Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Strumento di esplorazione della sezione Lavori Digitando almeno un carattere nel campo si ottengono uno o più risultati con relativo collegamento, il tempo di risposta dipende dal numero dei risultati trovati e dal processore e navigatore in uso.

salta l'esplora

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Torna all'elenco delle indagini Torna all'elenco delle sedute
Commissioni Riunite (V Camera e 5a Senato)
1.
Martedì 18 gennaio 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE C. 3921 RECANTE MODIFICHE ALLA LEGGE 31 DICEMBRE 2009, N. 196, CONSEGUENTI ALLE NUOVE REGOLE ADOTTATE DALL'UNIONE EUROPEA IN MATERIA DI COORDINAMENTODELLE POLITICHE ECONOMICHE DEGLI STATI MEMBRI

Audizione di rappresentanti della Banca d'Italia:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 10 15
Occhiuto Roberto, Presidente ... 17
Beretta Pier Paolo (PD) ... 12
Cambursano Renato (IdV) ... 12
Duilio Lino (PD) ... 13
Franco Daniele, Capo del Servizio studi di struttura economica e finanziaria della Banca d'Italia ... 3 15
Morando Enrico (PD) ... 10

Audizione del professor Giuseppe Pisauro:

Occhiuto Roberto, Presidente ... 17 20 21 22
Baretta Pier Paolo (PD) ... 20
Morando Enrico (PD) ... 20
Pisauro Giuseppe, Professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università «La Sapienza» di Roma ... 17 21

ALLEGATO: Documentazione consegnata dal Capo del Servizio studi di struttura economica e finanziaria della Banca d'Italia, dottor Daniele Franco ... 23
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l’Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia, I Popolari di Italia Domani: Misto-Noi Sud-PID; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Repubblicani, Azionisti. Alleanza di Centro: Misto-RAAdC.

[Avanti]
COMMISSIONI RIUNITE (V CAMERA E 5A SENATO)
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E
5A (PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 18 gennaio 2011


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA
V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 13,05.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti della Banca d'Italia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame della proposta di legge C. 3921 recante modifiche alla legge 31 dicembre 2009, n. 196, conseguenti alle nuove regole adottate dall'Unione europea in materia di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, l'audizione di rappresentanti della Banca d'Italia.
La proposta di legge, sottoscritta dai rappresentanti di tutti i gruppi, intende adattare l'ordinamento italiano alle nuove regole adottate dall'Unione europea in materia di coordinamento delle politiche economiche, che hanno portato all'introduzione, a partire dal mese di gennaio di quest'anno, del cosiddetto semestre europeo.
In effetti, il semestre ha già avuto il proprio avvio il 12 gennaio scorso, con la presentazione - da parte della Commissione europea - della comunicazione recante l'analisi annuale della crescita. Tale comunicazione rappresenta il primo atto della procedura del semestre europeo e costituisce la base per la successiva adozione, da parte del Consiglio europeo del 24-25 marzo 2011, delle linee guida di politica economica e di bilancio a livello dell'Unione europea, da attuare nell'ambito dei Programmi di stabilità e dei Programmi nazionali di riforma dei singoli Stati membri.
Ritengo, quindi, che sia importante avviare una discussione sui contenuti della proposta al nostro esame, al fine di verificare la possibilità di procedere in tempi brevi all'esame del provvedimento, apportandovi le modifiche ritenute necessarie, così da consentire la relativa applicazione nella fase parlamentare del semestre europeo, nel prossimo mese di aprile.
È presente all'audizione odierna il dottor Daniele Franco, Capo del Servizio studi di struttura economica e finanziaria della Banca d'Italia, accompagnato dai dottori Fabrizio Balassone e Sandro Momigliano, che ringrazio per essere intervenuti.
Do la parola al dottor Daniele Franco.

DANIELE FRANCO, Capo del Servizio studi di struttura economica e finanziaria della Banca d'Italia. Abbiamo depositato agli atti un testo scritto, che non leggerò integralmente in quanto è molto lungo. Abbiamo cercato di affrontare nel testo alcuni temi che venivano indicati nell'elenco che ci avete fornito, relativo ai temi da trattare nel corso delle audizioni.
Ovviamente, le nostre competenze sono economiche e, quindi, quando affrontiamo aspetti più giuridici, abbiamo alcuni limiti. Ciò che vi diremo analizza tali questioni dal punto di vista degli economisti.


Pag. 4


La proposta di legge in esame mira principalmente a introdurre nella legislazione nazionale i cambiamenti resi necessari dal semestre europeo. Per questo motivo viene modificata la legge n. 196 del 2009 di contabilità e finanza pubblica.
L'idea sottostante il semestre europeo è che la valutazione delle politiche economiche nazionali in sede europea avvenga prima che le proposte per le manovre di bilancio siano sottoposte al vaglio dei Parlamenti nazionali. L'idea è, quindi, di rendere più stretto il coordinamento delle politiche economiche nei Paesi dell'Unione europea.
La revisione della legge n. 196 del 2009 è un'occasione per un rafforzamento delle regole e delle procedure di bilancio nazionali, anche alla luce delle altre riforme che si prospettano nella governance europea. Voi sapete che la Commissione europea ha formulato alcune proposte, che sono state da parte nostra esaminate, nel dicembre scorso, nell'audizione del dottor Visco.
In materia di regole di bilancio la Commissione propone una nuova direttiva, che tocca diversi temi: quello delle statistiche, quello delle previsioni macroeconomiche di finanza pubblica, quello delle regole numeriche di bilancio. In particolare, la Commissione enfatizza molto l'idea di adottare una pianificazione pluriennale della finanza pubblica.
Le indicazioni della Commissione tengono conto del dibattito internazionale in materia di regole e di procedure di bilancio e delle esperienze di altri Paesi. Cercano, infatti, di convogliare le pratiche migliori nell'esperienza internazionale.
Voi sapete che il gruppo di lavoro presieduto dal Presidente del Consiglio europeo, Van Rompuy, si è espresso grossomodo nella stessa direzione. Esso propone di introdurre requisiti minimi obbligatori per le regole nazionali, ma dà anche ulteriori indicazioni, in particolare su due aspetti: in primo luogo si esprime sull'adozione di procedure di bilancio cosiddette top-down e, in secondo luogo, sull'istituzione di organismi pubblici indipendenti con funzioni di previsione, analisi e monitoraggio delle finanze pubbliche.
A noi sembra che le proposte che vengono dalle sedi europee siano un utile stimolo per ripensare le procedure di bilancio italiane. Ovviamente, occorre calarle nel nostro assetto istituzionale, definirle e poi introdurle nella realtà nazionale, tenendo conto delle nostre esigenze e priorità nazionali.
A noi sembra che, proseguendo sulle linee tracciate dalla legge n. 196 del 2009, sia importante soprattutto il tema del controllo della spesa pubblica e che questo sia l'aspetto più importante per la finanza pubblica italiana nei prossimi anni.
Passerei, adesso, all'illustrazione della seconda sezione del testo depositato, che esamina brevemente i documenti e le scadenze del nuovo ciclo di bilancio. Vi trovate anche una tavola a colori, in cui abbiamo cercato di sintetizzare le novità e di mettere in parallelo le scadenze previste in sede europea con quelle previste ora in sede nazionale.
Una delle novità suggerite - come riforma della predetta legge n. 196 - è l'introduzione del documento di economia e finanza (DEF) e della sua nota di aggiornamento. Come sapete, il DEF nasce, più o meno, uno e trino, trattandosi di un documento con tre componenti diverse: Il Programma di stabilità, una seconda parte che include i dati che erano già inclusi nella Relazione sull'economia e la finanza pubblica e nella Decisione di finanza pubblica e, infine, una terza parte sul Programma nazionale di riforma.
Cambia, quindi, il ciclo di bilancio e l'aspetto importante consiste nel fatto che aumenta l'intervallo tra il momento della fissazione degli obiettivi di finanza pubblica, ad aprile, e quello in cui vi è la concreta definizione della manovra di bilancio per l'anno in corso, a ottobre.
Siamo andati a vedere che cosa è successo in passato alle previsioni macroeconomiche tra le due scadenze, ossia tra la primavera e l'autunno. La tavola n. 2 del documento consegnato compie questo confronto. Ne emerge - siamo


Pag. 5

andati a vedere l'ultimo ventennio - che in settembre, con riferimento a previsioni governative, la Relazione previsionale e programmatica ha in genere corretto al ribasso il tasso di crescita del PIL dell'anno in corso e in modo anche piuttosto significativo, di 0,3 punti percentuali.
Se guardate i cambiamenti sia in aumento, sia in riduzione, emerge uno scostamento in valore assoluto tra le previsioni di aprile e quelle di settembre di 0,6 punti percentuali. Ciò significa che, quando a settembre si è rivisto il quadro macroeconomico nell'ultimo ventennio, in ciascun anno le revisioni sono state molto significative.
Siamo andati a vedere anche le previsioni dei previsori privati, quelle di consensus forecast. Ne emerge che i previsori privati hanno sbagliato all'incirca nello stesso modo, o meglio, hanno rivisto le previsioni all'incirca nello stesso modo. Ciò dimostra che, almeno per l'anno in corso, le previsioni ufficiali e quelle private dei previsori italiani e internazionali sono state modificate all'incirca nello stesso modo.
I dati di consensus forecast, che rappresentano la media delle previsioni formulate da soggetti privati, consentono anche di vedere che cosa è successo tra aprile e settembre con riferimento all'anno successivo. Ne emerge che la previsione cumulata per l'anno in corso e per quello successivo è stata rivista in modo ancora più significativo: lo scostamento in valore assoluto è stato in media pari a 0,9 punti percentuali.
Nel momento in cui si formuleranno le linee guida della politica economica in aprile bisognerà tener conto, dunque, del fatto che da aprile a settembre - nel ventennio passato - il quadro macroeconomico dell'anno in corso e, a maggior ragione, quello dell'anno successivo, sono stati fortemente rivisti ed è presumibile che ciò accada anche in futuro.
Una variazione di 0,9 o di un punto del PIL equivale - in linea di massima - a una variazione dell'indebitamento netto di circa mezzo punto. Questo è un fattore da tenere in conto quando in primavera si formuleranno gli obiettivi.
Noi esprimiamo una riflessione. Ci si può domandare se non sia opportuno già in primavera darsi una regola su come gestire in settembre i cambiamenti delle previsioni, siano essi in miglioramento o in peggioramento. In questi anni, che saranno anni di consolidamento dei conti pubblici, si potrebbe stabilire che le eventuali revisioni in miglioramento dei conti pubblici debbano sempre tradursi in un miglioramento degli obiettivi per il saldo nominale, così da lasciare invariato il saldo strutturale. Viceversa, gli effetti di un peggioramento del quadro macroeconomico potrebbero essere, in linea generale, compensati con ulteriori manovre correttive, sempre che il quadro macroeconomico e il contesto generale lo consentano. Questa, secondo noi, è una riflessione che è opportuno svolgere adesso che si allontana il periodo tra la formulazione degli obiettivi e il momento in cui le manovre verranno attuate in concreto.
La terza sezione del nostro testo riguarda i contenuti dei documenti. Un aspetto importante è che si fa riferimento esplicito al Codice di condotta sull'attuazione del patto di stabilità e crescita per definire il contenuto dei documenti nazionali. Il documento di economia e finanza (DEF) deve includere anche il quadro programmatico delle principali componenti di entrata e spesa del conto economico delle amministrazioni pubbliche. Già in aprile quindi si devono definire non solo il saldo complessivo e il saldo primario, ma anche un quadro delle principali voci programmatiche delle entrate e delle spese pubbliche. Questo è ciò che viene richiesto dal Codice di condotta.
Un punto importante è quello delle date. Ovviamente, anticipare il momento in cui si decidono gli obiettivi di bilancio, ma anche, per grandi linee, le entrate e le spese, richiede un dibattito e un'approvazione in questa sede.
Il DEF verrà diffuso il 10 aprile, mentre l'Italia comunicherà il Programma di stabilità


Pag. 6

a fine aprile. Restano, quindi, soltanto venti giorni per dibattere sul documento, tenere conto del dibattito e inviare a Bruxelles un documento eventualmente rivisto.
Emergono ovviamente problemi molto difficili di disponibilità dei dati, soprattutto per quanto riguarda la finanza decentrata. Credo che essi rendano difficile nell'immediato anticipare la presentazione del DEF, ma anche che - in prospettiva - occorra puntare a compattare il momento di elaborazione dei dati. Bisogna far sì che i dati sulla finanza decentrata siano resi disponibili più rapidamente. In questo il SIOPE (Sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici) è uno strumento che potrebbe aiutare. Noi pensiamo, dunque, che una delle priorità nei prossimi anni sia quella di produrre il conto delle amministrazioni pubbliche, anche decentrate, in tempi più brevi.
In Banca d'Italia, per esempio, abbiamo ridotto l'arco temporale con cui produciamo i dati sul fabbisogno e il debito pubblico. Fino a un anno fa producevamo il dato sul fabbisogno e il debito di ciascun mese dopo due mesi e mezzo, mentre adesso lo pubblichiamo dopo un mese e mezzo. A fine febbraio daremo, infatti, i dati di consuntivo di fine 2010.
Si chiede di produrre e di inserire nel DEF anche alcune indicazioni sugli obiettivi del debito pubblico, compresi quelli dei sottosettori. Ciò ci sembra molto importante, soprattutto alla luce dei cambiamenti che si prospettano nel quadro di regole europee.
Verrebbero inserite anche le previsioni di finanza pubblica di lungo periodo e soprattutto, insieme a queste, un'analisi degli interventi che si intende attuare per garantire la sostenibilità delle politiche pubbliche nel lungo periodo. Questo a noi sembra, a sua volta, un aspetto molto importante, nel senso che un ampio dibattito parlamentare, ma anche una buona informazione al pubblico, possono aiutare a trovare le riforme più adatte.
Venendo alla seconda sezione del DEF, un problema che forse potrebbe essere risolto è quello per cui in questa sezione non si menziona l'estensione temporale delle previsioni. Mentre nella prima, quella che riguarda il Programma di stabilità, si fa riferimento al triennio, nella seconda ciò non è indicato. Potrebbe essere opportuno avere omogeneità tra le due sezioni e, in linea generale, prevedere una prospettiva temporale di un triennio anche nella seconda parte del DEF.
È importante aver preso la decisione di avere congiuntamente sia le previsioni tendenziali a politiche invariate, sia quelle a legislazione vigente, al fine di poter valutare l'entità delle risorse che dovranno essere reperite, essenzialmente per nuovi progetti di investimento e per i nuovi contratti del pubblico impiego. Nel documento depositato mostriamo in corpo piccolo i dati relativi all'unico DPEF in cui ciò era stato fatto: ne emerge una differenza significativa.
Un altro aspetto, forse più tecnico, è che i conti economici delle amministrazioni pubbliche inclusi nella prima e nella seconda sessione del DEF sarebbero presentati secondo formati parzialmente diversi. La prima sezione, il Programma di stabilità, segue, infatti, il formato del Regolamento della Commissione europea (CE) n. 1500/2000, mentre la seconda dovrebbe seguire lo schema tradizionalmente utilizzato dall'ISTAT.
I due formati, i due modi di vedere i conti della pubblica amministrazione, portano allo stesso saldo. La differenza sta nei livelli di entrata e di spesa, perché alcune poste sono trattate in modo diverso. Per esempio, i ricavi da vendita di beni e servizi sono contabilizzati in aumento delle entrate da una parte e in riduzione delle spese dall'altra. Non si tratta di grandi differenze, però potrebbe essere opportuno procedere a una semplificazione. In questo caso, ovviamente, è l'ISTAT il responsabile in prima fila di tali aspetti. Dal nostro punto di vista una semplificazione forse aiuterebbe anche a ridurre la cacofonia di statistiche disponibili sulla finanza pubblica.
Un ulteriore passo, in parte suggerito anche dalla Commissione europea, è quello di muovere verso la pubblicazione


Pag. 7

di statistiche sulla posizione patrimoniale netta dell'operatore pubblico. È un aspetto importante. Alla nota 18 del documento consegnato riportiamo alcuni dati sulla riduzione del debito pubblico italiano negli anni Novanta. Una parte significativa di questa riduzione, in realtà, è stata ottenuta con dismissioni e operazioni sul patrimonio che non hanno migliorato la posizione patrimoniale netta dell'amministrazione pubblica italiana. È un tipo di informazione che andrebbe considerato. Anche in tale caso non è facilissimo procedere: occorrono stime sulle passività non finanziarie delle pubbliche amministrazioni, per esempio i debiti verso i fornitori, nonché una valutazione delle attività reali delle pubbliche amministrazioni e di quanto valgono le imprese controllate dalle pubbliche amministrazioni anche a livello regionale e locale.
Un altro punto significativo è che la Commissione europea, nella direttiva che viene proposta, suggerisce ai Paesi membri di migliorare la disponibilità e la tempestività dei dati di cassa e di raccordarli più strettamente con i dati del SEC 95. In particolare, si chiede a tutti i Paesi di pubblicare - con una frequenza mensile - dati di cassa per ciascun sottosettore delle amministrazioni pubbliche entro la fine del mese successivo. In questo momento l'Italia non sarebbe in grado di farlo, mentre altri Paesi lo fanno. Sarebbe probabilmente utile da parte nostra cercare di muovere in quella direzione, non solo perché Bruxelles lo chiede, ma anche, e soprattutto, perché sarebbe un aspetto molto utile e importante per riuscire a monitorare l'andamento dei conti pubblici.
La terza parte del DEF riguarda il Programma nazionale di riforma, che noi riteniamo un'iniziativa molto utile e opportuna. Non analizziamo a fondo questo aspetto, però, credo che i colleghi del Ministero dell'economia e delle finanze entreranno più in dettaglio su quest'analisi. Riteniamo, comunque, che sia molto opportuno includere questa parte nel documento di economia e finanza.
Viene introdotta, con la nuova normativa, la nota di aggiornamento del DEF. La presentazione di questa nota di aggiornamento è obbligatoria. I dati che citavo prima sui cambiamenti del quadro macroeconomico tra primavera e autunno mostrano, comunque, che è bene che essa sia obbligatoria, ma che in ogni caso sarebbe stato necessario effettuarla, perché il quadro macro nell'arco di sei mesi - in genere - cambia significativamente.
Che altro si potrebbe fare? Un aspetto importante è quello di garantire l'attuazione di tutti gli strumenti previsti dalla legge n. 196. Credo che nessuna delle deleghe sia stata finora portata a termine. Per due di esse credo, anzi, che i termini siano scaduti. Il punto essenziale è proseguire nell'armonizzazione dei sistemi contabili dei diversi livelli di governo.
Un aspetto che non viene considerato nella norma esaminata oggi è stato sollevato nel dibattito europeo, in particolare dal gruppo di lavoro del Presidente Van Rompuy e riguarda l'introduzione di istituzioni indipendenti. Probabilmente, anche in questo campo, una riflessione a livello nazionale sarebbe opportuna, non perché ce la chiede Bruxelles, ma perché in diversi Paesi queste istituzioni sono state e sono utili, soprattutto per monitorare l'andamento dei conti pubblici. Noi non ci avventuriamo su tale aspetto e in una nota citiamo alcune esperienze nazionali.
La quarta sezione del nostro scritto esamina il tema dell'orientamento di medio termine, uno dei pilastri del quadro che viene prospettato a livello europeo, essendovi l'idea che, come del resto stabilito dalla legge n. 196, un orizzonte di medio periodo consenta una programmazione migliore e dia più certezza, a tutti i soggetti del settore pubblico, riguardo le risorse disponibili.
Se guardiamo al passato - siamo andati a vedere che cosa è successo nel nostro passato - l'attività di programmazione in materia di finanza pubblica in Italia ha mostrato alcune carenze: il più delle volte non abbiamo raggiunto gli obiettivi di medio termine che ci eravamo posti. Per esempio, se consideriamo i DPEF presentati a partire dal 1997, si


Pag. 8

osserva che per il triennio successivo veniva programmato un aumento medio dell'avanzo primario pari a un punto di PIL. In realtà, a consuntivo, il risultato è stato peggiore rispetto a quello programmato di 2,7 punti. Trovate una figura in merito nel nostro testo.
Ciò è di nuovo in buona parte imputabile all'ottimismo delle previsioni macroeconomiche. Nei tre anni successivi a ciascun DPEF il PIL reale è quasi sempre cresciuto molto meno che nelle previsioni. La differenza è, sui tre anni, in media di 3,7 punti percentuali, una differenza enorme.
Anche i previsori privati hanno sbagliato, indicando 3,7 invece di 3, il che ci dimostra che le previsioni ufficiali sono state un po' più ottimistiche, ma che anche gli altri previsori hanno sbagliato. È un'indicazione a essere molto cauti.
Nasce una riflessione se sia opportuno introdurre accorgimenti istituzionali o soluzioni tecniche che spingano verso previsioni macroeconomiche caute o quanto meno unbiased, come direbbero gli economisti, ma soprattutto se non occorra l'introduzione di margini di sicurezza nel bilancio pubblico. Se sistematicamente abbiamo avuto previsioni ottimistiche, forse nella formulazione delle previsioni di finanza pubblica, nella programmazione della finanza pubblica, potrebbe essere opportuno cautelarsi introducendo margini di sicurezza, per esempio dal lato delle entrate o delle spese.
Un altro aspetto che emerge è che questi sconfinamenti rispetto all'avanzo primario o comunque rispetto all'indebitamento netto si sono spesso registrati immediatamente all'inizio del triennio e non sono stati corretti. Un'altra riflessione è se non sia opportuno introdurre meccanismi istituzionali che, in conseguenza di uno scostamento tra risultati e obiettivi nel primo anno del triennio, prevedano negli anni successivi una correzione automatica o comunque da considerare alla luce del contesto congiunturale. Citiamo l'esperienza di due Paesi, la Germania e la Svizzera, che si sono orientati negli ultimi anni nel senso seguente: se vi è uno sconfinamento rispetto agli obiettivi, l'idea è che negli anni successivi esso venga recuperato.
Il mancato raggiungimento degli obiettivi nel nostro passato - in Italia - ha riflesso anche una valutazione ottimistica dell'andamento dei conti pubblici nell'anno base, ossia nell'anno di partenza. Di qui l'importanza di avere buone informazioni infra-annuali. Crediamo che sia molto utile l'allegato previsto nel nuovo testo della legge n. 196 del 2009, che dovrebbe essere trasmesso al Parlamento entro il 30 giugno di ogni anno e in cui il Governo dovrebbe comunicare i risultati del monitoraggio degli effetti sui conti pubblici delle manovre di bilancio.
Se guardiamo al passato, vediamo che il principale fattore di sconfinamento rispetto ai nostri conti pubblici è l'andamento della spesa pubblica. Con ciò veniamo alla quinta sezione del documento depositato.
Nel decennio precedente la crisi la spesa pubblica primaria corrente in Italia è aumentata - in ciascun anno - del 2 per cento, a fronte di una crescita del prodotto - in termini reali - di un punto o un punto e mezzo. È questo che ha prodotto una progressiva erosione del nostro avanzo primario.
Se guardiamo al futuro, ai prossimi anni, il controllo della spesa, secondo noi, rappresenta l'aspetto cruciale della finanza pubblica italiana. Nel quadro delineato dalla Decisione di finanza pubblica (DFP) per il triennio 2011-2013, in cui si mira ad abbassare l'indebitamento netto nel 2013 al 2,2 per cento del PIL, tale contrazione comporta una forte riduzione dell'incidenza della spesa primaria corrente sul PIL di quasi tre punti e il fatto che in ciascun anno del triennio - in termini reali - la spesa primaria corrente scenda leggermente, di circa mezzo punto l'anno. Si programma di passare da un 2 per cento dell'ultimo decennio, prima della crisi, a un - 0,5 per cento per quest'anno e per i prossimi due.
Se si considera il periodo successivo, in cui l'Italia si è impegnata a conseguire il pareggio del bilancio, come anche indicato


Pag. 9

nel Programma di stabilità dell'anno scorso, si vede che il raggiungimento del pareggio di bilancio, per esempio nel 2016, tenendo la spesa in conto capitale costante sul livello del 2013, un livello relativamente basso, e la pressione fiscale costante sul livello del 2013, un livello storicamente relativamente alto, comporterebbe una sostanziale invarianza per altri tre anni - in termini reali - della spesa pubblica primaria corrente. In quest'anno e nel prossimo quinquennio, verosimilmente, il contenimento della spesa pubblica primaria corrente sarà l'aspetto cruciale della nostra finanza pubblica.
Se così è, ci si può domandare se non sia opportuno che questo tema assuma un ruolo importante anche nelle nostre regole di bilancio. Altri Paesi si sono dati regole di spesa vincolanti, che fissano limiti pluriennali per la spesa pubblica, vuoi in valore assoluto, vuoi sui tassi di crescita. In altri Paesi - citiamo alcune evidenze in una nota del nostro documento - questi meccanismi hanno sostanzialmente funzionato. In genere sono meccanismi top-down, in cui si parte da un livello di spesa pubblica complessiva fissato come obiettivo e poi si scende, fissando i livelli di spesa da assegnare a ciascuna missione e a ciascun programma.
Citiamo il caso di Svezia e Austria, che si sono date regole di questo tipo. In Svezia la regola risale ad alcuni anni fa, mentre in Austria è molto recente.
La legge n. 196 muove in questa direzione: si introducono limiti per le spese rimodulabili del bilancio dello Stato coerenti con la programmazione triennale delle risorse e si prevede l'adozione di accordi triennali tra il Ministro dell'economia e delle finanze e gli altri ministri. Anche la proposta oggi in esame interviene in questa direzione, estendendo i limiti anche alle spese non rimodulabili, sebbene non venga chiarito il grado di rigidità di questi limiti, definendo come e in quale misura essi possano essere rivisti.
Un passo ulteriore potrebbe essere quello di introdurre un'esplicita regola vincolante che fissi limiti pluriennali per la spesa primaria, tale da rendere visibile il problema che abbiamo da affrontare nei prossimi anni. Questa regola di spesa potrebbe riguardare le uscite primarie dell'amministrazione centrale e degli enti di previdenza e i trasferimenti agli enti decentrati. Andrebbero ovviamente precisati adeguatamente i legami tra tale regola e le voci di spesa del bilancio dello Stato.
Una regola di spesa è anche rilevante perché la Commissione europea propone, nel rivedere la parte preventiva del Patto di stabilità, di considerare la dinamica dell'erogazione della spesa come una delle variabili per verificare l'adeguatezza del sentiero di aggiustamento verso l'obiettivo di medio termine. Se si muovesse in questa direzione, il Parlamento ovviamente dovrebbe giocare un ruolo nel votare questa regola di spesa, ma è un tema su cui i presenti sanno molto più di noi.
Un aspetto da tenere presente è che una regola di questo tipo può rappresentare la punta dell'iceberg della spesa pubblica. Non basta introdurre una regola perché tutto funzioni, ma occorre costruire alla base alcuni meccanismi che impongano alle amministrazioni pubbliche di ripensare di volta in volta il modo di utilizzazione delle proprie risorse e di rivedere le proprie priorità, in una sorta di spending review. I Paesi che hanno una regola di spesa prevedono procedure di revisione della spesa stabili e regolari, che impongono all'amministrazione di scegliere di volta in volta le loro priorità.
Una regola di spesa che non si basi su tutto questo lavorio sottostante non può funzionare, perché, se si arriva a dicembre e non si hanno i soldi per pagare gli ospedali, è ovvio che la regola salta. Non è così che si imposta la programmazione delle risorse.
Svolgo un accenno alle norme di copertura. Vi è una novità nel provvedimento in esame che noi pensiamo sia positiva. Mi riferisco al fatto di prevedere l'utilizzo, ai fini del miglioramento dei saldi di finanza pubblica, delle maggiori entrate correnti rispetto a quelle iscritte nel bilancio di previsione e, quindi, il


Pag. 10

divieto del loro utilizzo con finalità di copertura finanziaria di maggiori spese o di minori entrate.
Nell'ultima sezione della nota depositata trattiamo la questione del coordinamento della finanza pubblica. La proposta di legge in esame non modifica significativamente le modalità di coinvolgimento degli enti territoriali nella definizione degli obiettivi di finanza pubblica stabilite dalla legge n. 196. Il coinvolgimento avviene nella forma di un semplice parere che la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica è tenuta a esprimere sia sul DEF, sia sulla sua nota di aggiornamento. La legge n. 42 del 2009 prevedeva un coinvolgimento maggiore. Forse in prospettiva lo si può considerare, ma si pone nuovamente la questione dei tempi, perché i venti giorni tra la presentazione del DEF e la presentazione dei documenti alla Commissione europea ovviamente non sono tanti, anche per avere un coinvolgimento approfondito della finanza decentrata. Esiste, quindi, probabilmente un problema. È assolutamente importante, come ricordavo prima, muovere verso l'uniformità dei sistemi contabili di tutti i livelli di Governo. Credo che prima di Natale sia stato approvato dal Consiglio dei ministri uno schema preliminare di decreto legislativo in materia.
Un aspetto interessante è anche quello dell'uniformità e della rapidità nella predisposizione dei bilanci consuntivi degli enti territoriali. Se guardate la tavola n. 4 della documentazione consegnata, che riguarda i bilanci delle regioni, vedrete che abbiamo cercato di fotografare la situazione sul periodo in cui le regioni italiane e le province autonome hanno approvato il rendiconto del 2008 e del 2009 e il bilancio preventivo del 2010 e del 2011. Vi sono difformità molto ampie e ritardi molto estesi. Credo che lo schema di decreto legislativo sull'armonizzazione contabile, approvato dal Consiglio dei ministri, imponga la chiusura dei due bilanci, rispettivamente preventivo e consuntivo, il 31 dicembre e il 30 aprile di ciascun anno, il che è quanto mai opportuno per porre ordine e per ridurre i tempi.
Svolgo un ultimo accenno al Patto di stabilità interno, che è molto opportunamente inserito - come già dalla legge n. 196 del 2009 - all'interno della procedura di programmazione. Negli anni scorsi, come sapete, il Patto è stato oggetto di molti cambiamenti nelle regole, che non hanno certamente agevolato coloro che devono gestire gli enti decentrati.
Si potrebbe definire ex ante una cornice di riferimento per il Patto, che debba valere per gli anni prossimi, determinando quali siano gli aggregati soggetti a vincolo, quindi la spesa, i saldi, quale spesa, quali siano gli enti sottoposti al Patto e quali i premi e le sanzioni. Di anno in anno, poi, si possono indicare gli specifici obiettivi, ma cambiare l'assetto del Patto in più riprese non aiuta.
In prospettiva, quando il federalismo fiscale sarà pienamente realizzato, il ruolo del Patto di stabilità interno dovrebbe, in realtà, essere più limitato e definire essenzialmente le quote di indebitamento necessarie agli enti territoriali per il finanziamento degli investimenti.

PRESIDENTE. Come di consueto la Banca d'Italia produce documenti estremamente completi e utili. Abbiamo un quarto d'ora di tempo per porre alcune domande o chiedere approfondimenti. Ricordate che abbiamo indicato alcuni temi che sono stati toccati e su cui abbiamo sollecitato l'attenzione dei nostri auditi per avere chiarimenti sulle questioni più importanti.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ENRICO MORANDO. La prima domanda riguarda la questione della data di presentazione del documento di economia e finanza. Nell'attuale proposta, per ragioni che conosciamo, legate alla nuova procedura di bilancio europea, la previsione della presentazione del DEF al Parlamento è prevista per il 10 aprile. Dopodiché, il tutto deve essere consegnato il 30 dello stesso mese.
Per una decisione che ha tale carattere strategico questi giorni sembrano pochi.


Pag. 11

Mi chiedo se ci siano rilevanti questioni tecniche che ostacolano l'ipotesi di anticipare ulteriormente di almeno dieci giorni la presentazione al Parlamento, in maniera tale che l'ipotesi di audire almeno gli istituti di analisi, come per esempio la Banca d'Italia, abbia un fondamento, con la possibilità di esaminare seriamente questo documento, che ha un rilievo strategico.
Alla seconda domanda che intendevo porle lei ha già risposto, sottolineando che, sia pure in una nota, la Banca d'Italia considera il tema della costituzione e costruzione di fiscal council autonomi, in questa fase, una scelta che ha rilievo ai fini di migliorare la trasparenza dei conti pubblici e, quindi, l'affidabilità dei sistemi finanziari in Europa.
Ripeto una considerazione che lei ha già svolto per sottolineare, soprattutto ai colleghi della Camera dei deputati che stanno esaminando questo progetto di legge, che forse questa volta non sarebbe il caso di ripetere ciò che abbiamo combinato nell'esame della legge n. 196, quando un'ipotesi di questo tipo è stata avanzata nella prima lettura al Senato e poi eliminata nella lettura della Camera dei deputati.
La terza domanda riguarda, invece, l'introduzione di regole nella programmazione di lungo periodo della spesa, le cosiddette regole di evoluzione della spesa, cui nella nota della Banca d'Italia si fa, secondo me giustamente, riferimento insistito. Questo è il terreno su cui misureremo la capacità del Paese di riprendere il controllo del proprio futuro, oppure no, nei prossimi anni.
Personalmente, sono favorevole all'introduzione di regole di evoluzione di medio-lungo periodo della spesa, ma mi chiedo se il riferimento a ciò che deve essere alla base, cui lei ha fatto riferimento in termini di attività che chiameremo tecnico-amministrativa, di gestione concreta dell'obiettivo, al fine di rendere credibile l'obiettivo di evoluzione di medio-lungo periodo della spesa, non potrebbe essere anche tecnicamente meglio indagato per fissare un complesso di attività, procedure e lavoro che renda credibile l'adozione di regole di evoluzione di medio-lungo periodo della spesa.
Personalmente - le chiedo anche questo per avere una conferma - in questa fase richiesta dalla nuova procedura di bilancio europea, nonché dalla procedura di sorveglianza europea, penso non abbia molto senso obiettare sul carattere di documento formale del bilancio e sul meccanismo legato alla spesa connessa a diritti soggettivi. In questo secondo caso non stiamo parlando di regole di evoluzione e di programmazione di medio-lungo periodo, ma di vincoli di bilancio legati all'istituzione, per legge, di diritti soggettivi: qui ci sono i tetti di spesa, le clausole di invarianza, che sono altre questioni.
Se parliamo di programmazione di medio-lungo periodo per rendere credibile e guidare in maniera trasparente lo sforzo di risanamento del Paese, penso che sia perfettamente possibile introdurre tali regole di evoluzione di medio-lungo periodo, fermo restando che, per finanziare diritti soggettivi che implicano spesa, naturalmente occorrono meccanismi corretti di controllo, che sono un'altra questione. Stiamo parlando di due questioni diverse tra loro.
In questo senso mi chiedo se la Banca d'Italia non potrebbe aiutarci proprio nell'individuazione di quel complesso di procedure, di pratiche e di attività amministrative che sono sottese all'introduzione in norme di regole di evoluzione di medio-lungo periodo della spesa, in un contesto nel quale, peraltro, la nuova procedura di sorveglianza chiede di individuare obiettivi di medio-lungo periodo separatamente per entrate e per spese.
Sarebbe paradossale che non ci fosse questo vincolo nella programmazione italiana, nel momento in cui è la programmazione europea che ce lo chiede. Il risultato sarebbe che il Governo presenterebbe questi obiettivi in Europa, ma non al Parlamento italiano, una situazione che patentemente non sta in piedi.
A mio giudizio, quindi, nel modificare la legge di contabilità bisogna introdurre, in parallelo con l'introduzione di tali vincoli,


Pag. 12

con tali obiettivi di medio-lungo periodo della dimensione europea, gli stessi obiettivi nella programmazione nazionale. Mi chiedo se la Banca d'Italia possa aiutarci a compiere un lavoro che è certamente complesso e che, soprattutto, siamo abituati a svolgere molto male, a giudicare dai risultati che abbiamo ottenuto fino ad ora.

PIER PAOLO BARETTA. Una prima osservazione riguarda la nota che voi ci avete fornito sullo scarto tra le previsioni di aprile e di settembre, ossia la serie storica presente nella tabella sulla crescita reale del PIL. È piuttosto interessante, indipendentemente dal fatto che la maggioranza delle correzioni è al ribasso e solo alcune di queste sono al rialzo.
La questione che si pone - a parte il tema di valutare se ciò sia imputabile e in che misura al fatto che i dati di aprile sono politicamente tendenti a essere ottimisti - è come trovare un sistema per cautelarci rispetto a questo rischio nella previsione, che ha poi delle conseguenze nella quantificazione dello scarto.
Vorrei approfondire questo aspetto, se fosse possibile: in che misura, considerando anche inevitabile lo scarto tra aprile e settembre, ci sono delle formule che possono cautelarci? Può esserci un passaggio intermedio? Per esempio, nella nuova cadenza temporale, mentre prima erano molto lontani i tempi tra l'inizio e la fine del processo, adesso esistono tappe intermedie, come aprile e giugno. Si può valutare se, a luglio, in occasione del successivo appuntamento previsto, ci possa essere un momento nel quale si fa il punto, in maniera tale che ci sia anche una preparazione alle scadenze di settembre.
La seconda osservazione riguarda ancora la questione dei tempi, alla quale faceva accenno anche il senatore Morando. Concentro questa riflessione soprattutto sulla terza sezione del DEF. Abbiamo constatato in quest'anno, che pure è stato un anno di transizione e che, quindi, va preso con molta prudenza, l'importanza oggettiva del Programma nazionale di riforma e non la sottovalutazione, ma l'approssimazione con la quale è stato complessivamente affrontato.
La preparazione del Programma nazionale di riforma presenta caratteristiche diverse da quella di un documento contabile e, quindi, bisognerebbe studiare anche una fase preparatoria dell'elaborazione. Oltre all'osservazione che veniva svolta in precedenza sull'opportunità di anticipare la presentazione di qualche settimana, mi chiedo se il Parlamento e il Governo non debbano avere anche alcuni percorsi di costante dialogo e verifica per i quali una serie di documenti non arrivano solo quando sono presentati.
Il Ministro Tremonti in un paio di occasioni ha osservato che i dati vanno formandosi nel tempo e sono pronti solo all'ultimo minuto: ciò è vero e non vero. È vero da un lato, ma non probante dall'altro, nel senso che poi la discussione, per esempio sull'aspetto di come si presenta in Europa e di quali sono le scelte che si compiono rispetto all'impostazione europea, vanno oltre il dato quantitativo. Peraltro, poiché l'Europa ci consegna un documento un paio di mesi prima, probabilmente la questione da valutare è se intraprendere un rapporto tra Parlamento e Governo nel momento in cui l'Europa ci consegna i suoi quadri previsionali.

RENATO CAMBURSANO. Il presidente Giorgetti sa che in seguito allo svolgimento della relazione del nostro collega Baretta sulla proposta di modifica della legge n. 196 del 2009 avevo già sollevato - e mi fa piacere che la relazione del dottor Franco li abbia già messi bene in evidenza - due problemi.
Il primo è quello che ricordava il collega Morando e riguarda i tempi davvero strettissimi tra la data di presentazione del DEF, il 10 aprile, e l'approvazione nei venti giorni successivi.
Al di là dell'osservazione, che è troppo chiara per tutti, sulla base della domanda che lei stesso si pone nella sua relazione, non si intravedono, non per demerito suo, le possibilità di anticipare la data del 10 aprile e gli strumenti per farlo. Lei ipotizza


Pag. 13

un'accelerazione, se ho ben inteso, del lavoro del SIOPE, la cui traduzione pratica temo, però, che abbia effetto di qui a un po' di tempo (si legga: anni).
Il rischio che noi corriamo è, da una parte, di comprimere terribilmente i tempi, e, dall'altra, se volessimo avere dati in anticipo per allargare i medesimi, per poterli approfondire meglio, di ottenere dati probabilmente non «scientifici». Non lo sono mai in un'accezione assoluta, ma figuriamoci cosa potrebbe accadere, considerata la situazione di alcune istituzioni locali, anche regionali, come la Calabria, ma non solo quella. Probabilmente, il delta di previsione che lei quantificava all'inizio della sua relazione si amplierebbe ancora di più e non starebbe dentro lo 0,3 o lo 0,9 per cento, ma verrebbe decisamente appesantito. È la verità, presidente; ne parlavamo non più tardi di un'ora fa proprio con il collega.
La seconda osservazione riguarda, invece, il coordinamento della modifica della legge n. 196 con la legge n. 42 del 2009, la legge che introduce o che dovrebbe introdurre il federalismo fiscale nel nostro Paese, e, in particolare, l'uniformità dei sistemi contabili di tutti i livelli di governo.
Anche in questo caso, al di là di uno schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri alcuni giorni prima dello scorso Natale, che dobbiamo ancora prendere in esame, almeno come Commissione bilancio, credo che ci siano forti tensioni e resistenze da parte dei territori, resistenze non aprioristiche, ma alla sua concretizzazione. Come si può arrivare a uscire da questa impasse?
L'ultima non è una domanda, ma una constatazione positiva, e riguarda il fatto che in questa nostra proposta di legge si debba effettuare sulla seconda sezione un'estensione temporale delle previsioni almeno triennale, che è esattamente quanto avevo già evidenziato alcuni giorni fa all'interno di questa Commissione.

LINO DUILIO. Volevo svolgere tre considerazioni, all'interno delle quali ci sono una o due domande.
La prima considerazione è relativa alla risibilità - forziamo un po' i termini - della distanza tra il termine di presentazione del Documento di economia e finanza e la presentazione del Programma di stabilità. È vero, però, che è una considerazione che vale all'interno della nostra abitudine di ragionare sempre sull'orizzonte temporale dell'anno. Io penso, invece, che dobbiamo cominciare a ragionare su un orizzonte temporale che vada oltre l'anno, assumendo il triennio non semplicemente come un riferimento rappresentato dalla sommatoria distinta, per non dire separata, dei singoli anni, ma come orizzonte unitario rispetto al quale il Documento di economia e finanza - che viene presentato all'inizio dell'anno - si pronuncia, con possibili e magari necessarie correzioni che si effettueranno nell'autunno, dopo che si sarà visto ciò che è accaduto, o meglio, in vista del dover implementare nel corso della sessione di bilancio le misure che si ritiene di adottare.
Se guardiamo ovviamente al dopo, pensiamo alla sessione di bilancio e, quindi, alla nota di variazione - chiamiamola così - del Documento di economia e finanza. Dobbiamo pensare, però, anche al fatto che alcuni giorni prima noi abbiamo concluso la sessione di bilancio precedente e che, quindi, la presentazione del Documento di economia e finanza è evidentemente la sintesi, quasi il sincretismo, nell'accezione positiva del termine, di ciò che abbiamo appena concluso e di ciò che intendiamo fare per l'anno successivo.
Non drammatizzerei quindi molto il discorso della distanza, perché ciò vale solo nella misura in cui si astrae l'anno dal triennio e lo si considera a sé stante. Dobbiamo ragionare in termini di medio periodo, facendo sì che l'anno sia semplicemente un segmento del triennio.
Questa era la prima considerazione. Ovviamente condivido le osservazioni svolte in precedenza, cioè che sarebbe il caso di parlare di queste questioni, compresa l'elaborazione del Documento di economia e finanza, mentre si comincia a


Pag. 14

ragionare sulle variabili, perché ciò porterebbe anche a ridare dignità a questo luogo.
Le presenze dei parlamentari farebbero pensare il contrario, ma questo luogo ha ancora una dignità ed è un luogo che sostanzialmente dovrebbe diventare veramente la sintesi e il coordinamento delle variabili finanziarie tra i livelli subnazionali e quelli sovranazionali. È opportuno, anzi, scriverlo nella norma - credo che ci ragioneremo, presidente - per evitare che ci si trovi in una situazione imbarazzante per tutti, maggioranza e minoranza, qualunque sia il Governo. Rischiamo, cioè, di vederci propinare un documento rispetto al quale possiamo discutere, ma che alla fine è fatto e che non possiamo modificare più di tanto.
Condividendo questo punto, volevo richiamare l'attenzione che l'orizzonte temporale entro cui ci si muove e ci si dovrà muovere è quello, che, peraltro, si sintonizza con l'Europa rispetto alle grandi questioni che noi abbiamo come Paese e che riassumo a me stesso, perché le conosciamo tutti: si tratta del tema del debito da una parte - dobbiamo rientrare e non lo si può fare con un DEF di un dato anno, ma con una strategia sovra-annuale - e di quello della crescita dall'altra, di cui nessuno parla. Si parla molto poco anche della spesa.
Vengo alla seconda considerazione, più telegrafica. Lei ha affermato che le previsioni che sono state effettuate si sono discostate da ciò che è accaduto in termini di variazione del PIL, confermando, come abbiamo letto tutti con qualche battuta, che le previsioni sono molto difficili, soprattutto quando si parla del futuro. Tutti sono bravi a fare previsioni sul passato.
Lei sa meglio di me, però, che questo fatto è negativo perché nel frattempo il livello di spesa che si è autorizzato è stato autorizzato anche in relazione alle previsioni iniziali, ragion per cui ci siamo trovati di fronte alla triste constatazione che è aumentata la spesa ma non la ricchezza nazionale, il che ci ha portato negli anni scorsi alle situazioni che conosciamo.
In merito, vorrei porre la seconda domanda. Ormai è diventato quasi banale continuare a ripeterci tra noi che bisogna ridurre la spesa. Siamo pieni di diagnostici, ma ci mancano i terapisti. Sarebbe il caso che si offrisse in Parlamento una terapia.
Vorrei ricordare che - oggi ricorre purtroppo il mese dalla morte di Tommaso Padoa-Schioppa - se si vanno a rileggere le relazioni unificate sull'economia e la finanza pubblica di quei due anni, di quei soli venti mesi di Governo, a proposito della spesa si scriveva già da allora che la spesa non si riduce a colpi di sciabolate retoriche e semantiche. Si era cominciato a proporre di eseguire la spending review, di creare la Commissione tecnica per la finanza pubblica, di operare in modo chirurgico per vedere dove bisogna tagliare e dove non bisogna farlo.
Il discorso dei tagli lineari è un discorso che noi, per primi, ammettiamo essere rozzo, ma che in quel momento non poteva che essere svolto. Invece siamo andati avanti - e continuiamo ad andare avanti - con questo tipo di tagli.
La mia domanda è anche un poco teorica: esiste oggi una plausibilità di politiche keynesiane che, affrontando il tema della spesa in conto capitale per investimenti, diano ancora a questa tipologia di spesa una dignità e una valenza che il Parlamento deve prendere in considerazione? Se ci si concentrasse sull'esigenza di tagliare la spesa corrente improduttiva, ma anche su quella di spendere soldi per investimenti e per spesa produttiva, questione di cui nessuno parla, e se si assumesse tale questione anche concettualmente, credo che si arriverebbe in modo anche più brutale ad affermare che è persino volgare continuare a utilizzare i tagli lineari, come si sta facendo.
Lei sa meglio di me che ciò significa che si taglia dappertutto, sia dove si deve tagliare, sia dove non si deve tagliare, arrivando alla conclusione che anche il possibile utilizzo della spesa in conto capitale a fini di crescita non è possibile, perché magari si è tagliato dove non si doveva tagliare.


Pag. 15


Se lei va a leggere il Programma nazionale di riforma, - presentatoci in modo un poco indecoroso, secondo me, un po' di tempo fa - e misura la distanza tra noi e l'Europa nel 2020, cioè a fine decennio, noterà che in materia di spesa per la ricerca la distanza aumenta rispetto alla media europea e non diminuisce. Oggi siamo all'1,18 per cento rispetto all'1,9 e nel 2020 saremo all'1,5 rispetto al 3 per cento. L'intervallo sarà di un punto e mezzo percentuale rispetto allo 0,7 di oggi.
Chiedo, quindi, a proposito del discorso della spesa, fermo restando che dobbiamo continuare a sottolineare anche in modo drammatico l'esigenza di ridurre la spesa primaria, cioè la spesa corrente, che, anche in termini di dignità, anche da parte vostra ci si tiri fuori da questo anonimato, da questa opacità, a meno che non si ritenga che la spesa pubblica per investimenti non serva più assolutamente al fine di stimolare almeno un poco la crescita, il bene primario che dovremmo realizzare.
Mi sono dilungato anche troppo. Mi limito a osservare che forse anche in Parlamento - ne parleremo magari nella prossima audizione - ci dobbiamo un po' aggiornare. Adesso il Governo effettua le sue previsioni e ci presenta i suoi documenti e noi gli «facciamo le pulci» sentendo voi, che venite alle audizioni, ma non abbiamo un'attrezzatura nostra, come Parlamento, che ci consenta non solo di «fare le pulci», ma anche di esprimere il nostro parere su alcune questioni di particolare pregnanza.
Se ci aiutaste anche voi a immaginare una nuova strutturazione dei presìdi che servano a governare la politica economica del Paese, forse usciremmo da quello che può diventare un paradosso problematico, per usare un eufemismo, cioè dall'affrontare problemi nuovi con strumenti vecchi e con procedure vecchie, che non funzionano più.

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Franco per la replica.

DANIELE FRANCO, Capo del Servizio studi di struttura economica e finanziaria della Banca d'Italia. Se mantenere il termine del 10 aprile serve a non fare le nostre audizioni...
Come Banca d'Italia diffondiamo a metà febbraio i dati su debito e fabbisogno, mentre l'ISTAT diffonde il conto della pubblica amministrazione il 1o marzo. Da lì al 30 aprile credo che ci sia un grosso lavorio da parte dei colleghi del Ministero dell'economia e delle finanze che riguarda essenzialmente i dati sulla finanza decentrata.
A noi sembra che il SIOPE possa essere uno strumento per accelerare questo lavoro. Ad aprile non si avranno mai dati perfetti. La nuova normativa esaminata in Consiglio dei ministri prima di Natale chiederà agli enti di chiudere i bilanci il 30 aprile. Non avremo, quindi, i bilanci consuntivi perfetti, però avere dati parziali dovrebbe consentire comunque di anticipare la presentazione del documento.
Molte questioni devono essere imposte. Se si impone agli enti, nell'ambito del Patto di stabilità interno, che, se vogliono i soldi, devono fornire i dati entro una determinata data, questo poi succede. Credo che si possano forzare entro limiti ragionevoli i termini e forse dieci giorni non sarebbero difficili da considerare.
Sul ruolo dei fiscal council, ogni Paese deve introdurre istituzioni coerenti con il proprio assetto e la propria storia. L'esperienza di altri Paesi va mutuata con mille cautele. Credo che serva una riflessione in merito in Italia. Noi non pensiamo che un'istituzione di questo genere ci serva e che debba avere una specifica forma, ma che dobbiamo pensarci bene, perché in altri Paesi funziona. Essa può essere dentro il Parlamento, collegata al Parlamento, in istituti pubblici o in istituti privati; le forme sono tante, però una riflessione approfondita sarebbe utile.
Veniamo alle regole di spesa e a che cosa sta sotto la punta dell'iceberg. Ci sono mille attività tecnico-amministrative. Noi non siamo esperti del bilancio dello Stato e abbiamo alcuni limiti nel contribuire su questi aspetti, però abbiamo svolto molti lavori sull'efficienza dei servizi pubblici in


Pag. 16

Italia, in relazione ai settori dell'istruzione, della sanità, dei servizi pubblici locali e adesso anche della giustizia.
Questi lavori, secondo noi, offrono molte indicazioni. Il problema è valutare l'efficienza della singola scuola, della singola classe, del singolo ospedale, del singolo reparto ospedaliero. Esistono ora, sia, da un lato, gli indicatori dell'INVALSI (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione) sia, da un altro, indicatori che la Scuola Sant'Anna di Pisa ha prodotto per alcune regioni in materia sanitaria, che sono adesso mutuati dal Ministero della salute. Nella giustizia vi sono altri indicatori.
Sono, quindi, ora disponibili in Italia indicatori che ci consentono di compiere questo lavoro prettamente microeconomico. Si tratta ovviamente di volerlo fare, ma le possibilità ci sono. Emerge dai nostri lavori che all'interno dell'Italia esistono divari enormi, non soltanto tra Nord e Sud, ma anche all'interno del Nord, del Centro e del Sud, tra scuole e ospedali della stessa regione e della stessa città.
Ci sono molte operazioni che possono essere compiute in modo assai concreto e che possono dare margini per ridurre la spesa pubblica senza ledere i servizi pubblici fondamentali. Questa è, secondo noi, la sfida per i prossimi anni.
L'onorevole Baretta ha parlato delle previsioni. Non credo che le previsioni di aprile, formulate da parte dei colleghi del Ministero dell'economia e delle finanze, fossero sistematicamente ottimiste per motivi politici. In realtà, anche i previsori privati, in buona parte, hanno sbagliato quasi allo stesso modo.
Credo che tutti i previsori, pubblici e privati, abbiano avuto in Italia il problema di interiorizzare il fatto che siamo entrati in un periodo di bassa crescita. Noi tutti, compresa la Banca d'Italia, pensavamo che prima o poi saremmo ripartiti, ma l'economia del nostro Paese - di fatto da quindici anni - cresce pochissimo. Credo che alla base di questi divari ci sia tale tema. I previsori privati, ma anche la Commissione europea, sono stati un po' meno ottimisti del Ministero dell'economia e delle finanze, ma non con divari giganteschi.
Servono previsioni neutrali e, nel passo successivo, occorrono probabilmente - nel modo in cui si elabora il bilancio pubblico - fondi di riserva o fondi che proteggano il bilancio pubblico dal rischio che le previsioni siano troppo ottimistiche. In altri Paesi - in genere - tale problematica la si gestisce in questo modo.
Fare il punto a luglio può sicuramente essere utile, con un documento, anche molto snello, sul quadro macroeconomico.
Pensiamo che il Programma nazionale di riforma sia molto importante e l'abbiamo esaminato un anno fa - il 23 febbraio 2010 - in un'audizione informale in questa sede, esaminando la Strategia Europa 2020. Il punto che avevamo cercato di fare allora e che credo faremo adesso è il seguente: è importante che questo documento non sia un pezzo di carta scritto perché va a Bruxelles, ma che sia utilizzato a livello nazionale. Il contenuto di questi documenti, la Strategia Europa 2020, ma anche il Programma nazionale di riforma, è estremamente importante.
Credo di avere risposto sui tempi. La risposta è il SIOPE.
Venendo agli ultimi commenti dell'onorevole Duilio, ragionare sul triennio è possibile. In realtà, si dovrebbe ragionare sui conti pubblici in un continuo in cui le diverse istituzioni dialogano tra di loro. Questo vale per Governo e Parlamento sia per il Governo centrale, sia per i governi decentrati.
Il punto che abbiamo cercato di sottolineare oggi, in alcune riprese, è che, se si ragiona giustamente in un continuo e in un'ottica di medio termine, bisogna porsi ex ante il problema di come recuperare e gestire eventuali scostamenti e di come gestire le variazioni del quadro macroeconomico che comunque ci saranno. Si tratta, probabilmente, di definire prima che cosa si vorrà fare proprio per arrivare agli obiettivi stabiliti all'inizio.
La questione delle politiche keynesiane - per la via degli investimenti - comporta


Pag. 17

alcuni problemi: gli investimenti, soprattutto i grossi progetti di investimento, prevedono tempi lunghi, in particolare in questo Paese.
Noi abbiamo svolto alcuni lavori sulle infrastrutture in Italia - il dottor Balassone, accanto a me, è il responsabile di questo progetto - da cui emerge che i tempi sono comunque molto lunghi e che, quindi, un uso anticiclico degli investimenti pubblici, soprattutto in Italia e con queste procedure, richiede grande cautela, fermo restando che - in un'ottica più strutturale - un aumento degli investimenti potrebbe essere opportuno per colmare alcune carenze.
Un'altra evidenza di queste ricerche è che in Italia non abbiamo speso poco - per investimenti pubblici - negli ultimi 10-20 anni. Rispetto ad altri Paesi probabilmente abbiamo speso soprattutto male. In merito, però, si apre un vaso di Pandora di problemi, di tempi, di costi e di scelta dei progetti, quindi sarei un po' cauto nel proporre di aumentare la spesa per investimenti in ogni caso. Occorre farlo, probabilmente, ma in modo molto selettivo e ripensando le procedure che hanno portato negli anni scorsi a tempi e costi molto elevati e molto fuori linea rispetto agli altri Paesi.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI ROBERTO OCCHIUTO

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Franco per il suo intervento. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal dottor Daniele Franco (vedi allegato).
Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del professor Giuseppe Pisauro.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame della proposta di legge C. 3921 recante modifiche alla legge 31 dicembre 2009, n. 196, conseguenti alle nuove regole adottate dall'Unione europea in materia di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, l'audizione del professor Giuseppe Pisauro, ordinario di scienza delle finanze presso l'Università «La Sapienza» di Roma.
Dal luglio del 2006 il professor Pisauro dirige, poi, la Scuola superiore dell'economia e delle finanze.
Do la parola al professor Pisauro.

GIUSEPPE PISAURO, Professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università «La Sapienza» di Roma. Ringrazio innanzitutto per l'invito. Devo solo compiere una piccola precisazione con riferimento alla presentazione. Naturalmente sono qui in quanto professore di scienza delle finanze e non in quanto direttore della Scuola superiore dell'economia e delle finanze. Esprimerò soltanto opinioni personali, da studioso.
Potrei svolgere una breve introduzione su quelli che, secondo me, da una prima affrettata lettura - ho visto il testo solo un paio di giorni fa - sono i punti più rilevanti della proposta e poi, naturalmente, se ci sono domande, per quello che sarà possibile, cercherò di rispondere.
Le questioni che mi sembrano di particolare rilevanza sono tre. La prima è come si pone questa limitata revisione della legge n. 196 del 2009 rispetto alle questioni della forma del processo di bilancio - per capirci, mi riferisco alla coppia spending review e procedure top-down - e se c'è qualcosa che cambia per effetto di queste modifiche.
La seconda questione riguarda il coinvolgimento degli enti territoriali nel processo di bilancio e la terza, evocata in alcune domande che mi sono state fatte pervenire, la possibilità di prevedere limiti specifici sulla spesa e/o sul debito già a livello normativo, oltre che - naturalmente - in quanto coerenti con il Patto di stabilità europeo.
In merito alla spending review e alle procedure top-down svolgo una breve premessa. A mio parere il quadro della legge


Pag. 18

n. 196 da questo punto di vista era molto carente, pur presentando alcune potenzialità nella delega dell'articolo 40, relativa alla ristrutturazione del bilancio dello Stato.
Nelle esperienze internazionali la spending review serve essenzialmente a definire gli spazi di intervento sulla spesa. Sulla base di essa si costruiscono alcuni obiettivi sulla spesa in termini di risorse finanziarie e in termini monetari su un orizzonte sufficientemente lungo, come un triennio. Si decidono tali obiettivi in modo concordato con i diversi centri di spesa all'inizio di tutta la procedura, in un procedimento top-down.
La legge n. 196 dispone la spending review e crea i nuclei, ma poi è meno chiara su come questi parlino col processo di bilancio, perché il processo di bilancio disegnato dalla legge n. 196 è essenzialmente nell'articolo 23, che sostanzialmente dispone ciò che già si fa da sempre: all'inizio di tutto, presumibilmente verso febbraio o marzo, ci sono le istruzioni direttive del Ministero dell'economia e delle finanze, quindi la circolare della Ragioneria generale dello Stato, che già abbiamo da decenni. Nella mia tesi di laurea c'è una parte sulla circolare della Ragioneria, quindi parliamo di parecchio tempo fa, e già c'erano una ventina di circolari.
Il processo parte, dunque, con la circolare e sulla base delle relative direttive i ministeri indicano gli obiettivi e quantificano le risorse necessarie anche mediante la rimodulazione dei propri programmi all'interno della stessa missione, il tutto a legislazione vigente. Si tratta di un esercizio realizzato dagli apparati amministrativi. Il Ministero dell'economia e delle finanze valuta successivamente la coerenza, anche alla luce dell'esercizio di spending review, ma non necessariamente seguendo i risultati di tale esercizio.
Si tratta, quindi, di un processo che si svolge all'interno degli apparati amministrativi e che è esattamente il contrario del top-down; è completamente bottom-up. Secondo il top-down, all'inizio di tutto, dopo che sono state svolte le analisi e non in base a una decisione politica presa da qualcuno in isolamento tirando fuori dal cassetto gli obiettivi, si assume una decisione politica concordata, presa per tempo, che dispone quali sono i totali e come si ripartiscono tra i grandi programmi di spesa. Questo è il top-down.
Questa decisione politica - nel racconto della legge n. 196 - arriva forse a luglio con le linee guida e poi si concretizza definitivamente con la Decisione di finanza pubblica a settembre.
Naturalmente, nella delega era presente l'idea che ci fossero accordi triennali tra il Ministero dell'economia e delle finanze e i singoli ministeri di spesa, tutte questioni ancora lontane da venire.
Mi sembra che le novità di questo progetto di legge - da questo punto di vista - possano essere una bella occasione. Ci costringono, infatti, ad assumere una decisione politica ai primi di aprile. Manca nella proposta di legge in esame l'integrazione tra la decisione politica presa ai primi di aprile e il processo di bilancio disegnato nell'articolo 23.
Attualmente, se leggete la legge n. 196 integrata dalle modifiche, notate che ci sono due processi che vanno avanti per conto proprio e che devono essere messi in comunicazione: questo mi sembra il limite più importante. Ad aprile presentiamo il Documento di economia e finanza e poi ci rivediamo a fine settembre. Intanto a febbraio o a marzo è partita una circolare. Darà indicazioni diverse dal documento? I ministeri avanzeranno le loro proposte a legislazione vigente o tenendo conto degli obiettivi che si è dato il documento di aprile? I due processi avvengono contemporaneamente, ma andrebbero messi in comunicazione. Varrebbe la pena di cogliere l'occasione e di provare a procedimentalizzare il processo, innovando rispetto a quello che, come accennavo prima, presenta le stesse caratteristiche da decenni e provando a introdurre realmente elementi top-down.
Naturalmente tutto ciò - passo al secondo punto - non può essere limitato al bilancio dello Stato, perché dei due processi cui accennavo prima, quello dell'articolo


Pag. 19

23 della legge n. 196 riguarda esplicitamente solo il bilancio dello Stato, ossia le circolari della Ragioneria, le direttive e la reazione dei ministeri, mentre il processo del semestre europeo riguarda, invece, tutta la pubblica amministrazione. Anche in questo caso i due aspetti vanno messi in comunicazione. Occorre, probabilmente, anticipare una fase di discussione che non coinvolga il Parlamento, ma che sia tutta all'interno dell'Esecutivo e tra esecutivi, cioè tra Stato, regioni, Conferenza permanente e via elencando, e che abbia un approdo il 10 aprile con un documento che produca linee in qualche modo condivise, anche se, naturalmente, qualcuno alla fine dovrà decidere.
L'anticipazione potrebbe portarci proprio alle date dell'articolo 23, che mi pare indichino febbraio o marzo, anche perché il disegno attuale è, di nuovo, dal punto di vista del coinvolgimento degli enti territoriali, nebuloso. Non si capisce bene come avverrà questo coinvolgimento. Mi pare che il 10 aprile si presenti contemporaneamente alle Camere e alla Conferenza permanente questo documento e che ci sia poi un parere della Conferenza permanente, che deve arrivare prima dell'approvazione con deliberazione da parte del Parlamento.
Di nuovo, si osserva una completa mancata condivisione degli obiettivi e delle decisioni della ripartizione. Credo che questo sia un aspetto fondamentale, se vogliamo che poi i rapporti finanziari tra Governo ed enti territoriali funzionino in modo ordinato.
Anche da questo punto di vista, a mio parere, emerge un altro vantaggio rispetto alla situazione attuale: tutto ciò, anche secondo questo progetto di legge, avviene per tempo. Se noi assumiamo, come dobbiamo assumere, che la Decisione presentata il 10 aprile sia una questione seria, per la prima volta regioni, comuni e province avrebbero un quadro di relative certezze disegnato per tempo e non come adesso quando, lo ricordo, il quadro dovrebbe essere disegnato solo a fine settembre. Potrebbero ragionare sulla loro programmazione di bilancio avendo un quadro pluriennale molto tempestivo. Il problema è soltanto quanto hanno partecipato alla definizione di questo quadro pluriennale di obiettivi.
Passo all'ultima questione e chiudo la presentazione della mia relazione. Nelle domande mi pare che si ponesse la questione dei limiti sulla spesa e sul debito. Non ho una risposta precisa in merito. Naturalmente, il documento dovrà essere coerente col nuovo Patto di stabilità e crescita a livello europeo. Se prendiamo per buone le proposte della Commissione di settembre, vi sono evocate due regole. Una è quella famosa, di cui si è tanto parlato, relativa al debito, che si dovrebbe ridurre ogni anno di un ventesimo della differenza tra il suo livello e la soglia del 60 per cento; una misura che, se ci sarà, dovrà naturalmente essere assunta anche dagli obiettivi di programmazione di bilancio del Governo italiano. Segnalo soltanto, en passant, che, se tale regola fosse approvata, sarebbe comunque giudicata dai mercati non particolarmente severa nei confronti dell'Italia. Forse con qualcuno di voi ne abbiamo già parlato in altre occasioni. Significa, infatti, portare il rapporto debito/PIL italiano all'80 per cento nel 2033. È un po' come il paradosso di Achille e la tartaruga. Se la differenza tra il livello del debito e il 60 per cento ogni anno si riduce di un ventesimo, eseguendo il calcolo, si arriva al 2033. Naturalmente, nel 2100 si arriva al 61 per cento. È difficile immaginare una situazione meno generosa, almeno come annuncio, poi magari non arriveremo mai all'80 per cento.
Esiste, però, un'altra regola, che riguarda la spesa. Poiché non ci fidiamo più tanto del saldo strutturale, guardiamo anche al livello di spesa. Vogliamo - quindi - che la crescita di lungo periodo della spesa sia la stessa delle entrate, a meno di variazioni strutturali discrezionali di queste ultime.
In ultima analisi, poiché, grossomodo - sostiene la Commissione - le entrate seguono l'andamento del PIL, avendo un'elasticità unitaria con esso, vogliamo che la quota della spesa rimanga costante sul PIL nel lungo periodo. Questa è l'ulteriore


Pag. 20

regola proposta dalla Commissione. Se questa ulteriore regola ci sarà, dovrà essere naturalmente fatta propria e incorporata anche nel documento. Credo che varrebbe la pena di farla propria e di incorporarla, ma forse non proprio nella legge in esame. Mi sembrerebbe improprio.

PRESIDENTE. Grazie, professor Pisauro. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ENRICO MORANDO. Sulle regole di evoluzione della spesa, in verità, abbiamo già discusso nell'audizione precedente. In ogni caso, penso che la loro introduzione, naturalmente coerente con un sistema ben organizzato di attività amministrative e di soluzioni tecniche che consentano di dare realismo a obiettivi di lungo periodo di evoluzione della spesa, sia positiva.
Volevo, invece, soffermarmi sul secondo punto affrontato dal professor Pisauro. Vorrei avere una valutazione da parte sua in merito ad una soluzione che a me personalmente piace. Le pongo la domanda per vedere se lei la considera «fattibile» con una relativa facilità, al di là delle difficoltà politiche, di cui, per sua fortuna, lei non si deve occupare, almeno in questa sede. Le chiedo, cioè, se avrebbe senso introdurre nella legge di contabilità la definizione dei caratteri permanenti del Patto di stabilità interno.
In realtà, infatti, stiamo modificando il Patto di stabilità interno di anno in anno, introducendo regole nuove che fanno sì che il comportamento che nell'anno A serve alla realizzazione del Patto di stabilità interno per il comune X, nell'anno A 1 si scopre essere stato contraddittorio rispetto ai nuovi obiettivi del Patto di stabilità, che viene completamente ridisegnato.
Il risultato è un'impossibilità materiale di scrivere l'attività di programmazione degli enti locali, all'interno degli obiettivi della programmazione finanziaria nazionale. È un risultato catastrofico per una realtà nella quale il ruolo degli enti locali nel definire le scelte di spesa - non quelle di entrata - è gigantesco.
Non siamo mai riusciti, forse anche perché non si è lavorato scientemente al conseguimento di questo obiettivo, a definire una soluzione che sia grossomodo la seguente: i caratteri del Patto sono definiti una volta per tutte, mentre gli obiettivi possono essere ridefiniti in termini numerici ogni anno oppure ogni tre anni, senza però cambiare la qualità dell'obiettivo. Se è la competenza «promiscua» la sede nella quale si deve realizzare un determinato obiettivo, lo si scrive nella legge di contabilità, senza modificare ogni anno il saldo di riferimento. Ci siamo capiti.
È possibile approfittare di questa revisione della legge di contabilità per fare ciò che non abbiamo fatto in passato, cioè per descrivere nella legge di contabilità i caratteri permanenti del Patto? Poi, naturalmente, si è liberi nell'attività di programmazione - come scelta politica - di introdurre di volta in volta obiettivi numerici che possono variare, facendo in modo però che, se il sindaco si comporta bene per tre anni, perché vede che il Patto di stabilità acquisisce un dato carattere, non scopra al quarto anno, magari quello prima delle elezioni, che il comportamento dei tre anni precedenti è stato contro gli interessi del comune, in quanto il Patto di stabilità interno è stato completamente cambiato e il comportamento che prima era virtuoso adesso, improvvisamente, è diventato negativo, controproducente e da sanzionare.

PIER PAOLO BARETTA. Anche nell'audizione precedente avevamo sollevato la questione dell'armonizzazione generale dei tempi dell'intero procedimento. La modifica rispetto alla legge n. 196 è rilevante: è completamente un'altra cadenza, indotta dalle esigenze di carattere europeo.
Mentre prima il «buco» era nella prima metà dell'anno, adesso esiste un «buco» centrale. Prima veniva anche rilevato - lo ricordo per reciproca conoscenza - come anche le previsioni abbiano sempre subìto negli ultimi vent'anni uno scarto


Pag. 21

tra quanto veniva previsto ad aprile e i correttivi di settembre.
La questione di come armonizzare l'intero «pacchetto» può essere affrontata probabilmente tenendo conto dell'esigenza di anticipare la presentazione dei documenti o comunque di alcune formule che consentano una discussione preventiva alla loro elaborazione.
Se consideriamo centrale in tutta questa partita il Programma nazionale di riforma, il documento con il quale si definiscono le strategie nazionali finalizzate al rapporto con l'Europa, che non è soltanto un rendiconto quantitativo, è evidente che il documento, nel momento in cui viene costruito formalmente, è l'esito di un processo elaborativo.
Il primo problema che potremmo individuare è come riuscire a far sì che il Parlamento, il Governo e gli enti locali siano coinvolti in una costruzione preventiva di un dibattito che presenta anche caratteristiche «non formali» dal punto di vista delle procedure. Questo è un primo blocco di questioni.
Il secondo blocco è - mi riferisco a una sua osservazione - come collocare un punto di verifica intermedio che avvicini i due periodi, quello di aprile e quello di settembre, e faccia da un trait d'union.
La considerazione che mi viene da svolgere è che, se guardo il calendario che emerge dall'insieme delle scadenze europee e dai vincoli che ne derivano, noto che siamo a un continuum. Probabilmente, converrebbe viverlo come tale, ossia non vederlo più come scadenze che si aprono e si chiudono, ma come un percorso piuttosto continuo di interazione sulle politiche finanziarie di bilancio, che presenta indubbiamente alcuni momenti formali, ed è necessario che sia così, ma è accompagnato da una discussione continua tra Parlamento, Governo ed enti locali.
Tale percorso è quasi obbligato dalle scadenze: c'è una scadenza ad aprile, una a maggio, una a giugno - se si interagisce con le scadenze europee - poi a febbraio arrivano i documenti dall'Europa. Bisogna mettere ordine nel traffico, però, probabilmente, l'approccio mentale dovrebbe essere tale per cui si riconosce che siamo di fronte a una metodologia di confronto continuo.
Penso che il Parlamento sia interessato e preparato su tale questione. Si tratta di chiederci - non è ora presente il Governo - in che misura il Governo sia interessato e disponibile e viva, per esempio - come dovrebbe - il suo rapporto con l'Europa.
Inizia ora una contrattazione annuale con l'Europa ed è quasi valorizzante il suo ruolo il fatto che essa intrattenga un rapporto costante con il Parlamento nazionale. Occorre valutare se c'è un gioco di squadra nazionale e funzionale anche al dibattito europeo, o un gioco di compartimenti stagni. Questo punto andrebbe forse approfondito.

PRESIDENTE. Do la parola al professor Pisauro per la replica.

GIUSEPPE PISAURO, Professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università «La Sapienza» di Roma. Sulla questione posta dal senatore Morando sulla stabilizzazione del Patto di stabilità interno, onestamente non vedo grandi difficoltà a fissare i parametri cui fare riferimento nella sua costruzione; poi naturalmente tutte le leggi si possono cambiare. Sulla questione della possibilità di farlo, l'obiezione che spesso viene mossa a queste ipotesi di irrigidimento è quella che evocava anche l'onorevole Baretta: le previsioni cambiano e, quindi, dobbiamo navigare a vista. Credo che lo sforzo debba essere, per quanto è possibile, e non lo sarà completamente, di smettere di navigare a vista, perché, in relazione alla necessità che ci ha portato a cambiare in continuazione il Patto di stabilità, di tutti i difetti della nostra programmazione di bilancio, su cui tutti siamo d'accordo - nessuno vorrebbe i tagli lineari, eppure poi bisogna apportarli - la legge n. 196 voleva prefigurare un superamento. Si pensava, infatti, alla spending review e alla programmazione triennale. Se riusciamo a introdurre la programmazione triennale a livello di ministeri, dovremmo riuscire a introdurla anche a livello di rapporti tra


Pag. 22

livelli di governo. Credo che sarebbe auspicabile dare stabilità da questo punto di vista.
La questione che poneva, invece, l'onorevole Baretta è quella dell'armonizzazione dei tempi. Sul coinvolgimento, il mio punto di vista è quello che ho espresso prima: credo che bisognerebbe partire a febbraio o a marzo con un «processo di bilancio» che coinvolga i ministeri, nonché gli enti territoriali. Bisogna arrivare a far sì che il risultato di aprile sia l'esito di un processo e non il punto di partenza, perché esiste proprio la possibilità che sia un punto di partenza.
Mi è sempre venuto in mente un sospetto, guardando il semestre europeo. Forse è un eccesso di sospetto, ma potrebbe anche accadere che, almeno nelle prime edizioni, ad aprile ci troviamo con una situazione non molto diversa da quella che oggi abbiamo a dicembre. Oggi a dicembre viene presentato l'aggiornamento del Programma di stabilità che riguarda il triennio successivo. Si tratterebbe di spostarlo in avanti di un anno e sarebbe coerente con le indicazioni politiche degli organismi europei di quel momento. Esiste anche questa possibilità, che auspicabilmente andrebbe evitata, però non siamo in grado, oggi, di prevedere quale sarà effettivamente il funzionamento di tale meccanismo.
Il punto di verifica intermedio un po' è nei fatti. Ad «aprile gli Stati membri - leggo dalla sua relazione, onorevole Baretta - sottopongono contestualmente» i due piani. A giugno «la Commissione europea elabora le raccomandazioni di politica economica e di bilancio rivolte ai singoli Stati membri».
Sulla base dell'esperienza recente, non necessariamente la Commissione sostiene che va tutto bene, il che richiederà di ritornarci sopra tra giugno e luglio, prima di arrivare a settembre e alla presentazione della nota di aggiornamento. Forse si può immaginare - mi avventuro, però, in un terreno che controllo poco - un passaggio parlamentare sugli esiti, in modo da appurare che fine ha fatto il programma che abbiamo approvato ad aprile e che adesso è stato discusso dalla Commissione. Forse questo aspetto può essere immaginabile.
Eviterei un ulteriore documento. Onestamente mi sembrerebbe non auspicabile, però forse un passaggio si può prevedere. Spero di aver risposto sufficientemente.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Pisauro per il suo intervento.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,50.

[Avanti]
Consulta resoconti delle indagini conoscitive
Consulta gli elenchi delle indagini conoscitive