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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione V
2.
Martedì 8 marzo 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI SULL'ANALISI ANNUALE DELLA CRESCITA: PROGREDIRE NELLA RISPOSTA GLOBALE DELL'UE ALLA CRISI (COM(2011)11 DEFINITIVO)

Audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 8 11 14 16 20 28
Baretta Pier Paolo (PD) ... 18
Duilio Lino (PD) ... 18
Foccillo Antonio, Segretario confederale della UIL ... 11 20
Marchi Maino (PD) ... 16
Petriccioli Maurizio, Segretario confederale della CISL ... 8 26
Polica Antonio, Segretario confederale della UGL ... 14 25
Sanna Riccardo, Funzionario del dipartimento politiche macroeconomiche e di bilancio dello Stato della CGIL ... 3 22
Vannucci Massimo (PD) ... 17

ALLEGATI:
Allegato 1: Relazione depositata dai rappresentanti della CGIL ... 29
Allegato 2: Relazione depositata dai rappresentanti della CISL ... 73
Allegato 3: Relazione depositata dai rappresentanti della UIL ... 85
Allegato 4: Relazione depositata dai rappresentanti della UGL ... 99
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

[Avanti]
COMMISSIONE V
BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 8 marzo 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 20,05.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull'analisi annuale della crescita: progredire nella risposta globale dell'UE alla crisi (COM(2011)11 definitivo), l'audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.
Sono presenti il dottor Riccardo Sanna, funzionario del dipartimento politiche macroeconomiche e di bilancio dello Stato della CGIL, il dottor Maurizio Petriccioli, segretario confederale della CISL, il dottor Angelo Marinelli, coordinatore del dipartimento democrazia economica della CISL, il dottor Antonio Foccillo, segretario confederale della UIL, il dottor Antonio Polica, segretario confederale dell'UGL, e il dottor Fiovo Bitti, dirigente confederale dell'UGL.
Do la parola, in rappresentanza della CGIL, a Riccardo Sanna.

RICCARDO SANNA, Funzionario del dipartimento politiche macroeconomiche e di bilancio dello Stato della CGIL. Buonasera, presidente e onorevoli deputati. La CGIL, così come già sostenuto dalla Confederazione europea dei sindacati, sostiene un approccio che mira al coinvolgimento delle parti sociali nell'attuazione della strategia Europa 2020 e, quindi, accoglie con favore quest'audizione.
La CGIL condivide nella direzione intrapresa dall'Unione europea, la predisposizione di un piano sovranazionale per reagire alla crisi. In particolare, rispetto al testo della comunicazione della Commissione europea COM(2011)11 definitivo, cioè l'analisi annuale della crescita, riteniamo che, segnare l'inizio del primo semestre europeo rappresenti un passo nuovo rispetto alla linea precedente, in direzione di una nuova governance volta al coordinamento e, nello stesso tempo, al dialogo tra Paesi membri dell'Unione europea nel definire le azioni urgenti da intraprendere per la stabilità economica, il risanamento dei bilanci, le riforme strutturali e le misure a sostegno della crescita, in funzione delle situazioni specifiche di ciascun Paese. Su questo tema la CGIL esprimerà il suo parere.
Per quanto ci riguarda consideriamo tutti elementi fondamentali quelli che rientrano nella strategia Europa 2020 e, in particolare, gli obiettivi che riguardano l'aumento del tasso di occupazione, l'innalzamento del livello di investimento in ricerca e sviluppo e, più in generale, in innovazione; il conseguimento degli obiettivi


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fissati dall'Europa in materia di energia e di cambiamento climatico; il miglioramento dei livelli di istruzione terziaria ed equivalente e la riduzione della dispersione scolastica; la promozione dell'inclusione sociale e la riduzione della povertà.
Abbiamo preparato un testo con diversi allegati, che sarà trasmesso al più presto alla Commissione, in formato digitale, in modo da essere più facilmente fruibile. Mi limiterò, quindi, a presentarne alcuni tratti, data la consistenza di tale documentazione, soffermandomi soprattutto su quello che, secondo noi, dovrebbe essere il senso di questo Programma nazionale di riforma, in relazione al documento da presentare alla Commissione europea.
In particolare, la CGIL ritiene fondamentale la presentazione di un Piano di stabilità e convergenza in relazione al Patto di stabilità e crescita in discussione in Europa e di un Programma nazionale di riforma che vadano nella direzione di una maggiore, migliore e sostenibile crescita economica, di una piena, buona e sicura occupazione, della correzione degli squilibri macroeconomici interni e del risanamento dei conti pubblici.
L'ordine non è casuale. A nostro avviso, qualsiasi risanamento della finanza pubblica deve partire, infatti, da un'idea di nuova crescita, di aumento della crescita potenziale e di qualificazione della crescita stessa.
In rapporto al testo del Piano nazionale di riforma che il Governo ha presentato il 5 novembre scorso e che sta ora riproponendo, noi pensiamo che occorra definire un piano di politiche economiche, sociali e ambientali più ambizioso e che le misure intraprese finora dal Governo debbano essere più coerenti con lo stesso piano presentato, nonché con quello che noi proviamo a proporre.
Secondo la CGIL, infatti, gli obiettivi da fissare dovrebbero essere più vicini a quelli europei. Mi limito a elencarli, per poi andare a illustrare rapidamente le nostre linee.
Noi riteniamo che l'obiettivo per il tasso di occupazione, per quanto ambizioso, dovrebbe essere fissato al 2020 al 75 per cento; che l'obiettivo per la spesa per ricerca e sviluppo dovrebbe essere fissato, anziché all'1,53 per cento indicato dalla bozza del 5 novembre, al 3 per cento, così come prevede il parametro europeo; che l'obiettivo per l'istruzione terziaria o equivalente debba essere fissato almeno al 30 per cento; che l'obiettivo per la dispersione scolastica si possa fissare attorno al 10 per cento; che l'obiettivo per l'efficienza energetica, così come stabilito dal Governo, debba essere fissata al 20 per cento, così come quello riferito alle energie rinnovabili e alla riduzione dell'emissione di gas serra. Per la riduzione della percentuale di rischio di povertà, su una platea di 15 milioni di persone a rischio di povertà, il Governo prevede una riduzione del 15 per cento, ma noi immaginiamo che si possa arrivare - con una certa politica economica e fiscale - fino a una riduzione del 20 per cento, quindi di 3 milioni di individui.
L'analisi della CGIL e il contesto in cui collochiamo le nostre proposte si fondano sostanzialmente sull'idea che questa crisi porti con sé una connotazione inedita e sistemica, che gli squilibri macroeconomici globali sono la manifestazione di squilibri economici interni agli Stati ancora persistenti e che tutte le risposte date a livello sovranazionale non sono state finora sufficienti.
Tali risposte hanno agito sulle conseguenze e non sulle cause della crisi e permangono ad oggi i suddetti squilibri macroeconomici interni: in particolare, una crescita basata sul debito privato, seppur ridimensionata, negli Stati Uniti; un elevato risparmio e una lentezza della crescita dei salari e dei consumi interni e della stessa spesa sociale nei Paesi emergenti come la Cina - anche se è in corso una ridefinizione delle politiche economiche interne a tale Stato -; un avanzo strutturale dei Paesi che esportano beni energetici.
Nonostante i sommovimenti geopolitici attuali, resta una domanda rigida soprattutto dal Medio Oriente e dalla Russia che ancora ci preoccupa e che, in parte, comporta le ondate inflazionistiche di cui


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dovremo occuparci tra breve, nonché un'insufficiente dinamica della domanda interna nei Paesi europei, compresa l'Italia.
Condividiamo l'approccio congiunto del Fondo monetario internazionale e dell'Organizzazione internazionale del lavoro che vede tra le cause alla base di questa crisi globale l'accentuazione delle disuguaglianze e la degenerazione e deregolamentazione della finanza privata e conseguentemente, vuoti della domanda interna, la compressione graduale della quota di redditi da lavoro e tutte le cadute dell'economia reale, che vanno a incunearsi nelle debolezze strutturali del nostro sistema Paese e che, in parte, sono riconducibili a una tanto nota quanto irrisolta questione salariale.
Riteniamo, altresì, che le politiche di euro-austerità e le conseguenti politiche nazionali di austerità fiscale e finanziaria, per quanto necessarie al risanamento dei conti e al contenimento del debito e del deficit pubblico, purtroppo, siano esse stesse causa di una potenziale spirale attorno alla quale si potrebbero «riavvitare» l'economia europea e quella italiana, da un lato, per effetti deflazionistici - dati i pochi sostegni alla domanda interna - e, dall'altro, contemporaneamente, per un aumento dell'inflazione dettata da componenti esterne.
Riteniamo che l'economia italiana manifesti debolezze strutturali in cui si è incuneata la crisi che hanno portato a una flessione continua prima della crisi e a una forte caduta del PIL negli anni 2008-2009, più forte di quella riportata nelle principali economie industrializzate d'Europa, e in una ripresa - secondo tutte le previsioni dei principali istituti internazionali europei - inferiore ad altre economie sviluppate del sistema Europa e a quella indicata dallo stesso Governo nelle decisioni di finanza pubblica.
Alla base della bassa crescita c'è l'ormai nota crescita esigua della produttività, che noi riteniamo dovuta a fattori, cosiddetti di sistema, esterni e a fattori interni al rapporto tra lavoro, imprese e settori economici. Tutto ciò rappresenta un fattore indispensabile per la ripresa della lotta alle iniquità della distribuzione primaria e secondaria nel nostro sistema Paese. Se, da un lato, infatti, parte delle responsabilità della distribuzione del reddito nazionale può attribuirsi al sistema di contrattazione e di redistribuzione del reddito primario nazionale, un'altra buona parte è da attribuire, a nostro avviso, alle inefficienze del sistema fiscale, il quale ha imposto un eccessivo carico sulle spalle dei lavoratori e dei pensionati, nonché di buona parte delle imprese, soprattutto di media dimensione. Rispetto ai nostri competitor internazionali esse sono caratterizzate da indici positivi di competitività e di redditività tali che quel piccolo gruppo di imprese sia rappresentativo di un sistema produttivo che - secondo la definizione dell'ISTAT e della Banca d'Italia - recherebbe due enormi difetti, in cui si incunea il ventaglio determinante della bassa produttività: un eccesso di specializzazione produttiva basato su settori tradizionali a bassa intensità di valore aggiunto e della conoscenza e una piccola e piccolissima dimensione di impresa.
A fronte di tutte queste considerazioni di analisi, noi abbiamo riflettuto su quale governance economica europea sostenere, insieme alla Confederazione europea dei sindacati (CES), in rapporto al consolidamento fiscale dell'area euro e, in generale, dell'Unione europea. Riteniamo che le indicazioni che adesso l'Europa sta seguendo sul nuovo Patto di stabilità e crescita possano comportare per l'Italia un enorme costo, che, a nostro avviso, il Governo rischia di sottovalutare.
In particolare, se dovesse essere confermato il vincolo stringente del 60 per cento del debito oltre al vincolo del deficit, riteniamo, anche sulla base degli studi di numerosi economisti, tra cui Pisauro, che solo una crescita sostenuta potrebbe riportare il rapporto debito/PIL e deficit/PIL entro i parametri richiesti e che nessuna ricetta, nemmeno quella, pur molto rigorosa, suggerita dal Fondo monetario internazionale, che chiede di far crescere la spesa per pensioni e per sanità in termini reali in misura pari alla crescita del PIL -


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quindi vincolando, a prescindere dai processi di invecchiamento della popolazione, l'incidenza delle grosse componenti della spesa pubblica al PIL - sarebbe sufficiente, in assenza di un altrettanto importante stimolo in termini di domanda aggregata e, quindi, di crescita del PIL.
Da questo punto di vista, riteniamo che il piano del lavoro che abbiamo presentato al Congresso, un piano di investimenti non necessariamente in deficit spending, possa rappresentare un primo stimolo per avere già nel medio periodo risultati in termini di sostegno alla domanda interna e all'occupazione.
Abbiamo anche presentato al Governo una proposta di riforma fiscale tutta orientata al riequilibrio del prelievo, che, a differenza dell'operazione del federalismo che è stata attuata finora, allargherebbe ulteriormente le basi imponibili e soprattutto sprigionerebbe alcune risorse a valere sulle grandi ricchezze e sulle rendite finanziarie, da spendere immediatamente sulla domanda interna dal lato salari e pensioni. Troverete la proposta nella documentazione che stiamo per trasmettere alla Commissione.
Sempre in rapporto a una politica economica europea, riteniamo che bisognerebbe intraprendere una nuova politica dei redditi a livello europeo in modo da stabilire che contrattazione - considerando le specifiche esigenze dei singoli Stati nazionali - fisco, welfare e workfare facciano in modo che i sostegni alla domanda interna degli Stati equilibrino i saldi del conto corrente della bilancia dei pagamenti, che in Europa sono tanto squilibrati quanto l'Europa stessa li misura squilibrati in rapporto agli Stati Uniti, alla Cina e più in generale al resto del mondo.
Dal nostro punto di vista, una proposta interessante, sostenuta anche dalla CES e da noi appoggiata, è quella del trasferimento di parte del debito pubblico, fino al 60 per cento, dai singoli Stati vincolati dal Patto di stabilità e crescita alla BCE e l'emissione conseguente di obbligazioni europee, eurobond, al fine di trasformare quel debito in un debito comune e, contemporaneamente, di investire nei singoli Stati attraverso obbligazioni della BCE e della Banca europea degli investimenti, non solo per infrastrutture, ma anche per sviluppo e coesione sociale.
Sono numerosissime le proposte in tal senso ancora da verificare. Riteniamo che tali proposte, con i dovuti accorgimenti, possano veramente creare le condizioni per una governance economica europea e per riequilibrare il rapporto dei debiti all'interno dell'Unione europea, considerando che l'incidenza del nostro debito sul debito complessivo virtualmente calcolato dell'area euro è la stessa di quello di Francia e Germania.
Il problema è solo di quotazione: le cosiddette triple A delle agenzie di rating, a nostro avviso, sono troppo importanti per un sistema finanziario e ne denotano ancora una scarsa regolazione. Contemporaneamente, riteniamo che debba esserci un sistema che valuti anche la progressione del debito durante la crisi e la composizione dello stesso debito.
L'Italia in questo senso manifesta un risparmio in rapporto al debito pubblico molto più equilibrato, anche per via del basso livello di indebitamento delle famiglie e delle imprese, nonostante la crisi abbia portato un aumento di tale indebitamento, e della forte presenza di ricchezza netta reale, la quale, così come il reddito, è assai concentrata nelle mani di poche persone. L'iniqua distribuzione del reddito e della ricchezza, in particolare in Italia, crea un laccio per la crescita, soprattutto in rapporto al fatto che la ricchezza netta complessiva delle famiglie italiane, in relazione al reddito, denota il livello più alto di tutte le principali economie avanzate. In sintesi, la creazione di nuovo reddito è troppo bassa in rapporto al patrimonio e alla ricchezza attualmente presenti.
Come sapete, la CGIL all'interno della riforma fiscale ha presentato una propria proposta di riforma basata - oltre che sulla lotta all'evasione e all'elusione fiscale, agli sprechi e a tutti i problemi registrati dalla Corte dei conti e dalla Ragioneria generale dello Stato - su un'imposta sulle grandi ricchezze, che noi immaginiamo -


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non ve la spiego tecnicamente, per non annoiarvi - al di sopra degli 800.000 euro di rapporto complessivo tra attività finanziarie, al netto delle passività finanziarie, e attività immobiliari.
Al di là della riforma fiscale, noi immaginiamo una linea di politica economica diversa da quella praticata finora dal Governo, in particolare in rapporto al settore pubblico, in relazione al quale richiediamo il rinnovo dei contratti, il rinnovo della contrattazione integrativa sulle condizioni di lavoro e sull'organizzazione del lavoro, l'immediato rinnovo delle RSU, nessun licenziamento per quanto riguarda tutta la platea di giovani o meno giovani precari che lavorano ricoprendo funzioni sostanzialmente stabili e importanti e un piano occupazionale preciso per i settori dei servizi indispensabili e soprattutto per l'istruzione, elemento chiave per la strategia Europa 2020.
Riteniamo, inoltre, che, per quanto riguarda le politiche sociali, per cui la nostra spesa in rapporto al PIL prima della crisi non era tra le più alte, si debba rifinanziare il Fondo nazionale per le non autosufficienze e quello per le politiche sociali, praticamente azzerati in questa fase, e che si debba investire nelle politiche sociali e nei servizi educativi per l'infanzia e promuovere un piano di contrasto alla povertà e all'esclusione, sapendo che il nostro Paese è l'unico a non avere uno strumento universale dedicato proprio al contrasto alla povertà, nonché definire i livelli essenziali delle prestazioni sociali, quale condizione indispensabile affinché il federalismo non divida ulteriormente il Paese.
Vi risparmio le nostre indicazioni, che troverete nella documentazione, riguardanti il sistema sanitario e la tutela della salute. Accenno solo alle nostre proposte sul sistema pensionistico sotto forma di obiettivi, sempre in rapporto al Programma nazionale di riforma: un tasso di sostituzione delle future pensioni non inferiore al 60 per cento dell'ultima retribuzione, la copertura assicurativa per tutte le lavoratrici e i lavoratori le cui carriere sono caratterizzate dalla discontinuità lavorativa e una rivalutazione delle pensioni che eviti il progressivo impoverimento dei pensionati. Oltre, infatti, ai 7 milioni di lavoratori dipendenti che percepiscono una retribuzione al di sotto dei 1.000 euro netti al mese, noi riscontriamo altrettanti 7 milioni di pensionati di vecchiaia e di anzianità nelle medesime condizioni.
Chiediamo poi l'applicazione dei coefficienti pro quota e non retroattivamente su tutto il montante contributivo e, in generale, essendo in Italia importante l'esperienza della previdenza complementare, che vi siano iniziative a sostegno di una previdenza complementare più estesa e favorita anche nei settori oggi esclusi, così da garantire un tenore di vita più adeguato.
Accenno solo alcune linee sulla riqualificazione della spesa pubblica. È necessaria la premessa che, a nostro avviso, qualsiasi riqualificazione della spesa pubblica, così come la stiamo portando anche ai tavoli di confronto con il Governo e come abbiamo già fatto nei tavoli fra le parti sociali, debba essere orientata a nuove politiche che favoriscano crescita, investimenti e coesione sociale.
Secondo dati ISTAT, tutti gli indicatori di finanza pubblica mostrano che gli investimenti in questi due anni sono caduti, non solo i trasferimenti, ma anche gli investimenti fissi, mentre sono aumentati in maniera meno razionale i cosiddetti consumi intermedi e i costi di funzionamento della pubblica amministrazione. Noi immaginiamo una riorganizzazione degli enti e degli uffici pubblici e una razionalizzazione delle loro funzioni proprio in linea con i principi di sussidiarietà, di proporzionalità e di adeguatezza e un miglioramento delle performance della spesa per il personale, attraverso idee e canali di efficientamento del lavoro pubblico, comunque riconoscendo i diritti contrattuali, ma, allo stesso tempo, legando le dinamiche salariali a un'effettiva produttività, con una nuova misurazione dell'effettiva produttività.
Chiediamo, altresì, come accennavo, l'aumento della componente della spesa


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pubblica destinata agli investimenti, indirizzandoli prioritariamente verso l'innovazione e la conoscenza, ma anche verso il completamento delle opere pubbliche, soprattutto di quelle immediatamente cantierabili, che spesso in Italia sono previste, ma non realizzate a causa dei vincoli stringenti del Patto di stabilità interno.
Per quanto riguarda la politica industriale, chiediamo non solo di agire sull'immediato per affrontare la crisi attraverso le nostre consuete richieste di estensione degli ammortizzatori sociali in essere, ma anche di riformare un sistema produttivo composto da microimprese e specializzato in settori produttivi più tradizionali. Questo, a nostro avviso, si potrebbe attuare con un riordino degli incentivi attualmente in essere, da dedicare a un supporto in termini di credito di imposta, come già avvenuto in periodi precedenti nel nostro Paese, in direzione di nuovi investimenti in innovazione e ricerca che creino nuova occupazione.
Andando a selezionare gli investimenti da incentivare, pensiamo alle nuove frontiere della produzione, dalla green economy, che, secondo i nostri studi, sicuramente in Italia porterebbe nuova occupazione, alle biotecnologie e al sistema salute, perché abbiamo riscontrato sempre dai nostri studi che tutte le applicazioni tecnologiche della biologia e dello sviluppo delle nuove scienze e tecniche non favoriscono solo l'allungamento dell'aspettativa di vita, ma anche la qualità della vita stessa.
Abbiamo stilato un lungo elenco, che non vi sto a leggere, di incentivi da suggerire per un indirizzo diverso di politica industriale. Mi limito solamente a sottolineare che tutto ciò che ho illustrato finora, per il Mezzogiorno vale il doppio, e che, nel difendere e nel promuovere l'occupazione, come previsto dall'articolo 4 della Costituzione, noi riteniamo che il problema della precarietà e dell'occupazione investa particolarmente le nuove generazioni.
Anche se il nostro tasso di disoccupazione generale è in linea con quello europeo, quello di disoccupazione giovanile è superiore di 10 punti. Tutte le nostre proposte si indirizzano nel senso dell'aumento del costo del lavoro non a tempo pieno e indeterminato, considerando anche il fatto che, dopo la Grecia, in Europa siamo il Paese con la più alta incidenza del lavoro non dipendente e che, richiamando anche le sollecitazioni dello stesso Governatore della Banca d'Italia, la precarietà ha un rapporto molto forte con la bassa produttività, generando bassa produttività. Gli stessi salari d'ingresso - di cui come sindacato ci dovremmo prendere carico - delle nuove generazioni sono sensibilmente più bassi rispetto a quelli delle generazioni precedenti.
Se abbiamo segnalato come la questione salariale sia uno dei nodi strutturali per promuovere la competitività e per risolvere la bassa produttività del sistema Paese, evidenziamo anche come la questione generazionale sia un dato forte della stessa questione salariale.
Non accenno alle reti, alle energie e ai trasporti, perché si tratta di proposte molto dettagliate. Voglio solo sottolineare che, proprio oggi, è stato presentato uno studio realizzato dall'Università di Oxford e dalla Sorbonne, commissionato proprio dalla Germania per cercare di capire se lo stesso obiettivo delle emissioni di gas serra - al 20 per cento - fosse raggiungibile: è stato scoperto non solo che è plausibile, ma anche che si può tranquillamente arrivare al 30 per cento, risparmiando, peraltro, tantissimi fondi nei bilanci europei e degli Stati nazionali. Grazie.

PRESIDENTE. Do la parola, in rappresentanza della CISL, a Maurizio Petriccioli.

MAURIZIO PETRICCIOLI, Segretario confederale della CISL. Presidente, grazie a lei e ai componenti della Commissione per l'attenzione che ci dedicate. Anche noi abbiamo depositato agli atti, questa sera, un documento più organico, che avrete l'opportunità di visionare. Intervengo, dunque, per illustrare la nostra posizione, spero in maniera breve e sintetica.
La CISL condivide pienamente la nuova strategia e gli obiettivi prioritari dell'Unione


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europea sull'occupazione e sulla crescita. Riteniamo anche particolarmente corretta e, quindi, efficace, la scelta di avere stabilito uno stretto nesso tra il Piano di stabilità e convergenza e il Programma nazionale di riforma, con il vincolo di una presentazione contestuale nella nuova governance del semestre europeo.
Per noi, come abbiamo sempre chiesto, il necessario rigore dei conti pubblici deve, però, essere coniugato a una politica di crescita che sostenga la ripresa economica e l'occupazione. Ci sono due problemi davvero importanti: il riassorbimento dei lavoratori oggi beneficiari di tante risorse pubbliche, ossia quelle degli ammortizzatori sociali, e il fenomeno sempre più evidente della disoccupazione giovanile, femminile e nel Mezzogiorno.
Per uscire da questo sistema per noi è indispensabile non solo esercitare il rigore, ma anche puntare su una robusta crescita economica. La questione può essere - spero - condivisa, perché crediamo che solo con una robusta crescita economica si possa ridurre sensibilmente il debito pubblico e, quindi, i costi che esso provoca.
Secondo noi, come CISL, questo è l'obiettivo prioritario. Riteniamo, però, che a livello europeo, oltre a mettere in campo programmi e analisi molto efficaci, bisognerebbe anche attuare azioni conseguenti di politica economica per aiutare gli Stati membri a uscire da questa condizione.
Sulle analisi siamo a buon punto, sulle politiche meno. Probabilmente, un'adeguata azione dell'Unione europea va maggiormente rivendicata sull'attenzione ai debiti sovrani contro le pressioni speculative, sugli investimenti per rilanciare lo sviluppo infrastrutturale, su una maggiore vigilanza sull'intermediazione finanziaria per sostenere l'economia reale rispetto a quella speculativa.
Tutte queste riforme sono condivise e non più rinviabili. Esse sono volte a favorire la crescita attraverso investimenti, coesione sociale e riqualificazione della spesa pubblica, non solo nazionale, ma anche locale, in modo che sia funzionale allo sviluppo, e alla riduzione dei costi della politica. Se accettiamo, come accettiamo, responsabilmente il vincolo che il debito pubblico impone a tutti, dobbiamo compiere alcune scelte per trovare azioni e risorse da poter mettere in campo per far partire questa crescita economica.
Ovviamente, nel documento che abbiamo depositato troverete in maniera più specifica, capillare e precisa le questioni esposte, ma per capirci, prima di tutto, cominciamo a mettere in campo tutte le risorse che sono già spendibili e che ancora non vengono spese. Mi riferisco a quelle già sulle appostate per le infrastrutture e per il Mezzogiorno.
Mettiamo in campo un'incisiva lotta all'evasione. È possibile farlo e se ne stanno vedendo alcuni frutti. Evidentemente, una maggiore spinta in questa direzione può provocare gradualmente un rientro dell'evasione fiscale. Bisogna semplificare il sistema fiscale, questo è fuori dubbio, perché solo così si possono intercettare i cambiamenti economici e sociali che sono poi intervenuti. Una minore complessità ci permette anche di intercettare ciò che sta cambiando nella nostra società.
È necessario riqualificare la spesa pubblica nazionale e locale, puntando a minori tagli lineari, in quanto essi spesso creano inefficienze e non raggiungono gli obiettivi duraturi che, invece, noi auspichiamo.
Ancora due punti ci sembrano importanti. Uno è recuperare ingenti sprechi di spesa pubblica, in parte dovuti ai costi della politica e in parte a una stratificazione istituzionale, che a volte è anche causa di inefficienza e di complicazioni per le imprese e per i cittadini.
L'ultimo punto, ma non in ordine di graduatoria, come ho sentito in precedenza - per noi sono tutti punti indispensabili e forse voi ne potete aggiungere molti altri, ne saremmo molto contenti - è il tema dell'alienazione del patrimonio pubblico, almeno di quello che oggi è sottoutilizzato, e delle destinazioni delle relative risorse alla diminuzione del debito, con il vantaggio di una minore spesa per interessi. Ci sembra molto importante


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agire anche in questa direzione. Ci rendiamo conto che il farlo richiede anche interventi da attuare, come quelli legati alla promozione di un'industria privata in grado di entrare e di partecipare alla privatizzazione di questi beni, alla creazione di un mercato di capitali capace di controllare le imprese e gli amministratori che intervengono nei beni e nelle imprese ceduti e di un quadro regolamentare poco discrezionale e indipendente dalla politica, per la dismissione di questo patrimonio immobiliare.
Si tratta, quindi, come primo obiettivo, di spendere meglio le risorse dello Stato per sostenere la crescita e creare nuova ricchezza. È assente un legame stretto e trasparente fra le risorse, le priorità e gli obiettivi, e il sistema di allocazione di quanto è disponibile in termini di risorse è basato quasi esclusivamente sulla spesa storica. Crediamo che questa sia una delle principali carenze del nostro sistema di finanziamento di tutte le politiche pubbliche: rimanere piantati sulla spesa storica.
Sono indispensabili, inoltre, scelte che ci consentano di riqualificare la spesa e di tagliare la spesa corrente improduttiva, oltre che di sorreggere i settori strategici, che noi individuiamo nell'istruzione, nella ricerca e negli investimenti infrastrutturali, materiali e immateriali.
La selettività della politica economica negli interventi di stabilizzazione della spesa risulta, quindi, un elemento fondamentale per non deprimere ulteriormente la domanda aggregata e per non minare la capacità produttiva delle imprese. L'equilibrio tra la sostenibilità finanziaria e la sostenibilità sociale, rafforzando l'efficienza e l'efficacia del nostro sistema di protezione sociale, diventa fondamentale per potenziare l'effetto di stabilizzazione dei redditi delle famiglie appartenenti, soprattutto, alle fasce più basse di reddito. La stabilità dei redditi familiari - nell'arco del ciclo economico - è un fattore importante, sia dal punto di vista della coesione sociale, sia da quello macroeconomico.
Il secondo punto importante ci sembra quello della riforma fiscale. È necessario che tale tema sia presente all'interno del Programma nazionale di riforma e che sia delineato il modo con il quale è opportuno riformare il nostro sistema fiscale.
Per quanto ci riguarda, come CISL, bisogna realizzare un graduale spostamento della pressione fiscale dalle persone alle cose, dunque dai redditi personali ai consumi, alla rendita finanziaria e soprattutto a quella speculativa. Lo spostamento è giustificato da ragioni di efficienza e di equità. Si deve evitare di penalizzare il consumo dei beni di prima necessità e gli investimenti produttivi e si deve rilanciare il contrasto all'evasione dell'IVA, che è molto estesa ed è alla base di ulteriori ambiti di evasione. L'aumento dell'IVA per quanto riguarda i soggetti che oggi hanno la trattenuta alla fonte può e deve essere compensato rendendo disponibile una riduzione dell'IRPEF.
Per un più incisivo sostegno, in termini monetari, ai servizi alla famiglia, dopo tanti anni di interventi molto marginali in questo campo, con piccoli bonus per figli, per anziani, per diversamente abili, per la non autosufficienza, è necessario davvero intervenire in maniera netta.
La riforma fiscale deve prevedere incentivi per lo sviluppo, per gli investimenti e per la crescita occupazionale. La leva fiscale può agire in termini premiali in questo senso, ma è necessario introdurre regimi fiscali che favoriscano processi di ristrutturazione aziendale e che vadano a stimolare l'utilizzo di nuovi strumenti contrattuali, le reti di imprese, l'innovazione, ed il potenziamento della presenza delle imprese nei mercati esteri.
Diventa essenziale, sempre con riferimento alle imprese, sostenere la crescita dimensionale e il rafforzamento patrimoniale delle imprese italiane nei processi di aggregazione e di collaborazione, come le reti di imprese, nei diversi settori produttivi. Occorre prevedere incentivi agli investimenti per nuova occupazione, attraverso sia lo strumento del credito di imposta, sia la detassazione del reddito di impresa.
Il nostro sistema ha bisogno anche di maggiore produttività e la debolezza della ripresa economica è stata accentuata dall'andamento negativo della produttività,


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che da anni caratterizza la nostra economia. Il problema, dunque, diventa quello di rafforzare tutti i fattori interni ed esterni al sistema produttivo, per accrescere la sua capacità competitiva.
Le parti sociali hanno fatto - credo - molto in questi mesi e negli ultimi anni in questa direzione. Chiediamo che, a sostegno di questa azione riformatrice, non solo vadano rinnovate e rese strutturali le misure pubbliche già messe in campo, come la defiscalizzazione, ma anche, in quanto necessaria per un diverso rapporto tra capitale e lavoro, venga rinnovata una legislazione che favorisca le scelte di democrazia economica, aumentando le opportunità di partecipazione delle differenti istanze, compresa la partecipazione finanziaria, anche alla governance delle imprese, e che venga resa disponibile e valorizzata tutta la sussidiarietà sociale, che per noi si realizza attraverso la bilateralità contrattuale.
Su salari, prezzi e tariffe riteniamo che, sempre in questo ambito di competitività, vada rilevato come, da oltre vent'anni, i sistemi di indicizzazione automatica delle retribuzioni nel nostro Paese non esistano più. Ciò ha costituito un'innovazione necessaria per interrompere il circuito prezzi-costi-prezzi. Inoltre, il nuovo modello di negoziazione collettiva, presente dal gennaio del 2009, prevede la depurazione dei prezzi dei prodotti energetici importati, arginando la trasmissione dell'inflazione importata determinata dal petrolio.
Il nuovo sistema di contrattazione rafforza, inoltre, il rapporto virtuoso tra aumento retributivo e crescita della produttività. Ai fini della competitività italiana la contrattazione costituisce una garanzia anche in una fase perturbata come quella attuale. È necessaria, tuttavia, un'azione decisa di politica economica, per evitare che gli impulsi dell'inflazione importata vengano trasmessi e amplificati dagli altri soggetti, a partire dallo Stato. La crescita del prezzo del petrolio determina, a causa delle aliquote definite in percentuale, un aumento delle entrate fiscali legate ai prodotti energetici. Bisogna, invece, stabilizzare gli introiti rispetto ai costi del greggio.
Per concludere, i temi che la nuova strategia dell'Unione europea per l'occupazione e la crescita pone all'attenzione sono davvero attuali e urgenti. La crisi finanziaria e il calo della domanda interna e mondiale hanno spinto le imprese a profondi processi di riorganizzazione, ma l'esiguità delle risorse disponibili anche nel nostro Paese rende evidenti le difficoltà di una riconversione industriale e produttiva. Tutto ciò risulta insufficiente per sostenere le esigenze di una crescita competitiva delle imprese, in una congiuntura economica difficile come quella attuale.
Dobbiamo, quindi, riprendere corpo, spingendo anche in sede europea, per una discussione sulla necessità di liberare risorse per investimenti produttivi, a sostegno della disoccupazione, della formazione professionale, dell'innovazione e della riorganizzazione produttiva.
Noi, per esempio, sosteniamo una nuova tassazione sulle transazioni finanziarie che possa fare da scudo almeno su alcuni aspetti, come quello della disoccupazione e delle politiche sociali. Si tratta, però, di un progetto praticabile solo recuperando una maggiore coesione sociale, a partire dal nostro Paese. Grazie.

PRESIDENTE. Do la parola, per la UIL, ad Antonio Foccillo.

ANTONIO FOCCILLO, Segretario confederale della UIL. Buonasera a tutti e grazie per l'opportunità che ci avete dato. Anch'io ho preparato un documento che depositerò agli atti. Occorre, però, svolgere un aggiornamento su una parte che trasmetterò al più presto.
Non illustrerò nel dettaglio le diverse ipotesi contenute nel documento, perché molte questioni sono state già affrontate. Ci sono molte affinità nelle proposte.
Parto da un dato. Anche noi condividiamo le ipotesi che sono state portate dalla Commissione alla discussione, con un'aggiunta e una preoccupazione: il documento è nato in un momento in cui


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forse l'economia europea non era esposta a tanti rischi come ora. È un documento che rischia di essere già vecchio rispetto a ciò che sta avvenendo nel nord Africa, con riflessi sull'inflazione, e sul maggior costo delle materie prime. Di fronte a una situazione di questo genere le preoccupazioni aumentano e non diminuiscono, rispetto a un Paese come il nostro, che accusa diverse sofferenze.
Svolgo due considerazioni molto veloci. Credo che tutti, a partire ovviamente dal nostro Paese e dalle sue organizzazioni sindacali, dovrebbero tentare di riprendere una discussione un po' vecchia che tenevamo tempo fa, ossia che non ci può essere a livello europeo solo un governo dei processi economici senza una legittimazione delle scelte da parte della politica e, quindi, che si debba cercare di spingere perché ci sia un governo europeo in grado di fare politica e di compiere alcune scelte.
Di fronte a un'inflazione che molto probabilmente, a fine anno, toccherà il 3 per cento, se sono reali le valutazioni di molti economisti e di alcuni istituti di ricerca, automaticamente la Banca centrale europea cercherà di elevare i tassi e ciò inciderà enormemente sulla situazione. Tale situazione è già piuttosto drammatica, se leggiamo le dichiarazioni odierne della Banca d'Italia, con un aumento dei mutui e dei prestiti e con una riduzione del risparmio delle persone, perché sta calando la quantità di denaro immessa nei depositi.
Di fronte a una situazione di questo genere ci vorrebbe un intervento che riequilibrasse le scelte della Banca centrale europea e, nello stesso tempo, all'interno del nostro Paese, occorrerebbe che, di fronte a una situazione di questa drammaticità, che tocca ormai molte parti del nostro Paese, ci fosse un patto che coinvolgesse dal Governo alle forze politiche, sociali, imprenditoriali, fino alle grandi banche italiane. Di fronte a situazioni di questo genere, non è possibile fare un elenco né delle richieste, né delle colpe di ciò che non si è fatto e delle pecche. Bisognerebbe, invece, che l'intero Paese si rendesse conto delle difficoltà che sta vivendo e che operasse, come facemmo nel 1993, un accordo per trovare risorse, favorire la crescita e distribuire la ricchezza. In caso contrario, rischiamo di vivere una fase molto complicata.
Il nostro documento è stato preparato in questo senso e sono quattro le questioni che abbiamo posto all'attenzione.
La prima questione è che qualsiasi scelta che si voglia e si debba compiere dal punto di vista delle risorse da stanziare per l'occupazione, per la produzione e per i lavoratori deve partire dal risparmio. Se non si trovano le risorse, difficilmente l'elenco delle richieste che ognuno di noi può stilare può essere soddisfatto.
Alcune questioni sono state già citate. Noi siamo entrati nel dettaglio e abbiamo anche svolto alcune analisi concrete, anche se magari alcuni dati, come ci è stato già contestato, sono forzati. Le nostre scelte riguardano, in primo luogo, l'evasione fiscale: basterebbe il 20 per cento di riduzione dell'evasione fiscale. Non è sufficiente, però, che ci sia una dichiarazione delle evasioni scoperte da parte della Guardia di finanza, ma occorre che ci sia chiarezza su quanto è stato introitato e recuperato realmente.
La seconda questione riguarda i costi della politica. Sul punto, occorre una premessa: il nostro atteggiamento non è contro la democrazia, né contro lo sviluppo del dibattito e della vita politica, ma all'interno della politica stessa alcune dinamiche potrebbero essere semplificate, senza ridurre né la democrazia, né la possibilità di svolgere il ruolo essenziale della politica. Così come lo chiediamo a livello europeo, non possiamo che rivendicare, anche in Italia, che tale tema sia centrale rispetto alle scelte da compiere.
Abbiamo svolto alcune verifiche. Per esempio, il costo del funzionamento dei consigli e delle giunte delle province è stato di 455 milioni di euro, quello degli incarichi di consulenza di 3 miliardi di euro, quello delle società pubbliche partecipate, per gli organi collegiali, di 2,5 miliardi di euro. Noi riteniamo che, se queste questioni - pur lasciando i compiti inalterati - fossero riorganizzate, riadattate


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e risistemate, si potrebbero trovare risorse da destinare - nel famoso accordo o patto che citavo - a investimenti mirati e qualificati. Oppure, poiché si possono trovare nell'ambito dei comuni alcuni risparmi, che noi abbiamo individuato, si potrebbe ridurre il carico fiscale a livello decentrato. Anche oggi ci sono dati sugli aumenti che si sono verificati dal punto di vista dell'IRPEF comunale e regionale. Non muovo accuse a nessuno, perché mi rendo conto che i comuni stanno vivendo una situazione difficile, però, se noi riuscissimo a recuperare alcune risorse, potremmo ridurre le attuali tasse.
La seconda valutazione di dettaglio che noi evidenziamo è proprio sul fisco. Non ripercorro la storia, perché abbiamo alcune proposte che potete leggere negli atti. L'orientamento è quello di ridurre il peso del fisco per le persone fisiche e per i pensionati e, nello stesso tempo, di spostarlo a carico degli evasori oppure di chi ha alte rendite, perché la tassazione delle rendite finanziarie è molto bassa e andrebbe almeno ricalibrata.
Anche su questo tema abbiamo un dettaglio di proposte, che non illustro. Occorre trovare risorse attraverso il fisco da destinare ai redditi bassi, perché i redditi bassi, così come sono, se opportunamente incrementati, potrebbero favorire la domanda interna e, quindi, lo sviluppo dell'economia.
La terza questione, anch'essa molto dettagliata e approfondita, fa parte di una discussione che abbiamo avviato anche con le parti imprenditoriali, tra CGIL, CISL, UIL e UGL. Essa riguarda tutti gli aspetti dell'innovazione e della ricerca e spiega che cosa possiamo fare insieme noi, come parti sociali, per favorire il rilancio dell'innovazione e della ricerca e che cosa chiediamo di fare alla politica.
Crediamo che le nostre imprese, che pure hanno mantenuto una buona capacità di esportare, non abbiano bisogno per essere competitive solo di immaginare processi di ulteriore delocalizzazione. Se si ricorre a questa logica, alla fine non si sa dove si va a finire. Hanno bisogno, invece, di prodotti innovativi, che possano diventare, proprio perché innovativi, anche competitivi.
Da un lato, si punta su innovazione e ricerca, dall'altro si possono defiscalizzare tutti gli investimenti che le imprese compiono per migliorare il loro sistema produttivo e, dall'altro ancora, se si trovano risorse, così come noi pensiamo e abbiamo immaginato che si possa fare, con le imprese, con il Governo e con le organizzazioni sindacali si può puntare su tre o quattro settori che possano essere settori di eccellenza e che, quindi, possano favorire la crescita del nostro Paese.
Ci sono poi le questioni dell'occupazione e del lavoro, collegate anche allo Stato sociale. Il tema è stato già affrontato. Io credo che la situazione dei giovani in questo Paese rischi di diventare drammatica, perché ormai il 75-80 per cento e, in alcuni casi, anche il 90 per cento dei contratti sono solo a tempo determinato. I contratti una volta chiamati atipici oggi sono diventati tipici, perché fanno parte della legislazione. Un Paese che vive di questo difficilmente può avere una prospettiva e, quindi, noi dovremmo cercare di operare trovando risorse e utilizzando gli strumenti che si citavano prima per far sì che le imprese abbiano la possibilità di trasformare una percentuale, da individuare, di tale lavoro a tempo determinato in lavoro a tempo indeterminato.
Adesso, si aggiunge anche l'aggravamento della situazione della pubblica amministrazione, con le ulteriori riduzioni di spesa introdotte dalla manovra finanziaria che hanno interessato un numero elevato di persone.
In aggiunta, nella pubblica amministrazione l'età media dei dipendenti è di oltre 55 anni. I pochi che potevano anche lavorare diversamente rispetto al passato e, quindi, rendere più produttiva la pubblica amministrazione, rischiano di essere messi fuori perché non ci sono le risorse.
Inoltre, ho visto che nelle proposte avanzate si parla anche di un ulteriore intervento sulla previdenza. Vorrei che fossimo molto attenti tutti - a partire da chi ha l'autorità e il potere di compiere


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alcune scelte - al fatto che nel momento in cui la famiglia, che oggi ha funto da welfare nel rapporto con i giovani, avrà una caduta ulteriore di reddito per effetto delle pensioni contributive, le quali, prima o poi, andranno a regime, anche piuttosto rapidamente, essa non potrà più garantire ciò che fino a ieri riusciva a garantire. Bene o male, le pensioni coprivano l'esigenza familiare, ma con pensioni che si aggireranno intorno al 45-50 per cento dell'ultimo stipendio, la famiglia rischia di non contribuire più al welfare.
Ci sono poi altre proposte che riguardano tutte le sofferenze, che pure ci sono nel nostro Paese e che riguardano, in particolare, le persone più deboli, che in questo momento avrebbero bisogno di solidarietà dal resto del Paese.
Vi ringrazio, deposito il documento e a breve trasmetterò gli aggiornamenti sulla questione energetica.

PRESIDENTE. Do la parola, per l'UGL, ad Antonio Polica.

ANTONIO POLICA, Segretario confederale della UGL. Buonasera, presidente e onorevoli deputati. Grazie per averci convocato. Per noi è importante parlare di questi temi, perché spesso si decide tutto a Bruxelles e alla fine ci troviamo a gestire processi politici, economici e sociali molto importanti in Italia, che ci piovono un po' in testa, per la verità. A livello nazionale non sempre c'è un'adeguata attenzione verso determinate tematiche.
Senza ripetere le considerazioni dei miei colleghi, con i quali sono sostanzialmente d'accordo su molti aspetti, cercherò di integrare alcuni passaggi importanti, sforzandomi oltretutto di attenermi ai temi che ci avete indicato ai fini della discussione.
La Comunicazione in esame, a nostro avviso, è inserita in un contesto molto ampio, quello della strategia Europa 2020. Una Comunicazione annuale, però, dovrebbe tener conto dei fatti attuali. Come ha rilevato prima giustamente il collega, pur essendo il testo del 12 gennaio 2011, noi il 6 gennaio già sapevamo che cosa stava avvenendo nel nord Africa e quindi, a nostro avviso, c'è anche una colpevole disattenzione nel sottovalutare alcuni fatti importantissimi, che si stanno verificando a non molti chilometri da noi. Per alcuni versi, un'ondata così forte in favore dei valori democratici onestamente non si vedeva probabilmente dalla caduta del muro di Berlino, dal 1989. Vada come vada, sicuramente avrà ripercussioni importanti. Questa Comunicazione della Commissione europea non ne tiene assolutamente conto.
L'Italia, nello specifico, ha uno scambio commerciale con i Paesi nordafricani in entrata del 6,8 per cento e in uscita del 4 per cento. Non parliamo di piccole cifre. In seguito vedremo come si rifletterà l'instabilità politica nel suo complesso sull'Italia e sull'Europa.
Noi siamo favorevoli al fatto che sia giunta questa Comunicazione e che ci sia un tentativo di coordinare le politiche economiche, iniziativa che in passato non c'era stata e che è stata forse una delle grandi mancanze della precedente strategia di Lisbona. Infatti, entrando nei limiti del documento stesso, esso manca di un passaggio, proprio relativo alla precedente esperienza. La precedente strategia decennale di Lisbona ha fallito sotto tanti aspetti e non viene mai citata.
Porto un esempio su tutti. C'è un riferimento - al punto III.8. della Comunicazione - in cui si parla della cosiddetta direttiva «servizi», la direttiva che nel passato decennio è stata la più conosciuta dai cittadini europei. Magari è poco conosciuta in Italia, ma è meglio nota come direttiva Bolkestein. Sostenere di voler rilanciare genericamente, senza introdurre paletti precisi, tale direttiva in una situazione magmatica come quella attuale sinceramente ci preoccupa. Oltretutto, chi scrive questo documento forse non ricorda quali furono gli effetti. I due princìpi cardine della direttiva servizi alla fine erano quello dei servizi di interesse generale, che dovevano essere liberalizzati, e quello del famoso contratto del Paese d'origine. Non so se ricordate la polemica relativa all'idraulico polacco e al fatto che si sarebbero applicati agli altri cittadini


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dell'Unione europea, che magari lavorano in Italia, i contratti del Paese d'origine. L'eco del dibattito su questa direttiva fu talmente forte che fu l'opinione pubblica letteralmente a stralciarla. Essa ebbe poi una ricaduta gravissima sul referendum che fu svolto nel 2005, sulla neonata Costituzione europea. Ignorare questo fatto, secondo noi, è indice evidentemente di una scarsa attenzione su alcuni passaggi.
Entrando più nel dettaglio di alcune proposte, secondo noi importanti, di cui non hanno parlato i colleghi, sulla questione delle imprese noi troviamo che lo Small Business Act, che è stato rilanciato in questi giorni, sicuramente potrebbe essere uno strumento importante, perché ha l'obiettivo specifico di sostenere innanzitutto le piccole e piccolissime imprese, di cui l'Italia si potrebbe definire il portabandiera a livello europeo.
Parallelamente a una tutela sempre maggiore dei prodotti di qualità - DOP, IGP, STG - incrociando questi aspetti, noi possiamo aiutare la nostra economia a crescere, utilizzando gli strumenti che l'Europa ci dà, in questo caso.
Nel particolare, però, c'è un rischio importante che attualmente si sta correndo a livello europeo e che è legato al nuovo trattato sul funzionamento dell'Unione. Vi parlo non solo come segretario confederale, ma anche come componente del Comitato economico e sociale europeo. In base al nuovo trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ci sarà un sempre maggior ricorso agli atti delegati. Ciò significa che la Commissione europea, passando soprattutto attraverso i burocrati di Bruxelles, piuttosto che attraverso la politica, stabilirà alcuni aspetti fondamentali della nostra vita quotidiana. Personalmente mi sto occupando di un parere sull'etichettatura dei beni alimentari, che presumo riguardi tutti. Tutta la materia verrà delegata alle diverse direzioni generali, ma di certo queste tematiche di grande rilevanza non passeranno mai all'interno del Parlamento. Sono questioni che ci debbono far riflettere.
Sul tema energetico si parlava prima della questione libica. Se non si vede in tale ambito l'impatto di un processo politico e sociale così forte e violento, non so dove possiamo identificarlo. In Italia, attualmente, abbiamo alcune sfide importanti da affrontare, legate complessivamente al tema dell'indipendenza energetica. Se per la diversificazione sono necessari tempi estremamente lunghi, noi reputiamo che per i temi dell'efficienza energetica forse potremmo anche cercare di svolgere tale attività in tempi più brevi.
Un altro tema per noi assolutamente inesplorato è quello delle energie rinnovabili, che altri Paesi europei hanno già portato avanti con importanti attività.
Passiamo, infine, ai temi che stanno più a cuore a noi come UGL e come sindacato. Mi soffermerò fondamentalmente su tre punti.
Il primo è un modello di sviluppo. L'Italia negli ultimi quindici anni è stata caratterizzata da un modello con queste tre linee: bassi salari, bassa disoccupazione, ma anche bassa produttività. La Germania ci insegna che si possono attuare anche iniziative diverse, senza necessariamente cercare di copiare quelle degli altri in tutto e per tutto. Potremmo sforzarci di creare modelli virtuosi, che premino effettivamente la qualità e la competitività a tutti gli effetti, senza allo stesso tempo cedere in tema di diritti.
Altri colleghi hanno già accennato al tema delle famiglie come soggetti che più di altri hanno subìto gli effetti negativi della crisi. Allo stesso tempo, tantissimi Paesi europei, grazie proprio al consumo interno delle famiglie, sono riusciti a ripartire: pensiamo alla Germania, ma anche - fuori dall'Europa - agli Stati Uniti. Una proposta che noi portiamo avanti da un po' di tempo è quella di passare realmente al quoziente familiare o, comunque, a forme di imposizione che prevedano una ridistribuzione più equilibrata di tutta la tassazione o a forme di reddito equivalente. Dopo la prima proposta del quoziente familiare ce ne sono state tante. Noi pensiamo che tutte quelle che hanno


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il medesimo approccio possano andare a compensare una nostra mancanza come sistema Paese.
In ultimo, vorrei spendere una parola sul tema del lavoro giovanile. È vero che noi abbiamo un tasso di disoccupazione giovanile al 29,4 per cento, ma, a differenza di altri Stati europei, sosteniamo da un po' di tempo che sia un tasso falsato. Il nostro problema, a monte, è innanzitutto un problema di legalità. A differenza di tanti altri Paesi, in Italia c'è la tendenza, soprattutto per i ragazzi che stanno studiando, di ricorrere a forme di lavoro in nero o nelle diverse sfumature di grigio. Sono disposti ad accettare tutte le tipologie di lavoro, pur di compensare determinate esigenze in una fase di studio o, comunque, di crescita.
Al netto di questo aspetto, crediamo che siano necessari tre fattori per imprimere una svolta reale al Paese, che sta perdendo una generazione intera. Serve, innanzitutto, una continuità che parta dall'istruzione, che continui nella formazione e che veda in primis un sistema di orientamento realmente valido. Se non orientiamo i giovani a essere istruiti e, quindi, a formarsi in materie che poi effettivamente siano utili e spendibili nel mondo del lavoro, in funzione anche del tipo di Paese che vogliamo creare, probabilmente non andiamo lontano. Il discorso parte, quindi, agli albori.
Dobbiamo per alcuni aspetti anche ricostruire tutta una forma di istruzione professionale che è andata persa e che, invece, era un nostro fiore all'occhiello e portare avanti questi processi formativi per tutto il corso della vita della persona, finché si studia, ma soprattutto dopo, quando si lavora, per rimodulare, integrare e adattare le proprie conoscenze in funzione delle necessità del mercato.
Occorre una continuità retributiva, perché il nostro sistema di ammortizzatori sociali - è stato ricordato già precedentemente - è complessivamente inadeguato.
Infine, c'è anche un tema di qualità retributiva. Se mettiamo a confronto le retribuzioni delle persone un po' più avanti con gli anni con quelle dei giovani, vediamo che esiste una grandissima disparità. Questo fatto si nota sia a livello nazionale, sia, ancor di più, a livello europeo. Probabilmente, rimettendo insieme questi tre assi possiamo riuscire a invertire la rotta. Grazie e buon lavoro.

PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MAINO MARCHI. Affronto alcune questioni, partendo da quella relativa all'obiettivo che si è data l'Unione europea per il tasso di occupazione nel 2020: il 75 per cento. Nella Comunicazione in esame ci viene riferito che l'insieme dei diversi piani presentati porta a non raggiungere pienamente questo obiettivo, con il 72,4-72,8 per cento. L'Italia si colloca tra il 67 e il 69 per cento nella bozza del PNR e credo che questo sia uno dei temi fondamentali su cui cercare di sviluppare tutte le iniziative possibili per avvicinarci maggiormente agli obiettivi europei.
È indubbio che esiste un forte collegamento con la crescita e con tutti i discorsi che sono stati svolti e condivido il fatto che per il risanamento è fondamentale un certo livello di crescita, soprattutto in un Paese come l'Italia, che ha un problema rilevante di debito pubblico.
Molte delle proposte che avete sviluppato riguardano la crescita. Volevo porvi alcune richieste di elementi più specifici sui tre punti che, al di là del discorso generale sull'occupazione, per noi rappresentano fattori di debolezza. In particolare, mi interessano l'occupazione femminile, l'occupazione giovanile e l'occupazione nel Mezzogiorno. Chiedo se ci siano anche proposte specifiche di incentivi o di politiche che mirino soprattutto su tali obiettivi.
Il secondo aspetto riguarda la precarietà. Noi come Partito Democratico abbiamo avanzato una proposta, una tendenza, un obiettivo, ossia che il lavoro flessibile arrivi a costare di più del lavoro stabile, a differenza di com'è adesso. Volevo chiedere se questo è un obiettivo condiviso, se pensate che possa essere utile


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anche per il raggiungimento degli obiettivi occupazionali e se anche voi avete proposte in tal senso.
La terza questione attiene alla crescita e ai temi del lavoro. In una fase che si auspica dopo la crisi del 2008-2009 - adesso siamo in una fase di lenta crescita, nonostante tutti i problemi e le incertezze sugli scenari internazionali - con un livello di crescita comunque previsto a tutti i livelli, pensate che possa essere utile pensare anche a forme nuove di compartecipazione dei lavoratori agli utili aziendali, a forme di cogestione?
Vengo alla quarta questione. Rispetto agli altri quattro temi che sono presenti negli obiettivi europei - ricerca, energia e ambiente, istruzione e povertà - abbiamo una differenza rilevante rispetto agli obiettivi europei. Su quali di questi ritenete che occorrerebbe compiere il maggior sforzo?
Infine, si pone un problema che io penso sia ormai mondiale, ma che riguarda in particolare il nostro Paese, di presenza sempre più ampia della criminalità organizzata, che pesa anche sulla crescita e sullo sviluppo. È certamente uno degli elementi che ha frenato lo sviluppo del Sud e che provoca la distanza che ancora esiste rispetto al Nord. Oggi, però, è un problema che riguarda anche il Nord e il Centro in modo sempre più ampio, con un nesso forte tra economia e illegalità, nel senso che la criminalità organizzata tende ad acquisire sempre più spazio nell'economia, riciclando il patrimonio e le ricchezze che acquisisce in forme criminali e illecite.
Vi chiedo se in questo senso - questa è stata una legislatura nella quale su tale versante si sono prodotte anche diverse innovazioni legislative - avete proposte, oltre a quella sulla lotta all'evasione fiscale, che certamente rientra nel campo del contrasto all'illegalità, anche in riferimento agli obiettivi di crescita. Credo che sia un tema da tenere presente. Non si possono raggiungere determinati obiettivi di crescita, se non è in corso anche una lotta molto forte alla criminalità organizzata nel nostro Paese.

MASSIMO VANNUCCI. Grazie per quest'audizione. Mi sembra che una linea ricorrente in tutte e quattro le proposte sia quella dell'utilizzo della leva fiscale a favore di una maggiore domanda interna, con redistribuzione del carico fiscale - immagino - visto che abbiamo un tasso di pressione fiscale al 43,5 per cento. Tuttavia, siamo molto generici. Francamente ne sento parlare spesso e anche qui ho sentito l'espressione «dalle persone alle cose». Bisogna, però, tradurre queste considerazioni. Con un livello di imposizione fiscale così alto, credo che il nostro Paese non abbia grandi margini in questo senso, anche se l'Europa lo indica e tutti gli Stati membri rilevano la necessità di aumentare la domanda interna attraverso migliori condizioni per i salari e per la politica dei prezzi.
Rilevo una genericità, anche se credo che bisogna farsene carico. Questo Paese è troppo «general generico». È un problema nostro e dovete aiutarci in questo senso, anche su questa ricorrente affermazione che svolgiamo sulla spesa. Abbiamo contrastato i tagli lineari, abbiamo affermato che così non funziona, tagliamo, continuiamo a tagliare, ma poi alla fine ci accorgiamo che la spesa corrente aumenta costantemente, mentre cala la spesa per investimenti.
Dobbiamo affrontare il nodo, ossia il fatto che i tagli vengano effettuati sulla spesa tendenziale e che ci sono meccanismi di adeguamento automatico che vanno avanti a prescindere da noi. Se vogliamo attaccare quei meccanismi di regolamento automatico della spesa, arriviamo ai diritti.
Non si sente più parlare di riforma dello Stato sociale. Credo che il vero patto sociale, come affermavano tutti, possa essere realizzato solo su questo punto, ossia su una vera e reale riforma del welfare, che oggi è attaccato da tre fattori sostanziali: l'alto invecchiamento, l'alta evasione fiscale - un welfare universale si dà anche ai furbi e, quindi, chi lo mina alle fondamenta è colui che evade le tasse, perché il patto non è più fra pagare e ridistribuire in servizi, in quanto alcuni non pagano,


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ma prendono comunque i servizi - e la competizione internazionale fra modelli e sistemi, per la quale quello europeo, più avanzato, l'unica conquista dei riformisti, si confronta con altri modelli che non stanno in piedi. Questo è il tema che bisognerebbe mettere sul piatto. Se vogliamo raggiungere gli obiettivi che l'Europa ci indica per l'inclusione sociale, per la riduzione della povertà, per migliorare i livelli di istruzione, per avere più risorse per la ricerca e lo sviluppo, credo che, posto il debito pubblico che abbiamo, cresciuto di 220 miliardi di euro in tre anni, e posti gli 80 miliardi di interessi che paghiamo ogni anno - anche quello è un meccanismo automatico di spesa che abbiamo - se non affrontiamo questo nodo, non ne usciamo. Le parti sindacali sono fondamentali per disegnare un nuovo welfare che non premi più i furbi e che metta anche in discussione princìpi consolidati. Dobbiamo adeguarci al nuovo tempo.

PIER PAOLO BARETTA. Mi concentro su un solo punto. L'impressione che noi abbiamo e che ci stiamo creando è che la questione del rientro del debito, comunque vada la trattativa europea, che ovviamente auspichiamo sia favorevole all'Italia - in questo senso chiediamo al Governo di fare tutto il possibile per allentare i vincoli rispetto alla proposta iniziale presentata - e qualunque sarà la mediazione, rappresenta una strada molto in salita per il nostro Paese.
In sostanza, credo che possiamo affermare che sia una situazione probabilmente addirittura peggiore di quella del 1993, per due motivi. Il primo è che allora, come si ricorda bene, la disponibilità della moneta consentì un «colpo» di svalutazione, che a sua volta permise una ripresa di capacità competitiva del sistema economico piuttosto spontanea. Il secondo è che in quel momento, a una crisi obiettiva della politica corrispose una forte capacità delle parti sociali, assieme, di prendere in mano il pallino del gioco e stringere gli accordi di cui ci ricordiamo.
Non metto in discussione e non voglio arrivare a discutere delle divisioni tra i sindacati, che sono tutte legittime e motivate, ma la percezione che noi abbiamo è che tra pochi mesi, comunque vada, cambierà il quadro di riferimento per la politica, nel senso che probabilmente una dialettica soltanto aspra non consentirà di affrontare le questioni, e tale quadro potrebbe cambiare anche per le parti sociali, indipendentemente dalle scadenze elettorali. Vi chiedo se su questo punto vi sia una crescita di percezione e se esistano non solo tra i sindacati, ma anche tra le parti sociali, sedi, formali o informali, attrezzate in vista di tale prospettiva.
Mentre mi sembra che anche dalle relazioni svolte da voi, questa sera, emerga una coscienza generale, le piattaforme, quando si va all'articolazione - riprendo l'osservazione del collega Vannucci - rischiano di essere piattaforme di spesa, un'attitudine che abbiamo un po' tutti, anche in Parlamento. Il cambio di fase mi pare tale che probabilmente merita una riflessione. Vi è percezione del salto vero o pensate che, come sostengono il Governo e il Ministro Tremonti, ce la possiamo «cavare» con le politiche attuali? Questo è il punto discriminante.

LINO DUILIO. Mi riallaccio a queste ultime considerazioni perché vorrei riferire ai nostri gentili ospiti che noi abbiamo pensato di svolgere quest'indagine conoscitiva per cercare di riportare in Parlamento un livello di discussione adeguato su una questione che sta diventando drammatica e rispetto alla quale riteniamo che un po' dappertutto, compreso in Parlamento, vi sia scarsa consapevolezza.
Siamo dentro una morsa generata dal debito, il quale è un mostro che sembra ingovernabile e che continua ad aumentare. Sapete bene quali sono i meccanismi per cui aumenta il debito. In un Paese in cui la spesa aumenta e le entrate diminuiscono, esattamente il contrario di ciò che dovrebbe accadere, i deficit continuano ad alimentare il debito e, senza avere la necessità di disporre della sfera di cristallo, se non si vuole vivere in modo un


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poco irresponsabile, bisogna cominciare a temere che abbiamo un futuro non proprio roseo.
Dall'altra parte abbiamo la crescita, che può essere anche evocata, affermando che c'è bisogno della crescita per abbassare il debito. Lo sappiamo anche noi. Sostenevo stamattina con un altro interlocutore che in questo Paese siamo pieni di diagnostici, ma ci mancano i terapeuti; continuiamo a fare diagnosi e ci consoliamo con esse, mentre il problema ormai drammatico è la terapia, ragion per cui chi ha un'idea la tiri fuori.
Non casualmente abbiamo chiamato tutti i numeri uno, che sfileranno in questa Commissione per venire a riferirci se hanno idee da offrire al Parlamento. Spero che anche i vostri numeri uno lavorino su alcune idee che ci possono offrire, rispetto ad alcune questioni che vi vorrei sottoporre in modo telegrafico.
Considerato il fatto che non si può distribuire ciò che non si ha e che, quindi, il paradigma socialdemocratico - che si fonda sulla cultura distributiva, la quale dava per presupposta la creazione di una ricchezza da poi distribuire - rischia di incappare in una contraddizione in termini, da parte vostra che tipo di contributo, che io ritengo possa essere fondamentale, potete dare al lavoro del Parlamento?
Io sono uno di coloro che - il segretario Foccillo, in particolare, lo ricorderà, perché ci siamo visti e sentiti in altre occasioni, in sede di audizioni sui disegni di legge finanziaria degli anni passati - si ponevano una domanda, che ripropongo in questa sede. Noi stiamo impazzendo perché non riusciamo a tagliare la spesa. La procedura dei tagli lineari contro cui tutti gridano tutti i giorni è una procedura che abbiamo avviato noi, che siamo oggi all'opposizione, asserendo che doveva essere sperimentata per poco tempo, perché poi bisognava entrare in modo chirurgico dentro la realtà che determina la spesa. Siamo tutti consapevoli del fatto che il taglio lineare è uno sparare alla cieca, però, per entrare in modo chirurgico dentro la realtà che determina la spesa, come affermava il povero Padoa Schioppa e come è scritto nella relazione unificata che ci ha lasciato in quei due anni da ministro, il taglio della spesa non si attua con le dichiarazioni roboanti e retoriche, ma con altri strumenti.
Chiedevo allora e richiedo adesso, visto che, secondo me, non è cambiato nulla, ma anzi la spesa continua ad aumentare, se anche voi, così come è stato fatto meritoriamente a suo tempo, quando abbiamo domato la bestia dell'inflazione, vi state ponendo il problema di affrontare questa bestia della spesa pubblica, che non riusciamo a domare, perché per domarla bisogna che arriviamo alla situazione in cui anche l'ultimo impiegato in Italia si renda conto - è una battuta che intende essere solo metaforica - che spegnere la luce quando esce è utile per contenere la spesa pubblica. Non voglio addebitare a voi questa responsabilità. So che ci sono anche altri fattori che fanno riferimento al modo di legiferare, ma vi state ponendo anche voi il problema di come contribuire a ridurre la spesa attraverso un contributo che in modo chirurgico individui le fonti di incremento della spesa, che, peraltro, si ritorcono negativamente anche sulla vostra attività più tradizionale? Quando vi si arriva a dire che non c'è un euro per il rinnovo contrattuale e che se ne parla nel 2013 e, se andiamo avanti così, secondo me, nel 2013 si ripeterà esattamente la stessa situazione, rischiate anche voi di trovarvi senza un mestiere e di entrare in cassa integrazione anche voi. Scusate il paradosso, ma, quando un sindacato va a fare contrattazione senza poter ripartire nulla e si ferma solo sulla parte ordinamentale, non so alla fine che cosa possa concludere.
In termini assolutamente positivi e costruttivi, vogliamo tutti, ognuno compiendo la propria parte, assumere la consapevolezza della complessità drammatica di questa situazione, cioè di una spesa che continua ad aumentare in un Paese in cui la spesa dovrebbe diminuire e le entrate dovrebbero aumentare, mentre succede esattamente il contrario?


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La seconda considerazione, su quelle che potremmo chiamare innovazioni di processo, è più telegrafica. In merito alla produttività, tutti lamentiamo che da vent'anni circa il trend di crescita della produttività sperimenta tassi negativi, ragion per cui, se abbiamo una produttività che va avanti in base a una combinazione di fattori e non affrontiamo il nodo della produttività, non usciamo da questa storia. Tutti gli altri discorsi sulla competitività e la crescita sono fumo.
Cito il caso di Termini Imerese, per portare l'esempio più concreto, esprimendomi brutalmente e secondo le mie scarse competenze economiche. È chiaro che, se un'azienda produce un medesimo prodotto a un costo di 10 in un posto e di 20 altrove, la deve produrre nel primo posto. Non giustifico la scelta, perché ci sono stati altri tempi in cui, come sappiamo, lo Stato ha effettuato trasfusioni di sangue per decenni, però il problema è oggettivo e bisognerebbe raccogliere la sfida per ragionare su come si possa competere in termini di incrementi di produttività dei quali vadano a beneficiare anche i lavoratori, per quanto possibile, nelle lavorazioni e nelle produzioni massive.
Questa è la seconda domanda che io pongo, sempre in termini non di risposte, ma almeno di consapevolezza e di elaborazione di un'ipotesi, che non siano la solita giaculatoria e il solito rosario delle questioni, pur tutte giuste, che ci sentiamo ripetere da sempre. Quando parliamo di gente che guadagna 800 o 1.000 euro al mese, occorre semplicemente fermarsi ed esprimere rispetto. Poiché, però, non si può distribuire ciò che non si ha, i problemi sono un po' più sofisticati e il tema della produttività, che sperimenta tassi di crescita negativi, non è banale. Volevo chiedervi anche su questo punto che cosa pensate.
Da ultimo, si pone un problema di innovazione di processo, ma anche di innovazione di prodotti. Non possiamo pensare di continuare a produrre ciò che produciamo tradizionalmente come se il mondo non fosse cambiato, come se non ci fosse la globalizzazione, come se non ci fosse la competizione di Paesi che svolgono le nostre stesse attività o che imparano a svolgerle.
Su questo versante torniamo di nuovo alla sfera produttiva. Torno di nuovo alla precedente domanda, che mi rendo conto essere un poco paradossale, da porre al sindacato, ma il tradizionale mestiere che insiste sulla dimensione distributiva, in una fase in cui c'è il rischio di distribuire ciò che non si ha e, quindi, fondamentalmente di perdere il mestiere, vi porta a domandarvi se non si debba, almeno in termini di elaborazione, contribuire a ragionare su come si possano individuare nuovi sentieri produttivi che possano permettere di far aumentare la crescita e, quindi, di distribuire ai lavoratori e a coloro che non hanno lavoro?
Sento questa preoccupazione in modo drammatico come cittadino e come parlamentare. Non ho la soluzione e mi piacerebbe che ai massimi livelli si sperimentasse la stessa attenzione che abbiamo sperimentato a suo tempo, quando c'era la bestia dell'inflazione che si aggirava attorno al 20 per cento, che, alla fine, mettendoci insieme tutti, siamo riusciti a domare. Oggi ho l'impressione che questa attenzione, per quanto ognuno svolga il suo mestiere, fondamentalmente non ci sia.

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri auditi per la replica.

ANTONIO FOCCILLO, Segretario confederale della UIL. Presidente, cercherò di essere brevissimo, anche se le domande poste e i temi messi sul tavolo avrebbero bisogno di ragionamenti di ore.
Forse non sono stato molto chiaro nell'introduzione, ma ho evitato di spiegare nel dettaglio il documento che ho lasciato alla Commissione e mi sono posto il problema che è emerso stasera: noi tutti dovremmo essere consapevoli che siamo in una fase più drammatica di quanto lo stesso documento cercava di ipotizzare. Ciò che sta avvenendo oggettivamente produrrà ulteriori situazioni di difficoltà in questo Paese.


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Di fronte a questo tema, io credo che tutti, a prescindere da destra, sinistra, CGIL, CISL o UIL, dovremmo essere interessati a dare un futuro a questo Paese. Per dare un futuro a questo Paese, come ricordavo anche prima, bisogna trovare una mission.
Noi nel 1993 riuscimmo a coagularci e a imporre anche ai nostri rappresentati alcuni sacrifici enormi, perché avevamo l'idea di portare l'Italia in Europa a pari titolo con gli altri Paesi. Siamo riusciti a impostare un progetto che aveva un obiettivo comune e che, quindi, portava le persone a essere consapevoli di ciò che si stava rischiando e di quella che poteva essere la prospettiva, ma dentro quel progetto abbiamo regolato tante questioni, che sono ancora attuali e che andrebbero regolate. Bisogna trovare una sede in cui si possa discutere in concreto di tutte le questioni.
Non a caso io sono partito da un dato, affermando che bisognerebbe trovare alcune risorse. Abbiamo anche indicato, chi più chi meno, dove andarle a cercare. Qualcuno ci contestava che siamo molto generici, ma, se guardate i nostri documenti, vedrete che ci sono molti dettagli. Può darsi che il contenuto non sia condiviso, ma non è quello il problema. Occorre trovare le risorse e ridurre soprattutto le spese.
Quando si parla di spese, nell'ottica del cittadino comune o di una determinata scelta politica, si taglia sempre ciò che è più facile tagliare. Io vorrei, invece, che svolgessimo un ragionamento diverso e che andassimo a vedere realmente quali sono gli sprechi.
Porto un esempio banale: possiamo permetterci in una situazione di disastro della spesa pubblica di continuare a finanziare la sanità pubblica e la sanità privata? In questo Paese finanziamo la sanità privata con i soldi pubblici. Non sto svolgendo un ragionamento ideologico. Nella sanità pubblica o privata, dato che i soldi sono pubblici, molto spesso i soldi pubblici diventano altro: numerose clientele e forme di malaffare sono dovute a questo problema.
Si potrebbe ragionare e si potrebbe valutare quali soldi sono utili e quali non sono utili, sia del pubblico, sia del privato. Bisognerebbe razionalizzare, così come per la scuola e per altri settori.
Se si trova la sede, si può ragionare, però si deve anche sapere prima dove vogliamo andare a parare. Se l'idea è quella di ridimensionare tutto il servizio pubblico, magari a qualcuno va bene e ad altri no, ma quale società stiamo costruendo? Occorre definire anche un modello di intervento selettivo.
Sulla produttività gli altri colleghi possono intervenire sulle questioni che loro ritengono opportune. Io credo che il sindacato italiano abbia mille difetti, ma che in questo momento abbia compiuto una scelta difficile e drammatica, che è costata differenze e anche conflitti fra di noi.
Di fronte all'ipotesi che una grossa multinazionale italiana potesse andare fuori dall'Italia, il sindacato ha accettato di mettere sul tavolo anche una disponibilità a ragionare. Anche in questo caso la produttività non può essere solo costo del lavoro, ma è composta di tanto altro, di innovazione, di prodotto, di prodotto diverso, di distribuzione, del modo di lavorare, di scelte del management.
L'idea per uscire da questa situazione drammatica e difficile, in cui saranno necessari ulteriori sacrifici, è che il sindacato deve essere coinvolto nelle scelte aziendali. Non può essere chiamato solo nel momento in cui c'è una fase drammatica e difficile da gestire, altrimenti si mette a svolgere un mestiere di tutela dei suoi rappresentati, senza pensare ad altro e sbagliando.
Occorre cambiare completamente l'impostazione. Abbiamo dimostrato di aver accettato la sfida, perché abbiamo stipulato accordi. Abbiamo spostato alcune contrattazioni nel secondo livello, proprio per le gare, gli aspetti contrattuali e le scelte che l'azienda compie, ma chiediamo anche di essere coinvolti. Su alcune questioni, se troviamo la sede di discussione, voi trovate un sindacato disponibile. Il


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problema è che non si riesce a trovare la sede per affrontare le questioni e noi siamo preoccupati.
Vorrei raccontare fatti che avvengono giornalmente, ma mi limito a uno solo. Io insegno anche all'università. Recentemente e pubblicamente mi sono trovato di fronte una ragazza di 26 anni, che ha due lauree e sta conseguendo la terza. Questa ragazza mi ha riferito che non lavora, nonostante le due lauree e la terza in corso, se non in una di quelle aziende non-profit e aiutano i cittadini. Per fortuna, le pagano almeno le spese, ma non crede più nella politica, né nel sindacato e le resta solo la lotta armata. Non vorrei che in questo Paese si generasse questo modo di pensare e, quindi, vorrei tentare di costruire un futuro per queste persone, mettendo in campo la disponibilità a ragionare e a confrontarsi.

RICCARDO SANNA, Funzionario del dipartimento politiche macroeconomiche e di bilancio dello Stato della CGIL. Ringrazio per la disponibilità e la pazienza gli autorevoli e onorevoli interlocutori.
La CGIL, come avete notato, ha impostato tutte le sue linee sulla questione generazionale. Secondo noi, l'intero modello di sviluppo a cui si dovrebbe pensare parte dal presupposto di ritrovare la generatività sociale. A oggi, in questo particolare momento storico - non a caso, gli storici leggono i cicli attraverso le variabili demografiche - ci troviamo in un momento in cui la generatività biologica prevale su quella sociale e non c'è attenzione a ciò che resterà.
Quando ci si chiede se il tasso di occupazione del 75 per cento sia un obiettivo perseguibile, come e con quali mezzi, noi riteniamo che il lavoro sia al centro della ripresa e che, quindi, qualsiasi idea debba concentrarsi su tutte le risorse nascoste del nostro sistema Paese. È questo il punto essenziale di tutte le proposte che in dettaglio sono nel documento.
Abbiamo elaborato, per quanto ci compete, un piano di incentivi all'interno di una politica industriale, che, secondo noi, avrebbe potuto essere condotta meglio da questo Governo in questi 33 mesi. Riteniamo che attraverso alcuni stimoli si possano liberare e sprigionare alcune risorse. Qualsiasi nuovo investimento, qualsiasi incentivo che crei investimenti fissi lordi, per una banalissima legge economica che vale tanto nell'economia chiusa quanto in quella aperta, crea nuova occupazione. Chiaramente, la nuova occupazione va ad assorbire tutta l'occupazione che adesso è inoccupata, oltre che disoccupata.
Il legame tra l'occupazione femminile, delle nuove generazioni, e del Mezzogiorno e l'occupazione regolare è lo stesso del problema di un'economia che non sa assorbire e recuperare le nuove generazioni e metterle in condizione di esprimere se stesse. Che sia lavorare per vivere o vivere per lavorare, non importa: il punto è che non esiste in questo Paese la condizione, oltre che per la crescita, proprio per creare nuova occupazione e per assorbire nuove generazioni.
Non è solo una questione di offerta di istruzione e di formazione della conoscenza per le nuove generazioni. Anzi, è il contrario: se si assorbissero nuovi paradigmi tecnologici e ci fosse la famosa riconversione attraverso un meccanismo di incentivazione e, più in generale, di politica industriale sostenuta anche dal fisco, sicuramente, ci sarebbero più occasioni per assorbire buona parte delle nuove generazioni, che sono quelle che abbassano gli indici di dispersione scolastica.
Sicuramente, noi immaginiamo un'idea in cui il costo del lavoro flessibile sia superiore a quello del lavoro a tempo indeterminato, ma occorre prestare attenzione: ci sono lavori atipici precari, lavori tipici precari, lavori atipici flessibili, para-automoni e lavoratori che lavorano in modo flessibile para-professionistico che sono soddisfatti e che hanno una loro stabilità, malgrado le mancanze di welfare. Il punto è, quindi, il costo del lavoro, ma anche quello di un sistema di compensazione di tali vuoti retributivi e contributivi per diverse generazioni.
Tutti i discorsi sulla famiglia vanno visti sempre nell'ottica del modello di


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sviluppo. È vero che la famiglia funge da ombrello, ma la stessa Banca d'Italia ci ricorda che, anche se essa attutisce gli effetti della disoccupazione - questa ha realizzato alcuni indici di disoccupazione familiare - è altrettanto vero che il disincentivo a cercare lavoro o, comunque, a risultare tra coloro che cercano lavoro è molto più che proporzionale, tanto che abbiamo un Paese, per tutte queste ragioni, con 15 milioni di inattivi.
Le variabili demografiche sono causa o effetto di questo sistema di sviluppo, di questo modello, di questo sistema economico e produttivo, di questo tessuto? Questa è la domanda. Secondo noi, sono più effetto che causa. Consultare le statistiche demografiche sul sito dell'Istat è sconfortante. Le proiezioni al 2050 di tutti gli indici demografici, da quello di dipendenza degli anziani, malgrado un allungamento dell'aspettativa di vita, ci indicano che qualsiasi aumento del tasso di natalità non è minimamente in rapporto all'allungamento della vita e all'aumento della popolazione, nonostante le ondate migratorie.
Prevediamo alcuni incentivi, compatibilmente con le normative europee, soprattutto crediti di imposta per favorire nuova occupazione. Immaginiamo un costo di lavoro superiore, forme di partecipazione e numerosi elementi che sono stati chiamati interni al rapporto tra capitale e lavoro per la crescita della produttività, tra cui la partecipazione.
Attenzione, però: se si parla di modello tedesco, tutto - codeterminazione, consiglio di sorveglianza, che non è cogestione o partecipazione agli utili, ma è un discorso molto più complesso e articolato - figura anche nelle nostre proposte. È una questione che cercheremo di affrontare noi, anche con la rappresentanza nel mondo delle imprese.
Di sicuro stiamo pensando a questo, ma non basta. C'è un problema di sistema. Non ho elencato tutto ciò che riguardava le infrastrutture e il capitale sociale, per tornare alla legalità. Si è tenuto un bellissimo seminario della Banca d'Italia pochi mesi fa, inedito, che declinava tutti gli aspetti in rapporto al capitale sociale, quindi a una cultura della legalità, dello Stato e del senso civico, una cultura che le nuove generazioni, annichilite e senza speranza, non hanno.
La generatività biologica e non sociale provoca anche, come causa ed effetto allo stesso tempo, una perdita dell'etica, del senso dello Stato e della storia. Quando si parla di modello di sviluppo, dal nostro punto di vista è chiaro che bisogna privilegiare la ricerca e l'innovazione. Per questo motivo abbiamo pensato a un Programma nazionale di riforma più ambizioso negli obiettivi.
Mi rendo conto che non si può andare in deficit spending e, pertanto, abbiamo cambiato dall'inizio della crisi le nostre proposte. La riforma fiscale è a costo zero. Se volete, vi illustro tutte le formule e il capitolato tecnico delle nostre proiezioni sul micromodello econometrico che abbiamo impostato sulla base della distribuzione dei redditi da lavoro dipendente risultante dai nostri CAF. Vi mostro che cosa comporta la cosiddetta «patrimoniale». Siamo più realisti persino del Fondo monetario internazionale, che immagina 15 miliardi di euro l'anno. Noi ne abbiamo previsti 4, proprio per andare a tassare gli ultra ricchi. Per questo motivo parliamo di risorse nascoste e sono d'accordo con la frase per cui si distribuisce ciò che si ha. Essendo la patrimoniale come la immaginiamo noi, cioè come la immaginavano i francesi e il Governo inglese, un'imposta per definizione altamente progressiva, essa allarga semplicemente le basi imponibili di quel tanto che basta a riportare a un gettito e a una migliore funzionalità macroeconomica del sistema distributivo, che noi riteniamo indispensabile.
Lo stesso concetto riguarda le tasse sulle transazioni finanziarie. Già Keynes, immaginando l'eccessiva circolazione di capitali nel suo trattato sulla moneta, sottotitolato Eutopia, sottotitolo poi cancellato, suggeriva l'introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie a livello globale, forse con un richiamo a Kant. Il senso della parola «eutopia» è che la


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realtà da sola non si cambia. È più utopistico cercare di cambiare la realtà immaginando che si cambi da sola con gli stessi processi.
Keynes si definiva «eutopico», una parola inventata da lui trasformando l'etimologia greca, per affermare che il miglior ideale sta nel reale. Occorre immaginare il reale ideale per arrivare a questo e concretamente una tassa sulle transazioni finanziarie, che non a caso è stata sostenuta oggi in una risoluzione votata dal Parlamento europeo, potrebbe deviare completamente il ciclo della crisi, perché il gettito, secondo tutti gli studi, di cui il più famoso è quello dell'Istituto austriaco per la ricerca economica, non solo sarebbe coerente con gli obiettivi del Millennio, tutti obiettivi che si intersecano con quelli della strategia Europa 2020, ma sarebbe anche un correttivo fortissimo proprio per tutte le transazioni che, a battito d'occhio e di click, spostano capitali senza alcun beneficio per l'economia reale.
Dal punto di vista nazionale, noi stiamo partecipando al tavolo con il Governo proprio sulla spesa pubblica. Sono proprio io il delegato per la CGIL a quel tavolo e stiamo già compiendo avanzamenti, più che unitariamente, su alcuni princìpi. Sono stati citati, li condivido tutti e ringrazio anche i colleghi per l'integrazione a tutte le nostre discussioni. Come avete notato, nel merito siamo un po' più uniti. Sarà che la statistica è la scienza dello Stato, però resta il fatto che in quel tavolo siamo tutti d'accordo, auspicando una ricomposizione della spesa in funzione del futuro e della crescita delle nuove generazioni e dell'influenza sulle variabili demografiche e una ricomposizione tra funzioni, comparti e livelli istituzionali.
Il CNEL nel suo documento sul Programma nazionale di riforma denuncia una crescita sproporzionata del costo degli uffici dello Stato centrale a livello periferico, come le prefetture.
Non siamo d'accordo sul discorso di abbassare il livello dei diritti in funzione dell'andamento dell'economia. Il paragone con il 1993 è giustissimo. La stessa pressione del deficit e lo stesso aumento del debito si sono verificati nel 1992, anche se adesso sono un po' più forti, però tutte le serie storiche strutturalmente sono costanti in rapporto al PIL per le singole voci di spesa. Cerchiamo di far fronte a questa situazione per ripristinare quel livello. Rendiamo temporanea la flessione di alcuni livelli, ma sicuramente non mettiamo in discussione, come sindacato, i livelli essenziali di assistenza o delle prestazioni.
Condicio sine qua non è l'efficienza vera della pubblica amministrazione. Abbiamo stilato un memorandum unitario come sindacati su questo tema e forse dovremo ripartire da esso. In ogni caso, tutte le piattaforme della CGIL sono a costo zero: si tratta di sprigionare risorse e di riorganizzarle e, soprattutto, di immaginare un patto. Anche noi siamo disposti a un patto. Non a caso, abbiamo chiuso praticamente sei tavoli su sette tra le parti sociali, che, però, hanno un presupposto. In un dialogo radiofonico tra Tarantelli e Caffè, l'allievo Tarantelli chiedeva al professore quale fosse la formula attraverso la quale si può chiedere moderazione salariale e, allo stesso tempo, investimenti e crescita e poi uscire dall'indicizzazione? Si aspettava chissà quale risposta. Caffè rispose che la formula è una sola: la lealtà.
Dal 1993 sono stati raggiunti obiettivi importanti, però del Protocollo sottoscritto in quell'anno sono stati mancati obiettivi altrettanto importanti, legati alla produttività stessa, ossia agli investimenti. Sono cresciute in modo sproporzionato - sono dati ISTAT - le rendite finanziarie e sono caduti in modo altrettanto gigantesco gli investimenti in rapporto ai profitti. Purtroppo, quell'accordo, per quanto efficace e valido, storico, non portava con sé - salvo il suo spirito «ciampiano», risorgimentale - questo pungolo agli investimenti delle imprese.
Per questo motivo i salari non possono essere eccessivamente moderati. Si sta ragionando su un ventaglio di sensibilità economiche e politiche in Italia e in Europa e sulla crescita delle retribuzioni in linea con la produttività e, quindi, non solo con l'inflazione. Sta a noi sindacato,


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io spero, trovare la via unitaria per definire come; però, di sicuro, una regola che già esisteva nel 1993, per alcune questioni di compatibilità macroeconomiche legate alle singole propensioni al consumo, al risparmio e agli investimenti, ci indica che l'unico modo per far crescere produttività, occupazione, PIL e far rientrare i conti della bilancia commerciale e quelli del debito è che i salari crescano in linea con la produttività. Starà a noi, spero, definire come.
Infine, sempre con riguardo al modello della riconversione, allo sviluppo e all'innovazione di prodotto, mi sento di affermare che l'economia della conoscenza è il nostro obiettivo, che rientra nel modello europeo, ma che bisogna maturare prima una società della conoscenza. È una questione culturale prima ancora che economica.

ANTONIO POLICA, Segretario confederale della UGL. Non vi avevo precedentemente comunicato che abbiamo depositato agli atti un documento. Qualora voleste approfondire i passaggi, abbiamo cercato di rispondere punto per punto, seguendo lo schema che ci avete mandato.
Svolgo poche riflessioni. Come sistema Paese noi siamo indietro anche dal punto di vista delle strategie. Dopo una prima fase di crisi, di gravissima crisi, finanziaria prima ed economica poi, a livello mondiale e globale, che l'Italia tutto sommato è riuscita a tamponare anche meglio di altri, ci troviamo nuovamente in una situazione di ritardo rispetto ad altri Paesi. Molti si stanno già attrezzando per prendere sin dall'inizio la coda della crescita, stanno già ponendo le basi, mentre noi ci stiamo arrovellando spesso, purtroppo, su troppi pochi indicatori.
Capisco che abbiamo un'esigenza importantissima, quella del taglio alla spesa pubblica, e che abbiamo un indicatore sul quale tutti i giorni ragioniamo, ossia il nostro prodotto interno lordo e il rapporto tra deficit e PIL, però, come è anche emerso in modo piuttosto unanime da tutti noi, bisogna vedere anche che tipo di Paese effettivamente vogliamo e qual è la qualità di vita che desideriamo nel nostro Paese. Altrimenti ci limitiamo esclusivamente a considerare alcuni aspetti.
Teniamo sempre presente un fatto: se la strategia di Lisbona è fallita è perché noi abbiamo deciso di lasciare una parte dei diritti che avevamo acquisito in nome di una maggiore competitività. Come ci siamo ritrovati? Ci siamo ritrovati, come mi ha riferito in un colloquio informale un alto dirigente della Commissione europea, ad aver sbagliato tutte le simulazioni.
Non avevamo calcolato, infatti, che la Cina potesse crescere a un ritmo del 10 per cento del prodotto interno lordo per oltre dieci o quindici anni, che potesse produrre non solo prodotti di bassa qualità, ma addirittura anche di altissima qualità, come nel settore tecnologico, e che ormai sta comprando mezza Africa e parte del debito pubblico spagnolo. O ci mettiamo ad analizzare gli aspetti con una prospettiva diversa, altrimenti non ce la facciamo.
Una delle grandissime ricchezze dell'Italia e dell'Europa in generale è un sistema di tutele e di diritti che la differenziano da tutti gli altri Paesi. Se noi spostiamo parte anche della nostra competitività come Paese e giriamo la partita, forse riusciamo in una prospettiva diversa, anche futura, a vederne i risultati. Bisogna crederci. Dobbiamo scommettere su quello che noi realmente siamo.
Sulla questione della spesa pubblica già si è parlato moltissimo. Lancio un'altra proposta, quella della responsabilizzazione dei centri di spesa. Semplificare i bilanci, renderli intellegibili e comprensibili a tutti probabilmente sarebbe un approccio anche più etico, che, forse, consentirebbe anche di tagliarne automaticamente una parte. Questo, ovviamente, è un aspetto culturale ed etico più che economico in sé e per sé.
In ultimo, per il tema delle donne abbiamo una grande sfida di fronte a noi. Dobbiamo riuscire a passare da processi di conciliazione a processi di condivisione vera e propria, altrimenti non ne usciamo. Se ammettiamo la conciliazione come la intendiamo oggi, le donne continueranno


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sempre a essere un soggetto secondario della nostra società, dal punto di vista non solo lavorativo, ma anche complessivamente sociale. Uomini e donne devono cercare di ripartirsi gli oneri e di sentire il diritto e il dovere di ripartirsi tutti i carichi all'interno della famiglia. Perché no? È uno dei passi fondamentali, che si esprime fondamentalmente anche nel diritto e nel dovere della genitorialità, come, successivamente, nelle cura dei propri padri. È infatti un tema che non riguarda soltanto la cura dei figli, ma anche l'accudimento dei propri genitori.

MAURIZIO PETRICCIOLI, Segretario confederale della CISL. È stata posta una domanda, ossia se ci sembra necessario un cambiamento di strategia e di mentalità per superare questa difficile crisi oppure se gli strumenti in campo sono sufficienti.
Era una domanda retorica e, quindi, è chiaro che c'è una risposta sola. Forse la domanda ci sollecitava ad affermare che in questo Paese, guardando al sistema Paese, mancano una volontà comune, un senso di responsabilità, la capacità di condividere alcuni obiettivi, oppure forse ancora soggetti collettivi che riescano ad avere un'autorevolezza e a esercitarla per tenere insieme, per uno sforzo comune, il Paese, come è successo nel 1993.
Veniva, per esempio, ricordato questo episodio, ma ciò è avvenuto anche in altri momenti, perché le stagioni di grandi crisi e di grandi difficoltà ci sono state anche in passato. La capacità di reagire di fronte alla chiamata e di cambiare completamente gli abiti del nostro armadio per una stagione diversa c'è stata e ne sono state citate alcune dimostrazioni, come nel 1984 e nel 1993.
Ovviamente mi rendo conto della gravità della condizione internazionale, ma non immagino che siamo di fronte a una crisi insuperabile. Penso che siamo di fronte a difficoltà evidenti, che sono condivise da moltissimi Paesi europei e da moltissimi Paesi che fanno parte dell'Occidente e molto meno da altri soggetti che crescono in questa fase; però penso anche che manchi qualcuno che riesca a creare una condizione di condivisione e di messa in campo di responsabilità.
Dal nostro punto di vista, non lo abbiamo fatto forse, fino a oggi, in questo Paese? Per esempio, l'associazione che io rappresento non l'ha fatto? È chiaro che non è sufficiente, ma non ha cercato di lavorare per la coesione, di non perdere opportunità, di non perdere occasioni? Non è una politica che ottiene fiori e sorrisi e nessuno di noi se li aspetta. È un impegno serio che portiamo avanti.
Anche nel presentarmi questa sera in questa sede, non l'ho fatto con l'intenzione di fare una giaculatoria di proposte che convergono sulla spesa. Io ho cercato di affermare - è chiaro che si svolge un minimo di analisi - che ci sono tre piste che per noi devono essere battute, prendendo la realtà, per cercare di recuperare risorse.
Nelle vostre domande ne è citata una, quella della riforma fiscale, sulla quale anch'io vorrei poter controbattere, per sostenere che non c'è nulla di vago nell'espressione «dalle persone alle cose». Ci sono proposte concrete dietro, ma ci vorrebbe il tempo per poterle spiegare. Credo, comunque, che chi l'ha detto lo abbia fatto in maniera esemplificativa e che sappia bene che cosa si intende.
Siamo di fronte a una situazione in cui occorre mettere in campo provvedimenti complicati, come quelli che si ricordavano sulla spesa sociale. Per esempio, si prenda atto che qualcuno chiede sussidiarietà orizzontale sui servizi pubblici, come noi abbiamo fatto, e che, se non ce la date, non potete immaginare di restringere il perimetro dello Stato rispetto ai servizi. Se non concedete alla sussidiarietà, quella vera, quella territoriale, che nasce spontanea, o a quella contrattuale, privata, delle parti sociali che possono mettere in campo alcuni incentivi, una leva fiscale che aiuti la bilateralità e che aiuti chi si mette a fornire questi servizi, la situazione non si risolve.
Non abbiamo solo parlato di fisco, ma abbiamo trattato almeno altri due punti. Uno è stato illustrato bene dal collega Foccillo, quando ha richiamato, come


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avevo fatto anch'io, un problema di spesa pubblica che riguarda anche i costi della politica e delle istituzioni, ma non il tema dei costi della democrazia.
Un membro della Commissione ha parlato del tema della legalità e della corruzione. Noi lo abbiamo inserito nel nostro documento, perché ci ha colpito particolarmente l'affermazione della Corte dei conti, la quale sostiene che il costo della corruzione per la collettività è di 60 miliardi di euro. Poiché si parla di riforme e di nuove leggi, pensavamo di sottolineare che questo è un tema che ci interessa e che vanno messi in campo alcuni provvedimenti. Variamo una legge anticorruzione che abbia alcuni pilastri, come quello della prevenzione e dei controlli sui centri di spesa degli enti locali e che metta in condizione di esercitare una repressione nei confronti della corruzione e dell'illegalità, una repressione vera e pesante. In questa maniera indichiamo una strada precisa.
Abbiamo accennato a una terza questione, perché brucia e anche se ci rendiamo conto che si passa nella metafora di coloro che vendono i cosiddetti gioielli di famiglia. Esiste, infatti, anche un tema legato all'alienazione dei beni pubblici e abbiamo spiegato anche che cosa andrebbe fatto in un sistema come il nostro insieme all'alienazione dei beni pubblici stessi.
Se si mette sul mercato un patrimonio immobiliare enorme, si deve anche pensare che poi si registrano alcuni «squilibri» su tale mercato. Vanno attuate politiche che cerchino di creare un mercato che possa ricevere ciò che viene immesso nel mercato stesso. Bisogna agire in questo senso.
Facciamo anche noi parte di una commissione promossa dal Ministro Tremonti. C'è chi lo valuta di più e chi di meno, ma alcune stime sostengono che il 10 per cento del debito pubblico complessivo potrebbe essere coperto dall'alienazione di beni che oggi sono sottoutilizzati dallo Stato. È una stima troppo alta? È l'indicazione di una strada che non aumenta il peso fiscale, perché sarebbe irricevibile, ma incide sulla spesa e prova a rispondere alle richieste che ci avevate sottoposto.
Ci sono anche nel nostro documento alcune risposte in merito all'occupazione, sia giovanile, sia più in generale. Mi interessa svolgere una considerazione sul lavoro stabile e sul lavoro precario. Ci sono forme di lavoro precario, come il lavoro interinale, che costano di più del lavoro normale e che coprono un dato segmento di mercato. Se questa è una direzione che a noi interessa, mi accontenterei di cominciare a mettere le mani sulla chiusura della forbice contributiva e previdenziale tra le diverse forme di regolamentazione dei differenti contratti.
Alcuni giorni fa, in un'audizione come questa, meno interessante per il contributo portato da noi, perché il testo era sostanzialmente blindato, in occasione dell'esame dello schema di decreto legislativo in materia di lavori usuranti, ho ascoltato i lavoratori autonomi che chiedevano di entrare nella platea dei lavori usuranti. Volevo solo far presente che un lavoratore autonomo paga il 20 per cento di contributi. Pari contribuzione equivale a pari diritti. Non può esserci un meccanismo diverso, altrimenti scardiniamo i conti ancora di più. Vogliamo chiudere questa forbice? Penso che in tale ambito si possa incidere seriamente.
Siamo molto interessati, come ho richiamato anche nel mio intervento, a tutto il tema che riguarda la produttività e, quindi, anche alla collocazione in uno scenario adeguato di chi mette in campo una maggiore disponibilità ad andare nella direzione della produttività, ossia nell'organizzazione del lavoro.
Qualcuno parlava di cambiamenti di paradigma. Il cambiamento di paradigma, quando si parla di produttività anche in questo Paese, potrebbe essere quello di cambiare la relazione tra lavoro e capitale. Per cambiare tale relazione occorre passare per una domanda che qui è stata posta, cioè se si mette in campo la via partecipativa. Non è corretto dire che va bene solo a una data condizione, perché il resto è frutto del demonio. La via partecipativa è tutto ciò che le parti, nella loro


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autonomia, stabiliranno. Al legislatore noi chiederemo di togliere tutto ciò che, invece, oggi è di ostacolo alla via partecipativa. In questo Paese la possibilità di realizzare una vera partecipazione, presidente, non esiste per via di ostacoli che, se non rimossi, la impediscono.
Noi non pensiamo che ci debba essere un indirizzo del Parlamento che imponga di creare i comitati di sorveglianza o di fare gli utili aziendali. Noi pensiamo, invece, che nelle singole imprese le parti sociali dovrebbero scegliere come partecipare, ma il Parlamento ci deve permettere di togliere gli ostacoli che oggi non ci consentono di farlo. Questo è il punto essenziale, quando si parla di riforme e di Programma nazionale di riforma.
Abbiamo cercato di proporre alcune idee che servono alla produttività, alle imprese e, complessivamente, al Paese. Nel mio intervento ho anche affermato che il nostro non può che essere un apporto di chi rappresenta una parte e che sarete voi a trovare le migliori soluzioni per il Paese più in generale.

PRESIDENTE. Ringraziamo i nostri ospiti. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna delle relazioni predisposte, in occasione della presente audizione, rispettivamente, dalla CGIL (vedi allegato 1), dalla CISL (vedi allegato 2), dalla UIL (vedi allegato 3) e dall'UGL (vedi allegato 4).
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 22,20.

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