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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissioni Riunite
(V Camera e 5a Senato)
3.
Mercoledì 19 gennaio 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE C. 3921 RECANTE MODIFICHE ALLA LEGGE 31 DICEMBRE 2009, N. 196, CONSEGUENTI ALLE NUOVE REGOLE ADOTTATE DALL'UNIONE EUROPEA IN MATERIA DI COORDINAMENTO DELLE POLITICHE ECONOMICHE DEGLI STATI MEMBRI

Audizione del Direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 2 9 11 16 20
Baretta Pier Paolo (PD) ... 11
Cambursano Renato (IdV) ... 10
Causi Marco (PD) ... 15
Ciccanti Amedeo (UdC) ... 9
Duilio Lino (PD) ... 12
Grilli Vittorio, Direttore generale del Tesoro ... 2 16
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l’Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia, I Popolari di Italia Domani: Misto-Noi Sud-PID; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Repubblicani, Azionisti. Alleanza di Centro: Misto-RAAdC.

COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E
5A (PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta pomeridiana di mercoledì 19 gennaio 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 14,35.

(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del Direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame della proposta di legge C. 3921 recante modifiche alla legge 31 dicembre 2009, n. 196, conseguenti alle nuove regole adottate dall'Unione europea in materia di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, l'audizione del Direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli.
Do la parola al professor Grilli per lo svolgimento della sua relazione.

VITTORIO GRILLI, Direttore generale del Tesoro. Ringrazio il presidente per l'invito a discutere questa importante proposta di legge, che interviene in un momento molto importante e fondamentale nel dibattito europeo sulla revisione delle procedure europee di monitoraggio delle finanze pubbliche dei Paesi membri.
Questo cambiamento è stato motivato e sollecitato dallo svolgersi della crisi finanziaria ed economica degli ultimi due anni ed è uno dei capisaldi della risposta dell'Unione europea e dell'unione economica e monetaria all'esigenza di operare un rafforzamento del coordinamento delle politiche dei Paesi membri per dimostrare l'unitarietà di intenti delle politiche fiscali degli Stati dell'unione economica e monetaria europea e non solo di quelli che aderiscono all'Unione.
Poiché nel vostro gentile invito sono state poste alcune domande e sollevate alcune problematiche, cercherò di svolgere la mia - spero breve - relazione seguendo la traccia da voi proposta.
Innanzitutto, questa iniziativa parlamentare interviene in un momento significativo del processo di riforma dei meccanismi di sorveglianza delle politiche economiche degli Stati membri dell'Unione europea e, in particolare, di quelli aderenti all'unione economica e monetaria.
Il cosiddetto semestre europeo e la rinnovata strategia «Europa 2020» si prefiggono l'obiettivo di realizzare una maggiore incisività delle politiche economiche intraprese dai Paesi membri anche attraverso il coinvolgimento anticipato dei Parlamenti nazionali e degli organismi europei nella programmazione economica.
Il Programma di stabilità e il Programma nazionale di riforma, presentati congiuntamente e in modo sinergico entro il mese di aprile di ogni anno, divengono gli strumenti principali della programmazione. Gli obiettivi generali sono quelli di assicurare la stabilità finanziaria, prevenire possibili squilibri macroeconomici e


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garantire la disciplina di bilancio, promuovendo la crescita economica e l'occupazione.
Da questo punto di vista, a mio parere, la proposta di legge in esame risponde all'esigenza di adeguare il ciclo di bilancio nazionale alla nuova strategia europea. Al riguardo, vorrei esprimere il mio più vivo apprezzamento circa le finalità della proposta di legge di iniziativa parlamentare, che rafforza il processo di bilancio nazionale.
Innanzitutto vorrei parlare dell'idoneità della proposta di legge a recepire i nuovi contenuti del codice di condotta sull'attuazione del Patto di stabilità e crescita come modificato dal Consiglio Ecofin il 7 settembre 2010. Il Consiglio Ecofin del settembre 2010 ha stabilito il principio del coordinamento ex ante delle politiche economiche dei Paesi membri e, a tal fine, ha deciso l'avvio del cosiddetto semestre europeo a partire dal gennaio di quest'anno.
Dal punto di vista procedurale, ciò ha comportato alcune modifiche del Codice di condotta sull'attuazione del Patto di stabilità e crescita. L'introduzione del semestre europeo cambierà sostanzialmente, a nostro modo di vedere, il modo di fare programmazione economica in Europa.
La valutazione delle politiche economiche in ambito europeo non sarà più effettuata, come è stato fino a oggi, con una verifica a consuntivo. Al contrario, essa avverrà prima che le manovre di bilancio dei singoli Stati siano sottoposte al vaglio dei Parlamenti nazionali, con lo scopo di recepire le eventuali raccomandazioni del Consiglio dell'Unione europea e di integrarle nei documenti programmatici nazionali.
Inoltre, i processi di coordinamento e di valutazione previsti dal Patto di stabilità e crescita e dalla strategia «Europa 2020» saranno in questo modo allineati. La valutazione concomitante dei due processi, quello concernente il Patto di stabilità e quello relativo alla strategia «Europa 2020», consentirà di dare una nuova energia all'agenda europea di riforme e di tenere conto dell'esistenza di eventuali squilibri macroeconomici di rilievo nella formulazione delle raccomandazioni delle politiche di bilancio. I Paesi membri sono anche invitati ad accrescere la coerenza tra le regole e le istituzioni di bilancio nazionali e l'assetto definito a livello europeo.
La proposta di legge è, dunque, necessaria per coordinare la legislazione vigente in materia di contabilità e di finanza pubblica con gli impegni assunti in sede europea, sia in termini di contenuti, sia relativamente alla tempistica di presentazione degli aggiornamenti. A tal fine, essa introduce all'articolo 1 della legge di contabilità, relativo ai princìpi di coordinamento della finanza pubblica, un riferimento esplicito alla definizione degli obiettivi nazionali di finanza pubblica in coerenza con le procedure e i criteri stabiliti dall'Unione europea.
Il nuovo testo recepisce la complessità delle innovazioni tramite una revisione sostanziale del ciclo di programmazione della finanza pubblica e della relativa documentazione programmatica. In particolare, con una profonda ristrutturazione di quanto stabilito dall'articolo 10 della legge n. 196 del 2009, approvata recentemente, si introduce in luogo della Decisione di finanza pubblica (DFP) il Documento di economia e finanza (DEF), composto ora da tre sezioni: la prima recante lo schema del Programma di stabilità; la seconda recante i contenuti già previsti dalla predetta Decisione di finanza pubblica e la terza recante lo schema del Programma nazionale di riforma, contenente le priorità del Paese in termini di riforme strutturali e di analisi dei fattori che incidono sulla competitività. Tale impianto risulta pienamente coerente con quanto definito in sede europea nello scorso settembre.
Più in dettaglio le principali novità introdotte dal nuovo Codice di condotta sono riassumibili come segue.
La tempistica di presentazione dei documenti di programmazione e degli aggiornamenti dei saldi di finanza pubblica è stata profondamente cambiata dal nuovo Codice. Gli Stati membri saranno tenuti a fornire un aggiornamento dei saldi di


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finanza pubblica per l'anno in corso, sulla base dei dati oggetto della notifica fiscale di aprile, vale a dire la notifica sull'indebitamento netto e sul debito, cosidetta Notifica EDP, entro il termine ultimo fissato al 30 aprile. La presentazione a breve distanza dalla notifica fiscale di aprile permetterà una maggiore uniformità e confrontabilità dei dati.
Vi ricordo che in precedenza il consolidamento dei dati dei diversi Paesi avveniva in momenti diversi ed era, dunque, molto difficile avere una fotografia trasversale di tutti i Paesi allo stesso momento. Questo è il primo passo per poterlo consentire e la presentazione a breve distanza permetterà questa uniformità e confrontabilità.
Le informazioni dovranno riguardare, oltre all'anno in corso, quindi in questo caso l'aggiornamento per il 2011, anche quello precedente e almeno i tre anni successivi. Si tratta di un altro fatto importante: a livello comunitario viene stabilito il principio di una programmazione in senso stretto, ragion per cui la programmazione non è soltanto relativa all'anno in corso, ma a un orizzonte triennale, esperienza che, come ricorderò in seguito, in Italia abbiamo già compiuto, mentre altri Paesi si dovranno adeguare.
A tal fine, l'articolo 2 della proposta di legge C. 3921 interviene sull'articolato della legge n. 196 del 2009 relativo al ciclo e agli strumenti della programmazione economica e finanziaria e di bilancio, stabilendo la presentazione alle Camere del DEF entro il 10 aprile di ogni anno e della relativa nota di aggiornamento entro il 25 settembre dello stesso anno.
Si conferma, inoltre, la disposizione vigente relativa all'orizzonte triennale degli obiettivi di politica economica e del quadro delle previsioni economiche e di finanza pubblica, che, come è noto, è stata introdotta dall'Italia già in occasione della manovra 2010, quindi in anticipo rispetto ai nuovi dettami concordati in sede europea.
La seconda novità del Codice di condotta riguarda il maggiore dettaglio nei contenuti del Programma di stabilità e nelle modalità per la costruzione degli scenari di previsione. L'aggiornamento del Programma dovrà includere le previsioni per i principali aggregati del conto economico delle amministrazioni pubbliche a politiche invariate. Ciò costituisce un elemento di novità per l'Italia e ci riporta in linea con le pratiche europee di valutazione degli aggregati di finanza pubblica ai fini della sorveglianza delle politiche fiscali in Europa.
Si dovranno, inoltre, includere descrizione e quantificazione delle misure necessarie a raggiungere gli obiettivi programmatici, motivando gli eventuali scostamenti rispetto ai precedenti aggiornamenti. Maggiore attenzione dovrà essere dedicata al realismo e all'accuratezza delle previsioni nazionali.
Gli aggiornamenti dovranno continuare a includere l'analisi di sensibilità, che già oggi svolgiamo, e gli scenari alternativi connessi alle maggiori variabili di previsione. In particolare, il Programma dovrà fornire un'analisi degli effetti delle variazioni delle principali variabili economiche sui saldi e sulla dinamica delle entrate e delle spese. L'analisi di sensitività dovrà includere l'impatto delle diverse ipotesi di tasso di interesse, che, come sapete, già effettuiamo con una certa cura.
Da ultimo, è importante sottolineare che il nuovo Codice di condotta richiede una maggiore cautela e uniformità, rispetto al passato, nella formulazione delle previsioni macroeconomiche alla base degli scenari previsivi. Differenze significative andranno adeguatamente giustificate e, a tal fine, gli Stati membri saranno tenuti a utilizzare, per le ipotesi esterne sulle principali variabili extra UE, quelle utilizzate dalla Commissione nella preparazione dei quadri previsivi nazionali, operazione che noi comunque in Italia già svolgiamo da alcuni anni. Tali aspetti sono in ogni caso recepiti in dettaglio dal comma 2 dell'articolo 2 della proposta di legge che stiamo discutendo.
Alla luce di quanto appena esposto, si può affermare che la proposta di legge oggetto di esame risponde alle esigenze palesate dal nuovo Codice di condotta. Le


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modifiche proposte alla legge n. 196 del 2009 appaiono, infatti, adeguate al fine di un efficace recepimento della normativa europea.
Il punto successivo riguarda la richiesta di valutazione della completezza e della qualità delle informazioni in materia di economia e finanza pubblica contenute nel Documento di economia e finanza.
Le informazioni in materia di economia e finanza pubblica contenute nel DEF risultano ampie nell'ambito, estendendosi dall'economia alla finanza pubblica e alle riforme economiche. Inoltre, sono di maggiore spessore qualitativo, beneficiando della sinergia che deriva dalla presentazione simultanea e coerente delle tre sezioni del documento, e più efficaci, essendo disponibili in un sostanziale anticipo rispetto al tradizionale calendario del processo di bilancio.
A tale proposito ritengo opportuno precisare che la redazione del DEF non può ovviamente prescindere dalla pubblicazione dei dati annuali di contabilità nazionale per l'anno precedente, che sono diffusi tradizionalmente dall'ISTAT il 1o marzo di ogni anno. Tale data, quindi, costituisce l'avvio del processo di elaborazione del DEF. Inoltre, occorre tener conto che i dati di finanza pubblica oggetto della Notifica EDP diventano ufficiali con la comunicazione effettuata dai Paesi membri entro il 1o aprile e il 1o ottobre di ogni anno.
La disponibilità delle informazioni del 1o marzo e del 1o aprile è necessaria e imprescindibile per assicurare la robustezza delle analisi e delle stime previsive contenute nel Documento di economia e finanza da sottoporre alle Camere.
Volevo poi parlare della modalità di coinvolgimento degli organismi rappresentativi degli enti territoriali nell'esame dei nuovi documenti di programmazione previsti dalla proposta di legge. È un aspetto fondamentale, perché è chiaro che, quando un Governo si impegna per raggiungere determinati risultati di bilancio, lo fa con riferimento all'intero complesso delle pubbliche amministrazioni e che, quindi, gli impegni assunti in termini di saldi aggregati richiedono poi impegni disaggregati a livello di responsabilità di spesa. Il confronto, che è la premessa per l'accettabilità e per la dimensione operativa dell'impegno, è dunque fondamentale.
Da questo punto di vista un ulteriore elemento significativo della proposta parlamentare è il coinvolgimento delle autonomie locali nel processo decisionale, in linea con quanto disposto dalla legge n. 196 del 2009 per la Decisione di finanza pubblica. Infatti, la proposta di legge C. 3921 dispone che il DEF sia trasmesso alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, allo stato attuale la Conferenza unificata, per il relativo parere e per il successivo inoltro alla Commissione europea entro il 30 aprile.
La tempistica prefigurata appare, in realtà, piuttosto compressa. D'altra parte, in sede europea, il rispetto formale del termine di presentazione del Programma di stabilità, quello del 30 aprile, insieme alla completezza delle informazioni aggiuntive, costituisce un elemento cruciale di valutazione nell'Opinione rivolta allo Stato membro dal Consiglio Ecofin. L'ipotesi di una trasmissione tardiva del Programma di stabilità al fine di acquisire il parere della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica è, pertanto, impensabile e il problema di coordinare la valutazione non solo delle Camere, ma anche della suddetta Conferenza, è fondamentale e tutto ciò deve avvenire prima del 30 aprile.
Sui saldi incidono i comportamenti non solo dello Stato, ma di tutti i centri di spesa e delle autonomie locali. È importante, quindi, che i documenti che riguardano il coordinamento e gli impegni di spesa a livello locale siano parte integrante dei documenti di finanza pubblica che vengono sottoposti al vaglio della Commissione europea.
In altre parole, i contenuti del Patto di stabilità interno e del Patto di convergenza devono essere totalmente coerenti con il DEF che verrà poi esaminato in sede europea. È importante che il vaglio e il parere sul DEF tengano assolutamente in


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considerazione, anche dal lato degli impegni da assumere, dei contenuti del Patto di stabilità e del Patto di convergenza. Sarebbe quasi inutile se, da un lato, venisse presentato un DEF, sul quale sono espressi i pareri da parte degli organi competenti e di cui si tiene conto ai fini della definizione dei saldi di finanza pubblica e, dall'altro lato, il Patto di stabilità interno o il Patto di convergenza non dovessero essere coerenti con tali impegni.
Tutta la sequenza della programmazione nazionale che ha impatto sugli impegni economici deve tener conto e adeguarsi a questa tempistica, per la quale tutti gli impegni di tutti i livelli di governo, per quanto riguarda i saldi di finanza pubblica, devono avvenire entro il 30 aprile e far parte della proposta sugli obiettivi di finanza pubblica nazionale da sottoporre all'Europa. Sappiamo poi che l'Europa darà il proprio parere in tempo per il ciclo finale di approvazione di bilancio.
Il prossimo tema di cui vorrei parlare è quello relativo alla possibilità di anticipare il termine di presentazione alle Camere e eventualmente agli enti territoriali del DEF in relazione alla disponibilità delle informazioni statistiche necessarie all'elaborazione del documento.
Da questo punto di vista, per le ragioni che ho esposto prima, se le date in cui vengono resi disponibili dall'ISTAT i dati di contabilità nazionale per l'anno precedente e i dati dell'indebitamento netto e del debito, cioè, rispettivamente il 1o marzo e il 1o aprile, non sono cambiate e rimangono tali, non c'è assolutamente alcuna possibilità di anticipare il termine di presentazione del DEF, perché noi non saremmo in grado di elaborare i documenti. Anzi, se tali date sono confermate, a nostro parere la data del 10 aprile prevista dalla proposta di legge diventa per noi un termine quasi impossibile da rispettare. Sicuramente i miei uffici vorrebbero avere più tempo per queste ragioni. Non possiamo preparare documenti significativi e adeguati senza dati affidabili.
Oltretutto, sapete che ci sono molte istituzioni coinvolte nella preparazione di questi documenti. Non si tratta soltanto di aspettare che il 1o aprile vengano trasmessi i dati e che gli stessi siano elaborati in brevissimo tempo, perché in tale procedimento sono coinvolte tutte le amministrazioni dello Stato e, quindi, emerge anche un problema di coordinamento delle varie attività.
Dal nostro punto di vista, comprimere ulteriormente la data del 10 aprile è impossibile, anzi, a date invariate di messa a disposizione dei dati, noi chiederemmo di avere più tempo. Propendiamo più per il 15 che per il 10 aprile, però tutto dipende dalla data di inizio di elaborazione del DEF, che è il momento in cui sono resi disponibili i dati da parte dell'ISTAT.
L'altro argomento che vorrei trattare riguarda l'opportunità di mantenere la fissazione degli obiettivi programmatici a livello dei saldi oppure di prevedere la loro disaggregazione a livello di entrate e di spese. Anche in questo caso la riforma della governance economica europea e la revisione del codice di condotta, pur modificando strumenti e tempistica del ciclo di bilancio, hanno lasciato immutata la definizione degli obiettivi di bilancio in termini di saldo.
Con riferimento alla richiesta di formulazione degli obiettivi, viene confermata la definizione degli stessi in termini di saldi. È chiaro che, per le ragioni che ho descritto prima, la spiegazione di come questi saldi vengono ragionevolmente raggiunti deve essere molto più ricca e, quindi, se l'impegno formale è sui saldi, per spiegare come si arriva a tali saldi, può essere utile, se non necessario, prevedere anche obiettivi intermedi.
Tali obiettivi devono sicuramente riferirsi agli impegni relativi a tutti i centri di spesa, e, quindi, a tutta la pubblica amministrazione. Occorre anche capire quanta parte, in termini di raggiungimento dell'obiettivo, gravi sulle amministrazioni centrali e quanta sulle autonomie locali, quale sia il concorso degli aggregati e delle tipologie di spesa nonché degli aggregati e delle tipologie di entrata. Sebbene formalmente l'impegno abbia come riferimento il


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saldo, tali contenuti saranno importanti per spiegare e per rendere credibile la strategia di bilancio su cui il Governo italiano e tutti i governi si impegnano.
L'altra questione importante a cui si fa riferimento nella richiesta di audizione è l'opportunità di introdurre nel Documento di economia e finanza un esplicito riferimento a un obiettivo relativo al percorso di rientro dal debito pubblico, anche alla luce delle proposte di regolamento in materia di governance economica.
Noi riteniamo che sia assolutamente importante, se non necessario, farlo. Sapete che parte del dibattito europeo si è concentrato su tale aspetto e l'accordo raggiunto lo scorso dicembre a livello di capi di governo, ha esplicitamente previsto che l'impegno dei governi e, quindi, l'applicazione della procedura per disavanzi eccessivi debba riguardare non solo ciò che è successo fino a oggi, con gli sforamenti in termini di deficit, ma anche le situazioni in cui il rientro dal debito rispetto al raggiungimento dell'obiettivo del 60 per cento dello stesso in rapporto al PIL non appare sufficientemente veloce.
Da quest'anno in poi, pertanto, un Paese potrà essere messo sotto sorveglianza non solo perché non ha un rapporto tra deficit e PIL inferiore al 3 per cento, ma anche perché presenta livelli di debito che non si riducono con velocità sufficiente. Si tratta di una novità ed è ancora in corso una discussione su come verrà reso esplicito questo vincolo. La Commissione ha avanzato alcune proposte di riduzione quasi aritmetica del debito a seconda della distanza del livello del debito di un Paese rispetto al benchmark del 60 per cento. Tutto ciò è, però, ancora in discussione insieme all'esatta implementazione di come questo obiettivo di debito verrà reso operativo, però è ormai assodato che ci sarà, in un modo o nell'altro, questo ulteriore vincolo.
Mi sembra, dunque, assolutamente necessario e indispensabile che i nostri documenti di finanza pubblica e le nostre proposte di correzione contengano anche esplicitamente alcuni obiettivi concernenti il percorso di rientro dal debito per essere coerenti con il nuovo Codice di condotta europeo. Il problema è come esplicitarli e in merito la discussione è ancora in corso.
In altri Paesi, se guardiamo ciò che sta succedendo in questi giorni e in questi mesi, la tendenza chiara è quella di introdurre alcuni benchmark numerici, sia sul deficit, sia sul debito, anche nelle legislazioni nazionali.
Vi porto alcuni esempi, ma ce ne sono altri. L'ultimo e più recente è quello della Polonia, che ha introdotto nella sua legislazione, addirittura a livello costituzionale, il vincolo che il debito non possa mai superare il limite del 60 per cento del PIL. D'altra parte, la Polonia oggi è uno dei Paesi che hanno un minor debito rispetto al PIL, essendo tale debito intorno al 50 per cento rispetto al PIL. La stessa legge prevede l'adozione obbligatoria di alcuni provvedimenti sempre più restrittivi sul bilancio a mano a mano che il debito si avvicina alla predetta soglia del 60 per cento.
Altri Paesi hanno introdotto normative costituzionali sul livello non del debito, ma del deficit, però le implicazioni sul livello del deficit sono talmente stringenti che hanno automaticamente implicazioni pesanti in termini di riduzione del debito.
Prima tra tutti la Germania che, come sapete, ha riformato nel 2009 la propria Costituzione, introducendo a partire da quest'anno i limiti alla possibilità di indebitamento dello Stato centrale e dei Länder. La regola generale, valida per tutti i livelli federali, è quella del bilancio in pareggio.
La Svezia ha inserito nel 2010, all'interno del quadro nazionale di bilancio - era già in vigore sin dal 2000 una legge piuttosto avanzata che già delineava tali misure - un vincolo legale al conseguimento di un surplus strutturale dell'1 per cento. Addirittura sono previsti, quindi, obiettivi di surplus strutturali in un Paese come la Svezia, che ha avuto all'inizio degli anni Novanta problemi seri di finanza pubblica, ma che, nel corso dell'ultimo decennio, ha introdotto regole di bilancio strettissime e oggi è tra i Paesi più virtuosi da questo punto di vista.


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Un'ulteriore richiesta di approfondimento verteva sulla possibile introduzione di fiscal rule per il controllo delle spese e la definizione delle entrate, con particolare riferimento al divieto di utilizzo con finalità di copertura delle entrate una tantum e delle entrate straordinarie.
Il nostro parere è che una regola che destini ex ante il maggior gettito di parte corrente al miglioramento degli obiettivi di finanza pubblica sia assolutamente giusta. Visti il nostro livello di debito e gli impegni che dovremo assumere con i nostri partner europei, l'idea di destinare il maggior gettito o il gettito di entrate straordinarie o una tantum a tale scopo è importante, se non fondamentale.
Se parliamo delle entrate straordinarie o una tantum, sappiamo benissimo che esse non hanno alcun impatto sui saldi strutturali. L'impiego di tali entrate per la copertura di spese ordinarie peggiorerebbe quindi l'indebitamento strutturale. In tal caso, ci troveremmo, pertanto, da una parte a coprire spese correnti, che dal punto di vista dei saldi nominali potrebbero essere compensate utilizzando tali tipi di entrate e non avere un impatto, ma, dall'altra, ad accusare un impatto sui saldi strutturali. Poiché il nostro impegno è rivolto alla correzione strutturale del deficit, destinare entrate di questo tipo a copertura di spese correnti è assolutamente da evitare.
Vorrei svolgere alcune considerazioni in merito alla richiesta di introdurre regole di carattere generale sulla spesa, come, per esempio, la fissazione di tetti annuali o pluriennali alla spesa, tenendo conto dei problemi che possono porsi quando i tetti si riferiscono a spese obbligatorie.
La legge n. 196 del 2009 contiene l'esplicito riferimento alla futura introduzione di un tetto alla spesa del bilancio dello Stato. In particolare, l'articolo 40, comma 2, lett. h), di tale legge stabilisce che i decreti legislativi che il Governo sarà chiamato a emanare in materia di riorganizzazione della struttura del bilancio, introducano criteri e modalità per la fissazione di limiti per le spese rimodulabili del bilancio dello Stato.
La norma precisa che detti limiti siano individuati in via di massima nella DFP e che siano adottati con la successiva legge di bilancio, coerentemente con la programmazione triennale delle risorse. Appare importante evidenziare che il testo della norma fa riferimento alla sola spesa rimodulabile, escludendo la maggior parte della spesa; più o meno l'80 per cento della spesa - riconducibile a fattori legislativi ovvero a fattori inderogabili - sarebbe, pertanto, esclusa.
A noi sembra importante ampliare la percentuale delle spese che possono essere soggette a vincoli di crescita. All'interno della componente obbligatoria probabilmente sarebbe opportuno distinguere tra spese relative a diritti acquisiti, per esempio le pensioni, o il pagamento di interessi, da quelle modificabili, sia pure con intervento legislativo. Le tipologie di spesa su cui è possibile apporre tetti vanno chiarite per le finalità operative, al fine di tenere in considerazione la peculiarità della spesa.
La Commissione europea ha più volte sottolineato l'opportunità di fissare target generali comprensivi di tutte le voci di spesa riferite al complesso delle amministrazioni pubbliche. Viene spesso menzionata come best practice l'esperienza olandese. Come sappiamo, anche l'Olanda è tra i nostri partner europei più virtuosi. In Olanda, infatti, da tempo sono utilizzati tetti di spesa per la pubblica amministrazione in generale, che permettono però l'esclusione esplicita di alcune tipologie di spesa, come gli interessi passivi e le indennità di disoccupazione. Per tutto il resto della spesa il tetto vale e, quindi, devono essere trovate compensazioni all'interno di tutte le altre componenti di spesa.
Un ultimo tema da affrontare è quello della possibile introduzione nel DEF di obiettivi riferiti all'avanzo primario per l'intero periodo di riferimento. Anche in questo caso, è necessario un chiarimento.


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Gli obiettivi di riduzione del debito per l'Italia non possono prescindere da obiettivi ambiziosi sull'avanzo primario, il che viene spesso fatto presente in sede europea, non solo al nostro Paese, ma a tutti i Paesi. Ci deve essere un impegno sul raggiungimento di un avanzo primario minimo, che però ovviamente deve essere interpretato come un minimo da raggiungere effettivamente e non può essere confuso. Ci si potrebbe, infatti, impegnare su obiettivi espressi in termini di avanzo primario, visto che la spesa per interessi non dipende da noi e non rappresenta una variabile controllabile.
Se è vero, purtroppo, che la spesa per interessi non è una variabile controllabile e che, quindi, è una spesa su cui non possiamo intervenire, ciò non significa che un obiettivo di un avanzo primario non debba essere modificato, se i tassi di interesse diventassero più alti. Ci deve essere un impegno minimo, come lo interpreta la Commissione europea, a un surplus primario, nel senso che, se i tassi di interesse dovessero scendere e quindi la nostra spesa per interessi dovesse diminuire, ciò non deve implicare una riduzione del surplus primario. In questo caso gli spazi di bilancio dovrebbero essere mantenuti per riduzione del debito.
Viceversa, se i tassi di interesse dovessero sfortunatamente aumentare e, quindi, ci dovesse essere una spesa aggiuntiva dal punto di vista delle spese per interessi, ciò non significa che l'impegno al surplus primario non debba essere reso più forte, con un aumento dell'avanzo primario.
Noi riteniamo che un impegno sull'avanzo primario sia utile, ma in questo senso, cioè che non si andrà mai al di sotto di un dato livello di avanzo primario, essendo pronti a compensare, però, ulteriori spese non prevedibili dal punto di vista della spesa per interessi.
Forse mi sono dilungato e mi fermerei a questo punto.

PRESIDENTE. Ha risposto puntualmente a tutti temi che avevamo segnalato, il che è sicuramente positivo.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

AMEDEO CICCANTI. Ringrazio il professor Grilli per la compiuta analisi e pongo due domande molto rapide.
Il problema costituito dal «collo di bottiglia» che verrebbe a formarsi in seguito alla definizione delle date del 10 aprile e del 30 aprile, a mio parere, deve richiedere un impegno soprattutto da parte del Governo affinché l'ISTAT riesca a elaborare i propri dati prima del 1o aprile. L'ISTAT ha a disposizione, per tali elaborazioni, un tempo che va dal 1o al 31 marzo, mi sembra. È vero che, una volta che ha predisposto l'elaborazione di questi dati, l'ISTAT deve poi procedere alla rifinitura degli stessi per giungere a dati definitivi, però non capisco perché si debba procrastinare tale operazione a ridosso della scadenza del mese di marzo.
Domani noi audiremo il presidente dell'ISTAT, professor Giovannini, e gli porremo la questione, però l'idea fatta balenare da lei secondo cui sarebbe utile per il Dipartimento del Tesoro addirittura spostare al 15 di aprile la data di presentazione del DEF per avere il tempo necessario per elaborare successivamente i dati in rapporto al sistema complessivo della finanza pubblica comprime il dibattito parlamentare. Considerando che nel periodo immediatamente successivo normalmente cadono varie festività, quali il 25 aprile e Pasqua e, magari subentrano i «ponti» in concomitanza del 1o maggio, di quella quindicina di giorni disponibili per l'esame del documento e l'approvazione della risoluzione, nei quali il Parlamento deve tenere audizioni e svolgere riflessioni in merito ai contenuti del documento, resta ben poco: l'esame viene compresso a tal punto che il ruolo del Parlamento diventa secondario. Si ripeterebbe l'esperienza che abbiamo compiuto con la Decisione di finanza pubblica, che è stata trasmessa al Parlamento venti giorni dopo la scadenza, per cui sono rimaste solo poche settimane per il suo esame prima del disegno di legge di stabilità.


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La fase della programmazione deve avere un suo respiro politico, soprattutto a livello parlamentare. Credo, pertanto, che debba essere svolta la verifica se nella fase a monte della discussione del Documento di economia e finanza non ci possa essere, da parte dell'ISTAT, in accordo con il Ministero dell'economia e delle finanze, una diversa dislocazione delle date. Questa è la prima domanda.
Passo alla seconda. Lei giustamente ritiene - credo che noi dovremo svolgere una riflessione in merito, anche in sede di modifica della legge n. 196 - di collegare l'avanzo primario con un meccanismo automatico, o così mi è sembrato di capire, all'eventuale surplus di spesa per interessi che dovesse verificarsi, essendo quest'ultima una variabile indipendente determinata dall'andamento dei mercati finanziari. Si tratta di una variabile che non possiamo controllare e giustamente lei sostiene che dovremmo prevedere un meccanismo automatico che faccia in modo che sia adeguatamente distribuito il prezzo da pagare in relazione a quest'alea, determinata dalla competitività dei mercati finanziari.
Se ho capito bene, questa è la sua richiesta, che credo sia condivisibile. Non so se vi abbia accennato, ma vorrei capire, se è d'accordo, se ritiene che dovremmo anche creare un parametro di collegamento tra la crescita e la spesa, cioè introdurre meccanismi automatici che non lascino alla discrezionalità del decisore politico la definizione dei tetti e, quindi, dei saldi, secondo regole che contemplino margini di discrezionalità.
Dovremmo creare un meccanismo automatico di collegamento, così come tra avanzo primario e surplus di spesa per interessi, tra il PIL e l'aumento di spesa.

RENATO CAMBURSANO. Sarò rapidissimo, anche perché al termine dell'audizione dovrà intervenire il Ministro Calderoli, sperando che ci comunichi grosse novità in merito al federalismo fiscale municipale.
Grazie professor Grilli. Ben venga il semestre europeo se, come giustamente lei ha affermato aprendo la sua audizione, della quale la ringrazio, significherà un cambiamento sostanziale nel fare programmazione economica - aggiungo - soprattutto e finalmente anche in questo Paese.
Emergono due problemi, che sono già stati toccati dal collega che mi ha preceduto. Il primo è la compressione dei tempi nel fatidico mese di aprile. Più che una domanda, si tratta di cercare insieme di trovare il modo per uscirne.
È vero che l'ISTAT ha tempo 30 giorni per elaborare i dati di finanza pubblica, ma tutto dipende ovviamente da quando avrà i dati per elaborarli e metterli a disposizione a sua volta di chi, il Ministero dell'economia e delle finanze, dovrà tradurli in contenuti del DEF, ossia in proposte complessive.
Io credo che tutto dipenda da come le autonomie centrali e soprattutto quelle decentrate saranno in grado di trasferire questi dati e soprattutto della possibilità che tali dati siano immediatamente leggibili e comparabili rispetto agli schemi di contabilità nazionale.
Temo che non ce la faremo; è questo il problema vero. O rischiamo di avere dati incompleti e, quindi, elaborazioni, da parte del Governo e del Parlamento, su dati ancora incompleti che l'ISTAT predispone sulla base delle informazioni non definitive trasmesse, oppure di sforare nei tempi, rendendo disponibili tali documenti soltanto successivamente alle suddette date e, quindi, di comprimere e quasi azzerare la possibilità del Parlamento di esaminare il Documento di economia e finanza e i suoi allegati.
La domanda, ma credo che sia una riflessione ad alta voce che ci accomuna tutti, verte sul modo per uscire da tale situazione, ossia come possiamo «obbligare» le amministrazioni pubbliche nel loro complesso, centrali o non centrali ad accelerare i tempi di trasmissione dei dati di finanza pubblica.
Sono totalmente d'accordo con lei quando afferma che sarebbe bene che anche noi cominciassimo a ragionare sui benchmark del deficit e del debito. Addirittura


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io sono, da questo punto di vista, più rigido: assumiamo non solo le best practice, ma anche i best country, cioè i Paesi che hanno introdotto norme, non trovandosi neanche nella nostra situazione, a livello costituzionale che fissano limiti sul deficit o sul debito.
Io personalmente e il Gruppo parlamentare cui appartengo siamo assolutamente concordi sulla necessità di destinare le entrate una tantum e quelle straordinarie esclusivamente alla riduzione del debito pubblico, visto che il nostro viaggia decisamente verso il 119 per cento in rapporto al PIL. Occorre valutare, però, come coniugare tale esigenza con l'altra necessità, soprattutto in questo momento, di destinare maggiori risorse alla crescita, che rappresenta l'altra faccia della medaglia.
In merito alla questione dell'avanzo primario, concordo sul fatto di stabilirne un minimo a prescindere dal costo degli interessi sul debito, ma anche in questo caso mi domando come stabilirlo a priori, se non siamo in grado, se non strada facendo nel corso dell'esercizio finanziario, di quantificare quale sarà il costo del debito e, quindi, quando intervenire per garantire quel minimo di avanzo primario.

PRESIDENTE. Vi informo che, in relazione agli impegni concomitanti con il Senato, potremmo prevedere l'esame dello schema di decreto legislativo sul federalismo fiscale municipale con la presenza del Ministro Calderoli per le 16.45, in modo che tutti gli interessati si organizzino.

PIER PAOLO BARETTA. Mi allaccio alla sua comunicazione sullo schema di decreto legislativo in materia di federalismo fiscale municipale e poi entro nel merito dell'audizione semplicemente per affermare che va benissimo l'ora di inizio, ma l'importante è stabilire qual è l'ora di conclusione, ossia se c'è il tempo per una discussione. Altrimenti non conviene ascoltare le dichiarazioni del Ministro Calderoli e poi non discuterne. Glielo pongo come problema affinché lo valuti nel frattempo.
Mi associo ai ringraziamenti dei colleghi per l'illustrazione del professor Grilli e mi limito a due osservazioni, tra le altre che potrebbero essere considerate.
Con la prima, come è stato rilevato anche nel corso della discussione odierna, noto che anche lei, come gli altri soggetti che abbiamo audito nel corso di questa indagine conoscitiva, con sfumature diverse, si è concentrato sul corto circuito temporale che rischia di verificarsi nella prima parte dell'anno, attorno ad aprile.
Su questo punto bisognerà nei prossimi giorni trovare il bandolo della matassa, ma svolgerei due considerazioni in merito. Mi pare che l'unico dato inconfutabile sia il 30 aprile - vale a dire il termine per la trasmissione in sede europea del Programma di stabilità - quello non derogabile per nessuno. Assumendo questo come il punto finale, dobbiamo davvero compiere uno sforzo di rimodulazione all'indietro il più possibile e probabilmente si potrebbe provare ad agire con due modalità.
La prima, come affermavano anche l'onorevole Ciccanti e gli altri colleghi, consisterebbe nella opportunità di prevedere la massima anticipazione possibile della disponibilità dei dati, come lei ha rilevato. Già il termine del 10 aprile è francamente stretto; se poi, come lei teme e come lo stesso Ragioniere generale dello Stato ha fatto presente esplicitamente nel corso dell'audizione di questa mattina, si sposta la data di presentazione del DEF al 15 aprile, a quel punto il tempo a disposizione per il Parlamento diventa francamente risibile. Bisogna, invece, compiere un'operazione al rovescio e chiedere un'anticipazione della disponibilità dei dati.
La seconda considerazione che voglio svolgere è meno formale dal punto di vista del rigore dei numeri. Penso, per esempio, al Programma nazionale di riforma, che è un punto chiave di tutta questa impalcatura. Esso non contiene


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solo tabelle numeriche, ma implica scelte politiche che il Paese presenta all'Europa.
Poiché le prime indicazioni che l'Europa ci dà per poi costruire le linee di politica economica sono trasmesse a febbraio, si potrebbe immaginare anche un percorso, che definisco più politico, giusto per essere chiari nella terminologia, che preveda un confronto e un dialogo tra il Governo e il Parlamento indipendentemente dalla formalizzazione dell'atto, i cui tempi dovranno essere il più possibile anticipati al fine di mettere a disposizione i contenuti, ma che non trascuri un elemento di costruzione dei contenuti stessi. Immagino che la discussione sul Programma nazionale di riforma verterà sugli aspetti preventivi all'elaborazione del dato che dovrà sostenerlo. Dovremo, infatti, scegliere quali siano le riforme da attuare e discuterne.
Da un lato potremmo provare ad individuare, quindi, anche con la vostra collaborazione, una modalità che garantisca il massimo di anticipazione della disponibilità dei dati, ma, dall'altro, anche instaurare un atteggiamento volto a prevedere un rapporto più intenso fra Parlamento e Governo.
Concludo questa prima riflessione osservando che la nuova scadenza temporale, che è molto diversa da quella prevista dalla legge n. 196, la quale era concentrata in due momenti ad aprile e a settembre, impone probabilmente anche un atteggiamento mentale diverso.
La legge di stabilità e i dati di bilancio diventano oggetto di un rapporto costante tra Parlamento e Governo e non soltanto in alcuni momenti specifici. I momenti specifici sono talmente tanti che diventano un continuum. Probabilmente bisognerà immaginare modalità di rapporto più «sciolte» che consentano il dialogo tra Governo e Parlamento anche in fase di costruzione dei documenti di finanza pubblica.
La seconda osservazione rapida riguarda un punto molto delicato e controverso, che poi sottoporremo a un approfondimento.
Lei ha fatto riferimento alle entrate straordinarie e alla loro finalizzazione. Se l'Italia decidesse che per i prossimi tre o quattro anni, a fronte dell'emergenza costituita dalla dimensione del debito pubblico, qualsiasi nuova entrata di qualsiasi tipo va dedicata solo al rientro dal debito, potrei convenire, ma far diventare ciò una norma di legge, che auspico non riguardi solo la situazione drammatica del debito, pur essendo lungo il percorso di rientro, non mi sembra opportuno.
Se il Governo decide di istituire una tassa di scopo finalizzata a un dato intervento, è evidente che le relative entrate devono essere utilizzate per gli scopi per i quali è stata progettata la tassa, in termini di intervento fiscale. Vorrei che avessimo presente che deve esistere un margine di manovra minimo che va affidato all'Esecutivo e anche al Parlamento. In questo senso la proposta di legge parla di maggiori entrate correnti e non di entrate straordinarie.
Lei ha ragione dal punto di vista contabile, sugli effetti negativi sull'indebitamento netto. Lo capisco perfettamente, però esiste anche questo nodo. Bisognerebbe trovare, se si conviene su tale aspetto dal punto di vista politico, le modalità con le quali, pur nel rispetto delle regole contabili, si mantenga un margine per l'agibilità politica delle manovre di politica economica o fiscale del Governo.

LINO DUILIO. Professor Grilli, la ringrazio. Volevo porre due o tre domande rapide.
Una è relativa alla questione che abbiamo posto in merito al «collo di bottiglia», come è stato chiamato prima. Esprimerò in merito una considerazione che magari le potrà apparire un po' eccentrica.
Noi abbiamo l'esigenza come Parlamento di partecipare sostanzialmente e non formalmente all'elaborazione del Documento di economia e finanza, perché nel ciclo della programmazione finanziaria e di bilancio che si prefigura all'interno di queste innovazioni introdotte in


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Europa esso assume una particolare pregnanza.
Nello stesso tempo, vorrei ricordare che non più tardi di un anno fa si è ritenuto, con la legge n. 196 del 2009, di spostare in avanti, rispetto al termine previsto in precedenza per il DPEF, la presentazione della Decisione di finanza pubblica affermando che sistematicamente i dati che si prevedevano a fine giugno, venivano corretti con la nota di variazione che puntualmente arrivava a settembre. Non c'era, quindi, alcuna ragione per confermare la presentazione a fine giugno, ritenendo più opportuno spostare tale presentazione, invece, a settembre per evitare che si dovessero poi modificare i termini su cui si ragionava.
Adesso stiamo discutendo di un documento che dovrebbe essere presentato ad aprile. Siamo all'inizio dell'anno e, per quanto l'ISTAT possa avere la sfera di cristallo ed essere lungimirante nelle previsioni, è del tutto ovvio immaginare che le previsioni che si elaborano a marzo in merito all'esercizio in corso vadano incontro al rischio, o quanto meno alla possibilità, se non alla probabilità, di un possibile scostamento tra ciò che si suppone e ciò che potrà accadere. Non casualmente anche questa volta si prevede una nota di variazione, che si dovrà presentare a suo tempo.
Voglio immaginare che il Documento di economia e finanza, pur prendendo in considerazione il triennio di riferimento e agendo sul quadro finanziario relativo all'anno in corso, avrà contenuti che non ineriscono semplicemente alla rappresentazione statica dei dati che ci fornirà l'ISTAT. Voglio sperare, invece, che avrà a che fare con questioni di natura strutturale che nel corso degli anni noi portiamo avanti alla luce della banale considerazione che la gravità dei problemi strutturali che abbiamo non può essere risolta né con la bacchetta magica, né con provvedimenti il cui ambito temporale di applicazione è limitato ad un anno.
Del resto, dovremo compiere questo sforzo per uscire dall'improvvisazione, altrimenti si ripeterà quanto è successo con il Programma nazionale di riforma. Lei avrà visto il documento comparativo che ci ha fornito la Commissione europea recante l'«Analisi annuale della crescita COM(2011)11». C'è veramente da vergognarci, come peraltro avevamo affermato quando ci è stato presentato il Programma nazionale di riforma. Siamo, infatti, il Paese che su tutte le questioni più importanti, come gli obiettivi che nella prospettiva della strategia «Europa 2020» dobbiamo raggiungere, è indietro rispetto a tutti gli altri Paesi. Siamo indietro per quanto riguarda i parametri della ricerca e dell'occupazione e le distanze rispetto agli altri Paesi aumentano e nel tempo non diminuiscono.
Tutto ciò, secondo me, o denuncia una mancanza di coraggio nell'affrontare con serietà i nodi strutturali nell'arco di dieci anni o, molto più banalmente, e io credo che sia così, dimostra che il Programma nazionale di riforma non è altro che un collage che è stato composto: sono stati messi insieme quattro numeri, sono stati presentati in Parlamento, peraltro il giorno prima di presentarli in Europa, e abbiamo vissuto la cerimonia che conosciamo.
Non intendo certamente fare polemiche inutili, perché siamo tutti nella stessa barca ma, per tornare all'oggetto della discussione, oso pensare che il Documento di economia e finanza riguardi alcune questioni strutturali relativamente alle quali nel corso dell'anno, tenendo conto dei dati trasmessi dall'ISTAT, cominciamo a pensare e a preparare la manovra di bilancio che poi elaboreremo in autunno, dopo che abbiamo validato questi documenti in Europa all'interno del coordinamento che l'Europa ci chiede.
Ribadisco la nostra esigenza: noi vogliamo partecipare non semplicemente con tre parole, con un'audizione e con l'emozionalità del momento che traspare dai nostri interventi. Capiamo anche la richiesta del Ragioniere generale dello Stato di spostare la scadenza per la presentazione del DEF dal 10 al 15


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aprile, perché giustamente ha l'esigenza di disporre dei dati necessari, ma noi abbiamo l'esigenza esattamente opposta.
Non ne farei, però, una questione drammatica rispetto alle questioni di fondo che ritengo debbano qualificare il Documento di economia e finanza. Riterrei opportuno, al fine di inserirlo nella proposta di legge - ne discuteremo con i colleghi - di emendare il testo che ci è stato sottoposto prevedendo obbligatoriamente che il Governo venga in Parlamento un mese e mezzo prima di cominciare a elaborare il Documento di economia e finanza per comunicare quali sono le strutture portanti di questo documento.
Non posso credere che il Governo si metta a scrivere il Documento di economia e finanza una settimana dopo che ha avuto i dati dell'ISTAT e che poi ce lo trasmetta. Questo accadrà per le parti che ineriscono strettamente ai dati acquisiti dall'ISTAT, ma sulle questioni di fondo che ci trasciniamo da venti o trent'anni, che sono sempre le stesse, vorremo che il Governo cominciasse a discuterne con il Parlamento, in modo da renderlo protagonista e non da farlo diventare, come ahimè sta accadendo, una succursale del Governo che deve fondamentalmente ratificare ciò che il Governo propone.
Passo alla seconda domanda più rapida. Mi spiace che sia andato via il Ministro Tremonti, che ci ha onorato della sua presenza, ma un altro limite del nostro lavoro e anche del vostro, se mi permette, è il fatto che ragioniamo in maniera impulsiva, senza collegamenti.
Lei prima ci ha parlato della questione delle spese rimodulabili e non rimodulabili, obbligatorie e non obbligatorie. Vorrei ricordare che nel corso dell'esame del disegno di legge di stabilità per il 2011 avevamo presentato, non più tardi di due mesi fa, un emendamento in Aula - lo ricorderà anche il presidente - che tentava di fare chiarezza. Infatti, si è creata una situazione, per certi versi inevitabile, per cui tutte le amministrazioni, interrogate sul tema, per paura che tagliassero loro le risorse, hanno sostenuto che le spese dei loro bilanci erano quasi tutte obbligatorie, per cui si è proceduto a spanne e si è stabilito che l'80 per cento delle spese sono obbligatorie. La stima delle spese obbligatorie non modificabili è, dunque, di circa l'80 per cento, mentre il resto è costituito da spese flessibili e, dunque, modificabili.
Non mi scandalizzo, ma con quella proposta emendativa avevamo chiesto che entro il 30 giugno di quest'anno il Governo venisse in Parlamento, presentasse una relazione nella quale chiarisse quali erano i criteri in base a cui aveva determinato quali sono le spese obbligatorie e quali quelle non obbligatorie e quindi quali potevamo modificare e quali no.
Sa che fine ha fatto quell'emendamento? È stato respinto, ma non perché si è stabilito in modo persuasivo che non aveva alcun valore, bensì perché ha prevalso la logica del votare a favore o contro a prescindere da ciò. Credo che dobbiamo uscire da questa logica, se vogliamo affrontare questo nodo delle spese, che ci sta ormai uccidendo come Paese.
Chiudo con il riferimento alle spese e mi rivolgo a lei, che è Direttore generale del Tesoro. Non possiamo continuare a recitare la litania delle spese che aumentano, perché in effetti aumentano e ci stanno strangolando. Bisogna che innanzitutto voi, come Governo, perché la principale responsabilità è appunto del Governo, cominciate a essere un po' più analitici e rigorosi.
Mi onoro di ricordare il Ministro Padoa Schioppa - l'ho già fatto ieri poiché ricorreva un mese dalla sua morte - quando, nella Relazione unificata sull'economia e la finanza pubblica per il 2008, rivolgendosi non solamente all'allora maggioranza, ma anche all'opposizione, ci comunicò che non avremmo potuto ridurre le spese a colpi di sciabolate retoriche. Avevamo cominciato a pensare alla spending review e ad altre iniziative.
Dovremmo far tesoro di tale insegnamento, altrimenti non usciremo da questo


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mostro ingovernabile, per il centrodestra e per il centrosinistra, che ci sta strangolando.
La mia domanda è la seguente: all'interno di questa nuova filosofia voi quali azioni vi ripromettete di intraprendere, che magari noi possiamo anche ancorare alla scrittura del nuovo testo della legge di contabilità affinché il tema delle spese possa essere affrontato con maggiore efficacia?
Aggiungo veramente solo una battuta sull'avanzo primario. Siamo d'accordo su quanto lei ha affermato, ma lei sa meglio di me che questo discorso rinvia a quello della crescita, della quale pure tutti continuiamo a parlare retoricamente, senza domandarci come si debba produrre. Chi sta ragionando su quali sono i cespiti? Ieri abbiamo audito la Banca d'Italia, cui ho posto la domanda circa il fatto che, oltre a parlare di tagli lineari, che sono rozzi, come sappiamo, e che magari portano a tagliare dove non si deve e a non tagliare dove si deve, forse bisogna parlare anche un po' di più di spese per investimenti.
La risposta che mi è stata data, peraltro giusta, è che è vero che si può parlare di spese per investimenti, ma bisogna tener conto del fatto che non sono stati pochi gli investimenti pubblici negli ultimi dieci anni. Il problema è che non hanno prodotto effetto.
Poiché comunque nessuno è ancora in grado di negare, anche teoricamente, che la spesa per investimenti pubblici ai fini della crescita abbia una sua efficacia, voi come Governo siete in grado di effettuare una ricognizione su che cosa è accaduto in questi dieci anni, su quali errori dobbiamo evitare di ripetere e a quali interventi dobbiamo destinare le nostre risorse per investimenti, partendo dal presupposto che la crescita economica non può venire solo dal modello che ci siamo messi in testa legato alle esportazioni che derivano dalla crescita degli altri Paesi?
Si tratta di un modello che, se ci va bene, ci procura un effetto, ma che non ci farà uscire dal pantano e che non produrrà avanzi primari di nessuna sorta. Non possiamo ottenere gli avanzi primari solo grattando di qua e di là sul fronte della spesa, perché lei sa bene che oltre un dato livello il taglio della spesa può produrre anche disastri nell'amministrazione e nel sistema economico complessivo.
Su questi ultimi due temi non pretendo che lei ci dia chissà quale risposta, ma mi piacerebbe che ci fosse una maggiore sensibilità, che ne discutessimo un po' di più, che ci appassionassimo un po' di più a un discorso che vada oltre l'ormai banale affermazione che bisogna ridurre la spesa - siamo ormai al banale, sia da parte nostra che vostra - e al discorso della crescita. Anche rispetto a questo, con retorica pura, continuiamo ad affermare che è necessaria la crescita, ma non si riesce mai a ragionare esattamente su come possiamo sforzarci almeno un po' per stimolarla. Grazie.

MARCO CAUSI. Pongo tre domande secche.
Nell'apprezzare il fatto che il professor Grilli ha fatto menzione non soltanto del Patto di stabilità interno, ma anche del Patto di convergenza in tema di coordinamento della finanza pubblica fra macrodecisioni da sottoporre al vaglio dell'Europa e coordinamento della finanza pubblica ai vari livelli, è da ricordare, come già ha fatto l'onorevole Baretta, che non solo il Patto di convergenza, ma anche il PNR hanno contenuti non eminentemente numerici, ma prevalentemente strutturali e concernenti la programmazione a medio termine. Mi domando se non si possa pensare a un processo di costruzione di linee guida per il PNR e per il Patto di convergenza che possa partire ben prima del 10 aprile.
Voglio ricordare a tutti noi che con la proposta di legge C. 3921 stiamo ricostruendo le decisioni ex ante di bilancio a livello nazionale, ma una delle questioni interessanti del ciclo di bilancio delineato a livello europeo riguarda il fatto che sono previste diversi procedure di monitoraggio e valutazione ex post.


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A partire dai documenti di valutazione ex post comunitari e da alcuni nostri documenti nazionali, come, per esempio, la spending review, non si può pensare a una procedura che consenta la discussione delle linee guida che possa cominciare anche a gennaio o a febbraio, basandosi sulle valutazioni dei cicli precedenti e sulla spending review? Questa è la prima domanda.
Naturalmente resta ferma invece, passando alla seconda domanda, la contrazione dei tempi, almeno ad aprile per quanto riguarda il Patto di stabilità interno.
Vi domando - non ne ho parlato con nessuno, neanche con il relatore Baretta, quindi, se è una proposta insensata basta che me lo diciate - se non possa essere utile in questa sede l'esperienza che abbiamo compiuto per la prima volta con l'approvazione della legge n. 42 del 2009, cioè di istituire un comitato di rappresentanti delle autonomie territoriali, in modo tale che non ci sia soltanto una fase in cui il Governo dialoga con regioni e comuni e soltanto in seguito discute con il Parlamento. Sarebbe infatti opportuno, attraverso un comitato di rappresentanza delle autonomie locali che non viene soltanto audito - normalmente in Commissione audiamo i rappresentanti degli enti locali - ma che, così come previsto per il comitato di cui alla legge n. 42 del 2009, abbia un ruolo superiore a quello della partecipazione a delle audizioni, prevedere una triangolazione fra autonomie locali, Parlamento e Governo che possa essere compatibile con il fatto di avere soltanto quattro settimane e mezza di tempo massimo a disposizione.
Infine, passo alla terza domanda sulle fiscal rule. Sarebbe molto utile, professor Grilli, se i suoi uffici, nonché i colleghi della Banca d'Italia, potessero informarci di più non soltanto su quali sono i Paesi che hanno introdotto le fiscal rule, ma anche sull'esistenza in letteratura di una valutazione di efficacia e di impatto ex post. Francamente ne so poco perché, facendo in questi anni un altro lavoro, ho perso i contatti con la letteratura. Sono piuttosto convinto, ma sono pronto a ricredermi, che siano molto più efficaci le fiscal rules sulle spese.
Anche nella nostra legislazione abbiamo già sposato il concetto di standardizzazione delle spese. Lo stiamo introducendo per gli enti locali ai sensi della legge n. 42 del 2009 e con la spending review di fatto ci stiamo orientando verso un concetto di standardizzazione anche per le spese a livello centrale, che forse va meglio esplicitato.
Ogni regola sulle spese va indagata fino in fondo, perché questo è il momento in cui introdurla e rafforzare il processo top-down. Nel rafforzamento di tale processo, in fondo mi domando e le domando se, con una fiscal rule molto rigida sulle spese e con un processo top-down molto più evidente - nella legge n. 196 del 2009 non era ancora un pieno processo top-down, ma le diverse amministrazioni interagivano orizzontalmente fra di loro - in sede di nota di aggiornamento, nel periodo che va da luglio a settembre, ferme restando le macrodecisioni già prese, alla fine non ci possano essere ulteriori momenti di discussione e di concertazione della ripartizione del quantum.
Se fra luglio e settembre, in sede di nota di aggiornamento, occorre apportare modifiche alle decisioni di spesa che riguardano la finanza locale e quella centrale ovvero rivedere il riparto delle spese per grandi programmi, quella può essere una sede più soft per farlo, ma possibilmente anche introducendo alcuni elementi di formalità.

PRESIDENTE. Do la parola al professor Grilli per la replica.

VITTORIO GRILLI, Direttore generale del Tesoro. Grazie per le domande e per gli interventi, che fanno capire quanto sia importante questo momento di riforma delle nostre procedure e tempistiche di bilancio.
Innanzitutto svolgo una premessa: non posso dare risposte politiche per conto del Governo, perché non sono un membro


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del Governo. Mi dispiace, ma sono il Direttore generale del Tesoro e non un membro di Governo. Alcune domande avevano contenuti politici importantissimi, che però fanno parte di un dibattito tra maggioranza, opposizione, Governo e Parlamento e prescindono dalla mia capacità di fornire delle risposte.
La prima problematica è quella della tempistica. La prima questione fondamentale è che il coinvolgimento del Parlamento e delle autonomie locali non è un optional, ma è parte del disegno stesso del semestre europeo. Nel passato ci sono stati momenti di sforamento nei conti pubblici - non parlo dell'Italia, ma in generale - che i diversi Governi hanno attribuito a problemi con gli altri attori in gioco. Ci sarebbero stati, cioè, problemi con le autonomie locali o con il Parlamento.
Questo tipo di giustificazione non è più accettabile e non più accettata. Il meccanismo del semestre europeo ha l'obiettivo di cercare di far funzionare l'Europa dal punto di vista delle politiche fiscali nel modo più unitario, armonico e coordinato possibile. È l'unico modo per renderla coerente con una politica monetaria, se parliamo di zona euro, che è unitaria.
Il fatto che il Parlamento e le autonomie locali siano coinvolte, non solo formalmente, ma sostanzialmente è la garanzia di quello che in Europa viene chiamata ownership, cioè consapevolezza e impegno a tutti i livelli, e che, quindi, non sia possibile che succeda che alcuni impegni assunti in Europa non siano poi rispettati per mancanza di impegno da parte di tutta la filiera decisionale.
Il fatto che il Parlamento - non continuo a ripetere anche le autonomie locali, perché capite che ovviamente intendo anche loro - sia cosciente, consapevole, informato e si impegni è parte fondante del semestre europeo e, quindi, è importante che il Parlamento - rispetto agli obiettivi di finanza pubblica - abbia la possibilità di effettuare analisi, di essere consapevole e di assumere tale impegno.
L'altro lato della questione è che, per essere consapevoli, informati e assumere l'impegno, ci devono essere documenti che siano informativi e non approssimativi. Questa è, spero, non la contraddizione, ma la difficoltà che dobbiamo risolvere. È chiaro che la tempistica così accelerata del semestre europeo non può essere rispettata se prendiamo la filiera decisionale con la sua tempistica a livello nazionale come un dato immodificabile. Tutti devono cercare di modificare il proprio sistema decisionale con una tempistica diversa da quella attuale.
Il semestre europeo per anni è sempre stato rigettato nel dibattito di Bruxelles, oppure non approvato fino a questa crisi, che ne ha forzata e resa necessaria la non procrastinazione, proprio per via di questo problema di tempistica, che in alcuni Paesi presenta risvolti costituzionali. Noi abbiamo problemi importanti, ma altri Paesi hanno problemi costituzionali perché la tempistica di determinati atti di Governo relativi alle procedure di bilancio fa parte delle regole stabilite a livello costituzionale. Anche questi Stati hanno assunto l'impegno di effettuare modifiche costituzionali per rendere tutto ciò possibile.
Esiste, dunque, un impegno a rivedere l'architettura di formazione delle decisioni, di trasmissione dei dati e della loro elaborazione che deve essere compatibile con questo impegno, la cui soluzione non può essere né l'avere documenti affrettati e imprecisi, né il fatto che il Parlamento non abbia il tempo di verificare, prendere coscienza e assumere un impegno nei confronti dell'Europa.
È una tempistica - ci siamo concentrati sul 30 aprile, che è una data importante - ma è anche un momento interattivo, perché il semestre europeo è un semestre e non finisce ad aprile. Come funziona? Gli Stati avanzano una proposta consapevole assumendo degli impegni, questa proposta da aprile fino a giugno viene discussa a livello europeo dalla Commissione e dagli altri Stati membri, in modo che possano essere forniti alcuni feedback e, quindi, commenti


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e possibili integrazioni per rendere le azioni di ciascuno Stato efficaci e credibili a livello individuale e poi coerenti tra di loro. Ci sarà una risposta e sulla base di tale risposta a livello comunitario ci sarà il problema di renderla propria e di recepirla a livello nazionale. Si riparte ovviamente con il momento decisionale vero e proprio, cioè l'approvazione finale delle linee di finanza pubblica.
Siamo perfettamente consapevoli dell'importanza e non vorremmo null'altro dell'assoluto coinvolgimento del Parlamento su dati ed elaborazioni affidabili in questo esercizio, altrimenti non vengono raggiunte le finalità previste per l'esercizio stesso.
Per accorciare i tempi bisogna distinguere la questione in due aspetti differenti. Noi non aspettiamo i dati ISTAT previsivi, ma quelli consuntivi, sulla base dei quali tutto il processo di previsione viene basato. Per elaborare previsioni che abbiano un ambito temporale di tre anni dobbiamo partire da uno zoccolo duro, che è oggi rappresentato dalla situazione attuale. Non chiediamo all'ISTAT previsioni che poi giustamente possono essere modificate, ma lo zoccolo duro di dati consuntivi sul quale costruire le nostre previsioni triennali. Se non abbiamo la certezza della situazione attuale, tutto l'apparato previsivo non diventa affidabile.
È chiaro, però, che, grazie anche al fatto che abbiamo messo in moto il processo di elaborazione del bilancio su base triennale già da alcuni anni, ogni anno non dobbiamo partire da zero. La nostra sarà una opera di continuazione della programmazione triennale. Era proprio questo lo spirito con cui è stato introdotto il bilancio triennale; continuare ogni anno a riscoprire e a rifare nuove previsioni non dà un respiro sufficiente per avere una strategia di rientro dei nostri conti pubblici.
Per quanto ci riguarda, anche in ottemperanza alle regole dettate a livello europeo, che richiedono a tutti i Paesi la programmazione triennale, ogni anno non c'è una sorpresa. Ci possono essere sorprese dovute a imprevisti, ma ciò rientra nella continuità della strategia. Gli aggiustamenti sono non dico al margine, perché sarei troppo semplicistico, però all'interno di una chiara strategia di rientro del debito già approvata negli anni precedenti. Ogni anno si effettua una revisione, tenendo conto di ciò che è successo nel mondo e nel Paese, per rendere continuativa tale strategia.
Questa è anche l'altro vantaggio di avere un orizzonte temporale che non sia semplicemente annuale e di non costringere tutti gli attori ad aspettare dati di cui non conosciamo nulla per poterci esprimere. In questo senso, la consapevolezza della situazione economica si può già costruire sulla base di quanto è già presente nei documenti triennali approvati fino a quel momento.
Ci sono due elementi, giustamente, di cui occorre tener conto: uno è rappresentato dai saldi di bilancio veri e propri e l'altro dal Programma nazionale di riforma. Sono i due aspetti fondamentali della credibilità sia fiscale, sia economica di un Paese.
Molte questioni fanno parte e devono far parte del Programma nazionale di riforma. Anch'esso non deve essere una novità assoluta, anche perché il tipo di riforme e gli obiettivi che ciascuno Stato deve raggiungere fanno parte prima della Strategia di Lisbona, poi della strategia «Europa 2020». Il problema è come implementare e fornire la sequenza degli interventi da attuare in una strategia di continuità, perché, soprattutto quando si parla di riforme strutturali, è un po' difficile convincere chiunque e in particolare i nostri partner europei sul fatto che ogni anno si cambia obiettivo e priorità. Trattandosi di riforme strutturali la cui messa a punto e i cui risultati richiedono orizzonti pluriennali, bisogna avere una continuità.
Un'interazione continua tra Parlamento, Governo e altre realtà decisionali del Paese è fondamentale ed è non solo auspicabile, ma è necessario che ci sia e


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che continui a esserci. Altrimenti rimangono solo documenti e i risultati non sono messi in opera.
I Programmi di stabilità e i Programmi nazionali di riforma esistevano già, ma in momenti diversi e scoordinati tra loro. La consapevolezza oggi è che questi due momenti sono fondamentalmente legati, per due ordini di motivi. Le riforme spesso hanno implicazioni di bilancio, nel bene o nel male, e, quindi, nel passato spesso non si sono emanate - non sto parlando di un discorso italiano, ma globale, perché una riforma di questo tipo non sarebbe stata possibile, se si fosse trattato soltanto di un problema italiano - e sono state ritardate perché non erano stati tenuti in dovuta considerazione gli impatti di bilancio.
Quello che viene richiesto è di valutare insieme le politiche di bilancio e le riforme, in modo che si parlino e si possa valutare se sono credibili, possibili e fattibili e in che orizzonte temporale per coordinarle con le loro implicazioni di bilancio. Allora diviene importante avere i dati e il quadro previsivo di bilancio per vedere se l'orizzonte e la pianificazione delle riforme sono coerenti e possibili o no.
In secondo luogo, è chiaro a tutti, come alcuni commenti hanno messo in risalto, soprattutto da parte dell'onorevole Duilio, che parte fondamentale di un rientro credibile di un Paese dal debito è anche l'andamento della crescita.
Le riforme sono un aspetto fondamentale. Il cosiddetto stimolo economico con la strategia del deficit non è, a mio modesto parere di economista, utile dal punto di vista strutturale. Lo può essere dal punto di vista congiunturale, ma non strutturale. Inoltre, non è nelle nostre disponibilità. L'elemento strutturale rappresentato dalle modalità attraverso le quali le riforme possono avere un impatto duraturo sulla crescita è la parte fondamentale per creare gli spazi di manovra e la possibilità di generare avanzi primari sufficienti per accelerare il nostro rientro, soprattutto per quanto riguarda l'andamento del debito pubblico.
Un paio di domande erano più specifiche. Una riguardava le entrate straordinarie e la loro destinazione. È vero che le entrate straordinarie possono rappresentare spazi di programmazione politica necessaria, ma il nostro punto è la cautela: l'entrata straordinaria non rappresenta un miglioramento del deficit strutturale, ma una diminuzione del debito, quindi non del deficit. Il suo uso per la riduzione del debito è, dunque, un elemento certo, che noi auspichiamo.
Se essa viene usata, invece, per copertura di spese, tali spese, se non hanno la stessa dimensione temporale della straordinarietà dell'intervento dell'entrata, creano non solo un effetto pari a zero sul debito, ma anzi lo aggravano.
In ogni caso, come primo auspicio, è bene che misure di entrate straordinarie vengano dedicate a questo scopo. Capisco che dire «da qui fino all'eternità» forse è un po' troppo, però si potrebbe trovare un modo di legare questa destinazione anche al raggiungimento di obiettivi sul debito e, quindi, di renderla almeno dal punto di vista dell'orizzonte temporale, non permanente, ma condizionata.
Se tale strategia deve essere usata per esigenze dettate dalla programmazione individuata a livello parlamentare, il contenuto delle spese deve essere di similare natura straordinaria. Se, invece, l'arco temporale è diverso, è impossibile farlo.
Passo alla valutazione di impatto delle fiscal rule. Quelle che ho appena menzionato sono recentissime, ragion per cui non esistono ancora valutazioni di impatto disponibili. La mia convinzione, però, sta nella natura di queste leggi. Quelle che vi ho citato sono leggi che indicano alcuni obiettivi, ma non come si fa a raggiungerli. Avendo, però, rango costituzionale, implicano a valle un apparato di implementazione e di garanzia del rispetto delle regole molto più efficace rispetto a prassi o alla legislazione ordinaria. Definire a livello costituzionale determinati princìpi e obiettivi di bilancio obbliga poi a prevedere - a livello di legislazione ordinaria e di prassi amministrative -


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l'introduzione di norme e di regole che garantiscano il loro rispetto.
L'unico esempio importante su cui esiste una letteratura è la Svezia, che le ha introdotte a metà degli anni Novanta. Un esempio forse non può convincere tutti, però la Svezia all'inizio degli anni Novanta era, dal punto di vista dell'instabilità delle finanze pubbliche, il Paese peggiore in Europa. Dopo dieci anni di modifiche, durante il decennio 1995-2005, è riuscita a riordinare dalla Costituzione in giù tutto il suo apparato di controllo dei conti pubblici e i risultati si vedono.
Mi fermerei qui. Spero di aver risposto a tutto.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Grilli, per quest'audizione assolutamente completa.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.

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