché si parta da lontano, dalla primavera e, applicando regole come quelle vigenti, ad esempio, in Francia, sia possibile scadenzare meglio le decisioni di politica economica e finanziaria, articolandole nel tempo e stabilendo una sequenza vincolante.
Avendo vissuto diverse esperienze al riguardo, posso dire che non c'è chi abbia guardato al rendiconto, per determinare gli obiettivi degli esercizi successivi. Sappiamo che il rendiconto, nella valutazione del bilancio di assestamento, non ha alcun rilievo.
Ebbene, se tipizziamo gli strumenti e li rendiamo tra loro sovrapponibili e confrontabili, diventa del tutto evidente che arriverà un momento nel quale si discuterà il rendiconto, l'assestamento, la Decisione di finanza pubblica e si dovrà cominciare a discutere l'eventuale disegno di legge di adeguamento dinamico della finanza pubblica.
Sono favorevole all'ipotesi illustrata da Pisauro: i collegati rappresentano contenuti diversi. Ci sono collegati che riguardano le amministrazioni dello Stato centrale e collegati che riguardano i livelli periferici della Repubblica. Questi ultimi non possono sapere quel che li aspetta il 31, o anche il 20 di dicembre. Sono favorevole a ridefinire non tanto la finanziaria, quanto i documenti collegati.


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Siccome la Decisione di finanza pubblica deve contenere l'indicazione degli eventuali collegati, se c'è un collegato che riguarda la finanza pubblica, questo deve essere presentato e approvato in tempi compatibili con la presentazione del bilancio.

ANTONIO LEONE. Diventano due finanziarie, sostanzialmente!

GIORGIO MACCIOTTA, Consigliere del CNEL. Non credo che sia necessariamente così, anche perché, a differenza di Pisauro, tendo a sottolineare la parola «eventuale» e tendo a sottolineare anche che sarebbe una sciagura se, ogni anno, si rivedessero in profondità i livelli di autonomia finanziaria.
Ecco perché non penso che si debbano avere due finanziarie, bensì un «eventuale collegato». D'altra parte, può essere anche che l'eventualità si concretizzi annualmente, ma anche che il collegato sia talmente limitato da non rappresentare un documento di particolare complessità.
Infine, anche se mi rendo conto che di questi tempi può sembrare inutile, vengo alla questione della tipizzazione degli strumenti.
Sono legato all'idea che la finanziaria non possa essere «l'alfa e l'omega» del processo legislativo: non può contenere tutto. In questi anni, sappiamo che cosa è successo. Sappiamo che dentro la finanziaria hanno messo di tutto. Penso che la finanziaria debba ritornare ad essere quello che in teoria dovrebbe essere, cioè, la definizione dei macroaggregati di finanza pubblica. Dentro a quei macro aggregati, poi, spetta alla legislazione di merito stabilire come le risorse assegnate a quei settori debbano essere utilizzate, con strumenti che possono essere i collegati o, comunque, con strumenti di merito.
Non essendo sospetto di non condividere la centralità della Commissione bilancio, per la mia precedente esperienza, penso che quest'ultima diventi tanto più stringente nella definizione dei macro aggregati, quanto più affida alle commissioni di settore la definizione, all'interno di valori economici condivisi, di come utilizzarli e di come realizzare i parametri macroeconomici.
Tanto di più il discorso vale se veniamo alla terza questione: quale diventi l'unità di voto.
Personalmente sarei spericolato: penso che si potrebbe persino accettare una flessibilità all'interno della missione e che la flessibilità, certamente, vada inserita nel programma. Tuttavia, anche una flessibilità dentro un programma, per essere trasparente, richiede almeno due condizioni: che i programmi siano costruiti un po' diversamente da come si sono fatti in prima applicazione (è evidente che ci vuole un processo di «smontaggio» e «rimontaggio» dei programmi e delle missioni); inoltre, mi sembra evidente che, siccome l'articolazione del programma è alla base della quantità di risorse che il Parlamento decide di assegnargli, se stabilisco un programma dei trasporti che realizzi determinate cose, non è neutrale se io quelle cose le cancello e le trasformo in un programma diverso.
Pertanto, ammessa la flessibilità all'interno del programma, occorre un momento di trasparenza e di discussione con le commissioni competenti, per la valutazione di quel programma e della sua congruità. In definitiva, sono favorevole affinché si arrivi a definire come unità di voto il programma, ma anche affinché la flessibilità e le modifiche dentro il programma non possano avvenire con semplici procedure amministrative, bensì attraverso un momento di coinvolgimento del Parlamento, che su quel programma si è in qualche modo espresso. Deve esserci un momento di comunicazione parlamentare e si può poi discutere il modo attraverso il quale il parere del Parlamento assumerà rilievo.
Concludo, ricordando che nella formulazione dell'articolo 11 della proposta di legge ci sono alcune vie di fuga che consentono di includere nella finanziaria tutto e il contrario di tutto. Se, infatti, si dice che non possono esserci norme ordinamentali «salvo che», dietro questa espressione si può nascondere di tutto.


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Penso che si debba tornare a tipizzare la legge finanziaria, bisogna prevedere che la stessa sia fatta in un certo modo e che ad ogni articolo corrisponda una sola misura: una tabella, un adeguamento di risorse, cose definite. La verifica del contenuto proprio deve essere poi affidata ai Presidenti delle due Camere, sulla base di un parere delle Commissioni bilancio, che, in qualche modo, devono assumersi la responsabilità di garantire la congruità del contenuto della legge stessa.
Esprimerei la formulazione in questo modo: la finanziaria preveda separati articoli, cosicché sarebbe impossibile la tecnica del maxiemendamento col voto di fiducia, perché i separati articoli non consentirebbero di presentare un articolo unico. Ritengo che questo sia un aspetto abbastanza importante. Poi, come ho detto, consegnerei due testi che contengono più o meno le considerazioni svolte.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ANTONIO LEONE. Signor presidente, condivido non la proposta fatta dal professor Buratti, che rappresenta forse, per motivi che dirò, una «bizzarria», bensì l'esigenza, che sicuramente esiste, di maggiori controlli nella fase previsionale.
Avevo inteso, in base a un primo «orecchiamento» della proposta, che si proponesse di creare un meccanismo uguale a quello di EUROSTAT, così come poi è stato effettivamente proposto. Penso però che se ne debba individuare uno diverso, per superare il problema dell'autonomia nelle regioni.
Non ritengo che tale aspetto sia superato, e tanto meno che sia superabile, attraverso il meccanismo della peer review e neanche attraverso lo strumento del fondo perequativo, il quale ha comunque alcuni vincoli.
Inoltre, esso non può essere uno strumento per il controllo ex ante.
Il discorso è legato al fatto che l'Italia e gli altri Paesi che fanno parte dell'Unione europea hanno ceduto una parte di sovranità, nel momento in cui si è acceduto a quel meccanismo di controllo.
L'Unione europea non è, dal punto di vista fiscale, assimilabile a uno Stato federale. Noi, invece, andiamo verso quel sistema.
Sono favorevole all'ipotesi di quel tipo di controllo, ma ritengo che ci sia qualche problema di attuazione, anche attraverso la non bizzarra, bensì astuta, proposizione del professor Buratti, relativa alla - ormai chiamiamola così - «doppia finanziaria».
Abbiamo un problema legato alla necessità di evitare che il Parlamento venga ingolfato per l'intero anno da una sessione di bilancio sempre aperta.
Già attraverso i collegati che sono stati presentati (e quelli che potranno esserlo), con questo sistema si dovrà ritenere gran parte dell'anno come sessione di bilancio, con tutto quello che ciò comporta, anche se riuscissimo a fare una riforma regolamentare a latere, dopo l'approvazione di questo provvedimento.
Ritengo che occorra studiare nuove soluzioni, poiché si pone la necessità di far sì che regioni ed enti locali conoscano a tempo debito le grandezze di finanza pubblica al fine di impostare i propri bilanci e non abbiano tutto ciò con soli dieci giorni di anticipo.
Sicuramente, dunque, si pone una necessità di intervenire in tal senso e, tuttavia, bisogna tener conto anche delle necessità del Parlamento, evitando frammentazioni.
Ci si dovrebbe inventare un meccanismo che possa comprendere le esigenze di tutti. Quindi, potrebbe essere gradita anche una riflessione su questo aspetto.
Non ho avuto modo di leggere l'intervento del dottor Siciliotti. Ho guardato solo in maniera molto veloce l'introduzione al documento. Sarà cura mia, come anche di tutti gli altri colleghi, approfondirlo.
Questa riforma prevede già una attribuzione molto forte di gestione del bilancio da parte del Governo. Dico ciò perché vedo che si punta l'attenzione sul


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sistema americano del controllo, preventivo e successivo, devoluto al Governo e al Parlamento.
Ritengo che il controllo del Governo sia già abbastanza ampio, naturalmente nel rispetto delle prerogative che l'ordinamento costituzionale attribuisce al Parlamento.
Quanto ai controlli sulla spesa, nella proposta di legge sono previsti sia controlli interni all'amministrazione, sia quelli della Ragioneria generale dello Stato. Nell'ambito di questo quadro, sicuramente possono essere apportati dei miglioramenti - alludo a un auspicio che è stato fatto in tal senso - con riferimento alla certezza e alla verificabilità della spesa pubblica. Questo aspetto è già all'attenzione di questa Commissione.
Ho notato che qualcuno dei relatori è molto scettico sulla validità della proposta di legge, auspicando profonde modifiche della stessa.
Sul punto voglio tranquillizzare gli auditi. Saranno infatti recepite tutta una serie di osservazioni fatte, su cui stiamo già lavorando, ma voglio far notare che l'impianto della proposta di legge è anche, in prospettiva, rispettoso della nuova disciplina dell'autonomia a cui qualcuno degli auditi si lega. Ciò è abbastanza evidente. Ritengo quindi, che alcuni dei giudizi negativi espressi dagli auditi debbano essere riconsiderati.

PIER PAOLO BARETTA. Per integrare quest'ultima osservazione del relatore Leone, volevo chiedere al rappresentante dei dottori commercialisti se le osservazioni del professore Pisauro sul concetto di competenza economica a cui tendere e da affiancare al passaggio alla contabilità di cassa, possano in parte superare le preoccupazioni critiche a cui Egli ha fatto riferimento.
In secondo luogo, il problema dei tempi della sessione e della celerità della procedura parlamentare è un punto ancora molto aperto e controverso, a prescindere dal contenuto della proposta di legge.
Questa mattina, in un'audizione, veniva proposto di collocare a metà luglio la presentazione della Decisione di finanza pubblica, mantenendola quindi distinta, ma avvicinandone i tempi. Gradirei una osservazione sintetica sul punto da parte del consigliere Macciotta, che ha affrontato questo argomento.

MARCO CAUSI. Previo ringraziamento a tutti gli auditi, pongo una domanda al professor Pisauro. Mi interessa approfondire la proposta sulla finanza locale. In fondo, se ci pensiamo un attimo, la finanza locale non dovrebbe essere così fortemente prociclica. Dato che tutti i beni e servizi offerti da comuni, province e regioni saranno in futuro collegati ai costi standard (sanità, istruzione e via dicendo), il ciclo economico non dovrebbe influire sulle dinamiche della finanza locale e quindi mi convince l'idea che la stessa finanza locale possa essere sempre più programmata a medio termine, senza grandi sbalzi da un anno all'altro.
A chi, come me, ha sempre sostenuto che la sessione estiva ci vuole, si risponde, è successo anche in passato, che i dati disponibili a giugno e luglio non sono sufficienti, e che gli stessi necessitano di essere aggiornati a settembre. Ebbene, io chiedo se, in effetti almeno per la finanza locale e regionale, non sia plausibile pensare che i dati disponibili ad aprile (ma mettiamo pure a giugno e luglio), siano più che sufficienti per affrontare la questione finanza locale, prevedendo fin da luglio i grandi numeri, una sessione di programmazione e poi un collegato alla finanziaria.

LINO DUILIO. Vorrei porre una domanda alla quale si può anche non rispondere, in quanto mi rendo conto della sua valenza prevalentemente politica.
Siccome condivido che il passaggio alla cassa evocato rappresenti una rivoluzione, credo anche che essa costituisca una clava, se così posso dire, perché consente - almeno a regime - di arrivare alla contabilità economica, abbandonando la contabilità giuridica. Quest'ultima è fondata su una serie di «prenotazioni», per cui abbiamo, per così dire, montagne di risorse


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che poi, dopo aver verificato quanto effettivamente viene speso, provocano un ammontare di residui assurdo e non corrispondenti al vero, che determinano effetti a valle ulteriormente vischiosi.
I programmi, poi - sarei meno spericolato - potrebbero essere riclassificati per funzioni, in modo tale preservare il ruolo centrale del Parlamento.
In sostanza, chiedo ai nostri ospiti quale tipo di procedimenti e quale tempistica richiedano la realizzazione di questi obiettivi (e altri che non posso aggiungere, perché non abbiamo tempo), al di là del fatto che si ritenga che la delega per attuare una determinata attività richieda tre anni.
Dobbiamo concentrarci sul percorso di approvazione del mosaico che è sotto i nostri occhi. Un mosaico destinato a far partire diverse piste.
Chiedo agli auditi se ritengano verosimile - ho già detto che si può anche non rispondere - che si possa, senza toccare la carne viva delle implicazioni, scrivere in poco tempo le norme di un mosaico che riguarda una legge che dovrebbe durare auspicabilmente trent'anni, come è stato per la n. 468 del 1978.

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

CLAUDIO SICILIOTTI, Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Provo velocemente a rispondere: ripensare non significa cestinare.
Credo che una proposta di legge che parli di sistemi contabili e di controllo non possa prescindere dall'esperienza di chi li elabora e di chi li applica.
Per questo, mi sono permesso in qualche modo di sollecitare maggiore attenzione, non con un'ottica sindacale, bensì di servizio nei confronti del Paese.
Siamo un esercito di 110.000 tecnici tenuti ad applicare questi provvedimenti e che, quindi, deve avere gli strumenti per poterlo fare.
Penso che a questo esercito possano essere affidate funzioni di elaborazione di principi contabili e di revisione, come avviene in tutto il mondo. In tutto il mondo, sono le professioni che svolgono questo compito. Mi sembra, tuttavia, che questo testo ignori tale tipo di esperienza che, invece, potrebbe essere maggiormente considerata.
Il tema della competenza è a mio giudizio fondamentale. Si dovrebbe passare a un concetto di competenza per cui si registra una transazione economica nel momento in cui questa matura e non nel momento in cui manifesta i suoi effetti finanziari. Questo è fondamentale, per una corretta comparazione.
Mi permetterei di dire che ci dovremmo avvicinare assai più al sistema delle imprese private. Siamo in un mondo in cui imprese private e pubbliche sono costrette a convergere, altrimenti non si comprendono. Sono due mondi separati che, viceversa, dialogano e talvolta competono assieme.
Quindi, questo è il ragionamento che dobbiamo svolgere.

CARLO BURATTI, Professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università di Padova. Prima di venire in Commissione, ho consultato un costituzionalista, per evitare di dire delle sciocchezze.
Mi rendo conto che uno solo è poco, occorre ascoltarne parecchi. Tuttavia, secondo costui - che non è poi l'ultimo arrivato - non ci sarebbe alcun problema nel creare un controllo incrociato delle regioni, se questo nasce spontaneamente (anche se la spontaneità dovrebbe essere stimolata dal Parlamento, da qualche forza politica, o da intellettuali).
Sarebbe addirittura possibile, costituzionalmente, prevedere in questa proposta di legge il controllo incrociato, appellandosi alle competenze trasversali che la Corte costituzionale ha riconosciuto legittime, in quanto, in questo caso, si tratta di garantire l'esigenza fondamentale del rispetto dei saldi rilevanti per la finanza pubblica, appellandosi alla leale collaborazione.
Quindi, forse, uno spiraglio esiste. Bisogna approfondire la questione.


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GIUSEPPE PISAURO, Professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università di Perugia. Da questo punto di vista, si delinea una schizofrenia, costituita, da un lato, dall'idea di programmazioni triennali piuttosto vincolanti; dall'altro, dalla gestione congiunturale.
In teoria, il discorso dell'onorevole Causi è condivisibile. Tuttavia, l'esperienza degli ultimi anni mostra che la manovra sulla finanza regionale e locale è stata anche manovra a fini congiunturali. Quindi, è difficile fare previsioni, anche se, in teoria, dovrebbe essere possibile.
Provo a rispondere, senza dare una risposta particolarmente originale, anche sui tempi necessari per le operazioni di definizione dei programmi. In proposito abbiamo avuto due esperienze: quella dell'unità previsionale di base e quella appunto dei programmi. Due esperienze che mostrano come un anno o due non bastino. È un lavoro molto lungo, molto complicato, che richiede anche un po' più di decisione.
Occorre infatti considerare che tutte le operazioni di riclassificazione richiedono che l'unità elementare sia omogenea rispetto a quello che si vuole riclassificare. Questo lavoro di spezzare le unità elementari, cioè i vecchi capitoli, non è stato fatto mai a sufficienza.

PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione, con la quale termina questa indagine conoscitiva.

La seduta termina alle 16,05.

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